Manuale della Miniguida 2008

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Manuale della Miniguida 2008
Scuola Media Unificata
Bindi-Pagliaccetti
Città di Giulianova
Assessorato alla
PubblicaIstruzione
Manuale
della 2008
Miniguida
MANUALE DELLA MINIGUIDA
Questo manuale vuole essere uno strumento di supporto alle lezioni e alle visite al Museo
che fanno parte del progetto Miniguide.
Troverete sia delle indicazioni pratiche su come svolgere una buona “guida”, sia delle informazioni essenziali su ciò che dovete sapere sul Museo e sulle Collezioni esposte.
Come sapete il Museo espone al secondo piano la Collezione Permanente, di arte contemporanea, mentre al piano terra e al terzo piano, grazie ad una convenzione con il Comune di Giulianova, proprietario delle opere, è presente la Collezione Bindi.
Riassumiamo brevemente quali saranno gli incontri con il pubblico esterno, nei quali potrete
mettere in pratica tutto quello che avete imparato in questo corso, diventando vere e proprie
Guide del Museo:
- Fine aprile - inizio maggio: diversi incontri con i bambini delle classi quinte delle Scuole
Elementari
- Fine maggio: incontro con il pubblico adulto
Buon lavoro.
Lo staff del Museo dello Splendore
INDICE
Il Museo dello Splendore pag. 3
Decalogo della Miniguida pag. 4
Collezione Permanente pag. 6
Collezione Bindi pag. 23
Informazioni utili pag. 37
Questo Manuale E’ di: Nome: ......................
Cognome: ......................
Classe: ........
Secondo la tradizione, il 22 aprile 1557, la Madonna apparve sulle colline di Giulianova,
avvolta nello splendore della luce, a un umile contadino di nome Bertolino, chiedendo
di erigere una cappella proprio dove ella stessa avrebbe fatto sgorgare l’acqua.
Da questo nucleo iniziale sorse quello che, dopo ripetuti rimaneggiamenti, è l’attuale
Santuario della Madonna dello Splendore.
Di questo complesso fanno parte la Chiesa che, tra l’altro, ospita importanti dipinti
secenteschi attribuiti al Farelli, e una tela attribuita al Veronese, e il Convento, nel quale
risiedono i Frati Cappuccini. Dal 1938 al 1965, proprio all’interno del Convento, fu
attivo uno Studentato (cioé una “scuola frequentata da chi voleva diventare Frate Cappuccino). E’ proprio nei locali precedentemente adibiti a Studentato che, dopo un importante restauro, è stato realizzato il Museo dello Splendore.
Il MUSEO D’ARTE DELLO SPLENDORE (MAS) nasce nel 1997 per volontà
di Padre Serafino Colangeli. La struttura si estende su tre piani, per un totale di circa
1200 mq.
Il piano terra e il terzo piano attualmente ospitano la “Collezione Bindi”, di proprietà
del Comune di Giulianova; il secondo piano, con otto sale espositive, ospita la collezione
permanente.
Intensa è stata, in questi dieci anni, l’attività di organizzazione e allestimento di mostre
temporanee di alto livello, accompagnate da eleganti cataloghi ricchi di immagini e corredati da autorevoli testi critici.
Sono stati organizzati concerti, conferenze, convegni, presentazioni di libri e altri eventi
culturali.
Dal 2000 il Museo d’Arte dello Splendore è diventato una Fondazione pubblico-privata
i cui soci fondatori sono la Fondazione Piccola Opera Charitas, il Comune di Giulianova e la Provincia di Teramo ed è stato classificato dalla Regione Abruzzo museo di prima
categoria.
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DECALOGO DELLA MINIGUIDA
Esporre con naturalezza e disinvoltura.
E’ importante conoscere a fondo l’argomento che
si andrà ad esporre, in modo da sentirsi sicuri e
poter parlare ai visitatori in maniera disinvolta,
esponendo informazioni ed idee in modo personale. Ricordatevi che anche se chi vi ascolta potrebbe
non conoscere affatto l’argomento trattato noterà
ugualmente se nel vostro discorso ci sono incertezze e se il vostro atteggiamento è insicuro. Questo è
particolarmente fastidioso perché produce nel visitatore imbarazzo e disagio.
Mostrarsi sempre gentili.
La gentilezza è, ancor prima della competenza e
della spigliatezza, la dote più importante di una
guida. Ricordate che dovete mostrarvi sempre sorridenti, cortesi e, se occorre, accomodanti.
All’inizio della guida accogliete i visitatori per farli
sentire a proprio agio, durante la visita mostratevi
sempre sorridenti, cortesi e accomodanti, infine
ringraziate e salutate il vostro pubblico al momento del congedo.
Ricordatevi che fare delle “gaffes” è più semplice di
quanto possa sembrare: se qualcuno vi fa una domanda che vi sembra banale o scontata rispondete
lo stesso con garbo, senza far trasparire la vostra
sensazione, se non lo fate sembrerete (e sarete) saccenti e scortesi. Se nella vostra esposizione vi capita
di voler inserire qualche battuta divertente, state
attenti a non urtare la sensibilità di qualcuno e di
non essere fraintesi.
Precedere sempre il gruppo che si sta guidando.
Quando farete le visite guidate sarete voi i
padroni di casa del Museo, sarete voi i ciceroni
che accompagneranno i visitatori alla scoperta
delle sale e del loro contenuto.
Quindi, se state guidando un gruppo
all’interno delle sale, è sempre buona norma
precedere i visitatori, in modo da indicare la
strada e da dare un’impressione di sicurezza.
Evitare di parlare “a memoria”.
Se è importante conoscere le cose di cui parlerete (vedi punto precedente) è allo stesso modo
importante il modo in cui le studiate. E’ essenziale non imparare a memoria le informazioni,
ma comprenderle e farle vostre. Può sembrare
un’osservazione banale, che avete sentito tantissime volte, ma è meglio ripeterla ancora perché
una Guida che espone le cose “a memoria”, come
un libro stampato, risulta seccante, noiosa e praticamente inutile: tutti sanno leggere e chi decide di
avvalersi della visita guidata lo fa proprio perché
vuole sentire le notizie “raccontate” da voi.
Rendere leggera l’esposizione.
Una visita guidata, soprattutto se si svolge in un
Museo abbastanza esteso come il nostro, può
richiedere a volte, nel visitatore, un piccolo sforzo
di concentrazione. Per facilitare l’attenzione di chi
vi ascolta e rendere più leggera la vostra esposizione abbiamo predisposto una modalità di visita
guidata in cui, con una certa frequenza, si passa
da una illustrazione generale del museo o delle
sue singole sale ad un breve esame di alcune opere
particolari (vedi punto 10), in modo da variare il
ritmo della vostra esposizione. Considerate, inoltre, che un’esposizione semplice e colloquiale, fatta
con l’intento di far capire veramente quello che si
sta spiegando, spesso facilita l’ascolto e vi mette in
sintonia con il visitatore.
Comunicare bene.
A volte i presupposti di una buona comunicazione
si trovano in piccoli accorgimenti pratici: se mentre parlate guardate il vostro pubblico, rivolgendovi direttamente ai singoli visitatori, otterrete una
maggiore attenzione e sarete più coinvolgenti.
Inoltre, quando si spiega una singola opera, può
venire spontaneo girarsi verso il quadro che in quel
momento è il centro della nostra attenzione, ma
così facendo si rischia di dare le spalle al pubblico,
generando una sensazione di chiusura e di mancanza di rispetto.
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Non spaventarsi se qualcuno fa delle domande.
Il bello di una visita guidata sta proprio nell’interazione
che il visitatore può instaurare con voi. La guida è a
tutti gli effetti una chiacchierata tra voi e i visitatori,
quindi è del tutto normale che qualcuno faccia una
domanda a voi. Anzi, è un buon segno: vuol dire che
quello che state dicendo è interessante per l’ascoltatore.
Detto questo è anche importante specificare che nes-
suna guida è tenuta a sapere tutto sull’argomento trattato, neanche quelli che fanno le Guide per mestiere.
Quindi, anche se non siete sicuri della risposta da dare
parlate sempre in modo naturale, anche esponendo una
vostra opinione, e se proprio non sapete cosa rispondere
ditelo tranquillamente, magari con frasi come questa:
“E’ una domanda interessante, non so darle una risposta sicura ma mi informerò”.
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Fare attenzione al comportamento dei visitatori
Anche se può sembrare ovvio che i visitatori si comportino sempre in maniera adeguata, è sempre meglio non darlo mai troppo per scontato. Ci può sempre essere qualcuno che, sicuramente in buona fede
e senza rendersi conto del danno che può causare, si
metta a toccare quadri o sculture. Anche in questo
caso non dovete perdere il vostro atteggiamento
gentile: con calma e sorridendo pregate il visitatore
di non toccare le opere, con un tono di voce che,
pur non essendo troppo forte, sia sufficiente a farvi
udire anche dagli altri (non si sa mai).
Per quanto riguarda in particolare il nostro Museo
ricordatevi, quando siete al terzo piano, di avvertire
i visitatori di non appoggiarsi ai pannelli presenti
nella stanza. Inoltre, se state accompagnando un
gruppo particolarmente rumoroso, pregate gentilmente i visitatori di non parlare forte nei pressi del
convento.
Essere preparati a fornire informazioni sui servizi
presenti nel museo.
Da veri e propri “padroni di casa” dovete sapere
come indirizzare le persone verso i vari servizi presenti nel Museo. Ecco un breve promemoria:
Bagni: sono presenti al piano terra e al secondo piano. Il terzo piano è privo di servizi igienici, quindi
dovrete indirizzare il visitatore verso uno dei due
piani suddetti.
Bagni per disabili: c’e’ un bagno al piano terra
Accesso al Museo: E’ preferibile che il visitatore
prenda l’ascensore per raggiungere i piani alti, visto che passando per le scale si entra nel Convento
e chi non è pratico del Museo potrebbe perdere
l’orientamento. Naturalmente se alcuni visitatori
hanno paura dell’ascensore, o per altri motivi non
vogliono usarlo, possono usufruire delle scale,
preferibilmente accompagnati da voi o da un membro dello staff.
Accesso per disabili: Il museo è accessibile ai dis-
abili che, per raggiungere i piani superiori, possono
usare comodamente l’ascensore
Punto di ristoro: Sono presenti due macchine automatiche all’ingresso del piano terra, non c’e’ il bar
[nota: un punto di ristoro è in costruzione nel piazzale del santuario, potrebbe essere completo per
aprile-maggio]
Convento: si trova al primo piano, ma non è accessibile dal museo. Quindi se qualcuno vi chiede informazioni in merito dite che la porta principale del
convento è quella che si trova a sinistra dell’entrata
della chiesa, dall’esterno. Qualsiasi altra entrata
dall’interno del museo, anche con l’ascensore, è
vietata.
Segreteria: si trova al piano terra, appena si supera
l’ingresso principale. Indirizzate in segreteria chi
chiede informazioni su numeri di telefono o altre
cose riguardanti il museo, compresi quei visitatori
che vogliono essere inseriti nella lista dei contatti
per ricevere notizie sulle nostre iniziative
Modalità di svolgimento della guida.
E’ importante avere ben chiaro come si svolgerà, in
pratica la guida.
Come avete visto i contenuti offerti dal Museo dello Splendore sono molto ampi, e spaziano
dall’Ottocento all’Arte Contemporanea. Chiaramente ciascuno di voi focalizzarà la sua attenzione
su un ambito più limitato, cioè sulla Collezione
Bindi o sulla Collezione permanente. Poi, durante
la guida, ognuno si posizionerà in un settore ben
preciso. Ci saranno, in generale, due tipologie di
guida:
alcuni di voi accoglieranno i visitatori e li guideranno attraverso la varie sale, illustrando il contenuto
delle singole sezioni dell’esposizione.
Gli altri si focalizzeranno su una o più opere, che
descriveranno in maniera approfondita
Naturalmente tra di voi c’e’ bisogno di un “gioco
di squadra”, ognuno introdurrà, alla fine della sua
esposizione, il compagno che continuerà la visita.
Molto importante, a tal fine, è di tenere in considerazione la “parte” degli altri, senza anticipare contenuti e informazioni che saranno poi comunicati
al pubblico dalle altre guide; altrimenti si rischia di
essere ripetitivi e di irritare i proprio compagni.
E’ anche da ricordare che questi ruoli non sono
rigidi: ciascuno di voi può scambiarsi i compiti,
passando da accompagnatore a guida sui singoli
quadri, oppure addirittura passare dalla Collezione
Bindi alla Collezione Permanente.
Non dimenticate, infine, che per esigenze logistiche
(es: assenza di uno dei vostri colleghi) qualcuno
potrebbe essere spostato in un altro settore, o ricoprire due o più settori (anche facendo contemporaneamente da accompagnatore e da guida ai singoli
quadri). Quindi, per evirare, problemi, è sempre
meglio che studiate a fondo questa guida in tutti i
suoi settori.
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La SALA 3 ospita opere che si caratterizzano per l’importanza
data alla figura, che viene scolpita, disegnata o dipinta seguendo dei modelli tradizionali, cioè avendo come riferimento i
grandi artisti del passato e cercando di adoperare le stesse tecniche. Dunque il nostro percorso si è svolto a ritroso, dalle prime
opere che abbiamo esaminato, nelle quali maggiore è l’utilizzo
di tecniche espressive più nuove, siamo approdati ad artisti che
tendono a ispirarsi alle opere del passato, anche se rivisitate con
spirito moderno. E’ questo ricorso a materiali e strumenti più
“classici” che contribuisce al fascino di questa sala.
[vengono presentate le opere della sala 3, pagg. 11 e 12]vv
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SALA 4
SALA 2
SALA 5
SALA 6
SALA 7
SALA 8
La SALA 2 è l’unica parte del museo dedicata ad unico artista:
Nado Canuti. Anche con Canuti continua il nostro percorso
nell’arte sacra contemporanea, visto che gran parte delle sue
opere sono di carattere religioso, narrando episodi del Vangelo
o rappresentando figure di santi. La sua spiritualità si esprime
spesso anche attraverso l’utilizzo di materiali inconsueti. Le nostre Guide illustreranno alcune opere che sono esemplari per
comprendere il suo percorso artistico.
[vengono presentate le opere della sala 2, pag. 10]
SALA 3
SALA 1
Nella Sala 1 possiamo vedere diversi esempi di opere nelle quali
gli strumenti e i linguaggi dell’arte contemporanea sono impiegati dagli artisti per affrontare ed approfondire i temi dell’arte
sacra. Gli artisti riflettono sul sacro sia mediante l’impiego di
materiali nuovi e inconsueti sia attraverso un libero utilizzo
delle figure e dei colori. Una distinzione che sarà sviscerata nel
proseguo della Collezione, ma che è importante anche qui, è
quella tra opere figurative e opere astratte: le prime imitano o
rappresentano la realtà avendo per oggetto figure umane, animali o cose anche se eseguiti con estrema libertà, le seconde
prescindono dalla realtà e rappresentano solo forme e colori,
molto spesso per esprimere o per comunicare stati d’animo. In
questa sala sono presenti opere di entrambe le categorie, come
sarà illustrato in dettaglio dalle Guide.
[vengono presentate le opere della sala 1, pagg. 7, 8 e 9]
Collezione
Permanente
ASCENSORE
La collezione permanente comprende oltre 130 opere fra pitture sculture e grafiche di artisti donate dagli stessi o da collezionisti. essa presenta così un ampio panorama dell’arte contemporanea in Italia.
L’allestimento della collezione è stato fatto applicando questo
criterio: l’ala alla sinistra del corridoio è dedicata all’arte sacra,
tale si intende l’arte che racconta o evoca fatti e personaggi della Bibbia e della storia della Chiesa. La scelta di dedicarle così
ampia parte si spiega con l’intento di stimolare la riflessione,
dall’altra di arricchire l’offerta culturale artistica del Santuario
che all’interno della chiesa e negli spazi esterni vanta numerose
e valide opere di pittura e scultura. L’ala destra è invece dedicata alle opere non religiose.
Collezione
Permanente
Sala 1
Luigi Timoncini
Emmaus, 2003
olio su tela
cm. 89x90
Come narra il Vangelo, il miracolo avvenne di sera: infatti
l’artista dipinge la
luna, che assieme
all’albero e al prato
è un elemento reale. Tuttavia la scena
è rappresentata in
maniera essenziale e,
soprattutto, mediante
l’utilizzo di colori antinaturalistici, cioè diversi da quelli naturali
(ad esempio il colore
viola del prato) che
sono perfettamente
adeguati all’evento
soprannaturale che
l’artista vuole raccontare.
La macchia di colore, intenso e antinaturalistico, quasi
fosforescente e che si vede sul
muro allude forse alla sparizione di Cristo, aumentando
la forza emotiva della scena.
In quest’opera la scena
evangelica dei due discepoli
di Emmaus, ai quali Cristo
si mostra subito
dopo la resurrezione, è ritratta
nel momento
conclusivo:
quando, dopo
aver spezzato il
pane, Cristo viene riconosciuto
e scompare alla
loro vista.
I discepoli riconobbero Gesù dal modo
con il quale spezzò il
pane. Questo elemento che caratterizza l’episodio, viene
posto al centro della
composizione proprio per dargli importanza. Sia il pane, che la ciotola, come la
tavola, sono elementi reali.
L’opera è chiaramente figurativa, ma l’artista piega le forme e i colori ai suoi scopi
espressivi, utilizzandoli in maniera libera e personale. Come in questo particolare in
cui ritrae i due discepoli semplificandone i tratti somatici e dipingendoli con colori
antinaturalistici: in questo modo riesce ad esprimere il loro stupore, rimandando
all’evento prodigioso che si è appena compiuto davanti a loro
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Collezione
Permanente
Sala 1
Maurizio Romani
Crocefissione, 1998
olio su tela
cm. 120x100
Il corpo di Gesù non è
privo di dettagli anatomici soprattutto nel
busto: vediamo infatti le
costole, l’ombelico e la
ferita al costato.
Mentre, più ci si allontana da questo centro, più
aumenta l’indeterminatezza della figura.
L’opera può essere considerata
figurativa per la presenza del corpo
di Gesù al centro della composizione. Ma è evidente che il modo in
cui l’artista rende la figura è molto
diverso dai canoni della tradizione.
Pur non raggiungendo una completa astrazione l’artista lascia che
siano il colore e l’indeterminatezza
della figura a costituire l’espressività
del dipinto.
L’emozione della scena è
affidata soprattutto al colore e
alla luce. Il rosso dello sfondo
che isola la figura rendendola
simbolo di dolore universale e
la luce che radente colpisce il
busto e le gambe di Gesù.
Il volto di Cristo appare come una macchia di luce
e di colore: impossibile identificarne i tratti. Da
un lato ciò contribuisce ad aumentare la drammaticità della figura, dall’altro mostra il dilemma che
da sempre gli artisti hanno dovuto affrontare nel
rappresentarlo. Adottando questa soluzione Romani supera così la sfida: il volto di Cristo è ineffabile
e resta un mistero.
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Il corpo di Gesù sembra quasi inconsistente,
sciolto, definito soltanto attraverso il colore e la luce. Questo fa si che non sembri
un corpo reale, ma quasi un’apparizione.
Questa indefinitezza è massima nella parte
delle braccia, delle gambe e del volto che
sembrano confondersi con lo sfondo. Ne
viene fuori una figura sofferente e incompleta, che sembra non arrivare mai ad esistere
pienamente, comunicandoci un forte senso
di disagio e di drammaticità
Collezione
Permanente
Sala 1
Angelo Zennaro
Il Calvario, 2004
tecnica mista su tela
cm. 130x115
Quando Gesù morì sul
Calvario ci fu un forte terremoto che squarciò il velo
del tempio. Anche se mancano riferimenti diretti
all’episodio, la iuta strappata, la croce inclinata, il
segno che violentemente
attraversa la tela sembrano
metaforicamente scuotere
la composizione.
La croce è realizzata con due “sciabolate” di colore, che ci trasmettono una sensazione di forza e di
energia. In questo tipo di arte è
molto importante che si noti il gesto dell’autore, in modo che le sue
emozioni traspaiano direttamente
attraverso di esso.
La composizione è dominata da
colori accesi e brillanti, soprattutto dal giallo, simbolo di luce e
calore. Esso lascia preludere a una
liberazione, a un messaggio positivo, alla Resurrezione che segue
la morte.
Il pittore ha volutamente
steso il colore in modo
che, in alcune zone, rimanessero dei densi grumi
di materia pittorica. In
questo modo ci rappresenta il groviglio delle sue
emozioni e dei suoi stati
d’animo.
Il Calvario è la collina dove Gesù fu
crocifisso. Ma l’opera non racconta
direttamente l’episodio evangelico
della crocefissione di Gesù. L’artista,
infatti, utilizza il linguaggio dell’arte
astratta per comunicarci direttamente le emozioni che esso suscita
in lui, affidandosi alla forza espressiva del colore, della pennellate e alle
suggestioni della materia.
?
Ma questo è uno scarabocchio!?
Siamo così abituati a vedere opere in cui c’e’ una
rappresentazione di qualcosa e in cui si noti l’abilità tecnica dell’artista che, se questi requisiti sono
o sembrano assenti, subito pensiamo che l’opera
che abbiamo davanti non sia arte.
Per rispondere a questi dubbi è utile specificare
lo scopo di un’arte come questa, cioè quello di
esprimere le emozioni dell’artista (se, ad esempio
il rosso esprime bene la mia emozione, perché
dovrei per forza disegnare una cosa o una figura
rossa, e non usare puramente il colore?).
Dunque non tutte le opere come queste sono
veramente riuscite, e degne di essere considerate
arte, ma soltanto quelle che riescono ad esprimere i sentimenti dell’autore, questo le distingue
dagli scarabocchi.
L’uso di materiali di
vario tipo come la
juta caratterizza l’arte
contemporanea. In
questo caso la ruvidezza del materiale
e il fatto che sia
sdrucita comunica
tensione emotiva e
contribuisce a conferire drammaticità alla
scena.
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Collezione
Permanente
Sala 2
Nado Canuti
Deposizione I
1968
cemento fuso
scalpellinato
cm. 60x40
La superficie delle
sculture appare
scabra e la forma
stessa richiama
figure arcaiche,
primitive
I corpi sono deformati, non corrispondono alla realtà. Gli occhi sono
incavati nelle orbite, le costole fuoriescono completamente, braccia e
gambe appaiono come dei monconi,
le proporzioni non sono affatto rispettate. L’artista, pur rappresentando
figure umane, non vuole raffigurare la
realtà ma esprimere le sue emozioni. In
particolare il dolore dell’esistenza.
La posizione diagonale del deposto, conferisce movimento e
contrapposta a quella
verticale delle altre
figure, esalta la drammaticità della scena
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Tutta l’opera di Canuti ha come oggetto la condizione umana, vista dall’artista nella sua dimensione di sofferenza e di tormento esistenziale. Questa
riflessione si esprime soprattutto attraverso la
scultura: figure spoglie e tormentate, scolpite in
modo sempre più fitto, in modo da sostituire al
particolare descrittivo della figura un’essenzialità espressiva vibrante e profondamente sofferta.
Canuti che da ragazzo, durante la resistenza, è
rimasto ferito da una mina ed è rimasto senza
alcune dita spesso trasferisce questa drammatica
esperienza personale nelle sue opere, raffigurando
i corpi privi di braccia o di gambe e comunque
spesso deformi. Il dolore fisico è metafora del
dolore interiore.
Il soggetto sacro della
Deposizione più volte
rappresentato dagli
artisti, viene scelto da
Canuti per simboleggiare una condizione
di dolore universale
che accomuna tutti gli
uomini. Infatti, invece
della Madonna Addolorata e di Cristo, ci sono
uomini comuni, dai
tratti non riconoscibili.
Inoltre si fa riferimento
alla solidarietà dell’uomo verso l’uomo,
all’amicizia che può
alleviare il dolore.
L’artista utilizza il cemento, un materiale “povero”,
del tutto diverso dai materiali importanti (marmo,
oro, bronzo) usati dalla scultura tradizionale. Ma
questa scelta corrisponde all’intento dell’artista: cosa
c’e’ di meglio di un materiale grezzo, ruvido, cromaticamente spento, come il cemento fuso, per conferire tensione emotiva e drammaticità a queste figure.
In più l’artista interviene su di esso scalpellinandolo
fittamente, in modo da rendere scabri e imperfetti i
suoi soggetti.
Collezione
Permanente
Sala 3
Francesco Messina
Santa Lucia, 1952
bronzo dorato
cm. 64x18x16
Francesco Messina
Santa Caterina,
1961
bronzo dorato
cm.61x18x24
Si noti la vivacità del panneggio, data dalla luce che
tocca le pieghe dell’abito
La carica emozionale dell’opera è
accentuata dagli occhi privi delle
orbite e dal trasporto con cui la santa
stringe il Crocifisso
Francesco Messina è uno degli scultori
contemporanei più importanti; molto
famoso è il Cavallo Morente per la sede
della RAI a Roma. E’ un artista figurativo
quindi le sue opere rappresentano uomini
o animali. Ha realizzato numerose opere
di arte sacra nelle quali adopera lo stile
degli artisti della tradizionale scultura
italiana (Desiderio, Laurana, Donatello),
tuttavia non si limita a imitarli, ma di
quello stile si avvale per esprimere le sue
emozioni. Queste opere, donate dalla
figlia dell’artista, Paola Messina, lo dimostrano.
Gli occhi privi delle orbite e il crocifisso sono
gli attributi iconografici di Santa Lucia, cioè
gli elementi che contraddistinguono l’immagine della santa. Messina ne fa ampio uso nelle
sue opere a carattere religioso: ad esempio in
Santa Caterina abbiamo il giglio, simbolo di
purezza. L’uso degli elementi iconografici si
spiega con la volontà dell’artista di creare figure
immediatamente riconoscibili e di ricollegarsi con la tradizione. Infatti nella storia molti
sono stati gli artisti che si sono cimentati nel
ritrarre personaggi della bibbia e del vangelo,
santi e papi, in quanto l’opera d’arte sacra ha
sin dall’inizio avuto una funzione evangelizzatrice cioè doveva essere una sorta di educazione
religiosa visiva.
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Collezione
Permanente
Sala 3
Ugolino da Belluno
Tu sei la vita, 1980
olio su tela di iuta,
cm. 120x200
Ugolino da Belluno (il cui vero nome era Silvio
Alessandri), frate cappuccino, sceglie di rappresentare la dimensione religiosa con un’arte che
rompe completamente con gli schemi classici della tradizione, aprendosi invece ai nuovi linguaggi
dell’arte contemporanea.
A prima vista l’opera può apparirci come un insieme molto movimentato di forme e
colori, ma ad uno sguardo più attento ci si accorge che l’artista ha scritto sull’opera una
lunga frase, ripetendola decine di volte: “Se un uomo soffre là ci sei tu – Se un uomo ha
fame là ci sei tu – Se un uomo muore là ci sei tu – Tu sei la vita” . In questo modo la forza espressiva del colore esalta il profondo significato spirituale della frase mentre questa, a
sua volta, si integra perfettamente nella composizione diventando tutt’uno con essa.
Leggendo la frase
più volte, dall’alto al
basso (o vice-versa), ci
accorgiamo che il suo
ritmo è influenzato
dai colori (il nero, il
bianco, il rosso e poi
di nuovo il bianco) e
dalle forme (che sembrano quasi oscillare),
in modo che il suo significato si riempia di
pura emozione. Così
l’artista ci fa accedere
ad una dimensione
quasi mistica: queste
parole entrano davvero nel nostro cuore.
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Il materiale su cui è stato
realizzata l’opera è la
tela di iuta (vedi anche
l’opera di Zennaro).
Questo materiale povero,
scuro e aspro, è lo sfondo
perfetto per questa opera
emotivamente intensa,
ma la iuta è anche la stoffa con la quale si realizzano le tonache dei frati.
In questo caso, quindi,
la sua presenza è anche
un indizio della profonda
partecipazione con cui
l’artista vive questa sua
opera e il suo significato:
è come se questa frase
lui la vivesse sulla sua
“pelle”. E’ anche uno
splendido esempio di
come nell’arte contemporanea si possano inserire
elementi autobiografici
semplicemente utilizzando un dato materiale.
Anche il colore di alcune parti della scritta non è sempre uguale, procedendo verso il basso diventa sempre più scuro: è come se la l’intonazione della frase aumentasse di intensità, in un crescendo carico di
tensione emotiva. Soltanto l’ultima parte, “Tu sei la vita”, con il suo
contenuto di speranza, resta sempre dello stesso colore.
In quest’ultima sala (SALA 8) troviamo opere realizzate secondo concezioni artistiche che sono le più innovative e attuali
tra quelle presenti nella Collezione, che spaziano dall’utilizzo di “oggetti trovati” incollati sulla tela, fino all’impiego di
materiali come il plexiglass e di tecniche moderne come la
c-print (in cui le opere sono stampate al computer). Molto
evidente è anche il riferimento alla pratica artistica dell’installazione, con bozzetti e lavori preparatori.
[vengono presentate le opere della sala 8, pagg. 21 e 22]
SALA 4
SALA 5
SALA 6
SALA 7
In questa sala (SALA 7) e nella successiva, troviamo opere
che, anche se si inseriscono nel rapporto tra arte figurativa e
arte astratta, superano per certi versi questa suddivisione. Qui
possiamo osservare delle opere che fanno uso della tecnica del
collage, alcune in maniera più tradizionale altre reinterpretandola tramite l’utilizzo di materiali diversi (stoffe, plastica,
carta...).
[vengono presentate le opere della sala 7, pag. 20]
SALA 8
Con la SALA 6 entriamo definitivamente nel regno dell’arte astratta. L’esposizione unisce e fa dialogare due tipologie
molto differenti di arte astratta: le opere astratte geometriche,
in cui si notano appunto figure geometriche regolari e colori
omogenei e, nel versante opposto, le opere non geometriche
nelle quali il colore o il segno manifestano stati d’animo, sentimenti, emozioni dell’artista.
[vengono presentate le opere della sala 6, pagg. 17, 18 e 19]
SALA 2
Nella SALA 5 continua il nostro percorso nell’arte figurativa.
Anche qui è da notare come sono possibili approcci molto
diversi alla figura. Inoltre in questa sala ci sono delle opere in
cui ai soggetti figurativi comincia ad affiancarsi la funzione
espressiva del colore, facendole tendere quasi all’astratto.
[vengono presentate le opere della sala 5, pagg. 15 e 16]
SALA 3
SALA 1
La SALA 4 è tutta dedicata ad opere figurative: vediamo paesaggi, figure femminili, rappresentazioni di interni. Anche se
in tutte queste opere è presente chiaramente la figura essa è
utilizzata in modi molto diversi: mentre in alcune opere c’e’
una rappresentazione fedele della realtà, in altre vediamo delle immagini molto stilizzate oppure un uso antinaturalistico
del colore.
[vengono presentate le opere della sala 4, pag. 14)
Collezione
Permanente
ASCENSORE
Quest’ala della collezione è dedicata alle opere che non hanno soggetto religioso. Nelle diverse sale le opere sono state
disposte in base al rapporto tra arte figurativa e arte astratta,
con una parte finale dedicata a opere che si pongono al di
fuori di questa distinzione.
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Collezione
Permanente
Sala 4
Gigino Falconi
Silenzio, 1981
olio su tela
cm. 78x59
L’opera sembra fermare, come
in un’immagine fotografica, un
momento di intimità tra i due
personaggi. Un effetto ribadito
dall’inserimento della scena in
una figura ovale, come si faceva
con i ritratti fotografici del secolo scorso. Non a caso nel quadro
è inserito proprio un ritratto di
questo tipo.
L’interno della stanza diventa
come una metafora dell’interiorità dei due personaggi.
Anche se, apparentemente,
l’artista sembra avere come
scopo la mera rappresentazione
della realtà, è la dimensione
interiore quella che veramente
gli interessa.
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Come la maggior parte delle opere dell’artista
giuliese Gigino Falconi anche questa si colloca in pieno in un ambito realista. Con la precisione del tratto e la trasparenza e leggerezza
del colore, l’autore ci descrive una situazione
realistica definita nei minimi particolari.
Tuttavia la scena è pervasa da un’atmosfera
di mistero che non viene diminuita, ma anzi
risulta esaltata, dal realismo della composizione
La scena si svolge all’interno di
una camera ricca di arredi e di
suppellettili non certo moderni,
che sembrano proiettarla indietro nel tempo, come se si trattasse di un antico ricordo. Questa
scenografia ha anche lo scopo di
trasmetterci un senso di gravità
e pesantezza, come pesante è il
misterioso fardello che le due
donne portano con sé
La realtà della scena è descritta nei
minimi particolari ma, sembra dire
l’artista, c’e’ qualcosa di essenziale che resta lo stesso nascosto, ed
è l’intimo segreto che avvolge le
due figure. Un segreto che l’autore
volutamente non scioglie, lasciandoci
nell’ambiguità e nel dubbio ma, nello
stesso tempo, rendendoci partecipe di
questa atmosfera di “non detto” e di
“Silenzio” (è questo il titolo dell’opera) pervasa da una sottile malinconia.
Collezione
Permanente
Sala 5
Sergio Sarri
L’angelo sterminatore
1968
acrilico su tela
cm. 150x125
Il fumetto in alto, vuoto perché l’uomo sta perdendo la sua capacità di esprimersi, ricorda anche
una delle passioni dell’artista, un importante
autore di fumetti.
Questa testa umana è
minacciata dalla precisione meccanica di un
mirino, forse tra poco
partirà un colpo…
Siamo di fronte ad un’opera evidentemente figurativa: i soggetti sono resi con
notevole precisione e con una accurata
definizione dei dettagli. Tuttavia questa
attenzione per la descrizione delle figure non è volta ad un intento realistico:
la scena è evidentemente impossibile e
l’artista non vuole rappresentare la realtà ma, al contrario, farci entrare nel suo
mondo interiore, affollato di immagini
e di simboli che si accavallano in maniera apparentemente caotica. L’artista,
infatti, ha un intento preciso, quello di
denunciare l’invadenza della tecnologia
nella vita dell’uomo
L’inquietante figura in basso sintetizza
da sola tutto il messaggio dell’autore:
potrebbe sembrare un cigno, ma le
sue ali sembrano pezzi di fusoliera e
uno “spaccato” (a destra) ci mostra la
sua anima meccanica. Le macchine,
quindi, stanno sostituendo gli esseri
viventi.
Dalla cima di questa strana macchina esce fuori una figura ambigua e
terribile, che sembra fatta di carne,
con delle vene che sembrano fili
elettrici, e dalla quale si sprigionano
delle fiamme. La funzione di queste
macchine, sembra dire l’autore, non
è di portare benessere ma, al contrario, di riempire l’umanità di terrore.
Questa gamba, che
ricorda quella di
una statua, ironicamente capovolta,
serve ad illustrare
il decadimento
della figura umana
e quindi dell’umanità, ridotta dalle
macchine ad uno
spassoso giocattolo
Il quadro è strutturato in maniera
rigorosa, con le
direzioni orizzontale, verticale e
diagonale che separano le sue varie
parti. La freccia,
tagliando tutta la
composizione, ci
costringe a passare
lo sguardo velocemente da sinistra
a destra, dando dinamicità alla scena
e collegando in un
istante tutte le parti del quadro
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Collezione
Permanente
Sala 5
Giacomo Soffiantino
Il bucranio e la terra
1989
olio su tela
La conchiglia è simbolo di vita. Spesso Soffiantino ritrae elementi tratti dalla natura, soprattutto
i fossili, mettendone in luce tutti i significati ad
essi associati. I fossili, infatti, riportano all’origine della vita e del mondo. Sono segni del
passato giunti fino a noi che l’artista raccoglie
nei boschi e conserva nel suo studio.
cm. 60x80
Le opere di Soffiantino vengono definite “collage pittorici” proprio perché ci sono elementi di diverso tipo: figurativi e astratti. Mentre
gli elementi figurativi richiamano il mondo
esterno, quelli astratti esprimono il mondo
interiore dell’artista. Entrambi sono unificati
dallo stile.
Questa parte
del dipinto non
rappresenta la
realtà. E’ un
fitto groviglio
di linee e segni
che riprendono
però le forme
esistenti della
conchiglia e
del bucranio.
Inoltre i colori
terrei e la luce
unificano la
composizione.
Il rettangolo nero è contrapposto alla
luce che permea la composizione: il
primo è simbolo di morte, la seconda di
vita.
16
Il bucranio, la testa del bue, è un simbolo tipico della morte. Contrapposto alla
conchiglia, simbolo della vita, rimanda
all’eterno ciclo naturale di vita e morte
Collezione
Permanente
Sala 6
Nel personale sistema di numerazione dell’artista questo
numero indica la nona opera (009) da lui
realizzata nel 2003 (03)
Shuhei Matsuyama
Shin-on n°03009
2003
tecnica mista
cm. 120x180
Shin on è un termine giapponese che significa “la rappresentazione dei suoni”. L’obiettivo di questo artista giapponese è di tradurre il suono in pittura, in colore. Il suono è
inteso come suono della natura, dell’universo: armonia che
permea tutto il cosmo. Ma è anche l’eco che questo suono
provoca nell’animo dell’artista, e delle emozioni e sensazioni che egli prova ponendosi in atteggiamento mistico di
ascolto davanti al mondo
L’opera è realizzata su carta di riso,
un tipo di carta che è proprio della tradizione dei maestri orientali.
Essa contribuisce ed aumentare la
luminosità dell’opera e la arricchisce di evocative increspature.
Il colore in Matsuyama non è
mai monotono, infatti l’azzurro è
declinato in diversi toni e sfumature, ma sempre delicato e non
sgargiante: è un colore che induce
alla tranquillità, alla meditazione,
un colore mentale che parla attraverso il silenzio.
Le pennellate, stese in modo da
formare tanti strati sottili di colore,
creano delle vere e proprie “onde”.
Ciò potrebbe far pensare che l’artista voglia dipingere un paesaggio
acquatico. In realtà il suo obiettivo
non è quello di ritrarre la natura, ma
di comunicarci i suoi stati d’animo e,
attraverso di essi, l’intimo suono che
pervade tutta la natura.
17
Collezione
Permanente
Sala 6
Marcolino Gandini
Concavo, 1996
acrilico su tavola
cm. 120x120
Le lunghe linee di diversi colori, che procedono a zigzag
tagliando tutta l’opera, formano delle zone simili a figure
geometriche, nelle quali il colore è steso in maniera uniforme. L’alternarsi dei colori, il serpeggiare e l’incrociarsi
delle linee nello spazio, ci danno una sensazione di ritmo e
di equilibrio. L’artista ha studiato attentamente la distribuzione delle forme e dei colori in modo che ogni elemento
si inserisca perfettamente nell’insieme, generando una
composizione in cui “tutto si tiene”, come in una struttura
architettonica.
L’opera è concava, cioè è
tagliata in due con le estremità che vanno verso lo
spettatore.
In questo modo la tela, normalmente piatta, diventa tridimensionale, e si apre allo
spazio come una scultura
Il movimento sinuoso delle linee, ricco di
dinamicità, si congiunge splendidamente
con la maggiore compostezza delle figure
geometriche, non a caso colorate con
tutte le gradazioni del blu, il colore del
pensiero e della riflessione. Ma mentre in
Matsuyama questo colore era portatore
di emozione, con le sue ampie sfumature,
qui l’artista lo usa per comunicarci staticità e compostezza, stendendolo in modo
omogeneo.
18
L’opera può essere
considerata un esempio di astrattismo geometrico. Al contrario
che in opere astratte
non geometriche,
come quella appena
vista di Matsuyama,
lo scopo dell’artista non è quello di
comunicarci le proprio emozioni, il suo
obbiettivo è invece
più formale, più “freddo”. In questo tipo di
opere l’artista prende
come riferimento i tre
elementi che costituiscono tutti i quadri:
le linee, lo spazio e il
colore e ne esplora i
rapporti, realizzando
con essi delle composizioni equilibrate ed
essenziali.
Collezione
Permanente
Sala 6
Simon Benetton
Ideali, 2002
ferro
cm. 97x34
L’opera è realizzata in ferro, un
materiale pesante, duro, scuro, ma
l’artista ha operato su di esso in
modo da stravolgere le sue proprietà
Con l’utilizzo di prodotti appropriati è riuscito a renderlo lucido e
luminoso ma, soprattutto, ha aperto
su di esso delle ampie fenditure che,
facendo passare la luce, lo rendono
leggero e penetrabile.
La superficie dell’opera è stata sagomata in modo da renderla ondulata,
così da aumentare la sensazione
di morbidezza che l’artista vuole
raggiungere lavorando il ferro. Ma,
allo stesso tempo, queste increspature ruvide e irregolari conferiscono
all’opera un sottofondo di inquietudine.
L’opera è un esempio di
scultura astratta. Allo stesso
modo dei pittori astratti,
che si esprimono unicamente per mezzo dei colori e
delle forme, l’artista elimina in quest’opera qualsiasi
riferimento ad una figura
ben riconoscibile o ad un
oggetto, per lasciare spazio
alle proprietà del materiale
utilizzato ed al modo in cui
viene modellato
Per fare un confronto
con il versante figurativo della scultura si
può pensare alle opere
di Francesco Messina
presenti nella Collezione (esaminate a pag.
11), in cui sono chiaramente presenti delle
figure umane realizzate,
inoltre, in maniera
abbastanza realistica.
Il titolo dell’opera, “Ideali” è, come spesso accade
nell’arte contemporanea, un indizio per comprendere
l’intento dell’autore. Gli ideali rappresentano il nostro
desiderio di raggiungere qualcosa che non c’e’, trasformando il mondo in qualcosa di diverso. L’artista
esprime questo concetto trasformando la durezza del
ferro nel suo contrario.
Da notare come il linguaggio non figurativo dell’autore è perfettamente adeguato ad esprimere queste idee
astratte.
19
Collezione
Permanente
Sala 7
Marco Lodola
Senza titolo, 1999
I semi delle carte da gioco, dai colori
accesi e luminosi, richiamano la dimensione ludica delle opere di Lodola:
l’arte è allegria, gioco, divertimento
cartone smaltato su cartone
cm. 55x98,5
I costumi delle ragazze, i capelli, gli accessori sono rossi
o neri. L’alternanza di questi
colori e quella dei pieni e
dei vuoti segue un’armonia
che accentua il ritmo della
composizione
Le ragazze sono in posa da
pin-up. Infatti Lodola sembra ritagliare i suoi personaggi dalle riviste degli anni
’50. Questo fatto richiama
anch’esso l’idea del gioco;
l’artista come un bambino
o un giovane adolescente
ritaglia le immagini che più
lo colpiscono e le incolla nel
suo “diario”
L’artista realizza un collage impiegando carte
smaltate multicolori, in modo da far “apparire” delle immagini di donna dai semi delle
carte da gioco. E’ un lato piacevole e scherzoso dell’opera, che però possiede anche
un’altra dimesione, più triste e meditativa,
che si fonde ambiguamente con la sua atmosfera di superficiale divertimento
Le donne si confondono con i semi delle carte da gioco.
Infatti l’immagine appare doppia. Quest’ambiguità da una
parte ci invita a giocare con l’opera, dall’altra ci suggerisce
come, nella civiltà dell’immagine, tutte le immagini sono
allo stesso livello e l’uomo e ancor più la donna si confonde con il resto. Al di fuori delle immagini sembra non ci
sia nulla; tutto il mondo sembra essere finto, artificioso. Ed
allora è perfettamente appropriata la scelta dell’autore di
realizzare l’opera con la carta smaltata: il suo intento non è
affatto realistico, ma anzi di questa realtà odierna lui vuole
cogliere l’aspetto vacuo, superficiale, patinato ed, appunto,
finto.
20
Anche se l’opera comunica gioia
c’è un filo di malinconia: i suoi
personaggi sono senza volto.
E’ un’umanità che si confonde
con le immagini della pubblicità
e della televisione. I volti sono
tutti uguali, non c’è più individualità.
Collezione
Permanente
Sala 8
Federica Marangoni
Senza titolo, 1992
tecnica mista su
carta intelata
3
2
1
cm. 120x160
Il televisore trasmette
l’immagine del colore di
partenza, in questo caso
il verde. La metamorfosi
è completa, il colore è
diventato spirituale, senza
materia
Si tratta di un bozzetto che funge da progetto per
realizzare un’installazione, cioè un tipo di opera
d’arte che l’artista realizza mettendo degli oggetti in
uno spazio aperto al pubblico, in modo che lo spettatore possa entrare realmente all’interno dell’opera.
In questo caso l’opera è stata realizzata davvero,
in una piazza di Venezia: dentro una stanza buia
l’artista ha posizionato dei vetri di murano, delle
scale con i pioli al neon e dei televisori accesi. Nell’installazione, che ha per titolo “Metamorfosi del
colore”, l’artista vuole mostrarci la trasformazione
(appunto la metamorfosi) del colore da materiale a
spirituale
h
I pioli al neon delle scale
brillano dello stesso colore dei vetri sottostanti,
in questo caso il verde. E’
un modo metaforico per
dire che il colore si sta
trasformando, sta “salendo le scale” che lo innalzano verso lo spirituale.
h
I vetri di murano, in questo caso verdi, sono degli
oggetti concreti. Il colore
è dunque ancora “intrappolato” nella materia
Come dimostrano gli appunti a matita che l’artista ha
scritto sul bozzetto, ogni elemento dell’installazione è
stato collocato in modo preciso per raggiungere il suo
scopo, che era quello di comunicare la sua peculiare
visione del mondo.
E’ da notare che la sua interpretazione della tecnologia,
vista come un modo per raggiungere lo spirituale, è altamente positiva, contrariamente che nell’opera di Sergio
Sarri esaminata prima (pag. 15)
21
Collezione
Permanente
Sala 8
Bruno Ceccobelli
A-pie II, 2003
tecnica mista su tela
cm. 125x76,5
L’artista sceglie per la sua opera degli oggetti
quotidiani, ma vecchi e logori, raccolti nella
spazzatura: due suole di ciabatta sono collocate
sopra una carta da parati usurata e consunta.
Ma le due suole, con i loro brandelli di stoffa,
diventano per l’autore due api in volo, come
suggerisce anche il titolo dell’opera (“A-pie”,
che è anche un gioco di parole, in inglese significa “una torta”)
L’opera è stata realizzata incollando degli
oggetti sulla tela. Potremmo considerarlo, in
prima approssimazione, una sorta di collage, ma ci sono delle importanti differenze.
Mentre il collage è realizzato utilizzando
fotografie o immagini di diverso tipo, qui
siamo di fronte a veri e propri oggetti che
l’artista “preleva” dal mondo reale e incolla sul
supporto. Dunque, quella che in un primo
momento può apparire un’operazione stravagante e fuori dal normale, è in effetti il più
grande esempio di realismo: cosa c’e’ di più
reale degli oggetti, delle cose? Nessun dipinto,
nessuna rappresentazione, può competere con
essi da questo punto di vista.
La composizione è dominata dal colore rosso,
che ci comunica drammaticità e sofferenza,
accentuate dalla scelta non casuale e molto
appropriata di questi oggetti usurati: la carta da
parati scolorita e bruciata e le vecchie suole,
cose che l’uomo ha usato fino ad esaurirle e poi
ha buttato via. Ma c’e’ un messaggio positivo:
le api, che trasformano il polline in miele, sono
il simbolo di una rigenerazione che l’artista
compie trasformando in Arte questi vecchi
oggetti, che sembravano finiti per sempre.
22
?
Ma allora tutto può diventare
arte!?!
Non basta mettere degli oggetti sparsi in un museo per fare
un’opera interessante. Perché
questo accada gli oggetti devono
essere scelti “bene”, cioè devono
essere in grado di comunicare
un’emozione o un’idea. E’ proprio
nella capacità di selezionare gli
elementi dell’opera che si manifesta la bravura dell’artista.
Collezione
del ‘600 e del ‘700 realizzate dunque in un periodo anteriore alla nascita
Bindi dellaLe opere
Scuola di Posillipo possono dividersi in due gruppi.
Nel primo gruppo abbiamo opere che si caratterizzano per il fatto di essere state
realizzate da artisti napoletani che subirono l’influenza delle novità introdotte in
pittura da Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, che soggiornò più volte nella
città partenopea. Tali novità riguardavano soprattutto l’osservazione diretta e la resa
fedele della realtà e l’uso della luce in chiave simbolica e drammatica. Esemplificativa
al riguardo è la Maria Maddalena della scuola di Francesco Solimena
Scuola di Francesco Solimena
Maria Maddalena, fine ‘700
olio su tela, cm. 61x74
La luce, proveniente dall’alto e da
sinistra investe la figura mettendone in
risalto il colore della pelle e l’ampio
panneggio del vestito.
L’uso del chiaroscuro, la precisione
del descrivere le figure e l’intensità dei
colori sono tutte caratteristiche dell’arte
del Solimena e della sua Scuola.
Il teschio è uno degli attributi
della Maddalena. Pentendosi per
la sua condotta dissoluta la donna
induce a riflettere sulla finitezza
della vita umana, e sulla necessità di
avere una condotta dignitosa in vista
della morte e della possibilità della
Resurrezione.
Il teschio, inoltre, è un attributo degli eremiti e, secondo la tradizione,
la Maddalena visse come eremita gli
ultimi anni della sua esistenza.
a
I lunghi capelli sciolti
ricordano l’episodio evangelico in cui la Maddalena dopo
aver bagnato con le lacrime i
piedi di Cristo, li asciugo’ con
i suoi capelli
L’opera è attribuita alla scuola di Francesco Solimena (1675
- 1747) pittore napoletano, tra i
maggiori nella Napoli del ‘600.
La figura ritratta è Maria Maddalena, descritta nel Vangelo come
una nota peccatrice che si presentò
a Gesù per chiedere perdono dei
propri peccati. Inginocchiandosi
davanti a lui bagnò di lacrime i
suoi piedi, asciugandoli poi con i
suoi capelli e profumandoli con un
unguento prezioso.
La Maddalena è ritratta con i suoi
attributi, cioè con quegli elementi
caratteristici che permettono di
identificare la santa.
Il vaso contenente
l’unguento profumato,
con il quale la Maddalena asciugò i piedi di
Cristo, è il suo principale attributo, proprio
perché è direttamente
legato alla storia della
sua redenzione.
25
Collezione
Bindi
Piano
Terra
Sala grande
Sala
piccola
Ingresso
Artisti abruzzesi
In questa sezione sono esposti alcuni dipinti
realizzati da artisti abruzzesi contemporanei di
Bindi. Anche se visse molto tempo a Napoli
Bindi conobbe molti artisti originari della sua
terra natale, stringendo con essi dei solidi legami
di amicizia.
Anche da questi pochi esempi possiamo avere
un quadro molto interessante dell’arte abruzzese
dell’800 e del primo ‘900: sono presenti, infatti,
alcuni dei maggiori artisti della nostra regione
[viene presentata l’opera a pag.28]
26
Enrico Bindi
Una sezione di dipinti è dedicata al figlio di Vincenzo
Bindi: Enrico Bindi, che morì
giovane, a 27 anni, prima del
padre. Questi dipinti ebbero
per Vincenzo un valore affettivo, costituendo un ricordo del
figlio perduto. Enrico, che subì
anche il fascino della Scuola di
Posillipo, si dedicò alla pittura
di marine, personaggi popari
abruzzesi e scene della campagna romana.
Si mostrano qui alcune sue opere, soprattutto delle interessanti
marine di Napoli.
Animali
Qui sono esposti alcuni dipinti della Collezione
che hanno come soggetti degli animali: capre,
mucche, galline, pecore, asini: animali da cortile
umili ma utili all’uomo nello svolgere le quotidiane attività di lavoro. E’ presente una ricca
varietà di dipinti, diversi tra loro sia come stile
che come impostazione, che vanno dagli acquerelli realizzati a Parigi da Consalvo Carelli fino
ai tipici studi di animali di Filippo Palizzi. Molto interessanti sono anche due grandi quadri,
sempre di Consalvo, che ritraggono con dovizia
di particolari alcuni animali nella stalla.
[viene presentata l’opera a pag.27]
Collezione
Bindi
Gli artisti della Scuola di Posillipo, sia quelli che da
costoro presero le mosse, si dedicarono a ritrarre questi
soggetti che, come i personaggi del popolo, erano umili
e modesti.
Questo dipinti, in particolare, furono eseguiti da Consalvo Carelli dopo che una grave malattia agli occhi lo
costrinse ad abbandonare la pittura all’aperto. Per continuare a dipingere affittò un locale al pianterreno, in un
giardino, dove conduceva gli animali che puntualmente
ritraeva, studiandoli dal vero.
Consalvo Carelli
Mucca e vitello
olio su tela
cm. 50x72
La parete della stalla è ritratta
in tutto il suo realismo: rovinata
e piena di crepe, grazie anche ad
una pittura ricca di precisione
ma anche fluida e istintiva.
La mucca e il
vitello vengono
rappresentati nei
minimi dettagli:
si notino le pieghe sul collo della
vacca o i peli
delle orecchie.
Anche in questi quadri, benché non siano dei paesaggi, è evidente
il desiderio da parte dell’artista di riprodurre la realtà. Ma anche qui,
come nei paesaggi, si nota la sua tendenza a rendere gradevole la composizione, con questi due animali che paiono quasi messi in posa.
Nell’altro dipinto la scena viene riprodotta in maniera molto simile, con la posizione
“equilibrata” delle due figure che viene riproposta quasi identica.
Le due opere infatti sono degli studi, cioè
sono fatti proprio allo scopo di indagare, da
parte dell’artista, le possibili qualità pittoriche dei soggetti, anche variando di poco la
composizione.
Per eseguire questi ritratti di animali
si rifaceva ai modelli
della pittura olandese del seicento. In
particolare gli stessi
soggetti dipinti da
Berchem che aveva visto a Parigi al
louvre.
27
Collezione
Bindi
Fanno parte della collezione un gruppo di opere di artisti abruzzesi fra i quali i fratelli Filippo e Nicola Palizzi, Teofilo Patini e
Francesco Paolo Michetti che hanno dato lustro alla nostra Regione, occupando un posto di rilievo nella storia della pittura italiana
dell’Otto-Novecento.
Menzione particolare merita la “Lavandaia” opera fra le più famose
del rosetano Pasquale Celommi.
Pasquale Celommi
La lavandaia
olio su tavola
cm. 34x22
a
Alcune zone sono state lasciate appositamente prive di colore, per far risaltare il legno della tavola sottostante, il
cui colore si sposa perfettamente con
la gamma cromatica del dipinto
Gli orecchini d’oro a cerchio e
la collana di corallo sono tipici
della gioielleria abruzzese: anche
in questo Celommi si rivela un
fine osservatore della realtà che
ritrae.
Nonostante il duro lavoro, la
donna appare gioiosa. I personaggi di Celommi appartengono al popolo abruzzese del quale
l’artista sottolinea la dignità,
l’amore per il lavoro, per le semplici cose quotidiane.
I colori accesi dello scialle e
della collana, l’oro degli orecchini, l’abbagliante bianco della
camicetta e dei panni, i toni
cangianti del grembiule sono
esempi dell’intenso cromatismo
che connota le opere dell’artista
rosetano
I balenii di luce che colpiscono
in più parti la donna, si notino
le mani sulle quali la luce crea
un effetto bagnato, accentuano
la luminosità del dipinto.
28
Anche quest’opera, come tutte
quelle realizzate dall’artista
rosetano, è caratterizzata da un
completo realismo.
Collezione
Bindi
Terzo
Piano
La Scuola di Posillipo
“SCUOLA DI POSILLIPO” era il nome di un gruppo
di artisti Napoletani che avevano l’abitudine di dipingere
dal vero il paesaggio napoletano.
Intorno al 1830 questi artisti iniziarono a realizzare delle vedute in cui una grande abilità nell’osservare i dettagli naturalistici del paesaggio si univa ad una freschezza compositiva
libera dagli schemi precostituiti delle Accademie dell’epoca.
Proprio i pittori accademici, rappresentanti di un’arte “alta”
e pomposa, fredda e solenne, coniarono per questi pittori
l’etichetta “Scuola di Posillipo”, dal nome della collina di
Napoli da dove si “affacciavano” per ritrarre i loro paesaggi. Inconcepibile, per i “grandi” pittori, era questa arte, che
traeva ispirazione dalla realtà e che rappresentava persone
del popolo e luoghi quotidiani. Tutte caratteristiche, invece,
che le rendono ricche di fascino e di interesse.
I Posillipisti
Iniziatore della “Scuola” fu ANTON SMINCK VAN
PITLOO, pittore olandese ma trasferitosi a Napoli negli
anni Venti dell’ottocento. Pitloo adottava una tecnica molto
originale per dipingere “dal vero” i suoi soggetti. Quando si
trovava davanti ad un paesaggio che lo affascinava abbozzava, su un foglio di carta, uno schizzo di questa veduta.
Poi, tornato in studio, completava lo schizzo con i colori ad
olio e lo incollava sulla tela. Questa tecnica, che permetteva di rappresentare il paesaggio con immediatezza e effettiva corrispondenza al dato reale, fu ripresa da quasi tutti i
“Posillipisti” (come venivano anche chiamati questi artisti).
Questi artisti, così disprezzati dalle Accademie, trovavano
sostentamento economico vendendo le loro opere ai turisti
che visitavano Napoli tramite i Grand Tours ottocenteschi.
In questo modo i “Posillipisti” riuscivano a coniugare il loro
amore per la natura, che li portava a dipingere dal vero i
paesaggi di Napoli, con il desiderio dei turisti di riportare
a casa dei souvenirs dei luoghi visitati, come una sorta di
moderne cartoline.
29
Collezione
Bindi
Terzo Piano
SETTORE 2
SETTORE 1
Nella parte iniziale della mostra (SETTORE 1) sono
presenti sia le opere di alcuni artisti antecedenti alla
Scuola di Posillipo, ma che hanno in parte ispirato lo
stile dei Posilliposti, sia quelle dei primi maestri della
Scuola, a cominciare da Pitloo, che ne fu l’iniziatore.
Si prosegue con Giacinto Gigante, Teodoro Duclere e
Raffaele Carelli, che furono tra i primi seguaci di Pitloo
e nelle cui opere sono ben visibili i tratti fondamentali
della Scuola di Posillipo, cioè l’attenzione al dato reale
(al vero) e la rappresentazione di persone comuni.
[vengono presentate le opere a pagg. 31, 32 e 33]
Il settore successivo è tutto dedicato a Consalvo (o
Gonzalvo) Carelli. Figlio di Raffaele Carelli fu anche
suocero di Vincenzo Bindi, che ne aveva sposato la figlia Rosina: per questo motivo la Collezione è molto
ricca di sue opere. Anche se non disponiamo della cronologia esatta di molte di esse, è possibile mettere in
evidenza il percorso ideale di questo artista che, se da
una parte ha avuto come ispiratori diretti gli artisti della Scuola di Posillipo, primo di tutti il padre Raffaele,
ed è lui stesso considerato un membro della Scuola,
ha dall’altra parte congiunto alla originale impostazione artistica dei Posillipisti un gusto molto spiccato per
l’idealizzazione del paesaggio e dei soggetti rappresentati. Se, da una parte, l’artista ci mostrerà la sua abilità
nella resa della realtà, dall’altra vorrà incantarci con la
sua personale visione delle cose rappresentate, grazie
anche ad una capacità tecnica e stilistica che sa ricoprire ogni scena di fascino e di magia.
Iniziamo con un gruppo di opere in cui è ritratto il caratteristico paesaggio napoletano, soprattutto il Golfo
di Napoli.
[viene presentata l’opera a pag. 34]
Quest’altro gruppo di opere è dedicato alla rappresentazione dei fenomeni atmosferici (luce, buio, tempesta, sole) alla cui resa la Scuola di Posillipo dedicò molta attenzione, e che torna in queste opere di Consalvo.
Per un attento osservatore della realtà come Consalvo
Carelli è molto importante studiare gli effetti che la
luce del giorno o della notte produce nei suoi paesaggi.
Effetti che, molto spesso, l’artista utilizza per dotare
i suoi soggetti di un aurea di gradevolezza e quasi di
incanto.
Proseguendo vediamo delle opere in cui, come già
detto, è evidente l’idealizzazione dei paesaggi da parte
dell’artista.
[viene presentata l’opera a pag. 35]
Conclude il settore una parte dedicata ad alcune scene
di genere e aneddotiche.
30
Collezione
Bindi
Jacques-Antoine Volaire
Eruzione del Vesuvio
tempera, cm. 9x14
Questa prima opera è precedente alla nascita della Scuola di Posillipo. E’ stata infatti realizzata nel ‘700 da Volaire, un artista francese che visse
per lungo tempo a Napoli.
Molti furono nel ‘700 gli artisti che ritrassero luoghi
caratteristici del paesaggio campano come souvenirs
per i turisti del Grand Tour.
Volaire si specializzo’nella rappresentazione
dell’eruzione del Vesuvio, realizzando oltre 30 dipinti di questo genere.
In quest’opera osserviamo come
il pittore contrappone alla violenza dell’esplosione la calma piatta
del mare; alla nube rossastra di
fuoco il buio della notte
che nasconde anche la sagoma
del vulcano.
A differenza che in altri dipinti
dell’artista francese, la spettacolarità della scena è data
non dall’inserimento di scene
drammatiche e aneddotiche ma
dall’intensità degli effetti luministici.
Il Vesuvio riprese la sua
attività, che continua
ancora oggi, proprio nel
XVIII secolo, affascinando i pittori che nell’eruzione vedevano l’espressione del sentimento del
sublime, del senso di
sbigottimento, di timore
misto a piacere che le
forze violente
della natura provocano.
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Collezione
Bindi
GIACINTO GIGANTE è il più famoso degli artisti della Scuola di Posillipo. Molto importante per la sua formazione fu l’incontro con il grande
pittore inglese WILLIAM TURNER (1775-1851), che si recò a Napoli
negli anni ’20. Da Turner prese ispirazione per esaltare le qualità tonali e
cromatiche delle sue opere, che in questo modo si caricano di un lirismo e
di una forza emotiva che supera la mera rappresentazione della realtà per approdare in pieno nel Romanticismo. Questo dipinto ci mostra degli uomini
al lavoro in una Cava di pietra a Fiesole, presso Firenze.
Giacinto Gigante
Cava di pietre nel monte di Fiesole
olio su tela, cm. 48x62
Il contrasto tra l’oscurità
della grotta e il chiarore del
paesaggio esterno aumenta
l’effetto tonale della luce e
infonde alla composizione
una forte carica di lirismo.
Sullo sfondo
possiamo notare una veduta di
Firenze. Con un
sapiente uso dello
sfumato l’artista riesce a creare un’atmosfera rarefatta
che ci restituisce le
tonalità atmosferiche della luce.
L’artista descrive in modo
realistico non soltanto gli
uomini al lavoro ma anche i
loro strumenti e gli oggetti di
uso quotidiano.
Lo stesso contrasto tra il buio della caverna e la luce esterna si ritrova
nelle altre due opere di Gigante presenti nella Collezione Bindi: Il Golfo di
Napoli e Grotta dei Cappuccini.
In quest’ultima è interessante notare le dimensioni ridotte: il paesaggio e i
personaggi sono riprodotti in miniatura, con notevole abilità tecnica. Molti
posillipisti si specializzarono nel dipingere opere di piccolo formato che,
essendo più facilmente trasportabili, erano molto richieste dai turisti.
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Collezione
Bindi
Raffaele Carelli
Il porto di Pozzuoli
olio su tela
cm. 41x55
Raffaele Carelli, padre di Consalvo Carelli, fu tra
i primi ad accostarsi alla accademia privata di Pitloo,
tanto da essere considerato tra gli iniziatori della
“Scuola di Posillipo”. Anche in quest’artista è evidente la forte adesione ad una pittura dal vero, che
registra non soltanto la realtà del paesaggio napoletano ma anche il modo in cui gli uomini vivevano a
contatto con esso. Nascono, così, opera come questa,
visivamente affascinanti e dotate di notevole freschezza e vivacità compositiva.
Attraverso l’abile
uso dei colori l’artista
rende le variazioni
atmosferiche legate
ai fenomeni metereologici e al trascorrere
delle ore. Un cielo
terso, limpido, rarefatto, fa da sfondo a
questa scena di vita
quotidiana.
La parte inferiore dell’opera è tutta
dedicata ai pescatori,
rappresentati mentre
svolgono le loro attività
quotidiane: due pescatori tirano a riva la barca
sotto gli occhi di un
giovane ragazzo e di un
uomo che fuma la pipa,
forse un vecchio pescatore. L’artista opera delle
delle caratterizzazioni
che possono sembrare
semplificate, ma il vivace
realismo con il quale
tratta i suoi soggetti li
rende figure a tutto tondo, piene di vita.
Nell’angolo in basso a destra vediamo dei pescatori che
stanno cuocendo il pesce appena pescato. Anche questa scena
è intrisa di un’intensa partecipazione dell’autore alla vita quotidiana di questi uomini di mare.
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Collezione
Bindi
Consalvo Carelli
Il Golfo di Napoli
olio su carta incollata su tela,
cm. 40x57
L’opera rappresenta con grande fedeltà una
veduta del Golfo di Napoli. L’artista si pone, come
punto di vista, sulla collina di Posillipo, come
erano soliti fare i pittori dell’omonima Scuola.
In questo modo il suo occhio può spaziare su una
larga parte del paesaggio da ritrarre, mettendone
in risalto anche la profondità.
E’ evidente anche la scelta, da parte
dell’autore, di una veduta particolarmente
piacevole ed affascinante del paesaggio napoletano, secondo uno stile “cartolina” che, se riusciva a soddisfare il gusto dei turisti acquirenti
delle opere, determinò al contempo una certa
banalizzazione nello stile e nella composizione
delle opere dei Posillipisti.
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Anche se l’intento dell’autore è fortemente
improntato ad una resa reale del paesaggio,
si incontrano anche qui alcuni elementi che
preannunciano la più marcata idealizzazione
presente in altri suoi paesaggi.
Oltre al particolare gustoso del vesuvio che
fuma, è da notare la presenza dell’albero in
primo piano che, esaltando per contrasto l’ampiezza del paesaggio sullo sfondo, sembra essere
stato messo apposta per equilibrare la composizione nella direzione verticale.
L’opera è stata realizzata con la tecnica della carta incollata su tela. L’artista,
infatti, ha disegnato un bozzetto a matita
del paesaggio da ritrarre e, successivamente, tornato in studio, l’ha completato con i
colori ad olio e l’ha attaccato sulla tela per
dargli stabilità
Se, come si vede in questa ricostruzione
di fantasia, togliessimo il colore ad olio
che ricopre la carta, vedremmo un bozzetto del paesaggio, con le sue caratteristiche
essenziali.
Questa tecnica non era fine a se stessa ma,
al contrario, permetteva di riprodurre il
paesaggio con immediatezza ed effettiva
corrispondenza al dato reale, proprio perché legata a quella iniziale visione diretta
che è stata riportata sulla carta.
Collezione
Bindi
Consalvo Carelli
La Grotta della Sibilla
olio su tela,
cm. 98x124
La Grotta della Sibilla, che
si trova a Cuma, vicino Napoli,
era in realtà un cunicolo scavato
dagli antichi romani per scopi
militari.
Ma è evidente che il riferimento
a questo personaggio mitologico,
la Sibilla, che prediceva il futuro
e compiva magie, è tutt’altro che
casuale.
Scegliendo di rappresentare un
luogo reale, ma nel quale la fantasia popolare aveva immaginato
ci fosse la mitica Sibilla, Carelli
ribadisce la sua visione magica e
incantata del paesaggio.
L’opera, che per le sue grandi dimensioni, sembra
quasi far entrare lo spettatore all’interno di questo splendido paesaggio è, come le altre opere, direttamente ispirata alla realtà. Ma a differenza dei quadri dei primi fondatori della Scuola di Posillipo (Pitloo, Gigante, Raffaele
Carelli) l’artista idealizza i suoi soggetti, esaltandone,
cioè, quelle caratteristiche che li rendono gradevoli, affascinanti, stupefacenti. Il paesaggio napoletano si trasforma così in un luogo di sogno, in un paradiso sulla terra in
cui le persone vivono felici a contatto con la natura.
La luce che proviene dal
sorgere del sole rischiara tutta
la scena e illumina dolcemente
la pietra della Grotta. Questo uso fortemente evocativo
della luminosità, unita ai
colori dell’aurora, contribuisce
fortemente a quell’atmosfera
idilliaca, fuori dal tempo, che
è uno dei motivi principali del
grande fascino di quest’opera.
Osservando l’opera accanto, che rappresenta una scena molto simile e ha per soggetto la stessa Grotta della Sibilla, si
più capire come Carelli operasse, di volta in volta, una collocazione molto personale degli elementi della scena. Anche se la
Grotta, il Vesuvio (che qui sta fumando), il mare e l’albero (che
è assente nel quadro precedente) sono elementi visti dal vero,
l’artista realizza una sorta di “collage”, disponendoli nel modo
che gli sembra più gradevole ed equilibrato
La composizione appare organizzata intorno alla
diagonale costituita dal digradare della grotta ed è resa più
equilibrata dalle figure presenti sulla destra. Gli elementi della
natura vengono scelti, collocati e dipinti in maniera tale che
l’insieme dia l’impressione di una piacevole gradevolezzta.
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Bindi
Consalvo Carelli
Ruderi con affreschi
olio su tela,
cm. 105x86
L’opera dimostra a quale punto può spingersi, in Consalvo Carelli, l’idealizzazione della realtà. Il pittore sceglie di rappresentare una
rovina, un soggetto romantico molto caro agli
artisti dell’800. La rovina, infatti, con la sua
carica di mistero, ma anche con il suo testimoniare una passata grandezza ormai ridotta a
frammento, suscita dei sentimenti di stupore e
di incanto. In più Consalvo rappresenta la sua
rovina in maniera quasi surreale, fuori dalla
realtà, perdendo anche, quasi completamente,
la verosimiglianza di altri suoi paesaggi.
Probabilmente anche per il grande fascino
dell’opera, che la rende difficilmente dimenticabile anche dopo un breve sguardo, questa
immagine è stata scelta come logo del sistema
museale giuliese.
Per slanciare e rendere
elegante la sua
rovina Carelli
la fa poggiare
su queste tre
esili colonnine,
senza curarsi di
quanto sia inverosimile che una
tale struttura si
regga su questi
sottili sostegni.
Se confrontiamo l’opera con “Tempio di
Apollo...” sempre di Gonsalvo Carelli osserviamo come quest’ultima appaia più realistica.
Qui in effetti l’artista sembra ritrarre davvero
ciò che vede. L’opera è datata 1900, ormai la
visione idealizzata del paesaggio ha lasciato
posto ai dati oggettivi, completamente spogliati
da quell’estetica delle rovine che caratterizza
l’opera precedente
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La tomba del cavaliere, con la sua carica di
incanto e di meraviglia, contribuisce a darci
questa impressione di trovarci in un mondo
fantastico, fuori dalla realtà. Qui, inoltre, e a
differenza che nelle opere sulla Grotta della
Sibilla, che era almeno un elemento reale del
paesaggio napoletano, l’artista non esita ad
inserire un soggetto completamente inventato, unicamente per accrescere la magia della
scena.
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