Don Juan Pensieri di un ragioniere
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Don Juan Pensieri di un ragioniere
4. LA FORMA DELL’UOMO 4.1 Primo approccio Nel capitolo precedente ho accennato a quella che gli sciamani chiamano la Forma dell’uomo. Questo è un concetto non chiaramente presente in altre religioni e filosofie, salvo vaghi riferimenti non sufficientemente approfonditi. Per esempio, dicendo che Dio ci ha creato “a sua immagine e somiglianza”, si intende proprio questo: le caratteristiche biologiche, che ci rendono atti alla vita, provengono agli esseri umani dalla “Forma dell’uomo”. Castaneda parla della Forma dell’uomo nel Fuoco dal Profondo. I brani che citerò sono stati da me tratti da quest'opera. “Mi diede una dettagliata spiegazione di quel che era la forma dell’uomo. Non ne parlò in termini di emanazioni dell’Aquila ma in termini di un modello di energia che serve a imprimere le qualità del genere umano su una bolla amorfa di materia biologica... Disse che tanto gli antichi veggenti quanto i mistici del nostro mondo hanno una cosa in comune; hanno potuto vedere la forma dell’uomo ma non hanno capito cos’è. Nel corso dei secoli, i mistici ci hanno lasciato commoventi resoconti delle loro esperienze. Ma questi resoconti, per quanto belli possano essere, sono rovinati dal madornale ed esasperante proposito di pensare che la forma dell’uomo sia un onnipotente, onnisciente creatore; gli antichi veggenti avevano ugualmente torto a credere che la forma dell’uomo fosse uno spirito amichevole, che proteggeva l’umanità. Mi ripeté che i nuovi 29 veggenti3 erano gli unici che avessero la sobrietà per vedere la forma dell’uomo e capire quello che era. Arrivarono a capire che la forma dell’uomo non è un creatore, ma il modello di tutti gli attributi umani che possiamo concepire e di alcuni altri che non possiamo neanche concepire”. (Castaneda, Il Fuoco dal Profondo, pag. 276-277) Nel capitolo precedente abbiamo visto come gli sciamani parlino genericamente di “infinito” e credano nell’intelligenza dell’Energia costituente il creato, intelligenza dotata di Volontà e che è unita all’esistente da anelli di collegamento. Abbiamo anche visto, sia pure di sfuggita, come in tutto questo siano comprese le caratteristiche biologiche della vita organica e non, che, per quanto riguarda l’uomo, vengono chiamate dagli sciamani la Forma dell’uomo. Questa matrice della vita può essere percepita solo a livello energetico ed è ciò che i mistici di ogni tempo hanno “visto” nelle loro occasionali percezioni dell’aldilà, credendo che si trattasse di Dio. Faccio notare che – anche in base a quanto detto dalla Bibbia – nessuno può vedere Dio, per cui l’oggetto della percezione dei mistici deve essere qualcos’altro. 4.2 Dante Alighieri e la Forma dell’uomo Uno dei più grandi mistici e veggenti medioevali fu Dante Alighieri, che mise in versi la sua esperienza: egli raccontò ciò che aveva “visto”, celando profonde verità dietro i veli di una simbologia estremamente complessa. In questo senso Dante non è mai stato né compreso né riconosciuto, se non come sommo poeta. In quello che segue citerò alcuni versi, terzine e canti interi della Divina Commedia: la lettura consapevole del 3 Gli sciamani messicani indicano con l’espressione “nuovi veggenti” gli sciamani ed i loro apprendisti, che hanno vissuto ed operato dopo la conquista spagnola. 30 poema ci può fornire alcune risposte alle domande che ci assillano. Secondo le interpretazioni correnti dell’ultimo canto del Paradiso, Dante si sarebbe ritrovato faccia a faccia con Dio. Ma si è trovato veramente di fronte all’Assoluto Inconoscibile? Ha veramente affermato una cosa del genere? Per dare una risposta a questi interrogativi bisogna leggere alcuni versi del canto XXXIII del Paradiso; debbo anticipare il commento di alcune terzine di quel canto, di cui darò un’interpretazione più estesa nel capitolo dedicato alla Consapevolezza Totale, perché in esse si parla – senza chiamarla in questo modo – della Forma dell’uomo e di altre cose piuttosto interessanti. Facciamo, dunque, un salto all’ultimo canto del Paradiso (versi 115-132) e leggiamo le seguenti terzine: Nella profonda e chiara sussistenza Dell’alto lume parvemi tre giri Di tre colori e d’una continenza; E l’un dall’altro, come Iri da Iri, Parea riflesso, e ‘l terzo parea foco Che quinci e quindi igualmente si spiri. Dante sta ammirando una fonte di luce immensa (“profonda e chiara sussistenza”) e vede tre cerchi, o sfere, di tre colori differenti e di una medesima dimensione (“continenza”). L’uno con l’altro questi tre “giri” si riflettevano come i colori di più arcobaleni (“Iri da Iri” sta per iride da iride, l’insieme dei colori dell’arcobaleno) e il terzo proveniva sia dall’uno che dall’altro. Cosa ha visto Dante? 4.3 L’Albero della Vita 31 Per farcene un’idea più precisa dobbiamo fare alcune considerazioni in merito all’Albero della Vita, che riassume schematicamente e un modo simbolico tutta la verità. Esso si presenta come alla figura n. 2: Figura 2: L’Albero della Vita 32 La figura n. 2 può essere trovata su qualunque libro che parli della Cabbalah. L’Albero della Vita è la rappresentazione simbolica dell’anima umana, dell’universo, del microcosmo e del macrocosmo in tutte le loro relazioni e corrispondenze concettuali e matematiche. È la rivelazione (significato letterale del termine ebraico Qabalah) dell’esistente in ogni sua forma. Non è assolutamente mia intenzione parlare della Cabbalah e del relativo simbolismo: argomento troppo difficile e di ardua comprensione, che esula del tutto dallo scopo di questo mio lavoro. Qualcosa però possiamo ricavare dall’osservazione di questo meraviglioso, quanto magico, Albero della Vita. Mentre leggete, tenete sott’occhio la figura n. 2. In alto vedete tre serpentine: non formalizzatevi sulla forma da me data poiché non sono molto bravo, né a disegnare, né ad usare i programmi del computer; avrei potuto usare altre forme, per esempio tre semicerchi concentrici, ma ciò che conta è il concetto. Quelle tre misteriose linee rappresentano l’Origine di tutto l’esistente e sono chiamate i “Veli dell’Esistenza Negativa”. Di cosa si tratta? I tre veli sono l’insieme inerte di tutte le possibilità di esistenza, di tutte le possibilità creative, di tutte le evoluzioni possibili. Ma è una potenza, come ho detto, del tutto inerte. Per spiegarmi, nel prossimo paragrafo farò un esempio un po’ particolare. 4.4 Il mistero degli scacchi Immaginate una scacchiera (non ha alcuna importanza che conosciate, o meno, l’ineguagliabile e splendido gioco degli 33 scacchi). Essa è vuota, nessuno ha ancora inventato le regole del gioco degli scacchi, nessuno ha immaginato le possibilità di questo magico insieme di 64 quadratini. Però, in potenza, questa scacchiera contiene re, regine, alfieri, cavalli, torri e pedoni, contiene tutte le infinite possibilità di movimento di questi pezzi, contiene tutte le partite, che sono state giocate, che verranno giocate, o che potrebbero essere giocate, contiene tutte le posizioni – dalle più semplici alle più fantastiche – che possono aversi su di essa, espressione dell’enorme energia che guida il pensiero creatore. Tutto questo in potenza, ma la scacchiera è lì vuota ed inerte: la scacchiera vuota corrisponde a quelli che sull’Albero della Vita sono chiamati i “Tre Veli dell’Esistenza Negativa”, una possibilità e nulla più, ma quali possibilità! Qualcuno, però, doveva inventare delle regole. La leggenda degli scacchi dice che fu un matematico al servizio di un gran re indiano a inventare il gioco e che, come compenso del proprio lavoro, chiese una somma spropositata: un chicco di riso sulla prima casella, che sarebbero diventati due sulla seconda, poi quattro e così via fino a raggiungere un numero enorme, tanto che il debito non poteva essere pagato nemmeno dal raccolto di riso di mille anni! Il re, sgomento, risolse brillantemente la questione, facendo decapitare il geniale inventore degli scacchi e saldando in tal modo il proprio debito! Lo sfortunato matematico nell’Albero della Vita è assimilabile a Kether, che trasmette ad altri – i giocatori – tutte le infinite possibilità della sua invenzione, che tuttavia non sarebbe stata possibile senza la primordiale scacchiera vuota! Ecco che ad una scacchiera si siedono due persone e cominciano con il disporre i pezzi: sulle prime due linee (traverse secondo il linguaggio scacchistico) troviamo i pezzi bianchi, mentre sulle ultime due vengono posti i pezzi neri 34 secondo un ordine stabilito da una consuetudine ormai molto antica (le regoli attuali del gioco risalgono al XV° secolo). La posizione iniziale è uguale per tutte le partite: che si tratti di una partita amichevole tra due principianti, oppure di un incontro ufficiale per il campionato del mondo, i due giocatori troveranno sempre i pezzi disposti allo stesso modo: Bianchi da una parte e Neri dall’altra, con i pezzi che si fronteggiano in modo speculare. A ben pensarci si è formata una dualità grazie alla trasmissione di energia e consapevolezza da parte dell’inventore del gioco (Kether nell’Albero della Vita): il Bianco e il Nero, il positivo e il negativo, il maschile e il femminile, dualità senza la quale la creazione di una partita sarebbe impossibile. La partita ha inizio e si sviluppano le situazioni più incredibili, sempre nuove, sempre diverse grazie all’opera dei due contendenti – nell’Albero della Vita Chockmah (che significa “saggezza”) e Binah (che significa “comprensione”), le forze rispettivamente stimolatrici della creazione ed evoluzione e creatrici di forme – che danno vita alle situazioni più fantastiche, che corrispondono a tutto ciò che è stato creato. La partita finisce e i pezzi ritornano nel cassetto, lasciando la scacchiera vuota, come ai primordi, ma con una differenza: le enormi energie e consapevolezze si sono manifestate. Ora ritornano alla loro fonte. 4.5 Il positivo, il negativo e l’equilibrio Nel paragrafo precedente ho parlato di positivo e di negativo, termini che qui non devono essere intesi nel senso comune, ma in senso matematico: 0 =+1 1 35 e +1 1= 0 Lo zero è il non esistente, ma potenzialmente possibile, e – una volta realizzate le possibilità di manifestazione di quella potenza – si scinde in aspetti che si compenetrano, completano e si sostengono in una continua evoluzione e sviluppo. Tutto ciò che è sorto dallo “zero”, allo zero tende a ritornare. Continuate a tenere sotto i vostri occhi lo schema dell’Albero della Vita: gli aspetti positivi (+1) e negativi ( 1), maschili e femminili dell’esistente, sono rappresentati rispettivamente dalle sfere poste a destra e a sinistra dell’Albero, mentre il pilastro centrale, che comprende Kether e tutto ciò che ne deriva direttamente, rappresenta lo “zero” della nostra uguaglianza, il ritorno all’equilibrio primordiale (non per niente il pilastro centrale è detto “Pilastro dell’Equilibrio”). 4.6 Kether e Tipharet, fonti della Consapevolezza Kether, secondo gli studiosi della Cabbalah, è in senso microcosmico la fonte della Consapevolezza, mentre in senso macrocosmico è la fonte di ogni esistenza. Non si tratta di un essere individuale, ma di uno stato di esistenza, che contiene potenzialmente tutte le condizioni di vita. In esso (la scacchiera e le regole del gioco) non esiste alcuna dualità, che si manifesta non appena la Potenza viene trasmessa a Chockmah e a Binah (i giocatori che dispongono i pezzi per disputare una partita). Gli studiosi della Cabbalah affermano che Kether non appartiene all’inconoscibile, ma solo alla sfera dell’ignoto ed è 36 la suprema manifestazione per l’iniziato. Il Pilastro centrale è la fonte e il veicolo della Consapevolezza. Su questo pilastro troviamo anche un’altra sfera importantissima, Tipharet, importantissima poiché rappresenta il Cristo e poiché, in Tipharet, Kether scende nel campo della Consapevolezza umana. Potrebbe (uso il condizionale per l’estrema difficoltà di interpretazione dei testi dedicati all’argomento) rappresentare quella che gli sciamani chiamano “Aquila”, la grande dispensatrice di Consapevolezza. 4.7 La Trinità Dante ha dunque visto ciò che costituisce le Sfere, da cui discendono Consapevolezza, Volontà di creare e Forma dell’esistente. Non è chiaro come possano essere costituite le corrispondenze tra Cabbalah, filosofia sciamanica e teologia cristiana, ma è certo che gli stessi concetti, pur proclamati con tanta diversità di parole, riecheggiano in tutte le rivelazioni. Le varie tesi, pur nella diversità di esposizione, confermano il Mistero della Trinità (sull’Albero della Vita la Trinità corrisponderebbe a Kether, Chockmah e Binah) ed è facilissimo vedere nelle terzine del Paradiso, che ho riportato precedentemente, la sua rappresentazione. La Trinità è una Verità, ma ad una condizione: non la si deve considerare Dio! Abbiamo visto come in cima all’Albero della Vita vengano posti i “Veli dell’Esistenza negativa” al di sopra di Kether, di cui sono origine, conferendogli ogni potenza creativa. Da questo si deduce che Kether – così come qualunque altra Sfera posta al di sotto nell’Albero – non può essere considerato Dio, visto che esso ha una causa ed è effetto della 37 stessa. Ciò che è causato subisce continui cambiamenti, per cui contrasta con l’idea di un Dio creatore eterno e immutabile. Allora troviamo Dio nei tre veli? Non è possibile saperlo perché oltre Kether si entra nell’assolutamente inconoscibile. Dante – si badi bene – nell’ultimo canto del Paradiso non nomina mai né Dio (a parte un accenno fuori dal presente contesto), né la Trinità. Dante dice esclusivamente ciò che vede; fa qualche concessione terminologica al credo cattolico, forse per non discostarsi troppo dal credere comune, forse per non correre troppi rischi con le autorità del tempo, forse per nascondere la profondità del mistero. Dante ha visto, nella sua esperienza mistica, l’Essenza del creato, l’Energia primordiale, ha visto l’infinito oceano dei filamenti di Energia, che hanno un’intelligenza e un’organizzazione proprie, che manifestano una volontà creatrice; intelligenza, che gli sciamani chiamano intento, volontà che gli sciamani indicano con l’espressione “volontà dell’intento”, che sono uniti a tutto quanto esiste nell’intero cosmo da “anelli” di collegamento. Anche l’impostazione sciamanica è trinitaria: l’Energia intelligente potrebbe corrispondere al concetto di Dio Padre, quella di Intento potrebbe corrispondere al concetto di Dio Figlio, mentre il collegamento dell’esistente con l’Energia e la sua volontà corrisponderebbe allo Spirito Santo. 4.8 Dante e Castaneda Torniamo a Dante: egli ha visto la fonte di ogni Consapevolezza e, come vedremo tra poco, l’archetipo dell’uomo, la Forma dell’Uomo. Oh, quanto è corto il dire e come fioco Al mio concetto! E questo, a quel ch’io vidi, 38 È tanto che non basta a dicer ‘poco’. Qui Dante afferma la complessità del mistero che gli è stato svelato: non ci sono parole atte ad esprimerlo e si tratta di un mistero tanto grande che quanto racconta equivale quasi al nulla. O luce eterna, che sola in te sidi, Sola t’intendi, e, da te intelletta Ed intendente te, ami ed arridi! Qui non è chiaro se Dante si rivolga all’Energia universale, o a qualcos’altro. Le parole lasciano intendere come il “qualcosa”, a cui Dante si riferisce, abbia esistenza propria e sia senza causa; in tal caso, però, quel “qualcosa” non potrebbe essere l’energia poiché questa ha una fonte. A cosa si riferiva Dante? Mi sto convincendo che il poeta conoscesse – e anche molto bene – la Cabbalah e che qui si riferisse ai “Tre Veli Negativi dell’esistenza”, di cui avrebbe avuto una percezione intuitiva nel corso della visione. Cosa sono questi tre veli? Sono il potenziale di tutte le cose create, che viene concentrato in Kether. Questo è il limite estremo di qualsiasi speculazione filosofica, per cui diventa ridicolo cercare di andare oltre. Ciò che ho detto vuole solo essere un’ipotesi su ciò che Dante ha probabilmente intuito del grande mistero, fermandosi sulla soglia invalicabile per ogni essere umano, per quanto iniziato ed evoluto spiritualmente. Quella circulazion che sì concetta Pareva in te come lume riflesso, Dagli occhi miei alquanto circumspetta, Dentro da sé del suo colore stesso 39 Mi parve pinta della nostra effige; Per che ‘l mio viso in lei tutto era messo. In una delle tre sfere, quella che sorgeva come riflesso delle altre e che il poeta osserva con grande attenzione (“Dagli occhi miei alquanto circumspetta”), Dante vede la propria immagine, vede la Forma dell’uomo! Qual è la sfera in questione? A mio avviso è la sfera che sull’Albero della Vita è chiamata Binah, la sfera costruttrice di forme. Voglio far notare come Binah venga indicata dai cabalisti anche con altri nomi: in particolare essa è chiamata Marah, che non significa soltanto amaro, ma che è anche la radice di Maria. Con questo si spiegherebbe il perché Dante, all’inizio del XXXIII canto costruisca una preghiera fantastica diretta a Maria, cioè colei da cui deriva la Forma dell’uomo, che, di lì a poco, verrà svelata al poeta! Dante ha visto ciò che vide Castaneda: la Forma dell’uomo. L’allievo di Don Juan racconta: “Vidi questa luce per un periodo di tempo incalcolabile. Lo splendore di quella visione andava oltre la mia capacità espressiva e non riuscivo a capire cos’era a renderla così bella. Mi venne allora l’idea che la sua bellezza scaturisse da un senso di armonia, di pace, di quiete, di traguardo raggiunto, di salvezza finalmente conquistata. Che splendida sensazione di pienezza! Seppi, senza possibilità alcuna di dubbio, che in quel momento ero faccia a faccia con Dio, con l’origine di tutto. E seppi che Dio mi amava. Dio era amore e perdono. La luce mi bagnò e mi sentii purificato, libero. Piansi irrefrenabilmente. La visione di quella luce splendente mi fece sentire indegno, disprezzabile. D’un tratto sentii la voce di don Juan all’orecchio. Mi diceva che dovevo andare più in là della forma, che la forma era soltanto una fase, un momento di respiro che portava temporanea pace e serenità a quelli che viaggiano attraverso 40 l’ignoto, ma che era sterile, statica. Era allo stesso tempo una immagine piana riflessa in uno specchio e lo specchio in sé (si noti come Castaneda esprima qui lo stesso concetto di Dante: “Pareva in te come lume riflesso”). E l’immagine era l’immagine dell’uomo. [...] Mentre contemplavo la luce con tutta la passione di cui ero capace, la luce sembrò condensarsi e vidi un uomo. Un uomo brillante, che trasudava carisma, amore, comprensione, sincerità, verità. Un uomo che era la summa di tutto ciò che è buono. Il terrore che provai nel vedere quest’uomo andava ben oltre tutto quanto avevo provato in vita mia. Caddi in ginocchio. Volevo adorare Dio personificato, ma intervenne don Juan e mi batté con la mano la parte superiore del petto [...] e perdetti la vista di Dio”. (Castaneda, Il Fuoco dal profondo, pag. 279-280 ) Castaneda, cattolico non praticante, inorridì di fronte alla dichiarazione blasfema di Don Juan, secondo il quale il sistema di credenze di Castaneda “era basato sulla fede e, come tale, era una convinzione di seconda mano che non significava nulla; come quella di tutti gli altri, la mia credenza nell’esistenza di Dio era basata sul sentito dire e non sul vedere [...] Quel che noi chiamiamo Dio è un prodotto estatico del genere umano, senza alcun potere. La forma dell’uomo non può, in nessuna circostanza, aiutarci intervenendo in nostro favore, né può castigarci per le nostre malefatte, né ricompensarci in qualche modo. La forma dell’uomo è esattamente ciò che dice il nome, uno stampo, un conio, una matrice che raggruppa un fascio particolare di elementi, di fibre luminose che chiamiamo uomo”. (Castaneda, Il Fuoco dal profondo, pag. 278 ) Ciò che dice professione semplicistica punisce (o ci Don Juan non vuole essere in alcun modo una di ateismo: lo sciamano respinge l’idea di un dio antropomorfo, che ci giudica e ci premia). Nella filosofia degli sciamani c’è molto 41 di più della povera idea di Dio che si ha oggi: un’infinita fonte di Energia, in cui si trovano tutta la consapevolezza e tutte le caratteristiche, conosciute e non, di tutte le persone umane e di tutte le forme di vita. Queste caratteristiche, parlando delle persone, sono la loro Forma archetipo, ma non devono essere confuse con la divinità (errore comune a tutti i mistici), né ad esse debbono essere attribuite caratteristiche che non hanno: individualità, volontà e potere. Castaneda, nella visione raccontata, non vide Dio, ma la Forma dell’uomo. A Dante era capitato lo stesso, ma il poeta – decisamente più preparato e meno razionale – ebbe la “sobrietà” necessaria per comprendere ciò che stava vedendo e non ha mai affermato di avere visto Dio. Come poi lo abbia raccontato è un’altra questione. Abbiamo visto, sia pure con difficoltà, come nell’infinito ci siano tutte le condizioni archetipiche della vita, umana e non, come ci siano una potenza e una volontà creatrici. Tutto il resto delle costruzioni teoriche sono solo espedienti, si potrebbe dire, di tipo didattico. Ciò che esiste è solo Energia, potente, intelligente e dotata di volontà, ma null’altro. La fonte di questa energia è chiamata “Aquila” dagli sciamani. Prima di parlare dell’Aquila (capitolo 7) dobbiamo considerare l’uovo luminoso dell’uomo (l’aura) e l’importantissimo “punto d’unione” (capitoli 5-6). 42