LIBRO QUADERNO 64.indb
Transcript
LIBRO QUADERNO 64.indb
Cesvot Edizioni I Quaderni Bimestrale n. 64, Agosto 2013 reg. Tribunale di Firenze n. 4885 del 28/01/1999 Direttore Responsabile Cristiana Guccinelli Redazione Cristina Galasso spedizione in abbonamento postale art. 2 comma 20/c legge 662/96 FI ISSN 1828-3926 ISBN 978-88-97834-07-6 Prodotto realizzato nell’ambito di un sistema di gestione certificato alle norme Iso 9001:2008 da Rina con certificato n. 23912/04 Pubblicazione Periodica del Centro Servizi Volontariato Toscana Volontariato senza frontiere Solidarietà internazionale e cooperazione allo sviluppo in Toscana 64 Fabio Berti e Lorenzo Nasi 5 Introduzione1 Le belle azioni nascoste sono le più stimabili. Pascal Il 2015 sarà l’anno europeo della cooperazione e dello sviluppo. Il Parlamento europeo ha infatti accolto positivamente la proposta di Concord (il network internazionale di Organizzazioni non governative europee) di dedicare l’anno a questo particolare tema. Già nell’ottobre del 2012 l’indagine sugli orientamenti dei cittadini e dei paesi europei dell’Eurobarometro aveva rilevato che la maggior parte dei paesi europei ritiene di grande importanza la cooperazione con i Paesi in via di sviluppo così come ancora prima, la stessa Commissione europea, nel 2009, in uno dei suoi documenti, affermava che la diffusione di un volontariato attivo a livello internazionale, in particolare nell’ambito della cooperazione allo sviluppo, accresce in chi è impegnato in esso, ma anche nella società più in generale la consapevolezza della crescente interdipendenza globale, necessaria per affrontare le sfide economiche e sociali a cui i paesi europei si trovano oggi di fronte. In un mondo segnato dall’acuirsi della povertà, da conflitti sempre più devastanti, dal moltiplicarsi delle calamità, le attività di cooperazione e gli aiuti allo sviluppo assumono maggiore importanza, continuando a rappresentare una sfida da raccogliere. Le distorsioni che i processi di globalizzazione continuano a produrre in ogni angolo del pianeta, in termini di disuguaglianze, povertà ed esclusione sociale, conducono infatti questo pianeta, come sostiene 1 Gli autori rivolgono un particolare ringraziamento a tutte le associazioni coinvolte per la disponibilità dimostrata e per l'attenzione con la quale hanno affrontato tutti gli impegni previsti dalla ricerca. Un sentito ringraziamento anche all’équipe del Centro Ricerche Etnoantropologiche (Crea) di Siena per la preziosa collaborazione nella somministrazione del questionario e per la realizzazione e l'analisi delle attività qualitative svolte. Infine, un sincero ringraziamento al dott. Francesco Marangoni, assegnista di ricerca dell'Università di Siena, per il supporto scientifico nella fase di elaborazione statistica dei dati. 6 Latouche (1993: 20), ad essere un pianeta degli esclusi dello sviluppo, degli indifferenti, degli emarginati. Se da un lato è un mondo che offre gratuitamente, per alcuni, l’entrata nel villaggio globale dall’altro allo stesso tempo, per altri, non rappresenta che l’uscita dalle possibilità, dalle scelte e la vertiginosa caduta nella marginalità e nell’esclusione delle periferie dei “Quarti mondi”. In un mondo così strutturato, la cooperazione verso i popoli che più degli altri devono far fronte a miseria, privazioni dei diritti fondamentali, disuguaglianze, conflitti, rappresenta non solo una scelta etica, ma una risposta politica razionale per contribuire allo sviluppo, al progresso e alla pacificazione di tutto il pianeta. 1. Un volontariato ‘invisibile’ Il volontariato organizzato è uno dei fenomeni sociali più dinamici che caratterizzano la società contemporanea sul quale, soprattutto a partire dagli ultimi venti anni, si è concentrata l'attenzione di molti attori, entrando così a pieno titolo nel dibattito politico e scientifico. Nel corso del tempo infatti, le motivazioni e le caratteristiche di una così rilevante presenza di impegno volontario, sono state analizzate sotto molti punti di vista e con vari approcci interpretativi: da quello sociologico a quello economico e giuridico. In particolare, la riflessione sociologica ha ampiamente messo a tema i processi associativi che conducono alla costituzione delle organizzazioni solidali, i servizi offerti e l’orientamento donativo sotteso all’azione societaria (tra gli altri, si veda, Ambrosini 1992, 2004; Donati 1996; Boccaccin 1990). Di fronte però ad una ormai acquisita consapevolezza circa il ruolo assunto dal volontariato, con particolare riferimento all’erogazione di prestazioni di assistenza che svolgono frequentemente una funzione di integrazione quando non di supplenza rispetto ai servizi pubblici di welfare (Ranci 2006), non può dirsi paradossalmente soddisfacente il grado di conoscenza di cui disponiamo circa le caratteristiche dell’intervento volontario in altri contesti in cui esso si manifesta, primo fra tutti l’ambito della solidarietà internazionale e della cooperazione allo sviluppo. 7 Due temi infatti, che raramente segnano l’agenda del dibattito politico. La stessa, poca, attenzione che ad essi rivolgono i media è confinata a situazioni di emergenza legate a catastrofi ambientali, conflitti, circostanze in cui si evidenzia l’urgenza dell’azione umanitaria al fine di smuovere e mobilitare le coscienze e di conseguenza una grande quantità di risorse economiche. Del resto, come ci ricorda il detto “fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce”, risulta essere molto più complicato cercare di indirizzare l’attenzione su azioni di lungo periodo finalizzate alla promozione o all’appoggio ad iniziative di sviluppo (Faggi, Dansero 2012: 11). Occorre poi aggiungere che quel po’ di attenzione rivolta ai progetti e alle attività di cooperazione allo sviluppo sono il risultato di costose e dispendiose campagne comunicative messe in atto dalle più grandi realtà organizzate, piuttosto che di una vera e propria sensibilità verso i problemi. Quand’anche la solidarietà internazionale e la cooperazione allo sviluppo riescono a fare breccia nel dibattito politico o nei media, ciò avviene molto spesso in relazione a scandali relativi a sprechi e inefficienze o indirizzando l’attenzione (giustamente critica) su quella che viene definita l’ “industria della solidarietà” (Furlanetto 2013; Moyo 2010; Polman 2009). Nonostante una storia pluridecennale, quale è quella che caratterizza il volontariato internazionale in Italia, anche l’attenzione scientifica intorno a quelle realtà che sviluppano le proprie attività “senza frontiere” stata molto limitata. Se infatti sono numerose le ricognizioni condotte su scala locale che analizzano il le trasformazioni del volontariato nel suo complesso, per esempio quelle condotte dai vari Centri Servizio per il Volontariato (in riferimento al territorio toscano si veda, Salvini 1999; Salvini, Cordaz 2005; Salvini 2007; Salvini, Corchia 2012; Caselli 2000), così come gli studi di taglio qualitativo volti ad approfondire specifiche dimensioni dell’impegno volontario e del suo impatto sociale (tra gli altri si veda Tacchi 2009; Boccaccin, Rossi 2006; Mazzoli 2008; Caputi Jambrenghi 2008), le ricerche e le analisi presenti nella letteratura specializzata relative alla solidarietà internazionale, oltre che ormai datate nel 8 tempo, rimangono per lo più confinate o allo studio del fenomeno specifico delle Organizzazioni non governative (Ong) (Tarozzi 1985; Oecd 1986; Borghese 1989; Baraldi 1993; Serra 2004), all’esame di singole esperienze locali (Scidà 1987; Ianni 1995; Boccella, Tozzo 2005), o al rapporto tra Ong e particolari tematiche di interesse globale (Rognoni 1995; Nasi 2006, 2012). Se le Ong rappresentano sicuramente il nucleo più consolidato, innovativo e strutturato del vasto arcipelago delle Organizzazioni di volontariato di solidarietà internazionale, non bisogna dimenticare l’importanza quantitativa e qualitativa che ricoprono tutte quelle realtà di base, anch’esse espressione della società civile che, a differenza delle Ong, non hanno ottenuto (per scelta o impossibilità strutturale) l’idoneità e il riconoscimento da parte del Ministero degli Affari Esteri. Queste ultime costituiscono una realtà fluida e cangiante, sui cui, come abbiamo affermato in precedenza, l’informazione disponibile è ancora oggi ridotta. 2. Origine e sviluppo del volontariato internazionale Le associazioni di solidarietà internazionale e cooperazione allo sviluppo hanno avuto uno sviluppo particolarmente importante in tutti i paesi occidentali a partire dagli anni Cinquanta (Alberti, Giudici 2003: 29). Cercando di ritrovarne le origini e ripercorrerne le principali tappe, è necessario però risalire alla metà dell’Ottocento e per la precisione all’epoca delle guerre di Indipendenza. È all’interno di tale scenario che è possibile individuare gli inizi di quella che sarà in seguito, una tra le principali realtà del volontariato internazionale impegnato nelle emergenze: la Croce Rossa (Marelli 2011: 37). Sarà poi ancora una guerra a delineare un’ulteriore tappa fondamentale per lo sviluppo del volontariato internazionale, come mostra la costituzione nel 1919 ad opera del Fight the Famine Council (che contrastava il blocco alleato imposto alla Germania) di Save the Children Found, una tra le più antiche associazioni di carità inglesi attive all’estero. Nel 1920 invece sotto la spinta emotiva ed organizzativa di Pierre Cérésole, giovane pacifista svizzero, un gruppo 9 di volontari internazionali, portò aiuto alla ricostruzione di Esnes, un piccolo villaggio nel nord della Francia al confine con la Germania, danneggiato gravemente dai bombardamenti e scelto come luogo simbolico di riappacificazione. Con lo slogan Deeds, not words (“fatti non parole”), giovani volontari francesi, tedeschi e di altre nazioni europee si dettero appuntamento per lavorare insieme e condividere una esperienza di pace e amicizia. In seguito a questa prima iniziativa, Cérésole dà vita ad una vera realtà formalmente organizzata, il Service Civil Internacional (Sci), ancora oggi presente e attiva in oltre 80 paesi del mondo (Marelli 2011; Alberti, Giudici 2003). Lo scoppio della seconda guerra mondiale, segnerà poi l’ingresso sulla scena del volontariato internazionale di nuove realtà segnando così un ulteriore sviluppo di tutto il movimento: è questo il caso di organizzazioni come la britannica Oxfam (Oxford Committee for Famine relief), nata in Inghilterra nel 1942 con l’obiettivo di far giungere i soccorsi alle popolazioni affamate della Grecia occupata dai nazisti) o la danese Danish association for international cooperation mellenfolkeligth Samwirke, una delle prime organizzazioni non confessionali, fondata nel 1944 con il nome di Friends of peace relief work (Borghese 1989). Nel 1945 si costituì poi negli Stati Uniti, l’associazione Care (Cooperative for American Relief Everywhere) grazie all’iniziativa di 22 organizzazioni umanitarie private e sindacati. Già nel 1943 le principali organizzazioni statunitensi (tra le quali la Catholic Relief Service) avevano costituto l’American council of private foreign relief agenzies, con l’obiettivo di collaborare attivamente agli aiuti per le popolazioni europee, i profughi, i rifugiati politici fornendo loro, con l’utilizzo di donazioni privatamente raccolte, abbigliamento, medicinali, alimenti e partecipando altresì alla distribuzione degli aiuti offerti dal governo statunitense. Con la conclusione del secondo conflitto, le molte esperienze che si susseguono, trovano un decisivo rilancio con il primo congresso mondiale degli organismi privati di volontariato (così definite quelle realtà attive in particolar modo nella realizzazione di brevi campi di lavoro per la fornitura di servizi e materiali), organizzato a Parigi nel 10 1948, con il patrocinio dell’Unesco. A conclusione di questo incontro, le principali associazioni internazionali si riuniranno in quello che è il primo organo di collegamento internazionale, il Ccivs (Coordinating committee for international voluntary service). I decenni successivi, caratterizzati dalle lotte per la decolonizzazione e dalle prime grandi emergenze umanitarie in Africa, vedono la nascita di nuove organizzazioni umanitarie. In tale contesto di grande fermento, il presidente americano Kennedy dà avvio, soprattutto in America latina, alle attività dei Peace corps i quali, mantenendo un forte legame con il Congresso americano anche per quanto riguarda le risorse economiche e finanziarie fornite dall’amministrazione pubblica, diventano di giorno in giorno la più grande realtà di solidarietà e di volontariato internazionale (Alberti, Giudici 2003: 30). Contemporaneamente andava da tempo sviluppando l’attivismo di missionari e volontari grazie alla presenza delle chiese in Africa e nel continente latinoamericano. Attivisti che provenivano in gran parte dall’Europa e che una volta tornati nel proprio paese di origine si adoperavano per costituire comitati, gruppi e organizzazioni sociali con l’obiettivo di creare dei ponti solidali con i paesi di quello che allora veniva definito “Terzo mondo” (Marcon 2002: 49). Una parte quantitativamente importante delle attuali organizzazioni impegnate nel Sud del mondo sono nate quindi tra gli anni Sessanta e Settanta. In questo periodo le lotte di liberazione contro l’occupazione e il neocolonialismo, le campagne contro la fame2, la progressiva presa di coscienza del sottosviluppo e della povertà estrema, hanno stimolato sia nelle esperienze di derivazione cristiana sia in quelle di origine marxista la nascita di gruppi fortemente motivati e con un radicato rapporto all’interno della società civile il 2 La Freedom from hunger compaign, la campagna della Fao contro la fame lanciata nel 1960, che scelse come motto «Se dai un pesce ad un uomo gli dai da mangiare per un giorno, se gli insegni a pescare gli dai da mangiare per tutta la vita», segnò proprio il passaggio dalla fase del soccorso e dell’emergenza a quella dello sviluppo. In molti paesi furono costituite associazioni nazionali di lotta contro la fame a sostegno degli obiettivi della campagna. Alcune di esse conservano ancora la loro importanza, come ad esempio il Comité francais contre la faim et pour le developpement, fondato nel 1960, o il Deutsche welthungerhilfe in Germania del 1963 (Borghese 1989: 27). 11 cui impegno era caratterizzato da significative attività di base e sensibilizzazione (Marcon 2002: 49)3. Con il passare del tempo, matura poi la consapevolezza che la povertà è il risultato di problemi strutturali e che alcuni di questi sono provocati dal tipo di relazioni economiche tra i paesi. L’esperienza maturata nei progetti precedentemente attuati, conduce questo vasto mondo ad un riesame critico sulla natura dell’assistenza tecnica fornita: ci si accorge che per lo sviluppo non è più sufficiente “insegnare alla gente come si fa a pescare” ma c’è molto da imparare anche dalla stessa popolazione locale, favorendo di conseguenza una sua diretta partecipazione ai lavori dei progetti. Gli aiuti allo sviluppo iniziano così ad essere considerati nell’ambito di un più vasto contesto e, al tempo stesso, la consapevolezza delle varie dimensioni della povertà, conduce molte associazioni ad effettuare ricerche più appropriate in materia, studiando nuove forme di informazione e di coinvolgimento dell’opinione pubblica. In conseguenza ai nuovi modi di agire, nel 1970 anche la campagna contro la fame della Fao aggiunge alla precedente denominazione, la specificazione Action for development, portando avanti un duplice compito: da un lato stimolare un atteggiamento critico sui problemi dello sviluppo, dall’altro favorire la partecipazione diretta di chi vive in situazioni di mancato sviluppo, agevolandone l’azione senza la pretesa di imporre soluzioni precostituite. Come ogni impegno spontaneo, basato su valori universali, anche la storia del volontariato internazionale si presenta così come una realtà dinamica, che si evolve, che muta nel tempo, che assume configurazioni ed identità diverse. In particolar modo, l’insieme dei mutamenti che negli anni Novanta caratterizzano gli scenari nazionali e internazionali, oltre a porre gli 3 In Svezia, per esempio, un punto di svolta fu segnato dall’indipendenza raggiunta da molti paesi asiatici. Con l’obiettivo iniziale di promuovere la democrazia in tali paesi, 44 associazioni a livello nazionale (sindacati, cooperative, organizzazioni religiose) costituirono un comitato nel 1952 per gestire i fondi pubblici per lo sviluppo. Etiopia e Pakistan furono i primi paesi interessati dalle attività progettuali di questo comitato che tentò anche di lavorare sull’opinione pubblica svedese, attraverso la realizzazione di campagne di sensibilizzazione sull’assistenza allo sviluppo (Borghese 1989: 24). 12 attori e le politiche di cooperazione allo sviluppo di fronte alla sfida di operare un profondo riadeguamento dei propri modelli teorici e strategici, ha condotto all’apertura di nuove possibilità, nuove opportunità di attivismo (Hettne 1996). La crisi degli Stati nazionali, il moltiplicarsi delle situazioni di emergenza e l’attenzione posta al problema della povertà contribuiscono a conferire ai soggetti dello sviluppo, e in primo luogo agli attori sociali, una maggiore pluralità e una nuova centralità (Ianni 1997). Gli stessi processi legati alla globalizzazione, grazie ai quali e all’interno dei quali si sono aperti come non mai, tanti nuovi spazi per l’impegno umanitario e civile, hanno rappresentato un’occasione di avanzamento dell’attività di cooperazione, stimolando la crescita e lo sviluppo di nuovi interstizi di soggettività politica e culturale (Lembo 1999) aprendo così nuovi spazi al mondo dell’associazionismo umanitario e del non profit (Marcon 2002). 2.1 L’associazionismo di solidarietà internazionale in Italia Nella storia dell’associazionismo italiano, l’ambito impegnato nella dimensione internazionale è stato e rappresenta ancora oggi, dall’alto degli oltre quarant’anni di vita, uno dei settori dalla più lunga esperienza operativa, caratterizzata da un ruolo e una presenza sempre più riconosciuta nelle relazioni con le istituzioni e da una diversificata sperimentazioni di strategie e modelli operativi rispetto all’obiettivo della cooperazione come strumento di solidarietà tra i popoli (Lembo 1999: 237). Dal punto di vista storico, anche in Italia la nascita e lo sviluppo delle associazioni dedite ad attività internazionali affonda le proprie radici negli anni Sessanta e Settanta. È infatti nelle esperienze missionarie di matrice cristiana legate alla presenza diretta nei paesi in via di sviluppo e in quelle politiche e terzomondiste della sinistra marxista collegate alle lotte contro il neocolonialismo e ai movimenti di liberazione, che le prime organizzazioni sensibili alle problematiche del Sud del mondo traggono le principali 13 motivazioni e ispirazioni4. Sono proprio i richiami al dialogo ecumenico e alla solidarietà internazionale contenuti nell’enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII e soprattutto nella Popularum progressio di Paolo VI5 che influiscono positivamente sulla crescita di queste esperienze dando nuovo slancio e vigore al volontariato internazionale (Raimondi, Antonelli 2001: 196). All'interno di tale scenario fu proprio la crescente consapevolezza di vaste aree nel mondo ridotte in estrema povertà e le disuguaglianze crescenti, insieme ad una maggiore coscienza del ruolo di credenti laici a spingere un numero sempre maggiore di persone a lavorare all’interno delle missioni collaborando con i religiosi nei loro interventi umanitari soprattutto nel continente africano. Pur essendo ancora un modus operandi molto limitato, caratterizzato da livelli di informalità elevati, privo di adeguate risorse economiche, tale tipologia di esperienza, contribuì a diffondere le tematiche della solidarietà internazionale e ad aprire nuovi spazi di intervento per la società civile. Alla fine degli anni Sessanta, l’evoluzione del dibattito internazionale sul concetto di sviluppo e sulle problematiche del “Terzo mondo”, insieme ai processi di liberazione dalle potenze coloniali, al ruolo del movimento dei non allineati e all’affermazione del ‘guevarismo’ ebbe, in modi differenti, un ruolo catalizzatore e di mobilitazione, segnando una nuova fase nel volontariato internazionale. 4 La prima vera espressione di Organizzazione non governativa è da considerare l’Ummi, l’Unione medico missionaria, costituta nel 1933 e tutt’oggi attiva. 5 Le due encicliche stabilirono il principio che gli esseri umani sono sia lo strumento sia il fine dello sviluppo, affermando i concetti di autopromozione e di solidarietà internazionale. Tali documenti poi indicavano le legittime aspirazioni dei popoli in via di sviluppo e di recente indipendenza: libertà dalla povertà, maggiori garanzie nella disponibilità dei mezzi di sostentamento e nell’assistenza sanitaria, stabilità dell’occupazione, libertà da ogni forma di oppressione, aumento delle risorse destinate all’educazione e alla crescita autonoma e rispetto dei diritti economici e sociali, che vanno a completare la libertà politica ottenuta con l’indipendenza. Le encicliche sottolinearono inoltre lo scandalo delle stridenti disuguaglianze nella ripartizione dei beni materiali e del potere (Borghese 1989: 28; Scidà 1989). 14 In principio quindi, tali esperienze erano fortemente radicate nella società civile e si nutrivano di una grande partecipazione popolare incentrata su un’ampia presenza di volontari e attivisti. I progetti erano autofinanziati con le raccolte e le iniziative di base, la stessa partenza di volontari per i paesi del Sud del mondo era spontanea e stimolata da una forte motivazione etica e molto diffuse e numerose erano le occasioni di incontri informativi e di discussione sulle problematiche della fame e del sottosviluppo (Marcon 2002: 52-53). Tradizionalmente infatti, la dimensione più consolidata, attraverso cui si configurava e veniva identificato l’impegno del volontariato internazionale era quello di una persona, di un giovane, di un cittadino che parte per un paese in via di sviluppo nell’intento di portare un contributo a livello di attività umanitaria, di assistenza tecnica o di affiancamento a progetti o processi di sviluppo (Lembo op. cit.). Tale concezione, che conteneva gli elementi caratterizzanti della scelta di partire, della gratuità del servire, della messa a disposizione di valori solidaristici per un tempo quantificato, si è evoluta e modificata nel tempo. Risalendo quindi alle origini di questa modalità non è difficile scoprire che il volontariato internazionale nasce e si sviluppa con una manifestazione di solidarietà e di impegno, a valenza internazionalista, basata su valori umanitari di condivisione per l’affermazione della pace e della giustizia, prima ancora di legarsi al concetto di cooperazione internazionale, di assistenza tecnica o a quello di gestire progetti di solidarietà e di sviluppo. Con il passare degli anni però, i cambiamenti nelle dinamiche e nelle visioni del rapporto tra crescita e sviluppo, conducono a evoluzioni non solo concettuali ma anche operative. Negli anni Novanta lo sviluppo si presenta infatti come un processo multidimensionale, in cui le dimensioni economiche, politiche e culturali intrecciano in modo globale (Ianni 1995: 5), dando vita così ad un nuovo approccio declinato e articolato in una varietà di concetti differenti ma interconnessi: umano, sostenibile, partecipativo, diventano quindi aggettivi che arricchiscono di significato lo sviluppo delineando nuove prospettive di interazione. 15 Il nuovo scenario che si va configurando, concorre così a conferire slancio e vigore a quel processo, avviato soprattutto dallo sviluppo della società civile, di pluralizzazione e differenziazione degli attori di sviluppo. In particolar modo, iniziano ad ottenere un significativo riconoscimento tutti quei soggetti storicamente impegnati in attività di solidarietà con il Sud del mondo (le Ong), che hanno costruito sulla partecipazione, sulla partnership, sulla valorizzazione delle risorse locali, la propria vision e mission. Tale riconoscimento però non si esaurisce esclusivamente nell’ambito delle Ong ma investe, in generale, tutto il Terzo settore. Nel corso degli anni Novanta infatti, vari interventi legislativi (dalla legge 142/90 sull’ordinamento delle associazioni locali alla legge 266/91 sul volontariato) affermano e sottolineano il nuovo ruolo e la strategica importanza acquisita dal mondo dell'associazionismo, all'interno del quale, uno spazio non secondario lo acquisisce quel tipo di volontariato che si rivolge, con un impegno sempre più crescente, verso le attività internazionali. 2.2 Attori di sviluppo in movimento La pluralità di soggetti oggi in campo, ci proietta verso una politica di cooperazione partecipata dove tutti i soggetti, pubblici e privati, sono chiamati a valorizzare ed armonizzare i propri specifici ruoli, superando ogni forma di individualità e competitività, per cooperare insieme verso l’unico obiettivo di benessere comune, attraverso una nuova cultura e politica sociale di convivenza ‘glocale’. L’esperienza maturata dalle Odv e dalle Ong nei decenni di evoluzione di questo processo è oggi l’enzima attorno al quale meglio si possono costruire queste relazioni e questa partecipazione dei vari soggetti presenti sullo scenario della cooperazione. Nello specifico, il panorama italiano dell’associazionismo di solidarietà internazionale è caratterizzato da un universo particolarmente diversificato e generalmente suddiviso in due aree dai confini mobili e non bene delineati. Da un punto di vista formale è soprattutto il riconoscimento dell’idoneità da parte del Ministero degli affari esteri (Mae), che separa le realtà che lo hanno da quelle che non lo hanno. 16 Oltre a ciò però, come sostiene Vanna Ianni (1995: 9), “un numero significativo di organizzazioni occupa, per struttura e modalità operative, una fascia intermedia che rende in parte continue le due aree”. In merito a questa particolare tipologia, senza dubbio molto più ‘liquida’ e mutevole, le informazioni a disposizione sono molto limitate. Tra le prime indagini di rilievo nazionale che hanno tentato di fotografare questo particolare settore, troviamo le ricerche promosse dal Cipsi6 (Coordinamento di iniziative popolari di solidarietà internazionale) e realizzate dal Laboratorio per le politiche sociali (Labos) nel 1988 e nel 1993. In primo luogo, i due rapporti nazionali sull’associazionismo di solidarietà con i paesi in via di sviluppo (Labos, 1988; 1993) rivelavano che il numero di gruppi di base e associazioni locali di solidarietà internazionale privi di idoneità Mae, rappresentava la parte quantitativamente più numerosa di tutto il settore dell’associazionismo di solidarietà internazionale. Tali gruppi ed associazioni (che i rapporti definiscono con la terminologia specifica di Rac, realtà associative per la cooperazione), risultavano essere 761 (su un totale di 857 organismi, cioè l’88,8%). Una parte consistente, pari almeno ad un 30% del totale, risultavano privi di status giuridico, evidenziando, già al tempo, il grado di informalità presente in questo ambito. Ulteriori caratteristiche di queste realtà erano, da un lato, lo stretto legame con gli enti ecclesiastici e, dall’altro, una tipologia di azione poco inserita in strutture federative o di coordinamento evidenziando, in tal senso, una scarsa propensione a forme di collegamento e articolazione con altre realtà associative. Successivamente, la rilevazione censuaria effettuata dall’Istat nel periodo 2000-2001 con riferimento alle istituzioni no-profit attive al 31 dicembre 1999, individuava un numero pari a 1.433 realtà (lo 0,6 % su un panorama costituito da 221.412 istituzioni) per le quali la solidarietà internazionale e la cooperazione allo sviluppo rappresentavano l’attività prevalente. In relazione alla forma giuridica di queste istituzioni no-profit, con 845 presenze (pari al 60%) risultava evidente la 6 Il Cipsi è una delle tre federazioni che raggruppano le Ong italiane. 17 predominanza delle associazioni non riconosciute. Meno consistenti erano invece le altre forme giuridiche: le cooperative sociali risultavano essere 10, 36 le fondazioni e 90 i comitati. Tab. 1 Istituzioni no-profit di solidarietà internazionale e cooperazione allo sviluppo in Italia. Cooperazione e solidarietà internazionale Totale Italia Totale Altra forma Coop. sociale Comitato Ass. non riconosciuta Fondazione Settore Associazione riconosciuta Tipologia forma giuridica 420 36 845 90 10 30 1.433 61.309 3.008 140.752 3.832 4.651 7.861 221.412 Fonte: Istat 2001 Oltre a queste tipologie venivano individuate forme differenti attive nell’ambito internazionale, dagli enti ecclesiastici, alle università, alle società di mutuo soccorso. Altra osservazione interessante emersa dalla rilevazione, riguardava la data di nascita di queste istituzioni. Il 70% delle organizzazioni prevalentemente impegnate nella solidarietà internazionale si è costituita dopo il 1990. Per quanto riguarda il capitale umano, all’interno delle 1.433 istituzioni no-profit individuate, venivano individuate circa 37.500 persone operative, nella maggioranza dei casi volontari che, per circa l’80% delle realtà, costituiva l’unica tipologia di risorsa impiegata. In relazione alla dimensione economica le fonti principali delle entrate venivano distinte tra quelle di origine pubblica e quelle di natura privata, con la predominanza di quest’ultimo settore. Facendo riferimento alle sole Odv (iscritte ai registri delle regioni e delle province autonome ai sensi della legge 266/91), il primo rapporto Cnel/Istat sull’economia sociale (2008), sui dati delle due rilevazioni Istat sulle Odv effettuate nel 2001 e nel 2003, per il settore cooperazione e solidarietà internazione individuava (nel 2003) un totale di 18 706 Odv con tendenze (in relazione alle risorse umane e finanziarie) analoghe a quelle emerse nel censimento relativo alle istituzioni noprofit, precedentemente viste. Tab. 2 Le Odv nel 2001 e nel 2003 Cooperazione e solidarietà internazionale Totale generale Italia Forma giuridica Ass. non ric. Ass. ric. Totale Altra forma Forma giuridica Altra forma 2003 Ass. non ric. Ass. ric. Settore 2001 Totale 131 200 7 338 289 406 11 706 10.184 7.979 130 18.293 10.72 10.076 173 21.021 Fonte: Cnel/Istat 2008 Nel 2006, secondo i dati Fivol (Frisanco 2006), le organizzazioni di volontariato che a livello nazionale si occupavano in maniera prevalente di solidarietà internazionale rappresentavano il 4,2% del totale delle Odv, percentuale che arrivava al 10% considerando anche quelle realtà che dichiaravano di realizzare un sostegno internazionale come attività secondaria. Tab. 3 La presenza di Odv in Italia. Fivol 2006 Totale Italia Tipologia settore Progetti (o sostegno) di solidarietà internazionale Fonte: Frisanco 2006 Attività prevalente (o esclusiva) Totale attività Attività prevalente (o esclusiva) Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud Isole 10,0 4,2 4,8 6,9 3,7 1,7 1,4 19 Secondo quanto si afferma in uno dei rapporti che analizza nello specifico la realtà delle associazioni di solidarietà internazionale (Di Blasio, Frisanco 2006), questo ambito, attraverso costanti campagne di informazione e di coinvolgimento della cittadinanza, si caratterizza per una forte capacità di sensibilizzazione sui temi e i problemi dei paesi in via di sviluppo. L’attività informativa ed educativa, ovvero il ‘dire’ è per queste organizzazioni strettamente connesso o intrecciato al ‘fare’. Nel suo approccio questo settore del volontariato opera anche come “mediatore culturale” svolgendo una funzione informativa, spesso alternativa a quella dei media mainstream rispetto ai problemi del Terzo e Quarto mondo. Contemporaneamente alle attività di informazioni, apre spazi di denuncia e crea consapevolezza. Da questa analisi emerge poi che circa l’80% delle organizzazioni risultano indipendenti dalle grandi sigle del volontariato nazionale e costituite in misura maggiore da soli volontari; si originano in media alla fine degli anni ’80 per iniziativa di gruppi di cittadini e risultano realtà leggere, poco formalizzate e strutturate e sono connotate da una ispirazione confessionale, che le avvicina alle istituzioni di Chiesa da cui talvolta nascono. D’altra parte sono meno propense ad iscriversi ai registri del volontariato (il 57,6% a fronte del 75% del totale). Tuttavia, sono organizzazioni capaci di importanti raccolte di fondi provenienti da varie fonti private, a cominciare dall’autofinanziamento, e sono quindi dotate di budget superiori a quelli medi delle Odv che si alimentano anche attraverso la vendita di beni e servizi oltre ad utilizzare maggiormente i benefici fiscali riconosciuti alle Onlus. Sono inoltre mediamente reticolari, in particolare risultano sinergiche con altre organizzazioni non profit, riuscendo a rapportarsi con altre Odv e con associazioni o movimenti socio-culturali. Per quanto riguarda il panorama toscano, sempre secondo i dati Fivol (Frisanco, Carnevale 2006) la percentuale di Odv che nel 2006 si occupava prevalentemente di solidarietà internazionale era pari al 3,9%, quota che saliva al 10,4% prendendo in considerazione anche quelle che svolgevano questa attività secondariamente. 20 Tab.4 La presenza di Odv in Toscana. Fivol 2006 Toscana Attività prevalente (o esclusiva) Tipologia settore Progetti (o sostegno) di solidarietà internazionale Totale attività Attività prevalente (o esclusiva) Centro Italia 10,4 3,9 3,7 4,2 Fonte: Frisanco, Carnevale 2006 Tra le ricerche empiriche di interesse regionale, troviamo l’ultima indagine condotta dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa (2004), tesa a disegnare la mappa dei soggetti toscani che si occupano di cooperazione decentrata. Secondo tale indagine, sono 1.085 i soggetti che si occupano nella Regione di solidarietà internazionale e cooperazione, con 1.197 progetti realizzati in 68 paesi del mondo. Per quanto riguarda le tipologie presenti, il Terzo settore ne raccoglie 460 (il 42%) ed è il gruppo più numeroso, gli enti pubblici sono 304 (il 28%) mentre all’interno del Terzo settore, quasi con l’83%, dominano le Onlus, le Ong riconosciute costituiscono il 6% e le cooperative sociali circa il 4%. La maggior parte delle iniziative ha come campo d’azione l’Africa e l’America latina; in particolare l’Africa è interessata dal 32°% del totale dei progetti, mentre l’America latina dal 25%. Gli altri interventi sono suddivisi tra Asia, Mediterraneo, Medio Oriente, Europa centroorientale ed Europa sud-orientale. In relazione al contesto regionale, tra i vari e differenti elementi che hanno contribuito ad attivare attori sociali e istituzionali intorno a nuove modalità operative e partecipative, rappresenta un fattore di primaria importanza, l’evoluzione di un modello come quello che la Regione Toscana ha implementato nell’ambito della cooperazione internazionale. Parlare oggi di cooperazione internazionale in Toscana significa infatti fare riferimento ad un sistema imperniato su una rete di soggetti locali capaci di esprimere gli interessi dei cittadini e di mobilitare le risorse presenti sul territorio: dalle amministrazioni locali, alle Ong, dalle associazioni di volontariato ai centri di ricerca, dalle fondazioni 21 bancarie alle aziende sanitarie per arrivare a Università e sindacati. Di fronte a ciò, il territorio si dimostra quindi l’elemento catalizzatore di idee, metodologie e approcci, mentre il rapporto tra attori sociali e autorità locali in senso ampio (regionale, provinciale e comunale) si presenta come il fattore decisivo per una cooperazione all’interno della quale ogni attore, pur nella diversità del ruolo svolto, è chiamato a fornire il proprio contributo in termini di conoscenze, competenze ed esperienze di un quadro comune di obiettivi e strategie. È all’interno quindi di questo scenario che prende le mosse la presente ricerca, nel tentativo in comprendere se, ed eventualmente come, gli attori di questa porzione di volontariato rispondono in termini di conoscenze, competenze ed esperienze alla richiesta di contribuire all’interno di quel quadro comune di obiettivi e strategie delineati dalla cooperazione decentrata. 3. La ricerca: obiettivi e attività Una delle definizioni più stimolanti del concetto di sviluppo, è quella che suggerisce Jean-Pierre Olivier de Sardan (1995), secondo il quale per Sviluppo è da intendersi “l’insieme dei processi sociali indotti da operazioni volontaristiche di trasformazione di un ambiente sociale, intraprese per mezzo di istituzioni o di attori esterni a questo ambiente, i quali cercano tuttavia di mobilitarlo mediante un innesto di risorse e/o tecniche e/o conoscenze”. Sono quindi due gli elementi peculiari, rispetto ad altri percorsi di cambiamento sociale: l’intento volontaristico e l’intervento di soggetti esogeni. Una interpretazione che ci fornisce le ‘prove’ dell’importanza delle associazioni di volontariato tra tutti gli attori che all’interno del Terzo settore si occupano di sviluppo; si tratta di una realtà che oltre ad essere qualitativamente rilevante, come già abbiamo avuto modo di affermare (sulla base di rilevazioni e indagini nazionali e locali), costituisce anche la parte numericamente più consistente dell’universo globale dell’associazionismo di solidarietà internazionale. L’evoluzione storica del concetto di sviluppo ha senza dubbio permesso di tracciare nuovi itinerari nel campo dell’aiuto internazionale, sia da un punto di vista metodologico sia per quanto riguarda gli approcci, così come 22 le crescenti e profonde disuguaglianze hanno prodotto un sempre maggiore interesse intorno a queste tematiche con la conseguente crescita del numero di soggetti (soprattutto della società civile). Un universo quindi fluido, cangiante e soprattutto molto eterogeneo al proprio interno. Ciò deriva non solo da differenze nella componente culturale (in particolar modo riconducibili all’area cattolica e laica), e quindi nel modo di intendere i problemi dello sviluppo, ma anche da differenze nella visibilità sociale e nelle capacità ‘professionali’ e istituzionali. L’indagine realizzata dal gruppo di ricerca del Dipartimento di Scienze storiche, giuridiche, politiche e sociali dell’Università di Siena e promossa dal Cesvot, si pone quindi l’obiettivo di identificare tali differenze, individuando le caratteristiche strutturali-organizzative, i modelli valoriali e culturali, la mission societaria che tali realtà perseguono, le risorse umane, materiali e simboliche di cui dispongono, le regole che orientano l’agire dei soggetti all’interno delle organizzazioni e verso l’esterno delle realtà toscane che operano in ambito internazionale. In particolar modo la ricerca ha inteso evidenziarne gli itinerari, la tipologia delle attività svolte, la numerosità e la qualità delle reti e dei legami, mettendo in evidenza se, ed eventualmente come, tali realtà si inseriscono nel complesso sistema della cooperazione decentrata regionale. Analizzare un ‘universo’, per molti aspetti sconosciuto e poco esplorato, verso il quale le istituzioni sembrano nutrire particolare attenzione, non può poi esimere dall’individuare anche quelle che sono le principali problematiche di settore, oltre alle aspettative delle stesse Odv di fronte alla complessità e alla eterogeneità degli attori presenti all’interno del modello toscano di cooperazione. Alla base di questi obiettivi, si pone l’ipotesi secondo la quale, proprio per le diversità operative, organizzative e anche valoriali, le Odv di questo vasto mondo indagato sono collocabili tra due poli di un continuum, identificabili da un lato, in un approccio orientato alla solidarietà internazionale e dall’altro in uno proiettato verso la cooperazione allo sviluppo. Un tentativo non certo facile, considerando l’uso 23 ‘indistinto’ che viene fatto dei due concetti, ma che offre l’opportunità di individuare meglio, attraverso un punto di vista innovativo, le specificità del settore, proiettandoci così alla scoperta di itinerari poco esplorati. Il gruppo di ricerca dell’Università, nelle fasi di costruzione e somministrazione del questionario è stato coadiuvato dai ricercatori del Centro Ricerche Etnoantropologiche (Crea) di Siena. Il ruolo di tale Centro si è esteso poi all’approfondimento qualitativo concretizzatosi attraverso la realizzazione di alcuni focus group. Dal punto di vista operativo, il percorso di ricerca si è articolato in più momenti (come descriveremo nel paragrafo 4 del presente capitolo). È comunque utile riepilogare quelle che sono state le azioni principali che hanno caratterizzato l’indagine. Ad una prima fase ‘esplorativa’, nella quale sono state recuperate direttamente dalle Odv contattate telefonicamente, informazioni utili per la comprensione del panorama associativo, è seguita la costruzione del questionario e la sua successiva somministrazione. Per questo contatto preliminare abbiamo individuato alcune Odv, direttamente dal database del Cesvot, distinguendole tra una mission internazionale svolta in maniera prevalente o come attività secondaria. Parallelamente è stata avviata la definizione di un percorso qualitativo che ha condotto l’équipe di ricerca a individuare alcuni temi centrali da approfondire attraverso la costruzione e la realizzazione di alcuni focus group con la partecipazione di esponenti delle Odv. Per quanto riguarda i risultati della somministrazione, come è possibile vedere dalla tabella riepilogativa, su 150 Odv, 92 sono state quelle il cui contatto si è concluso positivamente con la compilazione del questionario. Rispetto a ciò è da sottolineare come, mano a mano che i rilevatori incaricati di procedere alla somministrazione prendevano i rispettivi contatti, emergevano particolari situazioni che causando il mancato completamento del quadro individuato in partenza, riducendo così le realtà effettivamente interpellate. 24 Tab. 5 Riepilogo della somministrazione Tipologia dei casi Numero Odv Odv intervistate 92 Odv non più operative 12 Odv che non hanno attività internazionali 18 Odv irreperibili 11 Oltre il tempo massimo 8 Odv con caratteristiche non coerenti con l’indagine 5 Odv che rifiutano 4 Totale 150 Tali circostanze sono da individuare in una serie di fattori. In primo luogo, la presenza di Odv che pur essendo inserite all’interno del database Cesvot, come realtà attive nel campo della cooperazione, si sono rivelate totalmente estranee a questo settore (12%), a seguire, alcune Odv (l’8%) che non erano più operative al momento del contatto o con caratteristiche tipologiche non coerenti con il campo di osservazione (3%). Ulteriori fattori che hanno causato la riduzione dei contatti sono stati, l’irreperibilità (nel 7% dei casi) e l’indisponibilità (per il 3% delle Odv) a rispondere al questionario, adducendone a motivazione la mancanza di tempo e l’irrilevanza o l’inopportunità di tali indagini conoscitive. In conclusione si è registrato il fattore “oltre il tempo massimo”: Odv per le quali, e con le quali, è stato oggettivamente impossibile trovare una data di incontro nei tempi utili dell’indagine. 4. La metodologia Allo scopo di raggiungere gli obiettivi prefissati, la ricerca si è articolata in più fasi caratterizzate dall’uso di strumenti metodologici quantitativi e qualitativi. I risultati dell’indagine si riferiscono alle Odv che all’atto della loro costituzione hanno indicato tra i propri settori di attività (in maniera 25 prevalente o secondaria) la solidarietà internazionale e la cooperazione allo sviluppo. Punto di partenza per l’individuazione di questo universo è stato il database Cesvot, dal quale sono state estrapolate 150 Odv aventi le caratteristiche sopra menzionate. La prima fase dell’indagine, che si potrebbe definire ‘esplorativa’, ha visto la costruzione di una scheda informativa sottoposta ad un sottocampione di 40 Odv, con l’obiettivo di delineare e ‘testare’ le principali dimensioni che avrebbero trovato spazio all’interno del successivo questionario strutturato. La compilazione di tale scheda è avvenuta attraverso colloqui telefonici utilizzati anche come contatto preliminare con le singole Odv. La scheda è costituita da una serie di ambiti con l’obiettivo di realizzare una prima perlustrazione all’interno dell’universo da indagare. Le dimensione prese in esame prendono spunto, seppur con qualche aggiunta e modifica, a quella che è la regola delle 5 W (dall’inglese FiveWs), che prevede di considerare il ‘Chi’, ‘Cosa’, ‘Quando’, ‘Dove’ e ‘Perché’. Per ottenere maggiori informazioni sono state aggiunte anche l’aspetto del ‘Con chi’ (utile al fine di individuare forme di partnership ed eventuali collaborazioni) del ‘Quanto’ (relativo alla disponibilità economica registrata dall’associazione) e del ‘Come’ (importante per comprendere le tipologie di attività messe in campo). Tab. 6 Riproduzione della scheda utilizzata nella fase esplorativa COSA Tipologia di progettualità In quale settore Dove (Italia, Europa, mondo) Da quanto tempo COME Tipologia di finanziamento Pubblico Enti locali Regione Provincia Comune Privato Unione europea Ministero Fondazioni... Raccolta fondi 26 CON CHI Tipologia di risorse umane impiegate Tipologia di relazioni/partner (reti, alleanze, consorzi...) Volontari Cooperanti Esperti Altro Per cosa (Progetti, attività, lobby...) Con chi (Associazioni, enti locali, ecc.) Personale impiegato Volontari Per quanto tempo (Stabili, occasionali, ecc.) CHI FA COSA Tipologia di struttura operativa Organizzazione Uffici Altro (Sede in affitto o proprietà, ecc.) QUANTO Bilancio DA QUANDO Origine Storica 4.1 Lo strumento di rilevazione Sistematizzati e analizzati i dati emerse dalle schede, si è proceduto con la seconda fase. La ricerca è stata realizzata utilizzando un questionario strutturato (riportato in appendice), composto da 56 domande appositamente predisposte per raccogliere le informazioni finalizzate ad analisi di tipo statistico. Il questionario è stato formulato utilizzando prevalentemente domande chiuse, anche se erano presenti domande a risposta multipla e aperte. Prima di procedere con la somministrazione il questionario è stato condiviso con la responsabile del settore ricerca del Cesvot. Il questionario è stato articolato in sette raggruppamenti tematici che rappresentano le dimensioni considerate prioritarie che la ricerca intendeva esplorare: la prima sezione è dedicata alle informazioni di base: tale sezione è necessaria al fine di recuperare tutte quelle informazioni biografiche e strutturali per delineare le prime caratteristiche delle Odv. Le successive sezioni sono finalizzate a raccogliere informazioni relative a specifiche aree tematiche quali: organizzazione del lavoro; 27 fonti di finanziamento; forme comunicative; relazionalità; formazione. Ultima sezione di domande è quella riguardante le problematiche di settore e le aspettative di sviluppo e crescita da parte dei soggetti intervistati. 4.2 La somministrazione La somministrazione del questionario è stata realizzata tra febbraio e aprile 2012. L’équipe di intervistatori è stata rappresentata dai ricercatori membri del Crea appositamente formati e istruiti attraverso alcuni incontri che hanno permesso di condividere gli obiettivi e le finalità della ricerca. Attraverso tali incontri, realizzati anche durante il periodo di somministrazione, è stato possibile individuare e superare alcune difficoltà e condividere alcuni aspetti qualitativamente rilevanti che non potevano emergere dal questionario. I questionari sono stati somministrati face to face, basandosi sulle modalità di contatto e di conduzione dell’intervista (concordate e condivise) proprie del Crea. 4.3 Il trattamento dei dati Al fine di garantire la qualità delle informazioni raccolte con i questionari, sono stati effettuati alcuni controlli, primo fra tutti è stato verificato che i questionari fossero stati completati in modo corretto ed esauriente, provvedendo, eventualmente all’esclusione dal trattamento statistico di quelli incompleti. L’analisi dei dati è stata condotta attraverso l’uso del software dedicato all’analisi statistica Spss ed è stata preceduta da controlli a più livelli: – cleaning dei dati (controlli di plausibilità/out of range, domande filtro) – trattamento delle “non risposte” (missing valuese non pertinenti) – controlli di congruenza e controlli incrociati – codifica delle domande aperte Si è poi proceduto alla costruzioni di alcuni indici con lo scopo di rilevare la collocazione delle Odv intervistate su alcune variabili significative per la ricerca. 28 4.4 La fase qualitativa La terza e ultima fase della ricerca è stata quindi caratterizzata dalla realizzazione di quattro focus group. I focus group realizzati nell’ambito della ricerca sono stati progettati per meglio individuare le specificità di un modello toscano della cooperazione allo sviluppo, e in particolare per evidenziare gli itinerari operativi delle organizzazioni di volontariato, la tipologia delle attività svolte, la numerosità e la qualità delle reti e dei legami, mettendo in evidenza come tali realtà organizzative si inseriscono nel complesso sistema della cooperazione decentrata regionale. Al primo focus group sono state invitate un gruppo di 5 Odv operanti nel territorio senese; l’obiettivo di questo focus group è stato quello di testare l’efficacia del questionario elaborato e l’incisività delle tematiche. Successivamente sono stati realizzati due focus di 5 Odv ciascuno, formati secondo due criteri: 1. Grandezza in termini di bilanci dichiarati 2. Grandezza in termini di numero di volontari Il terzo focus group composto sempre da 5 Odv, costruito secondo un criterio di prossimità territoriale: 1. organizzazioni operanti nelle province di Grosseto, Livorno, Pisa (costa tirrenica). Le fasi di progettazione, conduzione e analisi dei focus group (escluso quello ‘pilota’ realizzato con le Odv operanti nel territorio senese curato dai ricercatori dell’Università di Siena) sono state a cura del Crea. Per rispondere agli obiettivi euristici affidati all’azione di ricerca dei focus group, la progettazione degli stessi si è tradotta in una struttura dialogica composta da differenti punti di riflessione: – riflessione sul significato dei termini “cooperazione allo sviluppo” e “solidarietà internazionale”; – ruolo in Toscana delle Odv di volontariato nell’ambito di riferimento, tipo di rapporti e legami tra le realtà dello stesso ambito; – intensità e qualità del rapporto con gli enti locali, spazi di dialogo/azione con gli enti locali, in particolar modo con la Regione 29 Toscana e le sue opportunità di azione; – riflessione intorno all’esistenza di un modello toscano per la solidarietà internazionale; – problematiche di settore, aspettative e proposte per il futuro. Tali punti sono stati a loro volta riuniti in modo articolato in macro-aree di riflessione, definite nella progettazione con il termine di “focus di riflessione”, e introdotte e/o accompagnate da schede di “materiali di stimolo”. I focus di riflessione previsti per ogni incontro sono stati fondamentalmente tre, oltre a un momento introduttivo, pensato come fase di avvicinamento agli argomenti più specifici dei tre focus tematici di riflessione e come occasione di confronto iniziale fra gli aderenti alla giornata di lavoro, dopo la fase di presentazione: un primo focus, inerente il ruolo delle Odv e delle organizzazioni della società civile nel sistema toscano di cooperazione allo sviluppo e solidarietà internazionale, un secondo, in merito al rapporto con gli enti locali e l’esistenza di un modello toscano di solidarietà internazionale e un terzo focus riguardante le problematiche del settore, le aspettative e le proposte per il futuro. Le schede approntate per i diversi momenti di riflessione della giornata (riportate in appendice) sono state realizzate utilizzando materiali di differente natura (citazioni di esponenti di spicco del panorama italiano della cooperazione allo sviluppo e della solidarietà internazionale, rappresentazioni grafiche, vignette e disegni realizzati in concorsi scolastici a tema o a fini di satira giornalistica, sintesi di dati e statistiche reperiti da fonti di letteratura specialistica). Obiettivo di tali materiali era quello di stimolare l’intervento dei partecipanti con provocazioni cognitive che potessero toccarli direttamente, sia in termini di adesione, di consenso verso i contenuti presentati, sia in termini di dissenso o di interrogazione critica degli stessi. 31 Capitolo 1 Una prima carta di identità 1. La nascita di un settore L’obiettivo di questo primo capitolo è quello di scattare una fotografia, la più dettagliata possibile, in merito alle caratteristiche strutturali (settori di intervento, aree geografiche, composizione, ecc.) dei soggetti del volontariato internazionale, con l’obiettivo di fornire ai decisori e a tutti gli attori e soggetti interessati, gli strumenti necessari per orientarsi all’interno di questo eterogeneo panorama. L’individuazione delle caratteristiche di un insieme di realtà associative, al fine di comprenderne e spiegarne le dinamiche evolutive e gli orientamenti operativi, non può che partire dal prendere in esame il primo tra gli elementi biografici, l’età, fattore determinante per definire alcuni tratti identitari dell’ambito che è oggetto di indagine. Dall’analisi delle risposte si evidenzia in primo luogo come questo sia un settore, da un punto di vista ‘anagrafico’, divisibile in due grandi famiglie: un primo gruppo, costituito dal 45% delle Odv, definibile sicuramente come i millennials, ossia realtà nate in pieno terzo millennio (che svolgono attività inerenti la solidarietà internazionale dai 4 ai 10 anni) a cui si deve sommare un ulteriore 7% di realtà con un ‘curriculum’ inferiore ai 3 anni; un secondo gruppo, il 48%, che dichiara una presenza sul territorio che supera i dieci anni di anzianità e quindi presumibilmente nate nel Novecento o al massimo ‘a cavallo’ tra i due secoli. Un dato questo che sembra essere in linea con la tendenza nazionale, secondo la quale, in base all’indagine sulle Organizzazioni di volontariato condotta dall’Istat (2006), il 70% delle organizzazioni che si occupano di solidarietà internazionale è stato costituito dopo il 1990. Sul territorio toscano, se le Odv hanno un’età media di 49 anni, quelle dedicate alla solidarietà internazionale registrano un valore medio di 11 anni, a fronte di un’età massima di 29 e una minima di 3 anni (Irpet 2009). 32 Graf. 1 Presenza storica delle Odv nel settore di riferimento Una storia molto giovane quindi, frutto di un insieme di dinamiche che hanno caratterizzato in special modo l’ultimo decennio del XX secolo e il primo del XXI. La giovane età media di queste esperienze, in Toscana come nel resto del Paese, non deve però ingannare in quanto, nell’ambito della storia dell’associazionismo, il settore impegnato nella dimensione internazionale è stato e costituisce senz’altro ancora oggi, uno di quelli che può vantare tra le più lunghe esperienze operative potendo rivendicare oltre trent’anni di storia, basata su un crescendo di valorizzazione e di riconoscimenti sia sul piano dei rapporti con le istituzioni che dei modelli operativi sperimentati rispetto all’obiettivo della cooperazione come strumento di solidarietà tra i popoli (Lembo op. cit.). Altro aspetto biografico significativo è individuabile nel fatto che la nascita di queste organizzazioni è connotata in prevalenza dalla iniziativa autonoma di gruppi di cittadini, rispetto alla tradizionale capacità di affiliazione delle centrali nazionali del volontariato, di associazioni di livello superiore o della promozione ecclesiale. Il 69% delle Odv intervistate dichiara infatti di non essere l’emanazione territoriale di una organizzazione nazionale. Un dato questo, che va in netta controtendenza rispetto a ciò che emerge da altre indagini (Frisanco 2006) per le quali il 63% delle unità solidaristiche toscane 33 risultano dipendenti, ovvero legate da un rapporto di affiliazione o federativo con le sigle del volontariato nazionale. Il settore del volontariato internazionale invece è quello che più di altri (insieme a quello culturale e a quello orientato alla tutela dei diritti), risponde ad un fenomeno di cittadinanza attiva, caratterizzato dalla crescente formazione di gruppi che sono espressione dell’autorganizzazione di cittadini che si mobilitano per affrontare temi e problemi sentiti dalle loro comunità territoriali. La crescita di tante piccole unità indipendenti, se da un lato può significare maggiore frammentazione, dall’altro può essere visto anche come una novità di senso nell’agire volontario, per l’orientamento ai nuovi bisogni e forme inedite di protagonismo dei cittadini responsabili, oltre al fatto che potrebbe rappresentare l’indicatore di un certo dinamismo del settore stesso e quindi anche di un proprio percorso di ‘maturazione’. Inoltre tale origine delle compagini solidaristiche tende a far crescere nel tempo la connotazione laica e aconfessionale del fenomeno (già nel 2001 erano in calo le Odv che avevano una chiara matrice confessionale) per cui, più che le matrici culturali di appartenenza contano, per gli aderenti, la focalizzazione sulla mission e sugli obiettivi operativi. 2. Gli ambiti di intervento Dal punto di vista dell’impegno tematico dentro il vasto mondo del volontariato internazionale, il nostro universo indagato si rivela molto sfaccettato, occupandosi di una pluralità di settori. Per evidenziare questo aspetto è stata data la possibilità, nella specifica domanda, di indicare più di un ambito di riferimento. In virtù di ciò sono tre i macro settori emersi che interessano la stragrande maggioranza delle Odv: l’educazione (per il 79% delle Odv) la sanità (70%) e il sociale (63%). L’ambito dell’agricoltura, che tradizionalmente è quello che più di ogni altro caratterizza gli interventi di cooperazione internazionale, coinvolge solo un terzo delle realtà intervistate. Un dato questo che potrebbe fornire elementi interessanti al fine di legittimare l’ipotesi secondo la quale è possibile operare, tra le nostre Odv, una distinzione tra un agire internazionale prettamente solidaristico e un agire 34 orientato alla cooperazione allo sviluppo. Altro settore che raccoglie l’interesse del 33% delle Odv è quello della cultura. Di minore appeal sono gli ambiti del commercio e credito (25,6%), dell’artigianato (21%), dell’ambiente e dell’emergenza (entrambi con il 18,9%). Solo l’8,9% delle realtà dichiara di agire in un contesto di rafforzamento delle Istituzioni e Governance. Graf. 2 Settori presidiati dalle Odv A fronte di questa distribuzione settoriale, abbiamo voluto scendere un po’ più in profondità chiedendo ai nostri interlocutori verso quali ‘categorie’ di beneficiari fossero rivolte le attività realizzate. Coerentemente con l’ambito principale indicato, per l’83% delle Odv sono i bambini e l’infanzia in generale ad incanalare i maggiori flussi progettuali e a orientare le iniziative; si tratta comunque di attività che nel 61% dei casi vengono rivolte verso la popolazione rurale, un contesto sicuramente più vulnerabile e quindi oggetto di una particolare attenzione. Inoltre occorre sottolineare che molte attività sono indirizzate al sostegno della vulnerabilità femminile, come mostra il fatto che poco più della metà delle Odv si occupa di donne. 35 Graf. 3 Tipologie di beneficiari 3. La presenza nel mondo Dopo aver visto in quali ambiti e verso quali beneficiari è protagonista questo particolare settore del volontariato toscano, in quali aree geografiche del mondo esso è maggiormente presente? In tal senso, il continente africano è il contesto territoriale entro il quale la stragrande maggioranza delle Odv (il 66,3%) cerca di realizzare la propria mission. A seguire, l’America latina è l’altra grande area che vede la presenza di quasi la metà delle organizzazioni indagate. Graf. 4 La distribuzione geografica delle Odv 36 Non è un caso infatti che siano proprio questi due continenti a rappresentare le maggiori aree di intervento. Si tratta di due contesti che, oltre a considerare la difficoltà oggettiva di alcune situazioni sociali ed economiche, si sono ‘divisi’ fin dalla nascita della solidarietà internazionale negli anni ‘60/’70, l’interesse e la presenza di gran parte delle Odv operative in questo ambito. Altri territori che vedono il coinvolgimento delle nostre Odv, seppur con una minore presenza, sono l’Asia (con il 27%), l’area del Mediterraneo e del Medio Oriente (26%). Paradossalmente, territori più vicini a l’Italia, e quindi più facilmente raggiungibili (sotto tutti i punti di vista) come tutta l’area dell’Europa Centro-Sud Orientale, sono quelli all’interno dei quali c’è una presenza minore. Un fatto forse spiegabile con la difficoltà di operare in contesti che sono meno conosciuti o meno riconoscibili in termini di vulnerabilità, esclusione e disuguaglianze, o forse perché l’immaginario delle nostre Odv, relativo alla povertà e alle disuguaglianze è ‘colonizzato’ ancora dall’asse Nord/Sud. Per quanto riguarda la presenza all’interno delle singole aree geografiche, è possibile anzitutto dire che le nostre Odv sono attive in 75 paesi del mondo. I grafici sottostanti evidenziano, su ciascun paese, la presenza di Odv e il numero di province toscane interessate. Il dato che salta agli occhi è come, in alcuni territori, si registri una concentrazione maggiore di Odv rispetto alle province. Ciò porta a constatare che su una stessa area geografica ci sono più Odv operative appartenenti alla medesima provincia. Tale sovrarappresentazione, se non inclusa all’interno di logiche di rete, di precise strategie “di Paese” (come è presumibile e come cercheremo di analizzare più avanti), ripropone il tema della necessità di una vision condivisa e soprattutto di un ruolo degli attori istituzionali in grado di coordinare (nel rispetto delle autonomie e delle specificità di ciascuna realtà) le azioni. In Palestina, per esempio, operano 7 diverse Odv di 3 province differenti (Siena, Pisa e Firenze). Pisa con 4 realtà associative attive è quella che ha un presidio più alto. Oltre alla Palestina, registriamo una presenza in Iraq con 3 Odv (2 della provincia di Pisa e 1 di Siena), in Libano con 2 e in Israele con 1 Odv. 37 Graf. 5 Distribuzione di Odv e province in Medio Oriente Palestina 2 Libano Israele Iraq 1 4 1 1 Massa Arezzo Grosseto Lucca Prato Pisa Livorno Siena Pistoia Firenze Tab. 7 Numero di Odv presenti nel Paese, per provincia 1 1 2 In Europa Orientale, le due realtà maggiormente presenti sono da un lato la Bielorussia con 6 Odv appartenenti a 4 province differenti (Pisa e Lucca 2, Pistoia e Prato 1 ciascuno), e l’Albania dove sono attive 5 Odv di 4 province diverse (Firenze 4, Pistoia, Siena e Livorno con una a testa). 38 Graf. 6 Distribuzione di Odv e province in Europa Orientale Armenia 1 Bosnia 2 1 1 2 1 Bulgaria Romania Massa 1 Bielorussia Kosovo Arezzo 1 Grosseto 1 Lucca Livorno 1 Prato Siena 2 Pisa Pistoia Albania Firenze Tab.8 Numero di Odv presenti nel Paese, per provincia 1 1 1 1 1 1 39 Graf. 7 Distribuzione di Odv e province in Asia 1 1 India 5 1 Nepal 1 1 1 1 3 1 Pakistan 1 SriLanka 2 1 Taiwan Thailandia 2 1 1 1 Timor Est 1 Vietnam 1 1 1 1 1 1 Russia 1 1 Massa Livorno 2 Arezzo Filippine Grosseto 1 Lucca Cambogia Prato 1 Pisa Afganistan Siena Pistoia Firenze Tab. 9 Numero di Odv presenti nel Paese, per provincia 40 Il continente africano è senza dubbio, come abbiamo già avuto modo di affermare, l’area all’interno della quale si muovono più realtà associative. Cerchiamo di vedere nello specifico, quali sono i principali paesi interessati dalle attività delle nostre Odv. Fig. 1 Presenza di Odv nel continente africano Odv presenti 13-17 7-11 1-3 3-6 41 Algeria 3 Benin 3 Burkina 5 Camerun 2 2 Costa d’Avorio 1 1 Egitto 1 2 Eritrea 2 1 Etiopia 1 1 1 1 2 5 1 1 1 1 1 1 1 1 Gambia 1 Ghana 1 1 Libano 1 2 Madagascar Mali 2 Marocco 1 Mozambico 1 Nigeria 2 Rep. Cent.Afr. 1 Rep. Dem. Congo 7 1 1 1 1 1 1 1 1 1 2 1 1 1 1 1 1 3 1 Ruanda 3 2 Sahara Occ. 2 1 4 4 1 Senegal 2 1 2 2 3 2 Massa Arezzo 1 Gabon Kenya Grosseto 2 Angola Guinea Lucca Prato Pisa Livorno Siena Pistoia Firenze Tab.10 Numero di Odv presenti nel Paese, per provincia Sudafrica Massa Arezzo Grosseto Lucca 1 Sudan 1 Swaziland 1 Tanzania 1 Togo 1 1 1 1 1 Tunisia 2 Uganda 2 Zambia Prato Pisa Livorno Siena Pistoia Firenze 42 1 Il primo evidente elemento che caratterizza questo continente è la frammentazione: 33 paesi, 129 presenze, 9 province coinvolte: un vero e proprio ‘esercito’ umanitario. A fronte di questa situazione così frastagliata, possiamo però individuare almeno quattro poli di interesse che spiccano per presenza. Il primo paese in assoluto in termini di Odv che vi lavorano è la Repubblica democratica del Congo con 17 realtà appartenenti a 6 province (7 Odv della provincia di Firenze, 3 di Pisa e Lucca, 2 di Arezzo). L’altra grande realtà interessata è il Burkina con 15 Odv di 6 province differenti. Con 12 Odv di 5 province differenti ma ‘riunite’ intorno alla causa del popolo Saharawi, il Sahara occidentale è il terzo polo di aggregazione. Anche il Senegal con 10 Odv rappresenta un centro di interesse abbastanza importante. Analoghe dinamiche si registrano per quanto riguarda il continente sudamericano: grande frammentazione e alcuni poli di attrazione. Tra questi il Brasile, che raccoglie l’interesse operativo di 17 Odv provenienti da 6 province e il Perù che vede al proprio interno, l’attività di 15 Odv. 43 Fig. 2 Presenza Odv nel continente sudamericano Graf. 8 Odv e province in America Latina 44 Argentina 1 1 Bolivia 2 1 1 Brasile 8 2 1 Cile 1 Colombia 2 1 1 Cuba 1 Ecuador 3 El Salvador 1 1 1 1 1 1 1 Haiti 1 Messico 2 Nicaragua 2 1 2 Perù 4 1 1 Rep. Dominicana 1 Venezuela Massa Arezzo Grosseto Lucca Prato 1 3 1 2 Uruguay 1 2 1 Guatemala Pisa Livorno Siena Pistoia Firenze Tab. 11 Numero di Odv presenti nel Paese, per provincia 1 1 1 1 4 2 3 1 1 1 Volendo sintetizzare il senso della presenza geografica delle nostre Odv nel mondo, il titolo di un famoso libro, “Va dove ti porta il cuore” rende perfettamente l’idea della realtà. Potremmo infatti individuare nei “fattori emotivi”, il fil rouge, il ‘senso’ di molte scelte di posizionamento delle Odv. Scelte che derivano dalle origini della propria storia, dalle esperienze fatte, dagli incontri avuti che, se non tengono conto dell’esistenza e della presenza di altre realtà analoghe, danno vita ad una serie infinita di non-strategie e quindi ad una dislocazione territoriale così frammentata. Restando in tema di paesi, una delle caratteristiche che emerge e che contraddistingue quasi la metà delle Odv 45 (il 45%), è la concentrazione dei propri sforzi e delle proprie risorse in un solo paese, come se le Odv lo ‘eleggessero’ a “paese adottivo” verso cui orientare tutte le scelte progettuali e quindi anche le attività promozionali e di sensibilizzazione. Un terzo delle Odv invece è operativo fino a quattro paesi, mentre il 22% è presente in cinque o più contesti. Anche queste considerazioni possono aggiungere a nostro avviso un’ulteriore ‘crocetta’ nel gioco delle differenze tra chi agisce sull’onda della solidarietà internazionale o chi secondo logiche più ampie di cooperazione. Generalmente mentre i primi, ‘reduci’ da esperienze di viaggio o conoscenze personali (come vedremo più avanti), rimangono ‘attaccati’ emotivamente solo a quel paese e ad uno solo, indirizzandovi ogni sforzo e ogni risorsa, i secondi ragionando più in termini ‘maturi’, con una vision orientata ad una cooperazione vera e propria, cercano di allargare il proprio raggio di azione. Graf. 9 Presenza internazionale 4. Il capitale umano: soci e volontari Lo sviluppo è una questione di uomini e donne che devono essere al centro di ogni processo di cambiamento. Per questo le risorse umane sono l’elemento primo e fondamentale di una Odv che si occupa di solidarietà internazionale (Alberti, Giudici 2003). Sebbene tale riflessione possa sembrare scontata e genericamente applicabile a tutte le forme di associazionismo che popolano l’affollato mondo del Terzo settore, per quelle Odv che lavorano nel Sud del mondo il concetto 46 assume una connotazione particolare. Il contatto con contesti e culture differenti, decreta la necessità di persone che, oltre ad essere fortemente motivate, devono possedere capacità relazionali e competenze, in sintesi racchiudere quel mix tra sapere e saper fare necessario per ottenere risultati importanti. Come sostiene Tarozzi (1985) il volontario internazionale deve riassumere in sé tre ordini di caratteristiche che contraddistingueranno i suoi output: come lavoratore creare valore, come cooperante trasmettere conoscenze fino alla creazione del suo proprio omologo locale, come soggetto di un rapporto solidaristico stabilire relazioni dotate di senso. Dal punto di vista della dimensione quantitativa, rilevata in prima battuta esclusivamente dal numero di soci, possiamo senz’altro affermare che vi è una netta distinzione tra Odv piccole, medie e grandi, dove quest’ultime (con oltre 30 soci) sono la maggioranza con il 56%. Ma non ci si lasci ingannare dal dato. Qui infatti stiamo parlando di soci, di persone che condividono una vision, delle finalità, ma che non necessariamente sono operative e attive all’interno dell’associazione affinché tali finalità possano concretizzarsi. Per questo motivo si è dimostrato opportuno scindere la figura del socio da quella del volontario attivo, operante con continuità nelle attività dell’associazione. Una distinzione che si rivela ancor più necessaria in un contesto come quello del volontariato internazionale, all’interno del quale, le dinamiche di turn over sono maggiori che in altri contesti e la partecipazione può dimostrarsi più impegnativa in termini di tempo da spendervi (condizionata dalle vicende naturali della vita come il matrimonio, i figli, la pensione), di presenza di competenze specifiche e non di meno di risorse economiche da dedicarvi. In virtù di ciò, notiamo come la classificazione precedentemente stilata, si ribalti: sono le medie (da 11 a 30 volontari attivi) e le piccole Odv (da 1 a 11) quelle che si dividono la scena di questo panorama, rispettivamente con il 45% e il 42%. Solo il 13% dichiara di avere oltre 30 volontari che con continuità si dedicano alle attività dell’associazione. 47 Graf. 10 Confronto tra la presenza di soci e volontari attivi Un dato che conferma la tendenza generale all’interno del panorama italiano: Odv come piccoli gruppi di persone che nella maggioranza dei casi non superano i 20 operatori. Tale fenomeno di assottigliamento delle organizzazioni è dovuto al concorso di due fattori: la difficoltà di molte associazioni a garantire il necessario e fisiologico turn over di volontari e la nascita di nuove realtà basate sull’attività di pochissimi soggetti (Frisanco 2006a). Peculiarità che se da un lato evidenzia la ‘ricchezza’ di un tessuto sociale, la forza, il dinamismo e la maturità di una società civile con un forte spirito di cittadinanza attiva, dall’altra può rappresentare un punto di debolezza rispetto a quei temi tanto cari alla cooperazione allo sviluppo di efficacia ed efficienza dell’aiuto. Ciò che sarebbe opportuno consolidare quindi (e creare là dove non c’è) è un maggiore coordinamento, affinché le scelte (di settore, territoriali, progettuali, ecc.), pur nella piena autonomia e indipendenza, possano essere il frutto di una politica condivisa e di una strategia razionale che conduca ad un rafforzamento di tutto l’ambito e non ad una mera “concorrenza autoreferenziale”. Integrando inoltre con informazioni di precedenti indagini condotte sul territorio regionale (Irpet 2009), possiamo aggiungere quelle che sono alcune caratteristiche strutturali dei soggetti volontari impegnati nello specifico settore della solidarietà internazionale. Il quadro che 48 emerge evidenzia un volontariato prevalentemente femminile (63% contro il 37%), giovane ma non troppo, è infatti la fascia di età tra i 35 e 64 anni a dominare con il 49%, seguita da quella tra i 15 e i 34 anni (23%), con un livello di istruzione medio alto (il 53% possiede un diploma e il 38% è laureato). 5. La dimensione economica Le dimensioni strutturali trovano un riscontro oggettivo anche analizzando il volume economico. A tale riguardo la maggioranza delle Odv (il 66%) dichiara di aver avuto nel corso del 2011 un bilancio inferiore ai 50 mila euro (di cui il 22%, addirittura inferiore ai 10 mila), mentre il 18% tra i 50 e i 100 mila euro e solo il 14% indica una bilancio superiore ai 100 mila euro. Graf. 11 Bilancio 2011 Per aggiungere ulteriori informazioni, è stato successivamente messo in relazione il numero dei volontari attivi con la dimensione economica dichiarata. Da questa analisi emerge in primo luogo come tra le Odv ‘piccole’ (che contano da 1 a 10 volontari), l’85% si trova sotto la soglia dei 50mila euro annui (tra cui un 5% che dichiara di aver chiuso un bilancio a zero), contro il 16% che è oltre tale fascia. Un 49 rapporto che non deve destare stupore, dal momento che soprattutto in un settore come quello preso in esame, le risorse umane disponibili rappresentano un elemento decisivo per raggiungere determinati obiettivi, anche economici. Il divario della forbice tende quindi a ridursi all’aumentare delle dimensioni: mano a mano che il numero dei volontari cresce, le percentuali delle due fasce di budget (sotto i 50 mila e sopra i 50 mila) tendono ad avvicinarsi sempre più, fino a raggiungere la perfetta parità tra quelle Odv che hanno al proprio attivo oltre 30 volontari. 6. La forza progettuale Per capire poi la “forza incisiva” delle Odv, la loro “continuità operativa”, abbiamo chiesto di indicare il numero di progetti realizzati negli ultimi tre anni. A tale riguardo, quando si parla di ‘progetto’ in un ambito come quello del volontariato è importante fare alcune premesse che, soprattutto in un contesto operativo come quello internazionale, risultano essere oltreché necessarie anche in qualche modo discriminanti. Cosa è un progetto? Come viene inteso dalle nostre Odv? Nel lessico della cooperazione allo sviluppo, il progetto è un complesso processo di scelte, analisi, attori, risorse. Un insieme di dinamiche di non facile gestione. Costruire una scuola, piuttosto che un dispensario o un pozzo (in molti casi senza prevedere altre azioni ‘prima’ o ‘dopo’) seppur definibile con il termine ‘progetto’, molto spesso non coincide con attività tipiche della cooperazione allo sviluppo. A fronte infatti di un ciclo del progetto che nell’ambito della cooperazione allo sviluppo prevede una serie di fasi ben strutturate, azioni da svolgere, attori da coinvolgere, molto spesso, raccolte le risorse (attraverso le più svariate attività di sensibilizzazione) queste vengono portate direttamente nel paese destinatario e una volta costruita la scuola, il dispensario o il pozzo, si riparte. Una precisazione che ritroveremo in seguito e che ritornerà molto utile al fine di specificare quella distinzione operativa che sta alla base della nostra ipotesi. Fatte queste premesse, vediamo come il panorama associativo preso in esame sia molto eterogeneo in termini di 50 operosità. Se infatti il 31% dichiara di aver realizzato meno di un progetto all’anno (nell’arco degli ultimi tre anni), il 37% risulta essere poco più attivo con 5 progetti nell’arco di tempo considerato. Più aumentano i progetti realizzati, più diminuiscono le percentuali delle Odv presenti: da due a tre progetti all’anno per il 23% delle realtà, fino ad arrivare a oltre dieci progetti negli ultimi 3 anno per l’8% delle Odv. Graf. 12 Progettualità 2009-2012 Per quanto riguarda il numero di progettualità realizzate nell’arco degli ultimi tre anni, sono ovviamente le Odv che hanno maturato una storia superiore i dieci anni ad avere una maggiore operatività. La dimensione economica in questo caso non sembra avere un’incidenza importante; mentre più rilevante risulta essere senza dubbio il numero di volontari attivi. Tra quelle Odv che registrano un numero basso di progettualità (meno di 3 progetti), il 70% è rappresentato da Odv piccole in termini di volontari attivi. Con l’aumento delle dimensioni, anche il numero delle realizzazioni tende a crescere. Non molti progetti quindi, una scelta che per la maggioranza delle Odv rappresenta la volontà di focalizzarsi in obiettivi limitati nel tempo, certi e sicuramente anche più immediatamente ‘leggibili’ da parte dei sostenitori. 51 A testimonianza di ciò, anche la durata temporale degli stessi progetti fornisce informazioni utili: nel 43% dei casi, le attività realizzate hanno un corso limitato ad un anno (tra questi, per il 19%, addirittura meno di una anno). Come per il numero dei progetti, anche in questo caso il rapporto è inversamente proporzionale: più aumenta l’impegno e la continuità temporale, più diminuisce il numero di Odv che lavorano con progettualità a lungo termine: se da un lato il 39% delle realtà produce un impegno almeno biennale (da 2 a 4 anni), il 18% delle Odv intervistate dichiara che i propri sforzi sono rivolti a progettualità di lungo periodo che coprono i 5 anni. Graf.13 Durata dei singoli progetti In egual misura, se andiamo ad analizzare il volume economico medio di ciascun progetto (sempre relativo agli ultimi 3 anni), ci accorgiamo che quanto sopra descritto è ulteriormente avvalorato. Il 61% delle Odv infatti realizza progetti con un budget medio inferiore ai 15 mila euro (tra questi, il 18% addirittura, sotto i 5 mila euro), mentre solo il 18% rientra nella fascia di progetti sopra i 30 mila euro. 52 Graf. 14 Budget medio dei progetti In virtù di ciò, possiamo sintetizzare questi aspetti relativi alle attività progettuali, con lo slogan “pochi ma certi”; pochi progetti, limitati nel tempo e dai costi ridotti e sostenibili. Si tratta di un fenomeno che non va considerato necessariamente in termini negativi, tutt’altro, ma che dimostra senza dubbio, come l’approccio delle nostre Odv sia più orientato verso un agire internazionale solidaristico, che verso dinamiche tradizionali di cooperazione allo sviluppo. 7. Tra volontariato e professionismo L’approccio volontaristico alla ‘vita’ associativa e alla gestione delle attività rappresenta uno dei tratti essenziali che contraddistingue, senza dubbio, l’identità delle nostre Odv. E’ opinione condivisa infatti, tra chi si occupa a vario titolo di economia sociale, che proprio le risorse umane che operano nel mondo del volontariato costituiscano il valore aggiunto che questa consistente parte del settore non profit riesce a esprimere, sia in termini di volume di servizi offerti sia in termini di sviluppo del settore stesso; la gratuità del servizio è, a sua volta, il cuore dell’azione delle risorse umane che operano nel volontariato. La gestione volontaristica delle attività viene così considerata anche da molti attori che operano nel campo della solidarietà internazionale come l’elemento peculiare del proprio agire, oltre che l’ingrediente necessario per determinare il buon esito delle attività, grazie a quel valore aggiunto di ‘empatia’ e sensibilità che un approccio volontario 53 può fornire in misura maggiore nelle varie fasi di gestione delle attività, non per ultime le dinamiche relazionali con i beneficiari. All’interno del settore internazionale che stiamo analizzando, caratterizzato da una crescente specializzazione e articolazione nelle metodologie, nelle relazioni e nelle attività stesse, l’autentica e genuina finalità solidaristica degli associati verso il proprio impegno nella cooperazione, se inserita in un’ottica più professionale, potrebbe rappresentare un ostacolo, un freno, rallentando non solo il normale svolgimento delle attività progettuali, ma anche provocare evidenti e inevitabili conseguenze sul destino dell’organizzazione stessa (Lenzi Grillini, Malfatti, Pellecchia, Zanotelli 2012). Nonostante molti operatori del settore condividano e rivendichino la scelta di lavorare con un approccio volontario, come una scelta consapevole e programmatica, non è difficile trovare molte Odv che “si aprono” alla presenza di personale retribuito. Anche se per molte realtà associative l’esperienza acquisita direttamente sul campo può rappresentare un valore aggiunto che le porta a non sentire la necessità di operare (per alcune attività) una scelta in senso professionale, non si può negare come per molti ambiti di attività un certo livello di professionalità sia necessario alla gestione e all’implementazione di processi di cooperazione; basti pensare alle fasi di amministrazione/rendicontazione, alla formazione o alla necessità di specificità professionali per la realizzazione delle attività. Queste riflessioni ci portano a considerare la presenza o la possibilità di avere personale retribuito, in un ambito come quello internazionale, un elemento che, nella giusta misura e proporzione contribuisce in modo positivo alla giusta realizzazione dei percorsi progettuali. A livello regionale le rilevazioni Fivol evidenziano che il 29,5% delle Odv toscane, in misura tendenzialmente crescente negli ultimi anni (rispetto al dato del 1997 tale aliquota è aumentata di ben 23 punti percentuali), dispone di una quota di lavoratori remunerati. Rispetto a quello dei volontari, l’aumento appare però molto più contenuto. Tale dato, è confermato da indagini nazionali (Istat 2006; Cnel/Istat 2008) che, infatti, attestano la crescita del personale retribuito nelle Odv toscane tra il 2001 ed il 2003 attorno al 10% circa, contro un aumento 54 della presenza volontaria pari al 17%. In linea con quanto emerge sul piano regionale a livello generale, anche per quanto riguarda la nostra indagine di settore emerge che per quasi un terzo delle Odv (il 31%) le proprie attività rappresentano un carico di lavoro significativo al punto da far riferimento (attualmente o in passato) a figure contrattualizzate dedicate alla gestione di alcuni aspetti delle attività. A tale proposito, gli ambiti all’interno dei quali tali figure vengono più frequentemente utilizzate, possono essere divisi in due: il primo, legato ad aspetti amministrativi e di segreteria (per il 54% delle Odv che hanno risposto positivamente), il secondo prettamente legato alle dinamiche relative al ciclo del progetto, come nel caso della progettazione vera e propria (per la metà esatta delle Odv), o al coordinamento del progetto (per il 58%). Decisamente più marginale (per il 12% di queste Odv) è l’area collegata ai processi di valutazione. Un tema con il quale, come vedremo anche in seguito, il nostro universo associativo non è ancora molto abituato a convivere. Graf. 15 In quale ‘settore’ lavora il personale contrattualizzato La presenza o meno all’interno della struttura organizzativa di personale a contratto per la gestione delle attività può rappresentare un buon punto di partenza per una serie di riflessioni. Anzitutto, volendo integrare le informazioni ricavate dalla nostra indagine con alcuni 55 dati di settore emersi dalla rilevazione condotta sulle Odv toscane dall’Irpet nel 2009, è possibile affermare come rispetto alle tipologie contrattuali, il principale strumento utilizzato dalle Odv del settore internazionale è il contratto a progetto (per il 57% dei casi), seguito da contratti a tempo determinato (per il restante 43%). Personale retribuito che, sempre secondo questa indagine è distribuito nel 71% dei casi su impiegati e nel 14% su figure dirigenziali. Tornando all’analisi dei dati emersi dalla nostra rilevazione, a seguito di una serie di incroci, si può poi affermare, come anche in questo caso, l’anzianità dell’associazione incide più di ogni altra variabile, tanto che le organizzazioni che hanno attualmente o hanno avuto in passato personale a contratto il 62% ha una storia di oltre dieci anni. Per certi aspetti è anche comprensibile considerando che l’anzianità, in particolar modo nel campo del volontariato, di questo volontariato, porta con sé complessità sempre maggiori di tipo organizzativo, gestionale, insieme a nuovi spazi, nuove opportunità, anche di tipo economico che richiedono una gestione molto accurata e professionale. In effetti prendendo in considerazione la dimensione economica, è facile veder come all’aumentare del volume, aumenta anche il numero di Odv che riescono o sono riuscite a offrire occasioni di lavoro retribuito. Inoltre se il numero di progettualità, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non incide sulla presenza di persone a contratto, quello che in qualche modo sembra produrre degli effetti è il numero di paesi in cui l’associazione è attiva: più questo aumenta e più la percentuale di Odv che dichiarano di far riferimento a personale stipendiato aumenta. Decisiva è anche la dimensione dell’associazione stessa, quella che ha come riferimento il numero di volontari attivi: più piccola è l’associazione, meno volontari operativi registra e più alta è la percentuale dei contrattualizzati. Oltre la metà (il 56%) delle Odv che dichiara di fare o aver fatto uso di personale a contratto possiede un numero di volontari inferiore a dieci. Con riferimento alle persone che all’interno delle Odv svolgono un lavoro retribuito, si può quindi sintetizzare come non sia così eccessivo il ricorso delle Odv a personale dipendente e, più in generale, a forme di lavoro remunerato indipendentemente dalla tipologia contrattuale 56 utilizzata in quanto le realtà non profit nascono con obiettivi diversi da quello di creare occupazione. Il carattere della gratuità dell’opera prestata sembra, perciò, rimanere fondamentale ancora oggi, nonostante la consistente crescita che l’associazionismo ha sperimentato negli ultimi anni. 8. Verso un processo di istituzionalizzazione Con l’obiettivo di ottenere maggiori informazioni dalla mole di dati ottenuti attraverso il questionario, abbiamo costruito alcuni indici sintetici per sistematizzare la situazione delle organizzazioni indagate. Per costruire gli indici abbiamo, di volta in volta, utilizzato alcune domande presenti nel questionario assegnando alle risposte dei ‘punteggi’ compresi tra 0 e 11. Il primo indice costruito, ci permette di individuare il livello di istituzionalizzazione delle Odv. Per ottenere ciò sono state prese in considerazione solo alcune domande che a nostro avviso potevano rappresentare coerentemente un processo di istituzionalizzazione. Nello specifico sono state estrapolate le domande relative alla presenza storica dell’associazione nel settore della cooperazione (d.1), il numero di soci (d.11) e il numero di volontari attivi (d.12), la presenza di personale a contratto (d.16) e di specifiche professionalità (d.23) e l’organizzazione di processi formativi interni (d.49). I valori ottenuti, che variano tra 0 (che indica un livello minimo di istituzionalizzazione) e 10 (massima istituzionalizzazione) sono stati successivamente riaggregati in tre categorie (ciò è stato fatto per tutti gli indici): 1. Basso (quei valori compresi tra 0 e 2,99) 2. Medio (tra 3 e 6,99) 3. Alto (tra 7 e 10). 1 Le nuove variabili sono quindi trattabili come variabili cardinali. Per ciascuna osservazione (associazione intervistata) i, ciascun indice è calcolato come somma dei punteggi registrati per ogni variabile considerata (nella costruzione di quell’indice). In formula: Ii= V1i + V2 i + V3 i + V4 i +...VN i I valori così ottenuti sono poi stati normalizzati entro uno stesso campo di variazione 0-10. I valori degli indici sono quindi stati utilizzati per classificare i vari casi entro un numero ristretto di categorie, lungo ciascuna dimensione analizzata. 57 Sulla base di una lettura delle frequenze possiamo affermare che le nostre Odv tendono verso un lento processo di istituzionalizzazione che non si è ancora realizzato totalmente. Come è possibile vedere dalla tabella, la stragrande maggioranza delle realtà intervistate (il 74%) si colloca in una posizione intermedia, a fronte di quasi un quarto delle Odv che possono essere considerate, alla luce delle variabili prese in esame, fortemente istituzionalizzate. Tab. 12 Indice di istituzionalizzazione Livelli di istituzionalizzazione % Bassa istituzionalizzazione 3,5% Medio istituzionalizzazione 74,4% Alta istituzionalizzazione 22,2% Anche il grafico sottostante, che prende in esame tutti i valori (da 0 a 10), evidenzia molto bene questo andamento: un folto gruppo di realtà posizionate nella fascia centrale con una propensione verso livelli di istituzionalizzazione più alti. Graf. 16 Istituzionalizzane 58 Questo evidenzia, oltre alla sostanziale presenza di tre grandi gruppi, una realtà complessiva molto ‘liquida’ sotto l’aspetto preso in esame. Una strada ancora lunga che però diventa fondamentale perseguire, al fine di poter descrivere un settore ben strutturato e in grado di far fronte in maniera adeguata alle sfide che la modernità, anche nel settore della cooperazione, pone in essere. Il raggiungimento di un grado di istituzionalizzazione medio alto, rappresenta infatti uno spartiacque per alcuni aspetti determinante. Sia per quanto riguarda il livello di integrazione (come vedremo più avanti), sia per quanto riguarda la distinzione operativa tra un agire di solidarietà internazionale e uno di cooperazione allo sviluppo. I dati ci restituiscono un panorama dove chi ha un maggior livello di istituzionalizzazione è anche quello che riesce ad essere maggiormente integrato nel sistema toscano, così come propende più di altri verso quello che definiamo un agire prevalentemente di cooperazione allo sviluppo. 59 Capitolo 2 Dall’idea al progetto: genesi di un percorso 1. Il punto di partenza Dopo aver fornito una prima introduttiva fotografia del quadro strutturale e istituzionale, ci addentriamo nella fabbrica delle idee e degli approcci operativi, cercando di andare ad esplorare nel più profondo possibile l’agire di queste realtà. Come nasce un progetto, un’attività? Quali sono le principali motivazioni che portano un’associazione ad iniziare un percorso che molto spesso si rivela faticoso e accidentato? A tali interrogativi abbiamo cercato di fornire delle risposte attraverso una serie di quesiti che ci permettessero di comprendere le dinamiche che stanno alla base di questo impegno volontario. In primo luogo, abbiamo voluto indagare, in merito alla scelta progettuale, quale ‘molla’, quale input può risultare determinante al fine di dare inizio ad una attività. Dalle risposte multiple fornite emerge un panorama molto peculiare formato da elementi riconducibili ad un mix tra ciò che potremmo definire “protagonismo individuale” e “pluralismo condiviso”. Scendendo nel dettaglio, sembra essere proprio l’iniziativa individuale di singoli membri dell’associazione, l’opzione intorno alla quale si ritrova ‘spesso’ la stragrande maggioranza delle realtà coinvolte (il 77%). Un agire individuale che rappresenta il punto di partenza, lo stimolo che raccoglie intorno a sé il consenso del resto del gruppo aprendo, in tal senso, la strada alle operazioni progettuali. Contrariamente a ciò, un diverso incentivo alla scelta di sviluppare attività e progetti, è quello che per un terzo delle Odv, è ‘spesso’ riconducibile a richieste provenienti da realtà partner. In questo caso la figura del partner, soprattutto quando si fa riferimento all’Africa, è costituta in molti casi da quelle Missioni religiose già presenti sul territorio che svolgono la funzione di supporto logistico oltre che di input per l’azione. Un legame, quello tra Chiesa e solidarietà internazionale che, fin dalle origini dell’impegno volontario in questo ambito (negli anni Sessanta), ha contraddistinto la nascita e lo sviluppo di una parte di Odv. 60 Una ‘contrapposizione’ che evidentemente perdura nel tempo in virtù del fatto che all’interno del nostro universo il 23% continua ad avvalersi ‘spesso’ dell’appoggio delle Missioni e il 18% ‘qualche volta’, a fronte di poco più dell’altra metà delle Odv che ‘mai’ si avvale di queste realtà presenti sui territori dei vari paesi. L’aspetto che può assumere una particolare rilevanza è quello che tenta di rilevare alcune caratteristiche di queste Odv, stimolate (e a volte anche generate) da situazioni precostituite quali, nel caso specifico, dalle Missioni di ispirazione religiosa. In primo luogo possiamo affermare come tra quei casi che dichiarano di agire ‘spesso’ sulla base di sollecitazioni provenienti da Missioni religiose, vi sono Odv che hanno una storia alle spalle abbastanza consolidata (da un minimo di 4 anni ad oltre 10 anni di vita). Anche la dimensione economica sembra incidere: il 61% tra coloro che operano ‘spesso’ con questo approccio, dichiarano volumi economici annui inferiori a 50 mila euro. Questo potrebbe indicare il fatto che molte di queste Odv nascono sulla scia emotiva di incontri con religiosi (molto spesso figure ‘carismatiche’) intorno alle quali si costruisce successivamente un primo “gruppo di contatto” e da qui la costituzione quasi ‘familiare’ (o parrocchiale) dell’associazione strutturata con caratteristiche e modalità di conduzione molto semplici. Un dato che rafforza questa riflessione è quello che l’85% delle Odv che lavorano in collegamento con missioni religiose è presente in un numero limitato di paesi (il 35% in uno solo). Altra considerazione che ci può ricondurre alla nostra ipotesi è il fatto che il 71% non è presente in alcun network o forum e solo il 20% lo è in maniera continuativa. Così come l’81% non ha mai partecipato ad alcuna iniziativa organizzata dalla Regione Toscana sui temi della cooperazione internazionale e l’85% non ha mai presentato un progetto per il bando della Regione stessa. Un ultimo dato che ci permette di avvalorare quanto scritto fino ad ora in merito a questo tipo particolare di realtà, è il rapporto con le altre Odv. A tale proposito emerge come oltre la metà di queste Odv (il 52%) dichiara di essere in contatto con meno di 3 realtà con le quali realizzare le attività; percentuale che diminuisce all’aumentare del numero delle collaborazioni. Elemento ricorrente di questa tipolo- 61 gia di organizzazioni è il grado di informalità, sia nella struttura, che nell’organizzazione e nella gestione delle attività. Procedendo nell’individuazione degli “stimoli di partenza”, particolarmente significativo è il fatto che l’idea e la scelta di avviare un’attività di carattere internazionale provenga, solo per poche Odv, da enti locali. È infatti solo il 5% dei nostri intervistati che dichiara di aver intrapreso un proprio percorso progettuale su richiesta di Comuni o Province, mentre il 63% non ha mai fatto riferimento a questo tipo di rapporto, almeno nella fase dell’ideazione dell’iniziativa. Questo dato risulta essere particolarmente significativo nel momento in cui cerchiamo di descrivere i percorsi e le dinamiche di realtà presenti all’interno di un contesto regionale di cooperazione decentrata che si definisce come un ‘sistema’ in grado di coinvolgere tutti gli attori del territorio. Ulteriore dato rilevante, di fronte all’ultima ‘evoluzione’ negli approcci e nelle modalità della cooperazione allo sviluppo, è la pressoché totale mancanza di attenzione delle nostre Odv al potenziale valore aggiunto ricoperto dai migranti su territorio toscano. Oggi il ‘co-sviluppo’ rappresenta per molti attori locali, il punto di partenza per avviare percorsi di condivisione e partecipazione, al fine di rendere attrice protagonista la figura del migrante, con tutto il suo carico, “qui e là”, di conoscenze, relazioni e capacità1. I dati ci restituiscono un panorama che ancora è molto lontano da questa nuova visione (il 78% dichiara che ‘mai’ si è dato inizio ad un intervento su segnalazione di comunità di immigrati presenti sul territorio dell’associazione) e che le sensibilità, l’interesse e forse anche le capacità, sono poco sviluppate. A fronte di ciò, solo il 4% del totale sostiene al contrario che tale metodologia rientra ‘spesso’ nel proprio agire, mentre per un ulteriore 17% solo ‘qualche volta’. Per alcuni aspetti, questi dati avvalorano sempre più la tesi di un ‘ripiegamento’ e di un’attenzione verso pratiche di ‘solidarietà’ piuttosto che di ‘cooperazione’, o comunque di un settore che oscilla tra questi due ‘poli’, con approcci differenti nella visione, nelle modalità e nelle intenzioni. 1 Per un approfondimento circa il tema del co-sviluppo si veda l’ampia bibliografia a disposizione in www.cespi.it. 62 Sempre in relazione al tema appena accennato del co-sviluppo, incrociando alcune risposte, emerge come la sensibilità a questo nuovo approccio aumenti con l’esperienza accumulata. Maggiori sono infatti gli anni di lavoro nell’ambito internazionale e più alta è la frequenza con la quale le Odv dichiarano di essere orientate verso tale nuovo metodo di cooperazione. Si tratta di un elemento che riflette, per quelle poche Odv che comunque hanno dichiarato di affacciarsi a questo nuovo modo di intendere la cooperazione, la capacità di lettura dei cambiamenti sociali e quindi anche la capacità di evolvere la propria vision culturale e metodologico-operativa. In genere le Odv che adottano l’approccio del co-sviluppo sono quelle che dichiarano di lavorare all’interno di un solo paese. Sicuramente, il fatto di avere un raggio di azione molto limitato può rappresentare un vantaggio che permette di concentrare gli sforzi su un solo obiettivo e avere maggiore capacità di analisi. La “vocazione personalistica” di molte Odv, almeno nella scelta delle modalità operative, si riscontra anche rispetto alle prassi di contatto con quelli che saranno i futuri beneficiari delle attività. Per l’80% delle Odv, sono sempre i contatti personali a prevalere su altre procedure relazionali. Un agire dettato da esperienze di singoli membri dell’associazione (per il 54%, ‘spesso’ in occasione di viaggi, ‘qualche volta’ per il 24%); conoscenze dirette ‘riportate’ successivamente all’interno del gruppo, condivise e fatte proprie da tutta l’associazione. Non mancano comunque occasioni di contatto ispirate da legami con altre Odv del territorio (‘spesso’ per il 23% e ‘qualche volta’ per un ulteriore terzo); così come rilevanti sono gli appoggi derivanti dalle Missioni che, oltre a ‘segnalare’ potenziali occasioni di intervento (come abbiamo visto in precedenza) rappresentano ‘spesso’ per un 25% e ‘qualche volta’ per un ulteriore 20% delle Odv, il “braccio operativo”, l’intermediario di fiducia su cui fare affidamento. 2. Beneficiari e partners All’interno di un qualsiasi progetto o di una concreta iniziativa di solidarietà, un nodo di fondamentale importanza riguarda il rapporto 63 con i beneficiari che, soprattutto quando si opera nel campo della cooperazione internazionale, rappresenta un indicatore essenziale della sostenibilità di tutto il processo. Se è vero che già di per sé il termine ‘beneficiario’ ha per molto tempo prefigurato (nel lessico e nella pratica della cooperazione) quel ruolo ‘passivo’ rivestito dai soggetti ai quali sono rivolti gli interventi di sviluppo, rendendo così la relazione “a senso unico”, l’evoluzione delle politiche di sviluppo ha visto sempre più tale figura smarcarsi da questa immagine e da questo ruolo considerato contrario alle buone pratiche nel realizzare i progetti, addivenendo (almeno in teoria) un elemento centrale e attivo di tutto il ciclo del progetto (Schunk 2000; Lecomte 1986; Guéneau 1989; Rossi 2004). Dalla fine degli anni Sessanta infatti, sia l’esperienza diretta di Ong e Odv di solidarietà, sia i cambi di paradigma teorici, mettono in risalto la necessità di superare quegli approcci allo sviluppo basati su una logica top down, dall’alto verso il basso, all’interno dei quali il rapporto tra gli attori (pianificatori da un lato e beneficiari dall’altro) era esclusivamente asimmetrico, concretizzato su un trasferimento materiale di beni e servizi. A queste logiche di pianificazione rigide basate su approcci esclusivamente tecnocratici, si sostituisce un tipo di approccio definito bottom up, dal basso, fondato su metodologie partecipative che coinvolgono attivamente i beneficiari dei progetti, trasformando così le relazioni tra i soggetti di tutto il processo di sviluppo, da asimmetriche e gerarchiche quali erano, in rapporti basati su orientamenti e metodologie paritetiche. Tuttavia, le parole d’ordine coerenti con questo approccio che dagli anni Novanta cominciano a diffondersi nel linguaggio dello sviluppo come sviluppo endogeno, partnership, ownership (Bonaglia, de Luca 2006; Black 2004), a volte risultano solo pura retorica. Ciò ci induce a soffermarci su alcune riflessioni che toccano temi cruciali di un dibattito contemporaneo che ruota intorno alle buone pratiche di un agire orientato allo sviluppo e alla cooperazione e sulle caratteristiche che deve presentare ogni intervento che si definisca ‘partecipativo’. Con il concetto di partecipazione si intende quel processo per il qua- 64 le un individuo, una comunità o un’associazione, coinvolti in una relazione di cooperazione internazionale sviluppano le attitudini e si costruiscono gli strumenti analitici, i canali comunicativi e le condizioni operative necessarie per riflettere criticamente sulla progettazione, attuazione e valutazione del progetto stesso. La partecipazione può essere intesa, percepita e vissuta sotto vari aspetti e pratiche: come un processo di condivisione con i beneficiari delle informazioni relative all’intervento di sviluppo programmato; come un approccio che prevede che i beneficiari giochino un ruolo attivo durante l’esecuzione del progetto; come l’intervento dei soggetti o delle comunità dei beneficiari nella fase di ideazione e nascita di un progetto. La partecipazione, come evidenziato da molti studi specifici inerenti le pratiche di sviluppo (Tommasoli 2001), può concretizzarsi a vari livelli, da quello retorico formale, a quello attivo rivestito dai beneficiari nelle varie fasi del ciclo del progetto o solo nella realizzazione delle attività del progetto stesso. Si tratta di livelli che evidenziano il grado di partecipazione e che ci permettono di comprendere quanto un intervento sia conseguenza e risultato di uno scambio e di una condivisione fra i vari soggetti o invece frutto di quella logica top down, ormai abbandonata da molti attori. Il processo partecipativo è spesso difficile da avviare poiché, oltre a prevedere una forte attenzione dei reali bisogni dei beneficiari, deve concepire anche il rispetto delle dinamiche sociali e culturali attive all’interno delle loro comunità (Tommasoli 2001). Durante la ricerca, attraverso alcune domande specifiche ci siamo concentrati anche su quanto la partecipazione dei beneficiari sia realmente effettiva. Dalle risposte emerge un quadro non del tutto ‘brillante’, costituito da luci e ombre. Da questo punto di vista le ‘nostre’ Odv sembrano avere ancora una visione abbastanza ‘tradizionale’, anche se non mancano aperture verso l’approccio partecipativo. In primo luogo, constatiamo come per il 76% delle realtà intervistate (sommando l’opzione ‘spesso’ e ‘qualche volta’) i beneficiari rappresentano i terminali ultimi delle attività, ricettori esclusivi degli interventi senza svolgere altre funzioni o ricoprire ruoli all’interno del progetto. 65 Un approccio che ci porta a considerare gran parte delle Odv come realtà ancora poco inclini a considerare la partecipazione un ingrediente necessario per innescare processi di sviluppo autonomo e sostenibile. Sicuramente riuscire a mettere in pratica e realizzare quella partecipazione, spesso annunciata e formalizzata nei documenti progettuali, risulta essere un’operazione molto complessa. Ciò comporterebbe la capacità di rivedere tutto il sistema gestionale interno all’associazione, oltre al fatto che l’utilizzo di metodologie partecipative non è certo un’operazione semplice, richiedendo competenze ben precise, disponibilità di tempo e risorse economiche non sempre utilizzabili. Tuttavia per il 64% (sempre sommando le due opzioni) i beneficiari rappresentano anche gli esecutori delle attività a loro rivolte. In questo caso è possibile intuirne facilmente le motivazioni, individuabili nelle difficoltà da parte delle Odv di seguire con continuità lo stato di avanzamento dei lavori e contribuire nel tempo alla realizzazione delle attività. Le attività vengono quindi ‘delegate’ successivamente agli stessi beneficiari, che partecipano secondo modalità predefinite. Un dato comunque confortante è che per il 61% delle realtà intervistate i beneficiari rappresentano anche i co-autori del progetto. A questo proposito sarebbe però utile indagare in profondità cosa intendono con ciò e in quali fasi specifiche e concrete si manifesta questo ruolo. In linea di massima constatiamo che più ci allontaniamo dal campo delle realizzazioni vere e proprie legate alle attività del progetto e più la presenza dei beneficiari si ‘allenta’. Nonostante ciò, dalle risposte al questionario emerge una certa consapevolezza dell’importanza di altri tipi di partecipazione da parte delle Odv, come nel caso della valutazione. Su questo punto, come già sottolineato, emerge nettamente la tendenza a considerare questo un “anello debole” all’interno del ciclo dei progetti realizzati. La cultura della valutazione è ancora troppo assente nel mondo dell’associazionismo e ciò si ripercuote negativamente nella presenza degli stessi beneficiari a questo tipo di attività. Nell’ambito dei processi di valutazione solo il 28% degli intervistati dichiara di coinvol- 66 gere ‘spesso’ i beneficiari del progetto da valutare, a differenza della metà delle Odv che non prevede la partecipazione dei beneficiari a questo tipo di attività. Leggermente differente è la figura del partner identificata come il soggetto presente in loco con il quale l’associazione intrattiene una relazione di collaborazione. Per il 53% delle Odv il partner svolge ‘spesso’ il ruolo di co-coordinatore delle attività e per un ulteriore 24% ‘qualche volta’; tale figura risulta quindi impiegata prevalentemente come supporto logistico sul territorio, (per gli evidenti motivi che non è possibile, per molte delle Odv di volontariato, garantire una presenza sul terreno frequente e costante). Per un percentuale leggermente inferiore (il 75% delle Odv), il partner risulta essere anche il co-autore del progetto. Tali dati se da un lato mostrano un atteggiamento di apertura delle Odv ad una logica di partnership, fondata su dinamiche di partenariato reale, dall’altro potrebbero nascondere un’altra realtà. Molto spesso nell’ambito del settore indagato la figura del partner viene fatta coincidere con quella del beneficiario in virtù del fatto che si segue, in gran parte dei casi, la logica di un intervento solidaristico unidirezionale, non dettato cioè da esigenze e necessità ‘imposte’ da formalità legate alla presentazione di progettualità complesse e comparative (che richiedono la presenza di partenariati consolidati e riconoscibili). Nonostante l’enfasi posta sul significato teorico della partecipazione all’interno del settore dello sviluppo, il coinvolgimento da parte dei beneficiari non è mai stato semplice da avviare. Se da un lato queste criticità possono essere originate dalla scarsa ‘maturità’ e ‘sensibilità’ di chi opera in questo campo, dall’altro è molto più probabile e frequente che queste siano dovute a quelle difficoltà strutturali nel saper gestire in maniera pianificata e programmata le fasi del progetto. Da ciò si evince l’estrema attenzione che le Odv devono riporre al ciclo del progetto, proprio per le potenzialità che questo approccio offre in tutte le sue fasi alla creazione di ampi spazi di reale partecipazione di tutti gli altri attori. I momenti principali nei quali la partecipazione riesce a svilupparsi in modo più proficuo sono l’analisi del contesto e le valutazioni ex ante 67 e finali che, seppur onerose in termini di risorse economiche, umane e di tempo, sono necessarie per la riuscita di un progetto perché, come sostiene Chambers (1991, 1983), è fondamentale consentire alle comunità di beneficiari di produrre tutto il sapere necessario ai fini dell’esecuzione del progetto stesso: in particolar modo per realizzare e concretizzare quei concetti chiavi relativi ad un approccio maturo alla cooperazione come empowerment (la capacità del ‘beneficiario’ di pro-agire verso tutti gli attori in campo ponendosi così in una reale condizione di partenariato); e ownership, (l’appropriazione del processo decisionale da parte degli attori locali, da realizzarsi attraverso il coinvolgimento in questo processo di tutti coloro che hanno un interesse nel processo di sviluppo). 69 Capitolo 3 Tra solidarietà internazionale e cooperazione allo sviluppo 1. Generazioni a confronto Dopo aver visto “chi sono”, “dove”, “con chi” e “come” lavorano, è giunto il momento di approfondire l’analisi sul “cosa fanno”. Al di là del macro settore di riferimento, già visto precedentemente, sono state individuate una serie di attività specifiche, riconducibili alle due grandi categorie della solidarietà internazionale e della cooperazione allo sviluppo. Per ciascuna di queste attività è stato chiesto di individuare la frequenza secondo la scala “per niente”, “poco”, “abbastanza” e “molto”. Prima di procedere nell’analisi delle risposte è necessario però riprendere la riflessione che sta alla base della nostra ipotesi: la differenza tra solidarietà internazionale e cooperazione allo sviluppo. Ad un primo sguardo sembra non esserci alcuna differenza tra i due concetti; entrambi sono storicamente mossi da una particolare visione del mondo, da uno spirito solidaristico verso gli altri con l’obiettivo ultimo della riduzione della povertà, delle disuguaglianze e del miglioramento generale delle condizioni di vita. Con l’evoluzione del concetto stesso di sviluppo, si sono modificate le dinamiche ma soprattutto gli approcci e le modalità di azione. Ed è in questo senso che a nostro avviso si possono ritrovare le principali differenze tra un approccio ancorato ad una visione ‘tradizionale’ (per non dire obsoleta) e uno più ‘maturo’ che segue quelle che sono le evoluzione metodologiche e operative. Dal punto di vista teorico, non esistono in letteratura definizioni che ci permettano di operare una distinzione chiara e netta tra i concetti di solidarietà internazionale e cooperazione allo sviluppo. Per far fronte a questa mancanza, possiamo però far riferimento alle pratiche, alla storia evolutiva degli approcci e delle strategie che hanno orientato nel corso del tempo i vari attori di questo settore. Come è già stato affermato in precedenza, il volontariato internazionale prima ancora di legarsi alla cooperazione allo sviluppo, nasce 70 come una manifestazione di solidarietà e impegno basata su valori umanitari. Fu una fase iniziale compresa tra gli anni Cinquanta e Sessanta, che costituisce nella storia del volontariato internazionale una fase definibile un po’ ‘ingenua’ o se si vuole di ‘infanzia’. In tale fase la motivazione di base resta quella puramente umanitaria del prestare assistenza presso strutture già presenti, come la rete di missionari, le opere sociali delle chiese locali o di condivisione di esperienze rivoluzionarie su base ideologica presso movimenti e gruppi politici. Con il passare degli anni, si inizia a comprendere che tutto il volontariato internazionale deve passare ad una fase ‘adulta’, attraverso l’identificazione di strutture gestionali, la definizione di programmi ed itinerari di formazione, l’elaborazione di una progettualità, soprattutto se si vuole trasformare il volontariato da un intervento di testimonianza e di impegno occasionale in forme di assistenza alla gestione di veri programmi e quindi a forme di collaborazione con gli altri attori della scena internazionale. Potremmo quindi individuare nelle modalità di gestione delle attività, delle risorse umane ed economiche, delle reti e dei partenariati, alcune possibili differenze che suffragano la nostra ipotesi di distinzione tra solidarietà internazionale e cooperazione allo sviluppo. In soccorso al nostro tentativo di fare chiarezza tra questi due concetti/pratiche, ci viene però anche lo studio di D.C. Korten (1987) che ricostruisce, a partire dalle attività e dalle progettualità, il ruolo delle Ong nel loro evolversi generazionale. L’approccio che utilizza questo autore nel ripercorrere l’evoluzione programmatica e quindi nel distinguerne le tipologie, è di tipo generazionale. Secondo Korten, ciò che caratterizza e distingue le singole generazioni - gli ‘stage’ secondo Broadheado (1987) gli ‘approcci’ secondo Elliot (1987) - è Defining feature, ossia i “lineamenti che definiscono” i limiti di un sistema, in questo caso il sistema della cooperazione. In virtù di ciò quindi, vengono individuate in ordine cronologico tre generazioni: la prima è la generazione del Relief and Welfare, “soccorso e assistenza” - Tarozzi (1992) a tale proposito traslando tale approccio anglosassone all’esperienza italiana parla di beneficienza (soccorso)/assistenza - nella quale il problema è la scarsità di risorse 71 intesa come insufficienza di beni e servizi; la cornice temporale è l’immediatezza e il breve termine; la portata spaziale dell’intervento è l’individuo o al massimo la famiglia; l’attore principale è l'associazione e l’orientamento di gestione è caratterizzato da una gestione logistica (‘tecnica’ secondo Tarozzi)1. La seconda generazione è quella definita della Self-reliant local development (Tarozzi parla di micro realizzazioni/formazione), aggiornata poi dallo stesso Korten in Comunity development. Il problema principale che contraddistingue questa tipologia generazionale è la scarsa capacità di autodeterminazione delle popolazioni locali; la portata temporale è tutta la vita del progetto stesso; l’ambito spaziale è riferito al villaggio; l’attore protagonista oltre ad essere l’associazione diventa anche la comunità; il ruolo svolto dall’attore è quello di agente del cambiamento e l’orientamento di gestione è caratterizzato da una gestione del progetto (per Tarozzi, ‘organizzativa’). La terza generazione è quella che l’autore definisce di Sustainable systems development, sviluppo di sistemi sostenibili, dove il problema riscontrato è la difficoltà di espandere la sostenibilità dei progetti; il periodo temporale dell’azione è a lungo termine; la dimensione spaziale è la regione o la nazione di riferimento; gli attori principali diventano tutte le istituzioni pubbliche e private che definiscono il sistema in questione; il ruolo dell’associazione è quello di catalizzatore e l’orientamento della gestione è prevalentemente strategico-politica. La descrizione fornita da Korten, seppur riferita in origine alle Ong (ma come sostiene Tarozzi, riconducibile più che altro alle attività di quest’ultime più che ai soggetti), a nostro avviso può rappresentare, senza troppe forzature, la migliore spiegazione utilizzabile per individuare le differenze tra un approccio di solidarietà internazionale e uno di cooperazione allo sviluppo. In tal senso quindi potremmo dire che, mentre le caratteristiche della prima generazione (lo scopo, l’organizzazione delle attività, il ruolo dell’associazione) forniscono gli 1 In una versione aggiornata dell’approccio generazionale Korten (1990) aggiunge un’ulteriore voce (oltre ad aggiungere un’altra generazione): il ruolo svolto dall’associazione. Nel caso della prima generazione, il ruolo che l’attore svolge è quello dell’esecutore (letteralmente del “colui che fa”). 72 elementi per descrivere un approccio di solidarietà internazionale, i tratti essenziali delle altre due generazioni delineano un’evoluzione verso un agire orientato alla cooperazione allo sviluppo. Attraverso alcuni incroci e la creazione di uno specifico indice, cercheremo di dare senso a queste differenze. Analizzando le attività svolte dalle nostre Odv emerge che il 71% degli intervistati si occupa di campagne di sensibilizzazione, informazione e promozione. Non poteva essere altrimenti poiché si tratta di un modo per iniziare a farsi conoscere, promuoversi, ottenere una certa visibilità e quindi ottenere riconoscimento, sostenere una vision e raccogliere adesioni alla mission con un relativo investimento in termini economici. Graf. 17 Attività realizzate Dopo le campagne di sensibilizzazione, in secondo luogo le Odv (nel 68% dei casi intervistati) si occupano di aiuti umanitari. Se però andiamo a utilizzare esclusivamente le risposte sulla frequenza ‘molto’ ecco che tale tipologia balza al vertice con oltre la metà delle Odv per le quali gli aiuti umanitari, intesi come pura e semplice donazione, rappresentano una delle modalità operative prediletta. Ulteriore tipologia di intervento utilizzata ‘abbastanza’ e ‘molto’ dal 59% delle 73 Odv è quella delle realizzazioni e delle forniture, intendendo con ciò tutte le attività orientate alla costruzione di strutture e alla fornitura di beni e materiali di varia natura. A seguire viene indicata la formazione, intesa come trasferimento di conoscenze; attività per la quale si ‘adoperano’ ‘molto’ e ‘spesso’ il 57% delle Odv. Con l’obiettivo di individuare quanto l’agire delle Odv viene ispirato da dinamiche e processi riconducibili ai modelli di cooperazione internazionale, abbiamo inserito un item che sintetizzasse in tre concetti, tre fasi (analisi, progettazione e valutazione) la logica tradizionale del ciclo del progetto. Il tentativo è quello di comprendere quanto è ‘assimilato’ nel “saper fare” e nel “saper essere” delle Odv un approccio agli strumenti e ai sistemi della cooperazione o, al contrario, quanto le stesse Odv sono ‘ancorate’ a modalità di ‘semplice’ solidarietà internazionale. La fotografia che in prima battuta emerge da questa singola risposta, ripresa comunque successivamente attraverso la costruzioni di uno specifico indice, è quella di un settore frammentato, caratterizzato da una minoranza di Odv (il 12%) che sembra frequentare ‘molto’ e con dimestichezza, le procedure e le modalità di una vera e propria cooperazione; un’ulteriore fetta di Odv (il 18%) che è abbastanza vicina a queste pratiche; una stragrande maggioranza (70%) che risulta esserne del tutto o quasi ‘estranea’. Anche ulteriori specifiche opzioni rendono ancora più chiaro questo panorama: l’assistenza tecnica, per esempio, altra attività che generalmente viene affiancata alle realizzazioni progettuali di cooperazione internazionale, risulta essere un “corpo estraneo” per oltre il 75% delle Odv intervistate, mentre l’89% non svolge nessun tipo di attività legata alla ricerca e alla sperimentazione. 2. L’aiuto umanitario di solidarietà Per analizzare le Odv che operano nel campo degli aiuti umanitari intesi come invii di aiuti gratuiti e donazioni di carattere solidaristico abbiamo incrociato questo item con alcune variabili. L’anzianità si è rivelata una variabile che condiziona questo tipo di intervento. Coloro che hanno un’esperienza più lunga, hanno una minore propensione 74 a dedicarsi a questo tipo di azione. La totalità delle Odv che hanno meno di tre anni di vita utilizza ‘abbastanza’ e ‘molto’ questo tipo di approccio, contrariamente a quelle più anziane (oltre i dieci anni) all’interno delle quali la percentuale è del 70%. Un elemento significativo (nella nostra ipotesi che divide tra un approccio alla solidarietà e uno orientato più verso la cooperazione) potrebbe rivelarsi, tra coloro che fanno un uso molto elevato di questo tipo di strumento di aiuto, il numero di paesi in cui operano. Quasi la metà infatti (il 49%) opera all’interno di un solo paese, mentre il 30% delle Odv è presente in un numero di paesi che va da due a quattro. Un dato quest’ultimo che riflette quell’approccio ‘adottivo’ verso situazioni e contesti limitati e che spinge le Odv a prediligere pochissimi paesi verso i quali dedicarsi totalmente con azioni riconducibili più ad una solidarietà tout court che a dinamiche di cooperazione. Altro indicatore è quello relativo alla durata dei progetti. Tra coloro per i quali gli aiuti umanitari rappresentano una grande ‘fetta’ delle proprie attività, il 30% dichiara di realizzare progetti della durata di un anno, percentuale che sale al 42% tra coloro che utilizzano ‘abbastanza’ tale tipologia di intervento come obiettivo della propria mission. Se poi andiamo a riclassificare le categorie iniziali relative alla durata dei progetti, possiamo notare come tra coloro che dichiarano di avvalersi ‘molto’ di attività orientate agli aiuti umanitari, poco più della metà (il 52%) realizza percorsi della durata massima di un anno o inferiore. Anche il singolo budget dei progetti può essere un indicatore importane. In tal senso, infatti, il 68% di coloro che sono ‘molto’ attivi sul fronte degli aiuti umanitari, hanno progetti dalle dimensioni economiche molto basse (inferiore ai 15 mila euro). Così come anche la dimensione relazionale diventa un indicatore significativo: il 50% di queste Odv dichiara di avere meno di 3 collaborazioni, mentre il 36% da 3 a 5. Per cercare poi di dare concretezza alla nostra ipotesi che vedrebbe la presenza, all’interno di questo variegato settore del volontariato internazionale, di due ‘famiglie’ orientate da un lato verso approcci maggiormente riconducibili ad un fare tradizionalmente caratteristico della cooperazione allo sviluppo e, dall’altro, ad un agire delineato 75 da modalità prettamente solidaristiche/umanitarie, è stato costruito un particolare indice. La costruzione di tale indice ha previsto l’utilizzo di una serie di items inseriti all’interno di alcune domande che a nostro giudizio potevano ben sintetizzare i due approcci ipotizzati. Di seguito si riporta la numerazione delle domande utilizzate: d.18.1, d.18.2, d.18.4, d.18.6, d.18.7, d.20.1, d.20.3, d.26.1, d.26.2, d. 26.6, d.26.7, d26.8 Ciò che emerge è un’evidente posizionamento delle Odv, nell’asse cooperazione-solidarietà che ricordiamo va da 0 (prevalentemente cooperazione) a 10 (prevalentemente solidarietà) tendente verso l’approccio legato alla solidarietà. Come viene evidenziato dalla tabella, nonostante quasi il 70% delle Odv si trovi in una posizione intermedia, coloro che si inseriscono a pieno titolo nella categoria solidarietà rappresentano il 27% e solo il 3,5% è collocabile nella famiglia cooperazione. Tab. 13 Indice di Mission Prevalentemente Cooperazione 3,5% Tra Cooperazione e Solidarietà 69,7% Prevalentemente Solidarietà 26,8% Graf. 18 Mission: tra cooperazione e solidarietà 77 Capitolo 4 Gli approcci sul campo 1. Saper leggere e vivere il contesto L’esecuzione di tutte le attività che le Odv svolgono nell’ambito della propria mission, vengono portate a termine ‘prevalentemente’ (almeno per la maggioranza delle Odv, il 55%) in maniera autonoma, senza l’ausilio o il sostegno di altre realtà che all’interno di una relazione progettuale potrebbero emergere. In alternativa è l’attore locale che, come abbiamo avuto modo di constatare anche precedentemente, si assume il compito di condurre e dare seguito alle attività. Non meno strategicamente importanti risultano essere (per il 29% delle Odv), le Missioni presenti sul territorio di pertinenza che si prendono in carico l’esecuzione di tutti gli aspetti relativi il progetto. Per capire il modus operandi delle nostre Odv, un ulteriore aspetto rilevante è quello relativo al know how di informazioni in possesso al fine di pianificare al meglio le progettualità. Si tratta di una questione di estrema importanza nell’ambito della cooperazione internazionale, così come in qualsiasi attività orientata a produrre in contesti specifici dei cambiamenti e dei miglioramenti, in quanto più si dispone di informazioni, più si ha la capacità di saper leggere il contesto, analizzarlo e individuare soluzioni più adeguate possibili, evitando di produrre sprechi o generare progetti inadeguati alla realtà locale. L’analisi del contesto rappresenta infatti una fase fondamentale, all’interno della quale, generalmente, la sommatoria tra informazioni raccolte direttamente sul campo e quelle indirette prodotte da istituzioni internazionali o centri di ricerca ad hoc, produce una bagaglio di conoscenze che permette di acquisire un notevole valore aggiunto (Schunk 2002). Rispetto a ciò, dall’analisi dei dati risulta come la maggioranza delle Odv indagate (il 65%), sia molto più propensa a gestire in via esclusiva la raccolta delle informazioni, attraverso specifiche missioni preliminari. Questo atteggiamento, se da un lato può significare uno spiccato senso di autonomia e competenza, dall’altro può essere molto rischioso e rivelare una certa superficialità dettata da una scarsa attenzione 78 all’importanza di una rigorosa analisi del contesto. Solo una minima parte delle Odv propende a utilizzare ‘spesso’ fonti indirette accedendo a quelle informazioni provenienti da enti locali (per il 17%), centri di documentazione (per il 10%) e università ed enti di ricerca (per il 9%). 2. Quali professionalità? Un campo di particolare interesse risulta essere, dal punto di vista degli obiettivi prefissati dalla ricerca, quello legato alla presenza o meno di specifiche professionalità utilizzate per la gestione delle più diverse attività. Si tratta di un fattore che incide molto, soprattutto in un settore come quello indagato dove per la necessità di efficacia, la creazione di aspettative e le continue difficoltà nell’affrontare contesti molto diversi, la sola buona volontà se è requisito essenziale, deve anche essere necessariamente accompagnata da una buona dose di “saper fare”, conoscenze tecniche e competenze specifiche. Ciò che però si vuole indagare, non è tanto il rapporto tra volontari e personale retribuito (cosa che è stata già analizzata precedentemente) quanto la presenza di specifiche competenze di cui dispongono le Odv, dove queste vengono reperite e verso quali settori delle attività sono indirizzate. In linea generale emerge che il 49% degli intervistati si avvale ‘spesso’ di specifiche figure professionali e il 13% solo ‘qualche volta’ mentre la parte restante non ricorre mai a professionalità particolari, anche se il 60% delle Odv ritiene opportuno dotarsi di persone in grado di realizzare con professionalità le proprie attività, sopperendo in tal senso ad un eventuale deficit di partenza. 79 Graf. 19 Professionalità presenti Queste professionalità particolari e specifiche vengono destinate nella maggior parte dei casi alla realizzazione delle attività. Trattandosi spesso di costruzioni di edifici o strutture comunque impegnative (pozzi, scuole, dispensari sanitari, ecc.), è logico avvalersi di personale qualificato. Non meno importante risulta essere l’impegno nella progettazione, ambito nel quale vengono ‘prevalentemente’ impiegate risorse professioniste dal 46% delle Odv. Anche in questo ultimo caso, la ‘corsa’ al finanziamento e la partecipazione al ‘progettificio’ fa si che anche le Odv di volontariato vedano nel progetto un mito da perseguire, per il quale vale la pena investire delle risorse. Le attività legate al coordinamento, alla formazione, alla comunicazione, alla ricerca fondi e quindi anche alla valutazione sembrano invece richiedere meno ‘professionalità’; queste sono aree per le quali molte Odv non ritengono di dover ‘investire’ (non necessariamente però attraverso una retribuzione), utilizzando gli strumenti e il bagaglio di conoscenze a disposizione. Ma da dove provengono queste professionalità? La possibilità di rispondere a più di un’opzione ci restituisce una situazione dove il 68% dichiara di servirsi di professionisti ‘esterni’ all’associazione che però già collaborano a titolo gratuito così come un’analoga percentuale si avvale di professionalità disponibili tra le persone che costituiscono l’associazione. 80 Come si è visto quindi, all’interno di un settore come quello che stiamo analizzando, pur trattandosi di volontariato, non è difficile trovare ampi segmenti di professionalità. Ciò non vuol dire che si parli necessariamente di professionalità retribuita, ma di competenze specifiche presenti tra i soci o i volontari dell’associazione e messe al servizio degli altri nella gratuità che contraddistingue proprio il mondo del volontariato. Oltre a ciò comunque, il 44% delle Odv afferma di avvalersi di professionisti che vengono coinvolti come consulenti esterni retribuiti. Come per altri aspetti, si è cercato di recuperare più informazioni possibili attraverso una serie di incroci. Anche in questo caso, l’anzianità dell’associazione risulta essere determinante. Il 52% delle Odv che dichiarano di avvalersi (in senso generale) di specifiche professionalità è attiva nel settore internazionale da oltre dieci anni; sicuramente il fatto di essere “sul campo” da molto tempo produce una maturazione e una sensibilità maggiore che porta a considerare anche la necessità di avere al proprio interno persone con determinate competenze in grado di far fronte alle sempre più alte necessità del fare cooperazione. 3. Sulla valutazione La presenza o meno di specifiche professionalità ci suggerisce a questo punto la riflessione su uno dei temi centrali nell’ambiente della cooperazione: la valutazione. Un ambito troppo spesso ‘tralasciato’ per i costi, le scarse competenze, le insufficienti risorse e non per ultimo per la mancanza di una corretta “cultura della valutazione”. Soprattutto quando si fa riferimento al mondo del volontariato, la valutazione rappresenta un vero e proprio tabù di fronte al quale si avverte un generalizzato arretramento, anche se non così per tutti allo stesso modo. All’interno del nostro universo di riferimento, seppure per una nettissima minoranza, la valutazione rappresenta un momento a cui dedicarsi al fine di migliorare l’efficacia e l’impatto del proprio agire. Abbiamo cercato di rintracciare alcune salienti caratteristiche con l’obiettivo di delineare una sorta di profilo di quelle Odv che dedicano 81 alla fase della valutazione una particolare attenzione. È necessario premettere però che all’interno del questionario non era presente una domanda esplicita sull’attività valutativa svolta dalle Odv. Si è cercato quindi di ricavare utili informazioni dal quesito relativo all’utilizzo di specifiche professionalità nella gestione di particolari attività, tra le quali vi era anche l’item sulla valutazione. Estrapolata questa opzione e presa quindi singolarmente è stata incrociata con alcune variabili. Anzitutto emerge come l’uso di specifiche professionalità utilizzate prevalentemente per attività di valutazione sia una prerogativa delle Odv più anziane; presenza che decresce al diminuire dell’ ‘età’ delle Odv. Già questo rappresenta un elemento importante per sottolineare come la valutazione sia un tema che deve essere assimilato, fatto proprio, e che ad oggi solo la maturità e l’esperienza possono realizzare. Che l’operazione di valutazione rappresenti poi un percorso faticoso culturalmente, dispendioso in termini di risorse e oneroso dal punto di vista economico, lo può dimostrare anche il fatto che le Odv che ‘prevalentemente’ vi dedicano delle specifiche professionalità hanno un numero di progetti limitato: il 56% meno di 3 progettualità negli ultimi 3 anni: certamente il fatto di avere un numero di attività più limitato permette di seguirne meglio tutto il decorso compresa la valutazione anche se sinceramente ci saremmo aspettati che fossero proprio le Odv più attive a ricorrere alla valutazione. Risulta comunque evidente che il cammino verso una piena consapevolezza del valore assunto dalla valutazione è ancora lungo e impegnativo. Sta a realtà come il Cesvot assumersi l’onere di accompagnare le Odv in questo percorso, consapevole che ‘investire’ in attività formative specifiche significa non solo far crescere qualitativamente tutto un settore, ma anche permettere di raggiungere risultati più efficaci ed efficienti. 82 4. Un settore “in via di formazione” Di particolare interesse è sicuramente l’approccio delle Odv al tema della formazione, un settore che oltre a descriverci il livello di ‘attenzione’ nell’acquisizione di capacità al fine di rendere sempre più efficaci i propri progetti e alla propensione all’uso della formazione come ‘crescita’ dell’associazione, fornisce anche informazioni utili per individuare possibili margini di intervento da parte di realtà come il Cesvot dedite a fornire strumenti e metodi a tutto il mondo del volontariato. In prima battuta è stato chiesto di rispondere verso quali ambiti l’associazione attua degli investimenti ‘interni’. A tale proposito si è ritenuto utile inserire la formazione (suddivisa per ‘categorie’) come possibile investimento verso il quale orientare alcune risorse, proprio per le ragioni sovra esposte. Da questo punto di vista tale obiettivo non sembra rientrare nelle linee guida strategiche delle nostre Odv. Una scarsa attenzione che aumenta con l’aumentare del ‘livello’ dirigenziale di figure coinvolte dentro il sodalizio. Se infatti la metà delle realtà intervistate non prevede di effettuare investimenti formativi per i volontari, la percentuale aumenta (64%) nel caso di possibili percorsi rivolti agli operatori diretti (quelli che noi identifichiamo con coloro che ‘lavorano’ più di altri alle realizzazioni sul campo) e verso i dirigenti (68%). Questa situazione di scarsa attenzione verso la formazione è confermata anche da un ulteriore dato, quello relativo alla presenza di percorsi formativi strutturati: il 20% delle Odv dichiara di svolgerli in maniera continuativa, contro un ulteriore 22% che solo in via occasionale organizza momenti di formazione e un 12% solo per far fronte a specifiche necessità derivanti dalla realizzazione di specifiche progettualità mentre il 44% è completamente estraneo a qualsiasi tipo di percorso formativo. Gli ambiti interessati alla formazione (per le Odv che la fanno) sono quelli che ovviamente rispondono alle principali esigenze che le stesse si trovano a dover affrontare durante lo svolgimento delle attività. Di conseguenza il tema della progettazione risulta essere quello più gettonato (per il 77%) oltre a quelle aree che interessano direttamente la realizzazione del progetto stesso (il coordinamento e l’area tecnica, 83 entrambi per il 53%). Questi dati trovano conferma anche nei materiali prodotti durante la fase qualitativa. Gli stessi partecipanti ai focus group, sottolineano la necessità di dotarsi di strumenti operativi in grado di supportarli di fronte alle sfide di tutto il settore. In una trascrizione di focus group troviamo infatti: […] dal punto di vista della formazione, per esempio ci siamo accorti che avevamo questo limite anche per scrivere i progetti, presentare... Per questo che, insomma, io ho deciso di fare un Master in cooperazione, ho deciso di formarmi, perché veramente era un limite anche per noi, per imparare a scrivere i progetti, a fare un budget, a fare una rendicontazione per cui questo bisogno per noi è molto sentito, soprattutto se abbiamo l’intenzione di allargare anche la base, per cui il bisogno di formazione dal punto di vista amministrativo, organizzativo per noi è molto importante in questo momento. Il settore della formazione risulta essere un po’ contradditorio. Da un lato la realtà delle cose si ‘scontra’ con la richiesta di maggiori opportunità formative espressa dalla metà delle Odv (il 52%) al fine di migliorare l’efficacia delle proprie attività, dall’altro, per oltre il 70% la formazione non rappresenta per niente (o poco) una difficoltà a cui far fronte. Le ipotesi più plausibili di queste contraddizioni possono essere individuate in primo luogo nel fatto che, facendo poca formazione molti potrebbero ritenerla inutile (e quindi non percepirla come un problema); in secondo luogo, rappresentando un costo non indifferente, si preferisce orientare le risorse (comunque poche) verso la realizzazione della propria mission facendo riferimento a competenze già esplicite; infine l’esigenza di maggiori opportunità potrebbe essere considerata non necessariamente come qualcosa a cui far fronte direttamente e internamente. Tale ultima considerazione è supportata dal dato riferito alle aspettative individuate nei confronti del Cesvot: anche se non è la percentuale più alta, intorno alla possibilità di promuovere maggiori e più accessibili processi formativi, si ritrova il consenso del 70% delle Odv. Le difficoltà nel partecipare ai corsi di formazione legate alle disponibilità di tempo, sono da sempre un problema per il volontariato anche 84 se potrebbero essere mitigate approfondendo con le Odv tempi e modalità che ne favoriscano la presenza. Altro ostacolo alla partecipazione ad attività formative è legato ad elementi riconducibili a problemi nel linguaggio, un fatto che limita la partecipazione di varie organizzazioni di immigrati, ma che potrebbe non essere del tutto assente anche tra quelle composte da italiani. Il tema della formazione è senza dubbio uno tra quelli in cui le caratteristiche strutturali possono incidere maggiormente sollevando criticità e difficoltà. L’anzianità operativa delle Odv rappresenta anche in questo caso una variabile determinante. Tra le Odv che organizzano in modo continuativo percorsi di formazione, troviamo quelle che hanno una maggiore storia alle proprie spalle. Solo quando la formazione diventa qualcosa di occasionale o specifico (delimitato nel tempo) per determinate attività progettuali, allora troviamo anche quelle Odv più giovani. Ma l’attenzione verso il tema della formazione non dipende solo da una sensibilità acquisita con gli anni. Fare formazione ha inevitabilmente un costo che non sempre e non tutti possono sostenere ed è così, quindi, che anche la dimensione economica assume un valore importante. Maggiore è la ‘potenza’ economica di cui si dispone e più alte sono le occasioni formative che vengono favorite soprattutto quando si fa riferimento a percorsi organizzati in modo continuativo: mentre tra le grandi realtà associative (quelle che rientrano nella fascia superiore ai 100 mila euro annui), l’impegno nella formazione è ‘decrescente’, nel senso che è più alto in riferimento a percorsi continuativi per poi diminuire in un tipo di formazione occasionale o specifica, all’interno delle altre Odv dal volume economico minore, tale impegno è più altalenante, cercando di razionalizzare al meglio le risorse per utilizzarle in qualcosa che ritengono utile ma non del tutto indispensabile. Anche le risorse umane sembrano incidere nell’essere attivi o meno in attività formative, confermando in tal senso anche l’importanza della variabile economica. Mentre le medie realtà associative sono quelle che sul lungo periodo offrono maggiore continuità a percorsi formativi, se prendiamo in con- 85 siderazione percorsi formativi occasionali o specifici possiamo notare come siano invece le piccole Odv (da 1 a 10 volontari) che prendono il sopravvento. 87 Capitolo 5 Tra il pubblico e il privato: l’orizzonte economico Attraverso quali risorse economiche vengono portati avanti gli impegni assunti e concretizzate le idee progettuali? Una domanda che ci fornisce un ulteriore elemento utile per mettere meglio a fuoco il grado di ‘integrazione’ delle Odv nel circuito di un sistema regionale e quindi anche in merito alle capacità progettuali delle stesse. In genere i finanziamenti a cui ricorrono le Odv sono due: quelli pubblici e quelli privati. È stato quindi interessante riuscire a capire dove le nostre associazioni trovano le risorse per realizzare i loro progetti. In generale nel 66% dei casi è il settore privato a finanziare le attività mentre solo 1/3 degli intervistati ricorre al pubblico. Per quanto riguarda l’ambito pubblico, risulta subito evidente la scarsa propensione delle realtà interrogate ad inserirsi in percorsi strutturati dagli enti locali e dalle opportunità economiche che questi riservano alle attività di cooperazione e solidarietà internazionale. È un atteggiamento che si manifesta con maggior enfasi quando si passa da una realtà comunale a situazioni più complesse come quella provinciale e regionale. Se infatti la metà delle Odv non si è ‘mai’ avvalsa di finanziamenti erogati dal comune, tale percentuale aumenta vistosamente quando il riferimento è verso gli altri enti locali territoriali. Nei confronti di erogazioni dalla provincia infatti si registra una mancata partecipazione per il 63% delle Odv e un dato analogo riguarda i contributi regionali. Il divario cresce a dismisura nel momento in cui entrano in gioco finanziatori nazionali e internazionali: verso il Ministero la percentuale di Odv che non ha mai ricevuto finanziamenti sale all’89% (situazione giustificabile nel momento in cui tale ente prevede per il richiedente lo specifico status di Ong), nei confronti dell’Unione Europea solo il 10% ha dichiarato di aver avuto accesso alle sue linee di finanziamento, così come verso le Nazioni Unite nei confronti delle quali la percentuale di Odv che hanno utilizzato risorse provenienti da tale istituzione è dell’8%. L’istituzione pubblica alla quale ci si rivolge di più rimane quindi il comune: come spesso capita per le piccole realtà il comune è l’ente 88 più ‘vicino’, raggiungibile e non per ultimo quello le cui pratiche di accoglimento risultano senza dubbio le più ‘accessibili’ e sostenibili. Un elemento questo che ci riporta alla questione più ampia e ricorrente, quasi il filo conduttore della nostra analisi: quella delle competenze, di un bagaglio di ‘sapere’ e ‘saper fare’. Dove questo bagaglio è minore, allora si tende a rimanere ancorati a quelle opportunità di finanziamento molto meno complesse, meno rigide (come spesso lo sono quelle comunali) facili da gestire e quindi più avvicinabili. Graf. 20 Accesso ai finanziamenti pubblici (modalità ‘spesso’ e ‘qualche volta’) ") !$) !"&) &) &%) $#) A tale proposito anche per quanto riguarda le fonti di finanziamento pubbliche si è voluto analizzare quale tipo di variabile fosse più incidente. Per quanto riguarda il comune, l’anzianità è una variabile che incide molto, soprattutto quando le Odv fanno riferimento ‘spesso’ alle erogazioni dell’ente (il 77% per quelle Odv che superano i dieci anni di attività, il 15% tra i quattro e i dieci, l’8% meno di tre anni). Quando si tratta però di un accesso saltuario, anche le Odv relativamente più giovani entrano in gioco. In relazione al volume economico, sono le Odv medio piccole che dichiarano di accedere più spesso. Per quanto riguarda il numero 89 dei volontari, le Odv più piccole sono quelle che più utilizzano questo canale, in virtù del fatto che essendo di dimensioni ridotte, presumibilmente hanno meno interessi (e forse anche capacità) a tentare di intraprendere percorsi progettuali di livello più alto e quindi anche più complesso. Rispetto all’ente provinciale, tra coloro che dichiarano di avvalersi ‘spesso’ di questo tipo di canale, il 50% ha una esperienza tra i 4 e i 10 anni, mentre il 37% superiore a dieci. Rapporto che si ribalta quando la relazione con la provincia è saltuaria. Sono quelle più anziane ad accedervi (64%) contro il 36% delle Odv con una storia pregressa tra i quattro e i dieci anni. In virtù di ciò, si potrebbe sintetizzare che le realtà storicamente più anziane preferiscono una relazione con il comune che rappresenta un interlocutore più vicino, più conosciuto e all’interno del quale l’associazione è altrettanto riconosciuta e riconoscibile in conseguenza proprio di una sua presenza storica sul territorio. Constatato che il canale pubblico non rappresenta la via principale di accesso attraverso cui le Odv reperiscono le risorse necessarie per raggiungere i loro scopi, procediamo nell’analisi del settore privato. Da questo punto di vista, il principale canale a cui si rivolge frequentemente gran parte del settore di riferimento (nello specifico il 63%) è rappresentato dai singoli privati. Percentuale che sale al 78% se sommiamo anche quelle Odv che vi fanno riferimento solo ‘qualche volta’. 90 Graf. 21 Accesso al finanziamento privato (modalità ‘spesso’ e ‘qualche volta’) Se andiamo ad analizzare il cosiddetto “privato strutturato”, vediamo come il 45% delle Odv si orienta ‘spesso’ o ‘qualche volta’ verso i bandi promossi dalle varie Fondazioni presenti sul territorio toscano così come, quasi in egual misura, sono le imprese private a ‘sponsorizzare’ (spesso o qualche volta) i progetti e le attività o lo stesso Cesvot con i bandi rivolti alle Odv. Da sottolineare comunque come oltre la metà delle Odv intervistate dichiari di non rivolgersi ‘mai’ a tali strutture, evidenziando così ancora una volta l’esistenza o la persistenza di una linea di demarcazione (più o meno fissa) che divide le caratteristiche e le modalità di agire di questo universo di riferimento. In posizione marginale è il ruolo svolto da istituti religiosi, verso i quali solo il 18% (“spesso o qualche volta”) si rivolge per ottenere finanziamenti. L’autofinanziamento rappresenta in sintesi il ‘portafoglio’ primario di possibilità finanziarie, concorrendo per quasi la metà delle Odv (il 46%) a coprire dai tre quarti alla totalità delle risorse necessarie per la realizzazione delle attività e per l’altro 54% fino alla metà del proprio budget a disposizione. 91 Capitolo 6 Solidali ma soli? 1. Verso la Regione Toscana: così vicino, così lontano Per procedere nell’esplorazione di questo spaccato del volontariato in Toscana, è importante anche soffermarsi sulle tipologie di relazioni che le nostre Odv riescono a produrre e mantenere. Considerando lo specifico settore di riferimento è opportuno cercare di comprendere se e come tali realtà si inseriscono all’interno di un consolidato sistema regionale di cooperazione caratterizzato dalla presenza di molte e differenziate realtà. All’interno di una situazione di risorse scarse accompagnato da un certo dinamismo nella ricerca di finanziamenti, la capacità di stringere relazioni, fare accordi, costruire network diventa fondamentale, oltre ad offrire una pista di ricerca assai interessante. In particolar la ricerca ha voluto quindi indagare i rapporti con la Regione Toscana, l’ente ‘ispiratore’ di un modello di cooperazione tra i più osservati e seguiti del Paese. Per fare ciò sono state individuate una serie di domande in grado di esplorare tali rapporti a partire dai comportamenti concreti, dalle strategie e dalle politiche messe in atto dalle singole Odv. Un primo elemento utile ci è sembrato interessante ottenerlo attraverso la partecipazione delle Odv ai bandi promossi dalla Regione Toscana dedicati proprio alle cosiddette microprogettualità, opportunità che rappresentano un canale consolidato e verso il quale molte Odv ripongono grandi aspettative. Per quanto riguarda le ‘nostre’ realtà, anche da questo punto di vista, continua a manifestarsi quel ‘fossato’ che si crea, per scelta o per condizione e che divide le storie, le esperienze e l’agire quotidiano delle Odv. Se da un lato il 66% dichiara di non aver ‘mai’ partecipato ad una delle opportunità predisposte dalla Regione nell’arco degli ultimi 5 anni, dall’altro un terzo lo ha fatto almeno una volta. All’interno di quest’ultimo gruppo sono però necessari dei distinguo: solo il 6% infatti risulta essere quello più attivo, non avendo mai mancato un appuntamento (senza per ora guardarne gli esiti), mentre un 12% solo una volta si è ‘affacciato’ a questa occasione. 92 Tra le motivazioni che le Odv riportano per una propria mancata partecipazione ai bandi della Regione, spicca in primo luogo (secondo un terzo delle Odv che non hanno mai partecipato) il fatto che, dal loro punto di vista, non ne valga la pena: uno sforzo organizzativo, gestionale e amministrativo che non viene ‘ripagato’. Come sostiene il membro di una associazione durante lo svolgimento di uno dei focus group: […] i bandi della Regione sono complicatissimi, non complessi, complicati […] burocrazia a bizzeffe, ma anche nella stesura del progetto […] La difficoltà riportata nella citazione è abbastanza comune, e spesso viene messa in relazione all’entità reale del finanziamento che in molti casi risulta essere abbastanza modesta e sproporzionata alla mole di lavoro impiegata. Difficoltà che non si esauriscono però nel comprendere e compilare i formulari, ma che includono anche quegli ostacoli alla comprensione delle condizioni per la partecipazione, in termini quindi di inclusione/esclusione; alla comprensione delle richieste effettive dal punto di vista progettuale, così come alla comprensione della relazione tra progettazione, gestione del denaro, bilancio e rendicontazione. Problematiche che il dibattito all’interno dei focus group ha evidenziato molto bene. Come afferma infatti uno dei partecipanti, Anche il meccanismo dei bandi secondo me dovrebbe essere molto più ricettivo rispetto a quello che viene creato, no? Perché veramente, questi bandi più piccoli, è quasi come se non raccogliessero la ricchezza, sembra che lo scopo principale del... di chi emette il bando, soprattutto se è un soggetto pubblico, sia quello di rendicontare. È come se la questione centrale del progetto fosse la sua rendicontazione. E poi invece sull’impatto nessuno si interroga. Sembra veramente che non interessi. […] Ulteriore motivazione sulla quale riflettere è quella poi che esibisce un quarto delle Odv, ossia il non essere a conoscenza di una tale opportunità di finanziamento. Una giustificazione che rivela dunque la necessità di lavorare molto sulla comunicazione e su una formazione specifica rivolta ad acquisire strumenti per muoversi adeguatamente 93 nel labirinto delle proposte. Per la maggior parte delle persone che operano nel volontariato le attività di cooperazione non sono un mestiere e nonostante alcuni stiano cercando di adattarsi ad un sistema che chiede loro di essere professionisti, esiste un gruppo non trascurabile di Odv, che ritiene controproducente questa professionalizzazione, senza dimenticare quelle realtà che non hanno le risorse umane per adattarsi alla complessità crescente di un sistema basato sul ciclo del progetto. Considerando la sequenza del ciclo del progetto (bando, progetto, selezione finanziamento/esclusione, esecuzione) come un processo di comunicazione per il quale sono necessarie determinate competenze, di linguaggio, analisi e proiezione di scenari futuri, alcune Odv risultano essere disfunzionali alle modalità di comunicazione delle amministrazioni e quindi risultano escluse, mentre le Ong e i professionisti che riescono a comunicare senza problemi, esprimono gli obiettivi e le azioni nel linguaggio corretto, ottengono l’attenzione e, a volte, i finanziamenti. Se è vero che le risorse economiche investite nel volontariato vengono moltiplicate dal lavoro gratuito, diventa quindi strategico supportare le Odv in questa dimensione burocratica e amministrativa che non solo è foriera di notevoli ansie e preoccupazioni, ma sottrae energie alle attività dove si registra il massimo rendimento dovuto alle esperienze e competenze che vengono messe in gioco. L’assenza di personale specializzato in grado di far fronte a tutte le formalità richieste, rappresenta per il 16% delle Odv un forte ostacolo all’accesso ai bandi, per la cui complessità è richiesta non solo la presenza di particolari competenze, ma anche una adeguata disponibilità di tempo, variabile che per il 18% delle Odv risulta essere determinante. Il bisogno di formazione per la partecipazione ai bandi della Regione è trasversale e interessa ancora quelle Odv che negli ultimi cinque anni sono riuscite a presentare delle proprie domande. Tra queste infatti, il 43% non ha ‘mai’ ottenuto il relativo finanziamento. Naturalmente non possiamo essere a conoscenza delle motivazioni di ciò, ma il dato ci permette di sottolineare come evidentemente potrebbero 94 sussistere delle carenze in merito alla capacità di elaborare correttamente i formulari e far fronte alle procedure richieste. Solamente il 17% ha dichiarato di aver sempre ottenuto il finanziamento ogni qual volta ha partecipato al bando. Per cercare di ottenere maggiori informazioni in sede di analisi, si è voluto incrociare la domanda con alcune variabili. In primo luogo, ciò che condiziona molto la partecipazione delle Odv è l’anzianità, l’esperienza maturata nel settore. L’83% delle Odv con meno di 3 anni non ha mai preso parte ad una selezione regionale, contro il 56% di quelle con una storia almeno decennale. L’esperienza di lungo corso evidentemente è un segnale di maggiori competenze (quell’insieme di ‘sapere’ e “saper fare”) per far fronte a ‘sfide’ che per realtà più giovani possono apparire ancora troppo grandi. Come per altri ambiti analizzati, anche in questo caso l’esperienza si associa alle disponibilità economiche dell’associazione, con alcuni distinguo. Se da un lato infatti prendiamo il caso di partecipazioni ‘sporadiche’ nell’arco degli ultimi cinque anni (una volta ma anche da due a quattro volte), è possibile affermare come la dimensione economica non sia così incisiva: soprattutto quando facciamo riferimento a partecipazioni che vanno da due a quattro volte, quelle che hanno un budget più piccolo ‘riemergono’. Solo quando la partecipazione è stata costante (cinque volte in cinque anni), ecco che allora le grandi Odv (sempre in termini economici) evidenziano lo scarto. Una situazione analoga la ritroviamo quando mettiamo in relazione la partecipazione ai bandi con il numero di progetti complessivamente realizzati nell’arco degli ultimi 3 anni. E’ sembrato utile e significativo utilizzare questo tipo di variabile in quanto una intensa operatività (in termini quantitativi) potrebbe indicare una maggiore ‘predisposizione’ alla partecipazione ad opportunità di finanziamento. Come nel caso precedente però, solo nella continuità della partecipazione al bando regionale si avvera la correlazione con il numero crescente di progetti realizzati. Nel caso di partecipazioni inferiori, il numero dei progetti realizzati dall’associazione negli ultimi 3 anni non risulta essere significativo. 95 In riferimento alla variabile relativa al numero di volontari attivi presenti nell’associazione, il trend registrato è più netto rispetto a quello visto con le variabili appena descritte: quando si tratta di partecipazioni saltuarie sono le Odv più ‘piccole’, quelle che dispongo di minor volontari operativi, che partecipano con maggiore frequenza. La continuità è invece appannaggio di quelle realtà con un numero di volontari attivi più elevato. La spiegazione a ciò, appare ovvia: partecipare in maniera sistematica ad un bando, per molti aspetti complesso e dispendioso, rappresenta un’opportunità che solo una ‘forte’ e ‘strutturata’ presenza di risorse umane può garantire nel tempo. 2. Aggiungi un posto al Tavolo La concertazione, uno dei pilastri della governance della Regione Toscana, è fondamentale anche per quanto concerne il contesto toscano della cooperazione decentrata. La Regione e gli enti locali toscani stanno infatti implementando un vero e proprio sistema che si caratterizza per la capacità di mettere in rete, coordinare e agevolare rapporti di collaborazione tra gli operatori più diversi presenti sia sul proprio territorio sia nelle realtà territoriali dei paesi in via di sviluppo. Questo modo di interagire ha dato vita ad un fervore di iniziative che il governo regionale ha cercato di gestire in modo funzionale, mettendo in atto un sistema di coordinamento generale costituito dagli strumenti previsti dal “Piano regionale delle attività di cooperazione e partenariato internazionale”1. Tra gli strumenti individuati dal Piano vi sono: il Segretariato operativo della cooperazione decentrata Toscana, costituto nel 2001 dalla Regione Toscana e dall’Istituto agronomico per l’oltremare, che svolge la funzione di supporto e assistenza tecnica ai soggetti regionali della cooperazione decentrata; i tavoli 1 Regione Toscana, Documento di Attuazione - Piano regionale della cooperazione e delle attività di partenariato 2007-2010; Regione Toscana, Legge regionale n° 26, 22 maggio 2009. Disciplina delle attività europee e di rilievo internazionale della Regione Toscana; Regione Toscana, Legge regionale n°17 del 23 marzo 1999. Interventi per la promozioni di attività di cooperazione e partenariato internazionale a livello regionale e locale; Regione Toscana, Piano regionale per la cooperazione internazionale (L.R. 17/99) - Periodo 2007-2010. 96 di coordinamento che rappresentano i principali strumenti di integrazione fra i diversi soggetti regionali e sono costituiti da tutte quelle realtà toscane della cooperazione che hanno interesse ad operare in forma integrata in una certa area geografica; la Conferenza regionale che costituisce la principale occasione per la partecipazione di tutti i soggetti interessati alla programmazione degli interventi, alla verifica dei risultati, nonché un’occasione di scambio di esperienze e progettualità. Come emerge da innumerevoli ricerche e dalla pratica quotidiana, il sistema ha però delle problematiche complesse e non semplici da sciogliere: una di queste è legata all’innovativa idea di integrare come soggetti della concertazione le Odv, riconoscendo il capitale sociale di cui sono portatrici. Dal punto di vista degli obiettivi della ricerca, l’indicatore che è stato giudicato come strategico è quello relativo alla partecipazione delle Odv a iniziative ‘politiche’ che la Regione Toscana promuove nel campo della cooperazione. La percentuale di Odv che rimane fuori da ogni tipologia di relazione con la Regione si abbassa di qualche punto rispetto alla partecipazione ai bandi, attestandosi intorno al 58%. Anche di fronte a questa modalità è necessario però fare alcune precisazioni. La presenza delle Odv alle attività promosse dalla Regione risulta essere molto frastagliata, discontinua e poco interessata. Solo l’11% di coloro che prendono parte a queste occasioni di confronto garantiscono una partecipazione continuativa nel tempo, dimostrando di saper stare seduti in tavoli di discussione con competenza e senso critico. Un ulteriore 12% descrive la propria presenza come occasionale, saltuaria, mentre circa il 6% si attiva solo in occasione di specifiche attività. Da sottolineare come vi siano Odv (circa il 12%) che dichiarano di aver partecipato in passato e di aver interrotto questa tipologia di relazione. La difficoltà maggiore però risiede nel garantire una reale partecipazione paritaria, considerando che tempi, linguaggi e modalità dei vari soggetti coinvolti nella concertazione non sono del tutto compatibili. Dalle esperienze dei partecipanti ai focus group, tali ostacoli emergono con tutta la loro importanza: 97 È dal 2004 che ho frequentato i palazzi, così quando facevano le riunioni, le prime volte, andavo lì, c'era un coordinatore di tavolo, e dava la parola a tutte le Odv, e tutte si presentavano e tutte le volte era la stessa cosa, cioè ci si presentava, io sono bla bla, io faccio bla bla, e poi dicevo ma a che serve? E poi dopo alla fine si cercava di capire, si capiva che dovevamo conoscerci, come oggi ci siamo conosciuti, ma quei tavoli erano grandi eh… erano tanti soggetti, e all’inizio eravamo tantissimi. […] Io ho fatto il primo bando, mi sembra, il primo progetto nel 2005: fuori! Chi rimane fuori rimane male, e ovviamente dice ma allora che cosa ci vado a fare? Ma che ci vado a fare, vado a perder tempo? Oltretutto io partivo, pagavo... prima ci andavo con la macchina, poi ci presi la contravvenzione, e poi sono andato sempre con il treno... E, ma sempre di meno... cioè ai tavoli alla fine, in una riunione di... sono stato... perché poi dopo c’è stata la crisi per cui hanno tagliato il 50% dei fondi, alla fine eravamo pochissimi, sempre pochissimi. Cinque, sei... prima erano venti, trenta... [...] Ci sono dei tavoli molto affollati, dove c’è... Africa, America Latina, cento... insomma... ci son tante.. Ricordiamoci che in Toscana siamo una valanga di Odv […] per cui insomma... secondo me si dovrebbe ritornare, cioè quasi direi, escludiamo le Ong, quelle più grosse, e vediamo un attimo di far sì che le piccole, perché è proprio un substrato che non si può perdere... […] Viene poi individuato come elemento critico la disparità di potere, sia di carattere economico, politico ma anche semplicemente di argomentazione. Le difficoltà di accesso alle riunioni generano instabilità nella partecipazione dei rappresentanti delle organizzazioni, per cui spesso occorre ripetere le presentazioni e rispondere alle stesse obiezioni. Questa situazione può generare un immobilismo che in un modo o nell’altro deve essere sciolto, dato che i tempi dei bilanci e delle decisioni non sono quelli della concertazione. É naturale che dopo un certo periodo le decisioni vengano prese all’interno di un gruppo ristretto di persone che partecipano con assiduità o dai dirigenti. Purtroppo una decisione che viene percepita come “presa dall’alto” rafforza la convinzione di un esercizio di potere escludente e produce la rottura del processo di concertazione. Dovrebbero essere gli spazi dove vengono progettati come si utilizzeranno le risorse che la Regione ha a disposizione. Allora se poi io ti dico come utilizzarle e tu le utilizzi come vuoi è chiaro 98 che è doppiamente inutile questo lavoro, no? Cioè, si sta nei Tavoli per interesse, l’interesse è: sto lì perché do indicazioni sulle politiche e poi posso raccogliere i frutti del mio lavoro anche perché le politiche vanno in quella direzione lì, se nessuna di queste due cose è possibile perché i fondi poi vengono dati non lo so a chi, di questo non ho idea, e le politiche non sono orientate ai bisogni che abbiamo espresso, che cosa ci vado a fare al tavolo? Preoccupazioni e ‘sofferenze’ sottolineate anche dal rappresentante delle Ong toscane al Tavolo di coordinamento generale della cooperazione istituito presso la Regione Toscana: […] purtroppo nei Tavoli prevale ancora una certa competitività. In molti casi, il Tavolo si è configurato come occasione di discussione sulle risorse destinate alla cooperazione della Regione, anziché come opportunità di confronto e integrazione su iniziative e programmi. E poi ai Tavoli non partecipano quegli attori – Odv, enti locali, ecc. – del sistema regionale che non hanno nella cooperazione la propria mission principale […]. Tra le tante sfide vi è innanzitutto la partecipazione. Occorre coinvolgere più soggetti, in particolare quel vasto tessuto di Odv di volontariato, meno strutturate ma dotate di un ricco potenziale di impegno e relazioni. E poi è necessario applicare meglio il principio di sussidiarietà al tema della cooperazione. Oltre alle risorse messe a disposizione attraverso il proprio bilancio, il valore aggiunto di un sistema regionale di cooperazione costituito dalla capacità di attivare competenze e reti di relazioni, trovando nel proprio territorio le risposte necessarie. Sul senso e il ruolo che i Tavoli regionali svolgono in funzione di una gestione partecipata e condivisa delle scelte, la percezione delle Odv è molto spesso caratterizzata da rappresentazioni stereotipate relative alla presenza di giochi di potere, di spartizioni di fondi prestabilite, di ruoli già definiti. Sono le stesse esperienze personali pregresse che spingono alcuni ad avanzare considerazioni molto critiche: […] e così... non venne (ri-) finanziato, probabilmente perché non partecipammo al tavolo, probabilmente perché non c’era questa.... o perché poi venne privilegiato l’intervento in altri ambiti, non so più neanche dire perché, comunque era chiaro che quello che a noi risultò abbastanza chiaro era che il nostro progetto era orfano, nel senso che non aveva padrini o madrine, 99 al di là della qualità del lavoro fatto e del fatto che nessuno ha avuto nulla da eccepire sulla realizzazione del progetto[…]. Considerazioni che riflettono la lontananza di molte Odv, nell’approccio, nella percezione, da un sistema forse considerato troppo ‘istituzionalizzato’. Senti, io dal 2005 mi sono divertito di andare a tutte le riunioni dei tavoli di concertazione regionale, dove c’è tanta autoreferenzialità, dove c’è tanta, c’è sempre stata..., gelosia delle proprie situazioni, tutti a dire facciamo rete, facciamo rete, mettiamoci insieme, eeeh! Non è vero proprio niente! Una delle cose che ho sempre detto agli enti, alla Regione in prima persona, ma anche alla Provincia quando faceva le riunioni dei Tavoli, è che certe situazioni nascono perché per esempio in Toscana c’è una situazione che molto spesso progetti di cooperazione decentrata alla fine vanno a finire ai soliti noti. I soliti noti sono Ong che […] la fanno alla grande. Ma... questo è una questione politica. Non tutti però hanno una visione così negativa. Altri infatti, sempre in relazione a personali esperienze, considerano i Tavoli come una opportunità importante di discussione, confronto e anche dal punto di vista metodologico. Io personalmente ho frequentato non per tanto tempo i tavoli, anche perché per motivi di lavoro non potevo sempre esserci, però mi è piaciuto il metodo di lavoro, prima c’è una condivisione di tutte le esperienze e da lì anche uno impara a sapere come lavorano gli altri, cosa fanno, e poi evita il replicarsi di diversi progetti nella stessa località, per esempio nel Burkina ci sono alcune associazioni che si mettono d’accordo nel fare un progetto integrato, invece di andare in modo frammentario, magari nella stessa regione tutti vogliono fare un pozzo d’acqua, si possono mettere d’accordo e invece di fare tutti un pozzo d’acqua, tu magari fai il pozzo, io invece penso a fare l’irrigazione, io penso a fare un’altra cosa, per cui viene una cosa, un progetto ben integrato che serve molto a quella località, invece di andare ciascuno per conto suo a fare gli stessi progetti. Per cui questo è un modo di lavorare insieme e non replicare gli stessi progetti, da questo punto di vista io penso che eviti la frammentazione, è interessante. 100 In linea di massima il rapporto con la Regione Toscana stenta però a decollare sia per quanto riguarda la partecipazione ai bandi sia per i Tavoli di coordinamento. A conferma di ciò il fatto che il 69% delle Odv colloca la Regione, rispetto ad altri enti, molto distante dalla propria quotidianità (in posizione 4 e 5 dell’asse vicino-lontano, dove la posizione 1 è quella più vicina e la 5 è la più lontana2), a dimostrazione di come la maggioranza delle Odv viva il proprio territorio, le proprie esperienze, i propri progetti, in maniera avulsa e incondizionata, dove la presenza o meno degli altri risulta essere un elemento quasi insignificante. La situazione che emerge mostra ancora una volta la presenza di più itinerari, diversi modi di muoversi all’interno di un grande sistema, dove ciascuno trova il percorso che più si confà alle proprie caratteristiche, esigenze e visioni del mondo. Se la Regione non è certamente l’ente considerato più ‘vicino’, non molto meglio è la situazione di Province e Comuni. Rispetto a ciò che accade con la Regione, Province e Comuni risultano leggermente più ‘vicini’ alle nostre Odv: la Provincia viene collocata in quarta e quinta posizione dal 59%, il Comune dalla metà esatta delle Odv. Positivo è invece ciò che emerge intorno alla figura del Cesvot, vissuto dal 56% come una realtà molto vicina alle proprie esperienze anche se, come si avrà modo di vedere più avanti, non sono esenti alcuni elementi contraddittori. Un dato particolarmente interessante è la differenza di collocazione (e quindi di percezione) che si registra, all’interno del mondo del volontariato, tra Odv che operano nello stesso ambito e altre Odv che non si occupano di tematiche internazionali. Paradossalmente, ma fino ad un certo punto, vengono ‘sentite’ più vicine quelle Odv estranee alla solidarietà internazionale collocate in prima e seconda posizione dal 46%, a differenza di quelle realtà ‘colleghe’ verso le quali la distanza aumenta (è infatti il 38% che le situa nelle prime due posizioni). 2 Questa riflessione nasce dall’analisi di una specifica domanda presente nel questionario nella quale chiedevamo alle Odv intervistate di collocare rispetto a se stesse, poste al centro, le altre realtà indicate. 101 Tab. 14 Vicinanza e lontananza dalle altre realtà del territorio Regione Toscana Provincia Comune Cesvot Altre Odv di Solidarietà Internazionale Altre Odv Vicino 17,4% 26,1% 35,9% 56,5% 38,1% 46,2% Né vicini né lontano 13,0% 13,0% 13,0% 15,2% 15,2% 22,0% Lontano 69,5% 59,8% 50,0% 18,3% 46,8% 31,9% 3. Essere o avere La presenza e l’importanza degli enti locali, oltre ad essere percepita come qualcosa di estraneo da molte Odv, viene vissuta dalla maggioranza dei casi in modo strumentale. Attraverso una specifica domanda, si è cercato di indagare la ‘qualità’ di un eventuale rapporto con gli enti locali. Per il 55% delle Odv, la ricerca di un coinvolgimento di tali realtà istituzionali è finalizzata ‘spesso’ alla sola erogazione di contributi. Percentuale che aumenta se consideriamo anche il 28% di quelle Odv che assumono questo approccio ‘qualche volta’. Le istituzioni in questi casi vengono viste come distributori di risorse, erogatori automatici di finanziamenti: per la sola ragione che sono pubbliche, devono obbligatoriamente garantire un supporto economico a tutte le iniziative. Solo il 35% vede ‘spesso’ nella relazione con gli enti locali l’inizio di un percorso di partenariato finalizzato alla condivisione di progettualità. A seguito di ciò, è sembrato interessante incrociare la domanda relativa allo scopo ultimo insito nella ricerca da parte delle Odv di un coinvolgimento degli enti locali nelle proprie attività. Dalle risposte, si evidenzia il fatto che, tra coloro che ricercano ‘spes- 102 so’ una relazione finalizzata alla sola erogazione di un contributo, prevalgono le Odv con una anzianità media (dai quattro ai dieci anni). Se invece il rapporto è orientato alla creazione di partenariati, le realtà con una esperienza più matura (oltre i dieci anni) hanno percentuali più elevate. Anche in questo caso, come del resto in molti altri già visti in precedenza, l’elemento storico rappresenta un fattore di maturità, di consapevolezza del proprio ruolo sul territorio e della propria mission. Una maturità che induce ad una ‘evoluzione’ valoriale sempre più vicina a quella che è l’essenza del fare cooperazione. 4. Gli altri (non) siamo noi Un modo per riuscire a comprendere il livello di ‘inserimento’ delle Odv in un sistema come quello della cooperazione internazionale è stato individuato nell’analizzare il grado di consapevolezza e conoscenza che tali realtà hanno sugli altri attori che rivestono un ruolo all’interno del contesto regionale. Nello specifico è stato chiesto alle Odv intervistate di individuare cinque soggetti del territorio toscano (pubblici o privati) che a loro giudizio ‘occupano’ uno spazio significativo nell’ambito della cooperazione internazionale. A tale proposito, la Regione Toscana appare l’ente più citato (anche se dal 31% delle Odv) e quindi il soggetto che più di ogni altro viene riconosciuto come ‘depositario’ di un insieme di valori e metodi. Elemento questo che entra in contrasto con l’altro dato relativo alla vicinanza/lontananza visto precedentemente e che vedeva la Regione Toscana tra gli enti percepiti come quelli più ‘lontani’. Se da un lato quindi le Odv riconoscono la Regione come l’ente che più di altri ricopre un ruolo significativo nel campo della cooperazione, dall’altro quello stesso ente risulta essere molto distante dalla realtà e dalla quotidianità delle Odv. In tal senso quindi, molto sarebbe da fare affinché questo riconoscimento ‘teorico’ trovi anche un’applicazione nella pratica, per ridurre la distanza tra “la stanza dei bottoni” e la società civile e riavvicinare due soggetti così lontani ma così vicini. Gli altri due gradini del podio sono occupati da due Ong: Cospe (indicato dal 24% delle Odv) e Oxfam Italia (dal 23% delle realtà intervistate). Scendendo in questa particolare graduatoria, al quarto posto si collo- 103 ca il Cesvot, indicato dal 13% delle Odv. Caritas e Movimento Shalom sono appaiate alla quinta posizione con il 12%, mentre Emergency e Manitese seguono con il 9%. Segnalato dal 7% degli intervistati, il Centro Nord/Sud si colloca in settima posizione; Arci, Fondazione Monte dei Paschi, Medici senza frontiere, Provincia di Livorno e Unicef ottengono il 5% dei riconoscimenti. In sintesi, il dato che emerge dipinge un insieme di Odv poco consapevole di quello che è il panorama regionale, là dove solo un terzo individua la Regione Toscana tra le realtà più significative nell’ambito della cooperazione internazionale e poco più del 20% riconosce due tra le realtà non governative più importanti del contesto regionale e non solo. Da questa analisi, non si intravede un particolare “polo di attrazione” anche solo dal punto di vista percettivo, ma una costellazione di soggetti, più o meno riconosciuti, frutto di una percezione parziale e limitata del proprio ambito di intervento. Un universo associativo quindi più che essere proiettato verso l’esterno, è ‘ripiegato’ sul proprio vissuto, come conseguenza di una visione molto localistica (per non dire provinciale). Graf. 22 Realtà riconosciute come significative nell’ambito della cooperazione 104 5. Dinamiche di networking e collaborazioni Rimanendo in tema di reti, un’ulteriore domanda aperta chiedeva alle singole Odv di indicare le realtà (pubbliche o private) con le quali vengono intrapresi rapporti di collaborazione, specificando poi la frequenza di tali relazioni. Le risposte a questa particolare domanda possono essere interpretate attraverso una duplice lente: prendendo come riferimento i singoli rapporti emersi o, come vedremo successivamente, le singole categorie raggruppate. In questo senso, la lettura delle risposte aperte, secondo la prima interpretazione possibile, ha dato alla luce un totale di 418 relazioni. In quest’ottica, sembra interessante delineare un elenco realizzato attraverso un’aggregazione tipologica dei soggetti emersi (agenzie internazionali, Anpas, Anteas, Arci, Odv - nel senso di altre realtà attive in ambiti diversi - associazioni immigrati, associazioni internazionali, Auser, Caritas, Cesvot, comuni, cooperative, enti locali internazionali, fondazioni, fondazioni bancarie, fondazioni internazionali, istituzioni bancarie, istituzioni missionarie, istituzioni religiose, Misericordie, Ong, partiti, Proloco, province, Regione Toscana, sindacati, università). In questa prima aggregazione è stato però scelto di considerare tutte le singole realtà che vengono citate anche se da più Odv (es.: se due Odv citano la stessa realtà - che rientrerebbe nella stessa macro area - vengono contati due rapporti distinti). Tra tutti i rapporti dichiarati il primato (con 131, il 31% sul totale dei rapporti) se lo aggiudica la categoria Odv (all’interno della quale sono state inserite tutte le realtà associative presenti nei più svariati settori del volontariato). Ciò significa che le nostre Odv intervistate hanno indicato la presenza di altre 131 realtà associative con le quali hanno stabilito una relazione. Un dato assolutamente in linea con quello che è il quadro dipinto fino ad ora: Odv cioè che si giocano la propria partita all’interno di una visione circoscritta. A seguire, con il 14% sul totale dei rapporti, si posizionano i Comuni. Gli altri enti locali di riferimento, le Province, raggiungono la terza posizione con il 6,6% dei rapporti dichiarati, mentre il totale dei rapporti individuati con la Regione Toscana si attesta intorno al 3%. Le Organizzazioni non governative rappresentano, al quarto posto con 105 poco più del 4%, il primo grande soggetto ‘puro’ nell’ambito della cooperazione con il quale le Odv intervistate intrattengono relazioni. Graf. 23 Percentuali di rapporti segnalati, per tipologie di realtà A proposito di relazioni, questo tipo di aggregazione ci permette (a differenza dell’altra che vedremo a breve, più restrittiva ma forse più significativa per gli scopi della ricerca), di descrivere per ogni rapporto anche la sua frequenza. In seguito a questa lettura interpretativa, emergono dati particolarmente interessanti. Per individuare in maniera chiara e sintetica la tipologia del legame, le Odv dovevano associare ad ogni rapporto la frequenza sulla base di tre opzioni: sistematici, frequenti e occasionali. Il primo dato che balza agli occhi è la scarsa presenza (considerando solo quei rapporti numericamente consistenti, oltre i 7) di rapporti valutati come ‘sistematici’. Se infatti andiamo ad escludere la categoria Odv con la quale il 40% ha dichiarato di avere rapporti sistematici (e comunque meno della metà) le uniche tre categorie che registrano una maggioranza (assoluta o relativa) nei rapporti sistematici sono l’Arci (58% di rapporti sistematici), le istituzioni missionarie (44%) e le istituzioni religiose (73%). Un dato abbastanza significativo questo se consideriamo le origini storiche del volontariato italiano nell’ambito della cooperazione, con i suoi due orientamenti valoriali che, oltre ad 106 aver ispirato la nascita delle prime organizzazioni, ne hanno sempre seguito la crescita. Si tratta di legami consolidati nel tempo che ancora oggi sono espressione di un ‘sapere’ e “saper fare” particolari. Inoltre emergono rapporti abbastanza stretti con l’Anpas, un’associazione che, come noto, non si occupa specificamente di cooperazione internazionale: di tali rapporti (che sul totale rappresentano il 2,6%), il 72% è suddiviso equamente tra rapporti ‘stabili’ e ‘frequenti’. Ulteriore dato significativo è la tipologia che emerge dal rapporto con le Ong: il 61% del totale di questi legami viene valutato come ‘occasionale’, per un terzo sono collaborazioni ‘frequenti’ e per il restante 6% sono ‘stabili’. Un dato che sottolinea, la distanza, il fossato che c’è tra questi due ‘mondi’. Da un lato piccole e medie Odv, con le loro caratteristiche che piano piano stanno emergendo, con il loro modus operandi, i loro approcci; dall’altro organizzazioni professionistiche con altrettante e diverse caratteristiche metodologiche, operative, valoriali. Due mondi che raramente si parlano, poco si conoscono e solo a volte si incontrano. Paradossalmente i rapporti con gli enti locali sono di gran lunga più frequenti. Scendendo nel dettaglio, per quanto riguarda i comuni, il 39% di tali rapporti sono considerati ‘frequenti’ e il 25% ‘stabili’; analoga percentuale di stabilità viene registrata nei riguardi dei legami con l’ente provincia che però aumenta in quelli ‘frequenti’ (43%). Per quanto riguarda i rapporti con la Regione Toscana, nella maggioranza assoluta dei casi, vengono definiti ‘frequenti’ (il 58%). Un dato questo che evidenzia che là dove si instaura una relazione con l’ente regionale, l’attenzione verso il mantenimento di questo rapporto e quindi l’interesse a coltivarlo è abbastanza alto. 107 Graf. 24 Caratteristiche dei rapporti per tipologie di realtà Anche in relazione ai rapporti registrati verso il Cesvot, poco più dei due terzi del totale, viene diviso in parti uguali tra ‘frequenti’ e ‘occasionali’. Un situazione comunque che possiamo dire soddisfacente, anche se con notevoli margini di miglioramento, considerando il ruolo e le aspettative del Cesvot nel rappresentare un centro “al servizio” delle Odv. Se poi vogliamo riaggregare ulteriormente, considerando non i singoli rapporti, ma raggruppando questi nelle varie categorie (es. se una associazione cita quattro comuni diversi, questa volta la categoria Comune viene contata una volta sola) in modo da far si che le percentuali dei rapporti possano essere riferite ai casi, ecco che la classifica si fa più leggibile e trasparente. In tal senso possiamo quindi affermare che sul totale delle Odv intervistate, il 69% dichiara di aver rapporti con almeno una realtà rientrante nella categoria delle Odv, il 48% ha rapporti con almeno un comune, il 30% con una provincia e quasi il 20% con Ong. Percentuali queste, molto basse che confermano quel tipo di ‘isolamento’ caratteristico di un mondo solidale ma solo. Un isolamento che si conferma anche con le altre realtà: solo il 16% ha rapporti con 108 il Cesvot e un 14% con la Regione Toscana. Analizzando le singole realtà toscane con le quali le Odv hanno rapporti (comuni, province, ecc..), il Cesvot rappresenta tuttavia uno dei due principali punti di ‘aggregazione’ (insieme alla Regione Toscana). Graf. 25 Distribuzione dei rapporti per tipologia /1%/5 -0%05 ,)%+5 *)%.5 1%*5 0%)5 .%15 -%05 ,%.5 +%,5 *%+5 ! ! ! " " && " && ! "! " "" " " ! *2%15 */%,5*-%)5 *+%15**%/5 In relazione a quanto riportato fino ad ora per quanto riguarda l’inserimento delle Odv all’interno di un ‘sistema’ toscano, è stato costruito un indice in grado di sintetizzare il livello di integrazione. A tale scopo sono stati individuati una serie di item e di domande che potessero rappresentare ed esprimere bene il livello di integrazione in un sistema fatto di attori, relazioni, opportunità. Le domande prese in considerazione hanno riguardato quindi l’accesso a finanziamenti pubblici di comune, provincia e regione (d.30.1, d.30.2, d.30.3), l’utilizzo del canale che mette a disposizione il Cesvot con i suoi bandi dedicati alle Odv (d.31.6.), la partecipazione ai bandi promossi dalla Regione Toscana (d.33), così come la presenza a iniziative organizzate dalla stessa Regione come Tavoli, Coordinamenti, Programmi, ecc. (d.45) e la presenza all’interno di Forum o Network tematici (d.46). In linea di massima, come mostrano tabelle e il grafico sottostanti, ciò 109 che emerge da questo “indice di integrazione” è una realtà ancora troppo frammentata. Il processo di integrazione è ancora lontano da essere realizzato: solo il 4% delle Odv si può ‘fregiare’ a pieno titolo del grado di ‘integrati’. Tab. 15 Indice di integrazione Livello di integrazione % Basso 60% Medio 36% Alto 4% Questo sta a dimostrare ancora una volta che il mondo del volontariato internazionale è un settore che oltre ad andare a velocità diverse, segue anche strade differenti senza necessariamente tenere conto del contesto di riferimento. Graf. 26 Livelli di integrazione Per comprendere meglio il panorama relazionale delle Odv di riferimento è stata costruita poi una mappa delle relazioni. A tale proposito però è necessario premettere che il questionario non era calibrato per realizzare una network analysis approfondita. I dati raccolti sono il 110 risultato delle risposte a una singola domanda (la d.41) dove si chiedeva di indicare le realtà (pubbliche e private) con le quali le Odv hanno, nell’ambito dell’attività internazionale, dei rapporti, specificandone poi l’entità. Tali informazioni, oltre a fornirci un’idea di quali siano le relazioni di collaborazione e di comunicazione tra i rispondenti al questionario, offrono la possibilità di ‘disegnare’ una forma delle reti, visualizzando il livello di coinvolgimento e condivisione del volontariato toscano di solidarietà internazionale3. Nella prima figura viene riportata una rappresentazione realizzata includendo solo le relazioni tra le 92 organizzazioni che hanno risposto al questionario. L’intensità della linea di legame varia al variare della stabilità del rapporto (la linea più scura indica rapporti stabili). Come è chiaramente visibile, il livello di interconnessione è molto basso. Sono presenti solo alcuni nodi o poli di attrazione, costituiti da Odv evidentemente più attive e percepite come più rilevanti, intorno alle quali ruota un determinato numero di realtà. La successiva figura offre invece un altro punto di vista: è realizzata analizzando sempre le risposte fornite alla stessa domanda ma tenendo in considerazione tutte le realtà nominate singolarmente. In questo caso la rete di relazioni risulta più complessa e articolata anche se la dimensione dei nodi, che è proporzionale al numero di Odv che dichiarano di entrare in contatto con la relativa istituzione o organizzazione, permette di fare alcune considerazioni. 3 Per l’elaborazione dei grafici è stato utilizzato il software open source Gephi (www..gephi.org ). La disposizione spaziale delle organizzazioni (nodi) è stata ottenuta inizialmente applicando il layout Force Atlas ai dati inseriti modificando i parametri per ottenere una disposizione uniforme. Successivamente i nodi sono stati spostati manualmente per ottenere una figura di dimensioni ottimali per la lettura, evitando che le etichette si sovrapponessero. Le dimensioni dei nodi e delle etichette sono proporzionali al numero delle connessioni o meglio al grado di interconnessione pesato di ogni nodo 111 Fig. 3-4 Mappe delle relazioni tra le Odv intervistate e della totalità dei rapporti dichiarati 112 In primo luogo si riesce a individuare alcuni punti di aggregazione più importanti, come il Cesvot e la Regione Toscana che emergono più di altri anche se solo per alcune realtà. Un fatto che comunque va letto in parallelo a ciò che è stato affermato precedentemente proprio su queste due realtà, in merito quindi alla tipologia delle relazioni e alla percezione. 113 Ciò che risulta essere evidente è inoltre la presenza di tanti mediopiccoli o piccolissimi agglomerati riuniti intorno a singole realtà locali (comuni, Odv, province…) ma separati gli uni dagli altri, fuori da una vera e propria logica di rete. 6. Il valore della comunicazione Un ultimo aspetto che possiamo inserire a pieno titolo nelle riflessioni sulla relazionalità è quello della comunicazione, un ambito fondamentale per ogni associazione che ‘vive’ del coinvolgimento delle persone e della sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Per le Odv comunicare e saper comunicare ciò che viene fatto e come viene fatto rappresenta qualcosa di strategicamente determinante. L’evoluzione tecnologica ha radicalmente cambiato il mondo della comunicazione creando molte più possibilità nell’accesso e nella divulgazione. Nonostante ciò, il giudizio che le stesse Odv danno alla misura con la quale vengono divulgate, pubblicizzate e condivise le informazioni (di qualunque genere esse siano) all’interno di questo vasto settore è molto critico. Quasi il 70% delle realtà intervistate ritiene insufficiente il livello di comunicazione tra le Odv. Di fronte a tale percezione è quindi lecito domandarsi in che misura lo stesso Cesvot dispone di margini utili al fine di poter colmare questa lacuna. Se l’analisi svolta fino ad ora ci ha mostrato un settore molto ‘slegato’, frammentato, con pochi indirizzi e “nodi relazionali” certi, ecco che lo sforzo per riuscire a coordinare e razionalizzare le energie e le risorse diventa oltre che necessario anche determinante. Ma come comunicano comunque le Odv? Con quali strumenti? La principale fonte è rappresentata dal web attraverso cui il 67% delle Odv intervistate pubblicizza ‘periodicamente’ le proprie attività, contro un 16% che solo ‘occasionalmente’ accede a questo strumento. Nonostante però la raggiunta facilità di accesso e navigazione in rete, un ulteriore 16% dichiara di non utilizzare questo strumento, ciò dovuto presumibilmente da un grado di informalità piuttosto elevato derivante dalla natura stessa delle Odv che nascono senza una vera vocazione gestionale professionale delle attività. 114 Per questo le pubblicazioni cartacee hanno ancora una discreta divulgazione ed infatti il 22% delle Odv vi ricorre periodicamente e il 77% saltuariamente. Diverse Odv usano anche la pubblicazione di bollettini (periodicamente per il 17% e occasionalmente per il 31%). In ultimo, anche l’organizzazione di convegni e seminari rappresenta un modo attraverso cui il 63% delle Odv (sommando quelle che lo fanno periodicamente e quelle che solo per certe occasioni) riesce non solo a pubblicizzare ma anche a “dare conto” di quelle che sono le proprie attività. 115 Capitolo 7 Altruisti egoisti? 1. Tra il ‘dire’ e il ‘fare’… Descrivendo un settore che si definisce di ‘cooperazione’, è singolare constatare come esista una situazione tale per cui, invece che tentare di condividere un percorso, delle idee e, perché no, delle risorse, si agisce in una logica di concorrenza o con dinamiche di preclusione. La questione dei rapporti si compone di ulteriori elementi, anche contraddittori, quando vengono individuate le motivazioni che spingono le Odv (in questo caso dello stesso ambito operativo) a eventuali forme di collaborazione. In prima battuta il 44% dichiara che ‘spesso’ la collaborazione viene ricercata per condividere idee e progettualità mentre per il 35% solo ‘qualche volta’: il 20% delle Odv intervistate dichiara invece che la collaborazione con altre Odv non rientra nel proprio agire. Situazione che non migliora quando andiamo a verificare altre possibili motivazioni. Se infatti quel 44% di ‘collaborativi’ può dipingere un quadro di Odv (seppur minoritarie) propense alla condivisione e a forme di partecipazione collaborative, le percentuali si abbassano ulteriormente quando prendiamo in esame altre circostanze che vanno a incidere su “ciò che è proprio”, su quegli elementi considerati di dominio esclusivo: dalla semplice possibilità di condividere e scambiare informazioni (una prassi frequente per il 36% delle Odv intervistate), alla realizzazione delle attività di un progetto (‘spesso’ per il 38%). Tali percentuali divengono ancora più basse quando entrano in gioco variabili di tipo economico: promuovere iniziative congiunte di raccolta fondi è qualcosa che viene fatto ‘spesso’ da un quarto delle Odv, ‘mai’ da un terzo e ‘qualche volta’ da poco più del 40%; così come quando c’è da condividere risorse economiche da utilizzare per rendere potenzialmente più incisivi i progetti. In tal caso, solo il 13% dichiara di farlo ‘spesso’ mentre per la maggioranza delle Odv (il 51%) non è una strategia apprezzata. Il fatto che nelle situazioni sopra descritte sia stata molto utilizzata 116 l’opzione ‘qualche volta’, ci restituisce l’ipotesi di una realtà nella quale non c’è un modus operandi fisso. Tutto è molto variabile, mutevole a seconda delle circostanze. Non sembra esistere un agire paradigmatico, bensì un “approccio liquido”, volubile, dettato più dalla ‘convenienza’ che dalla ricerca di quel valore aggiunto della partecipazione e della condivisione. Ciò che emerge è un panorama poco ideale, dalle mille sfaccettature e di non facile lettura. Quello del volontariato internazionale è un mondo all’interno del quale tendenzialmente si preferisce viaggiare da soli o in pochi, con i propri limiti, ma cercando di preservare e difendere i propri territori e le proprie peculiarità. Tale posizione viene ribadita anche in occasione della discussione nei focus group, all’interno dei quali secondo alcuni, è anche normale il fatto che, […], fai rete con le persone che ti sono affini, con le associazioni che ti sono affini, cioè il discorso di fare rete non riguarda... io non voglio fare rete con tutti. Se no si torna al discorso che faceva lui della rete anche forzata no? Del resto, il “fare rete” a volte viene presentato in modo acritico, quasi come la soluzione a tutti i problemi, senza considerare che lavorare in rete porta, assieme ai vantaggi, anche nuovi problemi che non tutti sono preparati a gestire. All’interno di un relazione dialogica, la collaborazione tra organizzazioni è legata prevalentemente allo scambio di saperi, di competenze, all’apprendere dagli altri: l’incontro viene visto come un momento di ampliamento delle prospettive. La rete può essere anche ‘sostegno’ nei momenti critici e modalità per prevenire errori. Tra i fattori considerati determinanti per il successo di questo ‘incontro’, bisogna inserire la disponibilità all’ascolto, il reciproco rispetto e la comprensione. Ulteriore elemento da considerare è poi costituito dalle differenze nei modi di fare cooperazione da parte delle Odv. Se da un lato la retorica della cooperazione contemporanea è stata assimilata, per cui le dichiarazioni sono tendenzialmente partecipative, dall’altro una riflessione approfondita evidenzia che la prassi della reale partecipazione è spesso ancora lontana. Un fatto, questo, dimostrato anche da due ulteriori elementi: da un lato il basso numero di rapporti e collaborazioni dichiarate (il 41% 117 delle Odv infatti dichiara di essere in contatto con meno di tre realtà, il 36% fino a cinque e solo il 7% con oltre dieci Odv); dall’altro la partecipazione a network o forum specifici nell’ambito della solidarietà internazionale. In questo ultimo caso la maggioranza assoluta (il 51%) non fa parte di nessuna realtà aggregata, mentre il 32% vi partecipa in modo continuativo, il 9% occasionalmente e il 4% solo per specifiche attività. Per le Odv che partecipano (nelle varie modalità), il maggior ambito territoriale di riferimento della rete è quello provinciale (per il 47% dei casi). A tale proposito è da sottolineare come, anche in questo caso luoghi di partecipazione di livello regionale vengono ‘scavalcati’ da network nazionali e internazionali. Se però ci stacchiamo dal livello concreto della realtà quotidiana e delle relazioni attive, al mondo delle aspettative, spostando quindi il nostro asse da “ciò che è” a “ciò che sarebbe meglio fare”, notiamo come l’elemento relazionale cambia di segno: Sarebbe bello, insomma ora spero che ci scambiamo i numeri di telefono... e rimaniamo in contatto, perché comunque poi è bello, perché loro potrebbero trovarsi nella necessità, per dire, di non avere fondi per un qualcosa di importante e potrebbero dirmi: oh, ma te che fai, c’abbiamo questa cosa, si potrebbe unire, fare un evento insieme, non lo so, penso che questo sarebbe molto bello, perché proprio nello scambio fra di noi... e invece questo manca molto. Nelle affermazioni si va addirittura oltre la questione economica, come se tutto fosse riconducibile alla sola dimensione comunicativa. […] i soldi vengono dopo, la cosa più pressante è il discorso della rete, se si riesce a fare rete ci si confronta, vengono fuori idee migliori, e secondo me i soldi sono solo una conseguenza, quasi, quindi non metterei l’accento sulla necessità, perché fare rete anche ti sostiene nei momenti di scoramento, quando arriva il no, a quel famoso bando. Ho sempre detto perché non riusciamo a fare un qualche cosa, un progetto dove tutti abbiano un pezzettino... Ma non un pezzettino di soldi, parliamoci chiari, perché io nel mio piccolo, nel mio piccolo bilancio riesco a fare quello che voglio fare là in quei villaggi, però ora ho trovato loro e subito gli dirò che ho bisogno di fare qualche cosa [...] 118 Sembra esistere una percezione della complessità legata al lavorare in rete, ma le problematiche non sono espresse chiaramente come i vantaggi. Lavorare con vari partner comporta un investimento di tempo e energia nel coordinamento delle attività, nella presa delle decisioni e nella costruzione di un percorso comune, sia nelle fasi precedenti alla stesura del progetto, che durante l’esecuzione. Occorre considerare, oltre alle problematiche di comunicazione, l’aumento delle variabili e il concatenarsi delle conseguenze. Allargando la partecipazione è necessario che le organizzazioni si dotino di strumenti concettuali e metodologici per ottimizzare il lavoro in gruppo, che seppur utili anche all’interno delle singole organizzazioni, diventano quasi indispensabili quando le organizzazioni si moltiplicano o debba essere realizzata una progettazione partecipata. L’opportunità e la necessità di avviare forme di collaborazioni con altre Odv che operano nello stesso ambito è vissuta come qualcosa di rilevante dal 70% (‘abbastanza’ e ‘molto’), così come il promuovere e facilitare un lavoro di rete tra Odv rappresenta un’aspettativa che il 91% degli intervistati ripone nel Cesvot: A: Ognuno di noi vorrebbe avere la possibilità di conoscere quelle realtà che hanno un po’ le stesse visioni, o delle stesse esperienze, difficoltà, criticità, e poi su quello decidere se e come lavorare insieme. B: quindi non deve essere un mediatore ma deve essere... C: Un facilitatore di incontri?... B: deve dare... A: conoscenze e occasioni di incontro... B: brava, ecco quello che io cercavo… la parola che cercavo è “occasioni di incontro...”. Il dialogo appena letto, estrapolato dalla trascrizione di uno dei focus group, suggerisce proprio la creazione di “occasioni di incontro”. Si conferma quindi l’esigenza di incontri e relazioni più orizzontali, che permettano alle persone di conoscersi e ‘riconoscersi’, nel senso di trovare similitudini nelle prospettive, nei modi di agire. Questo potrebbe contribuire a superare la barriera del timore di trovarsi ‘invasi’ dalle altre organizzazioni o da situazioni che portino difficoltà. 119 A tale proposito, potrebbe essere interessante sperimentare un percorso di incontri focalizzati su tematiche allargate, condivisibili e innovative, con la presenza di un moderatore in grado di cogliere e sintetizzare i vari stimoli. Incontri che offrano reale occasione di effettivo scambio orizzontale tra pari, ma soprattutto l’opportunità di trasformare idee condivise in attività concrete. Credo che si debba recuperare le più piccole, cercare di fare più rete, io non voglio dire escludiamo le tradizionali Ong, però loro si devono mettere in testa che esiste un substrato molto più piccolo come il nostro, che ha bisogno semmai di essere formato, e non si devono tenere gelosamente il loro know how per fare progetti europei... Perché non ci coinvolgono? In azioni, piccole azioni...perché? […] Potrebbero accogliere, anziché andare a cercare cooperanti... siamo una valanga di persone che bene o male potrebbero portare il proprio contributo [...] Nonostante ciò, le difficoltà ad un approccio reticolare, collaborativo e partecipativo, si rilevano anche attraverso una particolare domanda, costruita in modo tale da consentire alle Odv di prefigurare un particolare orientamento di fronte ad una situazione simulata. Lo scenario immaginato era quello caratterizzato da una scarsa disponibilità di risorse economiche di fronte alla quale le Odv dovevano individuare la migliore prospettiva da ‘abbracciare’. La ‘spaccatura’ tra visioni e approcci che già in più di una occasione ha avuto modo di manifestarsi, anche in questo caso emerge con rilevanza. La maggioranza delle Odv (il 51%) si colloca all’interno di una strategia che prevede di mantenere la propria autonomia, indipendenza e dimensione a costo di ridurre drasticamente le proprie attività, accontentandosi di gestire una situazione di ‘sopravvivenza’. Al contrario, l’altra metà delle Odv si caratterizza per una maggiore propensione a rendersi disponibile per un’aggregazione con altre realtà affini del territorio con l’obiettivo di condividere risorse per fronteggiare un contesto che altrimenti rischierebbe di far naufragare i sogni di cambiamento. 120 2. Tendenze relazionali A dimostrazione dello scenario appena dipinto si è voluto costruire un indice che riassumesse le modalità di approccio al lavoro. Un indice che evidenziasse il lato ‘egoista’ o quello ‘altruista’ delle nostre Odv. Le domande prese in considerazione per la costruzione di questo particolare indice hanno riguardato i ruoli dei partners all’interno delle attività di progettazione svolte dall’associazione (d.21.1, d.21.2, d.21.3) e le modalità di conduzione delle attività (d.27.1, d.27.2, d.27.3). Ciò che emerge non è molto confortante: si ha la conferma di come questo settore sia abbastanza orientato alla competizione, alla concorrenza. Un mare all’interno del quale, nonostante ci siano altre imbarcazioni che vanno nella stessa direzione, si preferisce navigare per conto proprio, a costo di perdersi, piuttosto che condividere la rotta e utilizzare ciascuno la scia dell’altro per razionalizzare le risorse. Come dimostra la tabella, il 24% delle Odv rientra a pieno titolo nella categoria degli ‘individualisti’, contro un 16% decisamente più cooperativo. Tab. 16 Indice di Approccio Individualista 24,5% Tra individualista e cooperativo 59,3% Cooperativo 16,2% La cooperazione (intesa come valore) dovrebbe essere ciò che anima il proprio agire, il motore di tutte le iniziative, non solo quando ci si riferisce a contesti terzi (dove forse è più facile essere collaborativi e altruisti), ma soprattutto dove l’esigenza di efficienza ed efficacia dei risultati dovrebbe rendere tutti più cooperativi. Il grafico, restituisce un panorama ancora più netto. Mostrando tutti i valori (da 0 a 10) è possibile vedere come la tendenza (nonostante la maggioranza assoluta come indica la classificazione a 3 della tabella è nella fascia intermedia) sia decisamente ‘spostata’ verso la categoria ‘individualista’. 121 Graf. 27 Approccio: tra individualisti e cooperativi Ulteriore significativo indice è quello che tenta di ripartire le Odv in base a quello che potrebbe essere un loro criterio di relazionalità. In particolar modo si è voluto indagare verso quale atteggiamento, ‘strumentale’ o ‘disinteressato’, sono propense le Odv rispetto ad eventuali collaborazioni e legami, così come nei confronti della partecipazione a bandi di finanziamento. Le domande estrapolate per la costruzione dell’indice sono relative al ruolo del partner come co-finanziatore del progetto (d.21.3), alla partecipazione ai bandi della Regione Toscana (d.33), alla motivazione insita nella ricerca di un coinvolgimento degli enti locali (d.43.1) e delle altre Odv (d.44.2) e l’accesso a fonti di finanziamento pubblico (d.30). Se la tabella (che riporta le percentuali delle Odv distribuite sull’aggregazione degli intervalli dell’indice alle tre diverse dimensioni individuate) ci restituisce un’apparente situazione di quasi equilibrio (escludendo ovviamente le realtà che si collocano nella fascia intermedia), dove l’ago è leggermente spostato sulla parte degli ‘strumentali’, il grafico, che come negli altri casi è costruito facendo riferimento a tutti i punti di intervallo dell’indice (tra 0 e 10) rivela una situazione più chiara all’interno della quale molte Odv si ritrovano in un contesto 122 dove presumibilmente il fattore economico rappresenta un motivo per intraprendere determinati percorsi collaborativi. Tab. 17 Indice di relazionalità Strumentali 15,7% Tra Strumentali e Disinteressati 60,8% Disinteressati 12,7% Graf. 28 Relazionalità: tra strumentali e disinteressati 123 Capitolo 8 Prospettive di sviluppo A conclusione dell’indagine si è tentato di far emergere le particolari difficoltà che le Odv di questo settore incontrano nello svolgere la propria mission e contemporaneamente le aree che le stesse ritengono maggiormente strategiche per rendersi sempre più efficaci e in grado di raggiungere al meglio i propri obiettivi. Come è possibile vedere dalla tabella sottostante, tra le maggiori difficoltà intorno alle quali si registra un assoluto consenso rientrano (non a caso), questioni riguardanti le risorse economiche: sia in termini generali, come dimostra il fatto che l’80% dichiara che la mancanza di risorse pregiudica in maniera rilevante l’andamento delle attività mettendo a rischio la propria esistenza, sia per quanto riguarda la capacità stessa di ricercare finanziamenti (per l’82% delle Odv). La scarsità dei finanziamenti, oltre a rappresentare quel filo rosso che unisce e accomuna gran parte delle realtà del Terzo settore, se da un lato rappresenta un evidente problema quotidiano di sopravvivenza, dall’altro può nascondere un orientamento teso a prefigurare le istituzioni come erogatori automatici di denaro, sviluppando così un atteggiamento passivo di ‘attesa’. La maggioranza delle Odv (il 52%) si trova di comune accordo anche nel rilevare come la scarsa visibilità di ciò che fanno sia un problema significativo con il quale devono quotidianamente ‘lottare’ all’interno di un maremagnum di iniziative e attività che, se non gestite adeguatamente, rischiano di passare inosservate. Tab. 18 Principali problematiche Ricerca finanziamenti 82,6% Disponibilità risorse economiche 80,4% Visibilità iniziative 54,4% Rapporti enti locali 42,3% Lavoro di rete stesso settore 39,1% Rapporti con enti dei paesi 34,5% 124 Continuità progettuali 31,5% Lavoro di rete con Odv di altri settori 29,7% Formazione risorse umane 27,1% Assenza professionalità interne 22,8% Elaborazione progetti 21,7% Rendicontazione progetti 21,7% Amministrazione generale 20,6% Affidabilità partner in loco 17,4% Rapporti con i beneficiari 10,0% Ulteriore difficoltà sottolineata da poco più del 40% delle Odv è relativa alla relazione con gli enti locali. L’83% delle realtà auspica un cambiamento nella gestione dei rapporti con i diversi enti locali nella speranza di avviare forme di collaborazione più stabili e non occasionali o così difficoltose. Due sembrano essere quindi gli ambiti problematici: economico e politico. Ambiti strettamente legati là dove, secondo il punto di vista delle Odv, senza rapporti con gli enti locali è sempre più difficile riuscire ad ‘emergere’. Si tratta quindi di riuscire a rompere quel circolo vizioso che, muovendo da scarse disponibilità di finanziamento, si limitano le opportunità operative, dando luogo ad una scarsa visibilità e quindi insufficiente riconoscimento sul territorio verso gli enti locali, producendo a sua volta un limitato accesso ai finanziamenti. Fig. 5 Il circolo vizioso 125 Fortunatamente tutti gli ambiti operativi strettamente legati alla gestione delle attività “di competenze diretta” delle Odv sembrano avere minori problemi: dall’amministrazione alla rendicontazione, dall’elaborazione di progetti al rapporto con i beneficiari. A fronte delle problematiche emerse, in maniera speculare emergono quegli spazi ritenuti strategicamente importanti e necessari per migliorare le proprie attività. Graf. 29 Principali necessità (Abbastanza + Molto) Se la principale necessità risulta, come ci saremmo potuti attendere, il bisogno di finanziamenti, la seconda questione è quella dei volontari impegnati attivamente. Inoltre viene sottolineata l’esigenza di migliorare ‘qualitativamente’ la propria mission attraverso la presenza di maggiori professionalità interne all’associazione. Elemento questo che, seppur ripropone quella eterogeneità tra le Odv evidenziata anche da altri aspetti visti in precedenza, mette in rilievo una certa lettura critica del proprio operato, ‘spostando’ l’orizzonte verso una maggiore consapevolezza dell’importanza dell’efficacia e dell’impatto delle proprie azioni. Queste considerazioni trovano conferma anche nei contenuti dei focus group: 126 il Terzo settore ha bisogno, se vuole avere impatto, […], di cambiare qualcosa, di cominciare a comunicare in maniera diversa, di essere in grado di gestire a livello economico le proprie risorse, di dialogare in maniera corretta con i soci, cioè ha bisogno di professionalità che non ci sono. Altra significativa necessità rilevata è quella di usufruire di un vero e proprio centro servizi dedicato per espletare varie funzioni logistiche, amministrative e di ricerca, così come l’esigenza di riuscire a trovare (senza però, come dimostrano le pratiche, arrivare ad una vera e propria ‘contaminazione’) forme efficaci per collaborare maggiormente con le altre realtà che lavorano nel settore internazionale. 127 Conclusioni Non basta fare il bene, bisogna anche farlo bene Diderot Non è questione di tempo. È che ti perdi. E ti allontani. I tecnicismi sono troppo impegnativi.1 Fare un bilancio definitivo delle Odv che operano nel settore della solidarietà internazionale e della cooperazione allo sviluppo nel territorio toscano significa districarsi all’interno di un universo variegato che, come hanno dimostrato i dati emersi dall’indagine, è caratterizzato da una forte frammentarietà, sia per quanto riguarda i soggetti (più o meno strutturati), sia in relazione alle modalità di intervento, ai paesi destinatari delle azioni e ai settori. Attraverso la ricerca è stato possibile riscontrare una situazione all’interno della quale le realtà incontrate si muovono a velocità differenti. Da un lato, l’esistenza di molti piccoli e a volte piccolissimi gruppi isolati, scollegati da sistemi di riferimento più generali di tipo strategico, politico o comunque di analisi sul ruolo della solidarietà internazionale secondo quella logica del doppio binario, “qui e là”. Dall’altro, un insieme di soggetti che agiscono in rete con realtà analoghe, impostando la propria operatività sul territorio su una dimensione che cerca di tenere insieme tutti quegli elementi peculiari di un approccio strategico orientato all’efficacia, all’efficienza e alla sostenibilità. Tra questi due gruppi così ben polarizzati se ne colloca un terzo (sicuramente quello più numeroso) che oscilla tra tentativi di potenziamento della propria azione ‘cooperativa’ e resistenze di tipo identitario mettendo in evidenza i limiti di un 'sistema' che può trarre beneficio 1 Citazione all’interno del focus group preliminare realizzato a Siena. 128 dalla presenza di soggetti istituzionali in grado di promuovere, coordinare e gestire modalità consolidate di comunicazione, confronto, riflessione condivisa, partecipazione e collaborazione. Per cercare comunque di elaborare alcune riflessioni organiche di sintesi, è possibile far riferimento a quelli che sono stati i principali ambiti che la ricerca ha esplorato. Tre sono stati gli orizzonti tematici verso i quali le attività di ricerca si sono indirizzate che ci hanno stimolato e accompagnato lungo tutto questo affascinante percorso. In primo luogo, le caratteristiche di un ambito ancora poco conosciuto, se non solo come uno tra i tanti che caratterizzano l’agire delle Odv; in seconda battuta, la presenza di possibili itinerari che caratterizzano l’agire operativo delle Odv; infine, le dinamiche di queste Odv che oltre a rispondere a logiche interne si collocano dentro un quadro così bene delineato come quello della cooperazione decentrata, nelle prassi definite dalla Regione Toscana. A. Un orizzonte liquido Per quanto riguarda il primo degli orizzonti individuati, ciò che emerge dall’analisi dei dati è un ambito del volontariato molto fluido, frutto di quella “condizione liquida” che la postmodernità sembra aver ‘prodotto’, trasformando così ogni ambito della vita. Un settore differenziato nelle origini, nelle modalità, nella visione della propria mission nel quale non sembra esserci un modus operandi fisso. Tutto è molto variabile, mutevole a seconda delle circostanze. Non sembra esistere un agire paradigmatico ben delineato, bensì un approccio liquido volubile, dettato più dalla ‘convenienza’ che dalla ricerca di quel valore aggiunto della partecipazione e della condivisione. Un panorama di non facile lettura e dalle mille sfaccettature che ci restituisce un mondo all’interno del quale tendenzialmente si preferisce viaggiare da soli o in pochi, con i propri limiti, ma cercando di preservare e ‘difendere’ i propri ‘territori’ e le proprie peculiarità. È poi sicuramente un ambito giovane (in termini di nascita delle Odv) e che, in molti casi, non riesce a “diventare grande”; dove la prospettiva di una crescita organizzativa è ancora una dimensione scono- 129 sciuta e spesso poco auspicata. La dimensione volontaristica (con tutti i suoi pregi ma anche i suoi limiti) e il carattere della gratuità dell’opera prestata sono fondamentali e rappresentano l’ingrediente principale con il quale affrontare le sfide della solidarietà. Come sottolinea un partecipante ad uno dei focus group: Noi ci teniamo a rimanere piccoli. Con il piccolo ce la facciamo a gestire le nostre attività. Rimarremo piccoli, però la passione che ci mettiamo è nostra. Se ci allarghiamo, chi ci viene? Queste Odv ‘nascono’, ‘vivono’ e molto spesso ‘muoiono’ sotto l’impulso di persone da un forte carisma che catalizza e canalizza i valori, le idee, la vision e la mission. In molti casi è stato un viaggio, un’esperienza, un incontro, un evento a far accendere la luce della curiosità che ha portato le persone a conoscere, sensibilizzarsi, approfondire e poi ad impegnarsi. L’elevata frammentazione costituisce l’altro grande elemento peculiare: molte Odv dalle piccole dimensione, che agiscono all’interno di un territorio con il quale ci si relaziona poco e in modo non sempre costruttivo, soprattutto nei confronti di Odv dello stesso ambito. Come l’Universo, che è costellato di tante piccole stelle che formano diverse galassie, anche questo ‘universo’ è formato da tante micro stelle che si aggregano in galassie separate. Questa atomizzazione si riflette anche nella dispersione e nella frantumazione degli interventi all’interno dei paesi in via di sviluppo, dando vita ad un vero e proprio ‘esercito’ senza comandante. Se da un lato la crescita di tante piccole unità indipendenti può significare una maggiore frammentazione e quindi minor efficacia e efficienza, dall’altro può rappresentare anche una novità di senso nell’agire volontario, per l’orientamento a nuovi bisogni e forme inedite di protagonismo dei cittadini responsabili, oltre a evidenziare la ‘ricchezza’ di un tessuto sociale, di una società civile con un forte spirito di cittadinanza attiva e quindi la forza, il dinamismo del settore stesso che procede verso un proprio percorso di ‘maturazione’. Ciò che sarebbe opportuno consolidare (e creare là dove non c’è) è un maggiore coordinamento affinché le scelte (di settore, territoriali, progettuali, ecc.), pur nella piena autonomia e indipendenza, possano essere il frutto di una politica condivisa e di una strategia razionale 130 che conduca ad un rafforzamento di tutto l’ambito e non ad una mera “concorrenza autoreferenziale”. Davanti a questo pluralismo, la visibilità diventa un ulteriore elemento debole di questo settore. La necessità è quella di riuscire a comunicare, riuscire a far sapere ciò che l’associazione sta facendo, in modo da uscire dal sottobosco di un settore già di per se “di nicchia” e comunque ‘affollato’, per rendersi visibili, conosciuti e rintracciabili. Tutte attività che rappresentano costi notevoli, che necessitano di professionalità che queste piccole realtà non possono permettersi o che decidono di ‘dirottare’ su altri ambiti considerati più strategici. In termini generali, ciò che possiamo sottolineare è il fatto che la storia biografica, l’esperienza sul campo, rappresentano le variabili che più di altre influenzano e determinano un certo modo di lavorare. L’esperienza accumulata oltre a produrre una implicita acquisizione di competenze che vengono mano a mano rafforzate con inserimenti di professionalità in grado di colmare determinati gap tecnici, incrementa la sensibilità e la maturità necessarie per affrontare situazioni complesse e una continua evoluzioni negli approcci. Nonostante ciò, emergono comunque una serie di problematiche legate ai bandi di finanziamento: difficoltà nei formulari, pratiche burocratiche eccessive, ammissibilità, scarsa chiarezza nei requisiti. Ulteriore elemento di sintesi è che, pur ‘soffrendo’ di una cronica mancanza di fondi (come del resto tutto il mondo del volontariato), la dimensione economica, se esercita innegabilmente delle forti pressioni circa la “forza progettuale”, l’incidenza sul territorio e la gestione logistica delle attività, non sembra rappresentare una particolare discriminante per quanto riguarda l’approccio ai problemi dello sviluppo. Se vogliamo utilizzare uno slogan, “la mission non è un questione di soldi”: utilizzare un approccio piuttosto che un altro, non sembra dipendere certo dal disporre di risorse economiche; più che altro sembra essere una questione di ‘rappresentazione’, di prefigurazione volontaria e consapevole del proprio ruolo scegliendo di porsi nei confronti dello sviluppo, nel modo più autentico e disinteressato possibile, quasi ‘immaturo’, in maniera molto informale, che sfocia però in una presenza e in una valenza sul territorio altrettanto informale. 131 B. Quando la buona volontà non basta La costruzione degli indici ci ha permesso di individuare alcuni “tipi ideali” di Odv anche se la pluralità delle dinamiche in atto complicano la vita al ricercatore che tenta di ‘modellizzare’ queste realtà associative. Alla luce dei dati emersi è possibile individuare tre modelli: il primo fa riferimento ad un approccio di solidarietà internazionale, il secondo orientato alla cooperazione allo sviluppo e il terzo risulta caratterizzato da un mix tra le due posizioni precedenti. Si tratta di tre modi differenti interpretare le delle problematiche dello sviluppo e conseguentemente di tre prassi di intervento. Per contribuire ad una maggiore chiarezza circa il significato e le caratteristiche dei tre approcci che emergono, riprenderemo l’interpretazione che Korten (1987) ha elaborato per descrivere l’evoluzione ‘generazionale’ delle Ong. Se però il modello di Korten segue uno schema evolutivo (generazionale appunto), il nostro tentativo utilizza le caratteristiche delle singole generazioni per descrivere (in modo statico) le Odv appartenenti ai modelli individuati. L’approccio di solidarietà internazionale può essere spiegato con le caratteristiche tipiche della prima generazione, all’interno della quale le esperienze associative rappresentano una manifestazione di solidarietà e di impegno a breve termine, basata su valori umanitari di pace e giustizia, dove il ruolo che gioca l’attore è quello di ‘donatore’ all’interno di una situazione di scarsità attraverso una gestione prettamente logistica dell’intervento. Questo è un ‘modello’ all’interno del quale rimane centrale la coppia “sviluppo-aiuto”, secondo una logica solidaristica-umanitaria-assistenzialista sintetizzabile con il proverbio africano secondo cui, nonostante tutto, “la mano che riceve sta sempre sotto a quella che dà”. Al contrario, l’orientamento definibile di cooperazione allo sviluppo rappresenta un percorso più ‘maturo’, strutturato, profondo, identificabile con quelle generazioni che Korten indica come evoluzione, negli approcci e nei metodi, della prima generazione. Questo panorama trova una conferma anche nell’analisi qualitativa, dove emerge chiaramente l’intenzione di collocarsi nell’ambito più ‘informale’ della solidarietà internazionale, piuttosto che in quello struttu- 132 rato della cooperazione, percepito più come un sistema complesso, chiuso, burocratico e inefficiente. Una percezione dovuta in molti casi da esperienze pregresse decisamente negative, seppur altrettanto parziali e che spinge verso un orientamento che però, per molti casi, è foriero di un approccio ancora paternalistico. Come afferma un partecipante ad uno dei focus group: Ciò che spinge l’azione, è cercare di appianare le grosse differenze tra la nostra situazione e la loro situazione Ciò evidenzia sia la propensione ad un modus operandi genuino e semplice, sia atteggiamenti assistenzialistici. C. Cooperazione decentrata: tra mito e realtà Il terzo orizzonte verso il quale sono state dirette le attività di ricerca è stato quello relativo alla possibilità di comprendere come agiscono le Odv all’interno del sistema regionale della cooperazione. Il tipo di cooperazione che caratterizza ciò che viene definito il modello toscano è quel particolare approccio decentrato che prevede proprio il coinvolgimento degli enti locali oltre che di tutti gli attori del territorio. Non esiste un consenso generale su una definizione di cooperazione decentrata; esiste, semmai, un’ampia serie di definizioni che mutano a seconda dei paesi di intervento e a seconda dei paesi europei promotori di cooperazione. La Commissione europea definisce la cooperazione decentrata come “un nuovo metodo di cooperazione allo sviluppo, che pone gli operatori al centro dell’attuazione, perseguendo il duplice obiettivo di adeguare le azioni alle esigenze e di garantirne la fattibilità”. L’articolo 3 del Regolamento CE n. 955/2002 che proroga e modifica il precedente Regolamento del 1998, individua come operatori della cooperazione decentrata: “autorità locali, Ong, organizzazioni di popolazioni autoctone, gruppi professionali e di iniziativa locale, cooperative, sindacati, organizzazione di donne o di giovani, istituti di insegnamento, di cultura e di ricerca, chiese e qualsiasi associazione non governativa in grado di contribuire allo sviluppo”. Questa nuova modalità è caratterizzata da alcuni elementi chiave come il coinvolgimento attivo di gruppi di operatori, la ricerca del 133 coordinamento e della complementarietà degli operatori, la gestione decentrata dei programmi, la priorità data a processi di sviluppo locale, il riferimento al capacity building e al rafforzamento delle istituzioni in termini di priorità da perseguire. Recependo la definizione del Regolamento della Commissione, la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo italiana (Dgcs) nel documento del 2000 “Linee di indirizzo e modalità attuative” intende la cooperazione decentrata come “l’azione di cooperazione allo sviluppo svolta dalle autonomie locali italiane, singolarmente o in consorzio tra loro, anche con il concorso delle espressioni della società civile organizzata del territorio di relativa competenza amministrativa, attuata in rapporto di partenariato prioritariamente con omologhe istituzioni dei paesi in via di sviluppo, favorendo la partecipazione attiva delle diverse componenti rappresentative della società civile dei paesi partner nel processo decisionale finalizzato allo sviluppo del loro territorio”. Nella definizione aggiornata del 2010, la Direzione generale per cooperazione decentrata intende “l’azione di cooperazione realizzata dalle regioni e dagli enti locali nell’ambito delle relazioni di partenariato territoriale con istituzioni locali (per quanto possibile omologhe) dei paesi con i quali si coopera. Tali azioni sono finalizzate a stabilire e consolidare lo sviluppo reciproco equo e sostenibile. Per la loro realizzazione ci si avvale della partecipazione attiva degli attori pubblici e privati nei rispettivi territori” (Dgcs 2010). La Regione Toscana ha cercato di sviluppare l’idea che contraddistingue la cooperazione decentrata ovvero quella di rendere partecipi dei progetti soggetti di natura diversa, ideando e promuovendo la nascita di un “sistema toscano” della cooperazione. Per fare questo ha ritenuto una sua priorità strategica favorire e promuovere la collaborazione di tutti i soggetti toscani che si occupano di cooperazione allo sviluppo, iniziando a collaborare con gli enti locali per realizzare un vero e proprio modello di cooperazione decentrata che si caratterizza per la capacità di mettere in rete, coordinare e agevolare rapporti di collaborazione tra gli operatori più diversi presenti sia sul proprio territorio sia nelle realtà dei paesi in via di sviluppo. 134 La cooperazione decentrata prevede la partecipazione diretta degli individui, sia dei paesi donatori sia dei paesi beneficiati, e riconosce l’esistenza di una molteplicità di soggetti dello sviluppo. In questo modo si discosta notevolmente dalla logica dei macro-interventi ideati nei centri decisionali occidentali ed esportati, spesso in modo acritico, nei paesi in via di sviluppo. Il “modello integrato” che caratterizza la Toscana prevede un potere di indirizzo della Regione maggiore, sia perché vincola una quota importante di risorse verso iniziative di interesse regionale, sia perché stabilisce priorità geografiche e/o tematiche a cui i soggetti del territorio devono attenersi. In questo sistema la Regione, in stretta collaborazione con i diversi enti del territorio, ha un compito sostanziale di orientamento e coordinamento e sostiene il ruolo degli enti locali come attori politici in grado di realizzare il coordinamento a livello locale del sistema regionale. Gli stessi documenti di programmazione fanno esplicito riferimento all’esigenza di creare un sistema di attori funzionalmente coinvolto nella cooperazione decentrata e di valorizzare le ‘eccellenze’ del territorio. Allo stesso modo la Regione Toscana pone tra i suoi obiettivi la creazione di un sistema regionale per la cooperazione decentrata nel quale la Regione stessa ha un compito sostanziale di orientamento e coordinamento in stretta collaborazione con i diversi enti del territorio. In tutti questi casi sussiste un interesse a coinvolgere i propri servizi ed enti funzionali, e a perseguire un mix di finalità tra cooperazione allo sviluppo e cooperazione più propriamente economica. In sintesi, gli elementi che caratterizzano il modello integrato sono: una definizione ‘stretta’ delle priorità geografiche e tematiche; l’importanza delle iniziative regionali; l’interesse a creare un ‘sistema’ regionale per la cooperazione; la rilevanza dei criteri di selezione di progetti/attori; un potere di intervento-coordinamento della regione in crescita. Questi elementi dovrebbero rappresentare i pilastri sui quali tutti i soggetti del territorio dovrebbero edificare un sistema integrato di cooperazione. Dalla ricerca emerge che il ‘sistema’, così come disegnato e auspicato, stenta a decollare. Molti dei soggetti che teoricamente dovrebbero 135 farne parte, per condizioni, caratteristiche o per scelta, rimangono esclusi. Se da un lato, esperienze negative pregresse, disillusione, mancata capacità di ascolto e dialogo reciproco hanno fatto si che molte delle Odv abbiano provato ad ‘affacciarsi’ alla porta del ‘sistema’, dall’altro la presenza di ‘vincoli’ strutturali delle Odv (nelle varie dimensioni prese in esame) o l’informalità di molte realtà, non permette di intraprendere con successo e continuità una relazione e quindi svolgere una funzione dotata di senso per rafforzare il sistema. Così come in molti casi si preferisce in modo autonomo restarne fuori evitando in tal senso situazioni complesse, problematiche e difficili da gestire, con l’interesse consapevole di essere e rimanere un’esperienza locale (molto significativa per coloro che vi appartengono e vi partecipano) senza avere mire ‘espansionistiche’. Ragioni per cui la Regione viene percepita come un ente molto distante dalla realtà e dalla quotidianità delle Odv, nonostante venga contemporaneamente riconosciuta come l’ente che più di altri ricopre un ruolo significativo nel campo della cooperazione. Così la maggioranza delle Odv vive il proprio territorio, le proprie esperienze, i propri progetti, la propria presenza all’interno di un virtuale sistema in maniera avulsa e incondizionata, dove la presenza o meno degli altri risulta essere un elemento trasversale. Da questo punto di vista è legittimo chiedersi quali sono le specificità delle Odv che operano in campo internazionale, inserite teoricamente in un sistema strutturato, rispetto a quelle che lavorano in altri ambiti di intervento. Ciò che sembra mancare alle nostre Odv è la consapevolezza di far parte di un sistema, considerato più come una zona di ‘riserva’ per le grandi Odv e Ong, che come un’opportunità per tutto il territorio. La conseguenza è che si tende a percepire l’ente regionale come una qualsiasi fonte di finanziamento e non come un soggetto che può rappresentare il valore aggiunto per sviluppare ambiti, condividere informazioni e promuovere una crescita omogenea e armonizzata. Questa tendenza produce un fossato tra le Odv, di tipo politico, valoriale e anche nei comportamenti. Gli stessi tre modelli precedentemente individuati, possono risultare utili per spiegare come anche l’orientamento verso il sistema della cooperazione decentrata sia così 136 differenziato; dove la differenza è data non solo dall’esperienza e dalla maturità, ma anche da una volontà politica delle Odv, che però troppo spesso viene meno per la struttura stessa delle organizzazioni che, nella migliore delle ipotesi, riescono solo ad affacciarsi alla finestra del sistema. Certo è che anche la stessa Regione Toscana, e in questo il Cesvot potrebbe svolgere un ruolo determinante, dovrebbe promuovere strumenti operativi orientati a favorire realmente la partecipazione e la condivisione con tutte le Odv, facilitandone e incentivandone l’accesso con dispositivi alla portata di tutti, ma soprattutto attraverso un sistema efficace di orientamento e monitoraggio per rimuovere quegli ostacoli che si frappongono tra le Odv e le altre istituzioni territoriali. La situazione appena descritta crea evidenti difficoltà anche nel relazionarsi con gli altri enti locali; questi rapporti, che dove esistono, sono limitati nel tempo e comunque circoscritti a specifici casi e collocati nelle fasi iniziali delle attività dell’associazione. Emerge quindi un dialogo istituzionale che stenta a decollare, soprattutto in quelle realtà associative più piccole e che comunque, è principalmente orientato ad ottenere risorse economiche necessarie per l’attivazione di progettualità. La visione di un rapporto di partenariato con gli enti locali che vada oltre il mero finanziamento è ancora lontana dall’essere interiorizzata: è la ricerca del finanziamento che spinge tali Odv a cercare dei contatti, anche se il rapporto, più che istituzionale, viene inizialmente instaurato grazie a relazioni e conoscenze dirette. Solo nelle realtà più organizzate e strutturate l’approccio ‘sistemico’ è maggiormente ricercato, cercando di inserirsi in una logica più ampia di condivisione. Naturalmente la tipologia e l’intensità del rapporto e del dialogo con le istituzioni è strettamente legata e direttamente proporzionale alle capacità, alle competenze, alla disponibilità e alle potenzialità delle singole Odv: più queste sono ‘mature’, più le possibilità di allacciare collaborazioni e partenariati duraturi sono ampie. Nonostante dall’analisi qualitativa emerga un forte desiderio di fare rete e realizzare sinergie (anche se i collegamenti avvengono soprattutto in base alle affinità tra persone e organizzazioni), come sostiene Salvini (Salvini, Corchia 2012: 131) (e i dati della ricerca lo confermano), c’è una particolare ‘radicalità’ che accomuna molte Odv 137 di questo settore; una tensione etico-politica che si sviluppa poi in attività anch’esse relativamente esclusive che, mentre costituiscono una innegabile ricchezza per lo sviluppo del volontariato, rendono abbastanza impraticabile l’attivazione di collaborazioni esterne sia in termini formali-convenzionali, sia soprattutto in termini di “lavoro di rete”. Di conseguenza, ciò che si manifesta è l’attivazione di rapporti diadici (con il Cesvot, con i comuni, ecc…) per singole iniziative, ma al di fuori, da qualsiasi logica reticolare. Ciò che emerge soprattutto dall’analisi qualitativa (ma che le risposte al questionario confermano) è la necessità di conservare e difendere la propria autonomia associativa, tutelare la propria ‘creatura’ da eventuali ‘contaminazioni’ esterne. Sempre a partire da esperienze negative, vengono evidenziati i rischi e le problematiche di condividere con altri idee, progetti, attività. A tale proposito è però necessaria una precisazione, anche se abbastanza evidente. Questa radicalità è tipica di quelle Odv che operano nello stesso ambito della solidarietà internazionale. Questo non tanto per una logica concorrenziale, quanto per una individualistica visione del ruolo giocato dalla propria associazione in base a un forte senso di appartenenza nei confronti delle proprie attività e dei propri progetti. Emblematiche a tale proposito le parole di uno dei partecipanti ad un focus group: ognuno ha la propria vocazione. Non si condivide perché non ti appassioni ai progetti di altri. Perché ogni associazione ha modi di operare condivisi e consolidati, obiettivi e interessi comuni. È più facile infatti stabilire sinergie con altre Odv di differenti settori, con le quali vengono attivati percorsi collaborativi, iniziative occasionali per autofinanziamenti, sensibilizzazione, visibilità. Più che per “spirito di reticolarità” il rapporto è di mutuo-aiuto, in parte per ottimizzare l’uso di risorse organizzative, in parte funzionale all’esigenza di accedere a canali nuovi per reperire risorse economiche non altrimenti recuperabili. Ed è così che I nostri rapporti, la nostra cooperazione è più sul territorio che non sui progetti particolari. Sempre coltivando i rapporti con le persone. 138 Crei eventi, crei una cena, una corsa, per venire fuori con un aiuto economico. Un progetto comune è però una realtà sconosciuta. A giustificazione parziale di tale particolare approccio al lavoro di rete, viene offerta e condivisa la versione della dimensione dell’associazione. Realtà troppo piccole, ma impegnate a tal punto da non poter dedicare forze e risorse ad attività di rete. Come viene sottolineato Il problema di fondo è che è faticoso continuare, riprogettare, mantenere la sopravvivenza. Lo sforzo per mantenere attivi i progetti sono talmente alti che non ci sono risorse da dedicare ad altro. Questa situazione evidenzia la presenza di più itinerari, diversi modi di muoversi all’interno di un grande sistema, dove ciascuno trova il percorso che più si confà alle proprie caratteristiche, esigenze e visioni del mondo. Da questo punto di vista, non si intravede un particolare “polo di attrazione” anche solo dal punto di vista percettivo, ma una costellazione di soggetti più o meno riconosciuti, frutto di una percezione parziale e limitata del proprio ambito di intervento. Si tratta di un universo associativo che più che essere proiettato verso l’esterno è ‘ripiegato’ sul proprio vissuto, in conseguenza di una visione molto localistica. D. Quale ruolo per il Cesvot? La ricerca ha più volte evidenziato che le organizzazioni che operano nell’ambito del volontariato internazionale sul territorio della Toscana sono estremamente eterogenee. La diversità è considerata una preziosa risorsa da preservare e da trasformare in “bene comune”, ma è anche fonte di difficoltà a causa delle diverse rappresentazioni e modalità di azione che si incontrano e scontrano. A seguito quindi della visione di un settore che, seppur denso di soggetti, energie, attività e valori, è caratterizzato anche da una serie di elementi e dinamiche che potrebbero inficiare nel lungo periodo la crescita sana e armoniosa di un settore, si rende necessario cercare di recuperare quello che potrebbe essere il ruolo del Cesvot. In tal senso, i dati emersi nel corso della ricerca restituiscono una 139 situazione di luci e ombre. Poche Odv esprimono un rapporto diretto con il Cesvot e là dove si registra non è basato su legami totalmente stabili, anche se poco più della metà delle Odv considera il Cesvot molto vicino alla propria esperienza quotidiana. Questo scostamento tra la percezione e i comportamenti, tra ciò che le Odv ‘avvertono’ (in senso emotivo) e ciò che poi le stesse mettono in pratica, evidenzia la presenza di criticità a livello operativo-metodologico. Queste criticità vengono successivamente riprese e sottolineate dalle Odv nel momento in cui espongono quelle che sono le proprie aspettative nei confronti del Cesvot. In primo luogo, la quasi totalità delle Odv (il 94%) ritiene che il Cesvot debba impegnarsi maggiormente per la messa in opera di attività che facilitino la circolazione e la condivisione delle informazioni (quasi il 70% del totale ritiene infatti scarsa la divulgazione e la condivisione delle attività svolte da altre Odv). Un ulteriore punto che raccoglie quasi l’unanimità dei consensi (per il 93% delle Odv) è quello che vede il Cesvot come ‘locomotiva’ per la crescita del settore, sostenendo attività di reperimento risorse e accesso ai bandi oltre che attività di supporto alla progettazione (per il 73%). Il Cesvot dovrebbe anche facilitare la partecipazione a logiche e dinamiche di rete con altre Odv. Come viene specificato infatti durate uno dei focus group, Io penso che quello che mi sento di chiedere un po’ al Cesvot, è quello veramente di avvicinare i territori, ascoltando le particolarità che questi portano, per cui davvero quello che dicevo prima, le aziende che lavorano nei paesi, le associazioni, le organizzazioni di volontariato, che lavorano nei paesi, hanno matrici comuni, cioè magari un’associazione del Valdarno che lavora con il Burkina potrebbe lavorare anche con la Coop o con le altre cooperative che vanno a fare i fagiolini e vedere come un approccio integrato territoriale di matrice comunque toscana va a intersecarsi con un altro territorio che ha al suo interno delle cose […]. Promuoviamo la nostra specificità territoriale. Questo ultimo aspetto però si scontra, in molti casi, con quello che è il comportamento delle Odv, manifestando in tal senso una certa contraddizione, quella cioè che vede le Odv ‘investire’ il Cesvot di un obiettivo verso il quale le Odv stesse (come dimostrano i dati analiz- 140 zati nel corso della ricerca) molto spesso si dimostrano poco inclini. Anche la formazione è un ambito che le Odv auspicherebbero che il Cesvot potenziasse, con modalità però più compatibili (in termini di logistica e organizzazione) e coerenti (nei contenuti) alle esigenze del settore internazionale: Probabilmente l’esigenza c’è e penso che sia condivisa soprattutto per quelle realtà associative che non sono strutturate come delle mega associazioni che possono avere tre persone che si occupano della comunicazione dei propri progetti. L’esigenza che io vorrei far emergere e che rilevo è quello anche di una formazione che può essere anche una formazione di base sulla comunicazione, visto che molto spesso anche nelle associazioni dove magari il volontario segue la rendicontazione del progetto o piuttosto che il sito, la presentazione al finanziatore, quindi fa attività anche molto diversificate è normale che non può avere competenze a trecentosessanta gradi. Non sempre però la formazione è la soluzione ideale per soddisfare i bisogni; in alcuni casi tende a sovraccaricare le persone di compiti altamente specializzati, sottraendo energie alle attività centrali del volontariato e delle organizzazioni. Al contrario dal Cesvot ci si attenderebbe la messa a disposizione di un servizio in grado di dare sostegno nella fase di progettazione: […] a noi ci potrebbe interessare, più che la formazione, invece un’agenzia di servizi, perché, che ne so, noi abbiamo tutti una grande capacità relazionale, anche di visionarietà rispetto agli interventi che facciamo, anche la capacità nella gestione, però non abbiamo né la struttura, né tantomeno l’energia per mettersi a lavorare sulla stesura di un progetto europeo, nell’ottica poi del gestirlo, con tutte le cose che ti richiede un progetto europeo. A parte che non abbiamo neanche l’idoneità per chiedere finanziamenti all’Europa o al Ministero degli Affari Esteri […]. Ciò che le Odv si prefigurano è quindi un Cesvot che assuma le funzioni di un vero e proprio centro servizi per il volontariato internazionale, in grado di supportarle (in molti casi sostituendole) nella gestione burocratica delle attività, con lo scopo di ‘liberare’ energie utili da dirottare su attività ritenute più ‘vicine’ alla propria esperienza e alle proprie capacità. 141 Magari sarebbe importante, nel momento in cui, per uno specifico bisogno, bisogno chiamiamolo tecnico per fare il bando ecc, poter avere, diciamo così, pagare questo servizio, però che non sia un costo tutto l’anno, capisci, perché, per esempio, penso a noi che avremmo bisogno di fare un progetto e quindi potremmo, di progetto, avere un tecnico che ce lo presenta e quindi esserci una specie, come dicevo prima, di cooperativa di servizi […]. […] abbiamo provato a partecipare, per quello che riguarda la cooperazione internazionale, al bando dei microprogetti della Regione Toscana, e non siamo stati ritenuti ammissibili, però abbiamo fatto una chiacchierata, devo dire che in Regione sono stati molto... in questo, molto...lo riconosco... carini, ci hanno spiegato quali erano i punti di debolezza, e come migliorare per l’anno prossimo, e secondo me questa cosa qui è importante, premere sul fatto che ti diano delle motivazioni, e sul perché un progetto non è stato approvato. Tali affermazioni suggeriscono altri servizi che potrebbero rispondere alla necessità di supportare le Odv ben oltre la fase di individuazione del bando e stesura del progetto. Una sorta di manager project management, che supporti l’organizzazione in tutte le fasi del progetto: dal fornire le credenziali e partnership per accedere a fonti di finanziamento normalmente inaccessibili per la maggior parte delle Odv, all’affiancamento nella gestione del progetto, alla rendicontazione e alla comunicazione. 142 Graf. 30 Aspettative delle Odv verso il Cesvot *'!$0 )+!*0 )*!)0 '+!$0 '-!%0 '(!,0 '(!,0 '+!$0 ''!+0 '$!(0 &$!+0 %,!)0 )!(0 %!%0 ! +!*0 '!'0&!&0 ,!+0 +!*0 %!%0 Alla luce di quelle che sono le caratteristiche rilevate e delle problematiche individuate, la funzione del Cesvot dovrebbe essere quella di promuovere periodicamente incontri di scambio di esperienze e condivisione di informazioni, favorendo la conoscenza approfondita del territorio e di tutti gli attori che agiscono nell’ambito internazionale, contribuendo così a formare la consapevolezza di ‘esistere’ e lavorare all’interno di un sistema che, seppur complesso e ancora in fieri, dovrebbe rappresentare l’obiettivo principale, trasformando la frammentazione da elemento critico in valore aggiunto per tutto il territorio e per le stesse Odv. Il Cesvot potrebbe quindi elaborare strategie per inquadrare le Odv in una prospettiva di comunicazione e rappresentazione reciproca e favorire un “incontro tra differenze”. È importante valorizzare il capitale umano e sociale presente e il valore della cooperazione intesa come condivisione attraverso l’ascolto e la considerazione delle differenze. Da qui la necessità di promuovere occasioni e momenti di incontro 143 che favoriscano lo scambio di reciproci interessi. Oltre a ciò, risulta essere necessario ottimizzare le risorse curando la ricaduta sul territorio regionale, valorizzare le competenze delle Odv, riconoscere le potenzialità del loro contributo nel rispetto delle specificità di ciascun attore, integrare le piccole organizzazioni nelle attività delle grandi Ong, prevedere e promuovere percorsi di supporto tecnico-logistico nella stesura dei progetti e nella comunicazione per liberare energie da dedicare alla mission, in un’ottica non certo di “assistenzialismo progettuale” ma di trasferimento di conoscenze, basandosi sull’ascolto e l’attenzione alle diversificate esigenze delle organizzazioni toscane. Le possibilità di crescita e di espansione della solidarietà internazionale e della cooperazione dipendono anche da altri fattori, non ultimo quello relativo ad una semplificazione normativa, organizzativa e procedurale, nonché alle disponibilità finanziarie. Tali riflessioni, riportate all’interno di un sistema di cooperazione decentrata, evocano l’importanza centrale di due criteri fondamentali già emersi anche in ricerche analoghe e che si possono sovrapporre alle nostre considerazioni: sussidiarietà e partenariato. Se il concetto di sussidiarietà presuppone il rafforzamento di un percorso di sviluppo partecipato basato sull’integrazione di priorità, risorse, programmazione e competenze da parte di tutti i soggetti del territorio (pubblici e privati) che sottolineano il ruolo strategico delle realtà locali affidando poi il compito di coordinare alle istituzioni locali, il partenariato riguarda la capacità degli enti locali di riconoscere quelle esperienze in grado di produrre competenze rilevanti al fine di contribuire a realizzare un approccio progettuale integrato all’interno di un determinato contesto. Tutto ciò risulta essere concretizzabile solo all’interno di un processo di promozione di una cultura di sistema, come strategia in grado di incidere positivamente sull’efficacia delle azioni di tutti gli attori coinvolti, a partire dalla condivisione di metodologie partecipative che privilegino modalità di promozione e diffusione di partenariati territoriali e tematici, ritrovando un dialogo e una relazione basati su elementi concreti, su risposte precise a determinate e altrettanto precise richieste di crescita. 145 Appendice 1. Materiali utilizzati per l’animazione dei focus group Scheda 1 - Cooperazione/solidarietà: Il bicchiere mezzo pieno e... tutto vuoto Figura 6 Fonte immagine: Disegno in concorso a Uau 2004 - Sorridere a scuola, promosso dal Comune di Trento e dallo Studio Andromeda. http://www.vitatrentina.it/media/cumulus/acqua_nordsud_cooperazione_internazionale_sviluppo_sostenibile_ambiente_umorismo_vignetta_-_u Scheda 2 – Il ruolo delle Odv e delle organizzazioni della società civile nel sistema della cooperazione allo sviluppo 1) Iacopo Viciani, ActionAid - Coordinatore Taskforce società civile sull’efficacia dell’aiuto: Con le risorse per gli aiuti pubblici italiani allo sviluppo de-facto cancellate negli ultimi quattro anni, ma con un’attività di fundraising dal privato in grado di raccogliere oltre 500 milioni di euro nel 2010, le organizzazioni della società civile italiana impegnate nella cooperazione e solidarietà internazionale sono ormai i rappresentanti e gli “azionisti esclusivi” dello sforzo di cooperazione e solidarietà internazionale dell’Italia. A questo onore corrisponde l’onere non solo di dimostrare l’efficienza della propria azione e di essere in grado di contribuire 146 significativamente ad un cambiamento positivo, ma anche di coinvolgere i cittadini del Nord e Sud del mondo nella definizione delle loro strategie e del loro modo di operare, dimostrando che i valori distintivi del mondo non governativo si concretizzano in maniere di lavorare differenti che producono risultati efficaci. Fonte: Viciani I., Il futuro del lavoro sulla qualità delle Ong, in Bazzano A., Landoni P., Cooperazione non governativa ed efficacia: principi, pratiche e condizioni abilitanti, Milano, Poliscript 2011, pp. 74-77. 2) Sergio Marelli, Segretario generale Focsvi: Il modello perseguito, sostenuto e premiato dalle istituzioni pubbliche del nostro paese è quello delle organizzazioni di grandi dimensioni e notevole strutturazione che però originano da contesti sociali ed economici diversi dal nostro, per esempio quelli tipicamente anglosassoni. In pratica non c’è nessuna forma di valorizzazione, incentivazione e incoraggiamento per gli sforzi e le iniziative protese a “mettere in rete” le tante piccole realtà territoriali, mentre si tendono a privilegiare le grandi Ong. (...) Il risultato così ottenuto è lo sradicamento dai territori, il centralismo decisionale e il mercenarismo professionale, scotto oggi pagato dalla cooperazione non governativa italiana. (...) La cooperazione internazionale non può essere ridotta a professionismi efficientisti. Essa ha la sua essenza più profonda nel coinvolgimento delle persone e nell’instaurazione di relazioni di prossimità tra persone, comunità, popoli. Fonte: Marelli S., Ong: una storia da raccontare. Dal volontariato alle multinazionali della solidarietà, Roma, Carocci 2011, pp-66-67. Scheda 3 - Ong ed enti locali: un equilibrio delicato Il caso che di seguito esposto è ispirato a fatti reali. A. è un cooperante in missione in Senegal da diversi anni: vive per quasi tutto l’anno nel paese africano, occupandosi anche di progetti in Casamance, una regione caratterizzata da tensioni politiche, a causa del conflitto che ha opposto per anni un movimento separatista al potere centrale di Dakar. L’Ong per cui lavora A. diventa partner di un progetto di cooperazione decentrata, con capofila un’amministrazione provinciale. Il progetto prevede, tra l’altro, la costruzione di un presidio sanitario in Casamance. L’Ong, nella persona di A., forte della conoscenza del territorio e delle sue dinamiche politiche, propone al capofila istituzionale di costruire il presidio in un’area della regione considerata strategica per i bisogni di cura e assistenza sanitaria della popolazione locale. L’amministrazione provinciale capofila del progetto intende invece dare priorità alle indicazioni, differenti, pervenute dal governo centrale di Dakar. L’amministrazione provinciale spiega alla Ong che è inammissibile per un capofila istituzionale scavalcare il governo centrale beneficiario del progetto di cooperazione decentrata. La distanza fra le posizioni dell’Ong attenta ad accogliere le istanze di un territorio in conflitto con il potere centrale, e le posizioni dell’amministrazione capofila, attenta a non ledere la sovranità di uno stato riconosciuto internazionalmente come democratico, non potrebbe essere maggiore... 147 Scheda 4 - Discussione sulle problematiche di settore, le aspettative e le prospettive per il futuro Figura 7 Fonte: http://vauro.globalist.it/Detail_News_Display?ID=7358&typeb=0 Ai poveri del Sud del Mondo è utile tutto.[...] L’importante è che ognuno sappia orientarsi a una coerente valutazione di efficacia, traendone le debite conseguenze per gli obiettivi da assumere e le azioni da intraprendere, sempre alla luce della responsabilità che si dovrebbe assumere lavorando in un settore, quello della solidarietà internazionale, nel quale sono alti i rischi connaturati con il senso di superiorità e la facile, illusoria presunzione di conoscere e poter praticare la soluzione appropriata, di solito considerandola la migliore di tutte. Fonte: Marelli S., Ong: una storia da raccontare. Dal volontariato alle multinazionali della solidarietà, Roma, Carocci 2011, pp. 170-171. 148 2. Il questionario 1. INFORMAZIONI DI BASE 1. L’attività di solidarietà internazionale svolta dall’associazione è? 1 Attività PREVALENTE 2 Attività SECONDARIA 2. Se l’attività di solidarietà internazionale svolta dall’associazione è SECONDARIA, quale è l’attività Primaria svolta dall’associazione? 1 Sociale 2 Culturale 3 Ambientale 4 Tutela e promozione diritti umani 5 Sanitario 6 Socio-sanitario 7 Protezione civile 3. L’associazione è l’emanazione territoriale di una organizzazione nazionale/ internazionale? 1 Si 2 No 4. Da quanto tempo l’associazione svolge attività di solidarietà internazionale? 1 Da meno di 3 anni 2 Tra 4 e 10 anni 3 Da più di 10 anni 5. In quale dei seguenti ambiti l’associazione realizza i progetti/le attività di solidarietà internazionale? 1 Area sociale Si No 2 Salute/alimentazione Si No 3 Educazione Si No 4 Cultura Si No 5 Ambiente Si No 6 Emergenza Si No 7 Artigianato e industria Si No 8 Commercio e credito Si No 9 Infrastrutture Si No 149 10 Istituzioni e governance 11 Agricoltura Si No Si No Altro specificare: ______________________________________ 6. In quanti paesi (escluso l’Italia) la sua associazione realizza attività di solidarietà internazionale? 1 Solo un paese 2 Da 2 a 4 paesi 3 5 o più paesi 7. In quali aree geografiche è presente l’associazione con le attività di solidarietà internazionale? 1 America Latina Si No 2 Mediterraneo e Medio Oriente Si No 3 Africa Si No 4 Asia Si No 5 Europa Sud-orientale Si No 6 Europa Centro-orientale Si No 7 Italia Si No 8. Per ogni area geografica indicata, potrebbe scrivere i singoli paesi all’interno dei quali l’associazione opera? _______________________________________________________ _______________________________________________________ _______________________________________________________ _______________________________________________________ _______________________________________________________ 9. Quanti progetti di solidarietà internazionale l’Associazione ha realizzato negli ultimi 3 anni? 1 Me no di 3 2 Da 3 a 5 3 Da 6 a 10 4 Oltre 10 10. Verso quale categoria di beneficiari sono rivolte le attività di solidarietà internazionale dell’associazione? 1 Infanzia Si No 2 Minoranze Si No 3 Donne Si No 4 Profughi Si No 150 5 6 7 Migranti Popolazione rurale Disabili Si Si Si No No No Altro specificare: ______________________________________________ 11. Di quanti SOCI è composta attualmente l’associazione? 1 Da 1 a 10 2 Da 11 a 30 3 Oltre i 30 12. Quanti VOLONTARI ATTIVI operano con CONTINUITA’ nell’ambito delle attività di solidarietà internazionale? 1 Da 1 a 10 2 Da 11 a 30 3 Oltre i 30 13. Potrebbe indicare l’ammontare economico medio dei progetti/attività negli ultimi 3 anni? 1 Meno di 5.000 euro 2 Tra i 5.000 e i 15.000 euro 3 Tra i 15 e i 30.000 euro 4 Oltre 30.000 euro 14. Potrebbe indicare il volume economico registrato dall’associazione nel corso del 2011 per le attività di solidarietà internazionale? 1 0 2 Meno di 10.000 3 Tra i 10.000 e i 50.000 euro 4 Tra i 50.000 e 100.000 euro 5 Oltre 100.000 euro 15. Potrebbe indicare la durata media dei progetti/attività di solidarietà internazionale? 1 Meno di 1 anno 2 1 anno 3 Da 2 a 4 anni 4 5 o più anni 16. L’associazione ha avuto in passato, o ha attualmente personale a contratto per la gestione delle attività di solidarietà internazionale? 151 1 2 17. Si No Se si, in che ambito/i? 1 Amministrazione 2 Segreteria 3 Progettazione 4 Coordinamento progetto 5 Area Tecnica 6 Valutazione Si Si Si Si No Si No Si No No No No 2. ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO 18. La scelta di sviluppare progetti di solidarietà e cooperazione internazionale all’interno dell’associazione, nasce: Spesso Qualche volta Mai Per iniziativa di alcuni membri dell’associazione 1 2 3 Su richiesta di altre associazioni/Ong del territorio 1 2 3 Su richiesta di Enti locali 1 2 3 Su richiesta di associazioni partner 1 2 3 In seguito a situazioni di emergenza 1 2 3 Su segnalazione di realtà missionarie religiose 1 2 3 Su segnalazione di comunità di immigrati presenti nel territorio 1 2 3 19. Attraverso quali strumenti/azioni l’associazione entra in contatto con i beneficiari dei progetti di solidarietà internazionale? Spesso Qualche volta Mai Contatti personali e conoscenze dirette di soci/membri 1 2 3 Relazioni istituzionali 1 2 3 152 Relazioni con altre associazioni del territorio 1 2 3 Viaggi di soci o membri dell’associazione 1 2 3 Contatti con realtà missionarie religiose 1 2 3 Contatti con comunità di immigrati presenti nel territorio 1 2 3 20. Quale/i ruolo/i svolgono i BENEFICIARI nelle attività di solidarietà internazionale svolte dall’associazione? Spesso Qualche volta Mai Co-autori del progetto 1 2 3 Esecutori delle attività del progetto 1 2 3 Beneficiari esclusivi delle attività 1 2 3 Attività di valutazione 1 2 3 21. Quale/i ruolo/i svolge il/i PARTNER/S nelle attività di solidarietà internazionale svolte dall’associazione? Spesso Qualche volta Mai Co-autori del progetto 1 2 3 Co-Coordinatori delle attività in loco del progetto 1 2 3 Co-finanziatori 1 2 3 Attività di valutazione 1 2 3 22. Con quale frequenza l’associazione organizza incontri INTERNI per la programmazione delle attività di solidarietà internazionale? 1 Almeno una volta alla settimana 2 Almeno una volta al mese 3 All’inizio di ogni anno 4 Solo in particolari circostanze 5 Saltuariamente 6 Mai 153 23. Nella gestione delle attività di solidarietà internazionale l’associazione si avvale di specifiche professionalità? 1 Si 2 No 3 Qualche volta 24. Se “si” o “qualche volta”, in che modo? 1 Sono professionisti esterni che già collaborano con l’associazione a titolo gratuito Si No 2 Sono profess. che vengono coinvolti come consulenti esterni/liberi professionisti retribuiti Si No 3 Sono professionisti che collaborano con altre associazioni che conosciamo Si No 4 Sono professionalità interne all’associazione Si No 25. Se “si” o “qualche volta”, in quale ambito/i? Prevalentemente Saltuariamente Mai Progettazione 1 2 3 Coordinamento 1 2 3 Realizzazione attività 1 2 3 Comunicazione 1 2 3 Ricerca fondi 1 2 3 Formazione 1 2 3 Valutazione 1 2 3 26. Le attività di solidarietà e cooperazione internazionale sono caratterizzate da: Per niente Poco Abbastanza Molto Aiuti umanitari (invio di aiuti gratuiti, donazioni con carattere di solidarietà rivolte a singole persone o comunità) 1 2 3 4 Formazione (trasferimento di conoscenze) 1 2 3 4 154 Realizzazioni / forniture (costruzioni, installazioni impianti, case di abitazione, ospedali, scuole, canali / pozzi, macchine, sementi, materiali) 1 2 3 4 Sensibilizzazione, informazione e promozione 1 2 3 4 Scambio di volontari 1 2 3 4 Assistenza tecnica 1 2 3 4 Analisi, progettazione, valutazione 1 2 3 4 Ricerca e sperimentazione 1 2 3 4 Adozione a distanza 1 2 3 4 Commercio equo e solidale 1 2 3 4 27. Le attività esecutive inerenti i progetti di solidarietà e cooperazione internazionale, sono condotte: Prevalentemente Saltuariamente Mai Autonomamente dall’associazione 1 2 3 In collaborazione con altre associazioni che operano nello stesso settore 1 2 3 In collaborazione con altre associazioni che operano in ambiti differenti 1 2 3 In collaborazione con associazioni partner locali 1 2 3 In collaborazione con enti locali 1 2 3 In collaborazione con realtà missionarie in loco 1 2 3 28. Che tipo di investimenti interni fa l’associazione nell’ambito della solidarietà e delle cooperazione internazionale? Per niente Poco Abbastanza Molto Formazione volontari 1 2 3 4 Formazione dirigenti 1 2 3 4 Formazione operatori diretti 1 2 3 4 155 Acquisto attrezzature per l’associazione 1 2 3 4 Promozione/Comunicazione 1 2 3 4 Consulenze 1 2 3 4 29. Attraverso quali strumenti/azioni/fonti l’associazione reperisce le informazioni utili per una analisi del territorio e dei bisogni, funzionale alla progettazione? Spesso Qualche volta Mai Indagini compiute da altre associazioni 1 2 3 Indagini compiute da enti pubblici 1 2 3 Indagini compiute da università ed enti di ricerca 1 2 3 Centri di documentazione 1 2 3 Raccolta diretta attraverso missioni 1 2 3 3. FINANZIAMENTI 30. Per la realizzazione delle attività di solidarietà internazionale, di quale tipo di FINANZIAMENTO PUBBLICO si avvale l’associazione?: Spesso Qualche volta Mai Comune 1 2 3 Provincia 1 2 3 Regione 1 2 3 Ministero 1 2 3 Unione Europea 1 2 3 Nazioni unite e altre istituzioni collegate 1 2 3 156 31. Per la realizzazione delle attività di solidarietà internazionale, di quale tipo di FINANZIAMENTO PRIVATO si avvale l’associazione? Spesso Qualche volta Mai Fondazioni bancarie 1 2 3 Istituti religiosi 1 2 3 Imprese private 1 2 3 Donazioni 1 2 3 Singoli Privati 1 2 3 Bandi Cesvot 1 2 3 Autofinanziamento 1 2 3 32. In che misura l’autofinanziamento (raccolta fondi, tesseramento, ecc) concorre alla realizzazione delle attività? 1 Il 100% 2 Oltre il 75% del totale 3 Il 50% 4 Il 25% 5 0 33. Negli ultimi 5 anni quante volte l’associazione ha partecipato al bando della Regione Toscana dedicato ai microprogetti destinanti alla solidarietà e cooperazione internazionale? 1 1 volta 2 da 2 a 4 volte 3 5 volte 4 Mai 34. Se Mai, perché? (Una sola risposta) 1 Mancanza di interesse 2 Mancanza di personale specializzato per la progettazione 3 Mancanza di tempo da dedicare a questa attività 4 Non ne vale la pena 5 Non ne siamo a conoscenza 35. Nel caso in cui li ha presentati, hanno ottenuto il finanziamento? 1 Si, sempre 2 Qualche volta 3 No, mai 157 4. COMUNICAZIONE 36. Attraverso quali strumenti vengono comunicate all’esterno le attività di solidarietà internazionale svolte dall’associazione? Periodicamente Occasionalmente Mai Pubblicazione di riviste cartacee 1 2 3 Pubblicazione di bollettini 1 2 3 Pubblicazioni multimediali (blog, newsletter, sito internet, ecc.) 1 2 3 Convegni/seminari 1 2 3 37. In che misura secondo lei vengono divulgate/pubblicizzate/condivise/ le informazioni relative alle attività di solidarietà internazionale che svolgono altre associazioni del territorio? 1 Per niente 2 Poco 3 Abbastanza 4 Molto 5. RETI 38. Quante sono, in totale, le associazioni di volontariato con le quali la vostra associazione ha rapporti di collaborazione? 1 Meno di 3 2 Da 3 a 5 3 da 6 a 10 4 Oltre 10 39. Quali sono secondo il suo parere le realtà (istituzionali e non, pubbliche e private) CENTRALI, più significative, che a livello regionale operano nel campo della solidarietà e della cooperazione internazionale?: 1 ____________________________________________________ 2 ____________________________________________________ 3 ____________________________________________________ 4 ____________________________________________________ 5 ____________________________________________________ 158 40. Quanto sente vicino alla sua associazione le seguenti realtà nell’ambito delle attività di solidarietà internazionale? 41. Quali sono gli enti (pubblici/istituzionali e privati/associazioni) nell’ambito della solidarietà e cooperazione internazionale con cui la sua associazione ha rapporti? Che frequenza hanno tali apporti? Sistematici Frequenti Occasionali 1. 1 2 3 2. 1 2 3 3. 1 2 3 4. 1 2 3 5. 1 2 3 6. 1 2 3 7. 1 2 3 8. 1 2 3 9 1 2 3 10. 1 2 3 11. 1 2 3 12. 1 2 3 159 13. 1 2 3 14. 1 2 3 15. 1 2 3 42. Con le realtà che ha individuato quale è la tipologia di collaborazione prevalente: Collaborazioni informali (organizzazione di eventi, singole attività, ecc.) Partenariati formali (strutturati da convenzioni, protocolli d’intesa, ecc.) Rapporti indiretti (attraverso membri) Rapporti diretti (tra associazione e associazione) 1. 1 2 3 4 2. 1 2 3 4 3. 1 2 3 4 4. 1 2 3 4 5. 1 2 3 4 6. 1 2 3 4 7. 1 2 3 4 8. 1 2 3 4 9. 1 2 3 4 10. 1 2 3 4 11. 1 2 3 4 12. 1 2 3 4 13. 1 2 3 4 14. 1 2 3 4 15. 1 2 3 4 43. La ricerca di un coinvolgimento degli enti locali è: Finalizzata all’erogazione di contributi Spesso Qualche volta Mai 1 2 3 160 Finalizzata alla creazione di partenariati per progettualità condivise 1 2 3 Finalizzata alla richiesta di erogazione di servizi 1 2 3 44. La ricerca di collaborazioni con altre associazioni che operano nel campo della solidarietà e cooperazione internazionale è: Spesso Qualche volta Mai Finalizzata alla condivisione di idee e progettualità 1 2 3 Finalizzata alla collaborazione in singole attività di raccolta fondi 1 2 3 Finalizzata all’erogazione/prestazione di servizi 1 2 3 Finalizzata alla realizzazione delle attività del progetto 1 2 3 Finalizzata alla condivisione di risorse economiche 1 2 3 Finalizzata alla condivisione/scambio di informazioni 1 2 3 45. L’associazione partecipa attualmente alle iniziative della Regione Toscana in merito alle attività di solidarietà e cooperazione internazionale (Tavoli, Coordinamenti, Gruppi di lavoro, Progetti, attività sul territorio, ecc)?: 1 Si, in modo continuativo 2 Si, in modo occasionale 3 Si, solo per specifici attività 4 No, mai 5 Abbiamo partecipato in passato, ora non più 46. Fate parte attualmente di network (gruppi di associazioni), Forum, che operano nel campo della solidarietà e della cooperazione internazionale? 1 Si, in modo continuativo 2 Si, in modo occasionale 3 Si, solo per specifici attività 4 No, mai 5 Abbiamo partecipato in passato, ora non più 161 47. Se si, a che livello: 1 Provinciale 2 Regionale 3 Nazionale 4 Internazionale 48. Può esprimere il suo grado di accordo con le seguenti affermazioni? Per niente d’accordo Del tutto d’accordo Stringere rapporti di collaborazione con gli enti locali costituisce una scelta strategica virtuosa per il volontariato per aumentare i finanziamenti e le attività 1 2 3 4 5 Il senso del volontariato risiede nella reciprocità: mentre si dona, si riceve 1 2 3 4 5 Garantire servizi in modo sempre più competente e professionale costituisce una scelta strategica virtuosa del volontariato 1 2 3 4 5 Il senso del volontariato risiede nella gratuità: il dono non deve prevedere alcun ritorno 1 2 3 4 5 L’autonomia del volontariato dagli enti locali è una scelta virtuosa per evitare la dipendenza economica e politica, anche a costo di avere meno finanziamenti ed attività 1 2 3 4 5 Il volontariato sta privilegiando eccessivamente la dimensione dei servizi perdendo la dimensione etica e valoriale 1 2 3 4 5 Il senso del volontariato risiede nel valore etico culturale piuttosto che nei servizi offerti 1 2 3 4 5 Sarebbe necessario che il volontariato si dotasse di professionisti per essere sempre più efficace 1 2 3 4 5 162 6. FORMAZIONE 49. Sono previsti percorsi di formazione per gli appartenenti all’associazione? 1 Si, in modo continuativo 2 Si, in modo occasionale 3 Si, solo per specifici progetti 4 No 50. Se si, in che ambito? 1 Amministrazione 2 Segreteria 3 Progettazione 4 Coordinamento progetto 5 Area Tecnica 6 Valutazione Si Si Si Si Si Si No No No No No No 7. PROBLEMATICHE E ASPETTATIVE 51. Negli ultimi 3 anni, le attività di solidarietà e cooperazione internazionale dell’associazione sono: 1 Aumentate 2 Diminuite 3 Rimaste invariate 52. Nello svolgimento delle attività di solidarietà e cooperazione internazionale, quali sono le difficoltà maggiori che l’associazione incontra?: Per niente Poco Abbastanza Molto Disponibilità di risorse economiche 1 2 3 4 Ricerca finanziamenti (locali, regionali, …) 1 2 3 4 Assenza di professionalità specifiche interne 1 2 3 4 Capacità di dare continuità alle attività progettuali 1 2 3 4 Scarsa affidabilità del partner in loco 1 2 3 4 Elaborazione di progetti 1 2 3 4 Rapporti con gli enti locali 1 2 3 4 163 Rapporti con le amm. dei paesi in cui l’associazione opera 1 2 3 4 Rapporti con i beneficiari 1 2 3 4 Visibilità delle iniziative organizzate 1 2 3 4 Lavoro di rete con altre Odv dello stesso ambito di interesse 1 2 3 4 Lavoro di rete con altre Odv di ambito differente 1 2 3 4 Formazione risorse umane 1 2 3 4 Rendicontazione progetti 1 2 3 4 Valutazione 1 2 3 4 Amministrazione 1 2 3 4 53. Ogni item presentato quanto lo ritiene opportuno e necessario per poter migliorare, ampliare e rendere più efficaci le attività della vostra associazione?: Per niente Poco Abbastanza Molto 1 2 3 4 Trovare concrete opportunità di finanziamento 1 2 3 4 Avviare collaborazioni con altre Odv che operano nello stesso ambito 1 2 3 4 Avviare collaborazione con altre Odv che operano in ambiti diversi 1 2 3 4 Avviare forme di collaborazione e partenariato stabili con gli enti locali 1 2 3 4 Maggiori opportunità di formazione per i volontari 1 2 3 4 Un centro servizi per supportare le Odv nelle progettualità, comunicazione, raccolta fondi. 1 2 3 4 Maggiori professionalità specifiche interne all’associazione 1 2 3 4 Maggior numero di volontari 164 54. A quale di questi due scenari associa un possibile futuro dell’associazione: 1 Il futuro dell’associazione è rimanere dentro una dimensione volontaristica e della gratuità 2 Il futuro dell’associazione è approdare verso una dimensione sempre più professionistica delle attività internazionali 55. In una situazione caratterizzata da una scarsità di risorse economiche disponibili, verso quali scenari sarebbe orientata l’associazione?: 1 Mantenere la propria autonomia, indipendenza e dimensioni, all’interno di una condizione di “sopravvivenza” 2 Disponibilità ad aggregarsi con altre realtà del territorio, per condividere forze e risorse 56. Quali sono le sue aspettative nei confronti del Cesvot? Per niente Poco Abbastanza Molto Facilitare la circolazione e la condivisione di informazioni 1 2 3 4 Promuovere e facilitare un lavoro di rete fra associazioni 1 2 3 4 Promuovere maggiori e più accessibili processi di formazione 1 2 3 4 Sostenere attività di supporto alla progettazione 1 2 3 4 Sostenere attività di reperimento risorse, accesso ai bandi, ecc. 1 2 3 4 165 Bibliografia ALBERTI A., GIUDICI C. (a cura di) 2003 — Un altro futuro per il mondo. Le Ong italiane per lo sviluppo e la solidarietà internazionale, Città aperta, Troina (En). AMBROSINI M. 1992 — Il terzo settore tra efficienza e solidarietà. Un’analisi sul piano organizzativo, in “Politiche Sociali e Servizi”, 2. 2004 — Per gli altri e per sé. Motivazioni e percorsi del volontariato giovanile, Franco Angeli, Milano. BLACK M. 2004 — La cooperazione allo sviluppo internazionale, Carocci, Roma. BOCCACIN L. 1990 — Altruismo, reciprocità e scambio simbolico nel terzo settore, in “Studi di Sociologia”, XXVIII, 3. BOCCACIN L. 2009 — Terzo settore e partnership sociali: buone pratiche di welfare sussidiario, Vita e Pensiero, Milano. ARDIGÒ A. 2001 — Volontari e Globalizzazione. Dal privato sociale ai problemi dell’etica globale, EDB, Bologna. BOCCACIN L, ROSSI G. (a cura di) 2004 — Stili partecipativi emergenti nel volontariato giovanile, Franco Angeli, Milano. ASCOLI U. (a cura di) 1999 — Il welfare del futuro. Manuale critico del Terzo settore, Carocci, Bari. BOCCACIN L., ROSSI G. 2006 — Le identità del volontariato italiano. Orientamenti valoriali e stili di intervento a confronto, Vita e Pensiero, Milano. BARALDI G. 1993 — Le Organizzazioni non governative di cooperazione internazionale, Mimeo. BELLANCA N. 2008 — Umanitarismo competitivo. Le ONG nei processi dell’aiuto e dell’emergenza, Jura Gentium Journal. BELLANCA N., CALDES PINILLA M.J., COMO E., LIBANORA R., RAPISARDI A. 2010 — La cooperazione decentrata allo sviluppo: riflessioni teoriche e spunti dall’esperienza della Toscana nel campo della salute globale, Cespi WP/76. BERTI F., CAPINERI C., NASI L. 2009 — Capitale sociale, capitale territoriale. tracce di sostenibilità in Marocco, Franco Angeli, Milano. BOCCELLA N., TOZZO O. 2005 — Le organizzazioni non governative. Risorse e modelli di organizzazione, Ed. Universitarie di Lettere Economia Diritto, Milano. BONAGLIA F., DE LUCA V. 2006 — La cooperazione internazionale allo sviluppo, Il mulino, Bologna. BORGHESE E. 1989 — Un ponte tra nord e sud. L’azione volontaria per lo sviluppo, Quale Sviluppo, 12. Asal Roma. BRODHEAD T. 1987 — Ngos: iso ne year, out the other? in “World Development” n. 15. 166 BRUSCAGLIA L., ROZZI E., (a cura di) 2002 — Il volontariato a dieci anni dalla legge quadro – Atti del convegno, Giuffré, Milano. CAPOCCHINI R., PEROTTI F. 2012 — Con i piedi per terra. lavorare con le organizzazioni contadine nei progetti di cooperazioni allo sviluppo, Franco Angeli, Milano. CAPUTI JAMBRENGHI M.T. 2008 — Volontariato, sussidiarietà, mercato, Cacucci, Bari. CASELLI R. (a cura di) 2001 — Il terzo settore. Regione Toscana. Rapporto 2000, Giunti Editore, Firenze. CIPSI 1988 — L’associazionismo di solidarietà con i paesi in via di sviluppo, I° Rapporto nazionale, Roma. 1993 — L’associazionismo di solidarietà con i paesi in via di sviluppo, II° Rapporto nazionale, Roma. CNEL-ISTAT 2008 — Primo rapporto Cnel/Istat sull’economia sociale. Dimensioni e caratteristiche strutturali delle istituzioni non profit in Italia, Roma. COLOZZI I. (a cura di) 1997 — Terzo settore e sviluppo civile. Franco Angeli, Milano. COMMISSION OF THE EUROPEAN COMMUNI- TIES CATTARINUSSI B. (a cura di) 1994 — Altruismo e solidarietà. Riflessioni su pro socialità e volontariati, Franco Angeli, Milano CESVOT 2009 — Plurali, Volontariato e autonomie locali. Inserto mensile di aut&aut gennaio. CHAMBERS R. 1983 — Lo sviluppo rurale: mettere gli ultimo al primo posto, Associazione culturale Giovanni Lorenzin, Portogruaro. 1991 — Shortcut and Partecipatory Methods for Gaining Social Information for Projects, in Cernea M. Putting People First: Sociological Variables in Rural Development, Second Edition, The World Bank - Oxford University Press, Oxford. CHIEFFI L. 2002 — Il ruolo del volontariato nella cooperazione allo sviluppo, in Bruscaglia L., Rozzi E., (a cura di), Il volontariato a dieci anni dalla legge quadro – Atti del convegno, Giuffré, Milano. 2009 — Proposal for a Council Decision on the European Year of Volunteering (2011), Brussels. DGCS/MAE 2010 — Linee Guida della Dgcs sulla Cooperazione Decentrata, Roma. DONATI P. 1996 — Sociologia del terzo settore, La Nuova Italia Scientifica, Roma. ELLIOT C. 1987 — Some aspects of relations between the North and the South in the Ngo sector, “World Development” n. 15. FAGGI P., DANSERO E. 2012 — Prefazione, in Capocchini R., Perotti F., Con i piedi per terra. Lavorare con le organizzazioni contadine nei progetti di cooperazione allo sviluppo, Franco Angeli, Milano FANCIULLACCI D., GRILLO F., IANNI V., RHI SAUSI J.L., STOCCHIERO A., ZUPI M. 1997 — Teorie dello sviluppo e nuove forme di cooperazione. Un manuale 167 per la formazione, Aa.Vv. Movimondo, Roma. FRISANCO R. (a cura di) 2006a — Chi siamo: una fotografia del volontariato. Lo scenario del volontariato organizzato oggi, Fivol, Roma. 2006b — Volontariato sotto la lente: lo scenario del volontariato organizzato alla luce della quarta rilevazione Fivol, Fivol, Roma FRISANCO R., CARNEVALE C., (a cura di) 2006c — Le organizzazioni di volontariato in Toscana nella rilevazione Fivol 2006, Fivol, Roma FURLANETTO V. 2013 — L’industria della solidarietà, da storie e testimonianze inedite il volto nascosto della beneficenza, Chiarelettere, Milano GIARELLI G. 2000 — Il volontariato internazionale da attività assistenziale a impresa sociale no-profit, in Cipolla C. (a cura di), Il cosettore in Italia, l’associazionismo prosociale tra logica di confine e logica corelazionale, Franco Angeli, Milano. GORI U. 2003 — La cooperazione allo sviluppo. Errori e illusioni di un mito, Franco Angeli, Milano. GUÉNEAU M.C. 1989 — Piccoli progetti, Asal, Roma. HETTNE B. 1996 — Le teorie dello sviluppo, Asal, Roma e l’Harmattan Italia. HUSTINX L., LAMMERTYN F. 2003 — Stili collettivi e riflessivi del volontariato. Una prospettiva sociologica della/sulla modernizzazione, “Politiche sociali e servizi” n. 2. IANNI V. 1995 — Nascita di nuove forme di azione dell’associazionismo di solidarietà internazionale negli anni Novanta. Il caso di U.Co.De.P. di Arezzo, I Quaderni di Movimondo n.2, Roma. 1997 — Le Ong, un soggetto importante per lo sviluppo, in Fanciullacci D., Grillo F., Ianni V., Rhi Sausi J.L., Stocchiero A., Zupi M., Teorie dello sviluppo e nuove forme di cooperazione. Un manuale per la formazione, Aa.Vv. Movimondo, Roma. IRPET 2008 — Rapporto di valutazione progetti di cooperazione internazionale e di partenariato attuati nel 2005, Firenze. 2009 — Le associazioni di volontariato in Toscana. Caratteri strutturali e valenza occupazionale. Firenze. ISTAT 2001 — Istituzioni non profit in Italia. I risultati della prima rilevazione censuaria. Anno 1999, Lorenzini F, a cura di, Informazioni n. 50, Roma. 2006 — Le organizzazioni di volontariato in Italia. Anno 2003, Moreschi B, a cura di, informazioni n. 27, Roma. KORTEN D.C. 1987 — Third generation Ngo strategies: a kay to people-centerd development, in Gordon Drabek A. (a cura di), Development alternatives: the challenge for Ngo, supplemento a “World Development” n. 15. 1990 — Gettin to the 21 Century-voluntary action and the global agenda, Bookmark. LATOUCHE S. 1993 — Il pianeta dei naufraghi, Bollati e Boringhieri, Torino 1993 LECOMTE B. 1986 — L’aiuto progettuale, Asal, Roma. 168 LEMBO R. 1999 — La dimensione internazionale del volontariato italiano: l’esperienza delle Organizzazioni non governative, in Ascoli U. (a cura di), Il welfare futuro. Manuale critico del Terzo settore, Carocci, Bari. aiuti dell’Occidente stanno devastando il Terzomondo, Rizzoli, Milano MORO G., PACELLI D. (a cura di) 2012 — Europa e società civile, Franco Angeli, Milano. LENZI GRILLINI F., MALFATTI F., PELLECCHIA U., ZANOTELLI F. 2012 — Esperienze e prospettive della cooperazione decentrata senese, Provincia di Siena – Centro Ricerche EtnoAntropologiche, Siena. NASI L. 2006 — Alla periferia del villaggio globale. Sviluppo e valutazione nelle comunità indigene dell’Ecuador, Franco Angeli, Milano. 2012 — Oxfam Italia, in Moro G., Pacelli D. (a cura di), Europa e società civile, Franco Angeli, Milano. LENZI GRILLINI F., ZANOTELLI F. 2008 — Subire la Cooperazione, Ed.It, Catania. OECD 1986 — Le Ong per lo sviluppo, Quale Sviluppo, 1, Asal, Roma. MANTOVANI A. 2004 — Volontariato e Cooperazione internazionale, Ed. Paoline, Roma. OLIVIER DE SARDAN, J.P. 1995 — Antropologia e sviluppo, Raffaello Cortina Editore, Milano. MARCON G. 2002 — Le ambiguità degli aiuti umanitari. Indagine critica sul Terzo settore, Feltrinelli, Milano. OSSERVATORIO NAZIONALE MARELLI S. 2011 — ONG: una storia da raccontare. Dal volontariato alle multinazionali della solidarietà, Carocci, Roma. MAX-NEEF MANFRED A., ELIZALDE A., HOPENHAYN M. 1991 — Human scale development: conception, application and further reflections, The Apex Press, New York. MAZZOLI G. (a cura di) 2008 — Tra vecchio e nuovo volontariato, Centro di servizi per il volontariato, Reggio Emilia. MOYO D. 2010 — La carità che uccide. Come gli PER IL VOLON- TARIATO 2006 — Rapporto biennale sul volontariato in Italia, Roma. Polman L. 2009 — L’industria della solidarietà. Aiuti umanitarie nelle zone di guerra, Mondadori, Milano POLMAN L. 2009 — L'industria della solidarietà. Aiuti umanitari nelle zone di guerra, Mondadori, Milano RANCI C. 2006 — Il volontariato, Il Mulino, Bologna. RAIMONDI A., ANTONELLI G. 2001 — Manuale di cooperazione allo sviluppo. Linee evolutive, spunti problematici, prospettive, Sei, Torino 169 REGIONE TOSCANA 1999 — Legge regionale n°17 del 23 marzo 1999. Interventi per la promozioni di attività di cooperazione e partenariato internazionale a livello regionale e locale. 2007a — Documento di Attuazione Piano regionale della cooperazione e delle attività di partenariato 2007-2010. 2007b — Piano regionale per la cooperazione internazionale (L.R. 17/99) - Periodo 2007-2010. 2007c — Le associazioni di volontariato in Toscana. Anno 2003, Anno IX, Supplemento n. 1 a Informazioni Statistiche 2009 — Legge regionale n° 26, 22 maggio 2009. Disciplina delle attività europee e di rilievo internazionale della Regione Toscana. REGIONE UMBRIA, ANCI UMBRIA 2008 — Ricerca sulla cooperazione decentrata in Umbria, Bomba M, Freda M. H., a cura di, Perugia. ROGNONI M.S. (a cura di) 1995 — Organizzazione non governativa e governi: un tandem per lo sviluppo, Asal-L’Harmattan Italia, Roma. ROSSI M. 2004 — I progetti di sviluppo. Metodologie ed esperienze di progettazione partecipativa per obiettivi, Franco Angeli, Milano. SALVINI A. 1999 — Identità e bisogni del volontariato in Toscana, I Quaderni, n. 7, Cesvot, Firenze, Rapporto di Indagine 1998, Firenze. SALVINI A. (a cura di ) 2007 — Identità e tendenze del volontariato in Toscana, Cesvot, Firenze. SALVINI A., CORCHIA L. (a cura di) 2012 — Il volontariato inatteso. Nuove identità nella solidarietà organizzata in Toscana, I Quaderni, n. 60, Cesvot, Firenze SALVINI A., CORDAZ D. (a cura di) 2005 — Le trasformazioni del volontariato in Toscana. 2° rapporto di indagine, Cesvot, I Quaderni, n. 27, Firenze. SCHUNK J. 2000 — Progettare la cooperazione allo sviluppo, Provincia autonoma di Trento. SCIDÀ G. 1987 — L’utopia concreta. Indagine sulla associazione Mani Tese, Franco Angeli, Milano. 1989 — Le Ong e la società italiana, “Dimensioni dello sviluppo”, anno VI, n. 4. SCUOLA SUPERIORE SANT’ANNA DI PISA 2004 — Mappatura dei soggetti toscani che si occupano di cooperazione decentrata. SDA BOCCONI 2009 — Valutazione della politica di Cooperazione allo sviluppo e Cooperazione territoriale e del sistema complessivo di governance posto in essere dalla Regione Toscana in questo ambito, Milano. SERRA F. 2004 — Le Ong protagoniste della cooperazione allo sviluppo, Ed. Universitarie di Lettere Economia Diritto, Milano. TACCHI E.M. (a cura di) 2009 — Il volontariato. Tra scelte politiche, impegno sociale e funzioni di advocacy, La Scuola, Brescia. TAROZZI A. 1985 — Per una sociologia del volontariato internazionale, Focsiv, Milano. 170 1992 — Quale sociologia dello sviluppo, Edizioni di iniziative culturali politiche sociali e sviluppo, Napoli. 1994 — La cooperazione allo sviluppo e il ruolo di interprete dei volontari cooperanti, in Cattarinussi B. (a cura di), Altruismo e solidarietà. Riflessioni su pro socialità e volontariati, Franco Angeli, Milano. TOMMASOLI M. 2001 — Lo sviluppo partecipativo. Analisi sociale e logiche di pianificazione, Carocci, Roma. VICIANI I. 2011 — Il futuro del lavoro sulla qualità delle Ong, in Bazzano A., Landoni P. Cooperazione non governativa ed efficacia: principi, pratiche e condizioni abilitanti, Poliscript, Milano. 171 Gli autori Il volume è frutto di ricerche e riflessioni comuni ai due autori del volume, tuttavia sono da attribuire a Fabio Berti i capitoli 5, 7 e 8 e a Lorenzo Nasi i capitoli 1, 2, 3, 4 e 6. L’introduzione e le conclusioni sono state redatte congiuntamente dagli autori. Fabio Berti è professore associato presso il Dipartimento di Scienze sociali, politiche e cognitive dell’Università degli studi di Siena dove insegna Sociologia e Sociologia delle migrazioni. Da molti anni svolge attività di ricerca sulle tematiche relative ai processi migratori, all'integrazione sociale e allo sviluppo locale. Lorenzo Nasi è ricercatore di Sociologia presso il Dipartimento di Scienze sociali, politiche e cognitive dell’Università degli studi di Siena dove insegna Sociologia dello sviluppo e Sviluppo e globalizzazione. La sua attività di ricerca è orientata alla comprensione delle trasformazioni legate ai processi di globalizzazione, alle dinamiche della cooperazione allo sviluppo e al rapporto tra giovani e volontariato internazionale. 173 Indice Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Un volontariato ‘invisibile’ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Origine e sviluppo del volontariato internazionale . . . . 2.1 L’associazionismo di solidarietà internazionale in Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2 Attori di sviluppo in mutamento. . . . . . . . . . . . . . 3. La ricerca: obiettivi e attività . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. La metodologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.1 Lo strumento di rilevazione . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.2 La somministrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.3 Il trattamento dei dati. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.4 La fase qualitativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Capitolo 1 Una prima carta di identità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Nascita di un settore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Ambiti di intervento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. La presenza nel mondo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. Il capitale umano: soci e volontari . . . . . . . . . . . . . . . . . 5. La dimensione economica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6. La forza progettuale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7. Tra volontariato e professionismo . . . . . . . . . . . . . . . . . 8. Verso un processo di istituzionalizzazione . . . . . . . . . . Capitolo 2 Dall’idea al progetto: genesi di un percorso . . . . . . . . . . . . . . 1. Il punto di partenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Beneficiari e partners . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. » » 5 6 8 » » » » » » » » 12 15 21 24 26 27 27 28 » » » » » » » » 31 31 33 35 45 48 49 52 56 » » » 59 59 62 174 Capitolo 3 Tra solidarietà e cooperazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Generazioni a confronto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. L’aiuto umanitario di solidarietà. . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. » » 69 69 72 Capitolo 4 Gli approcci sul campo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Saper leggere e vivere il contesto . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Quali professionalità? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. Sulla valutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. Un settore “in via di formazione” . . . . . . . . . . . . . . . . . . » » » » » 77 77 78 80 82 Capitolo 5 Tra pubblico e privato: l’orizzonte economico . . . . . . . . . . . . » 87 Capitolo 6 Solidali ma soli? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Verso la Regione Toscana: così vicino, così lontano . . 2. Aggiungi un posto al Tavolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. Essere o Avere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. Gli altri (non) siamo noi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5. Dinamiche di networking e collaborazioni. . . . . . . . . . . 6. Il valore della comunicazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » » » » » » » 91 91 95 101 102 104 113 Capitolo 7 Altruisti egoisti? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Tra il ‘dire’ e il ‘fare’ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Tendenze relazionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » » » 115 115 120 Capitolo 8 Prospettive di sviluppo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 123 175 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . A. Un orizzonte liquido. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . B. Quando la buona volontà non basta . . . . . . . . . . . . . . . C. Cooperazione decentrata: tra mito e realtà. . . . . . . . . . D. Quale ruolo per il Cesvot? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. » » » » 127 128 131 132 138 Appendice ....................................... » 145 Bibliografia ....................................... » 165 Gli autori ....................................... » 171 177 “I Quaderni” del Cesvot 1 10 Lo stato di attuazione del D.M. 21/11/91 e successive modifiche Raccolta normativa commentata. Leggi fiscali e volontariato Relazione assemblea del seminario Stefano Ragghianti 2 Volontari e politiche sociali: la Legge regionale 72/97 Atti del Convegno 3 Gli strumenti della programmazione nella raccolta del sangue e del plasma Cristiana Guccinelli, Regina Podestà 4 Terzo settore, Europa e nuova legislazione italiana sulle Onlus Cristiana Guccinelli, Regina Podestà 5 Privacy e volontariato Regina Podestà 6 La comunicazione per il volontariato Andrea Volterrani 7 Identità e bisogni del volontariato in Toscana Andrea Salvini 8 Le domande e i dubbi delle organizzazioni di volontariato Gisella Seghettini 9 La popolazione anziana: servizi e bisogni. La realtà aretina Roberto Barbieri, Marco La Mastra 11 Oltre il disagio. Identità territoriale e condizione giovanile in Valdera Giovanni Bechelloni, Felicita Gabellieri 12 Dare credito all’economia sociale. Strumenti del credito per i soggetti non profit Atti del convegno 13 Volontariato e Beni Culturali Atti Conferenza Regionale 14 I centri di documentazione in area sociale, sanitaria e sociosanitaria: storia, identità, caratteristiche, prospettive di sviluppo Centro Nazionale del volontariato, Fondazione Istituto Andrea Devoto 15 L’uso responsabile del denaro. Le organizzazioni pubbliche e private nella promozione dell’economia civile in toscana Atti del convegno 16 Raccolta normativa commentata. Leggi fiscali e volontariato Stefano Ragghianti 178 17 Le domande e i dubbi delle organizzazioni di volontariato Stefano Ragghianti, Gisella Seghettini 18 Accessibilità dell’informazione. Abbattere le barriere fisiche e virtuali nelle biblioteche e nei centri di documentazione Francesca Giovagnoli 19 Servizi alla persona e volontariato nell’Europa sociale in costruzione Mauro Pellegrino 20 Le dichiarazioni fiscali degli Enti non Profit 25 Viaggio nella sostenibilità locale: concetti, metodi, progetti realizzati in Toscana Marina Marengo 26 Raccolta normativa commentata. Leggi fiscali e volontariato Stefano Ragghianti 27 Le trasformazioni del volontariato in Toscana. 2° rapporto di indagine Andrea Salvini, Dania Cordaz 28 La tutela dei minori: esperienza e ricerca Fondazione Il Forteto onlus - Nicola Casanova, Luigi Goffredi Stefano Ragghianti 21 Le buone prassi di bilancio sociale nel volontariato Maurizio Catalano 22 Raccolta fondi per le Associazioni di Volontariato. Criteri ed opportunità Sabrina Lemmetti 23 Le opportunità “finanziare e reali” per le associazioni di volontariato toscane Riccardo Bemi 24 Il cittadino e l’Amministrazione di sostegno. Un nuovo diritto per i malati di mente (e non solo) Gemma Brandi 29 Raccontare il volontariato Andrea Volterrani 30 Cose da ragazzi. Percorso innovativo di Peer Education Luca Napoli, Evelina Marallo 31 L’arcobaleno della partecipazione. Immigrati e associazionismo in Toscana Ettore Recchi 32 Non ti scordar di te. Catalogo dei fondi documentari del volontariato toscano Barbara Anglani 33 Buone prassi di fund raising nel volontariato toscano Sabrina Lemmetti 179 34 Il bilancio sociale delle organizzazioni di volontariato Luca Bagnoli 35 Le responsabilità degli organi amministrativi delle associazioni di volontariato Stefano Ragghianti, Rachele Settesoldi 36 Storie minori - Percorsi di accoglienza e di esclusione dei minori stranieri non accompagnati Monia Giovannetti 37 Ultime notizie! La rappresentazione del volontariato nella stampa toscana Carlo Sorrentino Ettore Recchi, Emiliana Baldoni, Letizia Mencarini 42 Altre visioni. Le donne non vedenti in Toscana Andrea Salvini 43 La valutazione di impatto sociale dei progetti del volontariato toscano Andrea Bilotti, Lorenzo Nasi, Paola Tola, Andrea Volterrani 44 Le donazioni al volontariato. Agevolazioni fiscali per i cittadini e le imprese Sabrina Lemmetti, Riccardo Bemi 45 Una promessa mantenuta. Volontariato servizi pubblici, cittadinanza in Toscana Riccardo Guidi (2 voll.) 38 Contributi e finanziamenti per le associazioni di volontariato Guida pratica Riccardo Bemi 39 Le domande e i dubbi delle associazioni di volontariato Riccardo Bemi, Stefano Ragghianti 46 Atlante del volontariato della protezione civile in Toscana Riccardo Pensa 47 La mediazione linguisticoculturale. Stato dell'arte e potenzialità Valentina Albertini, Giulia Capitani 40 Cittadinanze sospese. Per una sociologia del welfare multiculturale in Toscana Carlo Colloca 48 Contributi e finanziamenti per le assocciazioni di volontariato. Aggiornamento 2009 Riccardo Bemi 41 Un mondo in classe. Multietnicità e socialità nelle scuole medie toscane 49 Volontariato e formazione a distanza Giorgio Sordelli 180 50 Il volontariato. Immagini, percezioni e stereotipi Laura Solito, Carlo Sorrentino 51 Le competenze del volontariato. Un modello di analisi dei fabbisogni formativi Daniele Baggiani 52 Le nuove dipendenze. Analisi e pratiche di intervento 58 Il valore del volontariato. Indicatori per una valutazione extraeconomica del dono Alessio Ceccherelli, Angela Spinelli, Paola Tola, Andrea Volterrani 59 Città e migranti in Toscana. L’impegno del volontariato e dei governi locali per i diritti di cittadinanza Carlo Colloca, Stella Milani e Andrea Pirni Valentina Albertini, Francesca Gori 53 60 Atlante sociale sulla tratta. Interventi e servizi in Toscana Il volontariato inatteso. Nuove identità nella solidarietà organizzata in Toscana Marta Bonetti, Arianna Mencaroni, Francesca Nicodemi a cura di Andrea Salvini e Luca Corchia 54 L'accoglienza dei volontari nel Terzo Settore. Tecniche di comunicazione e suggerimenti pratici 61 Disabilità e ”dopo di noi” Strumenti ed esperienze a cura di Francesca Biondi Dal Monte Elena Vivaldi Stefano Martello, Sergio Zicari 55 Il lavoro nelle associazioni di volontariato a cura di Sabrina Lemmetti 56 La comunicazione al centro. Un’indagine sulla rete dei Centri di Servizio per il Volontariato a cura di Gaia Peruzzi 57 Anziani e non autosufficienza. Ruolo e servizi del volontariato in Toscana a cura di Simona Carboni, Elena Elia, Paola Tola 62 Le domande e i dubbi delle associazioni di volontariato Riccardo Bemi 63 Fund raising per il volontariato Sabrina Lemmetti Stampato in Italia da La Grafica Pisana - Bientina (Pisa) Giugno 2013