Manuale della Miniguida 2008
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Manuale della Miniguida 2008
Scuola Media Unificata Bindi-Pagliaccetti Città di Giulianova Assessorato alla PubblicaIstruzione Manuale della 2008 Miniguida MANUALE DELLA MINIGUIDA Questo manuale vuole essere uno strumento di supporto alle lezioni e alle visite al Museo che fanno parte del progetto Miniguide. Troverete sia delle indicazioni pratiche su come svolgere una buona “guida”, sia delle informazioni essenziali su ciò che dovete sapere sul Museo e sulle Collezioni esposte. Come sapete il Museo espone al secondo piano la Collezione Permanente, di arte contemporanea, mentre al piano terra e al terzo piano, grazie ad una convenzione con il Comune di Giulianova, proprietario delle opere, è presente la Collezione Bindi. Riassumiamo brevemente quali saranno gli incontri con il pubblico esterno, nei quali potrete mettere in pratica tutto quello che avete imparato in questo corso, diventando vere e proprie Guide del Museo: - Fine aprile - inizio maggio: diversi incontri con i bambini delle classi quinte delle Scuole Elementari - Fine maggio: incontro con il pubblico adulto Buon lavoro. Lo staff del Museo dello Splendore INDICE Il Museo dello Splendore pag. 3 Decalogo della Miniguida pag. 4 Collezione Permanente pag. 6 Collezione Bindi pag. 23 Informazioni utili pag. 37 Questo Manuale E’ di: Nome: ...................... Cognome: ...................... Classe: ........ Secondo la tradizione, il 22 aprile 1557, la Madonna apparve sulle colline di Giulianova, avvolta nello splendore della luce, a un umile contadino di nome Bertolino, chiedendo di erigere una cappella proprio dove ella stessa avrebbe fatto sgorgare l’acqua. Da questo nucleo iniziale sorse quello che, dopo ripetuti rimaneggiamenti, è l’attuale Santuario della Madonna dello Splendore. Di questo complesso fanno parte la Chiesa che, tra l’altro, ospita importanti dipinti secenteschi attribuiti al Farelli, e una tela attribuita al Veronese, e il Convento, nel quale risiedono i Frati Cappuccini. Dal 1938 al 1965, proprio all’interno del Convento, fu attivo uno Studentato (cioé una “scuola frequentata da chi voleva diventare Frate Cappuccino). E’ proprio nei locali precedentemente adibiti a Studentato che, dopo un importante restauro, è stato realizzato il Museo dello Splendore. Il MUSEO D’ARTE DELLO SPLENDORE (MAS) nasce nel 1997 per volontà di Padre Serafino Colangeli. La struttura si estende su tre piani, per un totale di circa 1200 mq. Il piano terra e il terzo piano attualmente ospitano la “Collezione Bindi”, di proprietà del Comune di Giulianova; il secondo piano, con otto sale espositive, ospita la collezione permanente. Intensa è stata, in questi dieci anni, l’attività di organizzazione e allestimento di mostre temporanee di alto livello, accompagnate da eleganti cataloghi ricchi di immagini e corredati da autorevoli testi critici. Sono stati organizzati concerti, conferenze, convegni, presentazioni di libri e altri eventi culturali. Dal 2000 il Museo d’Arte dello Splendore è diventato una Fondazione pubblico-privata i cui soci fondatori sono la Fondazione Piccola Opera Charitas, il Comune di Giulianova e la Provincia di Teramo ed è stato classificato dalla Regione Abruzzo museo di prima categoria. 1 2 3 4 5 6 DECALOGO DELLA MINIGUIDA Esporre con naturalezza e disinvoltura. E’ importante conoscere a fondo l’argomento che si andrà ad esporre, in modo da sentirsi sicuri e poter parlare ai visitatori in maniera disinvolta, esponendo informazioni ed idee in modo personale. Ricordatevi che anche se chi vi ascolta potrebbe non conoscere affatto l’argomento trattato noterà ugualmente se nel vostro discorso ci sono incertezze e se il vostro atteggiamento è insicuro. Questo è particolarmente fastidioso perché produce nel visitatore imbarazzo e disagio. Mostrarsi sempre gentili. La gentilezza è, ancor prima della competenza e della spigliatezza, la dote più importante di una guida. Ricordate che dovete mostrarvi sempre sorridenti, cortesi e, se occorre, accomodanti. All’inizio della guida accogliete i visitatori per farli sentire a proprio agio, durante la visita mostratevi sempre sorridenti, cortesi e accomodanti, infine ringraziate e salutate il vostro pubblico al momento del congedo. Ricordatevi che fare delle “gaffes” è più semplice di quanto possa sembrare: se qualcuno vi fa una domanda che vi sembra banale o scontata rispondete lo stesso con garbo, senza far trasparire la vostra sensazione, se non lo fate sembrerete (e sarete) saccenti e scortesi. Se nella vostra esposizione vi capita di voler inserire qualche battuta divertente, state attenti a non urtare la sensibilità di qualcuno e di non essere fraintesi. Precedere sempre il gruppo che si sta guidando. Quando farete le visite guidate sarete voi i padroni di casa del Museo, sarete voi i ciceroni che accompagneranno i visitatori alla scoperta delle sale e del loro contenuto. Quindi, se state guidando un gruppo all’interno delle sale, è sempre buona norma precedere i visitatori, in modo da indicare la strada e da dare un’impressione di sicurezza. Evitare di parlare “a memoria”. Se è importante conoscere le cose di cui parlerete (vedi punto precedente) è allo stesso modo importante il modo in cui le studiate. E’ essenziale non imparare a memoria le informazioni, ma comprenderle e farle vostre. Può sembrare un’osservazione banale, che avete sentito tantissime volte, ma è meglio ripeterla ancora perché una Guida che espone le cose “a memoria”, come un libro stampato, risulta seccante, noiosa e praticamente inutile: tutti sanno leggere e chi decide di avvalersi della visita guidata lo fa proprio perché vuole sentire le notizie “raccontate” da voi. Rendere leggera l’esposizione. Una visita guidata, soprattutto se si svolge in un Museo abbastanza esteso come il nostro, può richiedere a volte, nel visitatore, un piccolo sforzo di concentrazione. Per facilitare l’attenzione di chi vi ascolta e rendere più leggera la vostra esposizione abbiamo predisposto una modalità di visita guidata in cui, con una certa frequenza, si passa da una illustrazione generale del museo o delle sue singole sale ad un breve esame di alcune opere particolari (vedi punto 10), in modo da variare il ritmo della vostra esposizione. Considerate, inoltre, che un’esposizione semplice e colloquiale, fatta con l’intento di far capire veramente quello che si sta spiegando, spesso facilita l’ascolto e vi mette in sintonia con il visitatore. Comunicare bene. A volte i presupposti di una buona comunicazione si trovano in piccoli accorgimenti pratici: se mentre parlate guardate il vostro pubblico, rivolgendovi direttamente ai singoli visitatori, otterrete una maggiore attenzione e sarete più coinvolgenti. Inoltre, quando si spiega una singola opera, può venire spontaneo girarsi verso il quadro che in quel momento è il centro della nostra attenzione, ma così facendo si rischia di dare le spalle al pubblico, generando una sensazione di chiusura e di mancanza di rispetto. 7 Non spaventarsi se qualcuno fa delle domande. Il bello di una visita guidata sta proprio nell’interazione che il visitatore può instaurare con voi. La guida è a tutti gli effetti una chiacchierata tra voi e i visitatori, quindi è del tutto normale che qualcuno faccia una domanda a voi. Anzi, è un buon segno: vuol dire che quello che state dicendo è interessante per l’ascoltatore. Detto questo è anche importante specificare che nes- suna guida è tenuta a sapere tutto sull’argomento trattato, neanche quelli che fanno le Guide per mestiere. Quindi, anche se non siete sicuri della risposta da dare parlate sempre in modo naturale, anche esponendo una vostra opinione, e se proprio non sapete cosa rispondere ditelo tranquillamente, magari con frasi come questa: “E’ una domanda interessante, non so darle una risposta sicura ma mi informerò”. 8 9 Fare attenzione al comportamento dei visitatori Anche se può sembrare ovvio che i visitatori si comportino sempre in maniera adeguata, è sempre meglio non darlo mai troppo per scontato. Ci può sempre essere qualcuno che, sicuramente in buona fede e senza rendersi conto del danno che può causare, si metta a toccare quadri o sculture. Anche in questo caso non dovete perdere il vostro atteggiamento gentile: con calma e sorridendo pregate il visitatore di non toccare le opere, con un tono di voce che, pur non essendo troppo forte, sia sufficiente a farvi udire anche dagli altri (non si sa mai). Per quanto riguarda in particolare il nostro Museo ricordatevi, quando siete al terzo piano, di avvertire i visitatori di non appoggiarsi ai pannelli presenti nella stanza. Inoltre, se state accompagnando un gruppo particolarmente rumoroso, pregate gentilmente i visitatori di non parlare forte nei pressi del convento. Essere preparati a fornire informazioni sui servizi presenti nel museo. Da veri e propri “padroni di casa” dovete sapere come indirizzare le persone verso i vari servizi presenti nel Museo. Ecco un breve promemoria: Bagni: sono presenti al piano terra e al secondo piano. Il terzo piano è privo di servizi igienici, quindi dovrete indirizzare il visitatore verso uno dei due piani suddetti. Bagni per disabili: c’e’ un bagno al piano terra Accesso al Museo: E’ preferibile che il visitatore prenda l’ascensore per raggiungere i piani alti, visto che passando per le scale si entra nel Convento e chi non è pratico del Museo potrebbe perdere l’orientamento. Naturalmente se alcuni visitatori hanno paura dell’ascensore, o per altri motivi non vogliono usarlo, possono usufruire delle scale, preferibilmente accompagnati da voi o da un membro dello staff. Accesso per disabili: Il museo è accessibile ai dis- abili che, per raggiungere i piani superiori, possono usare comodamente l’ascensore Punto di ristoro: Sono presenti due macchine automatiche all’ingresso del piano terra, non c’e’ il bar [nota: un punto di ristoro è in costruzione nel piazzale del santuario, potrebbe essere completo per aprile-maggio] Convento: si trova al primo piano, ma non è accessibile dal museo. Quindi se qualcuno vi chiede informazioni in merito dite che la porta principale del convento è quella che si trova a sinistra dell’entrata della chiesa, dall’esterno. Qualsiasi altra entrata dall’interno del museo, anche con l’ascensore, è vietata. Segreteria: si trova al piano terra, appena si supera l’ingresso principale. Indirizzate in segreteria chi chiede informazioni su numeri di telefono o altre cose riguardanti il museo, compresi quei visitatori che vogliono essere inseriti nella lista dei contatti per ricevere notizie sulle nostre iniziative Modalità di svolgimento della guida. E’ importante avere ben chiaro come si svolgerà, in pratica la guida. Come avete visto i contenuti offerti dal Museo dello Splendore sono molto ampi, e spaziano dall’Ottocento all’Arte Contemporanea. Chiaramente ciascuno di voi focalizzarà la sua attenzione su un ambito più limitato, cioè sulla Collezione Bindi o sulla Collezione permanente. Poi, durante la guida, ognuno si posizionerà in un settore ben preciso. Ci saranno, in generale, due tipologie di guida: alcuni di voi accoglieranno i visitatori e li guideranno attraverso la varie sale, illustrando il contenuto delle singole sezioni dell’esposizione. Gli altri si focalizzeranno su una o più opere, che descriveranno in maniera approfondita Naturalmente tra di voi c’e’ bisogno di un “gioco di squadra”, ognuno introdurrà, alla fine della sua esposizione, il compagno che continuerà la visita. Molto importante, a tal fine, è di tenere in considerazione la “parte” degli altri, senza anticipare contenuti e informazioni che saranno poi comunicati al pubblico dalle altre guide; altrimenti si rischia di essere ripetitivi e di irritare i proprio compagni. E’ anche da ricordare che questi ruoli non sono rigidi: ciascuno di voi può scambiarsi i compiti, passando da accompagnatore a guida sui singoli quadri, oppure addirittura passare dalla Collezione Bindi alla Collezione Permanente. Non dimenticate, infine, che per esigenze logistiche (es: assenza di uno dei vostri colleghi) qualcuno potrebbe essere spostato in un altro settore, o ricoprire due o più settori (anche facendo contemporaneamente da accompagnatore e da guida ai singoli quadri). Quindi, per evirare, problemi, è sempre meglio che studiate a fondo questa guida in tutti i suoi settori. 10 La SALA 3 ospita opere che si caratterizzano per l’importanza data alla figura, che viene scolpita, disegnata o dipinta seguendo dei modelli tradizionali, cioè avendo come riferimento i grandi artisti del passato e cercando di adoperare le stesse tecniche. Dunque il nostro percorso si è svolto a ritroso, dalle prime opere che abbiamo esaminato, nelle quali maggiore è l’utilizzo di tecniche espressive più nuove, siamo approdati ad artisti che tendono a ispirarsi alle opere del passato, anche se rivisitate con spirito moderno. E’ questo ricorso a materiali e strumenti più “classici” che contribuisce al fascino di questa sala. [vengono presentate le opere della sala 3, pagg. 11 e 12]vv 6 SALA 4 SALA 2 SALA 5 SALA 6 SALA 7 SALA 8 La SALA 2 è l’unica parte del museo dedicata ad unico artista: Nado Canuti. Anche con Canuti continua il nostro percorso nell’arte sacra contemporanea, visto che gran parte delle sue opere sono di carattere religioso, narrando episodi del Vangelo o rappresentando figure di santi. La sua spiritualità si esprime spesso anche attraverso l’utilizzo di materiali inconsueti. Le nostre Guide illustreranno alcune opere che sono esemplari per comprendere il suo percorso artistico. [vengono presentate le opere della sala 2, pag. 10] SALA 3 SALA 1 Nella Sala 1 possiamo vedere diversi esempi di opere nelle quali gli strumenti e i linguaggi dell’arte contemporanea sono impiegati dagli artisti per affrontare ed approfondire i temi dell’arte sacra. Gli artisti riflettono sul sacro sia mediante l’impiego di materiali nuovi e inconsueti sia attraverso un libero utilizzo delle figure e dei colori. Una distinzione che sarà sviscerata nel proseguo della Collezione, ma che è importante anche qui, è quella tra opere figurative e opere astratte: le prime imitano o rappresentano la realtà avendo per oggetto figure umane, animali o cose anche se eseguiti con estrema libertà, le seconde prescindono dalla realtà e rappresentano solo forme e colori, molto spesso per esprimere o per comunicare stati d’animo. In questa sala sono presenti opere di entrambe le categorie, come sarà illustrato in dettaglio dalle Guide. [vengono presentate le opere della sala 1, pagg. 7, 8 e 9] Collezione Permanente ASCENSORE La collezione permanente comprende oltre 130 opere fra pitture sculture e grafiche di artisti donate dagli stessi o da collezionisti. essa presenta così un ampio panorama dell’arte contemporanea in Italia. L’allestimento della collezione è stato fatto applicando questo criterio: l’ala alla sinistra del corridoio è dedicata all’arte sacra, tale si intende l’arte che racconta o evoca fatti e personaggi della Bibbia e della storia della Chiesa. La scelta di dedicarle così ampia parte si spiega con l’intento di stimolare la riflessione, dall’altra di arricchire l’offerta culturale artistica del Santuario che all’interno della chiesa e negli spazi esterni vanta numerose e valide opere di pittura e scultura. L’ala destra è invece dedicata alle opere non religiose. Collezione Permanente Sala 1 Luigi Timoncini Emmaus, 2003 olio su tela cm. 89x90 Come narra il Vangelo, il miracolo avvenne di sera: infatti l’artista dipinge la luna, che assieme all’albero e al prato è un elemento reale. Tuttavia la scena è rappresentata in maniera essenziale e, soprattutto, mediante l’utilizzo di colori antinaturalistici, cioè diversi da quelli naturali (ad esempio il colore viola del prato) che sono perfettamente adeguati all’evento soprannaturale che l’artista vuole raccontare. La macchia di colore, intenso e antinaturalistico, quasi fosforescente e che si vede sul muro allude forse alla sparizione di Cristo, aumentando la forza emotiva della scena. In quest’opera la scena evangelica dei due discepoli di Emmaus, ai quali Cristo si mostra subito dopo la resurrezione, è ritratta nel momento conclusivo: quando, dopo aver spezzato il pane, Cristo viene riconosciuto e scompare alla loro vista. I discepoli riconobbero Gesù dal modo con il quale spezzò il pane. Questo elemento che caratterizza l’episodio, viene posto al centro della composizione proprio per dargli importanza. Sia il pane, che la ciotola, come la tavola, sono elementi reali. L’opera è chiaramente figurativa, ma l’artista piega le forme e i colori ai suoi scopi espressivi, utilizzandoli in maniera libera e personale. Come in questo particolare in cui ritrae i due discepoli semplificandone i tratti somatici e dipingendoli con colori antinaturalistici: in questo modo riesce ad esprimere il loro stupore, rimandando all’evento prodigioso che si è appena compiuto davanti a loro 7 Collezione Permanente Sala 1 Maurizio Romani Crocefissione, 1998 olio su tela cm. 120x100 Il corpo di Gesù non è privo di dettagli anatomici soprattutto nel busto: vediamo infatti le costole, l’ombelico e la ferita al costato. Mentre, più ci si allontana da questo centro, più aumenta l’indeterminatezza della figura. L’opera può essere considerata figurativa per la presenza del corpo di Gesù al centro della composizione. Ma è evidente che il modo in cui l’artista rende la figura è molto diverso dai canoni della tradizione. Pur non raggiungendo una completa astrazione l’artista lascia che siano il colore e l’indeterminatezza della figura a costituire l’espressività del dipinto. L’emozione della scena è affidata soprattutto al colore e alla luce. Il rosso dello sfondo che isola la figura rendendola simbolo di dolore universale e la luce che radente colpisce il busto e le gambe di Gesù. Il volto di Cristo appare come una macchia di luce e di colore: impossibile identificarne i tratti. Da un lato ciò contribuisce ad aumentare la drammaticità della figura, dall’altro mostra il dilemma che da sempre gli artisti hanno dovuto affrontare nel rappresentarlo. Adottando questa soluzione Romani supera così la sfida: il volto di Cristo è ineffabile e resta un mistero. 8 Il corpo di Gesù sembra quasi inconsistente, sciolto, definito soltanto attraverso il colore e la luce. Questo fa si che non sembri un corpo reale, ma quasi un’apparizione. Questa indefinitezza è massima nella parte delle braccia, delle gambe e del volto che sembrano confondersi con lo sfondo. Ne viene fuori una figura sofferente e incompleta, che sembra non arrivare mai ad esistere pienamente, comunicandoci un forte senso di disagio e di drammaticità Collezione Permanente Sala 1 Angelo Zennaro Il Calvario, 2004 tecnica mista su tela cm. 130x115 Quando Gesù morì sul Calvario ci fu un forte terremoto che squarciò il velo del tempio. Anche se mancano riferimenti diretti all’episodio, la iuta strappata, la croce inclinata, il segno che violentemente attraversa la tela sembrano metaforicamente scuotere la composizione. La croce è realizzata con due “sciabolate” di colore, che ci trasmettono una sensazione di forza e di energia. In questo tipo di arte è molto importante che si noti il gesto dell’autore, in modo che le sue emozioni traspaiano direttamente attraverso di esso. La composizione è dominata da colori accesi e brillanti, soprattutto dal giallo, simbolo di luce e calore. Esso lascia preludere a una liberazione, a un messaggio positivo, alla Resurrezione che segue la morte. Il pittore ha volutamente steso il colore in modo che, in alcune zone, rimanessero dei densi grumi di materia pittorica. In questo modo ci rappresenta il groviglio delle sue emozioni e dei suoi stati d’animo. Il Calvario è la collina dove Gesù fu crocifisso. Ma l’opera non racconta direttamente l’episodio evangelico della crocefissione di Gesù. L’artista, infatti, utilizza il linguaggio dell’arte astratta per comunicarci direttamente le emozioni che esso suscita in lui, affidandosi alla forza espressiva del colore, della pennellate e alle suggestioni della materia. ? Ma questo è uno scarabocchio!? Siamo così abituati a vedere opere in cui c’e’ una rappresentazione di qualcosa e in cui si noti l’abilità tecnica dell’artista che, se questi requisiti sono o sembrano assenti, subito pensiamo che l’opera che abbiamo davanti non sia arte. Per rispondere a questi dubbi è utile specificare lo scopo di un’arte come questa, cioè quello di esprimere le emozioni dell’artista (se, ad esempio il rosso esprime bene la mia emozione, perché dovrei per forza disegnare una cosa o una figura rossa, e non usare puramente il colore?). Dunque non tutte le opere come queste sono veramente riuscite, e degne di essere considerate arte, ma soltanto quelle che riescono ad esprimere i sentimenti dell’autore, questo le distingue dagli scarabocchi. L’uso di materiali di vario tipo come la juta caratterizza l’arte contemporanea. In questo caso la ruvidezza del materiale e il fatto che sia sdrucita comunica tensione emotiva e contribuisce a conferire drammaticità alla scena. 9 Collezione Permanente Sala 2 Nado Canuti Deposizione I 1968 cemento fuso scalpellinato cm. 60x40 La superficie delle sculture appare scabra e la forma stessa richiama figure arcaiche, primitive I corpi sono deformati, non corrispondono alla realtà. Gli occhi sono incavati nelle orbite, le costole fuoriescono completamente, braccia e gambe appaiono come dei monconi, le proporzioni non sono affatto rispettate. L’artista, pur rappresentando figure umane, non vuole raffigurare la realtà ma esprimere le sue emozioni. In particolare il dolore dell’esistenza. La posizione diagonale del deposto, conferisce movimento e contrapposta a quella verticale delle altre figure, esalta la drammaticità della scena 10 Tutta l’opera di Canuti ha come oggetto la condizione umana, vista dall’artista nella sua dimensione di sofferenza e di tormento esistenziale. Questa riflessione si esprime soprattutto attraverso la scultura: figure spoglie e tormentate, scolpite in modo sempre più fitto, in modo da sostituire al particolare descrittivo della figura un’essenzialità espressiva vibrante e profondamente sofferta. Canuti che da ragazzo, durante la resistenza, è rimasto ferito da una mina ed è rimasto senza alcune dita spesso trasferisce questa drammatica esperienza personale nelle sue opere, raffigurando i corpi privi di braccia o di gambe e comunque spesso deformi. Il dolore fisico è metafora del dolore interiore. Il soggetto sacro della Deposizione più volte rappresentato dagli artisti, viene scelto da Canuti per simboleggiare una condizione di dolore universale che accomuna tutti gli uomini. Infatti, invece della Madonna Addolorata e di Cristo, ci sono uomini comuni, dai tratti non riconoscibili. Inoltre si fa riferimento alla solidarietà dell’uomo verso l’uomo, all’amicizia che può alleviare il dolore. L’artista utilizza il cemento, un materiale “povero”, del tutto diverso dai materiali importanti (marmo, oro, bronzo) usati dalla scultura tradizionale. Ma questa scelta corrisponde all’intento dell’artista: cosa c’e’ di meglio di un materiale grezzo, ruvido, cromaticamente spento, come il cemento fuso, per conferire tensione emotiva e drammaticità a queste figure. In più l’artista interviene su di esso scalpellinandolo fittamente, in modo da rendere scabri e imperfetti i suoi soggetti. Collezione Permanente Sala 3 Francesco Messina Santa Lucia, 1952 bronzo dorato cm. 64x18x16 Francesco Messina Santa Caterina, 1961 bronzo dorato cm.61x18x24 Si noti la vivacità del panneggio, data dalla luce che tocca le pieghe dell’abito La carica emozionale dell’opera è accentuata dagli occhi privi delle orbite e dal trasporto con cui la santa stringe il Crocifisso Francesco Messina è uno degli scultori contemporanei più importanti; molto famoso è il Cavallo Morente per la sede della RAI a Roma. E’ un artista figurativo quindi le sue opere rappresentano uomini o animali. Ha realizzato numerose opere di arte sacra nelle quali adopera lo stile degli artisti della tradizionale scultura italiana (Desiderio, Laurana, Donatello), tuttavia non si limita a imitarli, ma di quello stile si avvale per esprimere le sue emozioni. Queste opere, donate dalla figlia dell’artista, Paola Messina, lo dimostrano. Gli occhi privi delle orbite e il crocifisso sono gli attributi iconografici di Santa Lucia, cioè gli elementi che contraddistinguono l’immagine della santa. Messina ne fa ampio uso nelle sue opere a carattere religioso: ad esempio in Santa Caterina abbiamo il giglio, simbolo di purezza. L’uso degli elementi iconografici si spiega con la volontà dell’artista di creare figure immediatamente riconoscibili e di ricollegarsi con la tradizione. Infatti nella storia molti sono stati gli artisti che si sono cimentati nel ritrarre personaggi della bibbia e del vangelo, santi e papi, in quanto l’opera d’arte sacra ha sin dall’inizio avuto una funzione evangelizzatrice cioè doveva essere una sorta di educazione religiosa visiva. 11 Collezione Permanente Sala 3 Ugolino da Belluno Tu sei la vita, 1980 olio su tela di iuta, cm. 120x200 Ugolino da Belluno (il cui vero nome era Silvio Alessandri), frate cappuccino, sceglie di rappresentare la dimensione religiosa con un’arte che rompe completamente con gli schemi classici della tradizione, aprendosi invece ai nuovi linguaggi dell’arte contemporanea. A prima vista l’opera può apparirci come un insieme molto movimentato di forme e colori, ma ad uno sguardo più attento ci si accorge che l’artista ha scritto sull’opera una lunga frase, ripetendola decine di volte: “Se un uomo soffre là ci sei tu – Se un uomo ha fame là ci sei tu – Se un uomo muore là ci sei tu – Tu sei la vita” . In questo modo la forza espressiva del colore esalta il profondo significato spirituale della frase mentre questa, a sua volta, si integra perfettamente nella composizione diventando tutt’uno con essa. Leggendo la frase più volte, dall’alto al basso (o vice-versa), ci accorgiamo che il suo ritmo è influenzato dai colori (il nero, il bianco, il rosso e poi di nuovo il bianco) e dalle forme (che sembrano quasi oscillare), in modo che il suo significato si riempia di pura emozione. Così l’artista ci fa accedere ad una dimensione quasi mistica: queste parole entrano davvero nel nostro cuore. 12 Il materiale su cui è stato realizzata l’opera è la tela di iuta (vedi anche l’opera di Zennaro). Questo materiale povero, scuro e aspro, è lo sfondo perfetto per questa opera emotivamente intensa, ma la iuta è anche la stoffa con la quale si realizzano le tonache dei frati. In questo caso, quindi, la sua presenza è anche un indizio della profonda partecipazione con cui l’artista vive questa sua opera e il suo significato: è come se questa frase lui la vivesse sulla sua “pelle”. E’ anche uno splendido esempio di come nell’arte contemporanea si possano inserire elementi autobiografici semplicemente utilizzando un dato materiale. Anche il colore di alcune parti della scritta non è sempre uguale, procedendo verso il basso diventa sempre più scuro: è come se la l’intonazione della frase aumentasse di intensità, in un crescendo carico di tensione emotiva. Soltanto l’ultima parte, “Tu sei la vita”, con il suo contenuto di speranza, resta sempre dello stesso colore. In quest’ultima sala (SALA 8) troviamo opere realizzate secondo concezioni artistiche che sono le più innovative e attuali tra quelle presenti nella Collezione, che spaziano dall’utilizzo di “oggetti trovati” incollati sulla tela, fino all’impiego di materiali come il plexiglass e di tecniche moderne come la c-print (in cui le opere sono stampate al computer). Molto evidente è anche il riferimento alla pratica artistica dell’installazione, con bozzetti e lavori preparatori. [vengono presentate le opere della sala 8, pagg. 21 e 22] SALA 4 SALA 5 SALA 6 SALA 7 In questa sala (SALA 7) e nella successiva, troviamo opere che, anche se si inseriscono nel rapporto tra arte figurativa e arte astratta, superano per certi versi questa suddivisione. Qui possiamo osservare delle opere che fanno uso della tecnica del collage, alcune in maniera più tradizionale altre reinterpretandola tramite l’utilizzo di materiali diversi (stoffe, plastica, carta...). [vengono presentate le opere della sala 7, pag. 20] SALA 8 Con la SALA 6 entriamo definitivamente nel regno dell’arte astratta. L’esposizione unisce e fa dialogare due tipologie molto differenti di arte astratta: le opere astratte geometriche, in cui si notano appunto figure geometriche regolari e colori omogenei e, nel versante opposto, le opere non geometriche nelle quali il colore o il segno manifestano stati d’animo, sentimenti, emozioni dell’artista. [vengono presentate le opere della sala 6, pagg. 17, 18 e 19] SALA 2 Nella SALA 5 continua il nostro percorso nell’arte figurativa. Anche qui è da notare come sono possibili approcci molto diversi alla figura. Inoltre in questa sala ci sono delle opere in cui ai soggetti figurativi comincia ad affiancarsi la funzione espressiva del colore, facendole tendere quasi all’astratto. [vengono presentate le opere della sala 5, pagg. 15 e 16] SALA 3 SALA 1 La SALA 4 è tutta dedicata ad opere figurative: vediamo paesaggi, figure femminili, rappresentazioni di interni. Anche se in tutte queste opere è presente chiaramente la figura essa è utilizzata in modi molto diversi: mentre in alcune opere c’e’ una rappresentazione fedele della realtà, in altre vediamo delle immagini molto stilizzate oppure un uso antinaturalistico del colore. [vengono presentate le opere della sala 4, pag. 14) Collezione Permanente ASCENSORE Quest’ala della collezione è dedicata alle opere che non hanno soggetto religioso. Nelle diverse sale le opere sono state disposte in base al rapporto tra arte figurativa e arte astratta, con una parte finale dedicata a opere che si pongono al di fuori di questa distinzione. 13 Collezione Permanente Sala 4 Gigino Falconi Silenzio, 1981 olio su tela cm. 78x59 L’opera sembra fermare, come in un’immagine fotografica, un momento di intimità tra i due personaggi. Un effetto ribadito dall’inserimento della scena in una figura ovale, come si faceva con i ritratti fotografici del secolo scorso. Non a caso nel quadro è inserito proprio un ritratto di questo tipo. L’interno della stanza diventa come una metafora dell’interiorità dei due personaggi. Anche se, apparentemente, l’artista sembra avere come scopo la mera rappresentazione della realtà, è la dimensione interiore quella che veramente gli interessa. 14 Come la maggior parte delle opere dell’artista giuliese Gigino Falconi anche questa si colloca in pieno in un ambito realista. Con la precisione del tratto e la trasparenza e leggerezza del colore, l’autore ci descrive una situazione realistica definita nei minimi particolari. Tuttavia la scena è pervasa da un’atmosfera di mistero che non viene diminuita, ma anzi risulta esaltata, dal realismo della composizione La scena si svolge all’interno di una camera ricca di arredi e di suppellettili non certo moderni, che sembrano proiettarla indietro nel tempo, come se si trattasse di un antico ricordo. Questa scenografia ha anche lo scopo di trasmetterci un senso di gravità e pesantezza, come pesante è il misterioso fardello che le due donne portano con sé La realtà della scena è descritta nei minimi particolari ma, sembra dire l’artista, c’e’ qualcosa di essenziale che resta lo stesso nascosto, ed è l’intimo segreto che avvolge le due figure. Un segreto che l’autore volutamente non scioglie, lasciandoci nell’ambiguità e nel dubbio ma, nello stesso tempo, rendendoci partecipe di questa atmosfera di “non detto” e di “Silenzio” (è questo il titolo dell’opera) pervasa da una sottile malinconia. Collezione Permanente Sala 5 Sergio Sarri L’angelo sterminatore 1968 acrilico su tela cm. 150x125 Il fumetto in alto, vuoto perché l’uomo sta perdendo la sua capacità di esprimersi, ricorda anche una delle passioni dell’artista, un importante autore di fumetti. Questa testa umana è minacciata dalla precisione meccanica di un mirino, forse tra poco partirà un colpo… Siamo di fronte ad un’opera evidentemente figurativa: i soggetti sono resi con notevole precisione e con una accurata definizione dei dettagli. Tuttavia questa attenzione per la descrizione delle figure non è volta ad un intento realistico: la scena è evidentemente impossibile e l’artista non vuole rappresentare la realtà ma, al contrario, farci entrare nel suo mondo interiore, affollato di immagini e di simboli che si accavallano in maniera apparentemente caotica. L’artista, infatti, ha un intento preciso, quello di denunciare l’invadenza della tecnologia nella vita dell’uomo L’inquietante figura in basso sintetizza da sola tutto il messaggio dell’autore: potrebbe sembrare un cigno, ma le sue ali sembrano pezzi di fusoliera e uno “spaccato” (a destra) ci mostra la sua anima meccanica. Le macchine, quindi, stanno sostituendo gli esseri viventi. Dalla cima di questa strana macchina esce fuori una figura ambigua e terribile, che sembra fatta di carne, con delle vene che sembrano fili elettrici, e dalla quale si sprigionano delle fiamme. La funzione di queste macchine, sembra dire l’autore, non è di portare benessere ma, al contrario, di riempire l’umanità di terrore. Questa gamba, che ricorda quella di una statua, ironicamente capovolta, serve ad illustrare il decadimento della figura umana e quindi dell’umanità, ridotta dalle macchine ad uno spassoso giocattolo Il quadro è strutturato in maniera rigorosa, con le direzioni orizzontale, verticale e diagonale che separano le sue varie parti. La freccia, tagliando tutta la composizione, ci costringe a passare lo sguardo velocemente da sinistra a destra, dando dinamicità alla scena e collegando in un istante tutte le parti del quadro 15 Collezione Permanente Sala 5 Giacomo Soffiantino Il bucranio e la terra 1989 olio su tela La conchiglia è simbolo di vita. Spesso Soffiantino ritrae elementi tratti dalla natura, soprattutto i fossili, mettendone in luce tutti i significati ad essi associati. I fossili, infatti, riportano all’origine della vita e del mondo. Sono segni del passato giunti fino a noi che l’artista raccoglie nei boschi e conserva nel suo studio. cm. 60x80 Le opere di Soffiantino vengono definite “collage pittorici” proprio perché ci sono elementi di diverso tipo: figurativi e astratti. Mentre gli elementi figurativi richiamano il mondo esterno, quelli astratti esprimono il mondo interiore dell’artista. Entrambi sono unificati dallo stile. Questa parte del dipinto non rappresenta la realtà. E’ un fitto groviglio di linee e segni che riprendono però le forme esistenti della conchiglia e del bucranio. Inoltre i colori terrei e la luce unificano la composizione. Il rettangolo nero è contrapposto alla luce che permea la composizione: il primo è simbolo di morte, la seconda di vita. 16 Il bucranio, la testa del bue, è un simbolo tipico della morte. Contrapposto alla conchiglia, simbolo della vita, rimanda all’eterno ciclo naturale di vita e morte Collezione Permanente Sala 6 Nel personale sistema di numerazione dell’artista questo numero indica la nona opera (009) da lui realizzata nel 2003 (03) Shuhei Matsuyama Shin-on n°03009 2003 tecnica mista cm. 120x180 Shin on è un termine giapponese che significa “la rappresentazione dei suoni”. L’obiettivo di questo artista giapponese è di tradurre il suono in pittura, in colore. Il suono è inteso come suono della natura, dell’universo: armonia che permea tutto il cosmo. Ma è anche l’eco che questo suono provoca nell’animo dell’artista, e delle emozioni e sensazioni che egli prova ponendosi in atteggiamento mistico di ascolto davanti al mondo L’opera è realizzata su carta di riso, un tipo di carta che è proprio della tradizione dei maestri orientali. Essa contribuisce ed aumentare la luminosità dell’opera e la arricchisce di evocative increspature. Il colore in Matsuyama non è mai monotono, infatti l’azzurro è declinato in diversi toni e sfumature, ma sempre delicato e non sgargiante: è un colore che induce alla tranquillità, alla meditazione, un colore mentale che parla attraverso il silenzio. Le pennellate, stese in modo da formare tanti strati sottili di colore, creano delle vere e proprie “onde”. Ciò potrebbe far pensare che l’artista voglia dipingere un paesaggio acquatico. In realtà il suo obiettivo non è quello di ritrarre la natura, ma di comunicarci i suoi stati d’animo e, attraverso di essi, l’intimo suono che pervade tutta la natura. 17 Collezione Permanente Sala 6 Marcolino Gandini Concavo, 1996 acrilico su tavola cm. 120x120 Le lunghe linee di diversi colori, che procedono a zigzag tagliando tutta l’opera, formano delle zone simili a figure geometriche, nelle quali il colore è steso in maniera uniforme. L’alternarsi dei colori, il serpeggiare e l’incrociarsi delle linee nello spazio, ci danno una sensazione di ritmo e di equilibrio. L’artista ha studiato attentamente la distribuzione delle forme e dei colori in modo che ogni elemento si inserisca perfettamente nell’insieme, generando una composizione in cui “tutto si tiene”, come in una struttura architettonica. L’opera è concava, cioè è tagliata in due con le estremità che vanno verso lo spettatore. In questo modo la tela, normalmente piatta, diventa tridimensionale, e si apre allo spazio come una scultura Il movimento sinuoso delle linee, ricco di dinamicità, si congiunge splendidamente con la maggiore compostezza delle figure geometriche, non a caso colorate con tutte le gradazioni del blu, il colore del pensiero e della riflessione. Ma mentre in Matsuyama questo colore era portatore di emozione, con le sue ampie sfumature, qui l’artista lo usa per comunicarci staticità e compostezza, stendendolo in modo omogeneo. 18 L’opera può essere considerata un esempio di astrattismo geometrico. Al contrario che in opere astratte non geometriche, come quella appena vista di Matsuyama, lo scopo dell’artista non è quello di comunicarci le proprio emozioni, il suo obbiettivo è invece più formale, più “freddo”. In questo tipo di opere l’artista prende come riferimento i tre elementi che costituiscono tutti i quadri: le linee, lo spazio e il colore e ne esplora i rapporti, realizzando con essi delle composizioni equilibrate ed essenziali. Collezione Permanente Sala 6 Simon Benetton Ideali, 2002 ferro cm. 97x34 L’opera è realizzata in ferro, un materiale pesante, duro, scuro, ma l’artista ha operato su di esso in modo da stravolgere le sue proprietà Con l’utilizzo di prodotti appropriati è riuscito a renderlo lucido e luminoso ma, soprattutto, ha aperto su di esso delle ampie fenditure che, facendo passare la luce, lo rendono leggero e penetrabile. La superficie dell’opera è stata sagomata in modo da renderla ondulata, così da aumentare la sensazione di morbidezza che l’artista vuole raggiungere lavorando il ferro. Ma, allo stesso tempo, queste increspature ruvide e irregolari conferiscono all’opera un sottofondo di inquietudine. L’opera è un esempio di scultura astratta. Allo stesso modo dei pittori astratti, che si esprimono unicamente per mezzo dei colori e delle forme, l’artista elimina in quest’opera qualsiasi riferimento ad una figura ben riconoscibile o ad un oggetto, per lasciare spazio alle proprietà del materiale utilizzato ed al modo in cui viene modellato Per fare un confronto con il versante figurativo della scultura si può pensare alle opere di Francesco Messina presenti nella Collezione (esaminate a pag. 11), in cui sono chiaramente presenti delle figure umane realizzate, inoltre, in maniera abbastanza realistica. Il titolo dell’opera, “Ideali” è, come spesso accade nell’arte contemporanea, un indizio per comprendere l’intento dell’autore. Gli ideali rappresentano il nostro desiderio di raggiungere qualcosa che non c’e’, trasformando il mondo in qualcosa di diverso. L’artista esprime questo concetto trasformando la durezza del ferro nel suo contrario. Da notare come il linguaggio non figurativo dell’autore è perfettamente adeguato ad esprimere queste idee astratte. 19 Collezione Permanente Sala 7 Marco Lodola Senza titolo, 1999 I semi delle carte da gioco, dai colori accesi e luminosi, richiamano la dimensione ludica delle opere di Lodola: l’arte è allegria, gioco, divertimento cartone smaltato su cartone cm. 55x98,5 I costumi delle ragazze, i capelli, gli accessori sono rossi o neri. L’alternanza di questi colori e quella dei pieni e dei vuoti segue un’armonia che accentua il ritmo della composizione Le ragazze sono in posa da pin-up. Infatti Lodola sembra ritagliare i suoi personaggi dalle riviste degli anni ’50. Questo fatto richiama anch’esso l’idea del gioco; l’artista come un bambino o un giovane adolescente ritaglia le immagini che più lo colpiscono e le incolla nel suo “diario” L’artista realizza un collage impiegando carte smaltate multicolori, in modo da far “apparire” delle immagini di donna dai semi delle carte da gioco. E’ un lato piacevole e scherzoso dell’opera, che però possiede anche un’altra dimesione, più triste e meditativa, che si fonde ambiguamente con la sua atmosfera di superficiale divertimento Le donne si confondono con i semi delle carte da gioco. Infatti l’immagine appare doppia. Quest’ambiguità da una parte ci invita a giocare con l’opera, dall’altra ci suggerisce come, nella civiltà dell’immagine, tutte le immagini sono allo stesso livello e l’uomo e ancor più la donna si confonde con il resto. Al di fuori delle immagini sembra non ci sia nulla; tutto il mondo sembra essere finto, artificioso. Ed allora è perfettamente appropriata la scelta dell’autore di realizzare l’opera con la carta smaltata: il suo intento non è affatto realistico, ma anzi di questa realtà odierna lui vuole cogliere l’aspetto vacuo, superficiale, patinato ed, appunto, finto. 20 Anche se l’opera comunica gioia c’è un filo di malinconia: i suoi personaggi sono senza volto. E’ un’umanità che si confonde con le immagini della pubblicità e della televisione. I volti sono tutti uguali, non c’è più individualità. Collezione Permanente Sala 8 Federica Marangoni Senza titolo, 1992 tecnica mista su carta intelata 3 2 1 cm. 120x160 Il televisore trasmette l’immagine del colore di partenza, in questo caso il verde. La metamorfosi è completa, il colore è diventato spirituale, senza materia Si tratta di un bozzetto che funge da progetto per realizzare un’installazione, cioè un tipo di opera d’arte che l’artista realizza mettendo degli oggetti in uno spazio aperto al pubblico, in modo che lo spettatore possa entrare realmente all’interno dell’opera. In questo caso l’opera è stata realizzata davvero, in una piazza di Venezia: dentro una stanza buia l’artista ha posizionato dei vetri di murano, delle scale con i pioli al neon e dei televisori accesi. Nell’installazione, che ha per titolo “Metamorfosi del colore”, l’artista vuole mostrarci la trasformazione (appunto la metamorfosi) del colore da materiale a spirituale h I pioli al neon delle scale brillano dello stesso colore dei vetri sottostanti, in questo caso il verde. E’ un modo metaforico per dire che il colore si sta trasformando, sta “salendo le scale” che lo innalzano verso lo spirituale. h I vetri di murano, in questo caso verdi, sono degli oggetti concreti. Il colore è dunque ancora “intrappolato” nella materia Come dimostrano gli appunti a matita che l’artista ha scritto sul bozzetto, ogni elemento dell’installazione è stato collocato in modo preciso per raggiungere il suo scopo, che era quello di comunicare la sua peculiare visione del mondo. E’ da notare che la sua interpretazione della tecnologia, vista come un modo per raggiungere lo spirituale, è altamente positiva, contrariamente che nell’opera di Sergio Sarri esaminata prima (pag. 15) 21 Collezione Permanente Sala 8 Bruno Ceccobelli A-pie II, 2003 tecnica mista su tela cm. 125x76,5 L’artista sceglie per la sua opera degli oggetti quotidiani, ma vecchi e logori, raccolti nella spazzatura: due suole di ciabatta sono collocate sopra una carta da parati usurata e consunta. Ma le due suole, con i loro brandelli di stoffa, diventano per l’autore due api in volo, come suggerisce anche il titolo dell’opera (“A-pie”, che è anche un gioco di parole, in inglese significa “una torta”) L’opera è stata realizzata incollando degli oggetti sulla tela. Potremmo considerarlo, in prima approssimazione, una sorta di collage, ma ci sono delle importanti differenze. Mentre il collage è realizzato utilizzando fotografie o immagini di diverso tipo, qui siamo di fronte a veri e propri oggetti che l’artista “preleva” dal mondo reale e incolla sul supporto. Dunque, quella che in un primo momento può apparire un’operazione stravagante e fuori dal normale, è in effetti il più grande esempio di realismo: cosa c’e’ di più reale degli oggetti, delle cose? Nessun dipinto, nessuna rappresentazione, può competere con essi da questo punto di vista. La composizione è dominata dal colore rosso, che ci comunica drammaticità e sofferenza, accentuate dalla scelta non casuale e molto appropriata di questi oggetti usurati: la carta da parati scolorita e bruciata e le vecchie suole, cose che l’uomo ha usato fino ad esaurirle e poi ha buttato via. Ma c’e’ un messaggio positivo: le api, che trasformano il polline in miele, sono il simbolo di una rigenerazione che l’artista compie trasformando in Arte questi vecchi oggetti, che sembravano finiti per sempre. 22 ? Ma allora tutto può diventare arte!?! Non basta mettere degli oggetti sparsi in un museo per fare un’opera interessante. Perché questo accada gli oggetti devono essere scelti “bene”, cioè devono essere in grado di comunicare un’emozione o un’idea. E’ proprio nella capacità di selezionare gli elementi dell’opera che si manifesta la bravura dell’artista. Collezione del ‘600 e del ‘700 realizzate dunque in un periodo anteriore alla nascita Bindi dellaLe opere Scuola di Posillipo possono dividersi in due gruppi. Nel primo gruppo abbiamo opere che si caratterizzano per il fatto di essere state realizzate da artisti napoletani che subirono l’influenza delle novità introdotte in pittura da Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, che soggiornò più volte nella città partenopea. Tali novità riguardavano soprattutto l’osservazione diretta e la resa fedele della realtà e l’uso della luce in chiave simbolica e drammatica. Esemplificativa al riguardo è la Maria Maddalena della scuola di Francesco Solimena Scuola di Francesco Solimena Maria Maddalena, fine ‘700 olio su tela, cm. 61x74 La luce, proveniente dall’alto e da sinistra investe la figura mettendone in risalto il colore della pelle e l’ampio panneggio del vestito. L’uso del chiaroscuro, la precisione del descrivere le figure e l’intensità dei colori sono tutte caratteristiche dell’arte del Solimena e della sua Scuola. Il teschio è uno degli attributi della Maddalena. Pentendosi per la sua condotta dissoluta la donna induce a riflettere sulla finitezza della vita umana, e sulla necessità di avere una condotta dignitosa in vista della morte e della possibilità della Resurrezione. Il teschio, inoltre, è un attributo degli eremiti e, secondo la tradizione, la Maddalena visse come eremita gli ultimi anni della sua esistenza. a I lunghi capelli sciolti ricordano l’episodio evangelico in cui la Maddalena dopo aver bagnato con le lacrime i piedi di Cristo, li asciugo’ con i suoi capelli L’opera è attribuita alla scuola di Francesco Solimena (1675 - 1747) pittore napoletano, tra i maggiori nella Napoli del ‘600. La figura ritratta è Maria Maddalena, descritta nel Vangelo come una nota peccatrice che si presentò a Gesù per chiedere perdono dei propri peccati. Inginocchiandosi davanti a lui bagnò di lacrime i suoi piedi, asciugandoli poi con i suoi capelli e profumandoli con un unguento prezioso. La Maddalena è ritratta con i suoi attributi, cioè con quegli elementi caratteristici che permettono di identificare la santa. Il vaso contenente l’unguento profumato, con il quale la Maddalena asciugò i piedi di Cristo, è il suo principale attributo, proprio perché è direttamente legato alla storia della sua redenzione. 25 Collezione Bindi Piano Terra Sala grande Sala piccola Ingresso Artisti abruzzesi In questa sezione sono esposti alcuni dipinti realizzati da artisti abruzzesi contemporanei di Bindi. Anche se visse molto tempo a Napoli Bindi conobbe molti artisti originari della sua terra natale, stringendo con essi dei solidi legami di amicizia. Anche da questi pochi esempi possiamo avere un quadro molto interessante dell’arte abruzzese dell’800 e del primo ‘900: sono presenti, infatti, alcuni dei maggiori artisti della nostra regione [viene presentata l’opera a pag.28] 26 Enrico Bindi Una sezione di dipinti è dedicata al figlio di Vincenzo Bindi: Enrico Bindi, che morì giovane, a 27 anni, prima del padre. Questi dipinti ebbero per Vincenzo un valore affettivo, costituendo un ricordo del figlio perduto. Enrico, che subì anche il fascino della Scuola di Posillipo, si dedicò alla pittura di marine, personaggi popari abruzzesi e scene della campagna romana. Si mostrano qui alcune sue opere, soprattutto delle interessanti marine di Napoli. Animali Qui sono esposti alcuni dipinti della Collezione che hanno come soggetti degli animali: capre, mucche, galline, pecore, asini: animali da cortile umili ma utili all’uomo nello svolgere le quotidiane attività di lavoro. E’ presente una ricca varietà di dipinti, diversi tra loro sia come stile che come impostazione, che vanno dagli acquerelli realizzati a Parigi da Consalvo Carelli fino ai tipici studi di animali di Filippo Palizzi. Molto interessanti sono anche due grandi quadri, sempre di Consalvo, che ritraggono con dovizia di particolari alcuni animali nella stalla. [viene presentata l’opera a pag.27] Collezione Bindi Gli artisti della Scuola di Posillipo, sia quelli che da costoro presero le mosse, si dedicarono a ritrarre questi soggetti che, come i personaggi del popolo, erano umili e modesti. Questo dipinti, in particolare, furono eseguiti da Consalvo Carelli dopo che una grave malattia agli occhi lo costrinse ad abbandonare la pittura all’aperto. Per continuare a dipingere affittò un locale al pianterreno, in un giardino, dove conduceva gli animali che puntualmente ritraeva, studiandoli dal vero. Consalvo Carelli Mucca e vitello olio su tela cm. 50x72 La parete della stalla è ritratta in tutto il suo realismo: rovinata e piena di crepe, grazie anche ad una pittura ricca di precisione ma anche fluida e istintiva. La mucca e il vitello vengono rappresentati nei minimi dettagli: si notino le pieghe sul collo della vacca o i peli delle orecchie. Anche in questi quadri, benché non siano dei paesaggi, è evidente il desiderio da parte dell’artista di riprodurre la realtà. Ma anche qui, come nei paesaggi, si nota la sua tendenza a rendere gradevole la composizione, con questi due animali che paiono quasi messi in posa. Nell’altro dipinto la scena viene riprodotta in maniera molto simile, con la posizione “equilibrata” delle due figure che viene riproposta quasi identica. Le due opere infatti sono degli studi, cioè sono fatti proprio allo scopo di indagare, da parte dell’artista, le possibili qualità pittoriche dei soggetti, anche variando di poco la composizione. Per eseguire questi ritratti di animali si rifaceva ai modelli della pittura olandese del seicento. In particolare gli stessi soggetti dipinti da Berchem che aveva visto a Parigi al louvre. 27 Collezione Bindi Fanno parte della collezione un gruppo di opere di artisti abruzzesi fra i quali i fratelli Filippo e Nicola Palizzi, Teofilo Patini e Francesco Paolo Michetti che hanno dato lustro alla nostra Regione, occupando un posto di rilievo nella storia della pittura italiana dell’Otto-Novecento. Menzione particolare merita la “Lavandaia” opera fra le più famose del rosetano Pasquale Celommi. Pasquale Celommi La lavandaia olio su tavola cm. 34x22 a Alcune zone sono state lasciate appositamente prive di colore, per far risaltare il legno della tavola sottostante, il cui colore si sposa perfettamente con la gamma cromatica del dipinto Gli orecchini d’oro a cerchio e la collana di corallo sono tipici della gioielleria abruzzese: anche in questo Celommi si rivela un fine osservatore della realtà che ritrae. Nonostante il duro lavoro, la donna appare gioiosa. I personaggi di Celommi appartengono al popolo abruzzese del quale l’artista sottolinea la dignità, l’amore per il lavoro, per le semplici cose quotidiane. I colori accesi dello scialle e della collana, l’oro degli orecchini, l’abbagliante bianco della camicetta e dei panni, i toni cangianti del grembiule sono esempi dell’intenso cromatismo che connota le opere dell’artista rosetano I balenii di luce che colpiscono in più parti la donna, si notino le mani sulle quali la luce crea un effetto bagnato, accentuano la luminosità del dipinto. 28 Anche quest’opera, come tutte quelle realizzate dall’artista rosetano, è caratterizzata da un completo realismo. Collezione Bindi Terzo Piano La Scuola di Posillipo “SCUOLA DI POSILLIPO” era il nome di un gruppo di artisti Napoletani che avevano l’abitudine di dipingere dal vero il paesaggio napoletano. Intorno al 1830 questi artisti iniziarono a realizzare delle vedute in cui una grande abilità nell’osservare i dettagli naturalistici del paesaggio si univa ad una freschezza compositiva libera dagli schemi precostituiti delle Accademie dell’epoca. Proprio i pittori accademici, rappresentanti di un’arte “alta” e pomposa, fredda e solenne, coniarono per questi pittori l’etichetta “Scuola di Posillipo”, dal nome della collina di Napoli da dove si “affacciavano” per ritrarre i loro paesaggi. Inconcepibile, per i “grandi” pittori, era questa arte, che traeva ispirazione dalla realtà e che rappresentava persone del popolo e luoghi quotidiani. Tutte caratteristiche, invece, che le rendono ricche di fascino e di interesse. I Posillipisti Iniziatore della “Scuola” fu ANTON SMINCK VAN PITLOO, pittore olandese ma trasferitosi a Napoli negli anni Venti dell’ottocento. Pitloo adottava una tecnica molto originale per dipingere “dal vero” i suoi soggetti. Quando si trovava davanti ad un paesaggio che lo affascinava abbozzava, su un foglio di carta, uno schizzo di questa veduta. Poi, tornato in studio, completava lo schizzo con i colori ad olio e lo incollava sulla tela. Questa tecnica, che permetteva di rappresentare il paesaggio con immediatezza e effettiva corrispondenza al dato reale, fu ripresa da quasi tutti i “Posillipisti” (come venivano anche chiamati questi artisti). Questi artisti, così disprezzati dalle Accademie, trovavano sostentamento economico vendendo le loro opere ai turisti che visitavano Napoli tramite i Grand Tours ottocenteschi. In questo modo i “Posillipisti” riuscivano a coniugare il loro amore per la natura, che li portava a dipingere dal vero i paesaggi di Napoli, con il desiderio dei turisti di riportare a casa dei souvenirs dei luoghi visitati, come una sorta di moderne cartoline. 29 Collezione Bindi Terzo Piano SETTORE 2 SETTORE 1 Nella parte iniziale della mostra (SETTORE 1) sono presenti sia le opere di alcuni artisti antecedenti alla Scuola di Posillipo, ma che hanno in parte ispirato lo stile dei Posilliposti, sia quelle dei primi maestri della Scuola, a cominciare da Pitloo, che ne fu l’iniziatore. Si prosegue con Giacinto Gigante, Teodoro Duclere e Raffaele Carelli, che furono tra i primi seguaci di Pitloo e nelle cui opere sono ben visibili i tratti fondamentali della Scuola di Posillipo, cioè l’attenzione al dato reale (al vero) e la rappresentazione di persone comuni. [vengono presentate le opere a pagg. 31, 32 e 33] Il settore successivo è tutto dedicato a Consalvo (o Gonzalvo) Carelli. Figlio di Raffaele Carelli fu anche suocero di Vincenzo Bindi, che ne aveva sposato la figlia Rosina: per questo motivo la Collezione è molto ricca di sue opere. Anche se non disponiamo della cronologia esatta di molte di esse, è possibile mettere in evidenza il percorso ideale di questo artista che, se da una parte ha avuto come ispiratori diretti gli artisti della Scuola di Posillipo, primo di tutti il padre Raffaele, ed è lui stesso considerato un membro della Scuola, ha dall’altra parte congiunto alla originale impostazione artistica dei Posillipisti un gusto molto spiccato per l’idealizzazione del paesaggio e dei soggetti rappresentati. Se, da una parte, l’artista ci mostrerà la sua abilità nella resa della realtà, dall’altra vorrà incantarci con la sua personale visione delle cose rappresentate, grazie anche ad una capacità tecnica e stilistica che sa ricoprire ogni scena di fascino e di magia. Iniziamo con un gruppo di opere in cui è ritratto il caratteristico paesaggio napoletano, soprattutto il Golfo di Napoli. [viene presentata l’opera a pag. 34] Quest’altro gruppo di opere è dedicato alla rappresentazione dei fenomeni atmosferici (luce, buio, tempesta, sole) alla cui resa la Scuola di Posillipo dedicò molta attenzione, e che torna in queste opere di Consalvo. Per un attento osservatore della realtà come Consalvo Carelli è molto importante studiare gli effetti che la luce del giorno o della notte produce nei suoi paesaggi. Effetti che, molto spesso, l’artista utilizza per dotare i suoi soggetti di un aurea di gradevolezza e quasi di incanto. Proseguendo vediamo delle opere in cui, come già detto, è evidente l’idealizzazione dei paesaggi da parte dell’artista. [viene presentata l’opera a pag. 35] Conclude il settore una parte dedicata ad alcune scene di genere e aneddotiche. 30 Collezione Bindi Jacques-Antoine Volaire Eruzione del Vesuvio tempera, cm. 9x14 Questa prima opera è precedente alla nascita della Scuola di Posillipo. E’ stata infatti realizzata nel ‘700 da Volaire, un artista francese che visse per lungo tempo a Napoli. Molti furono nel ‘700 gli artisti che ritrassero luoghi caratteristici del paesaggio campano come souvenirs per i turisti del Grand Tour. Volaire si specializzo’nella rappresentazione dell’eruzione del Vesuvio, realizzando oltre 30 dipinti di questo genere. In quest’opera osserviamo come il pittore contrappone alla violenza dell’esplosione la calma piatta del mare; alla nube rossastra di fuoco il buio della notte che nasconde anche la sagoma del vulcano. A differenza che in altri dipinti dell’artista francese, la spettacolarità della scena è data non dall’inserimento di scene drammatiche e aneddotiche ma dall’intensità degli effetti luministici. Il Vesuvio riprese la sua attività, che continua ancora oggi, proprio nel XVIII secolo, affascinando i pittori che nell’eruzione vedevano l’espressione del sentimento del sublime, del senso di sbigottimento, di timore misto a piacere che le forze violente della natura provocano. 31 Collezione Bindi GIACINTO GIGANTE è il più famoso degli artisti della Scuola di Posillipo. Molto importante per la sua formazione fu l’incontro con il grande pittore inglese WILLIAM TURNER (1775-1851), che si recò a Napoli negli anni ’20. Da Turner prese ispirazione per esaltare le qualità tonali e cromatiche delle sue opere, che in questo modo si caricano di un lirismo e di una forza emotiva che supera la mera rappresentazione della realtà per approdare in pieno nel Romanticismo. Questo dipinto ci mostra degli uomini al lavoro in una Cava di pietra a Fiesole, presso Firenze. Giacinto Gigante Cava di pietre nel monte di Fiesole olio su tela, cm. 48x62 Il contrasto tra l’oscurità della grotta e il chiarore del paesaggio esterno aumenta l’effetto tonale della luce e infonde alla composizione una forte carica di lirismo. Sullo sfondo possiamo notare una veduta di Firenze. Con un sapiente uso dello sfumato l’artista riesce a creare un’atmosfera rarefatta che ci restituisce le tonalità atmosferiche della luce. L’artista descrive in modo realistico non soltanto gli uomini al lavoro ma anche i loro strumenti e gli oggetti di uso quotidiano. Lo stesso contrasto tra il buio della caverna e la luce esterna si ritrova nelle altre due opere di Gigante presenti nella Collezione Bindi: Il Golfo di Napoli e Grotta dei Cappuccini. In quest’ultima è interessante notare le dimensioni ridotte: il paesaggio e i personaggi sono riprodotti in miniatura, con notevole abilità tecnica. Molti posillipisti si specializzarono nel dipingere opere di piccolo formato che, essendo più facilmente trasportabili, erano molto richieste dai turisti. 32 Collezione Bindi Raffaele Carelli Il porto di Pozzuoli olio su tela cm. 41x55 Raffaele Carelli, padre di Consalvo Carelli, fu tra i primi ad accostarsi alla accademia privata di Pitloo, tanto da essere considerato tra gli iniziatori della “Scuola di Posillipo”. Anche in quest’artista è evidente la forte adesione ad una pittura dal vero, che registra non soltanto la realtà del paesaggio napoletano ma anche il modo in cui gli uomini vivevano a contatto con esso. Nascono, così, opera come questa, visivamente affascinanti e dotate di notevole freschezza e vivacità compositiva. Attraverso l’abile uso dei colori l’artista rende le variazioni atmosferiche legate ai fenomeni metereologici e al trascorrere delle ore. Un cielo terso, limpido, rarefatto, fa da sfondo a questa scena di vita quotidiana. La parte inferiore dell’opera è tutta dedicata ai pescatori, rappresentati mentre svolgono le loro attività quotidiane: due pescatori tirano a riva la barca sotto gli occhi di un giovane ragazzo e di un uomo che fuma la pipa, forse un vecchio pescatore. L’artista opera delle delle caratterizzazioni che possono sembrare semplificate, ma il vivace realismo con il quale tratta i suoi soggetti li rende figure a tutto tondo, piene di vita. Nell’angolo in basso a destra vediamo dei pescatori che stanno cuocendo il pesce appena pescato. Anche questa scena è intrisa di un’intensa partecipazione dell’autore alla vita quotidiana di questi uomini di mare. 33 Collezione Bindi Consalvo Carelli Il Golfo di Napoli olio su carta incollata su tela, cm. 40x57 L’opera rappresenta con grande fedeltà una veduta del Golfo di Napoli. L’artista si pone, come punto di vista, sulla collina di Posillipo, come erano soliti fare i pittori dell’omonima Scuola. In questo modo il suo occhio può spaziare su una larga parte del paesaggio da ritrarre, mettendone in risalto anche la profondità. E’ evidente anche la scelta, da parte dell’autore, di una veduta particolarmente piacevole ed affascinante del paesaggio napoletano, secondo uno stile “cartolina” che, se riusciva a soddisfare il gusto dei turisti acquirenti delle opere, determinò al contempo una certa banalizzazione nello stile e nella composizione delle opere dei Posillipisti. 34 Anche se l’intento dell’autore è fortemente improntato ad una resa reale del paesaggio, si incontrano anche qui alcuni elementi che preannunciano la più marcata idealizzazione presente in altri suoi paesaggi. Oltre al particolare gustoso del vesuvio che fuma, è da notare la presenza dell’albero in primo piano che, esaltando per contrasto l’ampiezza del paesaggio sullo sfondo, sembra essere stato messo apposta per equilibrare la composizione nella direzione verticale. L’opera è stata realizzata con la tecnica della carta incollata su tela. L’artista, infatti, ha disegnato un bozzetto a matita del paesaggio da ritrarre e, successivamente, tornato in studio, l’ha completato con i colori ad olio e l’ha attaccato sulla tela per dargli stabilità Se, come si vede in questa ricostruzione di fantasia, togliessimo il colore ad olio che ricopre la carta, vedremmo un bozzetto del paesaggio, con le sue caratteristiche essenziali. Questa tecnica non era fine a se stessa ma, al contrario, permetteva di riprodurre il paesaggio con immediatezza ed effettiva corrispondenza al dato reale, proprio perché legata a quella iniziale visione diretta che è stata riportata sulla carta. Collezione Bindi Consalvo Carelli La Grotta della Sibilla olio su tela, cm. 98x124 La Grotta della Sibilla, che si trova a Cuma, vicino Napoli, era in realtà un cunicolo scavato dagli antichi romani per scopi militari. Ma è evidente che il riferimento a questo personaggio mitologico, la Sibilla, che prediceva il futuro e compiva magie, è tutt’altro che casuale. Scegliendo di rappresentare un luogo reale, ma nel quale la fantasia popolare aveva immaginato ci fosse la mitica Sibilla, Carelli ribadisce la sua visione magica e incantata del paesaggio. L’opera, che per le sue grandi dimensioni, sembra quasi far entrare lo spettatore all’interno di questo splendido paesaggio è, come le altre opere, direttamente ispirata alla realtà. Ma a differenza dei quadri dei primi fondatori della Scuola di Posillipo (Pitloo, Gigante, Raffaele Carelli) l’artista idealizza i suoi soggetti, esaltandone, cioè, quelle caratteristiche che li rendono gradevoli, affascinanti, stupefacenti. Il paesaggio napoletano si trasforma così in un luogo di sogno, in un paradiso sulla terra in cui le persone vivono felici a contatto con la natura. La luce che proviene dal sorgere del sole rischiara tutta la scena e illumina dolcemente la pietra della Grotta. Questo uso fortemente evocativo della luminosità, unita ai colori dell’aurora, contribuisce fortemente a quell’atmosfera idilliaca, fuori dal tempo, che è uno dei motivi principali del grande fascino di quest’opera. Osservando l’opera accanto, che rappresenta una scena molto simile e ha per soggetto la stessa Grotta della Sibilla, si più capire come Carelli operasse, di volta in volta, una collocazione molto personale degli elementi della scena. Anche se la Grotta, il Vesuvio (che qui sta fumando), il mare e l’albero (che è assente nel quadro precedente) sono elementi visti dal vero, l’artista realizza una sorta di “collage”, disponendoli nel modo che gli sembra più gradevole ed equilibrato La composizione appare organizzata intorno alla diagonale costituita dal digradare della grotta ed è resa più equilibrata dalle figure presenti sulla destra. Gli elementi della natura vengono scelti, collocati e dipinti in maniera tale che l’insieme dia l’impressione di una piacevole gradevolezzta. 35 Collezione Bindi Consalvo Carelli Ruderi con affreschi olio su tela, cm. 105x86 L’opera dimostra a quale punto può spingersi, in Consalvo Carelli, l’idealizzazione della realtà. Il pittore sceglie di rappresentare una rovina, un soggetto romantico molto caro agli artisti dell’800. La rovina, infatti, con la sua carica di mistero, ma anche con il suo testimoniare una passata grandezza ormai ridotta a frammento, suscita dei sentimenti di stupore e di incanto. In più Consalvo rappresenta la sua rovina in maniera quasi surreale, fuori dalla realtà, perdendo anche, quasi completamente, la verosimiglianza di altri suoi paesaggi. Probabilmente anche per il grande fascino dell’opera, che la rende difficilmente dimenticabile anche dopo un breve sguardo, questa immagine è stata scelta come logo del sistema museale giuliese. Per slanciare e rendere elegante la sua rovina Carelli la fa poggiare su queste tre esili colonnine, senza curarsi di quanto sia inverosimile che una tale struttura si regga su questi sottili sostegni. Se confrontiamo l’opera con “Tempio di Apollo...” sempre di Gonsalvo Carelli osserviamo come quest’ultima appaia più realistica. Qui in effetti l’artista sembra ritrarre davvero ciò che vede. L’opera è datata 1900, ormai la visione idealizzata del paesaggio ha lasciato posto ai dati oggettivi, completamente spogliati da quell’estetica delle rovine che caratterizza l’opera precedente 36 La tomba del cavaliere, con la sua carica di incanto e di meraviglia, contribuisce a darci questa impressione di trovarci in un mondo fantastico, fuori dalla realtà. Qui, inoltre, e a differenza che nelle opere sulla Grotta della Sibilla, che era almeno un elemento reale del paesaggio napoletano, l’artista non esita ad inserire un soggetto completamente inventato, unicamente per accrescere la magia della scena. Come scaricare una copia di questa Guida Per scaricare la Guida andate su www.museodellosplendore.it e cliccate sulle parti indicate qui sotto (sono cerchiate in rosso) Cliccate con il tasto destro del mouse e scegliere “Salva con nome”. Per aprire il file è necessario avere Acrobat Reader, un programma gratuito molto comune. Se non lo avete potete scaricarlo qui: http://www.adobe.com/it/products/acrobat/readstep2.html Informazioni utili: Indirizzo del Museo d’Arte dello Splendore (MAS): Viale dello Splendore, 112 - Giulianova (TE) Numero di telefono (e di fax): 085/8007157 Sito web del Museo: www.museodellosplendore.it E-mail del Museo: [email protected]