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Geometria Differenziale
(senza pretese)
Questo documento è nato per ammazzare il tempo durante
una serie di pomeriggi svuotati di impegni. Era da tempo
che progettavo un riordino di certi concetti, che è culminato
nella riscrittura (e in una certa “sistemazione formale”, che
adeguasse i concetti al mio modo di intuire i fatti che leggevo) di un manoscritto che mi è stato gentilmente regalato
da un compagno di corso. Restano, è ovvio, validi tutti gli
avvertimenti che mi premuro di allegare ai frutti delle mie
elucubrazioni: nulla di tutto questo è originale, quasi tutto
è impreciso, inelegante, laddove non sia irrecuperabilmente,
integralmente errato. Tanto più che le interpolazioni completamente dovute alla mia mano sono afflitte da un grosso
difetto di disomogeneità: a volte le carte vanno da un aperto
alla varietà, a volte viceversa. Ho cercato di unificare notazione e concetto per qualche giorno, ma altri impegni mi
hanno poi distolto dall’impresa. Esiste sicuramente un modo
di evitare certe sconcezze grafico–concettuali, che nel contempo metta al riparo dal rischio di perdersi in un nebuloso
non–sense fatto di definizioni di cui poi non si vede nessuna
incarnazione: esiste, ma io non l’ho (per ora) trovato.
Un punto imprecisato di S2 , 1 gennaio 2010.
2
0
Richiami e notazioni
Introduzione. Dato un insieme X indichiamo con P(X) la collezione
di tutti i sottoinsiemi di X. Chiamiamo P(X) insieme delle parti oppure
insieme potenza di X. Le operazioni insiemistiche di unione e intersezione inducono sull’insieme delle parti una struttura di reticolo, oppure
(è equivalente) di insieme ordinato, con la relazione di inclusione. E’ ad
una sottofamiglia di P(X) che chiederemo alcune proprietà di stabilità,
al fine di costruire una struttura topologica su X.
Definizione 0.1 [Topologia]: Una topologia sull’insieme X è una
sottofamiglia O ⊆ P(X) tale che
• ∅, X ∈ O;
• Se Λ è un insieme arbitrario che indicizza una successione λ 7→ Aλ
S
di elementi di O, si ha λ∈Λ Aλ ∈ O ( stabilità per unioni arbitrarie);
• Se (An ) è una famiglia finita di elementi di O si ha
( stabilità per intersezioni finite).
Tn
j=1 Aj
∈O
Gli elementi di O si dicono aperti, e si dice che un aperto è intorno di
ogni suo punto a ∈ A.
Osservazione. L’operazione di complementazione induce su P(X) un
antiautomorfismo di reticoli (dualità di De Morgan) che rende possibile
una definizione alternativa di topologia: si tratta di una sottofamiglia
C ⊂ P(X) tale che
• ∅, X ∈ C;
•
•
T
λ∈Λ
Sn
Aλ ∈ O per ogni famiglia di indici (Aλ )λ∈Λ ;
j=1 Aj
∈ O per ogni famiglia finita di indici (Aj )nj=1 .
L’equivalenza delle due definizioni è facile da provare, alla luce della
sunnominata dualità di De Morgan.
Una topologia su un insieme è univocamente determinata dall’assegnazione dei suoi aperti o dei suoi chiusi. Uno spazio topologico è una
coppia (X, OX ), dove OX è una topologia su X. Dato un insieme X, la
collezione di tutte le topologie su X è un insieme, parzialmente ordinato
dalla relazione di finezza: O Q se Q se tutti gli aperti di O sono
aperti di Q.
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Definizione 0.2 [Base]: Una base di una topologia è un sottoinsieme
B della topologia O tale che ogni elemento di O sia unione arbitraria di
elementi di B.
Uno spazio topologico si dice a base numerabile se esiste una base B
di O che è un insieme di cardinalità numerabile.
Definizione 0.3 [Funzione Continua]: Dati due spazi topologici (X, OX ),
(Y, OY ) è ben nota1 la definizione di morfismo di spazi topologici (o funzione continua): f : X → Y è continua se per ogni aperto V ∈ OY si ha
f ← (V ) ∈ OX (la controimmagine di un aperto mediante f è ancora un
aperto).
Spesso si scrive che f è continua quando f ← (OY ) ⊆ OX , con ovvio
significato della notazione.
Definizione 0.4 [Topologia Indotta]: Dato uno spazio topologico
(X, OX ) e un sottoinsieme S ⊂ X, si può dotare naturalmente S di una
topologia OS = {S ∩ U | U ∈ OX }, fatta dalle tracce di aperti di X su
S: la topologia così ottenuta si dice topologia indotta da X su S.
La topologia indotta da X su S è la più piccola che rende continua
la funzione di inclusione ι : S ֒→ X.
Definizione 0.5 [Topologia Prodotto]: Consideriamo due spazi topologici (X, OX ), (Y, OY ): il prodotto cartesiano X ×Y può essere dotato
in modo canonico di una struttura topologica, ponendo OX×Y = {A×B |
A ∈ OX , B ∈ OY }.
Su X × Y vi sono delle ovvie mappe canoniche di proiezione πX : X ×
Y → X, πY : X × Y → Y , (x, y) 7→ x, (x, y) 7→ y: la topologia prodotto è
la topologia meno fine a rendere continue le proiezioni. Se f : X → Y1 ×Y2
è una funzione, essa è continua se e solo se lo sono le sue proiezioni2 : deve
commutare il diagramma
Y1
v X HHH
HH
vv
v
HH
v
f
HH
vv
v
H$
zvv
o
/ Y2
Y1 × Y2
π1
(1)
π2
1
Pur se a prima vista non molto naturale: a questo proposito. . .
L’insieme di questi fatti equivale a dire che il prodotto di spazi topologici così
definito è un prodotto in Top, la categoria degli spazi topologici.
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Non è difficile osservare che, se f : X → Y è funzione tra spazi topologici,
e tanto più difficile per f essere continua quanto più fine è la topologia
sull’insieme di arrivo, e tanto meno fine è quella sull’insieme di partenza. Non è banale allora quando, raffinando la topologia su Y , f resta
continua: studiamo in particolare la topologia più fine su Y che rende
continua f .
Definizione 0.6 [Topologia Quoziente]: La topologia quoziente su
Y rispetto a f : (X, OX ) → Y è data da
Of = {U ⊂ Y | f ← (U) ∈ OX }
E’ chiara la proprietà di massimalità: se A è un’altra topologia che rende
f continua, Of la contiene.
Esauriti questi preliminari (volti per lo più a fissare le notazioni del
seguito, anche se forse perderemo in fretta questa abitudine), partiamo
con il discorso introduttivo principale.
1
Teoria delle Superfici Reali.
Raccogliamo alcune definizioni di partenza, e risultati di base, relativi
alla teoria delle superficie in R3 .
Definizione 1.1 [Superficie Regolare]: Un sottoinsieme S ⊂ R3 si
dice superficie regolare se, per ogni p ∈ S, esistono un intorno V ⊂ R3 e
una mappa ϕ(·) : U → V ∩ S da un aperto U di R2 in V ∩ S (che, nella
topologia indotta su S, è aperto) tale che
1. ϕ(·) sia (infinitamente) differenziabile, ossia se scriviamo
ϕ(u, v) = (x(u, v), y(u, v), z(u, v)),
le funzioni x(·), y(·), z(·) : U → R sono (infinitamente) differenziabili in U;
2. ϕ sia un omeomorfismo con l’immagine ϕ(U);
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3. per ogni q ∈ U il differenziale dϕq : R2 → R3 sia iniettivo. Ciò
equivale a chiedere che il rango dello jacobiano di ϕ(·),


xu xv


rk  yu yv 
zu zv
sia uguale a 2. Ancora, è equivalente chiedere che in ogni punto di
U si abbia kϕu ∧ ϕv k =
6 0.
La mappa ϕ(·) si chiama parametrizzazione locale di S. L’intorno V ∩ S
di p in S si chiama intorno coordinato.
Si mostra che la definizione è ben posta a meno di C∞ −diffeomorfismi,
nel senso che se p ∈ S superficie regolare, e ϕ(·) : U → S, ψ(·) : V → S,
tali che p ∈ W = ϕ(U) ∩ ψ(V ), allora la mappa η = ϕ−1 ◦ ψ : ψ −1 (W ) →
ϕ−1 (W ) è un diffeormorfismo.
Funzioni differenziabili. Se f : V ⊂ S → R è una funzione definita
su un aperto V di S, superficie regolare in R3 , essa si dice differenziabile in p ∈ V se esiste una parametrizzazione locale ϕ : U ⊂ R2 → S,
con p ∈ ϕ(U) ⊂ V tale che la composizione f ◦ ϕ : U ⊂ R2 → R sia
differenziabile in (un intorno di) ϕ−1 (p) ∈ U. La definizione è ben posta
(non dipende da ϕ(·)), infatti presa un’altra parametrizzazione ψ(·), il
cambio di coordinate è diffeomorfismo: f ◦ ψ = f ◦ ϕ ◦ η (che è ancora
C∞ −differenziabile).
Questa definizione si riesce a estendere facilmente al caso di una mappa tra due superfici regolari: f : S1 → S2 si dice differenziabile in p ∈ S1
se esistono due parametrizzazioni ϕ1 : U1 → S1 , ϕ2 : U2 → S2 , con
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5
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p ∈ ϕ1 (U1 ), f (ϕ1 (U1 )) ⊂ ϕ2 (U2 ), tali che ϕ−1
2 ◦ f ◦ ϕ1 : U1 → U2 sia
differenziabile come usuale mappa di aperti in q = ϕ−1
1 (p). In sostanza,
si impone la commutazione a
SO 1
f
/
SO 2
ϕ1
(2)
ϕ2
U1
ϕ−1
2 ◦f ◦ϕ1
/
U2
La mappa di aperti fe = ϕ−1
2 ◦ f ◦ ϕ1 si dice espressione locale di f .
Due superfici regolari S1 , S2 si dicono diffeomorfe se esiste una biiezione differenziabile in entrambi i versi da S1 a S2 .
Piano tangente a S. Ricordando la condizione 3 di (1.1), data una
superficie regolare S e una sua parametrizzazione ϕ(·) : U → S ha senso
definire il piano tangente in p a S come
Tp S := dϕq (R2 )
ove al solito q = ϕ−1 (p). Data l’iniettività di dϕq infatti Tp S è un piano
affine in R3 , ed è facile mostrare che esso non dipende dalla parametrizzazione scelta. Se p = ϕ(q) i due vettori {∂u ϕ(q), ∂v ϕ(q)} formano una
base di Tp S. La nozione di piano tangente è intimamente connessa a
quella di curva differenziabile con sostegno su S, nel senso che segue.
Una curva α : I ⊂ R → S si dice differenziabile in t0 se esiste
una parametrizzazione ϕ : U → S tale che α(t0 ) ∈ ϕ(U) e α(t) =
ϕ(u(t), v(t)), dove u(·), v(·) : I → R sono differenziabili in t0 (la funzione ᾱ(t) = (u(t), v(t)) è detta pull–back di α, ed è definita in modo tale
che ϕ ◦ ᾱ = α).
E’ facile mostrare che Tp S coincide con l’insieme dei vettori tangenti
in p alle curve differenziabili tracciate su S e passanti per p: si ha infatti
che
α̇(t0 ) = u̇(t0 )∂u ϕ(q) + v̇(t0 )∂v ϕ(q) ∈ Tp S
˙ 0 ) nella base naturale indot(è il vettore di coordinate (u̇(t0 ), v̇(t0 )) = ᾱ(t
ta dalla parametrizzazione) e viceversa se w ∈ Tp S si ha w = λ∂u ϕ(q) +
µ∂v ϕ(q), ove q = (u0, v0 ), posto α(t) = ϕ(u0 + λt, v0 + µt), si ha α(0) = p,
α̇(0) = w.
6
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Differenziale di una applicazione tra superfici. Sia f : S1 → S2
un’applicazione differenziabile tra due superfici regolari. Sia p ∈ S1 . Per
quanto osservato sopra, ogni vettore w ∈ Tp S1 è il vettore tangente α̇(t0 )
di una qualche curva differenziabile α che ha sostegno su S, tale che
α(t0 ) = p. Se definiamo la curva β(t) := f (α(t)), abbiamo β(t0 ) = f (p) e
β̇(t0 ) ∈ Tf (p) S2 . Potendosi mostrare che β̇(t0 ) è un vettore indipendente
dalla scelta di α, si definisce una mappa
dfp : Tp S1 → Tf (p) S2
dfp (w) = β̇(t0 ) = df (α(t0 ))α̇(t0 )
(3)
Si mostra direttamente che tale mappa è lineare: dfp (·) si dice differenziale di f in p.
Osservazione. Siano S1 , S2 superfici regolari, f : S1 → S2 , p ∈ S1 ,
ϕ : U1 → S1 , ψ : U2 → S2 due parametrizzazioni locali di S1 , S2 tali
che ϕ(U1 ) ∋ p, ψ(U2 ) ∋ f (p). Sia poi q = (q1 , q2 ) tale che ϕ(q) = p, e
fe(u, v) l’espressione locale di f . Allora dfp : Tp S1 → Tf (p) S2 ha matrice
Jac fe(q)
∂ fe (q) ∂v fe1 (q)
= u e1
∂u f2 (q) ∂v fe2 (q)
!
(4)
nelle basi {∂u ϕ, ∂v ϕ} su Tp S1 , {∂u ψ, ∂v ψ} su Tf (p) S2 .
Prima forma fondamentale. La restrizione dell’applicazione bilineare standard (di matrice identica nella base canonica di R3 ) induce su ogni
piano tangente un prodotto scalare denotato con h· | ·ip . Questo induce a
sua volta in modo naturale una norma su Tp S, definita da
Ip (w) := hw | wip = kwk2p
(5)
questa applicazione bilineare si dice prima forma fondamentale di S.
La prima forma fondamentale ha una naturale espressione in coordinate locali: se ϕ : U → S è una parametrizzazione, e p ∈ varphi(U),
p = ϕ(q), ogni w ∈ Tp S è combinazione lineare dei vettori di base
{∂u ϕ(q), ∂v ϕ(q)}: w = λ∂u ϕ(q) + µ∂v ϕ(q), pertanto
Ip (w) = hλ∂u ϕ(q) + µ∂v ϕ(q) | λ∂u ϕ(q) + µ∂v ϕ(q)ip =
= h∂u ϕ(q) | ∂u ϕ(q)i λ2 + 2 h∂u ϕ(q) | ∂v ϕ(q)i λµ + h∂v ϕ(q) | ∂v ϕ(q)i µ2 :=
:= Eλ2 + 2F λµ + Gµ2 (6)
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7
8
dove E(u, v) = h∂u ϕ(q) | ∂u ϕ(q)i, F (u, v) = h∂u ϕ(q) | ∂v ϕ(q)i, G(u, v) =
h∂v ϕ(q) | ∂v ϕ(q)i. Le funzioni (differenziabili al variare di p ∈ ϕ(U))
E(·), F (·), G(·) sono i coefficienti metrici della prima forma fondamentale
di S. Si osservi che Ip (w) si può anche esprimere come
λ µ
E F
F G
!
!
λ
.
µ
(7)
Notiamo che la matrice della prima forma fondamentale (che è, per inciso
la matrice di Grahm del prodotto scalare canonico nella base naturale di
Tp S) è definita positiva grazie alla disuguaglianza di Cauchy–Schwarz.
Lunghezze, Angoli, Aree. La prima forma fondamentale di S permette di calcolare, in modo intrinseco (cioè senza far ricorso ad argomenti
coinvolgenti l’immersione di S in Rì3) la lunghezza di curve su S, l’angolo
tra due curve su S e di misurare l’area di una regione di S:
• Prendiamo come al solito una parametrizzazione ϕ : U → S, e sia
α(t) = ϕ(ᾱ(t)) : [a, b] → S (ᾱ = (u(t), v(t)) è il pull–back di α)
una curva differenziabile di estremi p1 , p2 su S. La lunghezza di
α è definita dal funzionale L : C ∞ (p) → R (C ∞ (p) è definito informalmente come l’insieme delle curve differenziabili a supporto
contenuto in S),
L(α) =
Z
b
a
kα̇(t)k dt;
poiché si ha α̇(t) = ∂u ϕu̇ + ∂v ϕv̇ abbiamo che
L(α) =
Z
b
a
√
E u̇2 + 2F u̇v̇ + Gv̇ 2 dt.
(8)
• L’angolo ϑ tra due curve regolari in C ∞ (p), α : I → S, β : J → S,
che si intersecano in t0 si definisce intuitivamente come l’angolo
formato su Tp S dai rispettivi vettori tangenti:
cos ϑ =
8
D
α̇(t0 ) | β̇(t0 )
E
p
kα̇(t0 )k β̇(t0 )
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9
in particolare l’angolo tra due curve coordinate di una parametrizzazione locale ϕ3 è dato da
cos ϑc =
h∂u ϕ | ∂v ϕi
F
=√
k∂u ϕk k∂v ϕk
EG
Da ciò segue immediatamente che una superficie ha curve coordinate tra loro ortogonali se e solo se F ≡ 0 (ossia se la matrice di Ip
nella base naturale è diagonale).
• Diciamo dominio su S un sottoinsieme D di S aperto e connesso
nella topologia indotta, tale che esista un omeomorfismo h : S1 →
∂D, differenziabile almeno a tratti. Se D è un dominio su S, diremo
regione di S la chiusura di D, D. Siamo ora interessati al calcolo
dell’area di una regione di S.
Sia ϕ : U → S una parametrizzazione di S, R ⊂ ϕ(U) una regione
di S. Diciamo Q = ϕ← (R): allora l’area di R è data (grazie ad una
formula analoga in Analisi Matematica e alla formula del cambio
di variabili: l’integrale si suppone alla Lebesgue per evitare fastidi)
da
ZZ
µ(R) :=
k∂u ϕ ∧ ∂v ϕk dudv
(9)
ϕ← (R)
e poiché k∂u ϕ ∧ ∂v ϕk2 = k∂u ϕk2 k∂v ϕk2 − h∂u ϕ | ∂v ϕi2 , si ha anche
ZZ √
µ(R) =
EG − F 2 dudv
Q
3
Le curve coordinate sono definite come le curve in C ∞ (p) che hanno per pull–back
una delle rette coordinate u =cost., v =cost.
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Il calcolo di lunghezze, angoli e aree si risolve dunque completamente tornando indietro (pulling–back. . . ) all’aperto coordinato che parametrizza
S.
Seconda Forma Fondamentale. Sia S una superficie regolare, ϕ : U →
S una parametrizzazione locale. Per ogni p = ϕ(q) ∈ ϕ(U) il vettore
N(p) :=
∂u ϕ ∧ ∂v ϕ
k∂u ϕ ∧ ∂v ϕk
(10)
è normale a Tp S e di norma unitaria. Abbiamo allora una mappa differenziabile N : ϕ(U) → R3 che associa ad ogni p ∈ ϕ(U) un versore
N(p).
Se la superficie S ammette in ogni punto un campo di versori normali,
e se tale campo vettoriale è differenziabile su tutto il dominio, S si dice
orientabile. La scelta di una orientazione su S è la scelta di un tale campo
differenziabile. Esistono superfici non orientabili: quella di dimensione
minima è il nastro di Möbius in R3 .
Definizione 1.2 [Mappa di Gauss]: Sia S una superficie dotata dell’orientazione N: quest’applicazione, vista come N : S → S2 , si dice mappa
di Gauss di S.
Il differenziale dNp di N in p ∈ S è lineare da Tp S a TN(p) S2 =
Tp S (visto come piano parallelo), e quindi possiamo pensare che dNp ∈
End(Tp S). Si mostra direttamente che dNp è autoaggiunto: ossia
hdNp (x) | yip = hx | dNp (y)ip ,
∀ x, y ∈ Tp S
Definizione 1.3 [Seconda Forma Fondamentale]: La seconda forma fondamentale IIp in Tp S è definita da
IIp (w, w) := − hdNp (w) | wi ,
∀ w ∈ Tp S
(11)
Anche la seconda forma fondamentale di S ha un’espressione in coordinate locali: se ϕ è una parametrizzazione di S abbiamo
IIp (∂u ϕ, ∂u ϕ) = − hdNp (∂u ϕ) | ∂u ϕi = − h∂u N | ∂u ϕi = hN | ∂uu ϕi
IIp (∂u ϕ, ∂v ϕ) = − hdNp (∂u ϕ) | ∂v ϕi = − h∂u N | ∂v ϕi = hN | ∂uv ϕi
IIp (∂v ϕ, ∂u ϕ) = − hdNp (∂v ϕ) | ∂v ϕi = − h∂v N | ∂v ϕi = hN | ∂vv ϕi
10
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11
Se allora poniamo e = hN | ∂uu ϕi, f = hN | ∂uv ϕi, g = hN | ∂vv ϕi, otteniamo i coefficienti metrici della seconda forma fondamentale di S (rispetto
alla base naturale su Tp S).
Particolare importanza acquistano gli invarianti di similitudine di
dNp : definiamo allora
Definizione 1.4 [Curvatura Media, Curvatura Gaussiana]: Sia
p ∈ S superficie regolare, dNp : Tp S → Tp S il differenziale della mappa
di Gauss. Si definiscono la curvatura gaussiana K e la curvatura media
H come
1
K(p) := det dNp
H(p) := − tr dNp
2
Le curvature di S si scrivono in funzione dei coefficienti metrici della
prima e seconda forma fondamentale di S:
K=
eg − f 2
EG − F 2
H=
1 eG − 2f F + Eg
2
EG − F 2
Si ha però un risultato non banale, dovuto a Gauss:
Teorema 1.1 [Egregium di Gauss]: La curvatura gaussiana di S è
intrinseca, si esprime cioè in funzione dei coefficienti metrici della sola
prima forma fondamentale, e delle loro derivate prime e seconde4 .
Dimostrazione. Per brevità cominceremo ad indicare ϕw = ∂w ϕ. Se S è
una superficie liscia con una carta (U, ϕ), la terna {ϕu , ϕv , N} è in ogni
punto una base di R3 : dunque le derivate dei vettori del riferimento si
devono poter esprimere come combinazioni lineari dei vettori del riferiv
mento stesso: supponiamo S ⊂ R3 e N = kϕϕuu ×ϕ
, e cambiamo notazioni
×ϕv k
intendendo (u, v) = (u1, u2 ) e con ϕj la derivata rispetto a uj . Allora
devono esistere delle funzioni Γijh , ηij , αij ∈ C∞ (U) tali che





4
∂2ϕ
= Γij1 ϕ1 + Γij2 ϕ2 + ηij N
∂xi ∂xj

∂(N ◦ ϕ)


= α1j ϕ1 + α2j ϕ2

∂xj
(⋆)
Vale la pena di riportare il testo come enunciato dallo stesso Gauss nelle Disquisitiones generales circa superficies curvas: “Formula itaque [. . . ] sponte perducit ad egregium theorema: si superficies curva in quamcumque aliam superficiem
explicantur, mensura curvaturae in singulis punctis invariata manet.”
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12
in particolare le αij devono coincidere con le entrate della matrice dell’applicazione di Weingarten, e le ηij sono i coefficienti della seconda forma
fondamentale. Le funzioni Γijk : U → R sono dette coefficienti di Christoffel della carta ϕ: grazie alla regola di Schwarz per le derivate di ordine
superiore al primo ne otteniamo la simmetria rispetto agli indici in basso.
Lemma 1.1 : Sia S ⊂ R3 una superficie liscia e sia ϕ : U → S una sua
carta. Per ogni i, j = 1, 2 si ha
Γij1
Γij2
!
1 g11 g12
=
2 g21 g22
!−1  ∂gj1
 ∂ui
∂gj2
∂ui
+
+
∂gi1
∂uj
∂gi2
∂uj
−
−

∂gij
∂u1 
∂gij
∂u2
ove con gij si sono indicate le entrate della prima forma fondamentale:
E = g11 , F = g12 = g21 , G = g22 . Esplicitando queste relazioni con le
notazioni di Gauss si ha
!
1
Γ11
E F
=
2
Γ11
F G
!
1
E F
Γ12
=
2
F G
Γ12
!
1
E F
Γ22
=
2
F G
Γ22
!−1
!−1
!−1
1 ∂E
2 ∂u1
∂F
∂E
− 21 ∂u
∂u1
2
1
2
1
2
∂E
∂u2
∂G
∂u1
∂F
∂u2
!
1 ∂G
2 ∂u1
1 ∂G
2 ∂u2
−
!
!
(12)
La dimostrazione si ottiene moltiplicando scalarmente le (⋆) per ϕ1 , ϕ2 :
ad esempio se fissiamo i = j = 1 otteniamo

1


EΓ11
1 ∂
1 ∂E
hϕ1 | ϕ1 i =
2 ∂u1
2 ∂u1
∂F
1 ∂E
∂

1
2

F Γ11 + GΓ11 = hϕ11 | ϕ2 i =
hϕ1 | ϕ2 i − hϕ1 | ϕ12 i =
−
∂u1
∂u1 2 ∂u2
2
+ F Γ11
= hϕ11 | ϕ1 i =
In maniera analoga si giunge a determinare le altre.
Corollario. I coefficienti di Christoffel si riescono ad esprimere come
quantità relate ai soli coefficienti metrici gij e alle loro derivate del primo
e secondo ordine. Risulta allora immediato che ogni altra quantità che si
riesca a scrivere con i soli simboli di Christoffel è intrinseca alla superficie.
Proprio questa sarà la strada che seguiremo, mostrando che i coefficienti
della seconda forma fondamentale si riescono a scrivere con i coefficienti
di Christoffel.
12
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13
Teorema 1.2 [Gauss–Codazzi–Mainardi]: Sia S ⊂ R3 una superficie liscia, (U, ϕ) una sua carta, allora vale
η11 η22 −
2
η12
=
2
X
r=1
"
g1r
2
r
X
∂Γ22
∂Γr
m r
m r
(Γ22
Γm1 − Γ21
Γm2 )
− 21 +
∂u1
∂u2
m=1
#
2
∂η12 ∂η11 X
r
r
ηr1 − Γ11
ηr2 ) = 0
−
+ (Γ12
∂u1
∂u2 r=1
2
∂η22 ∂η21 X
r
r
ηr1 − Γ21
ηr2 ) = 0
−
+ (Γ22
∂u1
∂u2 r=1
(G)
(CM1)
(CM2)
La dimostrazione procede derivando le (⋆) rispetto a uk :
ϕijk
∂Γij1
∂Γij2
∂ηij
1
=
ϕ1 + Γij ϕ1k +
ϕ2 + Γij2 ϕ2k +
N + ηij Nk
∂uk
∂uk
∂uk
che per le stesse (⋆) è uguale a
∂Γij2
∂Γij1
1
2
1
2
ϕ1 + Γij1 (Γ1k
ϕ1 + Γ1k
ϕ2 + η1k N) +
ϕ2 + Γij2 (Γ1k
ϕ1 + Γ1k
ϕ2 + η2k N)+
∂uk
∂uk
"
#
∂ηij
∂Γij
1 1
2 1
+
N − ηij (α1k ϕ1 + α2k ϕ2 ) =
+ Γij Γ1k + Γij Γ2k − ηij α1k ϕ1 +
∂uk
∂uk
"
#
"
#
∂Γij1
∂ηij
1 2
2 2
1
2
+
+ Γij Γ1k + Γij Γ2k − ηij α2k ϕ2 + Γij η1k + Γij η2k +
N
∂uk
∂uk
ϕijk =
ora scambiando j e k otteniamo
ϕikj
"
#
"
#
∂Γik1
∂Γik
1
1
2
2
+ Γik1 Γ1j
+ Γik2 Γ2j
− ηik α1j ϕ1 +
+ Γik1 Γ1j
+ Γik2 Γ2j
− ηik α2j ϕ2 +
=
∂uj
∂uj
"
#
∂ηik
1
2
+ Γik η1j + Γik η2j +
N
∂uj
e invocando il teorema di Schwarz già usato prima, abbiamo che i coefficienti di ϕijk e ϕikj devono essere funzionalmente coincidenti. Ma allora
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13
14
otteniamo tre uguaglianze
∂Γik
∂Γij
1
1
1
1
+ Γij1 Γ1k
+ Γij2 Γ2k
− ηij α1k =
+ Γik1 Γ1j
+ Γik2 Γ2j
− ηik α1j
∂uk
∂uj
∂Γij1
∂Γ1
2
2
2
2
+ Γij1 Γ1k
+ Γij2 Γ2k
− ηij α2k = ik + Γik1 Γ1j
+ Γik2 Γ2j
− ηik α2j
∂uk
∂uj
∂Γij1
∂ηik
2
2
+ Γij1 Γ1k
+ Γij2 Γ2k
− ηij α2k =Γik1 η1j + Γik2 η2j +
∂uk
∂uj
riordinando i termini dell’ultima, si ottengono le relazioni di Codazzi–
Mainardi scritte in (CM). Le altre due, con manipolazioni simili, porgono
η22 α11 − η12 α12 =
η22 α21 − η21 α22 =
2
1
X
∂Γ22
∂Γ1
m 1
m 1
(Γ22
Γm1 − Γ21
Γm2 )
− 21 +
∂u1
∂u2
m=1
2
2
X
∂Γ2
∂Γ22
m 2
m 2
(Γ22
Γm1 − Γ21
Γm2 )
− 21 +
∂u1
∂u2
m=1
se ora definiamo
Tr =
2
r
X
∂Γr
∂Γ22
m r
(Γm Γr − Γ21
Γm2 )
− 21 +
∂u1
∂u2 m=1 22 m1
abbiamo la forma matriciale
α11 α12
α21 α22
cioè
η11 η12
η21 η22
!
!
!
T1
η22
=
−η21
T2
!
η22
g
g
= 11 12
−η21
g21 g22
!
!
T1
T2
!
ricordando la relazione tra le matrici delle forme fondamentali e quella
dell’applicazione di Weingarten. Poi, prendendo la prima entrata, si
ottengono le relazioni di (G). A questo punto segue la tesi originaria,
2
η η22 −η12
perché K = g11
2 , e il numeratore det IIϕp si può esprimere con i soli
11 g22 −g12
coefficienti di Christoffel.
14
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15
Osservazione (Formula di Brioschi per il calcolo di K). Vale la relazione
esplicita
"
!
1
1
1
E F
(Fuv − Evv − Guu det
+
K=
2
2
F G
(EG − F )
2
2



1
1
1
0
E
F
−
E
E
0
u
u
v
2
2
2 v
1

1
+ det 
E
E
E
Fv − 2 Gu
 − det  2 Ev
1
1
G
F
G
G
F
2 v
2 u
Dimostrazione. E’ un conto diretto (parecchio tedioso).
2
1
G
2 u


F 
 (13)
G
Superfici Astratte
ap
Se U, V ⊂ Rn è nota la definizione di applicazione Ck (U, V ). Sono di
facile dimostrazione i risultati seguenti:
• Se F : U → Rm è di classe Ck , ogni sua restrizione a V ⊂ U,
F |V : V → Rm resta di classe Ck . In particolare l’identità di Rn in
sè è di classe C∞ , e dunque tutte le inclusioni ιS : S ⊂ Rn sono di
classe C∞ .
• La composizione di applicazioni Ch , Ck è una applicazione di classe
Cmin(h,k) .
ap
Un diffeomorfismo di classe Ck è una biiezione F : U → V ove U, V ⊂ Rn
tale che sia F sia la sua inversa siano di classe Ck .
Questa nozione si estende naturalmente al caso in cui F : X → Y sia
una generica funzione di insiemi: se X ⊂ Rn
• F : X → Rm si dice di classe Ck se per ogni x ∈ X esistono un
intorno aperto Ux di x e una mappa tra aperti φx : Ux → Rm che
sia Ck nel senso usuale.
• se X, Y ⊂ Rm , F : X → Y si dice Ck se la composizione di F con
l’inclusione canonica è di classe Ck nel senso sopra detto.
• F : X → Y si dirà diffeomorfismo di classe Ck se è biiettiva e di
classe Ck in entrambi i versi.
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15
16
• Composizione/restrizione di applicazioni Ck è Ck .
Definizione 2.1 [Carta Locale]: Sia (X, OX ) uno spazio topologico
di Hausdorff a base numerabile. Una carta locale o n–sistema di coordinate locali è una coppia (U, φU ) ove U è un aperto di X e φU è un
omeomorfismo da U in un aperto di Rn . Due carte (U, φU ), (V, φV )si
dicono differenzialmente Ck –compatibili se la funzione
φV ◦ φ−1
u : φU (U ∩ V ) → φV (U ∩ V )
è un diffeomorfismo di classe Ck .
Le funzioni componenti di una carta φU (p) = (x1 (p), . . . , xn (p)) si
dicono coordinate locali in U. Talvolta U si dirà aperto coordinatizzato
da φU .
Osservazione. Ovviamente se due carte sono Ck –compatibili sono anche
Ch –compatibili per ogni h ≤ k.
Definizione 2.2 : La funzione φV ◦φ−1
U si dice mappa di transizione dalle
coordinate di U a quelle di V . Quel che si chiede a due carte compatibili
è di essere uguali a meno di un diffeomorfismo di classe Ck .
Definizione 2.3 [Atlante]: Un n–atlante differenziabile di classe Ck
nello spazio topologico X è una famiglia fi n–carte locali {(Uλ , φλ )}λ∈Λ
tale che U = {Uλ }λ∈Λ sia un ricoprimento di X e che le carte locali siano
tutte a due a due differenzialmente Ck compatibili.
Definizione 2.4 [Varietà differenziale di classe Ck ]: Una varietà
differenziale di classe Ck è uno spazio topologico di Hausdorff (X, OX )
a base numerabile dotato di un n–atlante differenziabile di classe Ck .
Si dice anche che tale atlante definisce su X una struttura di varietà
differenziabile di classe Ck .
La dimensione della varietà è la dimensione di un qualunque aperto
nel quale una carta mappa aperti della varietà X. Tale nozione è ben
posta perché se (U, φ), (V, ψ) sono due carte la mappa di transizione è un
diffeomorfismo tra aperti dello stesso Rn e dunque conserva la dimensione:
la funzione x 7→ dimx X che manda x nella dimensione di X in un intorno
di x è costante su ogni componente connessa di X (e dunque su tutto X
se ci limitiamo a studiare varietà connesse).
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17
Osservazione. Da ora in poi “differenziabile” e “di classe C∞ ” diventano
sinonimi: le diversità col caso Ck sono minime, e costituiscono un facile
esercizio di interpolazione vigile.
Definizione 2.5 [Atlanti Equivalenti]: Due atlanti {(Uλ , φλ )}λ∈Λ ,
{(Vµ , ψµ )}µ∈M si dicono equivalenti se la loro unione
{(Uλ , Vµ ; φλ, ψµ )}(λ,µ)∈Λ×M
è ancora un atlante differenziabile. Equivalentemente due atlanti sono
equivalenti se ciascuna carta dell’uno è differenzialmente compatibile con
ciascuna carta dell’altro. L’unione di tutti gli n–atlanti equivalenti di una
varietà data si dice il suo atlante massimale.
Facciamo alcuni esempi:
1. Rn stesso è una varietà differenziabile di dimensione n: un suo
atlante è dato dall’unica carta (Rn , id).
ap
2. Ogni U ⊂ Rn è una varietà differenziabile di dimensione n: un suo
atlante è dato dall’unica carta (U, ι), ove ι è l’inclusione canonica
id |U .
3. Più in generale ogni aperto di X nella topologia indotta dall’ambiente è una varietà differenziabile della stessa dimensione. Se
{(Uλ , φλ )}λ∈Λ è un atlante di X, un atlante della sottovarietà S ⊂
X è dato da
{(Uλ ∩ S, φλ |Uλ ∩S )}λ∈ΛS
ove ΛS = {λ ∈ Λ | Uλ ∩ S 6= ∅}.
4. Ogni sottoinsieme D discreto in uno spazio topologico X è una varietà di dimensione 0, e ha come atlante la famiglia {({pi }, φi)}i∈I ,
ove {pi }i è una enumerazione degli elementi di D e φi : {pi } → {0}
manda pi in 0.
L’importanza della definizione data è la possibilità di estendere gli
strumenti del Calcolo a funzioni tra sottoinsiemi qualunque (purchè abbastanza regolari) dei vari spazi euclidei.
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18
Definizione 2.6 [Varietà Diffeomorfe – Morfismo di Varietà]:
Siano X, Y due varietà differenziabile di dimensioni n, m. Una applicazione F : X → Y si dice differenziabile o morfismo di varietà se nel
diagramma commutativo
RO n
•
/
RO m
ψµ
φλ
X ∩ Uλ
F
/
Y ∩ Vµ
l’applicazione ψµ ◦F ◦φ−1
λ è differenziabile come mappa di aperti usuali. Se
tale funzione è un diffeomorfismo, F , F −1 sono diffeomorfismi di varietà.
Alcune costruzioni che generalizzano le definizioni appena date:
• Se {Mβ }β∈B è una famiglia di varietà differenziabile, l’unione di`
sgiunta β∈B Mβ ha una naturale struttura di varietà differenziabile
indotta dall’atlante
G
A=
Aβ
β∈B
ove gli Aβ sono atlanti degli Mβ .
• Se M, N sono varietà differenziabile possiamo porre sul prodotto
cartesiano M × N una naturale struttura di varietà differenziabile.
Siano {(Uλ , φλ)} e {(Vµ , ψµ )} atlanti di M ed N rispettivamente.
Allora un atlante di M × N è definito da
{(Uλ × Vµ , φλ × ψµ )}
ove φλ ×ψµ : Uλ ×Vµ → Rm+n manda (p, q) ∈ Uλ ×Vµ in φλ (p), ψµ (q))
(con questa definizione di “prodotto”, se (U ′ , φ′U ), (V ′ ; ψV′ ) sono carte locali su X, Y diverse da (U, φU ), (V ; ψV ) esse sono compatibili).
• Sia M una varietà differenziabile, e G un gruppo che agisce su
M in modo liscio (cioè per ogni g ∈ G la mappa m 7→ g ⋆ m è
differenziabile), propriamente discontinuo e senza punti fissi (i.e.
per ogni m ∈ M esiste un intorno aperto A di m tale che (g ⋆
A) ∩ A 6= ∅ =⇒ g = idG , tale aperto viene detto aperto buono).
Allora il quoziente dato dall’insieme delle orbite sotto l’azione di
G ha una naturale struttura di varietà differenziabile: un atlante
18
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19
di X = M/G è dato da tutte le carte del tipo (π(U), φU ◦ π|−1
U ) al
variare di U tra gli aperti buoni (π è la proiezione sul quoziente).
Per mostrare ciò bisogna mostrare che nel diagramma
M/G
id
M/G
O
O
π|V
π|U
Uo
π|−1
U ◦π|V
V
φ
ψ
Rm o
•
Rm
−1
l’applicazione φ ◦ π|−1
U ◦ π|V ◦ ψ . ove (U, φ), (V, ψ) sono due carte
date, è differenziabile. A sua volta ciò equivale a mostrare che
−1
π|−1
U ◦ π|V è differenziabile. Se u ∈ U, v ∈ V sono tali che π|U ◦
π|V (v) = u, cioè π|V (v) = π|U (u), allora u ∈ [v], cioè esiste g ∈ G
tale che u = g ⋆ v. Per continuità dell’azione di gruppo esiste tutto
un intorno W di v tale che g⋆W ⊂ U, e π|−1
U ◦π|V (W ) ⊆ U. Per ogni
altro w ∈ W si ha π(g ⋆w) = π(w) = π|U (π|−1
U ◦π|V (w)), ed essendo
π|U biiettiva, in particolare iniettiva, su W si ha π|−1
U ◦ π|V ≡ g ⋆ #,
moltiplicazione per g, liscia per ipotesi.
Definizione 2.7 [Superficie]: Uno spazio topologico X tale che per
ap
ogni x ∈ X esiste U ⊂ X, intorno di x che sia omeomorfo a un aperto di
R2 si dice superficie.
Definizione 2.8 : S ⊂ Rn si dice superficie se per ogni p ∈ S esistono
ap
ap
U ⊂ R2 , V ⊂ Rn e un omeomorfismo f : U → S ∩ V . L’applicazione f si
dice carta locale o parametrizzazione di S.
La definizione di atlante è la stessa: una famiglia di carte {(Uλ , fλ )}λ∈Λ
tale che U = {Uλ }λ∈Λ sia un ricoprimento aperto di S e tale che tutte le
carte siano a due a due differenzialmente compatibili (cioè
fµ−1 ◦ fλ : fλ (Uλ ∩ Uµ ) → fµ (Uλ ∩ Uµ )
è un diffeomorfismo.
Alcuni esempi geometrici
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19
20
1. Un piano affine σ ⊂ R3 è generato da due vettori linearmente indipendenti a, b, che possiamo senza perdita di generalità supporre
ortogonali e di norma unitaria,e passa per un dato punto p0 . Allora
σ si parametrizza con un’unica carta (R2 , f ), ove
f : (u, v) 7−→ p0 + ua + vb
l’inversa si scrive facilmente come g : p 7−→ ((p − p0 ) · a, (p − p0 ) · b).
Inoltre f, g sono continue, dunque omeomorfismi.
Osservazione. Componendo queste stesse mappe con l’inclusione
canonica, si trova che ogni U ⊂ σ è una superficie omeomorfa al
piano su cui vive.
2. La sfera S2 = {x ∈ R3 | x · x = 1}. Ne offriamo diverse parametrizzazioni:
— Parametrizzazione geografica: presi due angoli (φ, ϑ) (longitudine e latitudine), costruiamo la carta
f (ϑ, φ) =
i
cos ϑ cos φ
cos ϑ sin φ
sin ϑ
h
che manda diffeomorficamente − π2 , π2 ×]0, 2π[ in S2 \{(x, y, z) ∈
R3 | x ≥ 0, y = 0}. Una seconda carta si ottiene dalla prima
con la composizione di due rotazioni (quindi resta diffeomorfismo), una di π attorno all’asse z e una di π/2 attorno a
x:
x
g(ϑ, φ) = Rπ/2
◦ Rπz ◦ f (ϑ, φ) =
−cosϑ cos φ
− sin ϑ
− cos ϑ sin φ
— Parametrizzazione cartesiana Esplicitando
√ la terza variabile in funzione delle altre due si ha z = ± 1 − x2 − y 2 , due
carte che parametrizzano S2 \ {z = 0}: allo stesso modo esplicitando x(y, z) e y(x, z) si ottengono altre 4 carte con cui
ricoprire tutta S2 .
— Parametrizzazione stereografica: diamo una parametrizzazione per la generica Sn ֒→ Rn+1 . L’idea è considerare
20
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21
Sn \ {N, S}, ove N = en+1 , S = −en+1 sono i due poli della
sfera, e definire le due funzioni
φN : Sn \ {N} → Rn
φS : Sn \ {S} → Rn
(14)
definite da φN (P ) = (N ∨ P ) ∩ {xn+1 = 0}, φS (P ) = (S ∨
P ) ∩ {xn+1 = 0}. Prendiamo φN : la retta N ∨ P è quella di
equazione parametrica (tx, 1 + t(xn+1 − 1)): deve essere allora
1 + t(xn+1 − 1) = 0, che implica t = 1−x1n+1 . Allora
φN (x, xn+1 ) =
ιRn+1
(x, 0)
x
֒→
1 − xn+1
1 − xn+1
le componenti di φ( P ) sono funzioni razionali delle coordinate
di (x, xn+1 ), dunque continue nel loro dominio. L’inversa di
φN è la funzione che manda P ′ = x in (N ∨ P ′) ∩ S2 : si ha
N ∨ P ′ = (tx, (1 − t)) ∈ S2 ⇐⇒ t2 x · x − 2t + t2 = 0
cioè t =
2
:
1+x·x
allora
x·x−1
2x
,
1+x·x 1+x·x
funzione visibilmente differenziabile per ogni x ∈ Rn . Si noti
che φN (N) = ∞n , nel senso che questa mappa induce una
compattificazione (detta di Alexandrov) di Rn . Considerazioni
analoghe portano a scrivere φS (x, xn+1 ) = 1+xxn+1 e
′
φ−1
N (P ) =
′
φ−1
S (P ) =
2x
1+x·x
,
1−x·x
1+x·x
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21
22
Osservazione. Si possono dare carte geografiche e cartesiane per
la sfera Sn := {x ∈ Rn+1 | x · x = 1}?
Osservazione (La sfera come superficie di Riemann). Identifichiamo
R2 e C con l’isomorfismo usuale  : (x, y) 7→ x + iy. Allora possiamo
interpretare le mappe φN , φS come applicazioni da S2 \ {N}, S2 \ {S} in
C, ponendo
φN (p) =
p2
p1
+i
1 − p3
1 − p3
φS (p) =
p1
p2
+i
1 + p3
1 + p3
Si trova subito che l’inversa di φN è
φ−1
N (z) =
1
2
2
Rez,
2
Imz,
|z|
−
1
1 + |z|2
e se σ : C → C è il coniugio, e poniamo ψ = σ ◦ φS si ha
ψ −1 (z) =
1
2
2
Rez,
−2
Imz,
1
−
|z|
1 + |z|2
E’ allora facile osservare che la composizione φN ◦ψ −1 è un biolomorfismo
(involutorio) di C \ {0} in sè:
Θ(z) =
z
1
= .
2
|z|
z̄
Da ciò segue che S2 è una varietà complessa di dimensione (complessa)
1, ossia una superficie di Riemann: prende il nome di sfera di Riemann
(la costruzione classica del biolomorfismo si trova, tra le altre in [1]).
Tori reali. Consideriamo l’azione libera e propriamente discontinua,
senza punti fissi, di Z2 su R2 . L’insieme delle orbite rispetto a questa
azione può essere dotato della topologia quoziente, di modo che π : R2 →
R2 /Z2 =: T2 sia continua.
Notiamo che π è una mappa aperta: se A ⊂ R2 è aperto si ha infatti
π ← (π(A)) =
[
(ζ + A)
ζ∈Z2
e poichè ζ + A è aperto per ogni ζ, la tesi segue. Costruiamo ora su T2
una struttura di varietà differenziabile reale: sia ǫ > 0 tale che kζk > 2ǫ
22
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23
per ogni ζ ∈ Z2 \ {(0, 0)}. Sia p ∈ T2 , p = π(x) per qualche x = ( xx12 ).
Sia poi D(x, ǫ) il disco aperto di centro x e raggio ǫ.
π|D(x,ǫ) è iniettiva, continua e aperta, dunque è un omeomorfismo sull’immagine. Se poniamo U = π|D(x,ǫ)(D(x, ǫ)), φ = π|−1
D(x,ǫ) , allora (U, φ) è
una carta locale attorno a p. Sia ora p ∈ U1 ∩U2 , U1 = π|D(x1 ,ǫ)(D(x1 , ǫ)),
U2 = π|D(x2 ,ǫ) (D(x2 , ǫ)). Se poniamo T (x) = (φ2 ◦ φ−1
1 )(x), abbiamo
T (x) = φ2 (π(x)), da cui π(T (x)) = π(x), per ogni x ∈ φ1 (U1 ∩ U2 ). Da
ciò segue che
T (x) = x + ζ(x),
ζ(x) ∈ Z2
Ma ora, ζ : φ1 (U1 ∩U2 ) → Z2 è continua su un discreto, dunque è costante.
Pertanto i cambi di coordinate T sono traslazioni, in particolare sono
differenziabili.
Osservazione. T2 si dice toro reale di dimensione 2. Come mostrare
che è compatto?
Germi di funzioni. Sia C∞ (p, S) l’anello delle funzioni differenziabili
in un intorno di p ∈ S. Diciamo che f, g hanno lo stesso germe in p se
esiste un intorno V di p dove f ≡ g. Questa relazione è un’equivalenza
(verifica diretta). Indichiamo con [f ] la classe di equivalenza di f in
C ∞ (p) = C∞ (p, S)/∼: è possibile dotare questo quoziente di una naturale
struttura di R–algebra, ponendo
[f ] + [g] = [f + g]
α[f ] = [αf ]
[f ][g] = [f g].
Definizione 2.9 [Anello Differenziale, Derivazione]: Un anello
differenziale (commutativo) è un anello unitario (R, +, ·) dotato di una
operazione ∂ : R → R lineare e Leibniz:
∂(a + b) = ∂(a) + ∂(b)
∂(a · b) = ∂(a) · b + a · ∂(b)
L’applicazione ∂ : R → R si dice R–derivazione.
In quanto segue però una derivazione sarà una applicazione v : C ∞ (p) →
R che sia lineare e Leibniz (si può aggirare l’ostacolo mostrando che. . . ?).
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23
24
Se a questo punto definiamo come vettore tangente in p a S una derivazione di C ∞ (p), e con Tp S l’insieme di tutti i vettori tangenti siffatti, Tp S acquista naturalmente struttura di spazio vettoriale, in quanto
sottospazio del duale di C ∞ (p).
Notiamo che se v ∈ Tp S esiste una curva differenziabile con supporto
su S tale che α(t0 ) = v. Allora se poniamo
df (α(t))
|t=t0
dt
si ottiene effettivamente una R–derivazione di C ∞ (p).
v([f ]) :=
3
Strutture Riemanniane
Definizione 3.1 : Sia S una superficie astratta. Una metrica (o struttura) riemanniana su S è una corrispondenza p 7→ h· | ·ip che associa ad
ogni punto p ∈ S un prodotto scalare su Tp S, che dipende differenziabilmente da p nel senso che segue: se (U, ϕ) è una carta locale attorno a p
e ∂1 ϕ|q , ∂2 ϕ|q sono i campi coordinati, allora le funzioni
gij (p) = h∂i ϕ | ∂j ϕi
sono differenziabili in U: g (che come notato prima è la matrice di Grahm
del prodotto scalare nella base naturale di Tp S, dunque definita positiva in ogni punto di U) è in modo naturale assimilabile a un tensore
simmetrico di rango 2, dato che si può scrivere v = v1 ∂1 ϕ + v2 ∂2 ϕ,
w = w1 ∂1 ϕ + w2 ∂2 ϕ e
g(v, w)(p) =
2
X
vi wj gij (p)
i,j=1
Una superficie geometrica sarà invece il dato di una superficie astratta
S e di una struttura riemanniana su S.
E’ chiaro che questa condizione non dipende dalla carta ϕ. Denoteremo una struttura riemanniana su S con h· | ·i o indifferentemente con
g. Questa nozione permette di definire, analogamente a quanto visto per
le superfici reali, la lunghezza di un arco di curva su S e la distanza tra
due punti su S (concetto però più delicato).
L(α) =
24
Z
b
a
q
hα̇(t) | α̇(t)iα(t) dt
d : S × S → R, (p, q) 7→ inf L(α)
α∈Γ
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25
ove Γ è l’insieme degli archi di curva differenziabili almeno a tratti che
uniscono p a q.
Definizione 3.2 [Isometria]: Siano (S1 , gi), (S2 , g2 ) due superfici geometriche. Un diffeomorfismo F : S1 → S2 si dice isometria se vale
g2 (dFp (v), dFp (w))(F (p)) = g1 (v, w)(p)
(15)
per ogni v, w ∈ Tp S e per ogni p ∈ S1 . Si dice invece isometria locale in p
una F : S1 → S2 tale che esiste U intorno di p in S1 tale che F : U → F (U)
sia un diffeomorfismo che verifica la (15).
Diamo alcuni esempi di superfici geometriche.
• Se S è il piano reale R2 , con l’unica carta (R2 , id), abbiamo
gij (p) = h∂i id | ∂j idi = δij
g(·) definisce allora la struttura euclidea standard su R2 .
• Sulla sfera S2 con le carte stereografiche, chiamiamo x = (x1 , x2 )
le coordinate locali nella carta φN e y = (y1 , y2 ) quelle nella carta
φS . Definiamo
4
gx,11 (p) =
= gx,22 (p)
(1 + + x22 )2
gx,12 (p) = 0 = gx,21 (p)
4
gy,11 (p) =
= gy,22 (p)
2
(1 + y1 + y22 )2
gy,12 (p) = 0 = gy,21 (p)
x21
Non è difficile controllare che le gx,ij , gy,hk definiscono una struttura
riemanniana su S2 : basta notare che lo jacobiano della mappa di
transizione φN ◦ φ−1
S è
Jac(d(φN ◦
φ−1
S ))(u, v)
1
−u2 + v 2 −2uv
= 2
−2uv
u2 − v 2
(u + v 2 )2
!
(16)
e che tra le gx,hk , gy,ij sussiste la relazione
gy,ij =
2
X
∂xh ∂xk
gx,ij ,
h,k=1 ∂yi ∂yj
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25
26
ossia gy = J t gx J, ove J = Jac(d(φN ◦φ−1
S )). La metrica così definita
2
su R si dice stereografica. Essa è dotata di alcune interessanti
proprietà geometriche: osserviamo anzitutto che le antimmagini
di meridiani sulla sfera sono semirette uscenti dall’origine in R2 .
E’ ragionevole allora che la loro lunghezza, rispetto alla metrica
stereografica sul piano sia π. E infatti se ᾱ(t) = (at, bt) abbiamo
L(f (ᾱ(t)) = L(α) =
Z
+∞
0
q
I(α̇) dt =
Z
+∞
0
2
dt = π
1 + t2
Con un identico ragionamento sui pull–back la lunghezza stereografica dei paralleli parametrizzati da β(t) = f (r cos t, r sin t) è
L(β) =
Z
2π
0
4πr
2r
dt =
.
2
1+r
1 + r2
r→∞
Il fatto che L(β) −−−→ 0 è in accordo col fatto intuitivo per cui la
lunghezza stereografica delle circonferenze, all’aumentare del raggio, diventa sempre più piccola.
Altra proprietà interessante è che la metrica stereografica è conforme (ossia rispetta gli angoli). Ciò segue dal fatto che l’angolo tra
due vettori di Rì2 calcolato rispetto alla metrica euclidea e rispetto
alla metrica stereografica è lo stesso.
• (Semipiano di Poincaré – Piano iperbolico). Sia
n
o
S = R × R>0 = ( xy ) ∈ R2 | y > 0 ;
S è un aperto del piano reale e quindi è banalmente una superficie
astratta (con l’unica carta data dall’inclusione canonica). Definiamo
1
= g22 (x, y)
y2
= 0 = g21
g11 (x, y) =
g12
Le gij definiscono su S una struttura riemanniana. Denotiamo da
ora S con H (mediante la consuetudine classica). La superficie
geometrica (H, g) si dice semipiano di Poincaré. Un conto diretto
(usando (13)) mostra che KH = −1.
26
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27
Si è visto che il piano e la sfera hanno una struttura (più o meno
nascosta) di superfici di Riemann: possiamo notare infatti che H =
{z ∈ C | Imz > 0}, e pensare H come aperto di C, varietà di
dimensione complessa 1. Sia ora
∆ = {z ∈ C | |z| < 1}
il disco di raggio 1 nel piano di Gauss. Definiamo la metrica
g̃(u, v) =
4
(1 −
u2
− v 2 )2
I
per ogni z = u+iv ∈ ∆. La metrica riemanniana così definita prende il nome di metrica iperbolica, e la superficie geometrica (∆, g̃) si
dice disco iperbolico. E’ da notare che la mappa
f: C→C
z 7→
z−i
z+i
è un biolomorfismo tra H e ∆ (si mostra anche, direttamente, che
f : (H, g) → (∆, g̃) è una isometria).
Strutture Complesse su Superfici. Definiamo l’operatore di Laplace–
Beltrami sulla superficie geometrica (S, g) come l’analogo del laplaciano
che già si conosce dalla teoria degli operatori differenziali vettoriali: lì
∆f = div grad f , e qui, se f è una funzione differenziabile in un intorno
di p ∈ S,
!
2
1 X
∂ q
∂f
△f = q
,
(17)
|g|g ij
∂x
∂xj
i
|g| i,j=1
dove |g| = | det g|, e g ij è la componente ij della matrice inversa di g. La
condizione di armonicità per f è allora




2
2
∂f 
∂ X
∂ X
1j ∂f 
g
g 2j
+
=0
△f = 0 =
∂x1 j=1 ∂xj
∂x2 j=1 ∂xj
(18)
Se poniamo
q
ω1 = − |g|
2
X
j=1
g 2j
∂f
∂xj
ω2 =
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q
|g|
2
X
j=1
g 1j
∂f
∂xj
27
28
1
1
− ∂ω
= 0, che si traduce nella chiusura
la condizione (18) diventa ∂ω
∂x1
∂x2
della forma differenziale Ω = ω1 dx1 + ω2 dx2 .
Supponiamo ora di avere una soluzione all’equazione △f = 0 in un
intorno convesso U di p ∈ S, tale che dfp 6= 0. Poichè U è convesso e Ω è
ivi chiusa, è anche esatta, ossia esiste una h tale che Ω = dh su U. Se in
2
q X
∂f
∂h
= − |g|
g 2j
∂x1
∂xj
j=1
(19)
2
q X
∂f
∂h
= |g|
g 1j
∂x2
∂xj
j=1
esplicitiamo
∂f
, ∂f
∂x1 ∂x2
(20)
troviamo
!
q
∂h
∂f
∂h
= |g| g 22
+ g 12
∂x1
∂x2
∂x1
!
q
∂f
11 ∂h
21 ∂h
= − |g| g
+g
∂x2
∂x2
∂x1
(21)
(22)
Ora, dalle (19,20) otteniamo
P
2
q
X
∂f ∂f
∂f ∂h
∂f ∂h
g ij
−
= |g|
∂x1 ∂x2 ∂x2 ∂x1
∂xi ∂xj
i,j=1
∂f ∂f
è il prodotto scalare indotto da g sul duale
Notiamo che 2i,j=1 g ij ∂x
i ∂xj
del piano tangente a S. Pertanto l’equazione precedente diventa
q
∂f ∂h
∂f ∂h
−
= |g| hdf | df i .
∂x1 ∂x2 ∂x2 ∂x1
Allo stesso modo da (21,22) si trovano le
q
∂f ∂h
∂f ∂h
−
= |g| hdh | dhi
∂x1 ∂x2 ∂x2 ∂x1
q
∂h ∂h
∂h ∂h
0=
−
= |g| hdf | dhi
∂x2 ∂x1 ∂x1 ∂x2
Quindi su U si hanno le identità hdh | dhi = hdf | df i e hdf | dhi = 0.
Poiché dfp 6= 0 possiamo assumere (a meno di restringere U) che df sia
diverso da zero su U. Pertanto
hdf | df i = hdh | dhi > 0,
28
hdf | dhi = 0
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29
Poniamo

y
1
y 2
= f (x1 , x2 )
= h(x1 , x2 )
;
le (y1 , y2 ) definiscono coordinate locali su U, e si dicono coordinate isoterme. Infatti
det
∂y1
∂x1
∂y2
∂x1
∂y1
∂x2
∂y2
∂x2
!
∂f
∂x2
∂h
∂x2
∂f
∂x1
∂h
∂x1
= det
!
=
q
|g| hdf | df i > 0
Come si esprime la metrica g in queste coordinate? Non è difficile trovare
che si ha
gy11 = hdf | df i = gy22 ,
gy12 = gy21 = 0
e ricordando che g ij è la componente ij della matrice inversa di g, otteniamo che su U g ha un’espressione del tipo λ(y)I, ove λ(y) = hdf | df i−1 ,
che è compatibile con il cambio di coordinate: se in U ′ ci sono coordinate
(y1′ , y2′ ) si ha

!
∂y ′
1
λ′ (y ′)
0
 ∂y1′
g′ =
=
∂y2
0
λ′ (y ′ )
∂y1

∂y1′ t
∂y2 
∂y2′
∂y2
!  ∂y′
1
λ(y) 0
 ∂y1′
∂y2
0
λ(y)
∂y1

∂y1′
∂y2 
∂y2′
∂y2
= J t gJ
se J = Jac τ , con τ mappa di transizione tra due carte nell’intersezione
dei dominî. Esplicitando le relazioni nascoste nel prodotto di matrici lì
sopra si ottiene




∂y1′
∂y1
!2
+
!2
+
∂y1′
∂y1′
∂y1′
∂y2
∂y2′
∂y1
∂y2′
∂y2
!2 
 λ(y)
= λ′ (y ′ )
!2 
 λ(y)
= λ′ (y ′ )
∂y2′ ∂y2′
+
=0
∂y1 ∂y2 ∂y1 ∂y2
(23)
ossia in ogni punto di U deve valere una (e una sola) tra le relazioni
seguenti
 ′
 ′
′
′
 ∂y1 = ∂y2
 ∂y1 = − ∂y2
∂y1
∂y2
∂y1
∂y2
′
 ∂y1
∂y2
∂y ′
= − ∂y12
′
 ∂y1
∂y2
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=
∂y2′
∂y1
29
30
che sono equivalenti alle relazioni di (anti)olomorfia per τ . Da ultimo,
si usa un argomento di connessione per mostrare che in U solo una delle
precedenti relazioni può sussistere. In conclusione si ha il
Teorema 3.1 : Ogni punto di una superficie geometrica (S, g) ha un
intorno in cui esistono coordinate isoterme. Il legame tra due sistemi
di coordinate isoterme su uno stesso intorno è espresso da una funzione
olomorfa o antiolomorfa.
Corollario. Su ogni superficie geometrica orientabile (S, g) esiste una
struttura di superficie di Riemann (cfr. [4] per una prova).
A
Costruzione di T♣♠ (V )
Nel seguito, ogni spazio vettoriale è di dimensione finita sul (su un)
corpo K. Definiamo come spazio duale di V lo spazio vettoriale delle
applicazioni lineari da V su K: si scrive V ∗ := Hom(V, K).
La dimensione (su K) di V è
dimK V ∗ = dimK Hom(V, K) = dimK V · dimK K = dimK V
Fissata una base V = {v1 , . . . , vn } di V , una base di V ∗ è fatta da
{v1∗ , . . . , vn∗ }, ove vj∗ : V → K è definita da vj∗ (vi ) = δij , intendendo δij
come il simbolo di Kronecker.
Lo spazio V è (non canonicamente) isomorfo al suo duale, mediante
P
P
la mappa che manda u = ni=1 αi vi in u∗ = ni=1 ζi vi∗ .
Definizione A.1 [Applicazione Bilineare]: Siano U, V spazi vettoriali di dimensione finita su K, in particolare sia dimK U = m, dimK V =
n. Una applicazione bilineare tra U e V è una applicazione g : U ×V → K
che sia lineare in ciascuna delle due variabili. L’insieme Bil(U × V, K)
delle applicazioni bilineari da U × V in K è uno spazio vettoriale di
dimensione finita su K e vale
dimK Bil(U × V, K) = dimK U · dimK V = mn
Una sua base è costituita dall’insieme delle applicazioni ǫij definite da
ǫij (ur , vs ) =
30

1
se (i, j) = (r, s)
0 altrimenti
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31
Una applicazione bilineare non degenere tra V e il suo duale si dice
dualità: l’applicazione bilineare
◦: V × V ∗ → K
(v, ξ) 7−→ v ◦ ξ = ξ(v) ∈ K
è non degenere: essa si dice dualità canonica tra V e V ∗ . Fissato un vettore v ∈ V , essa si “fattorizza” come ϕv = ◦(v, ·) : V ∗ → K: è la mappa che
manda ξ in ξ(v) per v ∈ V fissato. In tal modo ϕv ∈ Hom(V ∗ , K) =: V ∗∗ .
Gli spazi V e V ∗∗ sono allora canonicamente isomorfi mediante la mappa
di “valutazione” evv : V → V ∗∗ che manda v in ϕv .
Osservazione. na data applicazione bilineare g non degenere induce gli
isomorfismi di spazi vettoriali
Hom(V, U ∗ ) ∼
= Bil(U × V, K) ∼
= Hom(U, V ∗ )
dati dalle mappe v 7→ g(·, v) e u 7→ g(u, ·)
Dietro queste relazioni così piacevolmente simmetriche si nasconde
una struttura molto più generale, chiamata prodotto tensoriale U ⊗ V
dei due spazi U e V . Di esso esistono varie definizioni, ordinate per
generalità e astrattezza crescente.
Definizione A.2 [Prodotto tensoriale di due spazi vettoriali]:
Si definisce
1. U ⊗ V è lo spazio vettoriale una cui base è fatta dalle mn scritture
1≤j≤n
.
formali {ui ⊗ vj }1≤i≤m
2. U ⊗V è lo spazio vettoriale Bil(U ×V, K)∗ = Hom(Bil(U ×V, K), K).
Un elemento di U ⊗ V si può allora pensare come un morfismo di
spazi vettoriali che manda α ∈ Bil(U × V, K) in α(u, v) per fissati
u, v ∈ U × V . Resta allora definita una mappa
⊗: U × V → U ⊗ V
(u, v) 7→ u ⊗ v
di modo che (u ⊗ v)(α) = α(u, v). Tale mappa permette di definire,
dualmente, il prodotto di due elementi di U ∗ , V ∗ come ξ ⊗ η ∈
Bil(U × V, K) = U ∗ ⊗ V ∗ , di modo che ξ ⊗ η(u, v) = (ξ ◦ u)(η ◦ v)
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31
32
3. U ⊗ V è l’unico spazio vettoriale che soddisfi alla proprietà universale seguente: comunque dati un terzo spazio vettoriale Z di
dimensione finita e una applicazione bilineare g : U × V → Z esiste
un’unica φ : U ⊗ V → Z lineare, tale che risulti g = φ ◦ ⊗. Deve
insomma commutare il diagramma
U ×V
g
⊗
/
U ⊗V




 φ


 
Z
Delle tre definizioni date l’ultima è la più utile perchè permette di
mostrare all’istante che valgono le proprietà formali di
• Associatività: U ⊗ (V ⊗ W ) ∼
= (U ⊗ V ) ⊗ W
• Commutatività: U ⊗ V ∼
=V ⊗U
Inoltre (fatto implicitamente usato nella seconda definizione), si trova
facilmente che U ⊗ V e U ∗ ⊗ V ∗ sono in dualità, i.e. (U ⊗ V )∗ ∼
= U ∗ ⊗ V ∗.
Quest’ultimo fatto in particolare si mostra esibendo l’applicazione (bilineare non degenere, la verifica è immediata) definita da (v ⊗u, v ∗ ⊗u∗ ) 7→
(v ◦ v ∗ )(u ◦ u∗ ): notando poi che data una g : V × U → Z bilineare non
degenere l’applicazione v 7→ g(v, ·) mette in isomorfismo Bil(V × U, Z)
con Hom(V, Hom(U, Z)), la proprietà universale del prodotto tensoriale
si può riscrivere
Hom(V ⊗ U, Z) ∼
= Hom(V, Hom(U, Z)) ∼
= Hom(U, Hom(V, Z))
Mettendo insieme questi due risultati si ha
V ∗ ⊗ U∗ ∼
= Hom(V ⊗ U, K) ∼
= Hom(V, Hom(U, K)) ∼
= Hom(V, U ∗ )
e ponendo U in luogo di U ∗ si conclude che V ∗ ⊗ U ∼
= Hom(V, U).
∗
∗
A v ⊗ w corrisponde l’applicazione x 7→ (v ◦ x)w. Questa corrispondenza si estende poi per linearità. Mettendo assieme tutto quanto
si mostra l’associatività, di modo che
(V ⊗ U) ⊗ Z ∼
= Hom(V ∗ ⊗ U, Z) ∼
= Hom(V ∗ , Hom(U ∗ , Z)) ∼
=
∗
∼
∼
= V ⊗ Hom(U , Z) = V ⊗ (U ⊗ Z)
32
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Osservazione. Lo spazio Bil(V1 × V2 , Z) coincide con Hom(V1 ⊗ V2 , Z),
così come lo spazio delle applicazioni r–lineari da V1 ×. . . Vr su Z coincide
con Hom(V1 ⊗ · · · ⊗ Vr , Z): la prova si fa per induzione.
La trattazione diventa interessante nel caso particolare in cui U =
⊗j
V : in tal caso
 possiamo costruire la successione di spazi {V }j∈N e
V ⊗j := V ⊗ · · · ⊗ V
jvolte
e a partire da questi defini{V ∗⊗j }j∈N :  ∗⊗j
∗
∗
V
:= V ⊗ · · · ⊗ V
jvolte
re
Th (V ) := V ⊗h
T k (V ) := V ∗⊗k
Thk (V ) := Th (V ) ⊗ T k (V )
e la loro somma diretta infinita
T• (V ) :=
M
Th (V )
T • (V ) :=
h∈N
M
T k (V )
T (V ) :=
k∈N
M
Thk (V )
(h,k)∈N×N
Notiamo alcune cose:
• dimK T (V ) = ∞, dato che dimK Thk (V ) = (dimK V )h+k , successione
divergente non appena dimK V > 0.
• Resta definita una operazione binaria in T (V ), tra elementi dei vari
T k (V ), Th (V ):
⊗ : T i(V ) × T j (V ) → T i+j (V )
(α, β) 7→ α ⊗ β
Ora (T (V ), ⊗) è un’algebra associativa su K: essa prende il nome di algebra tensoriale su V . A questo punto la sua struttura di anello permette
di definire molti oggetti già noti come quozienti di T (V ) modulo suoi
opportuni ideali. Qualche esempio di particolare interesse:
• L’algebra simmetrica (covariante):
K
(V ) := T• (V )/hv ⊗ u − u ⊗ vi
Non è difficile mostrare che l’algebra simmetrica è isomorfa all’algebra dei polinomi nelle indeterminate X1 , . . . , XdimK V ; un esempio
di questa corrispondenza si nota nel momento in cui a una forma
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34
bilineare g : V × V → K corrisponde un polinomio (omogeneo) di
secondo grado nelle variabili X1 , . . . , XdimK V . Non è difficile definire un operazione di simmetrizzazione di modo che il prodotto
simmetrico di una k-upla di vettori sia
v1 ⊙ · · · ⊙ vk =
1 X
vσ(1) ⊗ · · · ⊗ vσ(k)
k! σ∈S(n)
(S(n) è il gruppo delle permutazioni di n oggetti).
• L’algebra antisimmetrica (o esterna, di cui dopo segue una costruzione alternativa più “analitica”):
^
(V ) := T• (V )/hv ⊗ vi
V
Tale
spazio è sempre di dimensione finita, e precisamente dimK k (V ) =
n
, ove n = dimK V . In particolare la dimensione è 0 non appena
k
k > n.
V
L’algebra simmetrica (V ) può anche essere definita come spazio vettoriale delle forme r–lineari alternanti da V × · · · × V su K. Se A
è un insieme, indichiamo come di consueto con A × · · · × A = Ak il
prodotto cartesiano di k copie di A. Ora, dati una qualunque applicazione f : Ak → B, un elementox = (x1 , . . . , xn ) ∈ An (k ≤ n) e
una funzione I : {1, . . . , k} → {1, . . . , n}, scriviamo f (xI ) per indicare
f (xI(1) , . . . xI(k) ): chiameremo la funzione I(·) un multiindice di ordine
k. Elenchiamo alcune proprietà dei multiindici:
• Anzitutto, se k = n ed I è biiettiva, essa coincide con una permutazione σ ∈ S(n), insieme che è un gruppo rispetto all’operazione di composizione, e sugli elementi del quale resta definito un
epimorfismo di gruppi detto parità:
sgn : S(n) → {±1}
Y σ(i) − σ(j)
sgn (σ) :=
i−j
i<j
• Dati due numeri naturali k ≤ n indichiamo con Ikn l’insieme delle
funzioni strettamente crescenti I : {1, . . . , k} → {1, . . . , n}: se k ≤
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35
n ≤ r, I ∈ Ikn , J ∈ Inr la funzione composta J ◦ I appartiene a
Ikr . se poi I, J sono due generici multiindici (non necessariamente
crescenti), definiamo il loro vee
I ∨ J : {1, . . . , h + k} → {1, . . . , n}
I ∨ J(x) =

I(x)
se1 ≤ x ≤ h
J(x − h) seh + 1 ≤ x ≤ h + k
• In particolare se I ∈ Ihh+k e J ∈ Ikh+k sono tali che im I ∩ im J =
∅, il loro vee sta in S(h + k) e possiamo calcolarne la parità:
avremo in particolare una proprietà di antisimmetria, sgn (I ∨ J) =
l
(−)hk sgn (J ∨I) e date I ∈ Ihh+k , J ∈ Ikh+k , I ′ ∈ Ih+k
h+k+l e K ∈ Ih+k+l ,
′
tali che im I ∩ im K = ∅ = im I ∩ im J, si ha
sgn ((I ′ ◦ I) ∨ (I ′ ◦ J) ∨ K) = sgn (I ∨ J)sgn (I ′ ∨ K)
• Data poi I ∈ Ihh+k esiste una unica funzione cI ∈ Ikh+k tale che
i ∨ cI ∈ S(h + k). La corrispondenza c : Ihh+k → Ikh+k è biunivoca e
involutoria (provare).
Definizione A.3 [spazio delle k-forme]: Sia V uno spazio vettoriale reale di dimensione n: per ogni 2 ≤ k ≤ n indichiamo con Λk (V ∗ )
l’insieme delle applicazioni k-lineari alternanti λ : V k → R. Chiameremo
gli elementi di Λk (V ∗ ) k-forme alternanti o semplicemente k-forme.
Ogni
n
k
∗
Λ (V ) è uno spazio vettoriale su R, e la sua dimensione è k : infatti
fissata una base di V , V = {v1 , . . . , vn }, un elemento di Λk (V ∗ ) è univocamente determinato dai valori assunti sulle k-uple vI = (vI(1) , . . . , vI(k) ),
al variare di I ∈ Ikn .
Definizione A.4 [Prodotto Esterno di k-forme]: Date λ ∈ Λh (V ∗ ),
µ ∈ Λk (V ∗ ), si definisce il loro prodotto esterno ponendo
λ ∧ µ(x1 , . . . , xh+k ) =
X
I∈Ih
h+k
sgn (I ∧ cI)λ(xI )µ(xcI )
Questa operazione gode di alcune proprietà fondamentali:
• Alternanza: µ ∧ λ = (−)hk λ ∧ µ;
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36
• Linearità: (aλ + bµ) ∧ ν = a(λ ∧ ν) + b(µ ∧ ν);
• Associatività: (λ ∧ µ) ∧ ν = λ ∧ (µ ∧ ν).
La (tediosa) prova di questi fatti è lasciata al lettore volenteroso.
A questo punto, presa la base duale V∗ = {v1∗, . . . , vn∗ } di V , denotiamo
∗
∗
con vI∗ la k-forma vI(1)
∧ · · · ∧ vI(k)
. Si verifica che vale, per ogni k-upla
k
di vettori x = (x1 , . . . , xk ) ∈ V ,
vI∗ (x) =
X
sgn (σ)
k
Y
∗
(vI(j)
◦ xσ(j) )
j=1
σ∈S(k)
∗
∗
Le applicazioni vI∗ = vI(1)
∧ · · · ∧ vI(k)
formano, al variare di I ∈ Ikn , una
base di Λk (V ∗ ).
Possiamo allora definire l’insieme
Λ(V ∗ ) =
n
M
Λi (V ∗ )
i=0
esso è detto algebra esterna sullo spazio vettoriale V ∗ : risulta dalla somma diretta delle i-esime algebre esterne, al variare di i = 1, . . . n. Dotata
del prodotto esterno, questa struttura diventa (appunto) un’algebra associativa su R. Dato l’isomorfismo canonico di bidualità, possiamo considerare anche l’algebra esterna su V , fatta dalle k-forme su V ∗ . Inoltre
possiamo definire una applicazione k-lineare alternante πk : V k → Λk (V )
che manda (x1 , . . . , xk ) in x1 ∧ · · · ∧ xk . Allora vale la
Proposizione A.1 (Proprietà Universale del prodotto esterno). Sia V
uno spazio vettoriale reale di dimensione n, e 1 ≤ k ≤ n. Per ogni spazio
vettoriale W , ed ogn applicazione k-lineare alternante ∆ : V k → W esiste
un unico omomorfismo φ : Λk (V ) → W tale che ∆ = φ ◦ πk , ovvero tale
che commuti il diagramma
Vk
πk
/
Λk (V )




∆
 φ


 
W
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Fissata infatti una base di V , V = {v1 , . . . , vn }, si pone φ(vI(1) ∧ · · · ∧
vI(k) ) = ∆(vI(1) , . . . , vI(k) ) al variare del multiindice I ∈ Ikn . In tal modo
∆ e φ◦πk coincidono sulle k-uple, dunque coincidono su tutto V ×· · ·×V .
Da ciò discende che il dato di una applicazione k-lineare alternante λ : V k → W è il dato di un omomorfismo di spazi vettoriali φ ∈
Hom(Λk (V ), W ): in particolare Λk (V ∗ ) = Hom(Λk (V ), R), e quindi esiste una dualità canonica tra Λk (V ) e Λk (V ∗ ). In tale dualità, se x∗1 , . . . x∗k
sono vettori di V ∗ e y1 , . . . , yk sono vettori di V si ha
(x∗1
∧···∧
x∗k )
◦ (y1 ∧ · · · ∧ yk ) =
X
σ∈S(n)
sgn (σ)
k
Y
j=1
x∗j ◦ yσ(j)
∗
∗
In particolare le k-forme {vI(1) ∧ · · · ∧ vI(k) }I∈Ikn e {vI(1)
∧ · · · ∧ vI(k)
}I∈Ikn
k
sono basi duali al variare di I ∈ In . Questo fatto porge un utile criterio
di indipendenza lineare: una k-upla di vettori è linearmente indipendente
se e solo se la sua k-forma associata w1 ∧ · · · ∧ wk è diversa da zero.
Conseguenza dell’universalità della proprietà del prodotto esterno, è
la seguente:
Proposizione A.2. Sia φ ∈ Hom(V, W ). Per ogni k = 0, . . . , v esiste
un unico omomorfismo Λk (V ) → Λk (W ) tale che commuti il diagramma
Vk
φ×···×φ
/
Wk
πk
πk
Λk (V )
/
Λk (φ)
Λk (W )
(φ × · · · × φ è definita da (v, . . . , v) 7→ (φ(v), . . . , φ(v))) e l’applicazione
Λk (φ) : Λ(V ) → Λ(W ), ottenuta sommando gli omomorfismi Λ0 (φ), . . . Λn (φ)
sia un omomorfismo di algebre.
Dimostrazione. Nel caso k = 0, 1 la tesi è banalmente vera: se k ≥ 2
φ×···×φ
πk
Λk (W )
l’applicazione composta V × · · · × V −−−−→ W × · · · × W −−→
è k-lineare ed alternante. Quindi, per la proprietà universale, esiste un
unico omomorfismo Λk (φ) che rende commutativo il diagramma.
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Bibliografia minima
[1] Rick Miranda, “Algebraic Curves & Riemann’s Surfaces”, Graduate
Studies in Mathematics series, 5, AMS (1995).
[2] Otto Forster, “Lectures on Riemann’s Surfaces”, Graduate Texts in
Mathematics 82, Springer–Verlag 1981.
[3] William Boothby, “An introduction to differential manifolds and
Riemannian Geometry”, Pure and Applied Mathematics 120, 1986.
[4] Jurgen Jost, “Compact Riemann Surfaces:
Contemporary Mathematics”, Springer–Verlag.
An Introduction To
[5] John Lee, “Introduction to Smooth Manifolds”, Graduate Texts in
Mathematics, Springer–Verlag.
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