LIBRO QUADERNO 64.indb

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LIBRO QUADERNO 64.indb
Cesvot Edizioni
I Quaderni
Bimestrale
n. 64, Agosto 2013
reg. Tribunale di Firenze
n. 4885 del 28/01/1999
Direttore Responsabile
Cristiana Guccinelli
Redazione
Cristina Galasso
spedizione in abbonamento postale
art. 2 comma 20/c legge 662/96 FI
ISSN 1828-3926
ISBN 978-88-97834-07-6
Prodotto realizzato nell’ambito di un
sistema di gestione certificato alle
norme Iso 9001:2008 da Rina con
certificato n. 23912/04
Pubblicazione Periodica del
Centro Servizi Volontariato Toscana
Volontariato senza frontiere
Solidarietà internazionale e
cooperazione allo sviluppo in Toscana
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Fabio Berti e Lorenzo Nasi
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Introduzione1
Le belle azioni nascoste sono le più stimabili.
Pascal
Il 2015 sarà l’anno europeo della cooperazione e dello sviluppo. Il
Parlamento europeo ha infatti accolto positivamente la proposta di
Concord (il network internazionale di Organizzazioni non governative
europee) di dedicare l’anno a questo particolare tema.
Già nell’ottobre del 2012 l’indagine sugli orientamenti dei cittadini e
dei paesi europei dell’Eurobarometro aveva rilevato che la maggior
parte dei paesi europei ritiene di grande importanza la cooperazione
con i Paesi in via di sviluppo così come ancora prima, la stessa Commissione europea, nel 2009, in uno dei suoi documenti, affermava
che la diffusione di un volontariato attivo a livello internazionale, in
particolare nell’ambito della cooperazione allo sviluppo, accresce in
chi è impegnato in esso, ma anche nella società più in generale la
consapevolezza della crescente interdipendenza globale, necessaria per affrontare le sfide economiche e sociali a cui i paesi europei si
trovano oggi di fronte.
In un mondo segnato dall’acuirsi della povertà, da conflitti sempre più
devastanti, dal moltiplicarsi delle calamità, le attività di cooperazione
e gli aiuti allo sviluppo assumono maggiore importanza, continuando
a rappresentare una sfida da raccogliere.
Le distorsioni che i processi di globalizzazione continuano a produrre
in ogni angolo del pianeta, in termini di disuguaglianze, povertà ed
esclusione sociale, conducono infatti questo pianeta, come sostiene
1 Gli autori rivolgono un particolare ringraziamento a tutte le associazioni coinvolte per la disponibilità dimostrata e per l'attenzione con la quale hanno affrontato tutti
gli impegni previsti dalla ricerca. Un sentito ringraziamento anche all’équipe del
Centro Ricerche Etnoantropologiche (Crea) di Siena per la preziosa collaborazione
nella somministrazione del questionario e per la realizzazione e l'analisi delle attività
qualitative svolte. Infine, un sincero ringraziamento al dott. Francesco Marangoni,
assegnista di ricerca dell'Università di Siena, per il supporto scientifico nella fase di
elaborazione statistica dei dati.
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Latouche (1993: 20), ad essere un pianeta degli esclusi dello sviluppo, degli indifferenti, degli emarginati.
Se da un lato è un mondo che offre gratuitamente, per alcuni, l’entrata
nel villaggio globale dall’altro allo stesso tempo, per altri, non rappresenta che l’uscita dalle possibilità, dalle scelte e la vertiginosa caduta
nella marginalità e nell’esclusione delle periferie dei “Quarti mondi”.
In un mondo così strutturato, la cooperazione verso i popoli che più
degli altri devono far fronte a miseria, privazioni dei diritti fondamentali, disuguaglianze, conflitti, rappresenta non solo una scelta etica,
ma una risposta politica razionale per contribuire allo sviluppo, al progresso e alla pacificazione di tutto il pianeta.
1.
Un volontariato ‘invisibile’
Il volontariato organizzato è uno dei fenomeni sociali più dinamici che
caratterizzano la società contemporanea sul quale, soprattutto a partire dagli ultimi venti anni, si è concentrata l'attenzione di molti attori,
entrando così a pieno titolo nel dibattito politico e scientifico.
Nel corso del tempo infatti, le motivazioni e le caratteristiche di una
così rilevante presenza di impegno volontario, sono state analizzate
sotto molti punti di vista e con vari approcci interpretativi: da quello
sociologico a quello economico e giuridico.
In particolare, la riflessione sociologica ha ampiamente messo a tema
i processi associativi che conducono alla costituzione delle organizzazioni solidali, i servizi offerti e l’orientamento donativo sotteso all’azione societaria (tra gli altri, si veda, Ambrosini 1992, 2004; Donati
1996; Boccaccin 1990).
Di fronte però ad una ormai acquisita consapevolezza circa il ruolo
assunto dal volontariato, con particolare riferimento all’erogazione di
prestazioni di assistenza che svolgono frequentemente una funzione
di integrazione quando non di supplenza rispetto ai servizi pubblici di
welfare (Ranci 2006), non può dirsi paradossalmente soddisfacente il
grado di conoscenza di cui disponiamo circa le caratteristiche dell’intervento volontario in altri contesti in cui esso si manifesta, primo fra
tutti l’ambito della solidarietà internazionale e della cooperazione allo
sviluppo.
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Due temi infatti, che raramente segnano l’agenda del dibattito politico. La stessa, poca, attenzione che ad essi rivolgono i media è confinata a situazioni di emergenza legate a catastrofi ambientali, conflitti,
circostanze in cui si evidenzia l’urgenza dell’azione umanitaria al fine
di smuovere e mobilitare le coscienze e di conseguenza una grande
quantità di risorse economiche.
Del resto, come ci ricorda il detto “fa più rumore un albero che cade
che una foresta che cresce”, risulta essere molto più complicato cercare di indirizzare l’attenzione su azioni di lungo periodo finalizzate
alla promozione o all’appoggio ad iniziative di sviluppo (Faggi, Dansero 2012: 11).
Occorre poi aggiungere che quel po’ di attenzione rivolta ai progetti
e alle attività di cooperazione allo sviluppo sono il risultato di costose
e dispendiose campagne comunicative messe in atto dalle più grandi realtà organizzate, piuttosto che di una vera e propria sensibilità
verso i problemi. Quand’anche la solidarietà internazionale e la cooperazione allo sviluppo riescono a fare breccia nel dibattito politico o
nei media, ciò avviene molto spesso in relazione a scandali relativi a
sprechi e inefficienze o indirizzando l’attenzione (giustamente critica)
su quella che viene definita l’ “industria della solidarietà” (Furlanetto
2013; Moyo 2010; Polman 2009).
Nonostante una storia pluridecennale, quale è quella che caratterizza il volontariato internazionale in Italia, anche l’attenzione scientifica
intorno a quelle realtà che sviluppano le proprie attività “senza frontiere” stata molto limitata.
Se infatti sono numerose le ricognizioni condotte su scala locale che
analizzano il le trasformazioni del volontariato nel suo complesso, per
esempio quelle condotte dai vari Centri Servizio per il Volontariato (in
riferimento al territorio toscano si veda, Salvini 1999; Salvini, Cordaz
2005; Salvini 2007; Salvini, Corchia 2012; Caselli 2000), così come gli
studi di taglio qualitativo volti ad approfondire specifiche dimensioni
dell’impegno volontario e del suo impatto sociale (tra gli altri si veda
Tacchi 2009; Boccaccin, Rossi 2006; Mazzoli 2008; Caputi Jambrenghi 2008), le ricerche e le analisi presenti nella letteratura specializzata relative alla solidarietà internazionale, oltre che ormai datate nel
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tempo, rimangono per lo più confinate o allo studio del fenomeno
specifico delle Organizzazioni non governative (Ong) (Tarozzi 1985;
Oecd 1986; Borghese 1989; Baraldi 1993; Serra 2004), all’esame di
singole esperienze locali (Scidà 1987; Ianni 1995; Boccella, Tozzo
2005), o al rapporto tra Ong e particolari tematiche di interesse globale (Rognoni 1995; Nasi 2006, 2012).
Se le Ong rappresentano sicuramente il nucleo più consolidato, innovativo e strutturato del vasto arcipelago delle Organizzazioni di volontariato di solidarietà internazionale, non bisogna dimenticare l’importanza quantitativa e qualitativa che ricoprono tutte quelle realtà
di base, anch’esse espressione della società civile che, a differenza
delle Ong, non hanno ottenuto (per scelta o impossibilità strutturale)
l’idoneità e il riconoscimento da parte del Ministero degli Affari Esteri. Queste ultime costituiscono una realtà fluida e cangiante, sui cui,
come abbiamo affermato in precedenza, l’informazione disponibile è
ancora oggi ridotta.
2.
Origine e sviluppo del volontariato internazionale
Le associazioni di solidarietà internazionale e cooperazione allo sviluppo hanno avuto uno sviluppo particolarmente importante in tutti i paesi occidentali a partire dagli anni Cinquanta (Alberti, Giudici
2003: 29).
Cercando di ritrovarne le origini e ripercorrerne le principali tappe, è
necessario però risalire alla metà dell’Ottocento e per la precisione
all’epoca delle guerre di Indipendenza. È all’interno di tale scenario
che è possibile individuare gli inizi di quella che sarà in seguito, una
tra le principali realtà del volontariato internazionale impegnato nelle
emergenze: la Croce Rossa (Marelli 2011: 37).
Sarà poi ancora una guerra a delineare un’ulteriore tappa fondamentale per lo sviluppo del volontariato internazionale, come mostra la
costituzione nel 1919 ad opera del Fight the Famine Council (che
contrastava il blocco alleato imposto alla Germania) di Save the
Children Found, una tra le più antiche associazioni di carità inglesi attive all’estero. Nel 1920 invece sotto la spinta emotiva ed organizzativa di Pierre Cérésole, giovane pacifista svizzero, un gruppo
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di volontari internazionali, portò aiuto alla ricostruzione di Esnes, un
piccolo villaggio nel nord della Francia al confine con la Germania,
danneggiato gravemente dai bombardamenti e scelto come luogo
simbolico di riappacificazione. Con lo slogan Deeds, not words (“fatti non parole”), giovani volontari francesi, tedeschi e di altre nazioni
europee si dettero appuntamento per lavorare insieme e condividere
una esperienza di pace e amicizia.
In seguito a questa prima iniziativa, Cérésole dà vita ad una vera
realtà formalmente organizzata, il Service Civil Internacional (Sci), ancora oggi presente e attiva in oltre 80 paesi del mondo (Marelli 2011;
Alberti, Giudici 2003).
Lo scoppio della seconda guerra mondiale, segnerà poi l’ingresso
sulla scena del volontariato internazionale di nuove realtà segnando
così un ulteriore sviluppo di tutto il movimento: è questo il caso di organizzazioni come la britannica Oxfam (Oxford Committee for Famine
relief), nata in Inghilterra nel 1942 con l’obiettivo di far giungere i soccorsi alle popolazioni affamate della Grecia occupata dai nazisti) o la
danese Danish association for international cooperation mellenfolkeligth Samwirke, una delle prime organizzazioni non confessionali, fondata nel 1944 con il nome di Friends of peace relief work (Borghese
1989). Nel 1945 si costituì poi negli Stati Uniti, l’associazione Care
(Cooperative for American Relief Everywhere) grazie all’iniziativa di
22 organizzazioni umanitarie private e sindacati.
Già nel 1943 le principali organizzazioni statunitensi (tra le quali la Catholic Relief Service) avevano costituto l’American council of private
foreign relief agenzies, con l’obiettivo di collaborare attivamente agli
aiuti per le popolazioni europee, i profughi, i rifugiati politici fornendo
loro, con l’utilizzo di donazioni privatamente raccolte, abbigliamento,
medicinali, alimenti e partecipando altresì alla distribuzione degli aiuti
offerti dal governo statunitense.
Con la conclusione del secondo conflitto, le molte esperienze che
si susseguono, trovano un decisivo rilancio con il primo congresso
mondiale degli organismi privati di volontariato (così definite quelle
realtà attive in particolar modo nella realizzazione di brevi campi di
lavoro per la fornitura di servizi e materiali), organizzato a Parigi nel
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1948, con il patrocinio dell’Unesco. A conclusione di questo incontro,
le principali associazioni internazionali si riuniranno in quello che è il
primo organo di collegamento internazionale, il Ccivs (Coordinating
committee for international voluntary service). I decenni successivi,
caratterizzati dalle lotte per la decolonizzazione e dalle prime grandi
emergenze umanitarie in Africa, vedono la nascita di nuove organizzazioni umanitarie. In tale contesto di grande fermento, il presidente americano Kennedy dà avvio, soprattutto in America latina, alle
attività dei Peace corps i quali, mantenendo un forte legame con il
Congresso americano anche per quanto riguarda le risorse economiche e finanziarie fornite dall’amministrazione pubblica, diventano
di giorno in giorno la più grande realtà di solidarietà e di volontariato
internazionale (Alberti, Giudici 2003: 30). Contemporaneamente andava da tempo sviluppando l’attivismo di missionari e volontari grazie
alla presenza delle chiese in Africa e nel continente latinoamericano.
Attivisti che provenivano in gran parte dall’Europa e che una volta tornati nel proprio paese di origine si adoperavano per costituire comitati, gruppi e organizzazioni sociali con l’obiettivo di creare dei ponti
solidali con i paesi di quello che allora veniva definito “Terzo mondo”
(Marcon 2002: 49). Una parte quantitativamente importante delle attuali organizzazioni impegnate nel Sud del mondo sono nate quindi
tra gli anni Sessanta e Settanta. In questo periodo le lotte di liberazione contro l’occupazione e il neocolonialismo, le campagne contro la
fame2, la progressiva presa di coscienza del sottosviluppo e della povertà estrema, hanno stimolato sia nelle esperienze di derivazione cristiana sia in quelle di origine marxista la nascita di gruppi fortemente
motivati e con un radicato rapporto all’interno della società civile il
2 La Freedom from hunger compaign, la campagna della Fao contro la fame lanciata nel 1960, che scelse come motto «Se dai un pesce ad un uomo gli dai da
mangiare per un giorno, se gli insegni a pescare gli dai da mangiare per tutta la
vita», segnò proprio il passaggio dalla fase del soccorso e dell’emergenza a quella
dello sviluppo. In molti paesi furono costituite associazioni nazionali di lotta contro
la fame a sostegno degli obiettivi della campagna. Alcune di esse conservano ancora la loro importanza, come ad esempio il Comité francais contre la faim et pour
le developpement, fondato nel 1960, o il Deutsche welthungerhilfe in Germania del
1963 (Borghese 1989: 27).
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cui impegno era caratterizzato da significative attività di base e sensibilizzazione (Marcon 2002: 49)3. Con il passare del tempo, matura poi
la consapevolezza che la povertà è il risultato di problemi strutturali e
che alcuni di questi sono provocati dal tipo di relazioni economiche
tra i paesi. L’esperienza maturata nei progetti precedentemente attuati, conduce questo vasto mondo ad un riesame critico sulla natura
dell’assistenza tecnica fornita: ci si accorge che per lo sviluppo non
è più sufficiente “insegnare alla gente come si fa a pescare” ma c’è
molto da imparare anche dalla stessa popolazione locale, favorendo
di conseguenza una sua diretta partecipazione ai lavori dei progetti.
Gli aiuti allo sviluppo iniziano così ad essere considerati nell’ambito di
un più vasto contesto e, al tempo stesso, la consapevolezza delle varie dimensioni della povertà, conduce molte associazioni ad effettuare ricerche più appropriate in materia, studiando nuove forme di informazione e di coinvolgimento dell’opinione pubblica. In conseguenza
ai nuovi modi di agire, nel 1970 anche la campagna contro la fame
della Fao aggiunge alla precedente denominazione, la specificazione Action for development, portando avanti un duplice compito: da
un lato stimolare un atteggiamento critico sui problemi dello sviluppo,
dall’altro favorire la partecipazione diretta di chi vive in situazioni di
mancato sviluppo, agevolandone l’azione senza la pretesa di imporre
soluzioni precostituite.
Come ogni impegno spontaneo, basato su valori universali, anche la
storia del volontariato internazionale si presenta così come una realtà
dinamica, che si evolve, che muta nel tempo, che assume configurazioni ed identità diverse.
In particolar modo, l’insieme dei mutamenti che negli anni Novanta
caratterizzano gli scenari nazionali e internazionali, oltre a porre gli
3 In Svezia, per esempio, un punto di svolta fu segnato dall’indipendenza raggiunta da molti paesi asiatici. Con l’obiettivo iniziale di promuovere la democrazia
in tali paesi, 44 associazioni a livello nazionale (sindacati, cooperative, organizzazioni religiose) costituirono un comitato nel 1952 per gestire i fondi pubblici per lo
sviluppo. Etiopia e Pakistan furono i primi paesi interessati dalle attività progettuali
di questo comitato che tentò anche di lavorare sull’opinione pubblica svedese, attraverso la realizzazione di campagne di sensibilizzazione sull’assistenza allo sviluppo (Borghese 1989: 24).
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attori e le politiche di cooperazione allo sviluppo di fronte alla sfida
di operare un profondo riadeguamento dei propri modelli teorici e
strategici, ha condotto all’apertura di nuove possibilità, nuove opportunità di attivismo (Hettne 1996).
La crisi degli Stati nazionali, il moltiplicarsi delle situazioni di emergenza e l’attenzione posta al problema della povertà contribuiscono a
conferire ai soggetti dello sviluppo, e in primo luogo agli attori sociali,
una maggiore pluralità e una nuova centralità (Ianni 1997).
Gli stessi processi legati alla globalizzazione, grazie ai quali e all’interno dei quali si sono aperti come non mai, tanti nuovi spazi per
l’impegno umanitario e civile, hanno rappresentato un’occasione di
avanzamento dell’attività di cooperazione, stimolando la crescita e lo
sviluppo di nuovi interstizi di soggettività politica e culturale (Lembo
1999) aprendo così nuovi spazi al mondo dell’associazionismo umanitario e del non profit (Marcon 2002).
2.1 L’associazionismo di solidarietà internazionale in Italia
Nella storia dell’associazionismo italiano, l’ambito impegnato nella dimensione internazionale è stato e rappresenta ancora oggi, dall’alto
degli oltre quarant’anni di vita, uno dei settori dalla più lunga esperienza operativa, caratterizzata da un ruolo e una presenza sempre
più riconosciuta nelle relazioni con le istituzioni e da una diversificata
sperimentazioni di strategie e modelli operativi rispetto all’obiettivo
della cooperazione come strumento di solidarietà tra i popoli (Lembo
1999: 237).
Dal punto di vista storico, anche in Italia la nascita e lo sviluppo delle
associazioni dedite ad attività internazionali affonda le proprie radici
negli anni Sessanta e Settanta.
È infatti nelle esperienze missionarie di matrice cristiana legate alla
presenza diretta nei paesi in via di sviluppo e in quelle politiche e terzomondiste della sinistra marxista collegate alle lotte contro il neocolonialismo e ai movimenti di liberazione, che le prime organizzazioni
sensibili alle problematiche del Sud del mondo traggono le principali
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motivazioni e ispirazioni4.
Sono proprio i richiami al dialogo ecumenico e alla solidarietà internazionale contenuti nell’enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII e
soprattutto nella Popularum progressio di Paolo VI5 che influiscono
positivamente sulla crescita di queste esperienze dando nuovo slancio e vigore al volontariato internazionale (Raimondi, Antonelli 2001:
196).
All'interno di tale scenario fu proprio la crescente consapevolezza di
vaste aree nel mondo ridotte in estrema povertà e le disuguaglianze
crescenti, insieme ad una maggiore coscienza del ruolo di credenti
laici a spingere un numero sempre maggiore di persone a lavorare
all’interno delle missioni collaborando con i religiosi nei loro interventi
umanitari soprattutto nel continente africano.
Pur essendo ancora un modus operandi molto limitato, caratterizzato
da livelli di informalità elevati, privo di adeguate risorse economiche,
tale tipologia di esperienza, contribuì a diffondere le tematiche della
solidarietà internazionale e ad aprire nuovi spazi di intervento per la
società civile.
Alla fine degli anni Sessanta, l’evoluzione del dibattito internazionale
sul concetto di sviluppo e sulle problematiche del “Terzo mondo”,
insieme ai processi di liberazione dalle potenze coloniali, al ruolo del
movimento dei non allineati e all’affermazione del ‘guevarismo’ ebbe,
in modi differenti, un ruolo catalizzatore e di mobilitazione, segnando
una nuova fase nel volontariato internazionale.
4 La prima vera espressione di Organizzazione non governativa è da considerare
l’Ummi, l’Unione medico missionaria, costituta nel 1933 e tutt’oggi attiva.
5 Le due encicliche stabilirono il principio che gli esseri umani sono sia lo strumento sia il fine dello sviluppo, affermando i concetti di autopromozione e di solidarietà internazionale. Tali documenti poi indicavano le legittime aspirazioni dei popoli
in via di sviluppo e di recente indipendenza: libertà dalla povertà, maggiori garanzie nella disponibilità dei mezzi di sostentamento e nell’assistenza sanitaria, stabilità dell’occupazione, libertà da ogni forma di oppressione, aumento delle risorse
destinate all’educazione e alla crescita autonoma e rispetto dei diritti economici e
sociali, che vanno a completare la libertà politica ottenuta con l’indipendenza. Le
encicliche sottolinearono inoltre lo scandalo delle stridenti disuguaglianze nella ripartizione dei beni materiali e del potere (Borghese 1989: 28; Scidà 1989).
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In principio quindi, tali esperienze erano fortemente radicate nella società civile e si nutrivano di una grande partecipazione popolare incentrata su un’ampia presenza di volontari e attivisti. I progetti erano
autofinanziati con le raccolte e le iniziative di base, la stessa partenza
di volontari per i paesi del Sud del mondo era spontanea e stimolata
da una forte motivazione etica e molto diffuse e numerose erano le
occasioni di incontri informativi e di discussione sulle problematiche
della fame e del sottosviluppo (Marcon 2002: 52-53).
Tradizionalmente infatti, la dimensione più consolidata, attraverso cui
si configurava e veniva identificato l’impegno del volontariato internazionale era quello di una persona, di un giovane, di un cittadino
che parte per un paese in via di sviluppo nell’intento di portare un
contributo a livello di attività umanitaria, di assistenza tecnica o di
affiancamento a progetti o processi di sviluppo (Lembo op. cit.). Tale
concezione, che conteneva gli elementi caratterizzanti della scelta di
partire, della gratuità del servire, della messa a disposizione di valori
solidaristici per un tempo quantificato, si è evoluta e modificata nel
tempo.
Risalendo quindi alle origini di questa modalità non è difficile scoprire
che il volontariato internazionale nasce e si sviluppa con una manifestazione di solidarietà e di impegno, a valenza internazionalista, basata su valori umanitari di condivisione per l’affermazione della pace
e della giustizia, prima ancora di legarsi al concetto di cooperazione
internazionale, di assistenza tecnica o a quello di gestire progetti di
solidarietà e di sviluppo.
Con il passare degli anni però, i cambiamenti nelle dinamiche e nelle
visioni del rapporto tra crescita e sviluppo, conducono a evoluzioni
non solo concettuali ma anche operative.
Negli anni Novanta lo sviluppo si presenta infatti come un processo
multidimensionale, in cui le dimensioni economiche, politiche e culturali intrecciano in modo globale (Ianni 1995: 5), dando vita così ad un
nuovo approccio declinato e articolato in una varietà di concetti differenti ma interconnessi: umano, sostenibile, partecipativo, diventano
quindi aggettivi che arricchiscono di significato lo sviluppo delineando nuove prospettive di interazione.
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Il nuovo scenario che si va configurando, concorre così a conferire
slancio e vigore a quel processo, avviato soprattutto dallo sviluppo
della società civile, di pluralizzazione e differenziazione degli attori
di sviluppo. In particolar modo, iniziano ad ottenere un significativo
riconoscimento tutti quei soggetti storicamente impegnati in attività di
solidarietà con il Sud del mondo (le Ong), che hanno costruito sulla
partecipazione, sulla partnership, sulla valorizzazione delle risorse locali, la propria vision e mission.
Tale riconoscimento però non si esaurisce esclusivamente nell’ambito delle Ong ma investe, in generale, tutto il Terzo settore.
Nel corso degli anni Novanta infatti, vari interventi legislativi (dalla legge 142/90 sull’ordinamento delle associazioni locali alla legge 266/91
sul volontariato) affermano e sottolineano il nuovo ruolo e la strategica
importanza acquisita dal mondo dell'associazionismo, all'interno del
quale, uno spazio non secondario lo acquisisce quel tipo di volontariato che si rivolge, con un impegno sempre più crescente, verso le
attività internazionali.
2.2 Attori di sviluppo in movimento
La pluralità di soggetti oggi in campo, ci proietta verso una politica
di cooperazione partecipata dove tutti i soggetti, pubblici e privati,
sono chiamati a valorizzare ed armonizzare i propri specifici ruoli,
superando ogni forma di individualità e competitività, per cooperare
insieme verso l’unico obiettivo di benessere comune, attraverso una
nuova cultura e politica sociale di convivenza ‘glocale’. L’esperienza
maturata dalle Odv e dalle Ong nei decenni di evoluzione di questo
processo è oggi l’enzima attorno al quale meglio si possono costruire
queste relazioni e questa partecipazione dei vari soggetti presenti
sullo scenario della cooperazione.
Nello specifico, il panorama italiano dell’associazionismo di solidarietà internazionale è caratterizzato da un universo particolarmente
diversificato e generalmente suddiviso in due aree dai confini mobili
e non bene delineati. Da un punto di vista formale è soprattutto il
riconoscimento dell’idoneità da parte del Ministero degli affari esteri
(Mae), che separa le realtà che lo hanno da quelle che non lo hanno.
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Oltre a ciò però, come sostiene Vanna Ianni (1995: 9), “un numero
significativo di organizzazioni occupa, per struttura e modalità operative, una fascia intermedia che rende in parte continue le due aree”.
In merito a questa particolare tipologia, senza dubbio molto più ‘liquida’ e mutevole, le informazioni a disposizione sono molto limitate.
Tra le prime indagini di rilievo nazionale che hanno tentato di fotografare questo particolare settore, troviamo le ricerche promosse dal
Cipsi6 (Coordinamento di iniziative popolari di solidarietà internazionale) e realizzate dal Laboratorio per le politiche sociali (Labos) nel
1988 e nel 1993. In primo luogo, i due rapporti nazionali sull’associazionismo di solidarietà con i paesi in via di sviluppo (Labos, 1988;
1993) rivelavano che il numero di gruppi di base e associazioni locali
di solidarietà internazionale privi di idoneità Mae, rappresentava la
parte quantitativamente più numerosa di tutto il settore dell’associazionismo di solidarietà internazionale.
Tali gruppi ed associazioni (che i rapporti definiscono con la terminologia specifica di Rac, realtà associative per la cooperazione), risultavano essere 761 (su un totale di 857 organismi, cioè l’88,8%). Una
parte consistente, pari almeno ad un 30% del totale, risultavano privi
di status giuridico, evidenziando, già al tempo, il grado di informalità
presente in questo ambito.
Ulteriori caratteristiche di queste realtà erano, da un lato, lo stretto
legame con gli enti ecclesiastici e, dall’altro, una tipologia di azione
poco inserita in strutture federative o di coordinamento evidenziando,
in tal senso, una scarsa propensione a forme di collegamento e articolazione con altre realtà associative.
Successivamente, la rilevazione censuaria effettuata dall’Istat nel periodo 2000-2001 con riferimento alle istituzioni no-profit attive al 31
dicembre 1999, individuava un numero pari a 1.433 realtà (lo 0,6 %
su un panorama costituito da 221.412 istituzioni) per le quali la solidarietà internazionale e la cooperazione allo sviluppo rappresentavano
l’attività prevalente. In relazione alla forma giuridica di queste istituzioni no-profit, con 845 presenze (pari al 60%) risultava evidente la
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Il Cipsi è una delle tre federazioni che raggruppano le Ong italiane.
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predominanza delle associazioni non riconosciute. Meno consistenti
erano invece le altre forme giuridiche: le cooperative sociali risultavano essere 10, 36 le fondazioni e 90 i comitati.
Tab. 1 Istituzioni no-profit di solidarietà internazionale e cooperazione allo sviluppo in Italia.
Cooperazione
e solidarietà
internazionale
Totale Italia
Totale
Altra forma
Coop. sociale
Comitato
Ass. non
riconosciuta
Fondazione
Settore
Associazione
riconosciuta
Tipologia forma giuridica
420
36
845
90
10
30
1.433
61.309
3.008
140.752
3.832
4.651
7.861
221.412
Fonte: Istat 2001
Oltre a queste tipologie venivano individuate forme differenti attive
nell’ambito internazionale, dagli enti ecclesiastici, alle università, alle
società di mutuo soccorso. Altra osservazione interessante emersa
dalla rilevazione, riguardava la data di nascita di queste istituzioni. Il
70% delle organizzazioni prevalentemente impegnate nella solidarietà internazionale si è costituita dopo il 1990.
Per quanto riguarda il capitale umano, all’interno delle 1.433 istituzioni no-profit individuate, venivano individuate circa 37.500 persone
operative, nella maggioranza dei casi volontari che, per circa l’80%
delle realtà, costituiva l’unica tipologia di risorsa impiegata.
In relazione alla dimensione economica le fonti principali delle entrate
venivano distinte tra quelle di origine pubblica e quelle di natura privata, con la predominanza di quest’ultimo settore.
Facendo riferimento alle sole Odv (iscritte ai registri delle regioni e
delle province autonome ai sensi della legge 266/91), il primo rapporto Cnel/Istat sull’economia sociale (2008), sui dati delle due rilevazioni Istat sulle Odv effettuate nel 2001 e nel 2003, per il settore cooperazione e solidarietà internazione individuava (nel 2003) un totale di
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706 Odv con tendenze (in relazione alle risorse umane e finanziarie)
analoghe a quelle emerse nel censimento relativo alle istituzioni noprofit, precedentemente viste.
Tab. 2 Le Odv nel 2001 e nel 2003
Cooperazione
e solidarietà
internazionale
Totale generale
Italia
Forma giuridica
Ass. non
ric.
Ass. ric.
Totale
Altra forma
Forma giuridica
Altra forma
2003
Ass.
non ric.
Ass. ric.
Settore
2001
Totale
131
200
7
338
289
406
11
706
10.184
7.979
130
18.293
10.72
10.076
173
21.021
Fonte: Cnel/Istat 2008
Nel 2006, secondo i dati Fivol (Frisanco 2006), le organizzazioni di volontariato che a livello nazionale si occupavano in maniera prevalente
di solidarietà internazionale rappresentavano il 4,2% del totale delle
Odv, percentuale che arrivava al 10% considerando anche quelle realtà che dichiaravano di realizzare un sostegno internazionale come
attività secondaria.
Tab. 3 La presenza di Odv in Italia. Fivol 2006
Totale Italia
Tipologia settore
Progetti (o sostegno) di solidarietà
internazionale
Fonte: Frisanco 2006
Attività prevalente (o esclusiva)
Totale
attività
Attività
prevalente
(o esclusiva)
Nord-Ovest
Nord-Est
Centro
Sud
Isole
10,0
4,2
4,8
6,9
3,7
1,7
1,4
19
Secondo quanto si afferma in uno dei rapporti che analizza nello specifico la realtà delle associazioni di solidarietà internazionale (Di Blasio, Frisanco 2006), questo ambito, attraverso costanti campagne di
informazione e di coinvolgimento della cittadinanza, si caratterizza
per una forte capacità di sensibilizzazione sui temi e i problemi dei
paesi in via di sviluppo. L’attività informativa ed educativa, ovvero il
‘dire’ è per queste organizzazioni strettamente connesso o intrecciato
al ‘fare’. Nel suo approccio questo settore del volontariato opera anche come “mediatore culturale” svolgendo una funzione informativa,
spesso alternativa a quella dei media mainstream rispetto ai problemi
del Terzo e Quarto mondo. Contemporaneamente alle attività di informazioni, apre spazi di denuncia e crea consapevolezza.
Da questa analisi emerge poi che circa l’80% delle organizzazioni
risultano indipendenti dalle grandi sigle del volontariato nazionale e
costituite in misura maggiore da soli volontari; si originano in media
alla fine degli anni ’80 per iniziativa di gruppi di cittadini e risultano
realtà leggere, poco formalizzate e strutturate e sono connotate da
una ispirazione confessionale, che le avvicina alle istituzioni di Chiesa
da cui talvolta nascono.
D’altra parte sono meno propense ad iscriversi ai registri del volontariato (il 57,6% a fronte del 75% del totale). Tuttavia, sono organizzazioni capaci di importanti raccolte di fondi provenienti da varie fonti
private, a cominciare dall’autofinanziamento, e sono quindi dotate di
budget superiori a quelli medi delle Odv che si alimentano anche
attraverso la vendita di beni e servizi oltre ad utilizzare maggiormente i benefici fiscali riconosciuti alle Onlus. Sono inoltre mediamente
reticolari, in particolare risultano sinergiche con altre organizzazioni
non profit, riuscendo a rapportarsi con altre Odv e con associazioni o
movimenti socio-culturali.
Per quanto riguarda il panorama toscano, sempre secondo i dati Fivol (Frisanco, Carnevale 2006) la percentuale di Odv che nel 2006
si occupava prevalentemente di solidarietà internazionale era pari al
3,9%, quota che saliva al 10,4% prendendo in considerazione anche
quelle che svolgevano questa attività secondariamente.
20
Tab.4 La presenza di Odv in Toscana. Fivol 2006
Toscana
Attività prevalente
(o esclusiva)
Tipologia settore
Progetti (o sostegno) di solidarietà
internazionale
Totale attività
Attività prevalente
(o esclusiva)
Centro
Italia
10,4
3,9
3,7
4,2
Fonte: Frisanco, Carnevale 2006
Tra le ricerche empiriche di interesse regionale, troviamo l’ultima indagine condotta dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa (2004), tesa a
disegnare la mappa dei soggetti toscani che si occupano di cooperazione decentrata. Secondo tale indagine, sono 1.085 i soggetti che si
occupano nella Regione di solidarietà internazionale e cooperazione,
con 1.197 progetti realizzati in 68 paesi del mondo.
Per quanto riguarda le tipologie presenti, il Terzo settore ne raccoglie
460 (il 42%) ed è il gruppo più numeroso, gli enti pubblici sono 304 (il
28%) mentre all’interno del Terzo settore, quasi con l’83%, dominano
le Onlus, le Ong riconosciute costituiscono il 6% e le cooperative sociali circa il 4%.
La maggior parte delle iniziative ha come campo d’azione l’Africa
e l’America latina; in particolare l’Africa è interessata dal 32°% del
totale dei progetti, mentre l’America latina dal 25%. Gli altri interventi
sono suddivisi tra Asia, Mediterraneo, Medio Oriente, Europa centroorientale ed Europa sud-orientale.
In relazione al contesto regionale, tra i vari e differenti elementi che
hanno contribuito ad attivare attori sociali e istituzionali intorno a nuove
modalità operative e partecipative, rappresenta un fattore di primaria
importanza, l’evoluzione di un modello come quello che la Regione
Toscana ha implementato nell’ambito della cooperazione internazionale. Parlare oggi di cooperazione internazionale in Toscana significa
infatti fare riferimento ad un sistema imperniato su una rete di soggetti
locali capaci di esprimere gli interessi dei cittadini e di mobilitare le
risorse presenti sul territorio: dalle amministrazioni locali, alle Ong,
dalle associazioni di volontariato ai centri di ricerca, dalle fondazioni
21
bancarie alle aziende sanitarie per arrivare a Università e sindacati.
Di fronte a ciò, il territorio si dimostra quindi l’elemento catalizzatore
di idee, metodologie e approcci, mentre il rapporto tra attori sociali
e autorità locali in senso ampio (regionale, provinciale e comunale)
si presenta come il fattore decisivo per una cooperazione all’interno
della quale ogni attore, pur nella diversità del ruolo svolto, è chiamato
a fornire il proprio contributo in termini di conoscenze, competenze
ed esperienze di un quadro comune di obiettivi e strategie.
È all’interno quindi di questo scenario che prende le mosse la presente ricerca, nel tentativo in comprendere se, ed eventualmente come,
gli attori di questa porzione di volontariato rispondono in termini di
conoscenze, competenze ed esperienze alla richiesta di contribuire
all’interno di quel quadro comune di obiettivi e strategie delineati dalla cooperazione decentrata.
3.
La ricerca: obiettivi e attività
Una delle definizioni più stimolanti del concetto di sviluppo, è quella che suggerisce Jean-Pierre Olivier de Sardan (1995), secondo il
quale per Sviluppo è da intendersi “l’insieme dei processi sociali indotti da operazioni volontaristiche di trasformazione di un ambiente
sociale, intraprese per mezzo di istituzioni o di attori esterni a questo
ambiente, i quali cercano tuttavia di mobilitarlo mediante un innesto
di risorse e/o tecniche e/o conoscenze”. Sono quindi due gli elementi
peculiari, rispetto ad altri percorsi di cambiamento sociale: l’intento
volontaristico e l’intervento di soggetti esogeni.
Una interpretazione che ci fornisce le ‘prove’ dell’importanza delle associazioni di volontariato tra tutti gli attori che all’interno del Terzo settore si occupano di sviluppo; si tratta di una realtà che oltre ad essere
qualitativamente rilevante, come già abbiamo avuto modo di affermare (sulla base di rilevazioni e indagini nazionali e locali), costituisce
anche la parte numericamente più consistente dell’universo globale
dell’associazionismo di solidarietà internazionale. L’evoluzione storica del concetto di sviluppo ha senza dubbio permesso di tracciare
nuovi itinerari nel campo dell’aiuto internazionale, sia da un punto di
vista metodologico sia per quanto riguarda gli approcci, così come
22
le crescenti e profonde disuguaglianze hanno prodotto un sempre
maggiore interesse intorno a queste tematiche con la conseguente
crescita del numero di soggetti (soprattutto della società civile).
Un universo quindi fluido, cangiante e soprattutto molto eterogeneo al
proprio interno. Ciò deriva non solo da differenze nella componente
culturale (in particolar modo riconducibili all’area cattolica e laica),
e quindi nel modo di intendere i problemi dello sviluppo, ma anche
da differenze nella visibilità sociale e nelle capacità ‘professionali’ e
istituzionali.
L’indagine realizzata dal gruppo di ricerca del Dipartimento di Scienze storiche, giuridiche, politiche e sociali dell’Università di Siena e
promossa dal Cesvot, si pone quindi l’obiettivo di identificare tali
differenze, individuando le caratteristiche strutturali-organizzative, i
modelli valoriali e culturali, la mission societaria che tali realtà perseguono, le risorse umane, materiali e simboliche di cui dispongono,
le regole che orientano l’agire dei soggetti all’interno delle organizzazioni e verso l’esterno delle realtà toscane che operano in ambito
internazionale.
In particolar modo la ricerca ha inteso evidenziarne gli itinerari, la
tipologia delle attività svolte, la numerosità e la qualità delle reti e dei
legami, mettendo in evidenza se, ed eventualmente come, tali realtà
si inseriscono nel complesso sistema della cooperazione decentrata
regionale.
Analizzare un ‘universo’, per molti aspetti sconosciuto e poco esplorato, verso il quale le istituzioni sembrano nutrire particolare attenzione, non può poi esimere dall’individuare anche quelle che sono le
principali problematiche di settore, oltre alle aspettative delle stesse
Odv di fronte alla complessità e alla eterogeneità degli attori presenti
all’interno del modello toscano di cooperazione.
Alla base di questi obiettivi, si pone l’ipotesi secondo la quale, proprio per le diversità operative, organizzative e anche valoriali, le Odv
di questo vasto mondo indagato sono collocabili tra due poli di un
continuum, identificabili da un lato, in un approccio orientato alla solidarietà internazionale e dall’altro in uno proiettato verso la cooperazione allo sviluppo. Un tentativo non certo facile, considerando l’uso
23
‘indistinto’ che viene fatto dei due concetti, ma che offre l’opportunità
di individuare meglio, attraverso un punto di vista innovativo, le specificità del settore, proiettandoci così alla scoperta di itinerari poco
esplorati.
Il gruppo di ricerca dell’Università, nelle fasi di costruzione e somministrazione del questionario è stato coadiuvato dai ricercatori del
Centro Ricerche Etnoantropologiche (Crea) di Siena. Il ruolo di tale
Centro si è esteso poi all’approfondimento qualitativo concretizzatosi
attraverso la realizzazione di alcuni focus group.
Dal punto di vista operativo, il percorso di ricerca si è articolato in più
momenti (come descriveremo nel paragrafo 4 del presente capitolo).
È comunque utile riepilogare quelle che sono state le azioni principali
che hanno caratterizzato l’indagine. Ad una prima fase ‘esplorativa’,
nella quale sono state recuperate direttamente dalle Odv contattate
telefonicamente, informazioni utili per la comprensione del panorama
associativo, è seguita la costruzione del questionario e la sua successiva somministrazione. Per questo contatto preliminare abbiamo
individuato alcune Odv, direttamente dal database del Cesvot, distinguendole tra una mission internazionale svolta in maniera prevalente
o come attività secondaria.
Parallelamente è stata avviata la definizione di un percorso qualitativo
che ha condotto l’équipe di ricerca a individuare alcuni temi centrali
da approfondire attraverso la costruzione e la realizzazione di alcuni
focus group con la partecipazione di esponenti delle Odv.
Per quanto riguarda i risultati della somministrazione, come è possibile vedere dalla tabella riepilogativa, su 150 Odv, 92 sono state quelle
il cui contatto si è concluso positivamente con la compilazione del
questionario. Rispetto a ciò è da sottolineare come, mano a mano che
i rilevatori incaricati di procedere alla somministrazione prendevano
i rispettivi contatti, emergevano particolari situazioni che causando il
mancato completamento del quadro individuato in partenza, riducendo così le realtà effettivamente interpellate.
24
Tab. 5 Riepilogo della somministrazione
Tipologia dei casi
Numero Odv
Odv intervistate
92
Odv non più operative
12
Odv che non hanno attività
internazionali
18
Odv irreperibili
11
Oltre il tempo massimo
8
Odv con caratteristiche non coerenti
con l’indagine
5
Odv che rifiutano
4
Totale
150
Tali circostanze sono da individuare in una serie di fattori. In primo
luogo, la presenza di Odv che pur essendo inserite all’interno del database Cesvot, come realtà attive nel campo della cooperazione, si
sono rivelate totalmente estranee a questo settore (12%), a seguire,
alcune Odv (l’8%) che non erano più operative al momento del contatto o con caratteristiche tipologiche non coerenti con il campo di
osservazione (3%). Ulteriori fattori che hanno causato la riduzione dei
contatti sono stati, l’irreperibilità (nel 7% dei casi) e l’indisponibilità
(per il 3% delle Odv) a rispondere al questionario, adducendone a
motivazione la mancanza di tempo e l’irrilevanza o l’inopportunità di
tali indagini conoscitive.
In conclusione si è registrato il fattore “oltre il tempo massimo”: Odv
per le quali, e con le quali, è stato oggettivamente impossibile trovare
una data di incontro nei tempi utili dell’indagine.
4.
La metodologia
Allo scopo di raggiungere gli obiettivi prefissati, la ricerca si è articolata in più fasi caratterizzate dall’uso di strumenti metodologici quantitativi e qualitativi.
I risultati dell’indagine si riferiscono alle Odv che all’atto della loro
costituzione hanno indicato tra i propri settori di attività (in maniera
25
prevalente o secondaria) la solidarietà internazionale e la cooperazione allo sviluppo. Punto di partenza per l’individuazione di questo
universo è stato il database Cesvot, dal quale sono state estrapolate
150 Odv aventi le caratteristiche sopra menzionate. La prima fase
dell’indagine, che si potrebbe definire ‘esplorativa’, ha visto la costruzione di una scheda informativa sottoposta ad un sottocampione di
40 Odv, con l’obiettivo di delineare e ‘testare’ le principali dimensioni
che avrebbero trovato spazio all’interno del successivo questionario strutturato. La compilazione di tale scheda è avvenuta attraverso
colloqui telefonici utilizzati anche come contatto preliminare con le
singole Odv. La scheda è costituita da una serie di ambiti con l’obiettivo di realizzare una prima perlustrazione all’interno dell’universo da
indagare. Le dimensione prese in esame prendono spunto, seppur
con qualche aggiunta e modifica, a quella che è la regola delle 5
W (dall’inglese FiveWs), che prevede di considerare il ‘Chi’, ‘Cosa’,
‘Quando’, ‘Dove’ e ‘Perché’. Per ottenere maggiori informazioni sono
state aggiunte anche l’aspetto del ‘Con chi’ (utile al fine di individuare
forme di partnership ed eventuali collaborazioni) del ‘Quanto’ (relativo
alla disponibilità economica registrata dall’associazione) e del ‘Come’
(importante per comprendere le tipologie di attività messe in campo).
Tab. 6 Riproduzione della scheda utilizzata nella fase esplorativa
COSA
Tipologia di
progettualità
In quale settore
Dove
(Italia, Europa, mondo)
Da quanto
tempo
COME
Tipologia di
finanziamento
Pubblico
Enti locali
Regione
Provincia
Comune
Privato
Unione europea
Ministero
Fondazioni...
Raccolta fondi
26
CON CHI
Tipologia di
risorse umane
impiegate
Tipologia di relazioni/partner
(reti, alleanze,
consorzi...)
Volontari
Cooperanti
Esperti
Altro
Per cosa
(Progetti, attività, lobby...)
Con chi
(Associazioni, enti locali,
ecc.)
Personale
impiegato
Volontari
Per quanto
tempo
(Stabili, occasionali, ecc.)
CHI FA COSA
Tipologia
di struttura
operativa
Organizzazione
Uffici
Altro
(Sede in affitto o proprietà,
ecc.)
QUANTO
Bilancio
DA QUANDO
Origine Storica
4.1 Lo strumento di rilevazione
Sistematizzati e analizzati i dati emerse dalle schede, si è proceduto
con la seconda fase. La ricerca è stata realizzata utilizzando un questionario strutturato (riportato in appendice), composto da 56 domande appositamente predisposte per raccogliere le informazioni finalizzate ad analisi di tipo statistico.
Il questionario è stato formulato utilizzando prevalentemente domande chiuse, anche se erano presenti domande a risposta multipla e
aperte. Prima di procedere con la somministrazione il questionario è
stato condiviso con la responsabile del settore ricerca del Cesvot. Il
questionario è stato articolato in sette raggruppamenti tematici che
rappresentano le dimensioni considerate prioritarie che la ricerca intendeva esplorare: la prima sezione è dedicata alle informazioni di
base: tale sezione è necessaria al fine di recuperare tutte quelle informazioni biografiche e strutturali per delineare le prime caratteristiche
delle Odv.
Le successive sezioni sono finalizzate a raccogliere informazioni relative a specifiche aree tematiche quali: organizzazione del lavoro;
27
fonti di finanziamento; forme comunicative; relazionalità; formazione.
Ultima sezione di domande è quella riguardante le problematiche di
settore e le aspettative di sviluppo e crescita da parte dei soggetti
intervistati.
4.2
La somministrazione
La somministrazione del questionario è stata realizzata tra febbraio e
aprile 2012.
L’équipe di intervistatori è stata rappresentata dai ricercatori membri
del Crea appositamente formati e istruiti attraverso alcuni incontri che
hanno permesso di condividere gli obiettivi e le finalità della ricerca.
Attraverso tali incontri, realizzati anche durante il periodo di somministrazione, è stato possibile individuare e superare alcune difficoltà
e condividere alcuni aspetti qualitativamente rilevanti che non potevano emergere dal questionario. I questionari sono stati somministrati
face to face, basandosi sulle modalità di contatto e di conduzione
dell’intervista (concordate e condivise) proprie del Crea.
4.3
Il trattamento dei dati
Al fine di garantire la qualità delle informazioni raccolte con i questionari, sono stati effettuati alcuni controlli, primo fra tutti è stato
verificato che i questionari fossero stati completati in modo corretto
ed esauriente, provvedendo, eventualmente all’esclusione dal trattamento statistico di quelli incompleti. L’analisi dei dati è stata condotta
attraverso l’uso del software dedicato all’analisi statistica Spss ed è
stata preceduta da controlli a più livelli:
– cleaning dei dati (controlli di plausibilità/out of range, domande
filtro)
– trattamento delle “non risposte” (missing valuese non pertinenti)
– controlli di congruenza e controlli incrociati
– codifica delle domande aperte
Si è poi proceduto alla costruzioni di alcuni indici con lo scopo di
rilevare la collocazione delle Odv intervistate su alcune variabili significative per la ricerca.
28
4.4
La fase qualitativa
La terza e ultima fase della ricerca è stata quindi caratterizzata dalla
realizzazione di quattro focus group. I focus group realizzati nell’ambito della ricerca sono stati progettati per meglio individuare le specificità di un modello toscano della cooperazione allo sviluppo, e in
particolare per evidenziare gli itinerari operativi delle organizzazioni
di volontariato, la tipologia delle attività svolte, la numerosità e la qualità delle reti e dei legami, mettendo in evidenza come tali realtà organizzative si inseriscono nel complesso sistema della cooperazione
decentrata regionale.
Al primo focus group sono state invitate un gruppo di 5 Odv operanti
nel territorio senese; l’obiettivo di questo focus group è stato quello
di testare l’efficacia del questionario elaborato e l’incisività delle tematiche. Successivamente sono stati realizzati due focus di 5 Odv
ciascuno, formati secondo due criteri:
1. Grandezza in termini di bilanci dichiarati
2. Grandezza in termini di numero di volontari
Il terzo focus group composto sempre da 5 Odv, costruito secondo
un criterio di prossimità territoriale:
1. organizzazioni operanti nelle province di Grosseto, Livorno,
Pisa (costa tirrenica).
Le fasi di progettazione, conduzione e analisi dei focus group (escluso quello ‘pilota’ realizzato con le Odv operanti nel territorio senese
curato dai ricercatori dell’Università di Siena) sono state a cura del
Crea.
Per rispondere agli obiettivi euristici affidati all’azione di ricerca dei
focus group, la progettazione degli stessi si è tradotta in una struttura
dialogica composta da differenti punti di riflessione:
– riflessione sul significato dei termini “cooperazione allo sviluppo” e “solidarietà internazionale”;
– ruolo in Toscana delle Odv di volontariato nell’ambito di riferimento, tipo di rapporti e legami tra le realtà dello stesso ambito;
– intensità e qualità del rapporto con gli enti locali, spazi di dialogo/azione con gli enti locali, in particolar modo con la Regione
29
Toscana e le sue opportunità di azione;
– riflessione intorno all’esistenza di un modello toscano per la
solidarietà internazionale;
– problematiche di settore, aspettative e proposte per il futuro.
Tali punti sono stati a loro volta riuniti in modo articolato in macro-aree
di riflessione, definite nella progettazione con il termine di “focus di
riflessione”, e introdotte e/o accompagnate da schede di “materiali
di stimolo”. I focus di riflessione previsti per ogni incontro sono stati
fondamentalmente tre, oltre a un momento introduttivo, pensato come
fase di avvicinamento agli argomenti più specifici dei tre focus tematici di riflessione e come occasione di confronto iniziale fra gli aderenti alla giornata di lavoro, dopo la fase di presentazione: un primo
focus, inerente il ruolo delle Odv e delle organizzazioni della società
civile nel sistema toscano di cooperazione allo sviluppo e solidarietà
internazionale, un secondo, in merito al rapporto con gli enti locali e
l’esistenza di un modello toscano di solidarietà internazionale e un
terzo focus riguardante le problematiche del settore, le aspettative e
le proposte per il futuro.
Le schede approntate per i diversi momenti di riflessione della giornata (riportate in appendice) sono state realizzate utilizzando materiali di differente natura (citazioni di esponenti di spicco del panorama
italiano della cooperazione allo sviluppo e della solidarietà internazionale, rappresentazioni grafiche, vignette e disegni realizzati in concorsi scolastici a tema o a fini di satira giornalistica, sintesi di dati e
statistiche reperiti da fonti di letteratura specialistica). Obiettivo di tali
materiali era quello di stimolare l’intervento dei partecipanti con provocazioni cognitive che potessero toccarli direttamente, sia in termini
di adesione, di consenso verso i contenuti presentati, sia in termini di
dissenso o di interrogazione critica degli stessi.
31
Capitolo 1
Una prima carta di identità
1.
La nascita di un settore
L’obiettivo di questo primo capitolo è quello di scattare una fotografia, la più dettagliata possibile, in merito alle caratteristiche strutturali
(settori di intervento, aree geografiche, composizione, ecc.) dei soggetti del volontariato internazionale, con l’obiettivo di fornire ai decisori e a tutti gli attori e soggetti interessati, gli strumenti necessari per
orientarsi all’interno di questo eterogeneo panorama.
L’individuazione delle caratteristiche di un insieme di realtà associative, al fine di comprenderne e spiegarne le dinamiche evolutive e gli
orientamenti operativi, non può che partire dal prendere in esame il
primo tra gli elementi biografici, l’età, fattore determinante per definire
alcuni tratti identitari dell’ambito che è oggetto di indagine.
Dall’analisi delle risposte si evidenzia in primo luogo come questo sia
un settore, da un punto di vista ‘anagrafico’, divisibile in due grandi
famiglie: un primo gruppo, costituito dal 45% delle Odv, definibile
sicuramente come i millennials, ossia realtà nate in pieno terzo millennio (che svolgono attività inerenti la solidarietà internazionale dai
4 ai 10 anni) a cui si deve sommare un ulteriore 7% di realtà con un
‘curriculum’ inferiore ai 3 anni; un secondo gruppo, il 48%, che dichiara una presenza sul territorio che supera i dieci anni di anzianità
e quindi presumibilmente nate nel Novecento o al massimo ‘a cavallo’
tra i due secoli.
Un dato questo che sembra essere in linea con la tendenza nazionale, secondo la quale, in base all’indagine sulle Organizzazioni di volontariato condotta dall’Istat (2006), il 70% delle organizzazioni che si
occupano di solidarietà internazionale è stato costituito dopo il 1990.
Sul territorio toscano, se le Odv hanno un’età media di 49 anni, quelle
dedicate alla solidarietà internazionale registrano un valore medio di
11 anni, a fronte di un’età massima di 29 e una minima di 3 anni (Irpet
2009).
32
Graf. 1 Presenza storica delle Odv nel settore di riferimento
Una storia molto giovane quindi, frutto di un insieme di dinamiche
che hanno caratterizzato in special modo l’ultimo decennio del XX
secolo e il primo del XXI. La giovane età media di queste esperienze,
in Toscana come nel resto del Paese, non deve però ingannare in
quanto, nell’ambito della storia dell’associazionismo, il settore impegnato nella dimensione internazionale è stato e costituisce senz’altro
ancora oggi, uno di quelli che può vantare tra le più lunghe esperienze operative potendo rivendicare oltre trent’anni di storia, basata su
un crescendo di valorizzazione e di riconoscimenti sia sul piano dei
rapporti con le istituzioni che dei modelli operativi sperimentati rispetto all’obiettivo della cooperazione come strumento di solidarietà tra i
popoli (Lembo op. cit.).
Altro aspetto biografico significativo è individuabile nel fatto che la
nascita di queste organizzazioni è connotata in prevalenza dalla iniziativa autonoma di gruppi di cittadini, rispetto alla tradizionale capacità di affiliazione delle centrali nazionali del volontariato, di associazioni di livello superiore o della promozione ecclesiale.
Il 69% delle Odv intervistate dichiara infatti di non essere l’emanazione territoriale di una organizzazione nazionale. Un dato questo, che
va in netta controtendenza rispetto a ciò che emerge da altre indagini
(Frisanco 2006) per le quali il 63% delle unità solidaristiche toscane
33
risultano dipendenti, ovvero legate da un rapporto di affiliazione o
federativo con le sigle del volontariato nazionale.
Il settore del volontariato internazionale invece è quello che più di altri
(insieme a quello culturale e a quello orientato alla tutela dei diritti),
risponde ad un fenomeno di cittadinanza attiva, caratterizzato dalla
crescente formazione di gruppi che sono espressione dell’autorganizzazione di cittadini che si mobilitano per affrontare temi e problemi
sentiti dalle loro comunità territoriali.
La crescita di tante piccole unità indipendenti, se da un lato può significare maggiore frammentazione, dall’altro può essere visto anche
come una novità di senso nell’agire volontario, per l’orientamento ai
nuovi bisogni e forme inedite di protagonismo dei cittadini responsabili, oltre al fatto che potrebbe rappresentare l’indicatore di un certo
dinamismo del settore stesso e quindi anche di un proprio percorso di
‘maturazione’. Inoltre tale origine delle compagini solidaristiche tende
a far crescere nel tempo la connotazione laica e aconfessionale del
fenomeno (già nel 2001 erano in calo le Odv che avevano una chiara
matrice confessionale) per cui, più che le matrici culturali di appartenenza contano, per gli aderenti, la focalizzazione sulla mission e sugli
obiettivi operativi.
2.
Gli ambiti di intervento
Dal punto di vista dell’impegno tematico dentro il vasto mondo del
volontariato internazionale, il nostro universo indagato si rivela molto
sfaccettato, occupandosi di una pluralità di settori. Per evidenziare
questo aspetto è stata data la possibilità, nella specifica domanda,
di indicare più di un ambito di riferimento. In virtù di ciò sono tre i macro settori emersi che interessano la stragrande maggioranza delle
Odv: l’educazione (per il 79% delle Odv) la sanità (70%) e il sociale
(63%). L’ambito dell’agricoltura, che tradizionalmente è quello che
più di ogni altro caratterizza gli interventi di cooperazione internazionale, coinvolge solo un terzo delle realtà intervistate. Un dato questo
che potrebbe fornire elementi interessanti al fine di legittimare l’ipotesi secondo la quale è possibile operare, tra le nostre Odv, una distinzione tra un agire internazionale prettamente solidaristico e un agire
34
orientato alla cooperazione allo sviluppo. Altro settore che raccoglie
l’interesse del 33% delle Odv è quello della cultura. Di minore appeal sono gli ambiti del commercio e credito (25,6%), dell’artigianato
(21%), dell’ambiente e dell’emergenza (entrambi con il 18,9%). Solo
l’8,9% delle realtà dichiara di agire in un contesto di rafforzamento
delle Istituzioni e Governance.
Graf. 2 Settori presidiati dalle Odv
A fronte di questa distribuzione settoriale, abbiamo voluto scendere
un po’ più in profondità chiedendo ai nostri interlocutori verso quali
‘categorie’ di beneficiari fossero rivolte le attività realizzate. Coerentemente con l’ambito principale indicato, per l’83% delle Odv sono i
bambini e l’infanzia in generale ad incanalare i maggiori flussi progettuali e a orientare le iniziative; si tratta comunque di attività che nel
61% dei casi vengono rivolte verso la popolazione rurale, un contesto
sicuramente più vulnerabile e quindi oggetto di una particolare attenzione. Inoltre occorre sottolineare che molte attività sono indirizzate al
sostegno della vulnerabilità femminile, come mostra il fatto che poco
più della metà delle Odv si occupa di donne.
35
Graf. 3 Tipologie di beneficiari
3.
La presenza nel mondo
Dopo aver visto in quali ambiti e verso quali beneficiari è protagonista questo particolare settore del volontariato toscano, in quali aree
geografiche del mondo esso è maggiormente presente? In tal senso,
il continente africano è il contesto territoriale entro il quale la stragrande maggioranza delle Odv (il 66,3%) cerca di realizzare la propria
mission. A seguire, l’America latina è l’altra grande area che vede la
presenza di quasi la metà delle organizzazioni indagate.
Graf. 4 La distribuzione geografica delle Odv
36
Non è un caso infatti che siano proprio questi due continenti a rappresentare le maggiori aree di intervento. Si tratta di due contesti che,
oltre a considerare la difficoltà oggettiva di alcune situazioni sociali
ed economiche, si sono ‘divisi’ fin dalla nascita della solidarietà internazionale negli anni ‘60/’70, l’interesse e la presenza di gran parte
delle Odv operative in questo ambito.
Altri territori che vedono il coinvolgimento delle nostre Odv, seppur
con una minore presenza, sono l’Asia (con il 27%), l’area del Mediterraneo e del Medio Oriente (26%). Paradossalmente, territori più vicini
a l’Italia, e quindi più facilmente raggiungibili (sotto tutti i punti di vista)
come tutta l’area dell’Europa Centro-Sud Orientale, sono quelli all’interno dei quali c’è una presenza minore. Un fatto forse spiegabile con
la difficoltà di operare in contesti che sono meno conosciuti o meno
riconoscibili in termini di vulnerabilità, esclusione e disuguaglianze,
o forse perché l’immaginario delle nostre Odv, relativo alla povertà e
alle disuguaglianze è ‘colonizzato’ ancora dall’asse Nord/Sud.
Per quanto riguarda la presenza all’interno delle singole aree geografiche, è possibile anzitutto dire che le nostre Odv sono attive in 75
paesi del mondo. I grafici sottostanti evidenziano, su ciascun paese,
la presenza di Odv e il numero di province toscane interessate. Il dato
che salta agli occhi è come, in alcuni territori, si registri una concentrazione maggiore di Odv rispetto alle province.
Ciò porta a constatare che su una stessa area geografica ci sono più
Odv operative appartenenti alla medesima provincia. Tale sovrarappresentazione, se non inclusa all’interno di logiche di rete, di precise strategie “di Paese” (come è presumibile e come cercheremo di
analizzare più avanti), ripropone il tema della necessità di una vision
condivisa e soprattutto di un ruolo degli attori istituzionali in grado di
coordinare (nel rispetto delle autonomie e delle specificità di ciascuna realtà) le azioni. In Palestina, per esempio, operano 7 diverse Odv
di 3 province differenti (Siena, Pisa e Firenze). Pisa con 4 realtà associative attive è quella che ha un presidio più alto. Oltre alla Palestina,
registriamo una presenza in Iraq con 3 Odv (2 della provincia di Pisa
e 1 di Siena), in Libano con 2 e in Israele con 1 Odv.
37
Graf. 5 Distribuzione di Odv e province in Medio Oriente
Palestina
2
Libano
Israele
Iraq
1
4
1
1
Massa
Arezzo
Grosseto
Lucca
Prato
Pisa
Livorno
Siena
Pistoia
Firenze
Tab. 7 Numero di Odv presenti nel Paese, per provincia
1
1
2
In Europa Orientale, le due realtà maggiormente presenti sono da
un lato la Bielorussia con 6 Odv appartenenti a 4 province differenti
(Pisa e Lucca 2, Pistoia e Prato 1 ciascuno), e l’Albania dove sono
attive 5 Odv di 4 province diverse (Firenze 4, Pistoia, Siena e Livorno
con una a testa).
38
Graf. 6 Distribuzione di Odv e province in Europa Orientale
Armenia
1
Bosnia
2
1
1
2
1
Bulgaria
Romania
Massa
1
Bielorussia
Kosovo
Arezzo
1
Grosseto
1
Lucca
Livorno
1
Prato
Siena
2
Pisa
Pistoia
Albania
Firenze
Tab.8 Numero di Odv presenti nel Paese, per provincia
1
1
1
1
1
1
39
Graf. 7 Distribuzione di Odv e province in Asia
1
1
India
5
1
Nepal
1
1
1
1
3
1
Pakistan
1
SriLanka
2
1
Taiwan
Thailandia
2
1
1
1
Timor Est
1
Vietnam
1
1
1
1
1
1
Russia
1
1
Massa
Livorno
2
Arezzo
Filippine
Grosseto
1
Lucca
Cambogia
Prato
1
Pisa
Afganistan
Siena
Pistoia
Firenze
Tab. 9 Numero di Odv presenti nel Paese, per provincia
40
Il continente africano è senza dubbio, come abbiamo già avuto modo
di affermare, l’area all’interno della quale si muovono più realtà associative. Cerchiamo di vedere nello specifico, quali sono i principali
paesi interessati dalle attività delle nostre Odv.
Fig. 1 Presenza di Odv nel continente africano
Odv presenti
13-17
7-11
1-3
3-6
41
Algeria
3
Benin
3
Burkina
5
Camerun
2
2
Costa d’Avorio
1
1
Egitto
1
2
Eritrea
2
1
Etiopia
1
1
1
1
2
5
1
1
1
1
1
1
1
1
Gambia
1
Ghana
1
1
Libano
1
2
Madagascar
Mali
2
Marocco
1
Mozambico
1
Nigeria
2
Rep. Cent.Afr.
1
Rep. Dem. Congo
7
1
1
1
1
1
1
1
1
1
2
1
1
1
1
1
1
3
1
Ruanda
3
2
Sahara Occ.
2
1
4
4
1
Senegal
2
1
2
2
3
2
Massa
Arezzo
1
Gabon
Kenya
Grosseto
2
Angola
Guinea
Lucca
Prato
Pisa
Livorno
Siena
Pistoia
Firenze
Tab.10 Numero di Odv presenti nel Paese, per provincia
Sudafrica
Massa
Arezzo
Grosseto
Lucca
1
Sudan
1
Swaziland
1
Tanzania
1
Togo
1
1
1
1
1
Tunisia
2
Uganda
2
Zambia
Prato
Pisa
Livorno
Siena
Pistoia
Firenze
42
1
Il primo evidente elemento che caratterizza questo continente è la
frammentazione: 33 paesi, 129 presenze, 9 province coinvolte: un
vero e proprio ‘esercito’ umanitario. A fronte di questa situazione così
frastagliata, possiamo però individuare almeno quattro poli di interesse che spiccano per presenza.
Il primo paese in assoluto in termini di Odv che vi lavorano è la Repubblica democratica del Congo con 17 realtà appartenenti a 6 province
(7 Odv della provincia di Firenze, 3 di Pisa e Lucca, 2 di Arezzo).
L’altra grande realtà interessata è il Burkina con 15 Odv di 6 province
differenti. Con 12 Odv di 5 province differenti ma ‘riunite’ intorno alla
causa del popolo Saharawi, il Sahara occidentale è il terzo polo di
aggregazione. Anche il Senegal con 10 Odv rappresenta un centro
di interesse abbastanza importante.
Analoghe dinamiche si registrano per quanto riguarda il continente
sudamericano: grande frammentazione e alcuni poli di attrazione. Tra
questi il Brasile, che raccoglie l’interesse operativo di 17 Odv provenienti da 6 province e il Perù che vede al proprio interno, l’attività di
15 Odv.
43
Fig. 2 Presenza Odv nel continente sudamericano
Graf. 8 Odv e province in America Latina
44
Argentina
1
1
Bolivia
2
1
1
Brasile
8
2
1
Cile
1
Colombia
2
1
1
Cuba
1
Ecuador
3
El Salvador
1
1
1
1
1
1
1
Haiti
1
Messico
2
Nicaragua
2
1
2
Perù
4
1
1
Rep.
Dominicana
1
Venezuela
Massa
Arezzo
Grosseto
Lucca
Prato
1
3
1
2
Uruguay
1
2
1
Guatemala
Pisa
Livorno
Siena
Pistoia
Firenze
Tab. 11 Numero di Odv presenti nel Paese, per provincia
1
1
1
1
4
2
3
1
1
1
Volendo sintetizzare il senso della presenza geografica delle nostre
Odv nel mondo, il titolo di un famoso libro, “Va dove ti porta il cuore”
rende perfettamente l’idea della realtà. Potremmo infatti individuare
nei “fattori emotivi”, il fil rouge, il ‘senso’ di molte scelte di posizionamento delle Odv. Scelte che derivano dalle origini della propria storia,
dalle esperienze fatte, dagli incontri avuti che, se non tengono conto
dell’esistenza e della presenza di altre realtà analoghe, danno vita ad
una serie infinita di non-strategie e quindi ad una dislocazione territoriale così frammentata. Restando in tema di paesi, una delle caratteristiche che emerge e che contraddistingue quasi la metà delle Odv
45
(il 45%), è la concentrazione dei propri sforzi e delle proprie risorse
in un solo paese, come se le Odv lo ‘eleggessero’ a “paese adottivo”
verso cui orientare tutte le scelte progettuali e quindi anche le attività
promozionali e di sensibilizzazione.
Un terzo delle Odv invece è operativo fino a quattro paesi, mentre il
22% è presente in cinque o più contesti. Anche queste considerazioni
possono aggiungere a nostro avviso un’ulteriore ‘crocetta’ nel gioco
delle differenze tra chi agisce sull’onda della solidarietà internazionale o chi secondo logiche più ampie di cooperazione. Generalmente
mentre i primi, ‘reduci’ da esperienze di viaggio o conoscenze personali (come vedremo più avanti), rimangono ‘attaccati’ emotivamente
solo a quel paese e ad uno solo, indirizzandovi ogni sforzo e ogni
risorsa, i secondi ragionando più in termini ‘maturi’, con una vision
orientata ad una cooperazione vera e propria, cercano di allargare il
proprio raggio di azione.
Graf. 9 Presenza internazionale
4.
Il capitale umano: soci e volontari
Lo sviluppo è una questione di uomini e donne che devono essere al
centro di ogni processo di cambiamento. Per questo le risorse umane
sono l’elemento primo e fondamentale di una Odv che si occupa di
solidarietà internazionale (Alberti, Giudici 2003). Sebbene tale riflessione possa sembrare scontata e genericamente applicabile a tutte
le forme di associazionismo che popolano l’affollato mondo del Terzo
settore, per quelle Odv che lavorano nel Sud del mondo il concetto
46
assume una connotazione particolare.
Il contatto con contesti e culture differenti, decreta la necessità di
persone che, oltre ad essere fortemente motivate, devono possedere
capacità relazionali e competenze, in sintesi racchiudere quel mix tra
sapere e saper fare necessario per ottenere risultati importanti.
Come sostiene Tarozzi (1985) il volontario internazionale deve riassumere in sé tre ordini di caratteristiche che contraddistingueranno
i suoi output: come lavoratore creare valore, come cooperante trasmettere conoscenze fino alla creazione del suo proprio omologo
locale, come soggetto di un rapporto solidaristico stabilire relazioni
dotate di senso.
Dal punto di vista della dimensione quantitativa, rilevata in prima battuta esclusivamente dal numero di soci, possiamo senz’altro affermare che vi è una netta distinzione tra Odv piccole, medie e grandi,
dove quest’ultime (con oltre 30 soci) sono la maggioranza con il 56%.
Ma non ci si lasci ingannare dal dato. Qui infatti stiamo parlando di
soci, di persone che condividono una vision, delle finalità, ma che
non necessariamente sono operative e attive all’interno dell’associazione affinché tali finalità possano concretizzarsi.
Per questo motivo si è dimostrato opportuno scindere la figura del
socio da quella del volontario attivo, operante con continuità nelle
attività dell’associazione.
Una distinzione che si rivela ancor più necessaria in un contesto
come quello del volontariato internazionale, all’interno del quale, le
dinamiche di turn over sono maggiori che in altri contesti e la partecipazione può dimostrarsi più impegnativa in termini di tempo da
spendervi (condizionata dalle vicende naturali della vita come il matrimonio, i figli, la pensione), di presenza di competenze specifiche e
non di meno di risorse economiche da dedicarvi.
In virtù di ciò, notiamo come la classificazione precedentemente stilata, si ribalti: sono le medie (da 11 a 30 volontari attivi) e le piccole Odv
(da 1 a 11) quelle che si dividono la scena di questo panorama, rispettivamente con il 45% e il 42%. Solo il 13% dichiara di avere oltre 30
volontari che con continuità si dedicano alle attività dell’associazione.
47
Graf. 10 Confronto tra la presenza di soci e volontari attivi
Un dato che conferma la tendenza generale all’interno del panorama
italiano: Odv come piccoli gruppi di persone che nella maggioranza
dei casi non superano i 20 operatori. Tale fenomeno di assottigliamento delle organizzazioni è dovuto al concorso di due fattori: la difficoltà
di molte associazioni a garantire il necessario e fisiologico turn over di
volontari e la nascita di nuove realtà basate sull’attività di pochissimi
soggetti (Frisanco 2006a). Peculiarità che se da un lato evidenzia la
‘ricchezza’ di un tessuto sociale, la forza, il dinamismo e la maturità di
una società civile con un forte spirito di cittadinanza attiva, dall’altra
può rappresentare un punto di debolezza rispetto a quei temi tanto
cari alla cooperazione allo sviluppo di efficacia ed efficienza dell’aiuto. Ciò che sarebbe opportuno consolidare quindi (e creare là dove
non c’è) è un maggiore coordinamento, affinché le scelte (di settore,
territoriali, progettuali, ecc.), pur nella piena autonomia e indipendenza, possano essere il frutto di una politica condivisa e di una strategia
razionale che conduca ad un rafforzamento di tutto l’ambito e non ad
una mera “concorrenza autoreferenziale”.
Integrando inoltre con informazioni di precedenti indagini condotte
sul territorio regionale (Irpet 2009), possiamo aggiungere quelle che
sono alcune caratteristiche strutturali dei soggetti volontari impegnati
nello specifico settore della solidarietà internazionale. Il quadro che
48
emerge evidenzia un volontariato prevalentemente femminile (63%
contro il 37%), giovane ma non troppo, è infatti la fascia di età tra i
35 e 64 anni a dominare con il 49%, seguita da quella tra i 15 e i 34
anni (23%), con un livello di istruzione medio alto (il 53% possiede un
diploma e il 38% è laureato).
5.
La dimensione economica
Le dimensioni strutturali trovano un riscontro oggettivo anche analizzando il volume economico. A tale riguardo la maggioranza delle Odv
(il 66%) dichiara di aver avuto nel corso del 2011 un bilancio inferiore
ai 50 mila euro (di cui il 22%, addirittura inferiore ai 10 mila), mentre il
18% tra i 50 e i 100 mila euro e solo il 14% indica una bilancio superiore ai 100 mila euro.
Graf. 11 Bilancio 2011
Per aggiungere ulteriori informazioni, è stato successivamente messo
in relazione il numero dei volontari attivi con la dimensione economica dichiarata. Da questa analisi emerge in primo luogo come tra le
Odv ‘piccole’ (che contano da 1 a 10 volontari), l’85% si trova sotto
la soglia dei 50mila euro annui (tra cui un 5% che dichiara di aver
chiuso un bilancio a zero), contro il 16% che è oltre tale fascia. Un
49
rapporto che non deve destare stupore, dal momento che soprattutto
in un settore come quello preso in esame, le risorse umane disponibili rappresentano un elemento decisivo per raggiungere determinati
obiettivi, anche economici. Il divario della forbice tende quindi a ridursi all’aumentare delle dimensioni: mano a mano che il numero dei
volontari cresce, le percentuali delle due fasce di budget (sotto i 50
mila e sopra i 50 mila) tendono ad avvicinarsi sempre più, fino a raggiungere la perfetta parità tra quelle Odv che hanno al proprio attivo
oltre 30 volontari.
6.
La forza progettuale
Per capire poi la “forza incisiva” delle Odv, la loro “continuità operativa”, abbiamo chiesto di indicare il numero di progetti realizzati negli
ultimi tre anni.
A tale riguardo, quando si parla di ‘progetto’ in un ambito come quello
del volontariato è importante fare alcune premesse che, soprattutto
in un contesto operativo come quello internazionale, risultano essere
oltreché necessarie anche in qualche modo discriminanti.
Cosa è un progetto? Come viene inteso dalle nostre Odv? Nel lessico
della cooperazione allo sviluppo, il progetto è un complesso processo di scelte, analisi, attori, risorse. Un insieme di dinamiche di non
facile gestione. Costruire una scuola, piuttosto che un dispensario o
un pozzo (in molti casi senza prevedere altre azioni ‘prima’ o ‘dopo’)
seppur definibile con il termine ‘progetto’, molto spesso non coincide
con attività tipiche della cooperazione allo sviluppo.
A fronte infatti di un ciclo del progetto che nell’ambito della cooperazione allo sviluppo prevede una serie di fasi ben strutturate, azioni
da svolgere, attori da coinvolgere, molto spesso, raccolte le risorse
(attraverso le più svariate attività di sensibilizzazione) queste vengono portate direttamente nel paese destinatario e una volta costruita la
scuola, il dispensario o il pozzo, si riparte.
Una precisazione che ritroveremo in seguito e che ritornerà molto utile al fine di specificare quella distinzione operativa che sta alla base
della nostra ipotesi. Fatte queste premesse, vediamo come il panorama associativo preso in esame sia molto eterogeneo in termini di
50
operosità.
Se infatti il 31% dichiara di aver realizzato meno di un progetto all’anno (nell’arco degli ultimi tre anni), il 37% risulta essere poco più attivo
con 5 progetti nell’arco di tempo considerato.
Più aumentano i progetti realizzati, più diminuiscono le percentuali
delle Odv presenti: da due a tre progetti all’anno per il 23% delle realtà, fino ad arrivare a oltre dieci progetti negli ultimi 3 anno per l’8%
delle Odv.
Graf. 12 Progettualità 2009-2012
Per quanto riguarda il numero di progettualità realizzate nell’arco degli ultimi tre anni, sono ovviamente le Odv che hanno maturato una
storia superiore i dieci anni ad avere una maggiore operatività. La dimensione economica in questo caso non sembra avere un’incidenza
importante; mentre più rilevante risulta essere senza dubbio il numero
di volontari attivi.
Tra quelle Odv che registrano un numero basso di progettualità (meno
di 3 progetti), il 70% è rappresentato da Odv piccole in termini di volontari attivi. Con l’aumento delle dimensioni, anche il numero delle realizzazioni tende a crescere. Non molti progetti quindi, una scelta che
per la maggioranza delle Odv rappresenta la volontà di focalizzarsi in
obiettivi limitati nel tempo, certi e sicuramente anche più immediatamente ‘leggibili’ da parte dei sostenitori.
51
A testimonianza di ciò, anche la durata temporale degli stessi progetti
fornisce informazioni utili: nel 43% dei casi, le attività realizzate hanno
un corso limitato ad un anno (tra questi, per il 19%, addirittura meno
di una anno). Come per il numero dei progetti, anche in questo caso
il rapporto è inversamente proporzionale: più aumenta l’impegno e la
continuità temporale, più diminuisce il numero di Odv che lavorano
con progettualità a lungo termine: se da un lato il 39% delle realtà
produce un impegno almeno biennale (da 2 a 4 anni), il 18% delle
Odv intervistate dichiara che i propri sforzi sono rivolti a progettualità
di lungo periodo che coprono i 5 anni.
Graf.13 Durata dei singoli progetti
In egual misura, se andiamo ad analizzare il volume economico medio di ciascun progetto (sempre relativo agli ultimi 3 anni), ci accorgiamo che quanto sopra descritto è ulteriormente avvalorato. Il 61%
delle Odv infatti realizza progetti con un budget medio inferiore ai 15
mila euro (tra questi, il 18% addirittura, sotto i 5 mila euro), mentre
solo il 18% rientra nella fascia di progetti sopra i 30 mila euro.
52
Graf. 14 Budget medio dei progetti
In virtù di ciò, possiamo sintetizzare questi aspetti relativi alle attività
progettuali, con lo slogan “pochi ma certi”; pochi progetti, limitati nel
tempo e dai costi ridotti e sostenibili. Si tratta di un fenomeno che non
va considerato necessariamente in termini negativi, tutt’altro, ma che
dimostra senza dubbio, come l’approccio delle nostre Odv sia più
orientato verso un agire internazionale solidaristico, che verso dinamiche tradizionali di cooperazione allo sviluppo.
7.
Tra volontariato e professionismo
L’approccio volontaristico alla ‘vita’ associativa e alla gestione delle attività rappresenta uno dei tratti essenziali che contraddistingue,
senza dubbio, l’identità delle nostre Odv. E’ opinione condivisa infatti,
tra chi si occupa a vario titolo di economia sociale, che proprio le risorse umane che operano nel mondo del volontariato costituiscano il
valore aggiunto che questa consistente parte del settore non profit riesce a esprimere, sia in termini di volume di servizi offerti sia in termini di sviluppo del settore stesso; la gratuità del servizio è, a sua volta,
il cuore dell’azione delle risorse umane che operano nel volontariato.
La gestione volontaristica delle attività viene così considerata anche
da molti attori che operano nel campo della solidarietà internazionale
come l’elemento peculiare del proprio agire, oltre che l’ingrediente
necessario per determinare il buon esito delle attività, grazie a quel
valore aggiunto di ‘empatia’ e sensibilità che un approccio volontario
53
può fornire in misura maggiore nelle varie fasi di gestione delle attività, non per ultime le dinamiche relazionali con i beneficiari.
All’interno del settore internazionale che stiamo analizzando, caratterizzato da una crescente specializzazione e articolazione nelle
metodologie, nelle relazioni e nelle attività stesse, l’autentica e genuina finalità solidaristica degli associati verso il proprio impegno nella cooperazione, se inserita in un’ottica più professionale, potrebbe
rappresentare un ostacolo, un freno, rallentando non solo il normale
svolgimento delle attività progettuali, ma anche provocare evidenti e
inevitabili conseguenze sul destino dell’organizzazione stessa (Lenzi
Grillini, Malfatti, Pellecchia, Zanotelli 2012).
Nonostante molti operatori del settore condividano e rivendichino la
scelta di lavorare con un approccio volontario, come una scelta consapevole e programmatica, non è difficile trovare molte Odv che “si
aprono” alla presenza di personale retribuito.
Anche se per molte realtà associative l’esperienza acquisita direttamente sul campo può rappresentare un valore aggiunto che le porta
a non sentire la necessità di operare (per alcune attività) una scelta
in senso professionale, non si può negare come per molti ambiti di
attività un certo livello di professionalità sia necessario alla gestione
e all’implementazione di processi di cooperazione; basti pensare alle
fasi di amministrazione/rendicontazione, alla formazione o alla necessità di specificità professionali per la realizzazione delle attività.
Queste riflessioni ci portano a considerare la presenza o la possibilità
di avere personale retribuito, in un ambito come quello internazionale,
un elemento che, nella giusta misura e proporzione contribuisce in
modo positivo alla giusta realizzazione dei percorsi progettuali.
A livello regionale le rilevazioni Fivol evidenziano che il 29,5% delle
Odv toscane, in misura tendenzialmente crescente negli ultimi anni
(rispetto al dato del 1997 tale aliquota è aumentata di ben 23 punti
percentuali), dispone di una quota di lavoratori remunerati. Rispetto a
quello dei volontari, l’aumento appare però molto più contenuto. Tale
dato, è confermato da indagini nazionali (Istat 2006; Cnel/Istat 2008)
che, infatti, attestano la crescita del personale retribuito nelle Odv
toscane tra il 2001 ed il 2003 attorno al 10% circa, contro un aumento
54
della presenza volontaria pari al 17%. In linea con quanto emerge
sul piano regionale a livello generale, anche per quanto riguarda la
nostra indagine di settore emerge che per quasi un terzo delle Odv (il
31%) le proprie attività rappresentano un carico di lavoro significativo
al punto da far riferimento (attualmente o in passato) a figure contrattualizzate dedicate alla gestione di alcuni aspetti delle attività.
A tale proposito, gli ambiti all’interno dei quali tali figure vengono più
frequentemente utilizzate, possono essere divisi in due: il primo, legato ad aspetti amministrativi e di segreteria (per il 54% delle Odv
che hanno risposto positivamente), il secondo prettamente legato alle
dinamiche relative al ciclo del progetto, come nel caso della progettazione vera e propria (per la metà esatta delle Odv), o al coordinamento del progetto (per il 58%). Decisamente più marginale (per il
12% di queste Odv) è l’area collegata ai processi di valutazione. Un
tema con il quale, come vedremo anche in seguito, il nostro universo
associativo non è ancora molto abituato a convivere.
Graf. 15 In quale ‘settore’ lavora il personale contrattualizzato
La presenza o meno all’interno della struttura organizzativa di personale a contratto per la gestione delle attività può rappresentare un
buon punto di partenza per una serie di riflessioni. Anzitutto, volendo integrare le informazioni ricavate dalla nostra indagine con alcuni
55
dati di settore emersi dalla rilevazione condotta sulle Odv toscane
dall’Irpet nel 2009, è possibile affermare come rispetto alle tipologie
contrattuali, il principale strumento utilizzato dalle Odv del settore internazionale è il contratto a progetto (per il 57% dei casi), seguito da
contratti a tempo determinato (per il restante 43%). Personale retribuito che, sempre secondo questa indagine è distribuito nel 71% dei
casi su impiegati e nel 14% su figure dirigenziali.
Tornando all’analisi dei dati emersi dalla nostra rilevazione, a seguito
di una serie di incroci, si può poi affermare, come anche in questo
caso, l’anzianità dell’associazione incide più di ogni altra variabile,
tanto che le organizzazioni che hanno attualmente o hanno avuto in
passato personale a contratto il 62% ha una storia di oltre dieci anni.
Per certi aspetti è anche comprensibile considerando che l’anzianità,
in particolar modo nel campo del volontariato, di questo volontariato,
porta con sé complessità sempre maggiori di tipo organizzativo, gestionale, insieme a nuovi spazi, nuove opportunità, anche di tipo economico che richiedono una gestione molto accurata e professionale.
In effetti prendendo in considerazione la dimensione economica, è facile veder come all’aumentare del volume, aumenta anche il numero
di Odv che riescono o sono riuscite a offrire occasioni di lavoro retribuito. Inoltre se il numero di progettualità, contrariamente a quanto si
potrebbe pensare, non incide sulla presenza di persone a contratto,
quello che in qualche modo sembra produrre degli effetti è il numero
di paesi in cui l’associazione è attiva: più questo aumenta e più la
percentuale di Odv che dichiarano di far riferimento a personale stipendiato aumenta. Decisiva è anche la dimensione dell’associazione
stessa, quella che ha come riferimento il numero di volontari attivi: più
piccola è l’associazione, meno volontari operativi registra e più alta
è la percentuale dei contrattualizzati. Oltre la metà (il 56%) delle Odv
che dichiara di fare o aver fatto uso di personale a contratto possiede
un numero di volontari inferiore a dieci.
Con riferimento alle persone che all’interno delle Odv svolgono un lavoro retribuito, si può quindi sintetizzare come non sia così eccessivo
il ricorso delle Odv a personale dipendente e, più in generale, a forme
di lavoro remunerato indipendentemente dalla tipologia contrattuale
56
utilizzata in quanto le realtà non profit nascono con obiettivi diversi
da quello di creare occupazione. Il carattere della gratuità dell’opera
prestata sembra, perciò, rimanere fondamentale ancora oggi, nonostante la consistente crescita che l’associazionismo ha sperimentato
negli ultimi anni.
8.
Verso un processo di istituzionalizzazione
Con l’obiettivo di ottenere maggiori informazioni dalla mole di dati
ottenuti attraverso il questionario, abbiamo costruito alcuni indici sintetici per sistematizzare la situazione delle organizzazioni indagate.
Per costruire gli indici abbiamo, di volta in volta, utilizzato alcune domande presenti nel questionario assegnando alle risposte dei ‘punteggi’ compresi tra 0 e 11. Il primo indice costruito, ci permette di
individuare il livello di istituzionalizzazione delle Odv. Per ottenere ciò
sono state prese in considerazione solo alcune domande che a nostro avviso potevano rappresentare coerentemente un processo di
istituzionalizzazione.
Nello specifico sono state estrapolate le domande relative alla presenza storica dell’associazione nel settore della cooperazione (d.1), il
numero di soci (d.11) e il numero di volontari attivi (d.12), la presenza
di personale a contratto (d.16) e di specifiche professionalità (d.23)
e l’organizzazione di processi formativi interni (d.49). I valori ottenuti,
che variano tra 0 (che indica un livello minimo di istituzionalizzazione)
e 10 (massima istituzionalizzazione) sono stati successivamente riaggregati in tre categorie (ciò è stato fatto per tutti gli indici):
1. Basso (quei valori compresi tra 0 e 2,99)
2. Medio (tra 3 e 6,99)
3. Alto (tra 7 e 10).
1 Le nuove variabili sono quindi trattabili come variabili cardinali. Per ciascuna
osservazione (associazione intervistata) i, ciascun indice è calcolato come somma
dei punteggi registrati per ogni variabile considerata (nella costruzione di quell’indice). In formula: Ii= V1i + V2 i + V3 i + V4 i +...VN i
I valori così ottenuti sono poi stati normalizzati entro uno stesso campo di variazione
0-10. I valori degli indici sono quindi stati utilizzati per classificare i vari casi entro un
numero ristretto di categorie, lungo ciascuna dimensione analizzata.
57
Sulla base di una lettura delle frequenze possiamo affermare che le
nostre Odv tendono verso un lento processo di istituzionalizzazione
che non si è ancora realizzato totalmente. Come è possibile vedere
dalla tabella, la stragrande maggioranza delle realtà intervistate (il
74%) si colloca in una posizione intermedia, a fronte di quasi un quarto delle Odv che possono essere considerate, alla luce delle variabili
prese in esame, fortemente istituzionalizzate.
Tab. 12 Indice di istituzionalizzazione
Livelli di istituzionalizzazione
%
Bassa istituzionalizzazione
3,5%
Medio istituzionalizzazione
74,4%
Alta istituzionalizzazione
22,2%
Anche il grafico sottostante, che prende in esame tutti i valori (da 0 a
10), evidenzia molto bene questo andamento: un folto gruppo di realtà posizionate nella fascia centrale con una propensione verso livelli
di istituzionalizzazione più alti.
Graf. 16 Istituzionalizzane
58
Questo evidenzia, oltre alla sostanziale presenza di tre grandi gruppi,
una realtà complessiva molto ‘liquida’ sotto l’aspetto preso in esame.
Una strada ancora lunga che però diventa fondamentale perseguire,
al fine di poter descrivere un settore ben strutturato e in grado di far
fronte in maniera adeguata alle sfide che la modernità, anche nel settore della cooperazione, pone in essere.
Il raggiungimento di un grado di istituzionalizzazione medio alto, rappresenta infatti uno spartiacque per alcuni aspetti determinante. Sia
per quanto riguarda il livello di integrazione (come vedremo più avanti), sia per quanto riguarda la distinzione operativa tra un agire di
solidarietà internazionale e uno di cooperazione allo sviluppo. I dati
ci restituiscono un panorama dove chi ha un maggior livello di istituzionalizzazione è anche quello che riesce ad essere maggiormente
integrato nel sistema toscano, così come propende più di altri verso
quello che definiamo un agire prevalentemente di cooperazione allo
sviluppo.
59
Capitolo 2
Dall’idea al progetto: genesi di un percorso
1.
Il punto di partenza
Dopo aver fornito una prima introduttiva fotografia del quadro strutturale e istituzionale, ci addentriamo nella fabbrica delle idee e degli
approcci operativi, cercando di andare ad esplorare nel più profondo
possibile l’agire di queste realtà.
Come nasce un progetto, un’attività? Quali sono le principali motivazioni che portano un’associazione ad iniziare un percorso che molto
spesso si rivela faticoso e accidentato?
A tali interrogativi abbiamo cercato di fornire delle risposte attraverso
una serie di quesiti che ci permettessero di comprendere le dinamiche che stanno alla base di questo impegno volontario. In primo luogo, abbiamo voluto indagare, in merito alla scelta progettuale, quale
‘molla’, quale input può risultare determinante al fine di dare inizio ad
una attività. Dalle risposte multiple fornite emerge un panorama molto
peculiare formato da elementi riconducibili ad un mix tra ciò che potremmo definire “protagonismo individuale” e “pluralismo condiviso”.
Scendendo nel dettaglio, sembra essere proprio l’iniziativa individuale di singoli membri dell’associazione, l’opzione intorno alla quale si
ritrova ‘spesso’ la stragrande maggioranza delle realtà coinvolte (il
77%). Un agire individuale che rappresenta il punto di partenza, lo
stimolo che raccoglie intorno a sé il consenso del resto del gruppo
aprendo, in tal senso, la strada alle operazioni progettuali. Contrariamente a ciò, un diverso incentivo alla scelta di sviluppare attività e
progetti, è quello che per un terzo delle Odv, è ‘spesso’ riconducibile
a richieste provenienti da realtà partner.
In questo caso la figura del partner, soprattutto quando si fa riferimento all’Africa, è costituta in molti casi da quelle Missioni religiose già
presenti sul territorio che svolgono la funzione di supporto logistico
oltre che di input per l’azione. Un legame, quello tra Chiesa e solidarietà internazionale che, fin dalle origini dell’impegno volontario in
questo ambito (negli anni Sessanta), ha contraddistinto la nascita e lo
sviluppo di una parte di Odv.
60
Una ‘contrapposizione’ che evidentemente perdura nel tempo in virtù
del fatto che all’interno del nostro universo il 23% continua ad avvalersi ‘spesso’ dell’appoggio delle Missioni e il 18% ‘qualche volta’,
a fronte di poco più dell’altra metà delle Odv che ‘mai’ si avvale di
queste realtà presenti sui territori dei vari paesi. L’aspetto che può
assumere una particolare rilevanza è quello che tenta di rilevare alcune caratteristiche di queste Odv, stimolate (e a volte anche generate)
da situazioni precostituite quali, nel caso specifico, dalle Missioni di
ispirazione religiosa.
In primo luogo possiamo affermare come tra quei casi che dichiarano
di agire ‘spesso’ sulla base di sollecitazioni provenienti da Missioni
religiose, vi sono Odv che hanno una storia alle spalle abbastanza
consolidata (da un minimo di 4 anni ad oltre 10 anni di vita). Anche la
dimensione economica sembra incidere: il 61% tra coloro che operano ‘spesso’ con questo approccio, dichiarano volumi economici annui
inferiori a 50 mila euro. Questo potrebbe indicare il fatto che molte di
queste Odv nascono sulla scia emotiva di incontri con religiosi (molto
spesso figure ‘carismatiche’) intorno alle quali si costruisce successivamente un primo “gruppo di contatto” e da qui la costituzione quasi
‘familiare’ (o parrocchiale) dell’associazione strutturata con caratteristiche e modalità di conduzione molto semplici.
Un dato che rafforza questa riflessione è quello che l’85% delle Odv
che lavorano in collegamento con missioni religiose è presente in un
numero limitato di paesi (il 35% in uno solo). Altra considerazione che
ci può ricondurre alla nostra ipotesi è il fatto che il 71% non è presente
in alcun network o forum e solo il 20% lo è in maniera continuativa.
Così come l’81% non ha mai partecipato ad alcuna iniziativa organizzata dalla Regione Toscana sui temi della cooperazione internazionale e l’85% non ha mai presentato un progetto per il bando della Regione stessa. Un ultimo dato che ci permette di avvalorare quanto scritto
fino ad ora in merito a questo tipo particolare di realtà, è il rapporto
con le altre Odv. A tale proposito emerge come oltre la metà di queste
Odv (il 52%) dichiara di essere in contatto con meno di 3 realtà con le
quali realizzare le attività; percentuale che diminuisce all’aumentare
del numero delle collaborazioni. Elemento ricorrente di questa tipolo-
61
gia di organizzazioni è il grado di informalità, sia nella struttura, che
nell’organizzazione e nella gestione delle attività.
Procedendo nell’individuazione degli “stimoli di partenza”, particolarmente significativo è il fatto che l’idea e la scelta di avviare un’attività di carattere internazionale provenga, solo per poche Odv, da
enti locali. È infatti solo il 5% dei nostri intervistati che dichiara di aver
intrapreso un proprio percorso progettuale su richiesta di Comuni o
Province, mentre il 63% non ha mai fatto riferimento a questo tipo di
rapporto, almeno nella fase dell’ideazione dell’iniziativa.
Questo dato risulta essere particolarmente significativo nel momento
in cui cerchiamo di descrivere i percorsi e le dinamiche di realtà presenti all’interno di un contesto regionale di cooperazione decentrata
che si definisce come un ‘sistema’ in grado di coinvolgere tutti gli
attori del territorio. Ulteriore dato rilevante, di fronte all’ultima ‘evoluzione’ negli approcci e nelle modalità della cooperazione allo sviluppo, è la pressoché totale mancanza di attenzione delle nostre Odv al
potenziale valore aggiunto ricoperto dai migranti su territorio toscano.
Oggi il ‘co-sviluppo’ rappresenta per molti attori locali, il punto di partenza per avviare percorsi di condivisione e partecipazione, al fine
di rendere attrice protagonista la figura del migrante, con tutto il suo
carico, “qui e là”, di conoscenze, relazioni e capacità1.
I dati ci restituiscono un panorama che ancora è molto lontano da
questa nuova visione (il 78% dichiara che ‘mai’ si è dato inizio ad un
intervento su segnalazione di comunità di immigrati presenti sul territorio dell’associazione) e che le sensibilità, l’interesse e forse anche
le capacità, sono poco sviluppate. A fronte di ciò, solo il 4% del totale
sostiene al contrario che tale metodologia rientra ‘spesso’ nel proprio
agire, mentre per un ulteriore 17% solo ‘qualche volta’. Per alcuni
aspetti, questi dati avvalorano sempre più la tesi di un ‘ripiegamento’
e di un’attenzione verso pratiche di ‘solidarietà’ piuttosto che di ‘cooperazione’, o comunque di un settore che oscilla tra questi due ‘poli’,
con approcci differenti nella visione, nelle modalità e nelle intenzioni.
1 Per un approfondimento circa il tema del co-sviluppo si veda l’ampia bibliografia a disposizione in www.cespi.it.
62
Sempre in relazione al tema appena accennato del co-sviluppo, incrociando alcune risposte, emerge come la sensibilità a questo nuovo approccio aumenti con l’esperienza accumulata. Maggiori sono
infatti gli anni di lavoro nell’ambito internazionale e più alta è la frequenza con la quale le Odv dichiarano di essere orientate verso tale
nuovo metodo di cooperazione.
Si tratta di un elemento che riflette, per quelle poche Odv che comunque hanno dichiarato di affacciarsi a questo nuovo modo di intendere la cooperazione, la capacità di lettura dei cambiamenti sociali
e quindi anche la capacità di evolvere la propria vision culturale e
metodologico-operativa.
In genere le Odv che adottano l’approccio del co-sviluppo sono quelle
che dichiarano di lavorare all’interno di un solo paese. Sicuramente, il
fatto di avere un raggio di azione molto limitato può rappresentare un
vantaggio che permette di concentrare gli sforzi su un solo obiettivo
e avere maggiore capacità di analisi. La “vocazione personalistica” di
molte Odv, almeno nella scelta delle modalità operative, si riscontra
anche rispetto alle prassi di contatto con quelli che saranno i futuri
beneficiari delle attività.
Per l’80% delle Odv, sono sempre i contatti personali a prevalere su
altre procedure relazionali. Un agire dettato da esperienze di singoli
membri dell’associazione (per il 54%, ‘spesso’ in occasione di viaggi,
‘qualche volta’ per il 24%); conoscenze dirette ‘riportate’ successivamente all’interno del gruppo, condivise e fatte proprie da tutta l’associazione. Non mancano comunque occasioni di contatto ispirate
da legami con altre Odv del territorio (‘spesso’ per il 23% e ‘qualche
volta’ per un ulteriore terzo); così come rilevanti sono gli appoggi derivanti dalle Missioni che, oltre a ‘segnalare’ potenziali occasioni di
intervento (come abbiamo visto in precedenza) rappresentano ‘spesso’ per un 25% e ‘qualche volta’ per un ulteriore 20% delle Odv, il
“braccio operativo”, l’intermediario di fiducia su cui fare affidamento.
2.
Beneficiari e partners
All’interno di un qualsiasi progetto o di una concreta iniziativa di solidarietà, un nodo di fondamentale importanza riguarda il rapporto
63
con i beneficiari che, soprattutto quando si opera nel campo della
cooperazione internazionale, rappresenta un indicatore essenziale
della sostenibilità di tutto il processo. Se è vero che già di per sé
il termine ‘beneficiario’ ha per molto tempo prefigurato (nel lessico
e nella pratica della cooperazione) quel ruolo ‘passivo’ rivestito dai
soggetti ai quali sono rivolti gli interventi di sviluppo, rendendo così
la relazione “a senso unico”, l’evoluzione delle politiche di sviluppo
ha visto sempre più tale figura smarcarsi da questa immagine e da
questo ruolo considerato contrario alle buone pratiche nel realizzare i
progetti, addivenendo (almeno in teoria) un elemento centrale e attivo
di tutto il ciclo del progetto (Schunk 2000; Lecomte 1986; Guéneau
1989; Rossi 2004).
Dalla fine degli anni Sessanta infatti, sia l’esperienza diretta di Ong
e Odv di solidarietà, sia i cambi di paradigma teorici, mettono in risalto la necessità di superare quegli approcci allo sviluppo basati
su una logica top down, dall’alto verso il basso, all’interno dei quali
il rapporto tra gli attori (pianificatori da un lato e beneficiari dall’altro)
era esclusivamente asimmetrico, concretizzato su un trasferimento
materiale di beni e servizi.
A queste logiche di pianificazione rigide basate su approcci esclusivamente tecnocratici, si sostituisce un tipo di approccio definito bottom up, dal basso, fondato su metodologie partecipative che coinvolgono attivamente i beneficiari dei progetti, trasformando così le
relazioni tra i soggetti di tutto il processo di sviluppo, da asimmetriche
e gerarchiche quali erano, in rapporti basati su orientamenti e metodologie paritetiche. Tuttavia, le parole d’ordine coerenti con questo
approccio che dagli anni Novanta cominciano a diffondersi nel linguaggio dello sviluppo come sviluppo endogeno, partnership, ownership (Bonaglia, de Luca 2006; Black 2004), a volte risultano solo
pura retorica. Ciò ci induce a soffermarci su alcune riflessioni che
toccano temi cruciali di un dibattito contemporaneo che ruota intorno
alle buone pratiche di un agire orientato allo sviluppo e alla cooperazione e sulle caratteristiche che deve presentare ogni intervento che
si definisca ‘partecipativo’.
Con il concetto di partecipazione si intende quel processo per il qua-
64
le un individuo, una comunità o un’associazione, coinvolti in una relazione di cooperazione internazionale sviluppano le attitudini e si costruiscono gli strumenti analitici, i canali comunicativi e le condizioni
operative necessarie per riflettere criticamente sulla progettazione,
attuazione e valutazione del progetto stesso. La partecipazione può
essere intesa, percepita e vissuta sotto vari aspetti e pratiche: come
un processo di condivisione con i beneficiari delle informazioni relative all’intervento di sviluppo programmato; come un approccio che
prevede che i beneficiari giochino un ruolo attivo durante l’esecuzione del progetto; come l’intervento dei soggetti o delle comunità dei
beneficiari nella fase di ideazione e nascita di un progetto.
La partecipazione, come evidenziato da molti studi specifici inerenti
le pratiche di sviluppo (Tommasoli 2001), può concretizzarsi a vari livelli, da quello retorico formale, a quello attivo rivestito dai beneficiari
nelle varie fasi del ciclo del progetto o solo nella realizzazione delle
attività del progetto stesso. Si tratta di livelli che evidenziano il grado
di partecipazione e che ci permettono di comprendere quanto un
intervento sia conseguenza e risultato di uno scambio e di una condivisione fra i vari soggetti o invece frutto di quella logica top down,
ormai abbandonata da molti attori. Il processo partecipativo è spesso
difficile da avviare poiché, oltre a prevedere una forte attenzione dei
reali bisogni dei beneficiari, deve concepire anche il rispetto delle
dinamiche sociali e culturali attive all’interno delle loro comunità (Tommasoli 2001).
Durante la ricerca, attraverso alcune domande specifiche ci siamo
concentrati anche su quanto la partecipazione dei beneficiari sia realmente effettiva.
Dalle risposte emerge un quadro non del tutto ‘brillante’, costituito da
luci e ombre. Da questo punto di vista le ‘nostre’ Odv sembrano avere
ancora una visione abbastanza ‘tradizionale’, anche se non mancano
aperture verso l’approccio partecipativo.
In primo luogo, constatiamo come per il 76% delle realtà intervistate
(sommando l’opzione ‘spesso’ e ‘qualche volta’) i beneficiari rappresentano i terminali ultimi delle attività, ricettori esclusivi degli interventi
senza svolgere altre funzioni o ricoprire ruoli all’interno del progetto.
65
Un approccio che ci porta a considerare gran parte delle Odv come
realtà ancora poco inclini a considerare la partecipazione un ingrediente necessario per innescare processi di sviluppo autonomo e sostenibile.
Sicuramente riuscire a mettere in pratica e realizzare quella partecipazione, spesso annunciata e formalizzata nei documenti progettuali,
risulta essere un’operazione molto complessa. Ciò comporterebbe
la capacità di rivedere tutto il sistema gestionale interno all’associazione, oltre al fatto che l’utilizzo di metodologie partecipative non è
certo un’operazione semplice, richiedendo competenze ben precise,
disponibilità di tempo e risorse economiche non sempre utilizzabili.
Tuttavia per il 64% (sempre sommando le due opzioni) i beneficiari
rappresentano anche gli esecutori delle attività a loro rivolte. In questo caso è possibile intuirne facilmente le motivazioni, individuabili
nelle difficoltà da parte delle Odv di seguire con continuità lo stato
di avanzamento dei lavori e contribuire nel tempo alla realizzazione
delle attività. Le attività vengono quindi ‘delegate’ successivamente
agli stessi beneficiari, che partecipano secondo modalità predefinite.
Un dato comunque confortante è che per il 61% delle realtà intervistate i beneficiari rappresentano anche i co-autori del progetto. A questo
proposito sarebbe però utile indagare in profondità cosa intendono
con ciò e in quali fasi specifiche e concrete si manifesta questo ruolo.
In linea di massima constatiamo che più ci allontaniamo dal campo
delle realizzazioni vere e proprie legate alle attività del progetto e più
la presenza dei beneficiari si ‘allenta’. Nonostante ciò, dalle risposte
al questionario emerge una certa consapevolezza dell’importanza di
altri tipi di partecipazione da parte delle Odv, come nel caso della
valutazione.
Su questo punto, come già sottolineato, emerge nettamente la tendenza a considerare questo un “anello debole” all’interno del ciclo
dei progetti realizzati.
La cultura della valutazione è ancora troppo assente nel mondo
dell’associazionismo e ciò si ripercuote negativamente nella presenza degli stessi beneficiari a questo tipo di attività. Nell’ambito dei processi di valutazione solo il 28% degli intervistati dichiara di coinvol-
66
gere ‘spesso’ i beneficiari del progetto da valutare, a differenza della
metà delle Odv che non prevede la partecipazione dei beneficiari a
questo tipo di attività.
Leggermente differente è la figura del partner identificata come il
soggetto presente in loco con il quale l’associazione intrattiene una
relazione di collaborazione. Per il 53% delle Odv il partner svolge
‘spesso’ il ruolo di co-coordinatore delle attività e per un ulteriore 24%
‘qualche volta’; tale figura risulta quindi impiegata prevalentemente
come supporto logistico sul territorio, (per gli evidenti motivi che non
è possibile, per molte delle Odv di volontariato, garantire una presenza sul terreno frequente e costante). Per un percentuale leggermente
inferiore (il 75% delle Odv), il partner risulta essere anche il co-autore
del progetto. Tali dati se da un lato mostrano un atteggiamento di
apertura delle Odv ad una logica di partnership, fondata su dinamiche di partenariato reale, dall’altro potrebbero nascondere un’altra
realtà. Molto spesso nell’ambito del settore indagato la figura del
partner viene fatta coincidere con quella del beneficiario in virtù del
fatto che si segue, in gran parte dei casi, la logica di un intervento
solidaristico unidirezionale, non dettato cioè da esigenze e necessità ‘imposte’ da formalità legate alla presentazione di progettualità
complesse e comparative (che richiedono la presenza di partenariati
consolidati e riconoscibili).
Nonostante l’enfasi posta sul significato teorico della partecipazione
all’interno del settore dello sviluppo, il coinvolgimento da parte dei
beneficiari non è mai stato semplice da avviare. Se da un lato queste
criticità possono essere originate dalla scarsa ‘maturità’ e ‘sensibilità’
di chi opera in questo campo, dall’altro è molto più probabile e frequente che queste siano dovute a quelle difficoltà strutturali nel saper
gestire in maniera pianificata e programmata le fasi del progetto. Da
ciò si evince l’estrema attenzione che le Odv devono riporre al ciclo
del progetto, proprio per le potenzialità che questo approccio offre in
tutte le sue fasi alla creazione di ampi spazi di reale partecipazione
di tutti gli altri attori.
I momenti principali nei quali la partecipazione riesce a svilupparsi in
modo più proficuo sono l’analisi del contesto e le valutazioni ex ante
67
e finali che, seppur onerose in termini di risorse economiche, umane
e di tempo, sono necessarie per la riuscita di un progetto perché,
come sostiene Chambers (1991, 1983), è fondamentale consentire
alle comunità di beneficiari di produrre tutto il sapere necessario ai
fini dell’esecuzione del progetto stesso: in particolar modo per realizzare e concretizzare quei concetti chiavi relativi ad un approccio
maturo alla cooperazione come empowerment (la capacità del ‘beneficiario’ di pro-agire verso tutti gli attori in campo ponendosi così in
una reale condizione di partenariato); e ownership, (l’appropriazione
del processo decisionale da parte degli attori locali, da realizzarsi attraverso il coinvolgimento in questo processo di tutti coloro che hanno
un interesse nel processo di sviluppo).
69
Capitolo 3
Tra solidarietà internazionale e cooperazione allo
sviluppo
1.
Generazioni a confronto
Dopo aver visto “chi sono”, “dove”, “con chi” e “come” lavorano, è
giunto il momento di approfondire l’analisi sul “cosa fanno”. Al di là
del macro settore di riferimento, già visto precedentemente, sono state individuate una serie di attività specifiche, riconducibili alle due
grandi categorie della solidarietà internazionale e della cooperazione
allo sviluppo. Per ciascuna di queste attività è stato chiesto di individuare la frequenza secondo la scala “per niente”, “poco”, “abbastanza” e “molto”.
Prima di procedere nell’analisi delle risposte è necessario però riprendere la riflessione che sta alla base della nostra ipotesi: la differenza tra solidarietà internazionale e cooperazione allo sviluppo.
Ad un primo sguardo sembra non esserci alcuna differenza tra i due
concetti; entrambi sono storicamente mossi da una particolare visione del mondo, da uno spirito solidaristico verso gli altri con l’obiettivo
ultimo della riduzione della povertà, delle disuguaglianze e del miglioramento generale delle condizioni di vita.
Con l’evoluzione del concetto stesso di sviluppo, si sono modificate
le dinamiche ma soprattutto gli approcci e le modalità di azione. Ed
è in questo senso che a nostro avviso si possono ritrovare le principali differenze tra un approccio ancorato ad una visione ‘tradizionale’
(per non dire obsoleta) e uno più ‘maturo’ che segue quelle che sono
le evoluzione metodologiche e operative. Dal punto di vista teorico,
non esistono in letteratura definizioni che ci permettano di operare
una distinzione chiara e netta tra i concetti di solidarietà internazionale e cooperazione allo sviluppo. Per far fronte a questa mancanza,
possiamo però far riferimento alle pratiche, alla storia evolutiva degli
approcci e delle strategie che hanno orientato nel corso del tempo i
vari attori di questo settore.
Come è già stato affermato in precedenza, il volontariato internazionale prima ancora di legarsi alla cooperazione allo sviluppo, nasce
70
come una manifestazione di solidarietà e impegno basata su valori
umanitari. Fu una fase iniziale compresa tra gli anni Cinquanta e Sessanta, che costituisce nella storia del volontariato internazionale una
fase definibile un po’ ‘ingenua’ o se si vuole di ‘infanzia’. In tale fase la
motivazione di base resta quella puramente umanitaria del prestare
assistenza presso strutture già presenti, come la rete di missionari,
le opere sociali delle chiese locali o di condivisione di esperienze
rivoluzionarie su base ideologica presso movimenti e gruppi politici.
Con il passare degli anni, si inizia a comprendere che tutto il volontariato internazionale deve passare ad una fase ‘adulta’, attraverso
l’identificazione di strutture gestionali, la definizione di programmi ed
itinerari di formazione, l’elaborazione di una progettualità, soprattutto
se si vuole trasformare il volontariato da un intervento di testimonianza e di impegno occasionale in forme di assistenza alla gestione di
veri programmi e quindi a forme di collaborazione con gli altri attori
della scena internazionale.
Potremmo quindi individuare nelle modalità di gestione delle attività,
delle risorse umane ed economiche, delle reti e dei partenariati, alcune possibili differenze che suffragano la nostra ipotesi di distinzione
tra solidarietà internazionale e cooperazione allo sviluppo.
In soccorso al nostro tentativo di fare chiarezza tra questi due concetti/pratiche, ci viene però anche lo studio di D.C. Korten (1987) che
ricostruisce, a partire dalle attività e dalle progettualità, il ruolo delle
Ong nel loro evolversi generazionale. L’approccio che utilizza questo
autore nel ripercorrere l’evoluzione programmatica e quindi nel distinguerne le tipologie, è di tipo generazionale. Secondo Korten, ciò che
caratterizza e distingue le singole generazioni - gli ‘stage’ secondo
Broadheado (1987) gli ‘approcci’ secondo Elliot (1987) - è Defining
feature, ossia i “lineamenti che definiscono” i limiti di un sistema, in
questo caso il sistema della cooperazione.
In virtù di ciò quindi, vengono individuate in ordine cronologico tre
generazioni: la prima è la generazione del Relief and Welfare, “soccorso e assistenza” - Tarozzi (1992) a tale proposito traslando tale
approccio anglosassone all’esperienza italiana parla di beneficienza
(soccorso)/assistenza - nella quale il problema è la scarsità di risorse
71
intesa come insufficienza di beni e servizi; la cornice temporale è
l’immediatezza e il breve termine; la portata spaziale dell’intervento è
l’individuo o al massimo la famiglia; l’attore principale è l'associazione
e l’orientamento di gestione è caratterizzato da una gestione logistica
(‘tecnica’ secondo Tarozzi)1.
La seconda generazione è quella definita della Self-reliant local development (Tarozzi parla di micro realizzazioni/formazione), aggiornata
poi dallo stesso Korten in Comunity development. Il problema principale che contraddistingue questa tipologia generazionale è la scarsa capacità di autodeterminazione delle popolazioni locali; la portata
temporale è tutta la vita del progetto stesso; l’ambito spaziale è riferito
al villaggio; l’attore protagonista oltre ad essere l’associazione diventa anche la comunità; il ruolo svolto dall’attore è quello di agente del
cambiamento e l’orientamento di gestione è caratterizzato da una gestione del progetto (per Tarozzi, ‘organizzativa’).
La terza generazione è quella che l’autore definisce di Sustainable
systems development, sviluppo di sistemi sostenibili, dove il problema riscontrato è la difficoltà di espandere la sostenibilità dei progetti; il periodo temporale dell’azione è a lungo termine; la dimensione
spaziale è la regione o la nazione di riferimento; gli attori principali
diventano tutte le istituzioni pubbliche e private che definiscono il sistema in questione; il ruolo dell’associazione è quello di catalizzatore
e l’orientamento della gestione è prevalentemente strategico-politica.
La descrizione fornita da Korten, seppur riferita in origine alle Ong
(ma come sostiene Tarozzi, riconducibile più che altro alle attività di
quest’ultime più che ai soggetti), a nostro avviso può rappresentare,
senza troppe forzature, la migliore spiegazione utilizzabile per individuare le differenze tra un approccio di solidarietà internazionale e
uno di cooperazione allo sviluppo. In tal senso quindi potremmo dire
che, mentre le caratteristiche della prima generazione (lo scopo, l’organizzazione delle attività, il ruolo dell’associazione) forniscono gli
1 In una versione aggiornata dell’approccio generazionale Korten (1990) aggiunge un’ulteriore voce (oltre ad aggiungere un’altra generazione): il ruolo svolto
dall’associazione. Nel caso della prima generazione, il ruolo che l’attore svolge è
quello dell’esecutore (letteralmente del “colui che fa”).
72
elementi per descrivere un approccio di solidarietà internazionale, i
tratti essenziali delle altre due generazioni delineano un’evoluzione
verso un agire orientato alla cooperazione allo sviluppo.
Attraverso alcuni incroci e la creazione di uno specifico indice, cercheremo di dare senso a queste differenze. Analizzando le attività
svolte dalle nostre Odv emerge che il 71% degli intervistati si occupa
di campagne di sensibilizzazione, informazione e promozione. Non
poteva essere altrimenti poiché si tratta di un modo per iniziare a farsi
conoscere, promuoversi, ottenere una certa visibilità e quindi ottenere riconoscimento, sostenere una vision e raccogliere adesioni alla
mission con un relativo investimento in termini economici.
Graf. 17 Attività realizzate
Dopo le campagne di sensibilizzazione, in secondo luogo le Odv (nel
68% dei casi intervistati) si occupano di aiuti umanitari. Se però andiamo a utilizzare esclusivamente le risposte sulla frequenza ‘molto’
ecco che tale tipologia balza al vertice con oltre la metà delle Odv
per le quali gli aiuti umanitari, intesi come pura e semplice donazione, rappresentano una delle modalità operative prediletta. Ulteriore
tipologia di intervento utilizzata ‘abbastanza’ e ‘molto’ dal 59% delle
73
Odv è quella delle realizzazioni e delle forniture, intendendo con ciò
tutte le attività orientate alla costruzione di strutture e alla fornitura di
beni e materiali di varia natura. A seguire viene indicata la formazione, intesa come trasferimento di conoscenze; attività per la quale si
‘adoperano’ ‘molto’ e ‘spesso’ il 57% delle Odv.
Con l’obiettivo di individuare quanto l’agire delle Odv viene ispirato
da dinamiche e processi riconducibili ai modelli di cooperazione internazionale, abbiamo inserito un item che sintetizzasse in tre concetti, tre fasi (analisi, progettazione e valutazione) la logica tradizionale
del ciclo del progetto. Il tentativo è quello di comprendere quanto è
‘assimilato’ nel “saper fare” e nel “saper essere” delle Odv un approccio agli strumenti e ai sistemi della cooperazione o, al contrario, quanto le stesse Odv sono ‘ancorate’ a modalità di ‘semplice’ solidarietà
internazionale.
La fotografia che in prima battuta emerge da questa singola risposta,
ripresa comunque successivamente attraverso la costruzioni di uno
specifico indice, è quella di un settore frammentato, caratterizzato da
una minoranza di Odv (il 12%) che sembra frequentare ‘molto’ e con
dimestichezza, le procedure e le modalità di una vera e propria cooperazione; un’ulteriore fetta di Odv (il 18%) che è abbastanza vicina
a queste pratiche; una stragrande maggioranza (70%) che risulta
esserne del tutto o quasi ‘estranea’.
Anche ulteriori specifiche opzioni rendono ancora più chiaro questo
panorama: l’assistenza tecnica, per esempio, altra attività che generalmente viene affiancata alle realizzazioni progettuali di cooperazione internazionale, risulta essere un “corpo estraneo” per oltre il 75%
delle Odv intervistate, mentre l’89% non svolge nessun tipo di attività
legata alla ricerca e alla sperimentazione.
2.
L’aiuto umanitario di solidarietà
Per analizzare le Odv che operano nel campo degli aiuti umanitari
intesi come invii di aiuti gratuiti e donazioni di carattere solidaristico
abbiamo incrociato questo item con alcune variabili. L’anzianità si è
rivelata una variabile che condiziona questo tipo di intervento. Coloro
che hanno un’esperienza più lunga, hanno una minore propensione
74
a dedicarsi a questo tipo di azione. La totalità delle Odv che hanno meno di tre anni di vita utilizza ‘abbastanza’ e ‘molto’ questo tipo
di approccio, contrariamente a quelle più anziane (oltre i dieci anni)
all’interno delle quali la percentuale è del 70%. Un elemento significativo (nella nostra ipotesi che divide tra un approccio alla solidarietà e
uno orientato più verso la cooperazione) potrebbe rivelarsi, tra coloro
che fanno un uso molto elevato di questo tipo di strumento di aiuto,
il numero di paesi in cui operano. Quasi la metà infatti (il 49%) opera
all’interno di un solo paese, mentre il 30% delle Odv è presente in un
numero di paesi che va da due a quattro. Un dato quest’ultimo che
riflette quell’approccio ‘adottivo’ verso situazioni e contesti limitati e
che spinge le Odv a prediligere pochissimi paesi verso i quali dedicarsi totalmente con azioni riconducibili più ad una solidarietà tout
court che a dinamiche di cooperazione.
Altro indicatore è quello relativo alla durata dei progetti. Tra coloro per
i quali gli aiuti umanitari rappresentano una grande ‘fetta’ delle proprie
attività, il 30% dichiara di realizzare progetti della durata di un anno,
percentuale che sale al 42% tra coloro che utilizzano ‘abbastanza’
tale tipologia di intervento come obiettivo della propria mission. Se
poi andiamo a riclassificare le categorie iniziali relative alla durata dei
progetti, possiamo notare come tra coloro che dichiarano di avvalersi
‘molto’ di attività orientate agli aiuti umanitari, poco più della metà (il
52%) realizza percorsi della durata massima di un anno o inferiore.
Anche il singolo budget dei progetti può essere un indicatore importane. In tal senso, infatti, il 68% di coloro che sono ‘molto’ attivi sul
fronte degli aiuti umanitari, hanno progetti dalle dimensioni economiche molto basse (inferiore ai 15 mila euro). Così come anche la
dimensione relazionale diventa un indicatore significativo: il 50% di
queste Odv dichiara di avere meno di 3 collaborazioni, mentre il 36%
da 3 a 5.
Per cercare poi di dare concretezza alla nostra ipotesi che vedrebbe
la presenza, all’interno di questo variegato settore del volontariato
internazionale, di due ‘famiglie’ orientate da un lato verso approcci
maggiormente riconducibili ad un fare tradizionalmente caratteristico
della cooperazione allo sviluppo e, dall’altro, ad un agire delineato
75
da modalità prettamente solidaristiche/umanitarie, è stato costruito
un particolare indice.
La costruzione di tale indice ha previsto l’utilizzo di una serie di items
inseriti all’interno di alcune domande che a nostro giudizio potevano
ben sintetizzare i due approcci ipotizzati. Di seguito si riporta la numerazione delle domande utilizzate: d.18.1, d.18.2, d.18.4, d.18.6,
d.18.7, d.20.1, d.20.3, d.26.1, d.26.2, d. 26.6, d.26.7, d26.8
Ciò che emerge è un’evidente posizionamento delle Odv, nell’asse
cooperazione-solidarietà che ricordiamo va da 0 (prevalentemente cooperazione) a 10 (prevalentemente solidarietà) tendente verso
l’approccio legato alla solidarietà. Come viene evidenziato dalla tabella, nonostante quasi il 70% delle Odv si trovi in una posizione intermedia, coloro che si inseriscono a pieno titolo nella categoria solidarietà rappresentano il 27% e solo il 3,5% è collocabile nella famiglia
cooperazione.
Tab. 13 Indice di Mission
Prevalentemente Cooperazione
3,5%
Tra Cooperazione e Solidarietà
69,7%
Prevalentemente Solidarietà
26,8%
Graf. 18 Mission: tra cooperazione e solidarietà
77
Capitolo 4
Gli approcci sul campo
1.
Saper leggere e vivere il contesto
L’esecuzione di tutte le attività che le Odv svolgono nell’ambito della
propria mission, vengono portate a termine ‘prevalentemente’ (almeno per la maggioranza delle Odv, il 55%) in maniera autonoma, senza
l’ausilio o il sostegno di altre realtà che all’interno di una relazione
progettuale potrebbero emergere. In alternativa è l’attore locale che,
come abbiamo avuto modo di constatare anche precedentemente, si
assume il compito di condurre e dare seguito alle attività. Non meno
strategicamente importanti risultano essere (per il 29% delle Odv), le
Missioni presenti sul territorio di pertinenza che si prendono in carico
l’esecuzione di tutti gli aspetti relativi il progetto.
Per capire il modus operandi delle nostre Odv, un ulteriore aspetto
rilevante è quello relativo al know how di informazioni in possesso al
fine di pianificare al meglio le progettualità. Si tratta di una questione
di estrema importanza nell’ambito della cooperazione internazionale,
così come in qualsiasi attività orientata a produrre in contesti specifici
dei cambiamenti e dei miglioramenti, in quanto più si dispone di informazioni, più si ha la capacità di saper leggere il contesto, analizzarlo
e individuare soluzioni più adeguate possibili, evitando di produrre
sprechi o generare progetti inadeguati alla realtà locale. L’analisi del
contesto rappresenta infatti una fase fondamentale, all’interno della
quale, generalmente, la sommatoria tra informazioni raccolte direttamente sul campo e quelle indirette prodotte da istituzioni internazionali o centri di ricerca ad hoc, produce una bagaglio di conoscenze
che permette di acquisire un notevole valore aggiunto (Schunk 2002).
Rispetto a ciò, dall’analisi dei dati risulta come la maggioranza delle
Odv indagate (il 65%), sia molto più propensa a gestire in via esclusiva la raccolta delle informazioni, attraverso specifiche missioni preliminari.
Questo atteggiamento, se da un lato può significare uno spiccato senso di autonomia e competenza, dall’altro può essere molto rischioso
e rivelare una certa superficialità dettata da una scarsa attenzione
78
all’importanza di una rigorosa analisi del contesto. Solo una minima
parte delle Odv propende a utilizzare ‘spesso’ fonti indirette accedendo a quelle informazioni provenienti da enti locali (per il 17%), centri
di documentazione (per il 10%) e università ed enti di ricerca (per il
9%).
2.
Quali professionalità?
Un campo di particolare interesse risulta essere, dal punto di vista
degli obiettivi prefissati dalla ricerca, quello legato alla presenza o
meno di specifiche professionalità utilizzate per la gestione delle più
diverse attività. Si tratta di un fattore che incide molto, soprattutto in
un settore come quello indagato dove per la necessità di efficacia, la
creazione di aspettative e le continue difficoltà nell’affrontare contesti
molto diversi, la sola buona volontà se è requisito essenziale, deve
anche essere necessariamente accompagnata da una buona dose
di “saper fare”, conoscenze tecniche e competenze specifiche.
Ciò che però si vuole indagare, non è tanto il rapporto tra volontari e
personale retribuito (cosa che è stata già analizzata precedentemente) quanto la presenza di specifiche competenze di cui dispongono
le Odv, dove queste vengono reperite e verso quali settori delle attività sono indirizzate. In linea generale emerge che il 49% degli intervistati si avvale ‘spesso’ di specifiche figure professionali e il 13% solo
‘qualche volta’ mentre la parte restante non ricorre mai a professionalità particolari, anche se il 60% delle Odv ritiene opportuno dotarsi di
persone in grado di realizzare con professionalità le proprie attività,
sopperendo in tal senso ad un eventuale deficit di partenza.
79
Graf. 19 Professionalità presenti
Queste professionalità particolari e specifiche vengono destinate nella maggior parte dei casi alla realizzazione delle attività. Trattandosi spesso di costruzioni di edifici o strutture comunque impegnative
(pozzi, scuole, dispensari sanitari, ecc.), è logico avvalersi di personale qualificato. Non meno importante risulta essere l’impegno nella
progettazione, ambito nel quale vengono ‘prevalentemente’ impiegate risorse professioniste dal 46% delle Odv. Anche in questo ultimo
caso, la ‘corsa’ al finanziamento e la partecipazione al ‘progettificio’
fa si che anche le Odv di volontariato vedano nel progetto un mito da
perseguire, per il quale vale la pena investire delle risorse.
Le attività legate al coordinamento, alla formazione, alla comunicazione, alla ricerca fondi e quindi anche alla valutazione sembrano invece
richiedere meno ‘professionalità’; queste sono aree per le quali molte Odv non ritengono di dover ‘investire’ (non necessariamente però
attraverso una retribuzione), utilizzando gli strumenti e il bagaglio di
conoscenze a disposizione. Ma da dove provengono queste professionalità? La possibilità di rispondere a più di un’opzione ci restituisce
una situazione dove il 68% dichiara di servirsi di professionisti ‘esterni’
all’associazione che però già collaborano a titolo gratuito così come
un’analoga percentuale si avvale di professionalità disponibili tra le
persone che costituiscono l’associazione.
80
Come si è visto quindi, all’interno di un settore come quello che stiamo analizzando, pur trattandosi di volontariato, non è difficile trovare
ampi segmenti di professionalità. Ciò non vuol dire che si parli necessariamente di professionalità retribuita, ma di competenze specifiche
presenti tra i soci o i volontari dell’associazione e messe al servizio
degli altri nella gratuità che contraddistingue proprio il mondo del
volontariato. Oltre a ciò comunque, il 44% delle Odv afferma di avvalersi di professionisti che vengono coinvolti come consulenti esterni
retribuiti.
Come per altri aspetti, si è cercato di recuperare più informazioni possibili attraverso una serie di incroci. Anche in questo caso, l’anzianità
dell’associazione risulta essere determinante. Il 52% delle Odv che
dichiarano di avvalersi (in senso generale) di specifiche professionalità è attiva nel settore internazionale da oltre dieci anni; sicuramente il
fatto di essere “sul campo” da molto tempo produce una maturazione
e una sensibilità maggiore che porta a considerare anche la necessità di avere al proprio interno persone con determinate competenze
in grado di far fronte alle sempre più alte necessità del fare cooperazione.
3.
Sulla valutazione
La presenza o meno di specifiche professionalità ci suggerisce a
questo punto la riflessione su uno dei temi centrali nell’ambiente della
cooperazione: la valutazione.
Un ambito troppo spesso ‘tralasciato’ per i costi, le scarse competenze, le insufficienti risorse e non per ultimo per la mancanza di una
corretta “cultura della valutazione”. Soprattutto quando si fa riferimento al mondo del volontariato, la valutazione rappresenta un vero e proprio tabù di fronte al quale si avverte un generalizzato arretramento,
anche se non così per tutti allo stesso modo. All’interno del nostro
universo di riferimento, seppure per una nettissima minoranza, la valutazione rappresenta un momento a cui dedicarsi al fine di migliorare
l’efficacia e l’impatto del proprio agire.
Abbiamo cercato di rintracciare alcune salienti caratteristiche con l’obiettivo di delineare una sorta di profilo di quelle Odv che dedicano
81
alla fase della valutazione una particolare attenzione. È necessario
premettere però che all’interno del questionario non era presente una
domanda esplicita sull’attività valutativa svolta dalle Odv. Si è cercato
quindi di ricavare utili informazioni dal quesito relativo all’utilizzo di
specifiche professionalità nella gestione di particolari attività, tra le
quali vi era anche l’item sulla valutazione.
Estrapolata questa opzione e presa quindi singolarmente è stata incrociata con alcune variabili.
Anzitutto emerge come l’uso di specifiche professionalità utilizzate
prevalentemente per attività di valutazione sia una prerogativa delle
Odv più anziane; presenza che decresce al diminuire dell’ ‘età’ delle
Odv. Già questo rappresenta un elemento importante per sottolineare
come la valutazione sia un tema che deve essere assimilato, fatto
proprio, e che ad oggi solo la maturità e l’esperienza possono realizzare.
Che l’operazione di valutazione rappresenti poi un percorso faticoso
culturalmente, dispendioso in termini di risorse e oneroso dal punto
di vista economico, lo può dimostrare anche il fatto che le Odv che
‘prevalentemente’ vi dedicano delle specifiche professionalità hanno
un numero di progetti limitato: il 56% meno di 3 progettualità negli ultimi 3 anni: certamente il fatto di avere un numero di attività più limitato
permette di seguirne meglio tutto il decorso compresa la valutazione
anche se sinceramente ci saremmo aspettati che fossero proprio le
Odv più attive a ricorrere alla valutazione.
Risulta comunque evidente che il cammino verso una piena consapevolezza del valore assunto dalla valutazione è ancora lungo e impegnativo. Sta a realtà come il Cesvot assumersi l’onere di accompagnare le Odv in questo percorso, consapevole che ‘investire’ in
attività formative specifiche significa non solo far crescere qualitativamente tutto un settore, ma anche permettere di raggiungere risultati
più efficaci ed efficienti.
82
4.
Un settore “in via di formazione”
Di particolare interesse è sicuramente l’approccio delle Odv al tema
della formazione, un settore che oltre a descriverci il livello di ‘attenzione’ nell’acquisizione di capacità al fine di rendere sempre più efficaci i propri progetti e alla propensione all’uso della formazione come
‘crescita’ dell’associazione, fornisce anche informazioni utili per individuare possibili margini di intervento da parte di realtà come il Cesvot
dedite a fornire strumenti e metodi a tutto il mondo del volontariato.
In prima battuta è stato chiesto di rispondere verso quali ambiti l’associazione attua degli investimenti ‘interni’. A tale proposito si è ritenuto utile inserire la formazione (suddivisa per ‘categorie’) come
possibile investimento verso il quale orientare alcune risorse, proprio
per le ragioni sovra esposte. Da questo punto di vista tale obiettivo
non sembra rientrare nelle linee guida strategiche delle nostre Odv.
Una scarsa attenzione che aumenta con l’aumentare del ‘livello’ dirigenziale di figure coinvolte dentro il sodalizio. Se infatti la metà delle
realtà intervistate non prevede di effettuare investimenti formativi per i
volontari, la percentuale aumenta (64%) nel caso di possibili percorsi
rivolti agli operatori diretti (quelli che noi identifichiamo con coloro che
‘lavorano’ più di altri alle realizzazioni sul campo) e verso i dirigenti
(68%).
Questa situazione di scarsa attenzione verso la formazione è confermata anche da un ulteriore dato, quello relativo alla presenza di
percorsi formativi strutturati: il 20% delle Odv dichiara di svolgerli in
maniera continuativa, contro un ulteriore 22% che solo in via occasionale organizza momenti di formazione e un 12% solo per far fronte a
specifiche necessità derivanti dalla realizzazione di specifiche progettualità mentre il 44% è completamente estraneo a qualsiasi tipo di
percorso formativo.
Gli ambiti interessati alla formazione (per le Odv che la fanno) sono
quelli che ovviamente rispondono alle principali esigenze che le stesse si trovano a dover affrontare durante lo svolgimento delle attività.
Di conseguenza il tema della progettazione risulta essere quello più
gettonato (per il 77%) oltre a quelle aree che interessano direttamente
la realizzazione del progetto stesso (il coordinamento e l’area tecnica,
83
entrambi per il 53%).
Questi dati trovano conferma anche nei materiali prodotti durante la
fase qualitativa. Gli stessi partecipanti ai focus group, sottolineano la
necessità di dotarsi di strumenti operativi in grado di supportarli di
fronte alle sfide di tutto il settore. In una trascrizione di focus group
troviamo infatti:
[…] dal punto di vista della formazione, per esempio ci siamo
accorti che avevamo questo limite anche per scrivere i progetti, presentare... Per questo che, insomma, io ho deciso di fare
un Master in cooperazione, ho deciso di formarmi, perché veramente era un limite anche per noi, per imparare a scrivere i
progetti, a fare un budget, a fare una rendicontazione per cui
questo bisogno per noi è molto sentito, soprattutto se abbiamo
l’intenzione di allargare anche la base, per cui il bisogno di formazione dal punto di vista amministrativo, organizzativo per noi
è molto importante in questo momento.
Il settore della formazione risulta essere un po’ contradditorio. Da un
lato la realtà delle cose si ‘scontra’ con la richiesta di maggiori opportunità formative espressa dalla metà delle Odv (il 52%) al fine di
migliorare l’efficacia delle proprie attività, dall’altro, per oltre il 70% la
formazione non rappresenta per niente (o poco) una difficoltà a cui
far fronte. Le ipotesi più plausibili di queste contraddizioni possono
essere individuate in primo luogo nel fatto che, facendo poca formazione molti potrebbero ritenerla inutile (e quindi non percepirla come
un problema); in secondo luogo, rappresentando un costo non indifferente, si preferisce orientare le risorse (comunque poche) verso la
realizzazione della propria mission facendo riferimento a competenze
già esplicite; infine l’esigenza di maggiori opportunità potrebbe essere considerata non necessariamente come qualcosa a cui far fronte
direttamente e internamente.
Tale ultima considerazione è supportata dal dato riferito alle aspettative individuate nei confronti del Cesvot: anche se non è la percentuale
più alta, intorno alla possibilità di promuovere maggiori e più accessibili processi formativi, si ritrova il consenso del 70% delle Odv.
Le difficoltà nel partecipare ai corsi di formazione legate alle disponibilità di tempo, sono da sempre un problema per il volontariato anche
84
se potrebbero essere mitigate approfondendo con le Odv tempi e
modalità che ne favoriscano la presenza. Altro ostacolo alla partecipazione ad attività formative è legato ad elementi riconducibili a
problemi nel linguaggio, un fatto che limita la partecipazione di varie
organizzazioni di immigrati, ma che potrebbe non essere del tutto assente anche tra quelle composte da italiani. Il tema della formazione
è senza dubbio uno tra quelli in cui le caratteristiche strutturali possono incidere maggiormente sollevando criticità e difficoltà. L’anzianità
operativa delle Odv rappresenta anche in questo caso una variabile
determinante.
Tra le Odv che organizzano in modo continuativo percorsi di formazione, troviamo quelle che hanno una maggiore storia alle proprie
spalle. Solo quando la formazione diventa qualcosa di occasionale
o specifico (delimitato nel tempo) per determinate attività progettuali,
allora troviamo anche quelle Odv più giovani. Ma l’attenzione verso il
tema della formazione non dipende solo da una sensibilità acquisita
con gli anni.
Fare formazione ha inevitabilmente un costo che non sempre e non
tutti possono sostenere ed è così, quindi, che anche la dimensione economica assume un valore importante. Maggiore è la ‘potenza’
economica di cui si dispone e più alte sono le occasioni formative
che vengono favorite soprattutto quando si fa riferimento a percorsi
organizzati in modo continuativo: mentre tra le grandi realtà associative (quelle che rientrano nella fascia superiore ai 100 mila euro annui), l’impegno nella formazione è ‘decrescente’, nel senso che è più
alto in riferimento a percorsi continuativi per poi diminuire in un tipo
di formazione occasionale o specifica, all’interno delle altre Odv dal
volume economico minore, tale impegno è più altalenante, cercando
di razionalizzare al meglio le risorse per utilizzarle in qualcosa che
ritengono utile ma non del tutto indispensabile.
Anche le risorse umane sembrano incidere nell’essere attivi o meno in
attività formative, confermando in tal senso anche l’importanza della
variabile economica.
Mentre le medie realtà associative sono quelle che sul lungo periodo
offrono maggiore continuità a percorsi formativi, se prendiamo in con-
85
siderazione percorsi formativi occasionali o specifici possiamo notare
come siano invece le piccole Odv (da 1 a 10 volontari) che prendono
il sopravvento.
87
Capitolo 5
Tra il pubblico e il privato: l’orizzonte economico
Attraverso quali risorse economiche vengono portati avanti gli impegni assunti e concretizzate le idee progettuali? Una domanda che
ci fornisce un ulteriore elemento utile per mettere meglio a fuoco il
grado di ‘integrazione’ delle Odv nel circuito di un sistema regionale
e quindi anche in merito alle capacità progettuali delle stesse. In genere i finanziamenti a cui ricorrono le Odv sono due: quelli pubblici
e quelli privati. È stato quindi interessante riuscire a capire dove le
nostre associazioni trovano le risorse per realizzare i loro progetti. In
generale nel 66% dei casi è il settore privato a finanziare le attività
mentre solo 1/3 degli intervistati ricorre al pubblico.
Per quanto riguarda l’ambito pubblico, risulta subito evidente la scarsa propensione delle realtà interrogate ad inserirsi in percorsi strutturati dagli enti locali e dalle opportunità economiche che questi riservano alle attività di cooperazione e solidarietà internazionale. È un
atteggiamento che si manifesta con maggior enfasi quando si passa
da una realtà comunale a situazioni più complesse come quella provinciale e regionale. Se infatti la metà delle Odv non si è ‘mai’ avvalsa
di finanziamenti erogati dal comune, tale percentuale aumenta vistosamente quando il riferimento è verso gli altri enti locali territoriali. Nei
confronti di erogazioni dalla provincia infatti si registra una mancata
partecipazione per il 63% delle Odv e un dato analogo riguarda i
contributi regionali. Il divario cresce a dismisura nel momento in cui
entrano in gioco finanziatori nazionali e internazionali: verso il Ministero la percentuale di Odv che non ha mai ricevuto finanziamenti sale
all’89% (situazione giustificabile nel momento in cui tale ente prevede
per il richiedente lo specifico status di Ong), nei confronti dell’Unione
Europea solo il 10% ha dichiarato di aver avuto accesso alle sue linee
di finanziamento, così come verso le Nazioni Unite nei confronti delle
quali la percentuale di Odv che hanno utilizzato risorse provenienti da
tale istituzione è dell’8%.
L’istituzione pubblica alla quale ci si rivolge di più rimane quindi il
comune: come spesso capita per le piccole realtà il comune è l’ente
88
più ‘vicino’, raggiungibile e non per ultimo quello le cui pratiche di accoglimento risultano senza dubbio le più ‘accessibili’ e sostenibili. Un
elemento questo che ci riporta alla questione più ampia e ricorrente,
quasi il filo conduttore della nostra analisi: quella delle competenze,
di un bagaglio di ‘sapere’ e ‘saper fare’. Dove questo bagaglio è minore, allora si tende a rimanere ancorati a quelle opportunità di finanziamento molto meno complesse, meno rigide (come spesso lo sono
quelle comunali) facili da gestire e quindi più avvicinabili.
Graf. 20 Accesso ai finanziamenti pubblici (modalità ‘spesso’ e ‘qualche volta’)
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A tale proposito anche per quanto riguarda le fonti di finanziamento
pubbliche si è voluto analizzare quale tipo di variabile fosse più incidente.
Per quanto riguarda il comune, l’anzianità è una variabile che incide
molto, soprattutto quando le Odv fanno riferimento ‘spesso’ alle erogazioni dell’ente (il 77% per quelle Odv che superano i dieci anni di
attività, il 15% tra i quattro e i dieci, l’8% meno di tre anni). Quando
si tratta però di un accesso saltuario, anche le Odv relativamente più
giovani entrano in gioco.
In relazione al volume economico, sono le Odv medio piccole che
dichiarano di accedere più spesso. Per quanto riguarda il numero
89
dei volontari, le Odv più piccole sono quelle che più utilizzano questo
canale, in virtù del fatto che essendo di dimensioni ridotte, presumibilmente hanno meno interessi (e forse anche capacità) a tentare di
intraprendere percorsi progettuali di livello più alto e quindi anche più
complesso.
Rispetto all’ente provinciale, tra coloro che dichiarano di avvalersi
‘spesso’ di questo tipo di canale, il 50% ha una esperienza tra i 4 e i
10 anni, mentre il 37% superiore a dieci. Rapporto che si ribalta quando la relazione con la provincia è saltuaria. Sono quelle più anziane
ad accedervi (64%) contro il 36% delle Odv con una storia pregressa
tra i quattro e i dieci anni. In virtù di ciò, si potrebbe sintetizzare che
le realtà storicamente più anziane preferiscono una relazione con il
comune che rappresenta un interlocutore più vicino, più conosciuto
e all’interno del quale l’associazione è altrettanto riconosciuta e riconoscibile in conseguenza proprio di una sua presenza storica sul
territorio.
Constatato che il canale pubblico non rappresenta la via principale di
accesso attraverso cui le Odv reperiscono le risorse necessarie per
raggiungere i loro scopi, procediamo nell’analisi del settore privato.
Da questo punto di vista, il principale canale a cui si rivolge frequentemente gran parte del settore di riferimento (nello specifico il 63%) è
rappresentato dai singoli privati. Percentuale che sale al 78% se sommiamo anche quelle Odv che vi fanno riferimento solo ‘qualche volta’.
90
Graf. 21 Accesso al finanziamento privato (modalità ‘spesso’ e ‘qualche volta’)
Se andiamo ad analizzare il cosiddetto “privato strutturato”, vediamo
come il 45% delle Odv si orienta ‘spesso’ o ‘qualche volta’ verso i
bandi promossi dalle varie Fondazioni presenti sul territorio toscano
così come, quasi in egual misura, sono le imprese private a ‘sponsorizzare’ (spesso o qualche volta) i progetti e le attività o lo stesso
Cesvot con i bandi rivolti alle Odv.
Da sottolineare comunque come oltre la metà delle Odv intervistate
dichiari di non rivolgersi ‘mai’ a tali strutture, evidenziando così ancora una volta l’esistenza o la persistenza di una linea di demarcazione
(più o meno fissa) che divide le caratteristiche e le modalità di agire
di questo universo di riferimento.
In posizione marginale è il ruolo svolto da istituti religiosi, verso i quali
solo il 18% (“spesso o qualche volta”) si rivolge per ottenere finanziamenti. L’autofinanziamento rappresenta in sintesi il ‘portafoglio’ primario di possibilità finanziarie, concorrendo per quasi la metà delle
Odv (il 46%) a coprire dai tre quarti alla totalità delle risorse necessarie per la realizzazione delle attività e per l’altro 54% fino alla metà del
proprio budget a disposizione.
91
Capitolo 6
Solidali ma soli?
1.
Verso la Regione Toscana: così vicino, così lontano
Per procedere nell’esplorazione di questo spaccato del volontariato
in Toscana, è importante anche soffermarsi sulle tipologie di relazioni
che le nostre Odv riescono a produrre e mantenere. Considerando lo
specifico settore di riferimento è opportuno cercare di comprendere
se e come tali realtà si inseriscono all’interno di un consolidato sistema regionale di cooperazione caratterizzato dalla presenza di molte
e differenziate realtà. All’interno di una situazione di risorse scarse accompagnato da un certo dinamismo nella ricerca di finanziamenti, la
capacità di stringere relazioni, fare accordi, costruire network diventa
fondamentale, oltre ad offrire una pista di ricerca assai interessante.
In particolar la ricerca ha voluto quindi indagare i rapporti con la Regione Toscana, l’ente ‘ispiratore’ di un modello di cooperazione tra i
più osservati e seguiti del Paese. Per fare ciò sono state individuate
una serie di domande in grado di esplorare tali rapporti a partire dai
comportamenti concreti, dalle strategie e dalle politiche messe in atto
dalle singole Odv.
Un primo elemento utile ci è sembrato interessante ottenerlo attraverso la partecipazione delle Odv ai bandi promossi dalla Regione Toscana dedicati proprio alle cosiddette microprogettualità, opportunità
che rappresentano un canale consolidato e verso il quale molte Odv
ripongono grandi aspettative. Per quanto riguarda le ‘nostre’ realtà,
anche da questo punto di vista, continua a manifestarsi quel ‘fossato’
che si crea, per scelta o per condizione e che divide le storie, le esperienze e l’agire quotidiano delle Odv.
Se da un lato il 66% dichiara di non aver ‘mai’ partecipato ad una delle opportunità predisposte dalla Regione nell’arco degli ultimi 5 anni,
dall’altro un terzo lo ha fatto almeno una volta. All’interno di quest’ultimo gruppo sono però necessari dei distinguo: solo il 6% infatti risulta
essere quello più attivo, non avendo mai mancato un appuntamento
(senza per ora guardarne gli esiti), mentre un 12% solo una volta si è
‘affacciato’ a questa occasione.
92
Tra le motivazioni che le Odv riportano per una propria mancata partecipazione ai bandi della Regione, spicca in primo luogo (secondo
un terzo delle Odv che non hanno mai partecipato) il fatto che, dal
loro punto di vista, non ne valga la pena: uno sforzo organizzativo,
gestionale e amministrativo che non viene ‘ripagato’.
Come sostiene il membro di una associazione durante lo svolgimento
di uno dei focus group:
[…] i bandi della Regione sono complicatissimi, non complessi,
complicati […] burocrazia a bizzeffe, ma anche nella stesura del
progetto […]
La difficoltà riportata nella citazione è abbastanza comune, e spesso
viene messa in relazione all’entità reale del finanziamento che in molti
casi risulta essere abbastanza modesta e sproporzionata alla mole di
lavoro impiegata. Difficoltà che non si esauriscono però nel comprendere e compilare i formulari, ma che includono anche quegli ostacoli
alla comprensione delle condizioni per la partecipazione, in termini
quindi di inclusione/esclusione; alla comprensione delle richieste effettive dal punto di vista progettuale, così come alla comprensione
della relazione tra progettazione, gestione del denaro, bilancio e rendicontazione.
Problematiche che il dibattito all’interno dei focus group ha evidenziato molto bene. Come afferma infatti uno dei partecipanti,
Anche il meccanismo dei bandi secondo me dovrebbe essere
molto più ricettivo rispetto a quello che viene creato, no? Perché
veramente, questi bandi più piccoli, è quasi come se non raccogliessero la ricchezza, sembra che lo scopo principale del...
di chi emette il bando, soprattutto se è un soggetto pubblico,
sia quello di rendicontare. È come se la questione centrale del
progetto fosse la sua rendicontazione. E poi invece sull’impatto
nessuno si interroga. Sembra veramente che non interessi. […]
Ulteriore motivazione sulla quale riflettere è quella poi che esibisce
un quarto delle Odv, ossia il non essere a conoscenza di una tale opportunità di finanziamento. Una giustificazione che rivela dunque la
necessità di lavorare molto sulla comunicazione e su una formazione
specifica rivolta ad acquisire strumenti per muoversi adeguatamente
93
nel labirinto delle proposte.
Per la maggior parte delle persone che operano nel volontariato le
attività di cooperazione non sono un mestiere e nonostante alcuni
stiano cercando di adattarsi ad un sistema che chiede loro di essere
professionisti, esiste un gruppo non trascurabile di Odv, che ritiene
controproducente questa professionalizzazione, senza dimenticare
quelle realtà che non hanno le risorse umane per adattarsi alla complessità crescente di un sistema basato sul ciclo del progetto.
Considerando la sequenza del ciclo del progetto (bando, progetto,
selezione finanziamento/esclusione, esecuzione) come un processo
di comunicazione per il quale sono necessarie determinate competenze, di linguaggio, analisi e proiezione di scenari futuri, alcune Odv
risultano essere disfunzionali alle modalità di comunicazione delle
amministrazioni e quindi risultano escluse, mentre le Ong e i professionisti che riescono a comunicare senza problemi, esprimono gli
obiettivi e le azioni nel linguaggio corretto, ottengono l’attenzione e, a
volte, i finanziamenti.
Se è vero che le risorse economiche investite nel volontariato vengono moltiplicate dal lavoro gratuito, diventa quindi strategico supportare le Odv in questa dimensione burocratica e amministrativa che non
solo è foriera di notevoli ansie e preoccupazioni, ma sottrae energie
alle attività dove si registra il massimo rendimento dovuto alle esperienze e competenze che vengono messe in gioco.
L’assenza di personale specializzato in grado di far fronte a tutte le
formalità richieste, rappresenta per il 16% delle Odv un forte ostacolo
all’accesso ai bandi, per la cui complessità è richiesta non solo la
presenza di particolari competenze, ma anche una adeguata disponibilità di tempo, variabile che per il 18% delle Odv risulta essere
determinante.
Il bisogno di formazione per la partecipazione ai bandi della Regione
è trasversale e interessa ancora quelle Odv che negli ultimi cinque
anni sono riuscite a presentare delle proprie domande. Tra queste
infatti, il 43% non ha ‘mai’ ottenuto il relativo finanziamento. Naturalmente non possiamo essere a conoscenza delle motivazioni di ciò,
ma il dato ci permette di sottolineare come evidentemente potrebbero
94
sussistere delle carenze in merito alla capacità di elaborare correttamente i formulari e far fronte alle procedure richieste. Solamente il
17% ha dichiarato di aver sempre ottenuto il finanziamento ogni qual
volta ha partecipato al bando.
Per cercare di ottenere maggiori informazioni in sede di analisi, si è
voluto incrociare la domanda con alcune variabili.
In primo luogo, ciò che condiziona molto la partecipazione delle Odv
è l’anzianità, l’esperienza maturata nel settore. L’83% delle Odv con
meno di 3 anni non ha mai preso parte ad una selezione regionale,
contro il 56% di quelle con una storia almeno decennale. L’esperienza
di lungo corso evidentemente è un segnale di maggiori competenze
(quell’insieme di ‘sapere’ e “saper fare”) per far fronte a ‘sfide’ che per
realtà più giovani possono apparire ancora troppo grandi. Come per
altri ambiti analizzati, anche in questo caso l’esperienza si associa
alle disponibilità economiche dell’associazione, con alcuni distinguo.
Se da un lato infatti prendiamo il caso di partecipazioni ‘sporadiche’
nell’arco degli ultimi cinque anni (una volta ma anche da due a quattro volte), è possibile affermare come la dimensione economica non
sia così incisiva: soprattutto quando facciamo riferimento a partecipazioni che vanno da due a quattro volte, quelle che hanno un budget più piccolo ‘riemergono’.
Solo quando la partecipazione è stata costante (cinque volte in cinque anni), ecco che allora le grandi Odv (sempre in termini economici) evidenziano lo scarto.
Una situazione analoga la ritroviamo quando mettiamo in relazione la
partecipazione ai bandi con il numero di progetti complessivamente
realizzati nell’arco degli ultimi 3 anni. E’ sembrato utile e significativo
utilizzare questo tipo di variabile in quanto una intensa operatività (in
termini quantitativi) potrebbe indicare una maggiore ‘predisposizione’
alla partecipazione ad opportunità di finanziamento. Come nel caso
precedente però, solo nella continuità della partecipazione al bando
regionale si avvera la correlazione con il numero crescente di progetti
realizzati. Nel caso di partecipazioni inferiori, il numero dei progetti
realizzati dall’associazione negli ultimi 3 anni non risulta essere significativo.
95
In riferimento alla variabile relativa al numero di volontari attivi presenti nell’associazione, il trend registrato è più netto rispetto a quello
visto con le variabili appena descritte: quando si tratta di partecipazioni saltuarie sono le Odv più ‘piccole’, quelle che dispongo di minor
volontari operativi, che partecipano con maggiore frequenza. La continuità è invece appannaggio di quelle realtà con un numero di volontari attivi più elevato. La spiegazione a ciò, appare ovvia: partecipare
in maniera sistematica ad un bando, per molti aspetti complesso e
dispendioso, rappresenta un’opportunità che solo una ‘forte’ e ‘strutturata’ presenza di risorse umane può garantire nel tempo.
2.
Aggiungi un posto al Tavolo
La concertazione, uno dei pilastri della governance della Regione
Toscana, è fondamentale anche per quanto concerne il contesto toscano della cooperazione decentrata. La Regione e gli enti locali toscani stanno infatti implementando un vero e proprio sistema che si
caratterizza per la capacità di mettere in rete, coordinare e agevolare
rapporti di collaborazione tra gli operatori più diversi presenti sia sul
proprio territorio sia nelle realtà territoriali dei paesi in via di sviluppo.
Questo modo di interagire ha dato vita ad un fervore di iniziative che
il governo regionale ha cercato di gestire in modo funzionale, mettendo in atto un sistema di coordinamento generale costituito dagli
strumenti previsti dal “Piano regionale delle attività di cooperazione e
partenariato internazionale”1. Tra gli strumenti individuati dal Piano vi
sono: il Segretariato operativo della cooperazione decentrata Toscana, costituto nel 2001 dalla Regione Toscana e dall’Istituto agronomico per l’oltremare, che svolge la funzione di supporto e assistenza
tecnica ai soggetti regionali della cooperazione decentrata; i tavoli
1 Regione Toscana, Documento di Attuazione - Piano regionale della cooperazione e delle attività di partenariato 2007-2010; Regione Toscana, Legge regionale n°
26, 22 maggio 2009. Disciplina delle attività europee e di rilievo internazionale della
Regione Toscana; Regione Toscana, Legge regionale n°17 del 23 marzo 1999. Interventi per la promozioni di attività di cooperazione e partenariato internazionale
a livello regionale e locale; Regione Toscana, Piano regionale per la cooperazione
internazionale (L.R. 17/99) - Periodo 2007-2010.
96
di coordinamento che rappresentano i principali strumenti di integrazione fra i diversi soggetti regionali e sono costituiti da tutte quelle
realtà toscane della cooperazione che hanno interesse ad operare in
forma integrata in una certa area geografica; la Conferenza regionale
che costituisce la principale occasione per la partecipazione di tutti i
soggetti interessati alla programmazione degli interventi, alla verifica
dei risultati, nonché un’occasione di scambio di esperienze e progettualità.
Come emerge da innumerevoli ricerche e dalla pratica quotidiana, il
sistema ha però delle problematiche complesse e non semplici da
sciogliere: una di queste è legata all’innovativa idea di integrare come
soggetti della concertazione le Odv, riconoscendo il capitale sociale
di cui sono portatrici. Dal punto di vista degli obiettivi della ricerca,
l’indicatore che è stato giudicato come strategico è quello relativo
alla partecipazione delle Odv a iniziative ‘politiche’ che la Regione
Toscana promuove nel campo della cooperazione. La percentuale
di Odv che rimane fuori da ogni tipologia di relazione con la Regione
si abbassa di qualche punto rispetto alla partecipazione ai bandi,
attestandosi intorno al 58%. Anche di fronte a questa modalità è necessario però fare alcune precisazioni.
La presenza delle Odv alle attività promosse dalla Regione risulta
essere molto frastagliata, discontinua e poco interessata. Solo l’11%
di coloro che prendono parte a queste occasioni di confronto garantiscono una partecipazione continuativa nel tempo, dimostrando di
saper stare seduti in tavoli di discussione con competenza e senso
critico. Un ulteriore 12% descrive la propria presenza come occasionale, saltuaria, mentre circa il 6% si attiva solo in occasione di specifiche attività.
Da sottolineare come vi siano Odv (circa il 12%) che dichiarano di
aver partecipato in passato e di aver interrotto questa tipologia di
relazione. La difficoltà maggiore però risiede nel garantire una reale
partecipazione paritaria, considerando che tempi, linguaggi e modalità dei vari soggetti coinvolti nella concertazione non sono del tutto compatibili. Dalle esperienze dei partecipanti ai focus group, tali
ostacoli emergono con tutta la loro importanza:
97
È dal 2004 che ho frequentato i palazzi, così quando facevano
le riunioni, le prime volte, andavo lì, c'era un coordinatore di tavolo, e dava la parola a tutte le Odv, e tutte si presentavano e
tutte le volte era la stessa cosa, cioè ci si presentava, io sono bla
bla, io faccio bla bla, e poi dicevo ma a che serve? E poi dopo
alla fine si cercava di capire, si capiva che dovevamo conoscerci, come oggi ci siamo conosciuti, ma quei tavoli erano grandi
eh… erano tanti soggetti, e all’inizio eravamo tantissimi. […] Io
ho fatto il primo bando, mi sembra, il primo progetto nel 2005:
fuori! Chi rimane fuori rimane male, e ovviamente dice ma allora
che cosa ci vado a fare? Ma che ci vado a fare, vado a perder
tempo? Oltretutto io partivo, pagavo... prima ci andavo con la
macchina, poi ci presi la contravvenzione, e poi sono andato
sempre con il treno... E, ma sempre di meno... cioè ai tavoli alla
fine, in una riunione di... sono stato... perché poi dopo c’è stata
la crisi per cui hanno tagliato il 50% dei fondi, alla fine eravamo pochissimi, sempre pochissimi. Cinque, sei... prima erano
venti, trenta... [...] Ci sono dei tavoli molto affollati, dove c’è...
Africa, America Latina, cento... insomma... ci son tante.. Ricordiamoci che in Toscana siamo una valanga di Odv […] per cui
insomma... secondo me si dovrebbe ritornare, cioè quasi direi,
escludiamo le Ong, quelle più grosse, e vediamo un attimo di
far sì che le piccole, perché è proprio un substrato che non si
può perdere... […]
Viene poi individuato come elemento critico la disparità di potere, sia
di carattere economico, politico ma anche semplicemente di argomentazione. Le difficoltà di accesso alle riunioni generano instabilità nella partecipazione dei rappresentanti delle organizzazioni, per
cui spesso occorre ripetere le presentazioni e rispondere alle stesse
obiezioni. Questa situazione può generare un immobilismo che in un
modo o nell’altro deve essere sciolto, dato che i tempi dei bilanci e
delle decisioni non sono quelli della concertazione. É naturale che
dopo un certo periodo le decisioni vengano prese all’interno di un
gruppo ristretto di persone che partecipano con assiduità o dai dirigenti. Purtroppo una decisione che viene percepita come “presa
dall’alto” rafforza la convinzione di un esercizio di potere escludente
e produce la rottura del processo di concertazione.
Dovrebbero essere gli spazi dove vengono progettati come si
utilizzeranno le risorse che la Regione ha a disposizione. Allora
se poi io ti dico come utilizzarle e tu le utilizzi come vuoi è chiaro
98
che è doppiamente inutile questo lavoro, no? Cioè, si sta nei
Tavoli per interesse, l’interesse è: sto lì perché do indicazioni
sulle politiche e poi posso raccogliere i frutti del mio lavoro anche perché le politiche vanno in quella direzione lì, se nessuna
di queste due cose è possibile perché i fondi poi vengono dati
non lo so a chi, di questo non ho idea, e le politiche non sono
orientate ai bisogni che abbiamo espresso, che cosa ci vado a
fare al tavolo?
Preoccupazioni e ‘sofferenze’ sottolineate anche dal rappresentante
delle Ong toscane al Tavolo di coordinamento generale della cooperazione istituito presso la Regione Toscana:
[…] purtroppo nei Tavoli prevale ancora una certa competitività.
In molti casi, il Tavolo si è configurato come occasione di discussione sulle risorse destinate alla cooperazione della Regione,
anziché come opportunità di confronto e integrazione su iniziative e programmi. E poi ai Tavoli non partecipano quegli attori
– Odv, enti locali, ecc. – del sistema regionale che non hanno
nella cooperazione la propria mission principale […]. Tra le tante
sfide vi è innanzitutto la partecipazione. Occorre coinvolgere più
soggetti, in particolare quel vasto tessuto di Odv di volontariato,
meno strutturate ma dotate di un ricco potenziale di impegno e
relazioni. E poi è necessario applicare meglio il principio di sussidiarietà al tema della cooperazione. Oltre alle risorse messe a
disposizione attraverso il proprio bilancio, il valore aggiunto di
un sistema regionale di cooperazione costituito dalla capacità
di attivare competenze e reti di relazioni, trovando nel proprio
territorio le risposte necessarie.
Sul senso e il ruolo che i Tavoli regionali svolgono in funzione di una
gestione partecipata e condivisa delle scelte, la percezione delle Odv
è molto spesso caratterizzata da rappresentazioni stereotipate relative alla presenza di giochi di potere, di spartizioni di fondi prestabilite,
di ruoli già definiti. Sono le stesse esperienze personali pregresse
che spingono alcuni ad avanzare considerazioni molto critiche:
[…] e così... non venne (ri-) finanziato, probabilmente perché
non partecipammo al tavolo, probabilmente perché non c’era
questa.... o perché poi venne privilegiato l’intervento in altri ambiti, non so più neanche dire perché, comunque era chiaro che
quello che a noi risultò abbastanza chiaro era che il nostro progetto era orfano, nel senso che non aveva padrini o madrine,
99
al di là della qualità del lavoro fatto e del fatto che nessuno ha
avuto nulla da eccepire sulla realizzazione del progetto[…].
Considerazioni che riflettono la lontananza di molte Odv, nell’approccio, nella percezione, da un sistema forse considerato troppo ‘istituzionalizzato’.
Senti, io dal 2005 mi sono divertito di andare a tutte le riunioni
dei tavoli di concertazione regionale, dove c’è tanta autoreferenzialità, dove c’è tanta, c’è sempre stata..., gelosia delle proprie
situazioni, tutti a dire facciamo rete, facciamo rete, mettiamoci
insieme, eeeh! Non è vero proprio niente! Una delle cose che ho
sempre detto agli enti, alla Regione in prima persona, ma anche
alla Provincia quando faceva le riunioni dei Tavoli, è che certe
situazioni nascono perché per esempio in Toscana c’è una situazione che molto spesso progetti di cooperazione decentrata
alla fine vanno a finire ai soliti noti. I soliti noti sono Ong che […]
la fanno alla grande. Ma... questo è una questione politica.
Non tutti però hanno una visione così negativa. Altri infatti, sempre
in relazione a personali esperienze, considerano i Tavoli come una
opportunità importante di discussione, confronto e anche dal punto
di vista metodologico.
Io personalmente ho frequentato non per tanto tempo i tavoli,
anche perché per motivi di lavoro non potevo sempre esserci,
però mi è piaciuto il metodo di lavoro, prima c’è una condivisione di tutte le esperienze e da lì anche uno impara a sapere
come lavorano gli altri, cosa fanno, e poi evita il replicarsi di
diversi progetti nella stessa località, per esempio nel Burkina ci
sono alcune associazioni che si mettono d’accordo nel fare un
progetto integrato, invece di andare in modo frammentario, magari nella stessa regione tutti vogliono fare un pozzo d’acqua, si
possono mettere d’accordo e invece di fare tutti un pozzo d’acqua, tu magari fai il pozzo, io invece penso a fare l’irrigazione, io
penso a fare un’altra cosa, per cui viene una cosa, un progetto
ben integrato che serve molto a quella località, invece di andare
ciascuno per conto suo a fare gli stessi progetti. Per cui questo
è un modo di lavorare insieme e non replicare gli stessi progetti,
da questo punto di vista io penso che eviti la frammentazione,
è interessante.
100
In linea di massima il rapporto con la Regione Toscana stenta però a
decollare sia per quanto riguarda la partecipazione ai bandi sia per
i Tavoli di coordinamento. A conferma di ciò il fatto che il 69% delle
Odv colloca la Regione, rispetto ad altri enti, molto distante dalla propria quotidianità (in posizione 4 e 5 dell’asse vicino-lontano, dove la
posizione 1 è quella più vicina e la 5 è la più lontana2), a dimostrazione di come la maggioranza delle Odv viva il proprio territorio, le proprie esperienze, i propri progetti, in maniera avulsa e incondizionata,
dove la presenza o meno degli altri risulta essere un elemento quasi
insignificante.
La situazione che emerge mostra ancora una volta la presenza di più
itinerari, diversi modi di muoversi all’interno di un grande sistema,
dove ciascuno trova il percorso che più si confà alle proprie caratteristiche, esigenze e visioni del mondo. Se la Regione non è certamente
l’ente considerato più ‘vicino’, non molto meglio è la situazione di Province e Comuni. Rispetto a ciò che accade con la Regione, Province
e Comuni risultano leggermente più ‘vicini’ alle nostre Odv: la Provincia viene collocata in quarta e quinta posizione dal 59%, il Comune
dalla metà esatta delle Odv.
Positivo è invece ciò che emerge intorno alla figura del Cesvot, vissuto dal 56% come una realtà molto vicina alle proprie esperienze
anche se, come si avrà modo di vedere più avanti, non sono esenti
alcuni elementi contraddittori. Un dato particolarmente interessante è
la differenza di collocazione (e quindi di percezione) che si registra,
all’interno del mondo del volontariato, tra Odv che operano nello stesso ambito e altre Odv che non si occupano di tematiche internazionali. Paradossalmente, ma fino ad un certo punto, vengono ‘sentite’ più
vicine quelle Odv estranee alla solidarietà internazionale collocate in
prima e seconda posizione dal 46%, a differenza di quelle realtà ‘colleghe’ verso le quali la distanza aumenta (è infatti il 38% che le situa
nelle prime due posizioni).
2 Questa riflessione nasce dall’analisi di una specifica domanda presente nel
questionario nella quale chiedevamo alle Odv intervistate di collocare rispetto a se
stesse, poste al centro, le altre realtà indicate.
101
Tab. 14 Vicinanza e lontananza dalle altre realtà del territorio
Regione
Toscana
Provincia
Comune
Cesvot
Altre Odv
di Solidarietà
Internazionale
Altre Odv
Vicino
17,4%
26,1%
35,9%
56,5%
38,1%
46,2%
Né
vicini né
lontano
13,0%
13,0%
13,0%
15,2%
15,2%
22,0%
Lontano
69,5%
59,8%
50,0%
18,3%
46,8%
31,9%
3.
Essere o avere
La presenza e l’importanza degli enti locali, oltre ad essere percepita
come qualcosa di estraneo da molte Odv, viene vissuta dalla maggioranza dei casi in modo strumentale. Attraverso una specifica domanda, si è cercato di indagare la ‘qualità’ di un eventuale rapporto
con gli enti locali. Per il 55% delle Odv, la ricerca di un coinvolgimento
di tali realtà istituzionali è finalizzata ‘spesso’ alla sola erogazione di
contributi. Percentuale che aumenta se consideriamo anche il 28% di
quelle Odv che assumono questo approccio ‘qualche volta’.
Le istituzioni in questi casi vengono viste come distributori di risorse,
erogatori automatici di finanziamenti: per la sola ragione che sono
pubbliche, devono obbligatoriamente garantire un supporto economico a tutte le iniziative. Solo il 35% vede ‘spesso’ nella relazione
con gli enti locali l’inizio di un percorso di partenariato finalizzato alla
condivisione di progettualità. A seguito di ciò, è sembrato interessante incrociare la domanda relativa allo scopo ultimo insito nella ricerca
da parte delle Odv di un coinvolgimento degli enti locali nelle proprie
attività.
Dalle risposte, si evidenzia il fatto che, tra coloro che ricercano ‘spes-
102
so’ una relazione finalizzata alla sola erogazione di un contributo, prevalgono le Odv con una anzianità media (dai quattro ai dieci anni). Se
invece il rapporto è orientato alla creazione di partenariati, le realtà
con una esperienza più matura (oltre i dieci anni) hanno percentuali
più elevate. Anche in questo caso, come del resto in molti altri già visti
in precedenza, l’elemento storico rappresenta un fattore di maturità,
di consapevolezza del proprio ruolo sul territorio e della propria mission. Una maturità che induce ad una ‘evoluzione’ valoriale sempre
più vicina a quella che è l’essenza del fare cooperazione.
4.
Gli altri (non) siamo noi
Un modo per riuscire a comprendere il livello di ‘inserimento’ delle
Odv in un sistema come quello della cooperazione internazionale è
stato individuato nell’analizzare il grado di consapevolezza e conoscenza che tali realtà hanno sugli altri attori che rivestono un ruolo
all’interno del contesto regionale. Nello specifico è stato chiesto alle
Odv intervistate di individuare cinque soggetti del territorio toscano
(pubblici o privati) che a loro giudizio ‘occupano’ uno spazio significativo nell’ambito della cooperazione internazionale.
A tale proposito, la Regione Toscana appare l’ente più citato (anche
se dal 31% delle Odv) e quindi il soggetto che più di ogni altro viene riconosciuto come ‘depositario’ di un insieme di valori e metodi.
Elemento questo che entra in contrasto con l’altro dato relativo alla
vicinanza/lontananza visto precedentemente e che vedeva la Regione Toscana tra gli enti percepiti come quelli più ‘lontani’. Se da un
lato quindi le Odv riconoscono la Regione come l’ente che più di altri
ricopre un ruolo significativo nel campo della cooperazione, dall’altro
quello stesso ente risulta essere molto distante dalla realtà e dalla
quotidianità delle Odv. In tal senso quindi, molto sarebbe da fare affinché questo riconoscimento ‘teorico’ trovi anche un’applicazione nella
pratica, per ridurre la distanza tra “la stanza dei bottoni” e la società
civile e riavvicinare due soggetti così lontani ma così vicini. Gli altri
due gradini del podio sono occupati da due Ong: Cospe (indicato dal
24% delle Odv) e Oxfam Italia (dal 23% delle realtà intervistate).
Scendendo in questa particolare graduatoria, al quarto posto si collo-
103
ca il Cesvot, indicato dal 13% delle Odv. Caritas e Movimento Shalom
sono appaiate alla quinta posizione con il 12%, mentre Emergency
e Manitese seguono con il 9%. Segnalato dal 7% degli intervistati,
il Centro Nord/Sud si colloca in settima posizione; Arci, Fondazione
Monte dei Paschi, Medici senza frontiere, Provincia di Livorno e Unicef ottengono il 5% dei riconoscimenti.
In sintesi, il dato che emerge dipinge un insieme di Odv poco consapevole di quello che è il panorama regionale, là dove solo un terzo
individua la Regione Toscana tra le realtà più significative nell’ambito
della cooperazione internazionale e poco più del 20% riconosce due
tra le realtà non governative più importanti del contesto regionale e
non solo.
Da questa analisi, non si intravede un particolare “polo di attrazione” anche solo dal punto di vista percettivo, ma una costellazione di
soggetti, più o meno riconosciuti, frutto di una percezione parziale e
limitata del proprio ambito di intervento. Un universo associativo quindi più che essere proiettato verso l’esterno, è ‘ripiegato’ sul proprio
vissuto, come conseguenza di una visione molto localistica (per non
dire provinciale).
Graf. 22 Realtà riconosciute come significative nell’ambito della cooperazione
104
5.
Dinamiche di networking e collaborazioni
Rimanendo in tema di reti, un’ulteriore domanda aperta chiedeva alle
singole Odv di indicare le realtà (pubbliche o private) con le quali vengono intrapresi rapporti di collaborazione, specificando poi la
frequenza di tali relazioni. Le risposte a questa particolare domanda
possono essere interpretate attraverso una duplice lente: prendendo
come riferimento i singoli rapporti emersi o, come vedremo successivamente, le singole categorie raggruppate. In questo senso, la lettura
delle risposte aperte, secondo la prima interpretazione possibile, ha
dato alla luce un totale di 418 relazioni.
In quest’ottica, sembra interessante delineare un elenco realizzato attraverso un’aggregazione tipologica dei soggetti emersi (agenzie internazionali, Anpas, Anteas, Arci, Odv - nel senso di altre realtà attive
in ambiti diversi - associazioni immigrati, associazioni internazionali,
Auser, Caritas, Cesvot, comuni, cooperative, enti locali internazionali,
fondazioni, fondazioni bancarie, fondazioni internazionali, istituzioni bancarie, istituzioni missionarie, istituzioni religiose, Misericordie,
Ong, partiti, Proloco, province, Regione Toscana, sindacati, università). In questa prima aggregazione è stato però scelto di considerare
tutte le singole realtà che vengono citate anche se da più Odv (es.: se
due Odv citano la stessa realtà - che rientrerebbe nella stessa macro
area - vengono contati due rapporti distinti).
Tra tutti i rapporti dichiarati il primato (con 131, il 31% sul totale dei
rapporti) se lo aggiudica la categoria Odv (all’interno della quale sono
state inserite tutte le realtà associative presenti nei più svariati settori
del volontariato). Ciò significa che le nostre Odv intervistate hanno
indicato la presenza di altre 131 realtà associative con le quali hanno
stabilito una relazione. Un dato assolutamente in linea con quello che
è il quadro dipinto fino ad ora: Odv cioè che si giocano la propria
partita all’interno di una visione circoscritta.
A seguire, con il 14% sul totale dei rapporti, si posizionano i Comuni.
Gli altri enti locali di riferimento, le Province, raggiungono la terza
posizione con il 6,6% dei rapporti dichiarati, mentre il totale dei rapporti individuati con la Regione Toscana si attesta intorno al 3%. Le
Organizzazioni non governative rappresentano, al quarto posto con
105
poco più del 4%, il primo grande soggetto ‘puro’ nell’ambito della
cooperazione con il quale le Odv intervistate intrattengono relazioni.
Graf. 23 Percentuali di rapporti segnalati, per tipologie di realtà
A proposito di relazioni, questo tipo di aggregazione ci permette (a
differenza dell’altra che vedremo a breve, più restrittiva ma forse più
significativa per gli scopi della ricerca), di descrivere per ogni rapporto anche la sua frequenza.
In seguito a questa lettura interpretativa, emergono dati particolarmente interessanti. Per individuare in maniera chiara e sintetica la
tipologia del legame, le Odv dovevano associare ad ogni rapporto la
frequenza sulla base di tre opzioni: sistematici, frequenti e occasionali. Il primo dato che balza agli occhi è la scarsa presenza (considerando solo quei rapporti numericamente consistenti, oltre i 7) di rapporti
valutati come ‘sistematici’. Se infatti andiamo ad escludere la categoria Odv con la quale il 40% ha dichiarato di avere rapporti sistematici
(e comunque meno della metà) le uniche tre categorie che registrano
una maggioranza (assoluta o relativa) nei rapporti sistematici sono
l’Arci (58% di rapporti sistematici), le istituzioni missionarie (44%) e
le istituzioni religiose (73%). Un dato abbastanza significativo questo
se consideriamo le origini storiche del volontariato italiano nell’ambito
della cooperazione, con i suoi due orientamenti valoriali che, oltre ad
106
aver ispirato la nascita delle prime organizzazioni, ne hanno sempre
seguito la crescita. Si tratta di legami consolidati nel tempo che ancora oggi sono espressione di un ‘sapere’ e “saper fare” particolari.
Inoltre emergono rapporti abbastanza stretti con l’Anpas, un’associazione che, come noto, non si occupa specificamente di cooperazione
internazionale: di tali rapporti (che sul totale rappresentano il 2,6%), il
72% è suddiviso equamente tra rapporti ‘stabili’ e ‘frequenti’.
Ulteriore dato significativo è la tipologia che emerge dal rapporto con
le Ong: il 61% del totale di questi legami viene valutato come ‘occasionale’, per un terzo sono collaborazioni ‘frequenti’ e per il restante
6% sono ‘stabili’. Un dato che sottolinea, la distanza, il fossato che c’è
tra questi due ‘mondi’.
Da un lato piccole e medie Odv, con le loro caratteristiche che piano
piano stanno emergendo, con il loro modus operandi, i loro approcci; dall’altro organizzazioni professionistiche con altrettante e diverse
caratteristiche metodologiche, operative, valoriali. Due mondi che raramente si parlano, poco si conoscono e solo a volte si incontrano.
Paradossalmente i rapporti con gli enti locali sono di gran lunga più
frequenti.
Scendendo nel dettaglio, per quanto riguarda i comuni, il 39% di tali
rapporti sono considerati ‘frequenti’ e il 25% ‘stabili’; analoga percentuale di stabilità viene registrata nei riguardi dei legami con l’ente
provincia che però aumenta in quelli ‘frequenti’ (43%). Per quanto
riguarda i rapporti con la Regione Toscana, nella maggioranza assoluta dei casi, vengono definiti ‘frequenti’ (il 58%). Un dato questo che
evidenzia che là dove si instaura una relazione con l’ente regionale,
l’attenzione verso il mantenimento di questo rapporto e quindi l’interesse a coltivarlo è abbastanza alto.
107
Graf. 24 Caratteristiche dei rapporti per tipologie di realtà
Anche in relazione ai rapporti registrati verso il Cesvot, poco più dei
due terzi del totale, viene diviso in parti uguali tra ‘frequenti’ e ‘occasionali’. Un situazione comunque che possiamo dire soddisfacente,
anche se con notevoli margini di miglioramento, considerando il ruolo
e le aspettative del Cesvot nel rappresentare un centro “al servizio”
delle Odv. Se poi vogliamo riaggregare ulteriormente, considerando
non i singoli rapporti, ma raggruppando questi nelle varie categorie
(es. se una associazione cita quattro comuni diversi, questa volta la
categoria Comune viene contata una volta sola) in modo da far si che
le percentuali dei rapporti possano essere riferite ai casi, ecco che
la classifica si fa più leggibile e trasparente. In tal senso possiamo
quindi affermare che sul totale delle Odv intervistate, il 69% dichiara
di aver rapporti con almeno una realtà rientrante nella categoria delle
Odv, il 48% ha rapporti con almeno un comune, il 30% con una provincia e quasi il 20% con Ong.
Percentuali queste, molto basse che confermano quel tipo di ‘isolamento’ caratteristico di un mondo solidale ma solo. Un isolamento
che si conferma anche con le altre realtà: solo il 16% ha rapporti con
108
il Cesvot e un 14% con la Regione Toscana. Analizzando le singole
realtà toscane con le quali le Odv hanno rapporti (comuni, province,
ecc..), il Cesvot rappresenta tuttavia uno dei due principali punti di
‘aggregazione’ (insieme alla Regione Toscana).
Graf. 25 Distribuzione dei rapporti per tipologia
/1%/5
-0%05
,)%+5
*)%.5
1%*5 0%)5 .%15
-%05
,%.5
+%,5
*%+5
!
!
!
"
"
&&
"
&&
!
"!
"
""
"
"
!
*2%15
*/%,5*-%)5
*+%15**%/5
In relazione a quanto riportato fino ad ora per quanto riguarda l’inserimento delle Odv all’interno di un ‘sistema’ toscano, è stato costruito
un indice in grado di sintetizzare il livello di integrazione. A tale scopo
sono stati individuati una serie di item e di domande che potessero
rappresentare ed esprimere bene il livello di integrazione in un sistema fatto di attori, relazioni, opportunità.
Le domande prese in considerazione hanno riguardato quindi l’accesso a finanziamenti pubblici di comune, provincia e regione (d.30.1,
d.30.2, d.30.3), l’utilizzo del canale che mette a disposizione il Cesvot
con i suoi bandi dedicati alle Odv (d.31.6.), la partecipazione ai bandi
promossi dalla Regione Toscana (d.33), così come la presenza a iniziative organizzate dalla stessa Regione come Tavoli, Coordinamenti,
Programmi, ecc. (d.45) e la presenza all’interno di Forum o Network
tematici (d.46).
In linea di massima, come mostrano tabelle e il grafico sottostanti, ciò
109
che emerge da questo “indice di integrazione” è una realtà ancora
troppo frammentata. Il processo di integrazione è ancora lontano da
essere realizzato: solo il 4% delle Odv si può ‘fregiare’ a pieno titolo
del grado di ‘integrati’.
Tab. 15 Indice di integrazione
Livello di integrazione
%
Basso
60%
Medio
36%
Alto
4%
Questo sta a dimostrare ancora una volta che il mondo del volontariato internazionale è un settore che oltre ad andare a velocità diverse,
segue anche strade differenti senza necessariamente tenere conto
del contesto di riferimento.
Graf. 26 Livelli di integrazione
Per comprendere meglio il panorama relazionale delle Odv di riferimento è stata costruita poi una mappa delle relazioni. A tale proposito
però è necessario premettere che il questionario non era calibrato per
realizzare una network analysis approfondita. I dati raccolti sono il
110
risultato delle risposte a una singola domanda (la d.41) dove si chiedeva di indicare le realtà (pubbliche e private) con le quali le Odv
hanno, nell’ambito dell’attività internazionale, dei rapporti, specificandone poi l’entità. Tali informazioni, oltre a fornirci un’idea di quali siano
le relazioni di collaborazione e di comunicazione tra i rispondenti al
questionario, offrono la possibilità di ‘disegnare’ una forma delle reti,
visualizzando il livello di coinvolgimento e condivisione del volontariato toscano di solidarietà internazionale3.
Nella prima figura viene riportata una rappresentazione realizzata includendo solo le relazioni tra le 92 organizzazioni che hanno risposto
al questionario. L’intensità della linea di legame varia al variare della
stabilità del rapporto (la linea più scura indica rapporti stabili). Come
è chiaramente visibile, il livello di interconnessione è molto basso.
Sono presenti solo alcuni nodi o poli di attrazione, costituiti da Odv
evidentemente più attive e percepite come più rilevanti, intorno alle
quali ruota un determinato numero di realtà.
La successiva figura offre invece un altro punto di vista: è realizzata
analizzando sempre le risposte fornite alla stessa domanda ma tenendo in considerazione tutte le realtà nominate singolarmente.
In questo caso la rete di relazioni risulta più complessa e articolata
anche se la dimensione dei nodi, che è proporzionale al numero di
Odv che dichiarano di entrare in contatto con la relativa istituzione o
organizzazione, permette di fare alcune considerazioni.
3 Per l’elaborazione dei grafici è stato utilizzato il software open source Gephi
(www..gephi.org ). La disposizione spaziale delle organizzazioni (nodi) è stata ottenuta inizialmente applicando il layout Force Atlas ai dati inseriti modificando i
parametri per ottenere una disposizione uniforme. Successivamente i nodi sono
stati spostati manualmente per ottenere una figura di dimensioni ottimali per la lettura, evitando che le etichette si sovrapponessero. Le dimensioni dei nodi e delle
etichette sono proporzionali al numero delle connessioni o meglio al grado di interconnessione pesato di ogni nodo
111
Fig. 3-4 Mappe delle relazioni tra le Odv intervistate e della totalità dei rapporti dichiarati
112
In primo luogo si riesce a individuare alcuni punti di aggregazione più
importanti, come il Cesvot e la Regione Toscana che emergono più di
altri anche se solo per alcune realtà. Un fatto che comunque va letto
in parallelo a ciò che è stato affermato precedentemente proprio su
queste due realtà, in merito quindi alla tipologia delle relazioni e alla
percezione.
113
Ciò che risulta essere evidente è inoltre la presenza di tanti mediopiccoli o piccolissimi agglomerati riuniti intorno a singole realtà locali
(comuni, Odv, province…) ma separati gli uni dagli altri, fuori da una
vera e propria logica di rete.
6.
Il valore della comunicazione
Un ultimo aspetto che possiamo inserire a pieno titolo nelle riflessioni sulla relazionalità è quello della comunicazione, un ambito fondamentale per ogni associazione che ‘vive’ del coinvolgimento delle
persone e della sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Per le Odv
comunicare e saper comunicare ciò che viene fatto e come viene fatto rappresenta qualcosa di strategicamente determinante.
L’evoluzione tecnologica ha radicalmente cambiato il mondo della
comunicazione creando molte più possibilità nell’accesso e nella divulgazione.
Nonostante ciò, il giudizio che le stesse Odv danno alla misura con
la quale vengono divulgate, pubblicizzate e condivise le informazioni
(di qualunque genere esse siano) all’interno di questo vasto settore è
molto critico. Quasi il 70% delle realtà intervistate ritiene insufficiente
il livello di comunicazione tra le Odv. Di fronte a tale percezione è
quindi lecito domandarsi in che misura lo stesso Cesvot dispone di
margini utili al fine di poter colmare questa lacuna. Se l’analisi svolta
fino ad ora ci ha mostrato un settore molto ‘slegato’, frammentato, con
pochi indirizzi e “nodi relazionali” certi, ecco che lo sforzo per riuscire
a coordinare e razionalizzare le energie e le risorse diventa oltre che
necessario anche determinante.
Ma come comunicano comunque le Odv? Con quali strumenti?
La principale fonte è rappresentata dal web attraverso cui il 67% delle Odv intervistate pubblicizza ‘periodicamente’ le proprie attività,
contro un 16% che solo ‘occasionalmente’ accede a questo strumento. Nonostante però la raggiunta facilità di accesso e navigazione in
rete, un ulteriore 16% dichiara di non utilizzare questo strumento, ciò
dovuto presumibilmente da un grado di informalità piuttosto elevato
derivante dalla natura stessa delle Odv che nascono senza una vera
vocazione gestionale professionale delle attività.
114
Per questo le pubblicazioni cartacee hanno ancora una discreta divulgazione ed infatti il 22% delle Odv vi ricorre periodicamente e il
77% saltuariamente. Diverse Odv usano anche la pubblicazione di
bollettini (periodicamente per il 17% e occasionalmente per il 31%).
In ultimo, anche l’organizzazione di convegni e seminari rappresenta
un modo attraverso cui il 63% delle Odv (sommando quelle che lo
fanno periodicamente e quelle che solo per certe occasioni) riesce
non solo a pubblicizzare ma anche a “dare conto” di quelle che sono
le proprie attività.
115
Capitolo 7
Altruisti egoisti?
1.
Tra il ‘dire’ e il ‘fare’…
Descrivendo un settore che si definisce di ‘cooperazione’, è singolare
constatare come esista una situazione tale per cui, invece che tentare
di condividere un percorso, delle idee e, perché no, delle risorse, si
agisce in una logica di concorrenza o con dinamiche di preclusione.
La questione dei rapporti si compone di ulteriori elementi, anche contraddittori, quando vengono individuate le motivazioni che spingono
le Odv (in questo caso dello stesso ambito operativo) a eventuali forme di collaborazione.
In prima battuta il 44% dichiara che ‘spesso’ la collaborazione viene
ricercata per condividere idee e progettualità mentre per il 35% solo
‘qualche volta’: il 20% delle Odv intervistate dichiara invece che la
collaborazione con altre Odv non rientra nel proprio agire. Situazione
che non migliora quando andiamo a verificare altre possibili motivazioni.
Se infatti quel 44% di ‘collaborativi’ può dipingere un quadro di Odv
(seppur minoritarie) propense alla condivisione e a forme di partecipazione collaborative, le percentuali si abbassano ulteriormente
quando prendiamo in esame altre circostanze che vanno a incidere su “ciò che è proprio”, su quegli elementi considerati di dominio
esclusivo: dalla semplice possibilità di condividere e scambiare informazioni (una prassi frequente per il 36% delle Odv intervistate), alla
realizzazione delle attività di un progetto (‘spesso’ per il 38%).
Tali percentuali divengono ancora più basse quando entrano in gioco
variabili di tipo economico: promuovere iniziative congiunte di raccolta fondi è qualcosa che viene fatto ‘spesso’ da un quarto delle Odv,
‘mai’ da un terzo e ‘qualche volta’ da poco più del 40%; così come
quando c’è da condividere risorse economiche da utilizzare per rendere potenzialmente più incisivi i progetti. In tal caso, solo il 13% dichiara di farlo ‘spesso’ mentre per la maggioranza delle Odv (il 51%)
non è una strategia apprezzata.
Il fatto che nelle situazioni sopra descritte sia stata molto utilizzata
116
l’opzione ‘qualche volta’, ci restituisce l’ipotesi di una realtà nella quale non c’è un modus operandi fisso. Tutto è molto variabile, mutevole
a seconda delle circostanze. Non sembra esistere un agire paradigmatico, bensì un “approccio liquido”, volubile, dettato più dalla ‘convenienza’ che dalla ricerca di quel valore aggiunto della partecipazione e della condivisione. Ciò che emerge è un panorama poco ideale,
dalle mille sfaccettature e di non facile lettura.
Quello del volontariato internazionale è un mondo all’interno del quale
tendenzialmente si preferisce viaggiare da soli o in pochi, con i propri
limiti, ma cercando di preservare e difendere i propri territori e le proprie peculiarità. Tale posizione viene ribadita anche in occasione della discussione nei focus group, all’interno dei quali secondo alcuni,
è anche normale il fatto che, […], fai rete con le persone che ti
sono affini, con le associazioni che ti sono affini, cioè il discorso
di fare rete non riguarda... io non voglio fare rete con tutti. Se no
si torna al discorso che faceva lui della rete anche forzata no?
Del resto, il “fare rete” a volte viene presentato in modo acritico, quasi
come la soluzione a tutti i problemi, senza considerare che lavorare
in rete porta, assieme ai vantaggi, anche nuovi problemi che non tutti
sono preparati a gestire.
All’interno di un relazione dialogica, la collaborazione tra organizzazioni è legata prevalentemente allo scambio di saperi, di competenze, all’apprendere dagli altri: l’incontro viene visto come un momento
di ampliamento delle prospettive.
La rete può essere anche ‘sostegno’ nei momenti critici e modalità per
prevenire errori. Tra i fattori considerati determinanti per il successo
di questo ‘incontro’, bisogna inserire la disponibilità all’ascolto, il reciproco rispetto e la comprensione. Ulteriore elemento da considerare
è poi costituito dalle differenze nei modi di fare cooperazione da parte
delle Odv. Se da un lato la retorica della cooperazione contemporanea è stata assimilata, per cui le dichiarazioni sono tendenzialmente
partecipative, dall’altro una riflessione approfondita evidenzia che la
prassi della reale partecipazione è spesso ancora lontana.
Un fatto, questo, dimostrato anche da due ulteriori elementi: da un
lato il basso numero di rapporti e collaborazioni dichiarate (il 41%
117
delle Odv infatti dichiara di essere in contatto con meno di tre realtà, il
36% fino a cinque e solo il 7% con oltre dieci Odv); dall’altro la partecipazione a network o forum specifici nell’ambito della solidarietà internazionale. In questo ultimo caso la maggioranza assoluta (il 51%)
non fa parte di nessuna realtà aggregata, mentre il 32% vi partecipa
in modo continuativo, il 9% occasionalmente e il 4% solo per specifiche attività. Per le Odv che partecipano (nelle varie modalità), il maggior ambito territoriale di riferimento della rete è quello provinciale
(per il 47% dei casi). A tale proposito è da sottolineare come, anche
in questo caso luoghi di partecipazione di livello regionale vengono
‘scavalcati’ da network nazionali e internazionali. Se però ci stacchiamo dal livello concreto della realtà quotidiana e delle relazioni attive,
al mondo delle aspettative, spostando quindi il nostro asse da “ciò
che è” a “ciò che sarebbe meglio fare”, notiamo come l’elemento relazionale cambia di segno:
Sarebbe bello, insomma ora spero che ci scambiamo i numeri
di telefono... e rimaniamo in contatto, perché comunque poi è
bello, perché loro potrebbero trovarsi nella necessità, per dire,
di non avere fondi per un qualcosa di importante e potrebbero
dirmi: oh, ma te che fai, c’abbiamo questa cosa, si potrebbe unire, fare un evento insieme, non lo so, penso che questo sarebbe
molto bello, perché proprio nello scambio fra di noi... e invece
questo manca molto.
Nelle affermazioni si va addirittura oltre la questione economica,
come se tutto fosse riconducibile alla sola dimensione comunicativa.
[…] i soldi vengono dopo, la cosa più pressante è il discorso
della rete, se si riesce a fare rete ci si confronta, vengono fuori
idee migliori, e secondo me i soldi sono solo una conseguenza,
quasi, quindi non metterei l’accento sulla necessità, perché fare
rete anche ti sostiene nei momenti di scoramento, quando arriva
il no, a quel famoso bando.
Ho sempre detto perché non riusciamo a fare un qualche cosa,
un progetto dove tutti abbiano un pezzettino... Ma non un pezzettino di soldi, parliamoci chiari, perché io nel mio piccolo, nel
mio piccolo bilancio riesco a fare quello che voglio fare là in quei
villaggi, però ora ho trovato loro e subito gli dirò che ho bisogno
di fare qualche cosa [...]
118
Sembra esistere una percezione della complessità legata al lavorare
in rete, ma le problematiche non sono espresse chiaramente come i
vantaggi.
Lavorare con vari partner comporta un investimento di tempo e energia nel coordinamento delle attività, nella presa delle decisioni e nella costruzione di un percorso comune, sia nelle fasi precedenti alla
stesura del progetto, che durante l’esecuzione. Occorre considerare,
oltre alle problematiche di comunicazione, l’aumento delle variabili
e il concatenarsi delle conseguenze. Allargando la partecipazione
è necessario che le organizzazioni si dotino di strumenti concettuali
e metodologici per ottimizzare il lavoro in gruppo, che seppur utili
anche all’interno delle singole organizzazioni, diventano quasi indispensabili quando le organizzazioni si moltiplicano o debba essere
realizzata una progettazione partecipata.
L’opportunità e la necessità di avviare forme di collaborazioni con
altre Odv che operano nello stesso ambito è vissuta come qualcosa
di rilevante dal 70% (‘abbastanza’ e ‘molto’), così come il promuovere
e facilitare un lavoro di rete tra Odv rappresenta un’aspettativa che il
91% degli intervistati ripone nel Cesvot:
A: Ognuno di noi vorrebbe avere la possibilità di conoscere
quelle realtà che hanno un po’ le stesse visioni, o delle stesse esperienze, difficoltà, criticità, e poi su quello decidere se e
come lavorare insieme.
B: quindi non deve essere un mediatore ma deve essere...
C: Un facilitatore di incontri?...
B: deve dare...
A: conoscenze e occasioni di incontro...
B: brava, ecco quello che io cercavo… la parola che cercavo è
“occasioni di incontro...”.
Il dialogo appena letto, estrapolato dalla trascrizione di uno dei focus
group, suggerisce proprio la creazione di “occasioni di incontro”. Si
conferma quindi l’esigenza di incontri e relazioni più orizzontali, che
permettano alle persone di conoscersi e ‘riconoscersi’, nel senso di
trovare similitudini nelle prospettive, nei modi di agire. Questo potrebbe contribuire a superare la barriera del timore di trovarsi ‘invasi’ dalle
altre organizzazioni o da situazioni che portino difficoltà.
119
A tale proposito, potrebbe essere interessante sperimentare un percorso di incontri focalizzati su tematiche allargate, condivisibili e innovative, con la presenza di un moderatore in grado di cogliere e
sintetizzare i vari stimoli.
Incontri che offrano reale occasione di effettivo scambio orizzontale
tra pari, ma soprattutto l’opportunità di trasformare idee condivise in
attività concrete.
Credo che si debba recuperare le più piccole, cercare di fare
più rete, io non voglio dire escludiamo le tradizionali Ong, però
loro si devono mettere in testa che esiste un substrato molto più
piccolo come il nostro, che ha bisogno semmai di essere formato, e non si devono tenere gelosamente il loro know how per fare
progetti europei... Perché non ci coinvolgono? In azioni, piccole
azioni...perché? […] Potrebbero accogliere, anziché andare a
cercare cooperanti... siamo una valanga di persone che bene o
male potrebbero portare il proprio contributo [...]
Nonostante ciò, le difficoltà ad un approccio reticolare, collaborativo e
partecipativo, si rilevano anche attraverso una particolare domanda,
costruita in modo tale da consentire alle Odv di prefigurare un particolare orientamento di fronte ad una situazione simulata. Lo scenario
immaginato era quello caratterizzato da una scarsa disponibilità di
risorse economiche di fronte alla quale le Odv dovevano individuare
la migliore prospettiva da ‘abbracciare’. La ‘spaccatura’ tra visioni e
approcci che già in più di una occasione ha avuto modo di manifestarsi, anche in questo caso emerge con rilevanza.
La maggioranza delle Odv (il 51%) si colloca all’interno di una strategia che prevede di mantenere la propria autonomia, indipendenza e
dimensione a costo di ridurre drasticamente le proprie attività, accontentandosi di gestire una situazione di ‘sopravvivenza’. Al contrario,
l’altra metà delle Odv si caratterizza per una maggiore propensione
a rendersi disponibile per un’aggregazione con altre realtà affini del
territorio con l’obiettivo di condividere risorse per fronteggiare un contesto che altrimenti rischierebbe di far naufragare i sogni di cambiamento.
120
2.
Tendenze relazionali
A dimostrazione dello scenario appena dipinto si è voluto costruire
un indice che riassumesse le modalità di approccio al lavoro. Un indice che evidenziasse il lato ‘egoista’ o quello ‘altruista’ delle nostre
Odv. Le domande prese in considerazione per la costruzione di questo particolare indice hanno riguardato i ruoli dei partners all’interno
delle attività di progettazione svolte dall’associazione (d.21.1, d.21.2,
d.21.3) e le modalità di conduzione delle attività (d.27.1, d.27.2,
d.27.3). Ciò che emerge non è molto confortante: si ha la conferma di
come questo settore sia abbastanza orientato alla competizione, alla
concorrenza.
Un mare all’interno del quale, nonostante ci siano altre imbarcazioni
che vanno nella stessa direzione, si preferisce navigare per conto
proprio, a costo di perdersi, piuttosto che condividere la rotta e utilizzare ciascuno la scia dell’altro per razionalizzare le risorse. Come
dimostra la tabella, il 24% delle Odv rientra a pieno titolo nella categoria degli ‘individualisti’, contro un 16% decisamente più cooperativo.
Tab. 16 Indice di Approccio
Individualista
24,5%
Tra individualista e cooperativo
59,3%
Cooperativo
16,2%
La cooperazione (intesa come valore) dovrebbe essere ciò che anima il proprio agire, il motore di tutte le iniziative, non solo quando ci si
riferisce a contesti terzi (dove forse è più facile essere collaborativi e
altruisti), ma soprattutto dove l’esigenza di efficienza ed efficacia dei
risultati dovrebbe rendere tutti più cooperativi. Il grafico, restituisce
un panorama ancora più netto. Mostrando tutti i valori (da 0 a 10) è
possibile vedere come la tendenza (nonostante la maggioranza assoluta come indica la classificazione a 3 della tabella è nella fascia
intermedia) sia decisamente ‘spostata’ verso la categoria ‘individualista’.
121
Graf. 27 Approccio: tra individualisti e cooperativi
Ulteriore significativo indice è quello che tenta di ripartire le Odv in
base a quello che potrebbe essere un loro criterio di relazionalità. In
particolar modo si è voluto indagare verso quale atteggiamento, ‘strumentale’ o ‘disinteressato’, sono propense le Odv rispetto ad eventuali
collaborazioni e legami, così come nei confronti della partecipazione
a bandi di finanziamento.
Le domande estrapolate per la costruzione dell’indice sono relative
al ruolo del partner come co-finanziatore del progetto (d.21.3), alla
partecipazione ai bandi della Regione Toscana (d.33), alla motivazione insita nella ricerca di un coinvolgimento degli enti locali (d.43.1) e
delle altre Odv (d.44.2) e l’accesso a fonti di finanziamento pubblico
(d.30).
Se la tabella (che riporta le percentuali delle Odv distribuite sull’aggregazione degli intervalli dell’indice alle tre diverse dimensioni individuate) ci restituisce un’apparente situazione di quasi equilibrio
(escludendo ovviamente le realtà che si collocano nella fascia intermedia), dove l’ago è leggermente spostato sulla parte degli ‘strumentali’, il grafico, che come negli altri casi è costruito facendo riferimento
a tutti i punti di intervallo dell’indice (tra 0 e 10) rivela una situazione
più chiara all’interno della quale molte Odv si ritrovano in un contesto
122
dove presumibilmente il fattore economico rappresenta un motivo per
intraprendere determinati percorsi collaborativi.
Tab. 17 Indice di relazionalità
Strumentali
15,7%
Tra Strumentali e Disinteressati
60,8%
Disinteressati
12,7%
Graf. 28 Relazionalità: tra strumentali e disinteressati
123
Capitolo 8
Prospettive di sviluppo
A conclusione dell’indagine si è tentato di far emergere le particolari
difficoltà che le Odv di questo settore incontrano nello svolgere la
propria mission e contemporaneamente le aree che le stesse ritengono maggiormente strategiche per rendersi sempre più efficaci e
in grado di raggiungere al meglio i propri obiettivi. Come è possibile
vedere dalla tabella sottostante, tra le maggiori difficoltà intorno alle
quali si registra un assoluto consenso rientrano (non a caso), questioni riguardanti le risorse economiche: sia in termini generali, come
dimostra il fatto che l’80% dichiara che la mancanza di risorse pregiudica in maniera rilevante l’andamento delle attività mettendo a rischio
la propria esistenza, sia per quanto riguarda la capacità stessa di
ricercare finanziamenti (per l’82% delle Odv).
La scarsità dei finanziamenti, oltre a rappresentare quel filo rosso che
unisce e accomuna gran parte delle realtà del Terzo settore, se da
un lato rappresenta un evidente problema quotidiano di sopravvivenza, dall’altro può nascondere un orientamento teso a prefigurare le
istituzioni come erogatori automatici di denaro, sviluppando così un
atteggiamento passivo di ‘attesa’.
La maggioranza delle Odv (il 52%) si trova di comune accordo anche
nel rilevare come la scarsa visibilità di ciò che fanno sia un problema
significativo con il quale devono quotidianamente ‘lottare’ all’interno
di un maremagnum di iniziative e attività che, se non gestite adeguatamente, rischiano di passare inosservate.
Tab. 18 Principali problematiche
Ricerca finanziamenti
82,6%
Disponibilità risorse economiche
80,4%
Visibilità iniziative
54,4%
Rapporti enti locali
42,3%
Lavoro di rete stesso settore
39,1%
Rapporti con enti dei paesi
34,5%
124
Continuità progettuali
31,5%
Lavoro di rete con Odv di altri settori
29,7%
Formazione risorse umane
27,1%
Assenza professionalità interne
22,8%
Elaborazione progetti
21,7%
Rendicontazione progetti
21,7%
Amministrazione generale
20,6%
Affidabilità partner in loco
17,4%
Rapporti con i beneficiari
10,0%
Ulteriore difficoltà sottolineata da poco più del 40% delle Odv è relativa alla relazione con gli enti locali. L’83% delle realtà auspica un
cambiamento nella gestione dei rapporti con i diversi enti locali nella
speranza di avviare forme di collaborazione più stabili e non occasionali o così difficoltose. Due sembrano essere quindi gli ambiti problematici: economico e politico. Ambiti strettamente legati là dove,
secondo il punto di vista delle Odv, senza rapporti con gli enti locali
è sempre più difficile riuscire ad ‘emergere’. Si tratta quindi di riuscire
a rompere quel circolo vizioso che, muovendo da scarse disponibilità
di finanziamento, si limitano le opportunità operative, dando luogo ad
una scarsa visibilità e quindi insufficiente riconoscimento sul territorio
verso gli enti locali, producendo a sua volta un limitato accesso ai
finanziamenti.
Fig. 5 Il circolo vizioso
125
Fortunatamente tutti gli ambiti operativi strettamente legati alla gestione delle attività “di competenze diretta” delle Odv sembrano avere minori problemi: dall’amministrazione alla rendicontazione, dall’elaborazione di progetti al rapporto con i beneficiari. A fronte delle
problematiche emerse, in maniera speculare emergono quegli spazi
ritenuti strategicamente importanti e necessari per migliorare le proprie attività.
Graf. 29 Principali necessità (Abbastanza + Molto)
Se la principale necessità risulta, come ci saremmo potuti attendere,
il bisogno di finanziamenti, la seconda questione è quella dei volontari impegnati attivamente. Inoltre viene sottolineata l’esigenza di migliorare ‘qualitativamente’ la propria mission attraverso la presenza
di maggiori professionalità interne all’associazione. Elemento questo
che, seppur ripropone quella eterogeneità tra le Odv evidenziata
anche da altri aspetti visti in precedenza, mette in rilievo una certa
lettura critica del proprio operato, ‘spostando’ l’orizzonte verso una
maggiore consapevolezza dell’importanza dell’efficacia e dell’impatto delle proprie azioni.
Queste considerazioni trovano conferma anche nei contenuti dei focus group:
126
il Terzo settore ha bisogno, se vuole avere impatto, […], di cambiare qualcosa, di cominciare a comunicare in maniera diversa,
di essere in grado di gestire a livello economico le proprie risorse, di dialogare in maniera corretta con i soci, cioè ha bisogno
di professionalità che non ci sono.
Altra significativa necessità rilevata è quella di usufruire di un vero e
proprio centro servizi dedicato per espletare varie funzioni logistiche,
amministrative e di ricerca, così come l’esigenza di riuscire a trovare
(senza però, come dimostrano le pratiche, arrivare ad una vera e propria ‘contaminazione’) forme efficaci per collaborare maggiormente
con le altre realtà che lavorano nel settore internazionale.
127
Conclusioni
Non basta fare il bene, bisogna anche farlo bene Diderot
Non è questione di tempo.
È che ti perdi.
E ti allontani.
I tecnicismi sono troppo impegnativi.1
Fare un bilancio definitivo delle Odv che operano nel settore della
solidarietà internazionale e della cooperazione allo sviluppo nel territorio toscano significa districarsi all’interno di un universo variegato
che, come hanno dimostrato i dati emersi dall’indagine, è caratterizzato da una forte frammentarietà, sia per quanto riguarda i soggetti
(più o meno strutturati), sia in relazione alle modalità di intervento, ai
paesi destinatari delle azioni e ai settori.
Attraverso la ricerca è stato possibile riscontrare una situazione all’interno della quale le realtà incontrate si muovono a velocità differenti.
Da un lato, l’esistenza di molti piccoli e a volte piccolissimi gruppi
isolati, scollegati da sistemi di riferimento più generali di tipo strategico, politico o comunque di analisi sul ruolo della solidarietà internazionale secondo quella logica del doppio binario, “qui e là”. Dall’altro,
un insieme di soggetti che agiscono in rete con realtà analoghe, impostando la propria operatività sul territorio su una dimensione che
cerca di tenere insieme tutti quegli elementi peculiari di un approccio
strategico orientato all’efficacia, all’efficienza e alla sostenibilità.
Tra questi due gruppi così ben polarizzati se ne colloca un terzo (sicuramente quello più numeroso) che oscilla tra tentativi di potenziamento della propria azione ‘cooperativa’ e resistenze di tipo identitario
mettendo in evidenza i limiti di un 'sistema' che può trarre beneficio
1
Citazione all’interno del focus group preliminare realizzato a Siena.
128
dalla presenza di soggetti istituzionali in grado di promuovere, coordinare e gestire modalità consolidate di comunicazione, confronto,
riflessione condivisa, partecipazione e collaborazione. Per cercare
comunque di elaborare alcune riflessioni organiche di sintesi, è possibile far riferimento a quelli che sono stati i principali ambiti che la
ricerca ha esplorato.
Tre sono stati gli orizzonti tematici verso i quali le attività di ricerca si
sono indirizzate che ci hanno stimolato e accompagnato lungo tutto
questo affascinante percorso. In primo luogo, le caratteristiche di un
ambito ancora poco conosciuto, se non solo come uno tra i tanti che
caratterizzano l’agire delle Odv; in seconda battuta, la presenza di
possibili itinerari che caratterizzano l’agire operativo delle Odv; infine,
le dinamiche di queste Odv che oltre a rispondere a logiche interne
si collocano dentro un quadro così bene delineato come quello della
cooperazione decentrata, nelle prassi definite dalla Regione Toscana.
A.
Un orizzonte liquido
Per quanto riguarda il primo degli orizzonti individuati, ciò che emerge dall’analisi dei dati è un ambito del volontariato molto fluido, frutto
di quella “condizione liquida” che la postmodernità sembra aver ‘prodotto’, trasformando così ogni ambito della vita. Un settore differenziato nelle origini, nelle modalità, nella visione della propria mission
nel quale non sembra esserci un modus operandi fisso. Tutto è molto
variabile, mutevole a seconda delle circostanze. Non sembra esistere
un agire paradigmatico ben delineato, bensì un approccio liquido volubile, dettato più dalla ‘convenienza’ che dalla ricerca di quel valore
aggiunto della partecipazione e della condivisione. Un panorama di
non facile lettura e dalle mille sfaccettature che ci restituisce un mondo all’interno del quale tendenzialmente si preferisce viaggiare da
soli o in pochi, con i propri limiti, ma cercando di preservare e ‘difendere’ i propri ‘territori’ e le proprie peculiarità.
È poi sicuramente un ambito giovane (in termini di nascita delle Odv)
e che, in molti casi, non riesce a “diventare grande”; dove la prospettiva di una crescita organizzativa è ancora una dimensione scono-
129
sciuta e spesso poco auspicata. La dimensione volontaristica (con
tutti i suoi pregi ma anche i suoi limiti) e il carattere della gratuità
dell’opera prestata sono fondamentali e rappresentano l’ingrediente
principale con il quale affrontare le sfide della solidarietà.
Come sottolinea un partecipante ad uno dei focus group:
Noi ci teniamo a rimanere piccoli. Con il piccolo ce la facciamo
a gestire le nostre attività. Rimarremo piccoli, però la passione
che ci mettiamo è nostra. Se ci allarghiamo, chi ci viene?
Queste Odv ‘nascono’, ‘vivono’ e molto spesso ‘muoiono’ sotto l’impulso di persone da un forte carisma che catalizza e canalizza i valori, le idee, la vision e la mission. In molti casi è stato un viaggio,
un’esperienza, un incontro, un evento a far accendere la luce della
curiosità che ha portato le persone a conoscere, sensibilizzarsi, approfondire e poi ad impegnarsi. L’elevata frammentazione costituisce
l’altro grande elemento peculiare: molte Odv dalle piccole dimensione, che agiscono all’interno di un territorio con il quale ci si relaziona
poco e in modo non sempre costruttivo, soprattutto nei confronti di
Odv dello stesso ambito. Come l’Universo, che è costellato di tante
piccole stelle che formano diverse galassie, anche questo ‘universo’
è formato da tante micro stelle che si aggregano in galassie separate.
Questa atomizzazione si riflette anche nella dispersione e nella frantumazione degli interventi all’interno dei paesi in via di sviluppo, dando vita ad un vero e proprio ‘esercito’ senza comandante.
Se da un lato la crescita di tante piccole unità indipendenti può significare una maggiore frammentazione e quindi minor efficacia e
efficienza, dall’altro può rappresentare anche una novità di senso
nell’agire volontario, per l’orientamento a nuovi bisogni e forme inedite di protagonismo dei cittadini responsabili, oltre a evidenziare la
‘ricchezza’ di un tessuto sociale, di una società civile con un forte
spirito di cittadinanza attiva e quindi la forza, il dinamismo del settore
stesso che procede verso un proprio percorso di ‘maturazione’.
Ciò che sarebbe opportuno consolidare (e creare là dove non c’è) è
un maggiore coordinamento affinché le scelte (di settore, territoriali,
progettuali, ecc.), pur nella piena autonomia e indipendenza, possano essere il frutto di una politica condivisa e di una strategia razionale
130
che conduca ad un rafforzamento di tutto l’ambito e non ad una mera
“concorrenza autoreferenziale”.
Davanti a questo pluralismo, la visibilità diventa un ulteriore elemento
debole di questo settore. La necessità è quella di riuscire a comunicare, riuscire a far sapere ciò che l’associazione sta facendo, in
modo da uscire dal sottobosco di un settore già di per se “di nicchia”
e comunque ‘affollato’, per rendersi visibili, conosciuti e rintracciabili. Tutte attività che rappresentano costi notevoli, che necessitano di
professionalità che queste piccole realtà non possono permettersi o
che decidono di ‘dirottare’ su altri ambiti considerati più strategici. In
termini generali, ciò che possiamo sottolineare è il fatto che la storia
biografica, l’esperienza sul campo, rappresentano le variabili che più
di altre influenzano e determinano un certo modo di lavorare.
L’esperienza accumulata oltre a produrre una implicita acquisizione
di competenze che vengono mano a mano rafforzate con inserimenti
di professionalità in grado di colmare determinati gap tecnici, incrementa la sensibilità e la maturità necessarie per affrontare situazioni
complesse e una continua evoluzioni negli approcci. Nonostante ciò,
emergono comunque una serie di problematiche legate ai bandi di
finanziamento: difficoltà nei formulari, pratiche burocratiche eccessive, ammissibilità, scarsa chiarezza nei requisiti.
Ulteriore elemento di sintesi è che, pur ‘soffrendo’ di una cronica
mancanza di fondi (come del resto tutto il mondo del volontariato), la
dimensione economica, se esercita innegabilmente delle forti pressioni circa la “forza progettuale”, l’incidenza sul territorio e la gestione
logistica delle attività, non sembra rappresentare una particolare discriminante per quanto riguarda l’approccio ai problemi dello sviluppo. Se vogliamo utilizzare uno slogan, “la mission non è un questione
di soldi”: utilizzare un approccio piuttosto che un altro, non sembra
dipendere certo dal disporre di risorse economiche; più che altro
sembra essere una questione di ‘rappresentazione’, di prefigurazione volontaria e consapevole del proprio ruolo scegliendo di porsi nei
confronti dello sviluppo, nel modo più autentico e disinteressato possibile, quasi ‘immaturo’, in maniera molto informale, che sfocia però in
una presenza e in una valenza sul territorio altrettanto informale.
131
B.
Quando la buona volontà non basta
La costruzione degli indici ci ha permesso di individuare alcuni “tipi
ideali” di Odv anche se la pluralità delle dinamiche in atto complicano
la vita al ricercatore che tenta di ‘modellizzare’ queste realtà associative. Alla luce dei dati emersi è possibile individuare tre modelli:
il primo fa riferimento ad un approccio di solidarietà internazionale,
il secondo orientato alla cooperazione allo sviluppo e il terzo risulta
caratterizzato da un mix tra le due posizioni precedenti.
Si tratta di tre modi differenti interpretare le delle problematiche dello
sviluppo e conseguentemente di tre prassi di intervento. Per contribuire ad una maggiore chiarezza circa il significato e le caratteristiche
dei tre approcci che emergono, riprenderemo l’interpretazione che
Korten (1987) ha elaborato per descrivere l’evoluzione ‘generazionale’ delle Ong. Se però il modello di Korten segue uno schema evolutivo (generazionale appunto), il nostro tentativo utilizza le caratteristiche delle singole generazioni per descrivere (in modo statico) le Odv
appartenenti ai modelli individuati.
L’approccio di solidarietà internazionale può essere spiegato con le
caratteristiche tipiche della prima generazione, all’interno della quale
le esperienze associative rappresentano una manifestazione di solidarietà e di impegno a breve termine, basata su valori umanitari di
pace e giustizia, dove il ruolo che gioca l’attore è quello di ‘donatore’
all’interno di una situazione di scarsità attraverso una gestione prettamente logistica dell’intervento. Questo è un ‘modello’ all’interno del
quale rimane centrale la coppia “sviluppo-aiuto”, secondo una logica
solidaristica-umanitaria-assistenzialista sintetizzabile con il proverbio
africano secondo cui, nonostante tutto, “la mano che riceve sta sempre sotto a quella che dà”.
Al contrario, l’orientamento definibile di cooperazione allo sviluppo
rappresenta un percorso più ‘maturo’, strutturato, profondo, identificabile con quelle generazioni che Korten indica come evoluzione,
negli approcci e nei metodi, della prima generazione.
Questo panorama trova una conferma anche nell’analisi qualitativa,
dove emerge chiaramente l’intenzione di collocarsi nell’ambito più ‘informale’ della solidarietà internazionale, piuttosto che in quello struttu-
132
rato della cooperazione, percepito più come un sistema complesso,
chiuso, burocratico e inefficiente. Una percezione dovuta in molti casi
da esperienze pregresse decisamente negative, seppur altrettanto
parziali e che spinge verso un orientamento che però, per molti casi,
è foriero di un approccio ancora paternalistico. Come afferma un partecipante ad uno dei focus group:
Ciò che spinge l’azione, è cercare di appianare le grosse differenze tra la nostra situazione e la loro situazione
Ciò evidenzia sia la propensione ad un modus operandi genuino e
semplice, sia atteggiamenti assistenzialistici.
C.
Cooperazione decentrata: tra mito e realtà
Il terzo orizzonte verso il quale sono state dirette le attività di ricerca
è stato quello relativo alla possibilità di comprendere come agiscono
le Odv all’interno del sistema regionale della cooperazione. Il tipo di
cooperazione che caratterizza ciò che viene definito il modello toscano è quel particolare approccio decentrato che prevede proprio il
coinvolgimento degli enti locali oltre che di tutti gli attori del territorio.
Non esiste un consenso generale su una definizione di cooperazione
decentrata; esiste, semmai, un’ampia serie di definizioni che mutano
a seconda dei paesi di intervento e a seconda dei paesi europei promotori di cooperazione.
La Commissione europea definisce la cooperazione decentrata
come “un nuovo metodo di cooperazione allo sviluppo, che pone gli
operatori al centro dell’attuazione, perseguendo il duplice obiettivo
di adeguare le azioni alle esigenze e di garantirne la fattibilità”. L’articolo 3 del Regolamento CE n. 955/2002 che proroga e modifica il
precedente Regolamento del 1998, individua come operatori della
cooperazione decentrata: “autorità locali, Ong, organizzazioni di popolazioni autoctone, gruppi professionali e di iniziativa locale, cooperative, sindacati, organizzazione di donne o di giovani, istituti di
insegnamento, di cultura e di ricerca, chiese e qualsiasi associazione
non governativa in grado di contribuire allo sviluppo”.
Questa nuova modalità è caratterizzata da alcuni elementi chiave
come il coinvolgimento attivo di gruppi di operatori, la ricerca del
133
coordinamento e della complementarietà degli operatori, la gestione
decentrata dei programmi, la priorità data a processi di sviluppo locale, il riferimento al capacity building e al rafforzamento delle istituzioni
in termini di priorità da perseguire.
Recependo la definizione del Regolamento della Commissione, la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo italiana (Dgcs)
nel documento del 2000 “Linee di indirizzo e modalità attuative” intende la cooperazione decentrata come “l’azione di cooperazione allo
sviluppo svolta dalle autonomie locali italiane, singolarmente o in consorzio tra loro, anche con il concorso delle espressioni della società
civile organizzata del territorio di relativa competenza amministrativa,
attuata in rapporto di partenariato prioritariamente con omologhe istituzioni dei paesi in via di sviluppo, favorendo la partecipazione attiva
delle diverse componenti rappresentative della società civile dei paesi partner nel processo decisionale finalizzato allo sviluppo del loro
territorio”.
Nella definizione aggiornata del 2010, la Direzione generale per cooperazione decentrata intende “l’azione di cooperazione realizzata
dalle regioni e dagli enti locali nell’ambito delle relazioni di partenariato territoriale con istituzioni locali (per quanto possibile omologhe)
dei paesi con i quali si coopera. Tali azioni sono finalizzate a stabilire
e consolidare lo sviluppo reciproco equo e sostenibile. Per la loro realizzazione ci si avvale della partecipazione attiva degli attori pubblici
e privati nei rispettivi territori” (Dgcs 2010).
La Regione Toscana ha cercato di sviluppare l’idea che contraddistingue la cooperazione decentrata ovvero quella di rendere partecipi dei progetti soggetti di natura diversa, ideando e promuovendo la
nascita di un “sistema toscano” della cooperazione. Per fare questo
ha ritenuto una sua priorità strategica favorire e promuovere la collaborazione di tutti i soggetti toscani che si occupano di cooperazione
allo sviluppo, iniziando a collaborare con gli enti locali per realizzare un vero e proprio modello di cooperazione decentrata che si caratterizza per la capacità di mettere in rete, coordinare e agevolare
rapporti di collaborazione tra gli operatori più diversi presenti sia sul
proprio territorio sia nelle realtà dei paesi in via di sviluppo.
134
La cooperazione decentrata prevede la partecipazione diretta degli
individui, sia dei paesi donatori sia dei paesi beneficiati, e riconosce
l’esistenza di una molteplicità di soggetti dello sviluppo. In questo
modo si discosta notevolmente dalla logica dei macro-interventi ideati nei centri decisionali occidentali ed esportati, spesso in modo acritico, nei paesi in via di sviluppo.
Il “modello integrato” che caratterizza la Toscana prevede un potere
di indirizzo della Regione maggiore, sia perché vincola una quota
importante di risorse verso iniziative di interesse regionale, sia perché stabilisce priorità geografiche e/o tematiche a cui i soggetti del
territorio devono attenersi. In questo sistema la Regione, in stretta collaborazione con i diversi enti del territorio, ha un compito sostanziale
di orientamento e coordinamento e sostiene il ruolo degli enti locali
come attori politici in grado di realizzare il coordinamento a livello locale del sistema regionale.
Gli stessi documenti di programmazione fanno esplicito riferimento
all’esigenza di creare un sistema di attori funzionalmente coinvolto
nella cooperazione decentrata e di valorizzare le ‘eccellenze’ del territorio. Allo stesso modo la Regione Toscana pone tra i suoi obiettivi la
creazione di un sistema regionale per la cooperazione decentrata nel
quale la Regione stessa ha un compito sostanziale di orientamento e
coordinamento in stretta collaborazione con i diversi enti del territorio.
In tutti questi casi sussiste un interesse a coinvolgere i propri servizi
ed enti funzionali, e a perseguire un mix di finalità tra cooperazione
allo sviluppo e cooperazione più propriamente economica. In sintesi,
gli elementi che caratterizzano il modello integrato sono: una definizione ‘stretta’ delle priorità geografiche e tematiche; l’importanza delle iniziative regionali; l’interesse a creare un ‘sistema’ regionale per la
cooperazione; la rilevanza dei criteri di selezione di progetti/attori; un
potere di intervento-coordinamento della regione in crescita.
Questi elementi dovrebbero rappresentare i pilastri sui quali tutti i
soggetti del territorio dovrebbero edificare un sistema integrato di cooperazione.
Dalla ricerca emerge che il ‘sistema’, così come disegnato e auspicato, stenta a decollare. Molti dei soggetti che teoricamente dovrebbero
135
farne parte, per condizioni, caratteristiche o per scelta, rimangono
esclusi. Se da un lato, esperienze negative pregresse, disillusione,
mancata capacità di ascolto e dialogo reciproco hanno fatto si che
molte delle Odv abbiano provato ad ‘affacciarsi’ alla porta del ‘sistema’, dall’altro la presenza di ‘vincoli’ strutturali delle Odv (nelle varie
dimensioni prese in esame) o l’informalità di molte realtà, non permette di intraprendere con successo e continuità una relazione e quindi
svolgere una funzione dotata di senso per rafforzare il sistema. Così
come in molti casi si preferisce in modo autonomo restarne fuori evitando in tal senso situazioni complesse, problematiche e difficili da
gestire, con l’interesse consapevole di essere e rimanere un’esperienza locale (molto significativa per coloro che vi appartengono e vi
partecipano) senza avere mire ‘espansionistiche’.
Ragioni per cui la Regione viene percepita come un ente molto distante dalla realtà e dalla quotidianità delle Odv, nonostante venga
contemporaneamente riconosciuta come l’ente che più di altri ricopre
un ruolo significativo nel campo della cooperazione.
Così la maggioranza delle Odv vive il proprio territorio, le proprie esperienze, i propri progetti, la propria presenza all’interno di un virtuale
sistema in maniera avulsa e incondizionata, dove la presenza o meno
degli altri risulta essere un elemento trasversale. Da questo punto
di vista è legittimo chiedersi quali sono le specificità delle Odv che
operano in campo internazionale, inserite teoricamente in un sistema
strutturato, rispetto a quelle che lavorano in altri ambiti di intervento.
Ciò che sembra mancare alle nostre Odv è la consapevolezza di far
parte di un sistema, considerato più come una zona di ‘riserva’ per le
grandi Odv e Ong, che come un’opportunità per tutto il territorio.
La conseguenza è che si tende a percepire l’ente regionale come
una qualsiasi fonte di finanziamento e non come un soggetto che può
rappresentare il valore aggiunto per sviluppare ambiti, condividere
informazioni e promuovere una crescita omogenea e armonizzata.
Questa tendenza produce un fossato tra le Odv, di tipo politico, valoriale e anche nei comportamenti. Gli stessi tre modelli precedentemente individuati, possono risultare utili per spiegare come anche
l’orientamento verso il sistema della cooperazione decentrata sia così
136
differenziato; dove la differenza è data non solo dall’esperienza e dalla maturità, ma anche da una volontà politica delle Odv, che però
troppo spesso viene meno per la struttura stessa delle organizzazioni
che, nella migliore delle ipotesi, riescono solo ad affacciarsi alla finestra del sistema.
Certo è che anche la stessa Regione Toscana, e in questo il Cesvot
potrebbe svolgere un ruolo determinante, dovrebbe promuovere strumenti operativi orientati a favorire realmente la partecipazione e la
condivisione con tutte le Odv, facilitandone e incentivandone l’accesso con dispositivi alla portata di tutti, ma soprattutto attraverso un
sistema efficace di orientamento e monitoraggio per rimuovere quegli
ostacoli che si frappongono tra le Odv e le altre istituzioni territoriali.
La situazione appena descritta crea evidenti difficoltà anche nel relazionarsi con gli altri enti locali; questi rapporti, che dove esistono,
sono limitati nel tempo e comunque circoscritti a specifici casi e collocati nelle fasi iniziali delle attività dell’associazione. Emerge quindi
un dialogo istituzionale che stenta a decollare, soprattutto in quelle realtà associative più piccole e che comunque, è principalmente
orientato ad ottenere risorse economiche necessarie per l’attivazione
di progettualità. La visione di un rapporto di partenariato con gli enti
locali che vada oltre il mero finanziamento è ancora lontana dall’essere interiorizzata: è la ricerca del finanziamento che spinge tali Odv a
cercare dei contatti, anche se il rapporto, più che istituzionale, viene
inizialmente instaurato grazie a relazioni e conoscenze dirette.
Solo nelle realtà più organizzate e strutturate l’approccio ‘sistemico’ è
maggiormente ricercato, cercando di inserirsi in una logica più ampia
di condivisione. Naturalmente la tipologia e l’intensità del rapporto
e del dialogo con le istituzioni è strettamente legata e direttamente
proporzionale alle capacità, alle competenze, alla disponibilità e alle
potenzialità delle singole Odv: più queste sono ‘mature’, più le possibilità di allacciare collaborazioni e partenariati duraturi sono ampie.
Nonostante dall’analisi qualitativa emerga un forte desiderio di fare
rete e realizzare sinergie (anche se i collegamenti avvengono soprattutto in base alle affinità tra persone e organizzazioni), come sostiene Salvini (Salvini, Corchia 2012: 131) (e i dati della ricerca lo confermano), c’è una particolare ‘radicalità’ che accomuna molte Odv
137
di questo settore; una tensione etico-politica che si sviluppa poi in
attività anch’esse relativamente esclusive che, mentre costituiscono
una innegabile ricchezza per lo sviluppo del volontariato, rendono
abbastanza impraticabile l’attivazione di collaborazioni esterne sia in
termini formali-convenzionali, sia soprattutto in termini di “lavoro di
rete”. Di conseguenza, ciò che si manifesta è l’attivazione di rapporti
diadici (con il Cesvot, con i comuni, ecc…) per singole iniziative, ma
al di fuori, da qualsiasi logica reticolare.
Ciò che emerge soprattutto dall’analisi qualitativa (ma che le risposte
al questionario confermano) è la necessità di conservare e difendere la propria autonomia associativa, tutelare la propria ‘creatura’ da
eventuali ‘contaminazioni’ esterne. Sempre a partire da esperienze
negative, vengono evidenziati i rischi e le problematiche di condividere con altri idee, progetti, attività. A tale proposito è però necessaria una precisazione, anche se abbastanza evidente.
Questa radicalità è tipica di quelle Odv che operano nello stesso ambito della solidarietà internazionale. Questo non tanto per una logica
concorrenziale, quanto per una individualistica visione del ruolo giocato dalla propria associazione in base a un forte senso di appartenenza nei confronti delle proprie attività e dei propri progetti. Emblematiche a tale proposito le parole di uno dei partecipanti ad un focus
group:
ognuno ha la propria vocazione. Non si condivide perché non ti
appassioni ai progetti di altri. Perché ogni associazione ha modi
di operare condivisi e consolidati, obiettivi e interessi comuni.
È più facile infatti stabilire sinergie con altre Odv di differenti settori, con le quali vengono attivati percorsi collaborativi, iniziative occasionali per autofinanziamenti, sensibilizzazione, visibilità. Più che
per “spirito di reticolarità” il rapporto è di mutuo-aiuto, in parte per
ottimizzare l’uso di risorse organizzative, in parte funzionale all’esigenza di accedere a canali nuovi per reperire risorse economiche
non altrimenti recuperabili. Ed è così che
I nostri rapporti, la nostra cooperazione è più sul territorio che
non sui progetti particolari. Sempre coltivando i rapporti con le
persone.
138
Crei eventi, crei una cena, una corsa, per venire fuori con un
aiuto economico. Un progetto comune è però una realtà sconosciuta.
A giustificazione parziale di tale particolare approccio al lavoro di
rete, viene offerta e condivisa la versione della dimensione dell’associazione. Realtà troppo piccole, ma impegnate a tal punto da non poter dedicare forze e risorse ad attività di rete. Come viene sottolineato
Il problema di fondo è che è faticoso continuare, riprogettare,
mantenere la sopravvivenza. Lo sforzo per mantenere attivi i
progetti sono talmente alti che non ci sono risorse da dedicare
ad altro.
Questa situazione evidenzia la presenza di più itinerari, diversi modi
di muoversi all’interno di un grande sistema, dove ciascuno trova il
percorso che più si confà alle proprie caratteristiche, esigenze e visioni del mondo. Da questo punto di vista, non si intravede un particolare “polo di attrazione” anche solo dal punto di vista percettivo,
ma una costellazione di soggetti più o meno riconosciuti, frutto di
una percezione parziale e limitata del proprio ambito di intervento. Si
tratta di un universo associativo che più che essere proiettato verso
l’esterno è ‘ripiegato’ sul proprio vissuto, in conseguenza di una visione molto localistica.
D.
Quale ruolo per il Cesvot?
La ricerca ha più volte evidenziato che le organizzazioni che operano
nell’ambito del volontariato internazionale sul territorio della Toscana
sono estremamente eterogenee. La diversità è considerata una preziosa risorsa da preservare e da trasformare in “bene comune”, ma è
anche fonte di difficoltà a causa delle diverse rappresentazioni e modalità di azione che si incontrano e scontrano. A seguito quindi della
visione di un settore che, seppur denso di soggetti, energie, attività
e valori, è caratterizzato anche da una serie di elementi e dinamiche
che potrebbero inficiare nel lungo periodo la crescita sana e armoniosa di un settore, si rende necessario cercare di recuperare quello che
potrebbe essere il ruolo del Cesvot.
In tal senso, i dati emersi nel corso della ricerca restituiscono una
139
situazione di luci e ombre. Poche Odv esprimono un rapporto diretto
con il Cesvot e là dove si registra non è basato su legami totalmente
stabili, anche se poco più della metà delle Odv considera il Cesvot
molto vicino alla propria esperienza quotidiana. Questo scostamento
tra la percezione e i comportamenti, tra ciò che le Odv ‘avvertono’ (in
senso emotivo) e ciò che poi le stesse mettono in pratica, evidenzia
la presenza di criticità a livello operativo-metodologico. Queste criticità vengono successivamente riprese e sottolineate dalle Odv nel
momento in cui espongono quelle che sono le proprie aspettative nei
confronti del Cesvot.
In primo luogo, la quasi totalità delle Odv (il 94%) ritiene che il Cesvot
debba impegnarsi maggiormente per la messa in opera di attività che
facilitino la circolazione e la condivisione delle informazioni (quasi il
70% del totale ritiene infatti scarsa la divulgazione e la condivisione
delle attività svolte da altre Odv).
Un ulteriore punto che raccoglie quasi l’unanimità dei consensi (per
il 93% delle Odv) è quello che vede il Cesvot come ‘locomotiva’ per
la crescita del settore, sostenendo attività di reperimento risorse e
accesso ai bandi oltre che attività di supporto alla progettazione (per
il 73%). Il Cesvot dovrebbe anche facilitare la partecipazione a logiche e dinamiche di rete con altre Odv. Come viene specificato infatti
durate uno dei focus group,
Io penso che quello che mi sento di chiedere un po’ al Cesvot,
è quello veramente di avvicinare i territori, ascoltando le particolarità che questi portano, per cui davvero quello che dicevo prima, le aziende che lavorano nei paesi, le associazioni, le
organizzazioni di volontariato, che lavorano nei paesi, hanno
matrici comuni, cioè magari un’associazione del Valdarno che
lavora con il Burkina potrebbe lavorare anche con la Coop o con
le altre cooperative che vanno a fare i fagiolini e vedere come un
approccio integrato territoriale di matrice comunque toscana va
a intersecarsi con un altro territorio che ha al suo interno delle
cose […]. Promuoviamo la nostra specificità territoriale.
Questo ultimo aspetto però si scontra, in molti casi, con quello che
è il comportamento delle Odv, manifestando in tal senso una certa
contraddizione, quella cioè che vede le Odv ‘investire’ il Cesvot di un
obiettivo verso il quale le Odv stesse (come dimostrano i dati analiz-
140
zati nel corso della ricerca) molto spesso si dimostrano poco inclini.
Anche la formazione è un ambito che le Odv auspicherebbero che il
Cesvot potenziasse, con modalità però più compatibili (in termini di
logistica e organizzazione) e coerenti (nei contenuti) alle esigenze del
settore internazionale:
Probabilmente l’esigenza c’è e penso che sia condivisa soprattutto per quelle realtà associative che non sono strutturate come
delle mega associazioni che possono avere tre persone che si
occupano della comunicazione dei propri progetti. L’esigenza
che io vorrei far emergere e che rilevo è quello anche di una formazione che può essere anche una formazione di base sulla comunicazione, visto che molto spesso anche nelle associazioni
dove magari il volontario segue la rendicontazione del progetto
o piuttosto che il sito, la presentazione al finanziatore, quindi fa
attività anche molto diversificate è normale che non può avere
competenze a trecentosessanta gradi.
Non sempre però la formazione è la soluzione ideale per soddisfare
i bisogni; in alcuni casi tende a sovraccaricare le persone di compiti altamente specializzati, sottraendo energie alle attività centrali del
volontariato e delle organizzazioni. Al contrario dal Cesvot ci si attenderebbe la messa a disposizione di un servizio in grado di dare
sostegno nella fase di progettazione:
[…] a noi ci potrebbe interessare, più che la formazione, invece
un’agenzia di servizi, perché, che ne so, noi abbiamo tutti una
grande capacità relazionale, anche di visionarietà rispetto agli
interventi che facciamo, anche la capacità nella gestione, però
non abbiamo né la struttura, né tantomeno l’energia per mettersi
a lavorare sulla stesura di un progetto europeo, nell’ottica poi
del gestirlo, con tutte le cose che ti richiede un progetto europeo. A parte che non abbiamo neanche l’idoneità per chiedere
finanziamenti all’Europa o al Ministero degli Affari Esteri […].
Ciò che le Odv si prefigurano è quindi un Cesvot che assuma le funzioni di un vero e proprio centro servizi per il volontariato internazionale, in grado di supportarle (in molti casi sostituendole) nella gestione
burocratica delle attività, con lo scopo di ‘liberare’ energie utili da
dirottare su attività ritenute più ‘vicine’ alla propria esperienza e alle
proprie capacità.
141
Magari sarebbe importante, nel momento in cui, per uno specifico bisogno, bisogno chiamiamolo tecnico per fare il bando ecc,
poter avere, diciamo così, pagare questo servizio, però che non
sia un costo tutto l’anno, capisci, perché, per esempio, penso a
noi che avremmo bisogno di fare un progetto e quindi potremmo, di progetto, avere un tecnico che ce lo presenta e quindi
esserci una specie, come dicevo prima, di cooperativa di servizi
[…].
[…] abbiamo provato a partecipare, per quello che riguarda la
cooperazione internazionale, al bando dei microprogetti della
Regione Toscana, e non siamo stati ritenuti ammissibili, però abbiamo fatto una chiacchierata, devo dire che in Regione sono
stati molto... in questo, molto...lo riconosco... carini, ci hanno
spiegato quali erano i punti di debolezza, e come migliorare per
l’anno prossimo, e secondo me questa cosa qui è importante,
premere sul fatto che ti diano delle motivazioni, e sul perché un
progetto non è stato approvato.
Tali affermazioni suggeriscono altri servizi che potrebbero rispondere
alla necessità di supportare le Odv ben oltre la fase di individuazione
del bando e stesura del progetto. Una sorta di manager project management, che supporti l’organizzazione in tutte le fasi del progetto:
dal fornire le credenziali e partnership per accedere a fonti di finanziamento normalmente inaccessibili per la maggior parte delle Odv,
all’affiancamento nella gestione del progetto, alla rendicontazione e
alla comunicazione.
142
Graf. 30 Aspettative delle Odv verso il Cesvot
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Alla luce di quelle che sono le caratteristiche rilevate e delle problematiche individuate, la funzione del Cesvot dovrebbe essere quella
di promuovere periodicamente incontri di scambio di esperienze e
condivisione di informazioni, favorendo la conoscenza approfondita
del territorio e di tutti gli attori che agiscono nell’ambito internazionale,
contribuendo così a formare la consapevolezza di ‘esistere’ e lavorare all’interno di un sistema che, seppur complesso e ancora in fieri,
dovrebbe rappresentare l’obiettivo principale, trasformando la frammentazione da elemento critico in valore aggiunto per tutto il territorio
e per le stesse Odv.
Il Cesvot potrebbe quindi elaborare strategie per inquadrare le Odv in
una prospettiva di comunicazione e rappresentazione reciproca e favorire un “incontro tra differenze”. È importante valorizzare il capitale
umano e sociale presente e il valore della cooperazione intesa come
condivisione attraverso l’ascolto e la considerazione delle differenze.
Da qui la necessità di promuovere occasioni e momenti di incontro
143
che favoriscano lo scambio di reciproci interessi.
Oltre a ciò, risulta essere necessario ottimizzare le risorse curando la
ricaduta sul territorio regionale, valorizzare le competenze delle Odv,
riconoscere le potenzialità del loro contributo nel rispetto delle specificità di ciascun attore, integrare le piccole organizzazioni nelle
attività delle grandi Ong, prevedere e promuovere percorsi di supporto tecnico-logistico nella stesura dei progetti e nella comunicazione
per liberare energie da dedicare alla mission, in un’ottica non certo
di “assistenzialismo progettuale” ma di trasferimento di conoscenze,
basandosi sull’ascolto e l’attenzione alle diversificate esigenze delle organizzazioni toscane. Le possibilità di crescita e di espansione
della solidarietà internazionale e della cooperazione dipendono anche da altri fattori, non ultimo quello relativo ad una semplificazione
normativa, organizzativa e procedurale, nonché alle disponibilità finanziarie. Tali riflessioni, riportate all’interno di un sistema di cooperazione decentrata, evocano l’importanza centrale di due criteri fondamentali già emersi anche in ricerche analoghe e che si possono
sovrapporre alle nostre considerazioni: sussidiarietà e partenariato.
Se il concetto di sussidiarietà presuppone il rafforzamento di un percorso di sviluppo partecipato basato sull’integrazione di priorità, risorse, programmazione e competenze da parte di tutti i soggetti del
territorio (pubblici e privati) che sottolineano il ruolo strategico delle
realtà locali affidando poi il compito di coordinare alle istituzioni locali, il partenariato riguarda la capacità degli enti locali di riconoscere
quelle esperienze in grado di produrre competenze rilevanti al fine di
contribuire a realizzare un approccio progettuale integrato all’interno
di un determinato contesto.
Tutto ciò risulta essere concretizzabile solo all’interno di un processo
di promozione di una cultura di sistema, come strategia in grado di
incidere positivamente sull’efficacia delle azioni di tutti gli attori coinvolti, a partire dalla condivisione di metodologie partecipative che privilegino modalità di promozione e diffusione di partenariati territoriali
e tematici, ritrovando un dialogo e una relazione basati su elementi
concreti, su risposte precise a determinate e altrettanto precise richieste di crescita.
145
Appendice
1.
Materiali utilizzati per l’animazione dei focus group
Scheda 1 - Cooperazione/solidarietà: Il bicchiere mezzo pieno e... tutto vuoto
Figura 6
Fonte immagine:
Disegno in concorso a Uau 2004 - Sorridere a scuola, promosso dal Comune di Trento e dallo Studio
Andromeda. http://www.vitatrentina.it/media/cumulus/acqua_nordsud_cooperazione_internazionale_sviluppo_sostenibile_ambiente_umorismo_vignetta_-_u
Scheda 2 – Il ruolo delle Odv e delle organizzazioni della società civile nel sistema della cooperazione allo sviluppo
1) Iacopo Viciani, ActionAid - Coordinatore Taskforce società civile sull’efficacia
dell’aiuto:
Con le risorse per gli aiuti pubblici italiani allo sviluppo de-facto cancellate negli
ultimi quattro anni, ma con un’attività di fundraising dal privato in grado di raccogliere oltre 500 milioni di euro nel 2010, le organizzazioni della società civile
italiana impegnate nella cooperazione e solidarietà internazionale sono ormai i
rappresentanti e gli “azionisti esclusivi” dello sforzo di cooperazione e solidarietà internazionale dell’Italia. A questo onore corrisponde l’onere non solo di
dimostrare l’efficienza della propria azione e di essere in grado di contribuire
146
significativamente ad un cambiamento positivo, ma anche di coinvolgere i cittadini del Nord e Sud del mondo nella definizione delle loro strategie e del loro
modo di operare, dimostrando che i valori distintivi del mondo non governativo
si concretizzano in maniere di lavorare differenti che producono risultati efficaci.
Fonte: Viciani I., Il futuro del lavoro sulla qualità delle Ong, in Bazzano A., Landoni P., Cooperazione non
governativa ed efficacia: principi, pratiche e condizioni abilitanti, Milano, Poliscript 2011, pp. 74-77.
2) Sergio Marelli, Segretario generale Focsvi:
Il modello perseguito, sostenuto e premiato dalle istituzioni pubbliche del nostro
paese è quello delle organizzazioni di grandi dimensioni e notevole strutturazione che però originano da contesti sociali ed economici diversi dal nostro,
per esempio quelli tipicamente anglosassoni. In pratica non c’è nessuna forma
di valorizzazione, incentivazione e incoraggiamento per gli sforzi e le iniziative
protese a “mettere in rete” le tante piccole realtà territoriali, mentre si tendono
a privilegiare le grandi Ong. (...) Il risultato così ottenuto è lo sradicamento dai
territori, il centralismo decisionale e il mercenarismo professionale, scotto oggi
pagato dalla cooperazione non governativa italiana. (...) La cooperazione internazionale non può essere ridotta a professionismi efficientisti. Essa ha la sua
essenza più profonda nel coinvolgimento delle persone e nell’instaurazione di
relazioni di prossimità tra persone, comunità, popoli.
Fonte: Marelli S., Ong: una storia da raccontare. Dal volontariato alle multinazionali della solidarietà, Roma, Carocci 2011, pp-66-67.
Scheda 3 - Ong ed enti locali: un equilibrio delicato
Il caso che di seguito esposto è ispirato a fatti reali.
A. è un cooperante in missione in Senegal da diversi anni: vive per quasi tutto l’anno
nel paese africano, occupandosi anche di progetti in Casamance, una regione caratterizzata da tensioni politiche, a causa del conflitto che ha opposto per anni un movimento separatista al potere centrale di Dakar.
L’Ong per cui lavora A. diventa partner di un progetto di cooperazione decentrata, con capofila un’amministrazione provinciale.
Il progetto prevede, tra l’altro, la costruzione di un presidio sanitario in Casamance.
L’Ong, nella persona di A., forte della conoscenza del territorio e delle sue dinamiche politiche, propone al capofila istituzionale di costruire il presidio in un’area della
regione considerata strategica per i bisogni di cura e assistenza sanitaria della popolazione locale.
L’amministrazione provinciale capofila del progetto intende invece dare priorità alle indicazioni, differenti, pervenute dal governo centrale di Dakar. L’amministrazione provinciale spiega alla Ong che è inammissibile per un capofila istituzionale scavalcare il governo centrale beneficiario del progetto di
cooperazione decentrata.
La distanza fra le posizioni dell’Ong attenta ad accogliere le istanze di un territorio in conflitto con il potere centrale, e le posizioni dell’amministrazione capofila,
attenta a non ledere la sovranità di uno stato riconosciuto internazionalmente
come democratico, non potrebbe essere maggiore...
147
Scheda 4 - Discussione sulle problematiche di settore, le aspettative e le prospettive per il futuro
Figura 7
Fonte: http://vauro.globalist.it/Detail_News_Display?ID=7358&typeb=0
Ai poveri del Sud del Mondo è utile tutto.[...] L’importante è che ognuno sappia
orientarsi a una coerente valutazione di efficacia, traendone le debite conseguenze per gli obiettivi da assumere e le azioni da intraprendere, sempre alla
luce della responsabilità che si dovrebbe assumere lavorando in un settore,
quello della solidarietà internazionale, nel quale sono alti i rischi connaturati con
il senso di superiorità e la facile, illusoria presunzione di conoscere e poter praticare la soluzione appropriata, di solito considerandola la migliore di tutte.
Fonte: Marelli S., Ong: una storia da raccontare. Dal volontariato alle multinazionali della solidarietà, Roma, Carocci 2011, pp. 170-171.
148
2.
Il questionario
1. INFORMAZIONI DI BASE
1. L’attività di solidarietà internazionale svolta dall’associazione è?
1 Attività PREVALENTE
2 Attività SECONDARIA
2. Se l’attività di solidarietà internazionale svolta dall’associazione è SECONDARIA, quale è l’attività Primaria svolta dall’associazione?
1 Sociale
2 Culturale
3 Ambientale
4 Tutela e promozione diritti umani
5 Sanitario
6 Socio-sanitario
7 Protezione civile
3. L’associazione è l’emanazione territoriale di una organizzazione nazionale/
internazionale?
1 Si
2 No
4. Da quanto tempo l’associazione svolge attività di solidarietà internazionale?
1 Da meno di 3 anni
2 Tra 4 e 10 anni
3 Da più di 10 anni
5. In quale dei seguenti ambiti l’associazione realizza i progetti/le attività di
solidarietà internazionale?
1 Area sociale
Si
No
2 Salute/alimentazione
Si
No
3 Educazione
Si
No
4 Cultura
Si
No
5 Ambiente
Si
No
6 Emergenza
Si
No
7 Artigianato e industria
Si
No
8 Commercio e credito
Si
No
9 Infrastrutture
Si
No
149
10 Istituzioni e governance
11 Agricoltura
Si
No
Si
No
Altro specificare: ______________________________________
6. In quanti paesi (escluso l’Italia) la sua associazione realizza attività di solidarietà internazionale?
1 Solo un paese
2 Da 2 a 4 paesi
3 5 o più paesi
7.
In quali aree geografiche è presente l’associazione con le attività di solidarietà internazionale?
1 America Latina
Si
No
2 Mediterraneo e Medio Oriente Si
No
3 Africa
Si
No
4 Asia
Si
No
5 Europa Sud-orientale
Si
No
6 Europa Centro-orientale
Si
No
7 Italia
Si
No
8. Per ogni area geografica indicata, potrebbe scrivere i singoli paesi all’interno dei quali l’associazione opera?
_______________________________________________________
_______________________________________________________
_______________________________________________________
_______________________________________________________
_______________________________________________________
9. Quanti progetti di solidarietà internazionale l’Associazione ha realizzato negli ultimi 3 anni?
1 Me no di 3
2 Da 3 a 5
3 Da 6 a 10
4 Oltre 10
10.
Verso quale categoria di beneficiari sono rivolte le attività di solidarietà
internazionale dell’associazione?
1 Infanzia
Si
No
2 Minoranze
Si
No
3 Donne
Si
No
4 Profughi
Si
No
150
5
6
7
Migranti
Popolazione rurale
Disabili
Si
Si
Si
No
No
No
Altro specificare: ______________________________________________
11.
Di quanti SOCI è composta attualmente l’associazione?
1 Da 1 a 10
2 Da 11 a 30
3 Oltre i 30
12.
Quanti VOLONTARI ATTIVI operano con CONTINUITA’ nell’ambito delle
attività di solidarietà internazionale?
1 Da 1 a 10
2 Da 11 a 30
3 Oltre i 30
13.
Potrebbe indicare l’ammontare economico medio dei progetti/attività negli ultimi 3 anni?
1 Meno di 5.000 euro
2 Tra i 5.000 e i 15.000 euro
3 Tra i 15 e i 30.000 euro
4 Oltre 30.000 euro
14.
Potrebbe indicare il volume economico registrato dall’associazione nel
corso del 2011 per le attività di solidarietà internazionale?
1 0
2 Meno di 10.000
3 Tra i 10.000 e i 50.000 euro
4 Tra i 50.000 e 100.000 euro
5 Oltre 100.000 euro
15.
Potrebbe indicare la durata media dei progetti/attività di solidarietà internazionale?
1 Meno di 1 anno
2 1 anno
3 Da 2 a 4 anni
4 5 o più anni
16.
L’associazione ha avuto in passato, o ha attualmente personale a contratto per la gestione delle attività di solidarietà internazionale?
151
1
2
17.
Si
No
Se si, in che ambito/i?
1 Amministrazione
2 Segreteria
3 Progettazione
4 Coordinamento progetto
5 Area Tecnica
6 Valutazione
Si
Si
Si
Si
No
Si
No
Si
No
No
No
No
2. ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO
18.
La scelta di sviluppare progetti di solidarietà e cooperazione internazionale all’interno dell’associazione, nasce:
Spesso
Qualche volta
Mai
Per iniziativa di alcuni membri
dell’associazione
1
2
3
Su richiesta di altre associazioni/Ong
del territorio
1
2
3
Su richiesta di Enti locali
1
2
3
Su richiesta di associazioni partner
1
2
3
In seguito a situazioni di emergenza
1
2
3
Su segnalazione di realtà missionarie
religiose
1
2
3
Su segnalazione di comunità di immigrati presenti nel territorio
1
2
3
19.
Attraverso quali strumenti/azioni l’associazione entra in contatto con i
beneficiari dei progetti di solidarietà internazionale?
Spesso
Qualche volta
Mai
Contatti personali e conoscenze dirette di soci/membri
1
2
3
Relazioni istituzionali
1
2
3
152
Relazioni con altre associazioni del
territorio
1
2
3
Viaggi di soci o membri
dell’associazione
1
2
3
Contatti con realtà missionarie
religiose
1
2
3
Contatti con comunità di immigrati
presenti nel territorio
1
2
3
20.
Quale/i ruolo/i svolgono i BENEFICIARI nelle attività di solidarietà internazionale svolte dall’associazione?
Spesso
Qualche volta
Mai
Co-autori del progetto
1
2
3
Esecutori delle attività del progetto
1
2
3
Beneficiari esclusivi delle attività
1
2
3
Attività di valutazione
1
2
3
21.
Quale/i ruolo/i svolge il/i PARTNER/S nelle attività di solidarietà internazionale svolte dall’associazione?
Spesso
Qualche volta
Mai
Co-autori del progetto
1
2
3
Co-Coordinatori delle attività in loco
del progetto
1
2
3
Co-finanziatori
1
2
3
Attività di valutazione
1
2
3
22.
Con quale frequenza l’associazione organizza incontri INTERNI per la
programmazione delle attività di solidarietà internazionale?
1 Almeno una volta alla settimana
2 Almeno una volta al mese
3 All’inizio di ogni anno
4 Solo in particolari circostanze
5 Saltuariamente
6 Mai
153
23.
Nella gestione delle attività di solidarietà internazionale l’associazione si
avvale di specifiche professionalità?
1 Si
2 No
3 Qualche volta
24.
Se “si” o “qualche volta”, in che modo?
1 Sono professionisti esterni che già collaborano con l’associazione a titolo
gratuito
Si
No
2 Sono profess. che vengono coinvolti come consulenti esterni/liberi professionisti retribuiti
Si
No
3 Sono professionisti che collaborano con altre associazioni che conosciamo
Si
No
4 Sono professionalità interne all’associazione
Si
No
25.
Se “si” o “qualche volta”, in quale ambito/i?
Prevalentemente
Saltuariamente
Mai
Progettazione
1
2
3
Coordinamento
1
2
3
Realizzazione attività
1
2
3
Comunicazione
1
2
3
Ricerca fondi
1
2
3
Formazione
1
2
3
Valutazione
1
2
3
26.
Le attività di solidarietà e cooperazione internazionale sono caratterizzate da:
Per niente
Poco
Abbastanza
Molto
Aiuti umanitari (invio di aiuti gratuiti,
donazioni con carattere di solidarietà
rivolte a singole persone o comunità)
1
2
3
4
Formazione (trasferimento di
conoscenze)
1
2
3
4
154
Realizzazioni / forniture (costruzioni,
installazioni impianti, case di abitazione, ospedali, scuole, canali / pozzi,
macchine, sementi, materiali)
1
2
3
4
Sensibilizzazione, informazione e
promozione
1
2
3
4
Scambio di volontari
1
2
3
4
Assistenza tecnica
1
2
3
4
Analisi, progettazione, valutazione
1
2
3
4
Ricerca e sperimentazione
1
2
3
4
Adozione a distanza
1
2
3
4
Commercio equo e solidale
1
2
3
4
27.
Le attività esecutive inerenti i progetti di solidarietà e cooperazione internazionale, sono condotte:
Prevalentemente
Saltuariamente
Mai
Autonomamente dall’associazione
1
2
3
In collaborazione con altre associazioni che operano nello stesso settore
1
2
3
In collaborazione con altre associazioni che operano in ambiti differenti
1
2
3
In collaborazione con associazioni
partner locali
1
2
3
In collaborazione con enti locali
1
2
3
In collaborazione con realtà missionarie in loco
1
2
3
28.
Che tipo di investimenti interni fa l’associazione nell’ambito della solidarietà e delle cooperazione internazionale?
Per niente
Poco
Abbastanza
Molto
Formazione volontari
1
2
3
4
Formazione dirigenti
1
2
3
4
Formazione operatori diretti
1
2
3
4
155
Acquisto attrezzature per
l’associazione
1
2
3
4
Promozione/Comunicazione
1
2
3
4
Consulenze
1
2
3
4
29.
Attraverso quali strumenti/azioni/fonti l’associazione reperisce le informazioni utili per una analisi del territorio e dei bisogni, funzionale alla
progettazione?
Spesso
Qualche volta
Mai
Indagini compiute da altre
associazioni
1
2
3
Indagini compiute da enti pubblici
1
2
3
Indagini compiute da università ed
enti di ricerca
1
2
3
Centri di documentazione
1
2
3
Raccolta diretta attraverso missioni
1
2
3
3. FINANZIAMENTI
30.
Per la realizzazione delle attività di solidarietà internazionale, di quale
tipo di FINANZIAMENTO PUBBLICO si avvale l’associazione?:
Spesso
Qualche volta
Mai
Comune
1
2
3
Provincia
1
2
3
Regione
1
2
3
Ministero
1
2
3
Unione Europea
1
2
3
Nazioni unite e altre istituzioni
collegate
1
2
3
156
31.
Per la realizzazione delle attività di solidarietà internazionale, di quale
tipo di FINANZIAMENTO PRIVATO si avvale l’associazione?
Spesso
Qualche volta
Mai
Fondazioni bancarie
1
2
3
Istituti religiosi
1
2
3
Imprese private
1
2
3
Donazioni
1
2
3
Singoli Privati
1
2
3
Bandi Cesvot
1
2
3
Autofinanziamento
1
2
3
32.
In che misura l’autofinanziamento (raccolta fondi, tesseramento, ecc)
concorre alla realizzazione delle attività?
1 Il 100%
2 Oltre il 75% del totale
3 Il 50%
4 Il 25%
5 0
33.
Negli ultimi 5 anni quante volte l’associazione ha partecipato al bando
della Regione Toscana dedicato ai microprogetti destinanti alla solidarietà e cooperazione internazionale?
1 1 volta
2 da 2 a 4 volte
3 5 volte
4 Mai
34.
Se Mai, perché? (Una sola risposta)
1 Mancanza di interesse
2 Mancanza di personale specializzato per la progettazione
3 Mancanza di tempo da dedicare a questa attività
4 Non ne vale la pena
5 Non ne siamo a conoscenza
35.
Nel caso in cui li ha presentati, hanno ottenuto il finanziamento?
1 Si, sempre
2
Qualche volta
3
No, mai
157
4. COMUNICAZIONE
36.
Attraverso quali strumenti vengono comunicate all’esterno le attività di
solidarietà internazionale svolte dall’associazione?
Periodicamente
Occasionalmente
Mai
Pubblicazione di riviste cartacee
1
2
3
Pubblicazione di bollettini
1
2
3
Pubblicazioni multimediali (blog,
newsletter, sito internet, ecc.)
1
2
3
Convegni/seminari
1
2
3
37.
In che misura secondo lei vengono divulgate/pubblicizzate/condivise/ le
informazioni relative alle attività di solidarietà internazionale che svolgono altre associazioni del territorio?
1 Per niente
2 Poco
3 Abbastanza
4 Molto
5. RETI
38.
Quante sono, in totale, le associazioni di volontariato con le quali la vostra associazione ha rapporti di collaborazione?
1 Meno di 3
2 Da 3 a 5
3 da 6 a 10
4 Oltre 10
39.
Quali sono secondo il suo parere le realtà (istituzionali e non, pubbliche
e private) CENTRALI, più significative, che a livello regionale operano nel
campo della solidarietà e della cooperazione internazionale?:
1 ____________________________________________________
2 ____________________________________________________
3 ____________________________________________________
4 ____________________________________________________
5 ____________________________________________________
158
40.
Quanto sente vicino alla sua associazione le seguenti realtà nell’ambito
delle attività di solidarietà internazionale?
41.
Quali sono gli enti (pubblici/istituzionali e privati/associazioni) nell’ambito della solidarietà e cooperazione internazionale con cui la sua associazione ha rapporti? Che frequenza hanno tali apporti?
Sistematici
Frequenti
Occasionali
1.
1
2
3
2.
1
2
3
3.
1
2
3
4.
1
2
3
5.
1
2
3
6.
1
2
3
7.
1
2
3
8.
1
2
3
9
1
2
3
10.
1
2
3
11.
1
2
3
12.
1
2
3
159
13.
1
2
3
14.
1
2
3
15.
1
2
3
42.
Con le realtà che ha individuato quale è la tipologia di collaborazione
prevalente:
Collaborazioni
informali
(organizzazione
di eventi, singole
attività, ecc.)
Partenariati formali
(strutturati da convenzioni, protocolli
d’intesa, ecc.)
Rapporti indiretti
(attraverso membri)
Rapporti diretti
(tra associazione e
associazione)
1.
1
2
3
4
2.
1
2
3
4
3.
1
2
3
4
4.
1
2
3
4
5.
1
2
3
4
6.
1
2
3
4
7.
1
2
3
4
8.
1
2
3
4
9.
1
2
3
4
10.
1
2
3
4
11.
1
2
3
4
12.
1
2
3
4
13.
1
2
3
4
14.
1
2
3
4
15.
1
2
3
4
43.
La ricerca di un coinvolgimento degli enti locali è:
Finalizzata all’erogazione di contributi
Spesso
Qualche volta
Mai
1
2
3
160
Finalizzata alla creazione di partenariati per
progettualità condivise
1
2
3
Finalizzata alla richiesta di erogazione di servizi
1
2
3
44.
La ricerca di collaborazioni con altre associazioni che operano nel campo della solidarietà e cooperazione internazionale è:
Spesso
Qualche volta
Mai
Finalizzata alla condivisione di idee e
progettualità
1
2
3
Finalizzata alla collaborazione in singole attività
di raccolta fondi
1
2
3
Finalizzata all’erogazione/prestazione di servizi
1
2
3
Finalizzata alla realizzazione delle attività del
progetto
1
2
3
Finalizzata alla condivisione di risorse
economiche
1
2
3
Finalizzata alla condivisione/scambio di
informazioni
1
2
3
45.
L’associazione partecipa attualmente alle iniziative della Regione Toscana in merito alle attività di solidarietà e cooperazione internazionale
(Tavoli, Coordinamenti, Gruppi di lavoro, Progetti, attività sul territorio,
ecc)?:
1 Si, in modo continuativo
2 Si, in modo occasionale
3 Si, solo per specifici attività
4 No, mai
5 Abbiamo partecipato in passato, ora non più
46.
Fate parte attualmente di network (gruppi di associazioni), Forum, che
operano nel campo della solidarietà e della cooperazione internazionale?
1 Si, in modo continuativo
2 Si, in modo occasionale
3 Si, solo per specifici attività
4 No, mai
5 Abbiamo partecipato in passato, ora non più
161
47.
Se si, a che livello:
1 Provinciale
2 Regionale
3 Nazionale
4 Internazionale
48.
Può esprimere il suo grado di accordo con le seguenti affermazioni?
Per niente
d’accordo
Del tutto
d’accordo
Stringere rapporti di collaborazione con gli
enti locali costituisce una scelta strategica
virtuosa per il volontariato per aumentare i
finanziamenti e le attività
1
2
3
4
5
Il senso del volontariato risiede nella reciprocità: mentre si dona, si riceve
1
2
3
4
5
Garantire servizi in modo sempre più
competente e professionale costituisce una
scelta strategica virtuosa del volontariato
1
2
3
4
5
Il senso del volontariato risiede nella gratuità: il dono non deve prevedere alcun ritorno
1
2
3
4
5
L’autonomia del volontariato dagli enti locali è una scelta virtuosa per evitare la dipendenza economica e politica, anche a costo di
avere meno finanziamenti ed attività
1
2
3
4
5
Il volontariato sta privilegiando eccessivamente la dimensione dei servizi perdendo la
dimensione etica e valoriale
1
2
3
4
5
Il senso del volontariato risiede nel valore
etico culturale piuttosto che nei servizi
offerti
1
2
3
4
5
Sarebbe necessario che il volontariato si
dotasse di professionisti per essere sempre
più efficace
1
2
3
4
5
162
6. FORMAZIONE
49.
Sono previsti percorsi di formazione per gli appartenenti all’associazione?
1 Si, in modo continuativo
2 Si, in modo occasionale
3 Si, solo per specifici progetti
4 No
50.
Se si, in che ambito?
1 Amministrazione
2 Segreteria
3 Progettazione
4 Coordinamento progetto
5 Area Tecnica
6 Valutazione
Si
Si
Si
Si
Si
Si
No
No
No
No
No
No
7. PROBLEMATICHE E ASPETTATIVE
51.
Negli ultimi 3 anni, le attività di solidarietà e cooperazione internazionale
dell’associazione sono:
1 Aumentate
2 Diminuite
3 Rimaste invariate
52.
Nello svolgimento delle attività di solidarietà e cooperazione internazionale, quali sono le difficoltà maggiori che l’associazione incontra?:
Per niente
Poco
Abbastanza
Molto
Disponibilità di risorse economiche
1
2
3
4
Ricerca finanziamenti (locali, regionali, …)
1
2
3
4
Assenza di professionalità specifiche interne
1
2
3
4
Capacità di dare continuità alle attività
progettuali
1
2
3
4
Scarsa affidabilità del partner in loco
1
2
3
4
Elaborazione di progetti
1
2
3
4
Rapporti con gli enti locali
1
2
3
4
163
Rapporti con le amm. dei paesi in cui l’associazione opera
1
2
3
4
Rapporti con i beneficiari
1
2
3
4
Visibilità delle iniziative organizzate
1
2
3
4
Lavoro di rete con altre Odv dello stesso
ambito di interesse
1
2
3
4
Lavoro di rete con altre Odv di ambito
differente
1
2
3
4
Formazione risorse umane
1
2
3
4
Rendicontazione progetti
1
2
3
4
Valutazione
1
2
3
4
Amministrazione
1
2
3
4
53.
Ogni item presentato quanto lo ritiene opportuno e necessario per poter migliorare, ampliare e rendere più efficaci le attività della vostra associazione?:
Per niente
Poco
Abbastanza
Molto
1
2
3
4
Trovare concrete opportunità di finanziamento
1
2
3
4
Avviare collaborazioni con altre Odv che
operano nello stesso ambito
1
2
3
4
Avviare collaborazione con altre Odv che
operano in ambiti diversi
1
2
3
4
Avviare forme di collaborazione e partenariato stabili con gli enti locali
1
2
3
4
Maggiori opportunità di formazione per i
volontari
1
2
3
4
Un centro servizi per supportare le Odv
nelle progettualità, comunicazione, raccolta
fondi.
1
2
3
4
Maggiori professionalità specifiche interne
all’associazione
1
2
3
4
Maggior numero di volontari
164
54.
A quale di questi due scenari associa un possibile futuro dell’associazione:
1 Il futuro dell’associazione è rimanere dentro una dimensione volontaristica
e della gratuità
2 Il futuro dell’associazione è approdare verso una dimensione sempre più
professionistica delle attività internazionali
55.
In una situazione caratterizzata da una scarsità di risorse economiche
disponibili, verso quali scenari sarebbe orientata l’associazione?:
1 Mantenere la propria autonomia, indipendenza e dimensioni, all’interno di
una condizione di “sopravvivenza”
2 Disponibilità ad aggregarsi con altre realtà del territorio, per condividere
forze e risorse
56.
Quali sono le sue aspettative nei confronti del Cesvot?
Per niente
Poco
Abbastanza
Molto
Facilitare la circolazione e la condivisione di
informazioni
1
2
3
4
Promuovere e facilitare un lavoro di rete fra
associazioni
1
2
3
4
Promuovere maggiori e più accessibili processi di formazione
1
2
3
4
Sostenere attività di supporto alla
progettazione
1
2
3
4
Sostenere attività di reperimento risorse,
accesso ai bandi, ecc.
1
2
3
4
165
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efficacia: principi, pratiche e condizioni
abilitanti, Poliscript, Milano.
171
Gli autori
Il volume è frutto di ricerche e riflessioni comuni ai due autori del
volume, tuttavia sono da attribuire a Fabio Berti i capitoli 5, 7 e 8 e a
Lorenzo Nasi i capitoli 1, 2, 3, 4 e 6. L’introduzione e le conclusioni
sono state redatte congiuntamente dagli autori.
Fabio Berti è professore associato presso il Dipartimento di Scienze
sociali, politiche e cognitive dell’Università degli studi di Siena dove
insegna Sociologia e Sociologia delle migrazioni. Da molti anni svolge
attività di ricerca sulle tematiche relative ai processi migratori, all'integrazione sociale e allo sviluppo locale.
Lorenzo Nasi è ricercatore di Sociologia presso il Dipartimento di
Scienze sociali, politiche e cognitive dell’Università degli studi di Siena dove insegna Sociologia dello sviluppo e Sviluppo e globalizzazione. La sua attività di ricerca è orientata alla comprensione delle
trasformazioni legate ai processi di globalizzazione, alle dinamiche
della cooperazione allo sviluppo e al rapporto tra giovani e volontariato internazionale.
173
Indice
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1. Un volontariato ‘invisibile’ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2. Origine e sviluppo del volontariato internazionale . . . .
2.1 L’associazionismo di solidarietà
internazionale in Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.2 Attori di sviluppo in mutamento. . . . . . . . . . . . . .
3. La ricerca: obiettivi e attività . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4. La metodologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.1 Lo strumento di rilevazione . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.2 La somministrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.3 Il trattamento dei dati. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.4 La fase qualitativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Capitolo 1
Una prima carta di identità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1. Nascita di un settore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2. Ambiti di intervento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3. La presenza nel mondo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4. Il capitale umano: soci e volontari . . . . . . . . . . . . . . . . .
5. La dimensione economica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
6. La forza progettuale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7. Tra volontariato e professionismo . . . . . . . . . . . . . . . . .
8. Verso un processo di istituzionalizzazione . . . . . . . . . .
Capitolo 2
Dall’idea al progetto: genesi di un percorso . . . . . . . . . . . . . .
1. Il punto di partenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2. Beneficiari e partners . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Capitolo 3
Tra solidarietà e cooperazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1. Generazioni a confronto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2. L’aiuto umanitario di solidarietà. . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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69
72
Capitolo 4
Gli approcci sul campo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1. Saper leggere e vivere il contesto . . . . . . . . . . . . . . . .
2. Quali professionalità? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3. Sulla valutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4. Un settore “in via di formazione” . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Capitolo 5
Tra pubblico e privato: l’orizzonte economico . . . . . . . . . . . .
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Capitolo 6
Solidali ma soli? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1. Verso la Regione Toscana: così vicino, così lontano . .
2. Aggiungi un posto al Tavolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3. Essere o Avere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4. Gli altri (non) siamo noi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5. Dinamiche di networking e collaborazioni. . . . . . . . . . .
6. Il valore della comunicazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Capitolo 7
Altruisti egoisti? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1. Tra il ‘dire’ e il ‘fare’ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2. Tendenze relazionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Capitolo 8
Prospettive di sviluppo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
A. Un orizzonte liquido. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
B. Quando la buona volontà non basta . . . . . . . . . . . . . . .
C. Cooperazione decentrata: tra mito e realtà. . . . . . . . . .
D. Quale ruolo per il Cesvot? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Appendice
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145
Bibliografia
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165
Gli autori
.......................................
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177
“I Quaderni” del Cesvot
1
10
Lo stato di attuazione del D.M.
21/11/91 e successive modifiche
Raccolta normativa commentata.
Leggi fiscali e volontariato
Relazione assemblea del seminario
Stefano Ragghianti
2
Volontari e politiche sociali: la
Legge regionale 72/97
Atti del Convegno
3
Gli strumenti della
programmazione nella raccolta
del sangue e del plasma
Cristiana Guccinelli, Regina Podestà
4
Terzo settore, Europa e nuova
legislazione italiana sulle Onlus
Cristiana Guccinelli, Regina Podestà
5
Privacy e volontariato
Regina Podestà
6
La comunicazione per il
volontariato
Andrea Volterrani
7
Identità e bisogni del volontariato
in Toscana
Andrea Salvini
8
Le domande e i dubbi delle
organizzazioni di volontariato
Gisella Seghettini
9
La popolazione anziana: servizi e
bisogni. La realtà aretina
Roberto Barbieri, Marco La Mastra
11
Oltre il disagio. Identità
territoriale e condizione giovanile
in Valdera
Giovanni Bechelloni, Felicita
Gabellieri
12
Dare credito all’economia sociale.
Strumenti del credito per i
soggetti non profit
Atti del convegno
13
Volontariato e Beni Culturali
Atti Conferenza Regionale
14
I centri di documentazione
in area sociale, sanitaria e
sociosanitaria: storia, identità,
caratteristiche, prospettive di
sviluppo
Centro Nazionale del volontariato,
Fondazione Istituto Andrea Devoto
15
L’uso responsabile del denaro.
Le organizzazioni pubbliche
e private nella promozione
dell’economia civile in toscana
Atti del convegno
16
Raccolta normativa commentata.
Leggi fiscali e volontariato
Stefano Ragghianti
178
17
Le domande e i dubbi delle
organizzazioni di volontariato
Stefano Ragghianti, Gisella
Seghettini
18
Accessibilità dell’informazione.
Abbattere le barriere fisiche e
virtuali nelle biblioteche e nei
centri di documentazione
Francesca Giovagnoli
19
Servizi alla persona e
volontariato nell’Europa sociale
in costruzione
Mauro Pellegrino
20
Le dichiarazioni fiscali degli Enti
non Profit
25
Viaggio nella sostenibilità
locale: concetti, metodi, progetti
realizzati in Toscana
Marina Marengo
26
Raccolta normativa commentata.
Leggi fiscali e volontariato
Stefano Ragghianti
27
Le trasformazioni del
volontariato in Toscana. 2°
rapporto di indagine
Andrea Salvini, Dania Cordaz
28
La tutela dei minori: esperienza e
ricerca
Fondazione Il Forteto onlus - Nicola
Casanova, Luigi Goffredi
Stefano Ragghianti
21
Le buone prassi di bilancio
sociale nel volontariato
Maurizio Catalano
22
Raccolta fondi per le Associazioni
di Volontariato. Criteri ed
opportunità
Sabrina Lemmetti
23
Le opportunità “finanziare e
reali” per le associazioni di
volontariato toscane
Riccardo Bemi
24
Il cittadino e l’Amministrazione di
sostegno. Un nuovo diritto per i
malati di mente (e non solo)
Gemma Brandi
29
Raccontare il volontariato
Andrea Volterrani
30
Cose da ragazzi. Percorso
innovativo di Peer Education
Luca Napoli, Evelina Marallo
31
L’arcobaleno della
partecipazione. Immigrati e
associazionismo in Toscana
Ettore Recchi
32
Non ti scordar di te. Catalogo
dei fondi documentari del
volontariato toscano
Barbara Anglani
33
Buone prassi di fund raising nel
volontariato toscano
Sabrina Lemmetti
179
34
Il bilancio sociale delle
organizzazioni di volontariato
Luca Bagnoli
35
Le responsabilità degli organi
amministrativi delle associazioni
di volontariato
Stefano Ragghianti, Rachele
Settesoldi
36
Storie minori - Percorsi di
accoglienza e di esclusione
dei minori stranieri non
accompagnati
Monia Giovannetti
37
Ultime notizie! La
rappresentazione del
volontariato
nella stampa toscana
Carlo Sorrentino
Ettore Recchi, Emiliana Baldoni,
Letizia Mencarini
42
Altre visioni. Le donne non
vedenti in Toscana
Andrea Salvini
43
La valutazione di impatto sociale
dei progetti del volontariato
toscano
Andrea Bilotti, Lorenzo Nasi, Paola
Tola, Andrea Volterrani
44
Le donazioni al volontariato.
Agevolazioni fiscali per i cittadini
e le imprese
Sabrina Lemmetti, Riccardo Bemi
45
Una promessa mantenuta.
Volontariato servizi pubblici,
cittadinanza in Toscana
Riccardo Guidi (2 voll.)
38
Contributi e finanziamenti per le
associazioni di volontariato
Guida pratica
Riccardo Bemi
39
Le domande e i dubbi delle
associazioni di volontariato
Riccardo Bemi, Stefano Ragghianti
46
Atlante del volontariato della
protezione civile in Toscana
Riccardo Pensa
47
La mediazione linguisticoculturale.
Stato dell'arte e potenzialità
Valentina Albertini, Giulia Capitani
40
Cittadinanze sospese. Per
una sociologia del welfare
multiculturale in Toscana
Carlo Colloca
48
Contributi e finanziamenti per le
assocciazioni di volontariato.
Aggiornamento 2009
Riccardo Bemi
41
Un mondo in classe. Multietnicità
e socialità nelle scuole medie
toscane
49
Volontariato e formazione a
distanza
Giorgio Sordelli
180
50
Il volontariato. Immagini,
percezioni e stereotipi
Laura Solito, Carlo Sorrentino
51
Le competenze del volontariato.
Un modello di analisi dei
fabbisogni formativi
Daniele Baggiani
52
Le nuove dipendenze.
Analisi e pratiche di intervento
58
Il valore del volontariato.
Indicatori per una valutazione
extraeconomica del dono
Alessio Ceccherelli, Angela Spinelli,
Paola Tola, Andrea Volterrani
59
Città e migranti in Toscana.
L’impegno del volontariato e
dei governi locali per i diritti di
cittadinanza
Carlo Colloca, Stella Milani e Andrea
Pirni
Valentina Albertini, Francesca Gori
53
60
Atlante sociale sulla tratta.
Interventi e servizi in Toscana
Il volontariato inatteso.
Nuove identità nella solidarietà
organizzata in Toscana
Marta Bonetti, Arianna Mencaroni,
Francesca Nicodemi
a cura di Andrea Salvini e Luca
Corchia
54
L'accoglienza dei volontari nel
Terzo Settore.
Tecniche di comunicazione
e suggerimenti pratici
61
Disabilità e ”dopo di noi”
Strumenti ed esperienze
a cura di Francesca Biondi Dal Monte
Elena Vivaldi
Stefano Martello, Sergio Zicari
55
Il lavoro nelle associazioni di
volontariato
a cura di Sabrina Lemmetti
56
La comunicazione al centro.
Un’indagine sulla rete dei Centri
di Servizio per il Volontariato
a cura di Gaia Peruzzi
57
Anziani e non autosufficienza.
Ruolo e servizi del volontariato
in Toscana
a cura di Simona Carboni, Elena Elia,
Paola Tola
62
Le domande e i dubbi delle
associazioni di volontariato
Riccardo Bemi
63
Fund raising per il volontariato
Sabrina Lemmetti
Stampato in Italia
da La Grafica Pisana - Bientina (Pisa)
Giugno 2013