Il flop del reato di clandestinità: "Verrà abolito, è solo un peso per lo
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Il flop del reato di clandestinità: "Verrà abolito, è solo un peso per lo
Il flop del reato di clandestinità: "Verrà abolito, è solo un peso per lo Stato" Inutile e costoso: dopo le esternazioni del ministro Orlando, i tempi sembrano maturi per l’abrogazione di quella che è stata considerata una misura “propagandistica”. Savio (Asgi): “Ci si trova nella situazione di fare processi a persone inesistenti, che nel frattempo sono andate vie dall’Italia” 24 luglio 2015 ROMA - “Inefficace, con una capacità limitata, se non nulla, di deterrenza”. Con queste parole in Commissione Affari costituzionali al Senato, il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha spiegato perché a breve sarà abolito il reato di clandestinità, come già deliberato dal Parlamento un anno fa. I tempi sono maturi, infatti, perché quella che da più parti è da sempre stata considerata una misura solo “propagandistica e ideologica” venga definitivamente abrogata. La cancellazione rientra tra i provvedimenti previsti nella legge delega sulle “pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio”, già approvata. Nelle scorse settimane è statacompletata anche la redazione del decreto delegato che dà attuazione alla delega. Ora manca solo l’ultimo step, ma come ha spiegato il ministro, le intenzioni del Governo sono chiare: “L'abrogazione del reato di immigrazione clandestina non solo comporterà un risparmio di risorse, giudiziarie e amministrative – sottolinea Orlando -, ma produrrà anche effetti positivi per l’efficacia delle indagini in materia di traffico di migranti e favoreggiamento all'immigrazione clandestina”. Entrato in vigore nel 2009 per volontà dell’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni, il reato di clandestinità è da sempre uno dei provvedimenti più contestati in materia di immigrazione. In particolare l’Asgi, l’associazione studi giuridici sull’immigrazione, ne chiede da tempo l’abolizione. considerandolo nei fatti un “reato inutile” perché punisce la condizione di irregolarità nell’ingresso e/o nel soggiorno all’interno del territorio dello Stato con una pena pecuniaria da cinquemila a diecimila euro. Una contravvenzione dunque, e non un delitto, che non rende possibile applicare alcuna misura cautelare (la denuncia è a piede libero). “Ci si trova nella situazione di fare processi a persone inesistenti, che nel frattempo sono andate vie dall’Italia – spiega Guido Savio, membro del Consiglio direttivo dell’Asgi – Nei casi in cui ci sia una condanna, poi, lo Stato non riesce mai a recuperare le somme dovute perché spesso i dati anagrafici del migrante non sono corretti ma soprattutto perché normalmente gli irregolari non hanno un conto in banca né un regolare rapporto di lavoro”. Il paradosso, però, è che per portare avanti la denuncia vengono impiegate somme consistenti. “Praticamente lo Stato ci rimette e basta – continua Savio– perché spende dei soldi per la procedura, dalla comunicazione del reato alla procura della Repubblica, alla richiesta di citazione, fino all’udienza e alla nomina di un avvocato di ufficio. Tutto questo per un processo inutile perché alla fine lo Stato non recupera ma ci perde, sia economicamente sia perché impiega risorse della pubblica amministrazione, e mette in piedi una macchina burocratica, che potrebbe invece occuparsi d’altro”. Secondo l’Asgi chi si oppone alla cancellazione lo fa solo per fini ideologici. “Il cosiddetto clandestino non è messo in galera, ma riceve un’ammenda. E’ quindi una misura di assoluta inutilità – afferma – solo ideologica. Fu fatta per contrastare la normativa rimpatri dell’Unione europea, che prevede di privilegiare le partenze volontarie ai rimpatri forzati. La direttiva dice che nel caso di rischio di fuga, o se si determinano altre situazioni di pericolo, gli stati posso procedere con un’espulsione coattiva. Inoltre la norma non si applica se l’ espulsione è conseguenza di una sanzione penale. Siccome il giudice, può sostituire l’ammenda con l’espulsione, a quel punto il provvedimento risulterebbe conseguenza di una sanzione penale, e la direttiva rimpatri verrebbe aggirata. Insomma l’obiettivo dell’Italia, come ammise lo stesso Maroni, era avere le mani più libere per operare i rimpatri”. Nei fatti però la misura a tutt’oggi è del tutto inapplicata, soprattutto nelle grandi città, “perché ingolfa inutilmente l’amministrazione della giustizia - aggiunge Savio solo nelle sedi giudiziarie di provincia, che sono più piccole, ci risultano dei casi. Ma ormai è solo un reato barzelletta in cui non crede più nessuno. Il governo entro novembre deve esercitare la delega, auspichiamo si decida a cancellare questa misura, che in realtà non avremmo dovuto mai neanche pensare”. (ec) © Copyright Redattore Sociale I costi dell'accoglienza? Undici euro l'anno per ciascun italiano ILARIA SESANA Salvare la vita di una persona che ha rischiato di affogare nel Mediterraneo è costato - a ciascun italiano - due euro l'anno. l :operazione Mare Nostrum, che ha permesso di salvare oltre 150mila uomini, donne e bambini, ha avuto una spesa complessiva di circa 114 milioni di euro (9,5 milioni di euro al mese) ed è costata a ciascuno di noi l'equivalente di un caffè con cornetto al bar. Ancora meno onerosa la spesa per l'operazione Triton (3 milioni di euro al mese): circa cinquanta centesimi a testa all'anno. A fare i conti in tasca agli italiani ci ha provato l'Ismu, istituto di ricerca con sede a Milano che da più divent'an ni studia i fenomeni migratori, con un'attenzione particolare ai numeri e alle statistiche. Questa volta i ricercatori di Ismu si sono concentrati sui costi degli ingressi irregolari via mare ed è bastato dividere il costo delle operazioni di salvataggio per i 60 milioni di cittadini (italiani e stranieri, ndr) che vivono nel nostro Paese. C'è poi tutto il capitolo relativo ai costi dell'accoglienza. Tema particolarmente sensibile dal momento che i 35-40 euro al giorno spesi dallo Stato per offrire vitto, alloggio e servizi essenziali ai profughi sono stati spesso oggetto di polemiche e proteste. «Ipotizzando un costo tra i 35 e i 40 euro al giorno per 60mila persone all'anno, gli interventi di accoglienza impattano sugli italiani per circa 11 euro pro-capite all'anno», spiega Alessio Menonna, ricercatore di Fondazione Ismu che ha elaborato queste cifre. Importante precisare che i 35-40 euro giornalieri non finiscono affatto nelle tasche dei migran ti. La quasi totalità di questa cifra serve a pagare il lavoro di operatori sociali e fornitori di servizi (vitto, alloggio, corsi di italiano e progetti di integrazione). Mentre solo una piccolissima parte, 2,50 euro al giomo, viene fornita sotto forma di pocket money, denaro che può essere utilizzato per piccole spese quotidiane. «Gran parte di queste risorse resta sul territorio: serve a pagare gli stipendi degli operatori e va a sostenere attività legate alla comunità» sottolinea Maurizio Ambrosini, docente di sociologia dei processi economici all'Università degli Studi di Milano. «In provincia di Varese, in un paese che ha accolto circa un centinaio di richiedenti asilo si sono creati una quindicina di posti di lavoro. Di cui beneficiano molti italiani», aggiunge Ambrosini. Laccoglienza, dunque, genera anche lavoro e reddito. Apatto, ovviamente, che vengano rispettate tutte le leggi. «Il rispetto dei diritti umani è un impegno sancito nella Costituzione e in vari trattati. E i diritti devono essere garan ti ti a tutti». Autismo, Serra (M5s): nel ddl scuola non è prevista l'integrazione La senatrice apre il convegno da lei promosso: "Gli insegnanti di sostegno non sanno nulla. È un mondo ostico, di cui non si comprende ancora il linguaggio. Dobbiamo imparare a conviverci" 28 luglio 2015 - 12:53 ROMA - "Non e' vero che nel ddl scuola sia prevista l'integrazione dei soggetti con autismo. Gli insegnanti di sostegno non sanno nulla. È un mondo ostico, di cui non si comprende ancora il linguaggio. Dobbiamo imparare a conviverci". Lo dice Manuela Serra, senatrice M5S, aprendo questa mattina il convegno da lei pronosso in Senato dal titolo 'Attori non piu' spettatori. Personalizzazione e cooprogettazione individuale. Le buone prassi dell'indiretta'. "Gli insegnanti di sostegno siano formati per lavorare con loro. Le Universita' prevedano un corso di studi specifico, come avviene per i non udenti e i non vedenti. Alle 14 la commissione Sanita' al Senato prendera' in esame gli emendamenti presentati sul ddl autismo- prosegue Serradobbiamo cercare di essere onesti su questa problematica". La senatrice M5S conclude: "Sono 12 gli emendamenti da noi presentati. Mi auguro che sull'art 5 si valorizzi il principio che gli studi internazionali siano in carica al ministero per assicurare un'efficace conoscenza e formazione". (DIRE) © Copyright Redattore Sociale EMERGENZA RIFUGIATI PAROLE SBAGLIATE PROGETTI INEFFICACI DI ULDERICO BERNARDI O gni bravo artigiano lo sa. Per fare bene un lavoro bisogna avere gli strumenti giusti. Dovrebbe valere anche per i politici. Chiamati a risolvere casi complicati, per realizzare il buon governo devono partire dalle parole adatte. Segue a pagina 17 Remi promcru^ profitti, nuno ta- SEGUE DALLA PRIMA PAGINA Emergenza rifugiati parole sbagliate progetti inefficaci Parole sbagliate, idee distorte, progetti inefficaci, se non dannosi. Prendiamo la questione assillante dei flussi d'immigrazione. "Emergenza" e "profughi" non vanno bene. Non è più tale una situazione che continua da troppo tempo. Né può essere valida, se non per un numero limitato di casi, la qualifica riconosciuta a quanti, si presume per un tempo limitato allo stato di pericolo, fuggono dal loro paese in fiamme. Nel caso italiano (europeo e mondiale) si tratta per lo più di emigranti. Persone che cercano una vita migliore, per sé e i propri cari. Ne abbiamo avuto esperienza storica quando dalle nostre regioni si partiva verso continenti in gran parte spopolati, disposti a strappare uno spazio vitale alla selva, al mato, alle pampas desolate. L'Europa del XXI secolo non è la Merica dell'Ottocento. Quei pionieri della colonizzazione hanno poco a che fare con i disperati dei barconi. In comune hanno solo la speranza di star meglio. Vogliamo allora chiamarli rifugiati? Ma da che: dalla miseria? Eppure se quelle migliaia di dollari che riescono a mettere insieme per ingrassare i criminali della tratta sapessero impiegarli come accumulazione primaria per una piccola impre- sa, il problema sarebbe attenuato, se non risolto. L'Occidente già colonialista potrebbe elaborare seri e permanenti progetti di formazione imprenditoriale, magari per sdebitarsi un poco degli sfruttamenti passati. Rifugiati da un clima culturale arido, corrotto, inaccettabile, da stili di vita che seppelliscono le donne sotto il burka e l'ingiustizia? Più comprensibile e da sistemare sotto la sigla "rifugiati politici". C'è stato un tempo in cui intellettuali statunitensi come Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald, Ezra Pound, scappavano dai cannibalismi del capitalismo americano per vivere all'ombra dell'umanesimo latino, a Parigi, a Madrid o sulla Riviera italiana. Rifugiati esistenziali. Profughi, rifugiati, perseguitati, erano i nostri esuli veneti giuliani inseguiti dal terrore titino, infoibati dall'OZNA, la famigerata polizia segreta jugoslava che giunse fino all'infamia della strage a Pola, con l'eccidio di Vergarolla il 18 agosto 1946. Un centinaio di morti su una spiaggia ancora italiana. La chiarezza dei termini in questi giorni è stata invocata anche da Monsignor Canuto Toso, fondatore dell'associazione Trevisani nel Mondo, che di emigrazione e di sostegno all'immigrazione se ne intende. Qualifiche adeguate per progetti durevoli e efficaci. Il primo passo da compiere. Dietro il velario oscuro della confusione terminologica i cittadini non accecati dall'ideologia vedono la piena travolgente che non può placarsi se non svuotando i nostri paesi per lasciar posto ad altri. Si sa, il panico non ragiona. Forse, ripartendo dall'abc delle parole si potrebbero individuare specifiche vie d'uscita. Ulderico Bernardi © riproduzione riservata La campagna sociale dell'azienda Una app Techno per donare pasti feclmogym, official wellness partner di Expo Milano 2015, ha lanciato la campagna sociale "Let's movie & donate food" che attraverso una speciale app permette di trasformare la visita in pasti da donare alle popolazioni malnutrite. «La Technogym app - spiega il presidente Nerio Alessandri-nasce daunafilosofia ampia. Il wellness è tino stile di vita, una educazione, una sensibilità, che non significa andare in palestra duevolte alla settimana. Oggi ci sono circa 8 milioni di persone Glie v anno in centri s p ortivi in It glia. Ma non è sufficiente, perché occorre uno stile di vita sano e attivo sette giorni su sette per vivere wellness. La tecnologia può darci tma mano in questo caso. Ed ecco l'idea della app. Il benessere ha bisogno di un eco-sistema, di raggiungere le persone e le sue attività in tutto il mondo. Altro aspetto fondamentale nel futuro sarà il monitoraggi o della salute e nessuno potrà farne a meno. Se sapremo cavalcare questa nuova fil osofia potremo avere, c ome paese, grandivantaggi». A Expo ha fatto tappa la 22a Wellness convention, appuntamento annuale organizzato dalla Wellness Foundation di Nerio Aless an dri, presidente e fondat ore diTechnogym. Durantelaconvention è stato firmato il "Protocollo di intesa" tra Wellness Foundation e Coni che prevede una collaborazione per promuovere ll benessere e gli stili di vita sani nelle scuole e combattere l'obesità infantile. Ma.Ge. 0 UD [N EaLERVA CASSAZION ,/ Il fisco deve provare chi ha agi to in, nome e per conto Non profit, paga il vertice Responsabilità fiscale sull'amministratore DI ENRICO SAVIO nti associativi e responsabilità tributaria, a pagare è l'effettivo amministratore. E il fisco deve provare chi ha agito in nome e per conto dell'ente. Nell'ambito degli enti non lucrativi di tipo associativo, l'assenza della personalità giuridica può comportare, in capo a coloro che hanno agito «in nome e per conto dell'ente», un'estensione di responsabilità relativamente alle obbligazioni assunte nell'adempimento del proprio incarico. La responsabilità, di natura personale, solidale e illimitata è estesa, secondo la giurisprudenza di legittimità, a tutte le obbligazioni, anche di carattere tributario, assunte dal soggetto agente per conto del sodalizio, potendo i creditori sociali, Fisco compreso, rivolgersi, per soddisfare il proprio credito, sia nei confronti dell'ente sia verso coloro che, a prescindere dalla posizione astrattamente assunta nell'organigramma associa- tivo, hanno concretamente posto in essere «attività negoziale» a suo favore. A tali conclusioni giunge la Cassazione con l'ordinanza n. 12473, depositata il 17/6/2015, la quale, ancora una volta, ribadendo l'importanza di identificare i «fatti di gestione» dai quali far discendere tale responsabilità, ricorda come sia fondamentale fornire in giudizio la prova della «concreta attività svolta in nome e nell'interesse dell'associazione, non essendo sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita all'interno dell'ente». La decisione in oggetto rappresenta un ulteriore tassello verso la corretta interpretazione dell'art. 38 c.c. nell'intento di scardinare la prassi dell'amministrazione finanziaria di estendere la pretesa tributaria su soggetti che, semplicemente, hanno assunto formalmente incarichi direttivi nell'ente ma che in realtà non abbiano svolto alcuna «concreta» attività gestionale. Nella fattispecie in oggetto, a seguito dell'accertamento subito da un circolo culturale, l'Agenzia delle entrate aveva emesso un avviso di accertamento con successiva cartella di pagamento per il recupero di maggiori imposte dirette, Iva e sanzioni a carico del club, nonché del relativo legale rappresentante del tempo considerato quale « coobligato solidale». La mancata definizione della controversia in sede di adesione aveva portato il contribuente a percorrere la strada del processo tributario risultando vittorioso in entrambi i gradi del giudizio di merito. Infatti, da ultimo , la Ctr Veneto n. 46/2013 aveva ritenuto che il presunto coobligato, «pur formalmente legale rappresentante dell'associazione, non aveva mai assunto alcuna decisione comportante esborsi e/o la reale gestione dei night club né aveva mai svolto attività di amministratore, risultando inquadrato come mero barista», in netto contrasto con la tesi delle Entrate secondo la quale la mera titolarità della carica di rappresentan- te dell'ente sarebbe bastata a determinare tale estensione di responsabilità. La Suprema corte, invocata dal fisco, rilevando la mancata considerazione da parte dei giudici di merito di elementi fondamentali per la verifica delle sostanziali attività gestorie del presidente dell'associazione (riscossione incassi, sottoscrizione bilancio, pagamento bollette e affitto, rapporti con i fornitori, conduzione del bar), ha disposto quindi il reinvio della decisione ad altra sezione della Ctr Veneto al fine di procedere con il nuovo esame della controversia seppur limitatamente alla mancata considerazione di tali elementi ed escludendo qualsiasi automatismo tra la carica assunta e la responsabilità personale del legale rappresentante, qualora non risultino documentati effettivi e concreti atti di gestione. L'Ufficio che lotta contro le disparità Si chiama Unar, è istituito presso la Presidenza del Consiglio si occupa di razzismo e di tutte le altre discriminazioni, ha un numero verde 800901010 e un contact center. Molti casi risolti e disparità bruciano. Se le subisci la rabbia ti avvalena. Devi pagare una supertassa solo perché sei uno studene straniero? Apri facebook e trovi in bacheca un insulto feroce? Non ti danno l'autorizzazione a manifestareperchénonseicittadino italia no? Vuoi un posto da barista ma sei scartata perché hai più di 40 an ni? Sono colpi, inutile girarci intorno. Smaltita l'arrabbia tura, magari ti rassegni e ti deprimi. AnziTesto di ché imbelvirti e poi Delia buttarti giù, qualcoVaccarello sa puoi fare. Una delle possibilità, oltre a ricorrere direttamente agli avvocati se ne hai modo e voglia, è l'800901010. E' il numero verde del Con tact Center dell'Unar, un centralino al qua le risponde un operatore dalle 8 alle 18 e una segreteria nelle altre ore. Unar valuta, apre una inchiesta, interviene e spesso riesce a venirne a capo. Se per mille motivi chiamare è difficile, si può inviare una segnalazione via web collegandosi al portale dell'Unar e cliccando sul bottone «segnala» messo bene in evidenza. E' l'Uf ficio antidiscrimi nazioni razziali presso la Presidenza del Consiglio, istituitonel2003 su input del Consiglio di Europa. Dal 2010 si occupa anche delle di i ferente di tratta mento per et al. re] igione, conci azioni personali, disabilita. orientamento sessuale e identità di genere. Non sono in molti a conoscerne l'esistenza, eppure è il servizio di difesa contro le disparità che offrono le istituzioni. Svolge anche campagne di sensibilizzazione, come la settimana contro il razzismo che si tiene apartiredaogni 21 marzo, con slogan efficaci come quello di questo anno: «accendi la mente, spegni i pregiudizi». Una settimana di eventi in tutte le città e le scuole grazie all'intesa con Anci e con il Ministero della istruzione. Così a Reggio Calabria dall'inizio della primavera in uno dei quartieri a più alta densità di immigrati spicca sul la facciata di un edificio il volto di una giovane nera che rappresenta le migrazioni e la speranza. Si vede an che dal mare, è grande, lo sfondo è giallo, sembra un faro. Unar, sotto la direzione di Marco De Giorgi, utilizza soprattutto la «moral sua sion» cioè fa leva sulla conciliazione puntando a far rimuovere ciò che haprocurato il dan no, e può accadere che l'avanzamento di di ritti non sia solo per il singolooperil tale gruppo ma per la collettività. E' il caso della «preghiera negata»: una associazione di stranieri chiede l'autorizzazione alla Questura di Roma e al Comune per poter recitare lapreghieraislamicaaPiazzaVittorio, piazza centrale del quartiere multietnico dellacapitale. Larichiestaviene inoltrata per sei an ni di fila. Ottenuto il nullaosta dal Comunel'associazioneregistraunaseriedi intoppi da parte della Questura. Una volta la zona viene concessa adAllean zanazionale, un'altra volta a un cittadino. Al gruppo che larichiedvaperlapreghiera non viene mai destinata.Eassociazione non capisce, e chiede lumi a Unar, ma avan zal'ipotesi che laQuesturanon rilasci autorizzazioni ai cittadini stranieri. Unar inter viene verificando i fatti. Inizia un carteggio in cui l'Ufficio segnala come non rispettoso il fatto che per la Questura ad avanza re richiesta debbano essere esclusivamen te cittadini italiani. In ballo c'è l'articolo 17 della Costituzione. Unar fa presente che si tratta di interpretazioni in contrasto con i diritti inviolabili dell'Uomo ecitai pronunciamenti a riguardo dellaCorte Costituzionale. La Questura ci pensa, soppesa, valu ta epoi decide: si adegua alle decisioni dellaPresidenza del consiglio. Non solo, trami teMinistero dell'Interno si collega al le altre questure e viene rimossa la interpretazione restrittiva. A Piazza Vittorio ma anche altrove i cittadini stranieri potranno chiedere il permesso di riunirsi per preghiere o altre manifestazioni. Nessuna sanzione con autorità si sensibilizza al rispetto Se la difficoltà più forte è quella di fronteggiare i discorsi di odio nel web, che corrispondono a circa il 30 per cento delle segnalazioni giunte al contact center, alcune delle vicende di discriminazione nel mondo reale appaiono risolvibili. La super tassa Ad esempio una studentessa iraniana fuori corso presso l'Accademia delle belle Arti si vede richiedere una tassa extra di un migliaio di euro. Per la studentessa è quasi impossibile pagare, mille euro sono pari a tre stipendi in Iran. La tassa è solo per gli studenti extracomunitari . Gli studenti iraniani scrivono alla direzione e al consiglio di Amministrazione delle Belle Arti, ma non cambia nulla. Nel frattempo vengono recapitati ai giovani due bollettini postali per il pagamento di 500 euro ciascuno e recano come causale « essere straniero ». Nonsolo, impossibiletemporeggiare, se nonè si in regola coni pagamenti si perde il permesso di soggiorno. La studentessa che scrive aUnar cita la Costituzione lì dove recita « I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi». E con tono accorato dice «mancano pochissimi giorni alla scadenza della prima rata. Aiutateci». Unar apre una istruttoria , soppesa, ritiene che una tassa in più solo in ragione della nazionalità dello studente è discriminatoria, in contrasto con norme nazionali ed europee. Contatta l'Accademia, chiede la sospensione della rata, ragiona insieme ai responsabili. L'esito: il CdA ritira la delibera che prevedeva l'oneroso contributo a carico degli allievi extracomunitari. Unar lavora anche monitorando il web e gli organi stampa . Sul web salta fuori un annuncio di lavoro fatto presente anche da una interessata: «Cerchiamo u rgen za bari sta donna bella presenza con esperienza , età max 40». Non ci sono motivi per tale limitazione. Unarmanda una lettera a gennaio di quest 'anno algestoredel sito. Untetto si può fissare solo per particolari attività, ad esempio la Corte di Giustizia europea ha giudicato legittimo il limite massimo di30 anni previsto per l'assunzione presso il Corpo dei Vigili del Fuoco . Ma nel caso diunabarista nonsussiste , tanto più che neibandi di concorso per la polizia locale il limite previsto è di 50 anni essendo richiesta una certa attitudine psico -fisica. A maggio di quest 'anno il sito decide di rimuovere l'annuncio. UN ITE TOGETHER NONSOLORAZZISMO Il presunto «Virus gay» Ogni anno una settimana contro il razzismo Coinvolgendo i comuni attraverso l'Anci e le scuole con il Miur, Unar svolge una sensibilizzazione capillare contro i pregiudizi Tra i casi trattati da Unar c'è il video in cui un ragazzo denuncia di essere stato contagiato dal «virus gay». «Ho stretto la mano a un frocio e ora mi prude», questo uno dei contenuti. Il ragazzo in questione lamenterebbe di essere ormai infettato. Unar indaga via web e riesce a risalire all'autore del video il quale dichiara che si trattava soltanto di satira e che non aveva intenzione di offendere. Il video viene rimosso. LEINIZIATIVE Accendi la mente L'invito rivolto alla popolazione quest'anno è stato a contrastare le gabbie degli stereotipi. «Accendi la mente, spegni i pregiudizi», lo slogan della campagna di Unar teso a far riflettere sulle opportunità della inclusione e della valorizzazione delle differenze. Tra gli strumenti: cittadinanza simbolica ai giovani stranieri, corti trasmessi attraverso il sito di Unar, mostre fotografiche, muralese, concerti. Alunno disabile poco sostegno Uno studente di Avezzano affetto da grave disabilità si è visto ridurre le ore di sostegno da 22 a 9 nel passaggio dalla scuola primaria alla scuola media nonostante le diverse indicazioni della Asl. La mamma del ragazzo denuncia il Ministero. Unar riceve la segnalazione e considera chiuso il caso quando il ministero dell'istruzione viene condannato a pagare 3mila euro di danni Molestato sul lavoro Un video promuove il rispetto «Se sei vittima di una discriminazione non sei più solo....» Il video trasmesso quest'anno su tutte le reti Rai mette sullo stesso piano le discriminazioni razziste, verso le donne, verso le persone omosessuali, e quelle nei confronti delle persone anziane. Segnala il numero verde 800901010 e il contact center sul sito www.unar.it. Discriminare è vietato e l'Ufficio antidiscriminazioni razziali offre assistenza Reggio Calabria fatta «capitale» Quest'anno Reggio Calabria è stata «eletta» capitale anti razzismo per un giorno e insieme ai 700 comuni che hanno partecipato ha ricordato l'eccidio di Sharpeville avvenuto in Sudafrica nel 1960. Nell'ambito della iniziativa «un muro contro le discriminazioni» è stato inaugurato il murales realizzato da Giulio Rosk Gebbia, street artist, in uno dei quartieri periferici di Reggio (nella foto a sinistra» Se sei vittima di discriminazioni puoi rivolgerti all'Unar, discriminare è reato, hai le istituzioni dalla tua parte Un uomo invalido e portatore di handicap viene assunto in prova da una azienza dopo 8 mesi di cassa integrazione, segnala che fin da subito i colleghi iniziano a fare pesanti apprezzamenti sulla sua disabilità e su quella del figlio, fino a isolarlo. dopo i tre mesi di prova non gli viene rinnovato il contratto, ha notizia di altri dipendenti nelle sue condizioni, cita l'azienda in giudizio. Unar segue il caso. Rosa Parks, la donna che non si alzò -Rosa Parks in Alabama nel 1955 sul bus rifiutò di alzarsi dal posto destinato ai bianchi. I mezzi pubblici furono boicottati per per protesta per 381 giorni, da allora diventò un simbolo «Rimase seduta in quel posto in nome dei soprusi subiti» LEADER DIRITTI CIVILI -Il riferimento è a Rosa Parks, la sera del rifiuto un ancora sconosciuto Martin Luther King si unì ad altri attivisti per decidere cosa fare dinanzi aun evento ditale port ata Migranti, il viaggio attraverso l'inferno dura 20 mesi. "L'Ue ne tenga conto" Nell'ultimo rapporto del Medu il racconto del viaggio attraverso il deserto, le ragioni delle migrazioni, i costi, le rotte e le sofferenze dei migranti. "Con strutture sovraffollate rischi maggiori per i migranti di sviluppare sintomi psicologici o psichiatrici connessi ai traumi vissuti" 29 luglio 2015 ROMA - Scappano da persecuzioni politiche e religiose, da dittature, per questioni economiche o per la coscrizione militare obbligatoria, ma anche da guerre civili. Viaggiano per circa 16 o 20 mesi in media, lunghi periodi in cui sono spesso vittime di torture o trattamenti crudeli e degradanti. Hanno pagato dai mille ai 5 mila euro per raggiungere l’Europa. Sono le storie dei migranti raccolte da Medici per i Diritti umani nel report “Fuggire o morire. Rotte migratorie dai paesi sub-sahariani verso l’Europa”, attraverso le testimonianze di circa 500 migranti incontrati nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) per richiedenti asilo in provincia di Ragusa, nel Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Mineo, in provincia di Catania e in vari insediamenti informali a Roma. Rotte migratorie dai paesi sub-sahariani verso l'Europa Giovani, uomini e in fuga da persecuzioni. Tra Roma e la Sicilia, la prima differenza riguarda le provenienze degli intervistati. Se in Sicilia il 91 per cento dei circa 100 richiedenti asilo intervistati proviene dall’Africa occidentale (36 per cento Nigeria, 28 per cento Gambia, 10 per cento Senegal), tra i 400 migranti assistiti a Roma sono gli eritrei a rappresentare la stragrande maggioranza: sono il 95 per cento, contro il 5 per cento di etiopi. L’età media dei migranti è bassa in tutti e due i casi: 26 anni per i migranti incontrati in Sicilia, 23 per quelli assistiti a Roma. Poche le donne, in entrambi i casi si tratta quasi sempre di uomini che tra le motivazioni della migrazione (per quelli incontrati in Sicilia) indicano la persecuzione politica (20 per cento), persecuzione religiosa (14), dispute per la proprietà della terra (12), conflitto con la legge (12), ragioni economiche (11), violenza familiare (10), guerra civile (5), persecuzione sessuale (4). Tra i migranti provenienti dal Corno d'Africa assistiti a Roma, invece, le principali cause della migrazione rilevate sono state la coscrizione militare obbligatoria e la persecuzione politica. Fino a 20 mesi di viaggio per raggiungere l’Europa. Le rotte sono ormai note. Le principali sono due: “La maggior parte dei migranti intervistati in Sicilia proveniva dai paesi dell'Africa occidentale e aveva viaggiato attraverso il Niger e la Libia – spiega il report -. I migranti intervistati a Roma, provenivano invece dal Corno d'Africa, e avevano viaggiato dall’ Eritrea o dall’Etiopia attraverso il Sudan e la Libia. Quel che colpisce, però, sono i tempi necessari per raggiungere le coste italiane. “Il viaggio dall’ Eritrea all’ Italia dura in media 16 mesi con una permanenza media di 5 mesi in Libia – spiega il report -. Tutti i migranti intervistati nei centri di accoglienza in Sicilia sono partiti dalla costa libica. Prima di allora, sono stati costretti ad attraversare vari paesi del Sahel occidentale fermandosi lungo il percorso in piccole città. La durata media del viaggio dal Paese di origine all’Italia è di 22 mesi. La maggior parte dei migranti intervistati è partita tra il 2012 e il 2014 ed è arrivata in Italia alla fine del 2013 o 2014 (con l'eccezione di 4 persone che sono arrivate all'inizio del 2015)”. In tanti, infine, hanno raccontato di aver trascorso la maggior parte del tempo impiegato per raggiungere l’Italia in Libia. Il viaggio attraverso “la strada per l'inferno”. Il costo del viaggio oscilla sensibilmente nelle testimonianze raccolte, ma non sempre è facile raccogliere informazioni in merito. “Per 56 dei 100 richiedenti asilo intervistati in Sicilia hanno dichiarato di non ricordare (o erano riluttanti a farlo) l'esatta somma di denaro pagata per il viaggio – spiega il report -, o che qualcun altro (ad esempio la famiglia/amici o altre persone incontrate lungo il cammino) ha pagato per loro, ma non sapevano quanto. In base ai dati forniti da 38 persone dell'Africa occidentale, il costo medio del viaggio sarebbe di circa 1.000 euro. Due immigrati dal Bangladesh e uno dal Pakistan invece hanno dichiarato di aver speso tra 4.500-5.000 euro, poiché la tariffa includeva anche il costo per il volo dal loro paese alla Libia”. Tra i 400 eritrei ed etiopi incontrati a Roma, invece, il costo medio è di circa 3.600 euro, di cui tra i 1.300 e 1.600 euro per attraversare il Mar Mediterraneo dalla Libia all'Italia. Un business che, secondo quanto riporta lo studio, finisce per attirare l’attenzione non solo dei trafficanti organizzati, ma anche dei non “professionisti”. “La rete del traffico è una catena a maglie lente – spiega il rapporto -, in cui anche un singolo individuo può inserirsi e sfruttare i migranti vulnerabili, attraverso sequestri, lavoro forzato o estorsione di denaro. Questi fattori rendono ancor più difficile il suo smantellamento”. Tra i trafficanti organizzati, invece, c’è una sorta di staffetta, stando a quanto raccontato dai migranti. “I richiedenti asilo provenienti dall'Africa occidentale hanno dichiarato di essere entrati in contatto con almeno due differenti tipi di trafficanti per raggiungere l'Italia – spiega lo studio -: uno responsabile di organizzare il viaggio da Agadez (Niger) verso la Libia e l’altro di organizzare il viaggio attraverso il Mar Mediterraneo”. Un viaggio attraverso il deserto non privo di pericoli e che, nei racconti, viene indicato come "la strada per l'inferno". Durante il tragitto, infatti, “i migranti hanno sofferto gravi privazioni di acqua e cibo, condizioni di caldo estremo e soprattutto sono stati testimoni della morte di altri migranti, a causa dell’ eccesso di velocità e della guida pericolosa, o della denutrizione o disidratazione. Una minoranza di loro ha riferito di essere stato picchiato dalla polizia ai posti di controllo”. L’accoglienza in Ue tenga conto delle sofferenze dei migranti. Non è solo il Mediterraneo, quindi, il mare di sofferenza da attraversare. Nei lunghi mesi per trovare i soldi necessari a partire o per raggiungere le coste, i racconti delle torture, dei trattamenti degradanti e inumani segnano tutto il viaggio dei migranti. “Le testimonianze raccolte in Sicilia e a Roma – spiega il report dimostrano che un numero molto elevato di migranti forzati giunti in Italia attraverso la Libia negli ultimi due anni,è costituito da potenziali vittime di traumi ripetuti (traumi pre-migratori e migratori), in cui i sintomi fisici e psicologici sono interconnessi”. Per questo, spiega Medu, i sistemi di accoglienza in Italia e in Europa “devono necessariamente tenere in considerazione le molteplici vulnerabilità dei richiedenti asilo che hanno affrontato il viaggio dal momento che tali fattori permangono anche dopo l’arrivo – si legge nel report -. Modelli di accoglienza basati su macrostrutture come, ad esempio il Cara di Mineo, che ospitano tra le 3 e le 4 mila persone, non consentono concrete opportunità di integrazione con il territorio circostante e le caratteristiche stesse delle strutture rappresentano spesso fattori di rischio per l’insorgere o l’aggravarsi della sofferenza psicologica. Una persona sopravissuta a tortura o vittima di trattamenti inumani e degradanti, costretta a vivere in condizioni di sovraffollamento, senza alcuna opportunità concreta di inclusione sociale, obbligata ad aspettare fino a 18 mesi per completare la procedura per il riconoscimento della protezione internazionale, è ancora più a rischio di sviluppare sintomi psicologici o psichiatrici connessi con il trauma che ha vissuto”. (ga) © Copyright Redattore Sociale Cittadinanza, le associazioni: "Bene il testo ma ora si vada fino in fondo" Rete G2 esprime soddisfazione per il testo unificato, depositato oggi alla Camera, sulla riforma della legge 91/92 ma non è d’accordo sul principio della residenza legale: “Rende più difficile percorso, meglio attenersi al permesso di soggiorno”. Save The Children: “Soddisfatti, ma ora si vada fino in fondo” 29 luglio 2015 - 18:18 ROMA – “Accogliamo con soddisfazione il fatto che dopo anni si sia finalmente arrivati a un testo unificato. E’ importante che si siano previsti criteri diversi, e che non sia prevalsa l’idea dello ius culturae. Ma per noi la proposta migliore rimane quella della campagna l’Italia sono anch’io, e speriamo che in sede di discussione si possa ancora intervenire sul testo”. Commenta così Mohamed Tailmoun, portavoce della Rete G2 il testo unificato di riforma della legge sulla cittadinanza, depositato oggi alla Camera dalla deputata del Pd Marilena Fabbri. Il testo rappresenta una sintesi delle 24 proposte depositate in questi anni a Montecitorio da esponenti di tutti gli schieramenti politici. “Ci fa piacere che non si contempli solo la scuola, ma che si premi anche il percorso di vita dei genitori – continua Tailmoun - ci preoccupa, invece, che sia richiesta la residenza legale sul suolo italiano, un criterio che potrebbe rendere più complicato il percorso di acquisizione. Era meglio prevedere una presenza legale, e non una residenza, oppure attenersi al permesso di soggiorno. Aspettiamo ora che riprenda l’iter e speriamo che con gli emendamenti si possa intervenire favorevolmente sul testo. Per ora –conclude - lo consideriamo comunque un passo avanti”. Sulla stessa scia anche Raffaella Milano di Save the children. “Abbiamo cooperato nei giorni scorsi per arrivare alla stesura di questo testo. I criteri di accesso sono ormai indispensabili – afferma -. Si tratta però di una riforma di cui sentiamo parlare da anni, e ormai i minori a cui è rivolta sono diventati grandi. Ora facciamo appello al Parlamento perché l’iter non si fermi di nuovo. La riforma deve andare in porto, speriamo che questa sia davvero la volta buona”. (ec) © Copyright Redattore Sociale Cittadinanza: ius soli per chi nasce in Italia, ius culturae per chi arriva Depositato alla Camera il testo unificato che raccoglie le 24 proposte di legge sulla modifica della legge 91/92. Si introduce per tutti (e non solo per gli apolidi) il principio dello ius soli temperato, ma per i minori che arrivano entro i 12 anni è previsto anche un ciclo di studi di cinque anni 29 luglio 2015 ROMA - Ius soli temperato per chi nasce in Italia, ius culturae per chi arriva nel nostro paese entro i 12 anni di età. Per diventare cittadini italiani non conterà più solo la discendenza, e cioè lo ius sanguinis (diritto del sangue) ma anche la nascita nel nostro paese (ius soli, diritto del suolo) e l’acquisizione della cultura italiana. Sono queste le novità principali previste dal testo unificato sulla riforma della legge 91/92, depositato oggi alla Camera. Un testo che mette insieme le oltre 20 proposte di legge depositate in questi anni da esponenti di tutti gli schieramenti politici. E che per la prima volta introduce nel nostro paese lo ius soli temperato per tutti (finora la legge lo prevedeva solo nei casi di apolidia, cioè quando non si può determinare la nazione di appartenenza), avvicinando la nostra legislazione, considerata tra le più restrittive in Europa a quella degli altri paesi come Francia e Germania. Al testo unificato si è arrivato dopo mesi di discussioni, il compito di tradurre le 24 proposte depositate a Montecitorio in una sintesi organica che le tenesse tutte insieme è stato affidato a Marilena Fabbri del Pd (insieme ad Annagrazia Calabria di Forza Italia, che alla fine però ha lasciato l'incarico per divergenze nella stesura del testo). Ius soli temperato: cittadinanza a chi nasce in Italia da genitori legalmente soggiornanti da almeno 5 anni. Il primo articolo del testo di riforma contiene la novità più importante e di fatto ricalca quella che da sempre è la proposta del Partito democratico, ma include anche la proposta di iniziativa popolare voluta dalla campagna l’Italia sono anch’io (che prevedeva però un anno di soggiorno legale dei genitori), del Movimento 5 stelle (residenza di almeno tre anni) e di Sel (residenza legale di almeno un anno). Nello specifico, si riconosce la cittadinanza italiana a chi è “nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri, di cui almeno uno sia residente legalmente in Italia, senza interruzioni, da almeno cinque anni, antecedenti alla nascita”. Si prevede inoltre l’acquisizione anche per chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri di cui “almeno uno sia nato in Italia e ivi risieda legalmente, senza interruzioni, da almeno un anno, antecedente alla nascita del figlio”.La norma si basa, quindi, sul progetto di vita stabile dei genitori stranieri in Italia. La cittadinanza in questi casi non è però automatica ma si acquista a seguito di una dichiarazione di volontà espressa da un genitore o da chi esercita la responsabilità genitoriale all'ufficiale dello stato civile del Comune di residenza del minore, da annotare a margine dell'atto di nascita. Entro due anni dal raggiungimento della maggiore età, l’interessato può rinunciare alla cittadinanza italiana se in possesso di altra cittadinanza. In mancanza di una dichiarazione di volontà da parte di un genitore esercente la responsabilità genitoriale, il figlio acquista la cittadinanza, se lo chiede, entro 2 anni dalla maggiore età. Ius culturae: cittadinanza a chi arriva entro i 12 anni e abbia frequentato almeno 5 anni di scuole in Italia. La seconda novità è contenuta nell’articolo 4 comma 2, che introduce il cosiddetto ius culturae per i figli di genitori stranieri che siano entrati in Italia entro il compimento del dodicesimo anno di età. In questo caso per l’acquisizione della cittadinanza si prevede la frequenza regolare “per almeno cinque anni di istituti scolastici appartenenti al sistema nazionale di istruzione o percorsi di istruzione e formazione professionale idonei al conseguimento di una qualifica professionale”. Anche in questo caso la cittadinanza si acquista a seguito di una dichiarazione di volontà in tal senso espressa da un genitore o da chi esercita la responsabilità genitoriale. L’ipotesi di legare la richiesta di cittadinanza al percorso scolastico è da sempre sostenuta dal centrodestra, ma anche da Scelta civica. L’articolo nel testo fa infatti riferimento alle proposte depositate da Mario Marazziti di Per l’Italia, da Renata Polverini (Forza Italia) e da Dorina Bianchi (Area popolare Udc-Ncd). Nel testo si prevede anche l’acquisizione “per lo straniero che abbia fatto ingresso nel territorio della Repubblica prima del compimento della maggiore età, ivi legalmente residente da almeno sei anni, che ha frequentato, nel medesimo territorio, un ciclo scolastico, con il conseguimento del titolo conclusivo, presso gli istituti scolastici appartenenti al sistema nazionale di istruzione, ovvero un percorso di istruzione e formazione professionale con il conseguimento di una qualifica professionale”. Per chi arriva tra i 12 e i 18 anni, quindi, oltre a un ciclo scolastico è richiesta la residenza di almeno 6 anni. Secondo il testo unificato, depositato oggi, la modifica della legge riguarderà solo i minori, mentre non cambiano i tempi per la naturalizzazione (cioè per gli stranieri che arrivano in Italia da adulti e che secondo la legge attuale devono attendere dieci anni prima di poter richiedere la cittadinanza italiana). QUest'ultimo aspetto è stato molto dibattuto, in particolare si proponeva un abbassamento dei tempi di permanenza legale da dieci a otto anni. Ma alla fine si è scelto di concentrarsi solo sulle modifiche relative ai minorenni. Aspetto su cui l'accordo tra centro destra e centro sinistra è sempre stato maggiore. La discussione del testo sarà avviata a settembre. (ec) © Copyright Redattore Sociale Anteprima Magazine Quella fiera delle vanità che mortifica il non profit di Riccardo Bonacina 29 Luglio Lug 2015 «Sono passati 15 mesi da che Renzi annunciò la Riforma del Terzo settore, quasi un anno da che ha cominciato il suo cammino in Parlamento. Difficile che veda la luce nel 2015. Una sconfitta per tutti». Così Riccardo Bonacina apre con il suo editoriale il numero di Vita in edicola da venerdì 31 luglio Sembra passato un secolo, e non 15 mesi, da quando Matteo Renzi annunciò al Festival del Volontariato di Lucca una legge Delega per la Riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e del servizio civile. Un annuncio fatto con l’entusiasmo di chi da mesi e ben prima di diventare premier, diceva che “il Terzo settore in realtà è il primo”. Un annuncio fatto con queste parole: «Voi siete un pezzo della scommessa culturale ed educativa, voi siete un pezzo della risposta anche occupazionale in questo Paese, per questo siamo attenti anche alla riforma dell’impresa sociale». Un entusiasmo riformatore quello del premier che si espresse sia nell’incontro presso la redazione di Vita con le organizzazioni del Comitato editoriale: «Questa Riforma non è un tributo o un omaggio al mondo dei buoni ma un pezzo di futuro dell’Italia. E nel futuro dell’Italia il Terzo settore ha un posto centrale», sia nella conferenza stampa di commento allo strepitoso risultato elettorale delle europee, il 26 maggio dello scorso anno Renzi rimproverò i giornalisti dicendo «avete dato poco spazio e attenzione alla legge delega del Terzo Settore. Per noi invece è uno dei punti nodali dell’azione riformatrice di questa legislatura». Matteo Renzi e Luigi Bobba discutono la legge delega con le associazioni in redazione a Vita il 20 maggio 2014 Il testo dell’attesissima Legge delega, nel frattempo discussa in decine di assemblee e incontri, venne poi licenziato dal Consiglio dei ministri del 10 luglio scorso dopo una consultazione popolare online a cui parteciparono 1016 soggetti. Il 22 agosto, finalmente, il testo venne incardinato alla Camera. È passato quasi un anno da quel momento, quasi quattro mesi da che il testo ottenne l’ok dell’aula, tre mesi da che è stato incardinato al Senato senza che ancora non sia successo nulla se non un triplo rimando della scadenza per la presentazione degli emendamenti. Un tempo sufficiente per disperdere ogni entusiasmo riformatore, non solo nelle attenzioni del premier che sull’argomento non è più tornato, ma anche tra le organizzazioni che hanno cominciato a guardare al percorso parlamentare con molto scetticismo. Come ha recentemente ricordato Giorgio Napolitano, «Il bicameralismo perfetto ha creato mostri». Ecco, una mostruosità in cui è incappata anche la legge delega di Riforma del Terzo settore. La copertina del numero di Vita di agosto, in edicola da venerdì 31 luglio Può capitare così che dopo le consultazioni online e nelle assemblee in tutto il Paese, alla Camera si facciano 70 audizioni e al Senato il doppione di un’altra trentina, che alla Camera i 20 deputati del Pd presentino 114 emendamenti (su un totale di 430). Ma non potevano parlarsi e presentarne 10? Può succedere che la presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, Anna Finocchiaro, rinvii per tre volte una scadenza, per un totale di 2 mesi e mezzo di perdita di tempo senza neppure avvertire il Governo, e che il relatore al Senato, Stefano Lepri sogni di passare alla storia riscrivendo lui una Riforma scritta coralmente. Insomma, una fiera delle vanità che mortifica una volta di più le legittime attese del mondo non profit. Che si è espresso su Vita.it insieme alle voci dell’Università e di forze sociali importanti come quella della Chiesa cattolica. La realtà preme e in Parlamento si perde tempo. Ce la faranno entro l’anno? Io non ci credo. Se si dovesse arrivare al 2016 sarà una sconfitta per tutti. blog.vita.it/lapuntina @rbonacina Nell'immagine d'apertura Matteo Renzi discute il testo della legge delega con le associazioni in redazione a Vita il 20 maggio 2014 Non solo Pil: il benessere degli europei si misura in qualità della vita di Donata Columbro 29 luglio 2015 Sono nove le misure che indicano il grado di felicità dei cittadini europei al di là di pil e produttività: dalla commissione Stiglitz-Sen-Fitoussi arriva il primo rapporto che fotografa la vita degli europei dalle relazioni sociali alla professione. E gli italiani? Felici, ma sotto la media. Sul portale dell’Eurostat a cui si accede per confrontare i dati del rapporto sulla qualità della vita in Europa si staglia un bel sole sorridente, sotto cui riposano un ragazzo e una ragazza: chiedimi se sono felice, sembrano dire con i loro sorrisi. È quello che ha fatto il team di ricercatori dell’Ufficio Statistico dell'Unione Europea, combinando gli indici quantitativi già disponibili nel database alle valutazioni soggettive dei cittadini, per capire come si vive nei 28 paesi dell’Ue. Il rapporto è stato pubblicato dopo una serie di raccomandazioni da parte della Commissione Europea per migliorare il modo in cui si affrontano le politiche e le problematiche della società, attraverso nuovi indicatori sul benessere della popolazione, “oltre il pil”. Il prodotto interno lordo infatti rappresenta un riferimento macroeconomico che indica il valore dei beni e servizi prodotti in un anno in un paese, ma comprende anche fenomeni negativi come l’inquinamento o i disastri ambientali. Nel settembre 2009 sono arrivate indicazioni pratiche dalla commissione Stiglitz-Sen-Fitoussi, chiamata così dai suoi leader, i premi Nobel Joseph Stiglitz e Amartya Sen, e l’economista Jean-Paul Fitoussi, con 12 raccomandazioni per misurare la performance economica e il benessere sociale nei paesi europei, con uno sguardo sullo stato dell’ambiente e sulla governance. Secondo la commissione, il benessere è un concetto multidimensionale che non può essere rappresentato solo dall’accesso ai beni materiali. Nel rapporto, gli indicatori usati per capire quanto i cittadini europei sono “felici” misurano anche il valore dato a fattori diversi da quelli economici, come il tempo libero, la percezione dello stato ambientale, la solitudine. Nove le “misure” che fotografano la situazione complessiva: condizioni di vita materiali, occupazione, salute, educazione, tempo libero e interazioni con gli altri, sicurezza fisica ed economica, governance e diritti civili, ambiente, qualità della vita in generale. Oltre ai dati ricavati dal database Eurostat, come la disoccupazione, l’affluenza alle urne, i crimini riportati, il reddito annuo, l’esposizione all’inquinamento, i ricercatori hanno usato indagini qualitative in cui alle persone è stato chiesto di indicare la propria soddisfazione in particolari contesti e momenti della vita - dalla realizzazione sul lavoro all’esperienza nei trasporti pubblici come pendolari - con un valore da 0 a 10, su cui è stata costruita la classifica. Cosa ci raccontano i dati: Gli italiani in media sono soddisfatti della propria qualità della vita, ma meno degli altri cittadini europei: 6,7 su 10 è il voto complessivo, mentre la media europea è di 7,1. I più felici sono i paesi scandinavi - Danimarca, Finlandia, Svezia - con un punteggio di 8 su 10, mentre la qualità della vita peggiore (percepita) è in Bulgaria, dove i cittadini hanno espresso con un voto di 4,8 su 10 la propria (in)soddisfazione. NEI CIE Si POTREBBE RESTARE AL MASSIMO SEI MESI I tempi eterni dei centri per stranieri dove si può rimanere anche due anni Briguglio: «L'Italia non ha interesse a identificare tutti e chi non possiede i requisiti per chiedere asilo preferisce sparire» GIULIANO GNECCO .................................................................................................... QUANDO un migrante ha attraversato il deserto, e poi è riuscito a superare anche il Mediterraneo, non ha raggiunto la fine del calvario. Con il salvataggio - in mare o a terra - ha inizio un altro percorso, disseminato di non minori insidie. Sì, perché l'arrivo in Italia significa andarsi a infilare in pastoie burocratiche complicate e interminabili. Ecco, cosa succede a un immigrato appena mette piede su territorio italiano? «Volete la risposta ufficiale, o cosa accade realmente?», è la domanda provocatoria di Sergio Briguglio, esperto di migrazione e di diritto dello straniero. Cosa significa? «Che una cosa sono le procedure e soprattutto le tempistiche previste nelle norme - risponde Briguglio - Altra cosa è la prassi, perché spesso o per l'eccezionalità dei flussi in arrivo, oppure per dolo, i tempi si dilatano. Anche perché l'Italia non ha reale interesse a identificare gli stranieri che arrivano: ha interesse a chiudere un occhio e lasciare che si diano alla macchia, nella speranza che riescano a espatriare. Perché se vengono identificati, anche qualora espatriassero sarebbero riportati in Italia. In questo modo invece non c'è traccia del loro passaggio in Italia. È il caso di quanto accaduto a Ventimiglia: quelle ai Balzi Rossi Per poter restare nel nostro Paese si deve compilare un modulo con un poliziotto erano tutte persone non identificate». Va bene, facciamo un passo indietro. Cosa accade quando un migrante arriva su suolo italiano? «Chi arriva alla frontiera senza permessi o documenti, deve essere respinto ricorda Briguglio - Per chi arriva sui barconi scatta il respingimento differito, che consente di prestare le cure del caso prima del rimpatrio. I casi più gravi vengono accompagnati in ospedale, gli altri finiscono nei Cie, i centri di identificazione ed espulsione, dove appunto dovrebbero essere identificati prima di essere riaccompagnati nei loro Paesi. Questo è il caso normale. In casi eccezionali, come flussi troppo numerosi, i migranti possono anche essere portati in centri di prima accoglienza. Dai Cie non si esce, sono come prigioni». E se fra i migranti ci sono richiedenti asilo? «Questi vengono invece portati nei Cara, i centri di accoglienza per ri- ie. , ì, utIl. nd, il(7r Aun rpNle i Jìrllti chiedenti asilo, dai quali si può invece uscire liberamente. Attenzione, se il richiedente asilo ha commesso reati, o se è già stato emesso nei suoi confronti un procedimento di espulsione, va nei Cie. Nei Cara invece chi ha reali motivi per ottenere asilo, ha l'interesse di farsi identificare e di completare le procedure. Chi sa invece di non avere i requisiti, ha tutto l'interesse di darsi alla macchia. Da qui arrivano casi come quello di Ventimiglia». Poi cosa accade? «Teoricamente, se i tempi non vengono rispettati, chi è in un Cie deve essere trasferito in un Cara, mentre chi è già in un Cara ottiene un permesso di soggiorno provvisorio». dello C3, alla presenza di un ispettore di pubblica sicurezza. Nella Provincia di Venezia, per esempio, c'è un solo ispettore addetto a questa funzione, che non riesce a compilare più di cinque modelli al giorno. Per cui, appunto, una cosa è ciò che è scritto nelle norme, altra cosa è ciò che accade realmente: i tempi si dilatano enormemente. E in un Cie si può rimanere fino a 2 anni. Per poi magari finire in un Cara e da qui darsi alla fuga. GRAFICI IL SECOLO XIX Un ispettore di polizia deve in ogni caso far compilare ai richiedenti asilo il modello C3, sul quale a Cor remissione Territoriale valuterà la domanda Nei casi di trattenimento dei richiedente in CIE, a Com m issione provvede all'audizione entro 7 giorni dalla data di ricevimento della documentazione, e adotta la decisione entro successivi 2 giorni [email protected] © RIPRODUZIONE RISERVATA 1V E in realtà, i tempi sono biblici. Basti pensare che tutti i richiedenti asilo devono compilare un modulo, il mo- Solo in caso di forte emergenza a causa magari dl flussi piuttosto ampi, l'immigrato può essere portato in un Cda (centro di accoglienza) dove altrirnenti vengono solo ospitati minorenni in stato di arresto,fernno o accompagnarTmento, fino all'udienza di convalida che deve concretizzarsi entro 96 ore dal fermo Il cammino dell'accoglienza secondo le norme II migrante viene soccorso Viene disposto il respingimento differito, e per soccorrerlo viene portato in un Cie (centro dl IdentlflCazlone ed espulslone) o in un ospedale se le condizioni sono particolarmente serie, in attesa di essere espulso e rimpatriato dopo l'identificazione. Nel Cie va anche il richiedente asilo che abbia commesso reati, o abbia già in coi-so un provvedimento di espulsione, ■ Per egge nei Cie si può stare 30 giorni con a prassibilitá di una proroga di altri 60 ■ Nel caso di richiedenti asilo si può arrivare a 6 mesi ■ Se si superano i tempi, il richïedente asìlo dovrebbe essere trasferito in un Cara ■ 1111 costo a persona è di 41 euro al giorno ■ Dal Cie non si può uscire. è una sorta di prigione Se il migrante richiede asilo e non ha commesso reati o non ha in corso provvedimenti di espulsione, viene portato in un Cara (centro di accoglienza richiedenti asilo) per l'identificazione e per valutare la domanda di asilo. Dal Cara si può uscire liberamente. Se un richiedente asilo sa di non avere i requisiti. gli conviene far perdere le tracce: in questo caso la domanda viene valutata comunque sulla base delle dichiarazioni rilasciate ai momento dello sbarco, ma non ci può essere il colloquio. ■ Per egge, nel Cara non si può stare più di 35 giorni al massimo ■ Allo scadere del periodo di accoglienza, al richiedente è rïlasciatu un permesso dì soggiorno della durata di 3 mesi, rinnovabile fino alla decisitene sulla domanda ■ li costo a persona del Cara è di 34 euro al giorno Divieto totale di pubblicità del gioco d'azzardo: ora è possibile di Redazione 29 Luglio 2015 Una proposta di legge che impone il divieto totale e assoluto, su qualsiasi mezzo e in qualsiasi forma della pubblicità del gioco d'azzardo. Semplice, schietta, già depositata alla Camera, in attesa di esserlo al Senato chiede si risponda senza mezze misure all'appello della società civile: un "sì" o un "no". L'iniziativa noslot dell'Intergruppo parlamentare contro l'azzardo verrà presentata domani alle 13, alla Sala Stampa della Camera dei Deputati alla presenza di cittadini e associazioni "NON INDURRE IN TENTAZIONE" Una proposta di legge composta di due soli articoli per introdurre, come già avviene per i derivati dal tabacco, il divieto totale e assoluto di pubblicità del gioco d'azzardo. È questa la proposta noslot che verrà presentata domani alle 13 alla Sala Stampa della Camera dei Deputati, in via della Missione 4 a Roma. Oltre ai promotori dell’iniziativa, i primi firmatari della proposta Lorenzo Basso (PD), Stefano Quaranta (SEL), Mario Sberna (Scelta Civica) e Rosanna Scopelliti (NCD), saranno presenti deputati, amministratori locali, cittadini, associazioni impegnate nel contrasto alla diffusione del gioco d’azzardo. AZZARDO LEGALE-ILLEGALE-ASOCIALE Un fenomeno che, in questi giorni - nella sua declinazione illegale - è stato al centro delle cronache giudiziarie, con ill caso dell'Operazione Gambling che ha sollevato il coperchio sulla "notte dei lunghi coltelli" che si sta consumando all'interno del settore-gioco per il rinnovo delle concessioni di Stato che avverrà nel 2016, e - nella sua declinazione di sofferenza sociale - è stato al centro della cronaca nera, con il caso della donna di Asti brutalmente uccisa da una persona che aveva dilapidato in azzardo "legale" più di 11 mila euro, destinati alla figlia disabile. La proposta di legge ha un obiettivo minimo ma non banale, soprattutto oerché raggiungibile in pochissimo tempo, a patto che le coscienze critiche del Parlamento e della società civile sappriano raccogliere la sfida e far fronte comune, oltre le comuni differenze. Introdurre il divieto totale di pubblicità e sponsorizzazioni, dirette o indirette, disciplinando le relative sanzioni singnifica infatti incidere su uno degli aspetti più controversi del settore dell’azzardo, un settore che ha ricadute enormi sull'ordine pubblico e sulla spesa sociosanitaria del Paese, oltre che - ma questo è il dato primario - sulla tenuta del legame sociale. La proposta, che verrà resa pubblica domani nella sua forma definitiva, ha pertanto lo scopo di mettere nero su bianco le richieste di tanti cittadini, movimenti, associazioni, parlamentari che in questi mesi hanno chiesto a Governo e Parlamento di pronunciarsi con chiarezza proprio su questo tema. NEL CORO, FUORI DAL CORO Mille voci che si sovrappongono non fanno da sole un coro. Questo è un dato evidente, anche in tema di contrasto all'azzardo. Accade così che il Parlamento italiano, schiacciato da mille proposte di forma e riforma, appaia talvolta più simile a un lavandino intasato - lo ricordava ieri il Procuratore Nicola Gratteri sul Fatto quotidiano - che a un'assemblea legislativa. Ci sono però momenti propizi affiché, persino da voci discordi, esca qualcosa di condiviso e imprevisto. Sta accadendo proprio in queste ore: una proposta di legge per il divieto totale e assoluto di ogni promozione pubblicitaria dell'azzardo depositata nei giorni scorsi alla Camera dei Deputati dall’intergruppo parlamentare contro il gioco d’azzardo che riunisce più di cento deputati e senatori - sta raccogliendo adesioni e consensi che fanno ben sperare in vista di una sua rapida calendarizzazione e di una ancor più rapido passaggio al voto dopo la pausa estiva. A vantaggio di questa proposta, di cui avevamo dato un'anticipazione (potete leggerla qui), "giocano" (è proprio il caso di dirlo!) molti fattori, primo fra tutti il pragmatismo e la chiarezza del testo. Non prevedendo necessità di copertura finanziaria e avendo già registrato un numero già molto alto e crescente di adesioni in tutti gli schieramenti politici, la proposta che verrà illustrata e presentata il 30 luglio ha ottime probabilità di essere calendarizzata e messa al voto già dopo l’estate, con la ripresa dell’attività parlamentare. Economica*mente 29/07/2015 inequità politica Matteo, sveglia! La prevenzione è un risparmio non uno spreco di Marcello Esposito Quella che viene spacciata per una lotta agli sprechi rischia di diventare la base per la peggiore retro-forma del Sistema Sanitario Nazionale. Il peggior modo con cui il duo Lorenzin-Gutgeld potevano presentare la retro-forma è quella di vendere l’idea che ci siano persone che si sottopongono a risonanze magnetiche o a PET solo perché sono ipocondriaci o perchè il medico di base ha paura di subire una causa. E’ evidente che Yoram e Beatrice non si sono mai dovuti sottoporre a questo tipo di diagnostica, altrimenti più che di ipocondria soffrirebbero di masochismo. La prevenzione non ha prezzo. Non è uno spreco, anzi consente agli italiani non solo di avere una vita media tra le più elevate al mondo ma anche di spendere in sanità molto meno degli altri paesi. Lo scrupolo di un medico di base che vuole capire le cause di certi disturbi dovrebbe essere incentivato, non penalizzato. Un diabete o un focolaio di polmonite, se scoperti in tempo, possono evitare complicazioni gravissime per il paziente e costi enormi per il sistema sanitario se l’intervento diagnostico viene rimandato a quando la patologia è conclamata. Per non parlare dei tumori. A Palazzo Chigi forse non lo sanno, ma molti tumori si iniziano a manifestare attraverso dolori osteo-articolari, difficoltà digestive, stanchezza … Anche se inizialmente negativi, gli esami devono essere ripetuti, anche a distanza ravvicinata e andando sempre più in profondità o investigando altri organi. E’ una via crucis che segna psicologicamente le persone e abbatte i familiari e le persone vicine. Se la si intraprende è perché una diagnosi precoce è una questione di vita o di morte. E poi c’è la grande mistificazione dell’abuso da parte degli italiani del Pronto Soccorso. Per chi è abituato a volare con l’elicottero forse non è chiaro come funziona la vita per chi vive con i piedi per terra. Non è che i cittadini italiani siano degli sfaticatoni che non sanno come passare il tempo e che al primo mal di testa decidono di passare una decina di orette in un Pronto Soccorso. Se il Pronto Soccorso è al collasso, la colpa è degli italiani che han bisogno di passare qualche ora in compagnia o è del Governo che dovrebbe organizzare forme alternative di intervento rapido in caso di urgenze? Qui non si tratta di risparmiare e tagliare sprechi, ma di progettare e pensare. La retorica del populismo politico della spending review fa dimenticare che la nostra sanità pubblica è una delle più efficienti al mondo. Certo ci sono casi come quelli della clinica Divina Provvidenza, dove è coinvolto il Senatore Azzollini, che fa parte del partito della Ministra e che sostiene il Governo. Chissà se Matteo e Yoram sono andati a verificare se in quel caso gli sprechi milionari sono stati causati da legioni di ipocondriaci. Una toppa da 30 milioni per i servizi per gli alunni disabili Di Sara De Carli 29 Luglio 2015 Il maxiemendamento approvato ieri dal Senato stanzia 30 milioni per il 2015, per mettere una toppa ai bilanci di Regioni e Città Metropolitane rispetto alle funzioni di inclusione scolastica che erano in capo alle Province. «Domani partirà una lettera a sindaci e famiglie, che potranno richiedere il servizio», annuncia Maria Rosaria Iardino, consigliera delegata per la Città Metropolitana di Milano. Il maxiemendamento approvato ieri dal Senato stanzia 30 milioni per il 2015, per mettere una toppa ai bilanci di Regioni e Città Metropolitane rispetto alle funzioni di inclusione scolastica che erano in capo alle Province. «Domani partirà una lettera a sindaci e famiglie, che potranno richiedere il servizio», annuncia Maria Rosaria Iardino, consigliera delegata per la Città Metropolitana di Milano. La svolta sono 30 milioni di euro per l’anno 2015, non considerate rilevanti ai fini del patto di stabilità, che un DPCM provvederà a ripartire fra province e città metropolitane. Li stanzia l'articolo 8, comma 13quater del maxiemendamento interamente sostitutivo del ddl n. 1977, di conversione del decreto-legge n. 78, recante disposizioni urgenti in materia di enti territoriali, approvato ieri dal Senato. Con questo stanziamento dovrebbe a questo punto ripartire la macchina operativa per garantire agli studenti con disabilità i servizi di trasporto, assistenza alla comunicazione e assistenza educativa, o almeno per mettere una pezza al sostanziale immobilismo delle Regioni. «Siamo in ritardo e mi scuso con le famiglie, la volontà politica è sempre stata forte, ma in questo momento di confusione normativa non potevamo prendere un impegno prima di essere sicuri di poter chiudere il bilancio», spiega Maria Rosaria Iardino, consigliera delegata alle Pari opportunità, politiche di genere e sostegno alle categorie più deboli e disabilità della Città Metropolitana di Milano. «Domani partirà una lettera alle famiglie, ai sindaci, ai Piani di Zona, per dire che siamo in grado di chiudere il bilancio e che nel bilancio ci saranno non meno di 5,5 milioni di euro per questi servizi». Ancora oggi infatti nella sola Lombardia ci sono oltre 4.650 ragazzi che rischiano di non poter andare a scuola, a dispetto della legge 104 e del diritto all’inclusione. Nessun segnale è arrivato, ormai a ridosso dell’avvio dell’anno scolastico e solo in Lombardia almeno un centinaio di famiglie hanno già aderito alla campagna “Voglio andare a scuola” di Ledha, inviando una lettera/diffida alla propria Provincia o alla Città Metropolitana di Milano per chiedere l'attivazione dei servizi di assistenza alla comunicazione, assistenza educativa e trasporto. «La Città metropolitana ha sempre detto di accollarsi come un “obbligo” istituzionale la fornitura dei supporti organizzativi al diritto allo studio, già in capo alla Provincia di Milano, promettendo di mettere a bilancio gli stessi fondi dell'anno scorso per gli alunni con disabilità in attesa che regione Lombardia ridefinisca le funzioni dei nuovi Enti di area vasta», spiega Roberto Morali, direttore di Ledha Milano. «Dal 25 giugno ad oggi, ci ritroviamo allo stesso punto di prima, e cioè a zero. Si è perso tempo inutilmente, si sarebbe potuto benissimo lavorare per predisporre almeno a livello organizzativo le modalità con cui erogare il servizio ma non ci risulta sia stato fatto nemmeno con il Comune di Milano il cui sindaco presiede la Città metropolitana». Quanto promesso in quell’incontro con le associazioni è invece stato fatto, secondo Maria Rosaria Iardino: «Ho incontrato tutti i 17 Piani di Zona, spiegando le nuove modalità. I Piani di Zona potranno immediatamente iniziare a raccogliere i bisogni delle famiglie. La Regione invece ha promesso 10 milioni di euro per questi servizi, però io non ho ancora visto nulla nemmeno per i servizi svolti nell’anno 2014/2015». La novità infatti è che cambia la modalità di erogazione dei servizi, poiché la Città metropolitana ha un compito di coordinamento, non di erogazione: «Saranno i Piani di Zona a raccogliere i bisogni delle famiglie e a erogare ai Comuni i fondi», spiega Iardino. Quel che è certo, è che i tempi sono strettissimi. «L’unica possibilità è che i Comuni non facciano nuovi bandi per assegnare il servizio per soli i tre mesi del 2015 ma lo riaffidino alle cooperative che avevano vinto il bando l’anno scorso», dice Salvatore Nocera, responsabile scuola della Fish. «Noi puntiamo alla legge di stabilità, che chiarisca una volta per tutte questa situazione e assegni i fondi necessari. Questi 30 milioni infatti, pur essendo una toppa per le sole regioni che non avevano ancora stanziato soldi per questi servizi nei loro bilanci, sono chiaramente pochissimi. Basti pensare che la sola Lombardia, per questo, spendeva 49 milioni di euro l’anno». Ledha intanto ha invitato i genitori che hanno inviato una diffida per lunedì 7 settembre a un incontro con i legali del Centro Antidiscriminazione “Franco Bomprezzi”, affiancati da avvocati esperti del settore. Durante l'incontro verranno illustrate le azioni che Ledha sta conducendo direttamente e le possibilità di ricorso a disposizione delle famiglie. Scola: «Europa, basta egoismi nazionali» Il cardinale di Milano visita un centro di accoglienza: ospitalità a piccoli gruppi 'CARIA SOLAINI MILANO ssere nell'Unione europea implica dei diritti e anche dei doveri», bisogna rendersi conto che nell'Europa attraversata dai processi migratori e dalla crisi economica «sono rinati egoismi nazionali che credevamo superati, ma si sbloccano proprio dal basso, partendo da luoghi come questi», «luoghi di civiltà» come Casa Suraya. P l'analisi dell'arcivescovo di Milano, il cardinaleAngelo Scola che ieri si è recato a Milano nel centro di accoglienza dei profughi che porta il nonne della prima bambina siriana nata qui, durante l'accoglienza. Il richiamo ai diritti e ai doveri degli Stati membri dell'Ue si inserisce in un discorso più ampio, nel quale l'arcivescovo ha spiegato il perché non ci si debba scandalizzare di fronte alla paura di tanti italiani per l'arrivo dei migranti: «Una problematica di questo genere incrocia una situazione di cambiamento in atto nel mondo, in Europa, nella nostra Milano» e «porta con sé un'altra serie di contraddizioni», come «la grande crisi, la questione del lavoro, la questione giovanile, i molti cambiamenti avvenuti a livello di comportamenti, come il tema della differenza sessuale, quello della civiltà delle reti e il tema della cultura del lavoro». Per questo motivo, l'arcivescovo di Milano ha invitato ad avere «pazienza verso la paura» che «è cattiva consigliera e porta dalla parte sbagliata» e a «dare motivazioni, spiegando pazientemente ad esempio che i rifugiati che hanno diritto all'asilo politico non sono rifugiati economici, questo la nostra gente non lo sa e non lo capisce ancora, bisogna fare vedere la differenza». «Serve un diverso coordinamento fra il ministero, le prefetture e le istituzioni. Il lavoro di prevenzione è fondamentale. Chiaro che di fronte alla gente che sbarca dai barconi la prima risposta della Chiesa è quella del buon samaritano, ma poi ognuno deve assumersi il proprio compito e quello delle istituzioni è di una politica europea: speriamo ci sia più generosità e qualche volta il rischio di but- La proposta L'arcivescovo: i parroci parlino coni fedeli , li aiutino a superare le loro paure tarsi oltre l'asticella senza pretendere di predeterminare tutto». L'arcivescovo di Milano ha fatto sua anche la proposta di Caritas ambrosiana di istituire i corridoi umanitari. La sola via praticabile per organizzare l'arrivo dei richiedenti asilo che hanno diritto secondo gli statuti internazionali a ricevere protezione: «una soluzione che può sembrare eccessiva - ha osservato Scola - ma l'alternativa a questo non può essere dire: stiano nei loro Paesi. Perché ormai siamo diventati una cosa sola: questo fenomeno migratorio è un processo, non è una cosa che decidiamo a tavolino. I processi av- vengono, noi li possiamo orientare ma non decidere». Quella dei corridoi umanitari «è una buona proposta, tanto più necessaria tanto più stiamo vivendo un clima preoccupante di guerra, e l'Italia è coinvolta più di altre nazioni europee». Dal canto suo, la Chiesa ambrosiana ha rilanciato l'idea dell'accoglienza diffusa, fatta di piccoli gruppi di profughi, in ognuna delle 1.107 parrocchie della Diocesi di Milano: «i parroci parlino con i fedeli per superare le paure comprensibili - ha sottolineato ilporporato-ma che non portano da nessuna parte. Possiamo dare una grande prova di civiltà. E la soluzione giusta». «Alle parrocchie chiediamo solo di favorire l'inserimento nel tessuto sociale del territorio. Possono contare su Caritas per l'organizzazione dell'accoglienza e il coordinamento con le istituzioni - ha aggiunto il direttore di CaritasAmbrosiana, don Roberto Davanzo -. Insieme possiamo dimostrare che la migrazione non è solo un problema, ma un motivo di arricchimento». Il cardinale Angelo Scola ieri a Casa Suraya, a Milano © RIPRODU➢ ONE RISERVATA Carce;, torna l'emergenza Suicidi, sovraffollamento, strutture: estate nera dietro le sbarre NELLO SCAVO MILANO on è mai piacevole restare con i rubinetti a secco d'estate. Ma se accade in carcere è un supplizio in più. Perciò a Caserta i detenuti, scherzando ma non troppo, hanno chiesto uno sconto di pena per ogni ora trascorsa nell a casa circondarial e di Santa Maria Capua Vetere. Ma non è un caso isolato. A Cosenza l'emergenza idrica si aggiunge a disagi annosi e irrisolti. Altrove scoppiano rivolte di cui poco viene fatto filtrare. Nei giorni scorsi la deputata del Pd Enza Bruno Bossio si è recata in visita ispettiva nel carcere di Cosenza «in cui si è determinata una grave emergenza idrica che aveva causato una forte manifestazione di protesta da parte di tutti i detenuti», ha detto Bruno Bossio (che è membro del partito radicale) . Quel che è più grave è che la vita del penitenziario può essere sabotata dall'esterno senza che si trovino i colpevoli. La mancanza d'acqua, infatti, è stata causata dal furto dei tubi di rame della conduttura comunale e «dalla rottura di una pompa di sollevamento con conseguenti danni ingenti anche all'impianto idraulico dell'istituto penitenziario». Per fronteggiare l'emergenza il prefetto, Gianfranco Tomao ha ordinato ai vigili del fuoco di fornire l'acqua al carcere tramite le loro autobotti per uso igienico-sanitario. Le cisterne di cui era dotato il penitenziario si erano completamente svuotate e solo in queste ore la situazione sta tornando alla normalità con l'erogazione dell'acqua potabile. Ad Avellino, il 16 luglio, i detenuti avevano organizzato una protesta sedata a fatica dagli agenti penitenziari. Un sovrintendente è finito in ospedale per aver inalato i fumi sprigionati da stracci e bombolette incendiate durante la rivolta a causa della mancanza d'acqua. I detenuti hanno dato fuoco a lenzuola, effetti personali, bombolette di gas adoperate per alimentare i fornellini nelle celle. Al 30 giugno si contavano 45.552 detenuti, al di sotto dei record dei quasi 60mila raggiunti negli anni scorsi, ma comunque al di sopra della capienza massima di 38mila posti. La stagione calda non fa che aumentare i problemi ed esacerbare gli animi. A Santa Maria CapuaVetere è stata scelta la via nonviolenta, ma non meno chiassosa. Un'istanza firmata da 1050 detenuti e indirizzata al magistrato di sorveglianza con la richiesta di ottenere uno sconto di pena di un giorno per ogni dieci trascorsi in condizioni disumane o, in alternativa, un indennizzo di 8 euro al giorno a testa. Avrebbe dovuto essere un carcere modello. Costruito una decina d'anni fa e presentato come all'avanguardia, la struttura non è mai stata allacciata alla rete idrica pubblica. Gli avvocati della Camera penale locale chiariscono che l'istanza «non ha alcuna possibilita' giuridica di essere accettata», ha spiegato il presidente Romolo Vignola, nel corso di una conferenza stampa. Il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha stanziato un milione di euro per i lavori ma i fondi non possono essere usati perche' le opere di allacciamento vanno fatte al di fuori del perimetro del carcere, su cui il ministero delle Giustizia non ha alcuna competenza. «Ogni giorno - spiega l'avvocato Nicola Garofalo, responsabile della commissione peri diritti dei detenuti della Camera penale - l'amministrazione penitenziaria spende parecchi euro per acquistare l'acqua da imprenditori privati: due litri di acqua vengono distribuiti ad ogni detenuto per bere, il resto arriva con le autobotti che riempiono il pozzo che alimenta il carcere». Le esplosioni di aggressività sono all'ordine del giorno. Ieri un detenuto del carcere veneziano di Santa Maria Maggiore ha staccato a morsi il dito di un agente penitenziario. Dall' 1 gennaio sono oltre 250 i poliziotti penitenziari aggrediti e feriti. Altre volte il disagio e la frustrazione vengono sfogati in gesti di autolesionismo, fino ai 26 che si sono tolti la vita quest'anno. L'ultimo ieri a Terni. Un uomo di 48 anni, originario della provincia di Sassari, si è tolto lavita impiccandosi con delle lenzuola alla finestra della cella. O RIPRODUZIONE RISERVATA Caldo , carenze idriche , rivolte e aggressioni agli agenti I suicidi sono già 26 I., C A I)EI }'R{)FU _ I ESSENZA DI UP, ,rNE C;C)IIIC7NE La Ue crei un'agenzia di asilo e migrazione di George Soros uest'anno4oomilapersone affronteranno viaggi pericolosi per raggiungere l'Europa, la metà circa fugge dalla guerra civile in Siria o dalla brutale re- pressione del governo in Eritrea. E nella loro odissea verso Occidente, avranno dovuto rischiare la vita due volte: una per scappare dai loro paesi e la seconda per entrare nei nostri. Levittimeditanticonflittipas- sati avevano avuto maggior fortuna. Dopo l'invasione sovietica del1956,2oomilaungheresiscapparono in Austria e Jugoslavia: nel giro di pochi mesi quasi tutti furono reinsediati in paesi lontani come America, Australia, Bra- sile e Tunisia. Una generazione dopo, quando la guerra ne aveva dispersi a milioni in Indocina, la comunità internazionale ne reinsediòimilione 3oomila. Moussanet e Maisano > La responsabilità della Ue L'Europa deve creare l'Agenzia unica di asil o di George 5oros egli anni Novanta, i conflitti nei Balcani hanno provocato 4 milioni di profughi e, ancora una volta, il mondo ha teso la mano. Ma davanti all'attuale crisi di profughi, l'Ue non è riuscita a muovere un'azione comune e così sono i singoli Paesi che hanno dovuto prendere in mano la situazione.L'Ungheria sta costruendo unmuro al confine conlaSerbia. Gli stati confinari vengono meno agli obblighi previsti dal Sistema europeo comune di asilo non fornendo accoglienza e capacità di asilo adeguate e dunque incoraggiando i profughi a trasferirsi in altri Paesi dell'Ue. Francia e Austria hanno ripristinato temporaneamente i controlli dei passaporti alle frontiere. Da quando è stata adottata la Convenzione dei Rifugiati nel 1951, l'Europa ne è stata per decenni la colonna portante morale e operativa. Ora non lo è più. A maggio, la Commissione europea ha proposto un'agenda globale sulla migrazione che, se attuata, darebbe agli europei quello che stanno cercando, un senso di controllo sui flussi migratori. Nella gran parte dei Paesi Ue, i cittadinivedono positivamente lamigrazione legale; è il caos alle frontiere a spingerli nelle braccia dei populisti. Eppure, solo due punti dell'agenda della Commissione hanno ricevuto un sostegno immediato: la missione militare nel Mediterraneo contro contrabbandieri e trafficanti il mese scorso, e un grande sforzo per rispedire indietro i migranti che non hanno i requisiti per godere della protezione internazionale. Il resto del piano mirato a salvare vite umane e a offrire mezzi di sostentamento per chi non può tornare nel proprio Paese, è stato attaccato. Il punto che ha incontrato maggiori resistenze è stato il meccanismo obbligatorio per il ricollocamento in altri Stati membri digomilarichiedenti asilo da Italia e Grecia. Alla fine, solo 32mila sono stati accettati su base volontaria. L'impatto nella maggior parte di quei Paesi sarebbe minimo e probabilmente anche loro godranno del principio di ricollocamento quando i flussimigratori si sposteranno. Anche la proposta di reinsediare 2omila profughi dai campi in Medio Oriente si è rivelata impraticabile. Quei programmi incarnano lo spirito di responsabilità condivisa che sta al cuore dell'Ue. Se non diventeranno linee permanenti e obbligatorie del Sistema europeo comune di asilo, quello spirito crollerà. Se verranno migliorate, invece, il sistema di asilo europeo potrebbe assurgere a modello di cooperazione internazionale per la protezione dei rifugiati. L'Europa deve fare il possibile affinché i profughi possano chiedere asilo in sicurezza. Ciò non significa offrire protezione a chiunque ne abbia bisogno, ma chi è ammesso in Europa non dovrebbe essere costretto a rischiare la vita. Tradotto in pratica, questo vorrebbe dire dare lapossibilità di chiedere asilo dall'estero. Migliái a diprofughi siriani con qualifiche ricercate in Europa - dottori, infermiere, operai edili - languono senza un'occupazione nei campi libanesi e giordani, l'Ue potrebbe dare loro la possibilità di chiedere un permesso di lavoro. Nel perseguire una politica di migrazio- Il sistema di migrazione della Ue deve essere ripensato per incarnare uno spirito più collettivo e generoso e più fedele ai valori propri dell'Europa ...................................................................................................... ne e di asilo integrate, l'Ue dovrebbe evitare lo spreco e la ridondanza di 28 sistemi paralleli istituendo, per esempio, un'unica agenzia di asilo e migrazione che vagli le richieste per tutta l'Unione. E, infine, potrebbe anche essere creato un corpo congiunto di guardie di frontiera. Il sistema di migrazione dell'Ue deve essere ripensato per incarnare uno spirito più collettivo e generoso e più fedele ai valori europei. George Soros e presidente del Soros Fund Management (Traduzione di Francesca Novafra) © TH E FINA NCIAL TI M ES LI MITED, 2015 Previsti 32mila ricollocamenti I ministri degli Interni hanno trovato il 20 luglio 2015 un accordo per redistribuire su due anni in tutta Europa poco più di 32mila profughi arrivati in Italia e in Grecia. Il totale dei rifugiati è inferiore all'obiettivo di 40mila migranti. Tuttavia, in questa fase, non è la cifra che conta. Perla prima volta, i Ventotto hanno accettato di ricollocare rifugiati tra tutti i Paesi membri, mettendo un primo tassello alla riforma del Principio di Dublino. Il destino di chi è nei centri di accoglienza È stato deciso anche il reinsediamento di 22.504 persone, ora in centri di raccolta fuori dal territorio della Ue (il totale è superiore all'impegno originario di 20mila). Le due decisioni sono giunte dopo u n lungo negoziato, seguito ai drammatici naufragi avvenuti ad aprile nel Mar Mediterraneo. NOI E QUELLI DELLE «QUOTE» CHIAMIAMOLI PERNuME ERALDo AFFINATI i trovavo nel deserto marocchino, insieme ad alcuni uomini, fra i quali Moustafà, padre di Omar, a cui avevo insegnato a scrivere alla Città dei Ragazzi di Roma. La terra davanti a noi era la stessa che Charles de Foucauld attraversò da solo nella speranza di ritrovare dentro di sé, fra quelle dune sabbiose, lo spirito del falegname di Nazareth. Mi venne da pensare all'umile fratello, alla sua vita nascosta, mentre facevo le abluzioni prima di mettermi a pregare con i miei compagni, io unico bianco in mezzo a loro. Chissà, forse fu proprio il piccolo grande esploratore francese, assassinato da un adolescente che lui avrebbe voluto aiutare quasi cento anni fa nell'eremo di Tamanrasset, che mi spinse a chiedere a Moustafà, a cui avevo appena riconsegnato suo figlio, come considerasse i terroristi capaci di farsi uccidere insieme alle loro vittime. La sua risposta scese su di me alla medesima stregua di una benedizione: «Quelli non sono uomini religiosi». Da allora ho impa- rato a diffidare delle aride cifre e delle astratte definizioni che ogni giorno ci vengono propinate. Trecento profughi sbarcati qui. Cinquanta trasferiti là. Richiedenti asilo politico. Minorenni non accompagnati. Riscatti da pagare. Accoglienze da finanziare. Dentro queste sigle generiche, titoli di giornali, adesivi linguistici che si staccano subito dalle vite che dovrebbero indicare, non c'è la faccia impaurita di Mohamed chinato sotto le transenne del Centro di pronto intervento della periferia metropolitana quando vede una schiera di facinorosi inveirgli contro. L'espressione «quote da distribuire» non ci mostra l'ustione sul braccio di Mamoudou, costretto a stendersi in fondo alla barca, vicino al motore, quindi senza potersi proteggere dalla fuoriuscita della nafta e nemmeno il modo frettoloso con cui viene curato all'ospedale: gli infermieri si limitano a spargergli una pomata prima di dimetterlo. La dicitura «protocolli da eseguire» non ci fa capire la gerarchia presente all'interno dell'imbarcazione, dove quelli che hanno pagato di più possono respirare meglio degli altri, destinati a soffocare all'interno dello scafo e comunque tutti devono stare immobili durante l'intera traversata, se vogliono evitare il rischio di finire in pasto ai pesci. E questa la ragione per cui, mettendo da parte le procedure ufficiali, dovremmo chiamare per nome le persone che arrivano in Europa: Babucar, Alï, Sofiane, Raduane, Aminata, Fatima... continua a pagina 2 C1171 OLI PER NOME Avanti, diteci chi siete, parlateci delle vostre famiglie, come avete vissuto, cosa vi è successo, dove abitate, quali sono gli obiettivi che vi proponete. Sarà come interpellare il nostro passato perché nessuno può illudersi di fare questo nuovo appello senza mettersi in gioco, sciogliendo i propri nodi spinosi, superando le forti resistenze che ci attanagliano, alcune delle quali sono storiche (pensiamo all'eredità coloniale che ci portiamo dietro), ma altre riguardano la nostra esistenza e quella dei nostri genitori. Se ascoltassimo le vicende personali dei migranti, se fossimo attenti ai contesti, se guardassimo negli occhi chi abbiamo di fronte, avremmo l'opportunità di capire noi stessi. Egoismo, negligenza e indifferenza sono gli ostacoli che ritardano o impediscono questo difficile compito. Delegare alla classe politica tale incombenza sarebbe una falsa scorciatoia. Non si affronta un'osmosi di popoli come quella che stiamo vivendo con qualche semplice atto amministrativo. C'è un grande lavoro umano da compiere, improcrastinabile. Ognuno di noi è chiamato a svolgerlo. Per un cristiano, certo, si tratta della prova del nove: la verifica suprema, senza cui la fede si trasforma in una squallida assicurazione spirituale. Un ridicolo alibi interiore. Ma, prima di arrivare a tanto, dobbiamo soffiare sulla polvere della Carta costituzionale che i nostri padri ci hanno consegnato a prezzo di sangue e impedire che diventi, se non lettera morta, rasero galateo di educazione civica a uso esclusivo di una sola parte. Incredibilmente sarà proprio il piccolo Sharif, arrivato in Italia nella pancia di sua madre e ora già vispo sul lettone col ciuccio in bocca, a farci riscoprire il senso pieno, lacerante e propulsivo, della democrazia. Eraldo Affinati Stranieri, quando il lavoro «integra» Fondazione Moressa: i migliori risultati in Lazio e in Lombardia di Rossella Cadeo ui migranti il dibattito è sempre aperto: è della settimana scorsa la notizia dell'accordo faticosamente iu;iunto in sede Ue perla redistrib uzi one di 32mil a pr ofughi così come quella dei disordiniaTreviso e a Roma coni! relativo strascico di polemiche. Ma se l'accoglienza dei richiedentiprotezione resterà a lungo un problema di ardua soluzione, la presenza di immigrati nel mondo è da anni una realtà alla quale ciascun Paese ha dato risposte diverse. In un ideale confronto in tennadiintegrazione-effettuatofra38Paesi dalla recente indagine Mipex (MigrantlntegrationPolicy Index) che ha preso in esame oltre ioo indicatori suddivisi in otto aree - l'Italia, con i suoi cinque milioni di stranieriresidentiafine2o44sicollocaali3° posto, sopra la media generale dellaUe28. Ma, come non è omogenea la distribu- E costruito su una quarantina di indicatori suddivisi in sei aree tematiche, dalle chance occupazionali alla diffusione dell'istruzione zione degli immigrati sul territorio italiano(si va dalla Lombardia che ne assorbe il 23% alMolise oallaValled 'Aostafernne allo 0,2%) così il livello di inserimento cambia da regione a regione . Sul grado di integrazione della componente straniera in Italia, ha indagato la Fondazione Leone Moressa che ha selezionato circa 40 indicatori suddivisi in sei aree tematiche (mercato del lavoro, istruzione, sanità, criminalità, contributo economico e rad icamento sul territorio) alfine di elaborare un "indiceregionale di integrazione". L'indice sintetico finale è stato calcolato trannite una media pesata e peruna maggior chiarezza tutti ivalori delle regioni sono statiriproporzionati inbase al valore Itali a posto pari a noo. «Siamo partiti dall'assunto chele regioni in cui gli indicat ari socio-economici presentanovalori positivi sono quelle in gra do di garantire maggiori opportunità di integrazione - spiega il direttore scientifico di Fondazione Moress a, Stefano Solari, Perciòabbiamo sceltoindicatori comeitassidi occupazione, i contratti a tempo indeterminato, il voto medio degli studenti stranieri, la percentuale di delitti commessi da stranieri, il numero e la ricchezza prodotta dalle imprese straniere, la spesaperl'imnligrazione sul totale delle spese sociali. Nell'indicefinale, risono quattroregioni che si collocano sopra la media : Lazio, Lombardia, Veneto e Piemonte . E sono le stesse re- gioni dove risiede il maggior numero di stranieri, oltre la metà del totale. Aleontrario, i valori più bassi dell'indice di integrazione si riscontrano in regioni che contano pieno del 3%io della popolazione straniera complessiva: Sardegna, Calabria ePuglia». In praticale regioni con il punteggio migliore -tra cui Lazio e Veneto, protagoniste dei fatti di cronaca delle ultime settimanesono quelle verso le quali si concentrano i flussi degli stranieri. Si tratta di territori ad alto grado di attrattività, in particolare per le opportunità occupazionali. Infatti se si guardano le classifiche "di tappa", ai primi posti nel settore lavoro troviamo Lazio e Lombardia che ad esempio hanno tassi di occupazione superiori alla media (6o% contro 58,5°o) in compagnia del Molise. Lazio e Lombardia (insieme alla Toscana) spiccano anche nel capitolo che comprendeparametririguardantiil contributo della componente straniera al sistema socio-economico regionale (come la quota degli imprenditori stranieri, pari a oltre il 10% controunamedianazionale dell'8°o). Il Lazio entra poi nel terzetto di punta nellagraduatoria sull'istruzione. Qui c'è la sorpresadi due regioni conunb assoassorbimento di stranieriechenell'indicefinale nonbrillano: Valle d'Aosta e Sardegna, ma la prima, ad esempio, ha una buona percentalediimmigraticonaltititoli di studio. La Lombardia - che nell'istruzione esce penalizzata perla bassaperformance sulla quota di iscritti ai licei- è prima nella sanità, forte del proprio sistema ma anche dall'alto tasso di natalità tra gli immigrati, segno dellapresenza diunapopolazionemediamente p.iùgiovane. Sugli altri due capitoli ecco un'Itali a più divisa in due. Nel radicamento sul territori ospiccanotreregionimontane (Piemonte, Friuli Venezia Giulia e Valle d'Aosta) grazie alle buone performance in parametri quali alunni nati in Italia, acquisizione di cittadinanza, promossi al test di italiano; in fondo invece ecco Basilicata, Sardegna e Calabria, penalizzate da una migrazione più recente che limita, di conseguenza, le acquisizioni di cittadinanza e la presenza a scuola di seconde generazioni. Infine nel settore criminalità (cheinclude parametri quali tasso di delittuosità degli stranieri o il trend) il Mezzogiorno si prende una rivincita (con Molise, Calabria e Campania in testa) grazie soprattutto al basso nu mero di detenuti stranieri sul totale della popolazione penitenziaria (tra il no eiln5°i" controil5o0i"rilevatoalNord) oilcalo del tasso di delittuosità dal 2007 al 2011. Ma è probabile che anche in questo ambito (lacriminalità)sianoancorai fattorieconomici, l'appealingdiunterritoriool'eff cienza della giustizia a "calamitare" o scoraggiare fenomeni delittuosi. ID P,IPRODDZIONE RISE RVAiA L'«inserimento» sul territorio LA CLASSIFICA FINALE Indice di integrazione e popolazione straniera residente nelle regioni italiane Popolazione straniera 01-01-15 ! integrazionei! Popolazione straniera 01.01.15 integrazione ' Indice dr, 1 Lazio 117,6 636.524 2 Lombardia 106,6 1.152.320 3 Veneto 101,8 511.558 4 Piemonte 100,9 425.448 98,8 395.573 5 Toscana 6 Friuli V.G. 107.559 98,5 --- --------- --------- --------7 Emilia R. 97,9 536.747 8 Molise 93,5 9 V. d'Aosta 89,6 9.075 88 86.245 10 Abruzzo 10.800 Indicedi 1 Campania 12 Marche 13 Basilicata 87,9 217.503 84,4 145.130 84 18.210 83,6 83,3 80,9 78,5 77,3 76,5 98.618 174.116 138.697 96.149 45.079 91.354 20 Puglia 74.1 117.732 Italia 100 5.014.437 14 15 16 17 18 19 Umbria Sicilia Liguria TrentinoA.A. Sardegna Calabria LE CLASSIFICHE DI TAPPA Le prime e le ultime regioni nelle classifiche relative alle sei aree tematiche utilizzate per costruire l'indice regionale di integrazione MERCATO DEL LAVORO Prime 3 regioni ISTRUZIONE Prime 3 regioni Lombardia 126,7 Valle d'Aosta 165,6 Lazio 122,6 Lazio 149,2 Molise 118,0 Sardegna Ultime 3 regioni 123,3 Ultime 3 regioni Abruzzo 53,5 Lombardia Marche 51,5 Molise 75,5 74,6 Calabria 19,0 Liguria 72,0 SANITÀ -----------Prime 3 regioni CRIMINALITÀ -----------Prime 3 regioni Lombardia 126,3 Molise 148,6 Basilicata 125,4 Calabria 141,0 Veneto Ultime 3 regioni 119,9 Campania Ultime 3 regioni 131,5 62,3 60,8 33,8 Puglia 63,3 Liguria Liguria 59,1 Valle d'Aosta 5,7 Trentino A. A. Sardegna RADICAMENTO TERRITORIA LE Prime 3 regioni CONTRIBUTO ECONOMIC O Prime 3 regioni Lazio 143,3 Piemonte Toscana 132,5 Friuli V. G. 123,4 Lombardia 128.4 Valle d'Aosta 115.2 l 126,0 Ultime 3 regioni Ultime 3 regioni Puglia 41,8 Calabria Calabria Basilicata 39,3 20,7 Sardegna 58,1 49,7 Basilicata 42,4 Fonte: Elaborazioni Fondazione Leone Moressa su fonti varie Legge autismo, la partita non è chiusa: esperti e associazioni a confronto Manuela Serra (M5S) ha promosso un incontro in cui saranno confrontate le diverse posizioni sul testo approvato in Senato. “Abbiamo presentato 12 emendamenti: indispensabile prevedere un fondo dedicato e dare indicazioni puntuali per integrazione scolastica” 27 luglio 2015 - 15:31 ROMA – “Ho invitato i maggiori esperti di autismo in Italia, per discutere insieme su cosa va bene e cosa non va bene in questo disegno di legge, che tratteggia solo una lieve cornice rispetto alle tante proposte che da associazioni e studiosi erano state presentate”: così Manuela Serra, deputata Cinque Stelle, promotrice del convegno “Attori non più spettatori”, ha chiamato a raccolta “il mondo dell’autismo perché siamo di fronte a una questione importante e non voglio esprimere, in commissione, la posizione di un singolo deputato ma un’analisi approfondita”. Occupandosi da oltre 10 anni di bambini con autismo come insegnante di sostegno specialistica, Serra sa bene che “un disegno di legge serve, ma il suo compito non può limitarsi a indicare le linee per i Lea: è necessario invece che contenga riferimenti precisi alla metodologia funzionale, visto che in Italia c’è ancora tanta confusione”. Soprattutto per quel che riguarda l’inclusione scolastica, “bisogna che i docenti abbiano una preparazione specifica e sappiano con esattezza quale metodologia utilizzare. E questo nel Ddl non c’è: si rischia quindi di mantenere tutto in mano ai privati, in isole magari felici, che però non accessibili a tutti. E’ questo il mio più grande timore e credo che questo Ddl debba fare di tutto per scongiurare questo rischio. E possa farlo”. E poi c’è il grande nodo degli adulti con autismo: “quando i ragazzi compiono 16-17 anni, i genitori non sanno proprio cosa fare: anche in questo il Ddl dovrebbe essere più incisivo, mentre non dice praticamente nulla”. Infine, c’è la questione del fondo: “è necessario che ne sia istituito uno dedicato, che aiuti le famiglie – afferma Serra – Ma certo, con i nuovi tagli alla sanità non so proprio dove andremo a finire”. Intanto, il Movimento 5 Stelle ha presentato 12 emendamenti e il testo, lievemente ritoccato alla Camera, è tornato al Senato. “In Commissione, porterò le proposte che usciranno dal confronto di domani. Speriamo ci sia spazio per accoglierle, dando vita a una legge tanto attesa, che risponda più adeguatamente ai bisogni di queste famiglie”. (cl) © Copyright Redattore Sociale Autismo, Hanau: ecco perché questo disegno di legge va difeso Tante, per lo studioso esperto di autismo, le ragioni per cui questo testo deve andare avanti: primo, “perché pone basi per Lea specifici”, secondo perché “una legge nazionale più di questo non può fare”, terzo perché “scuoterà regioni da inerzia” 27 luglio 2015 - 15:32 ROMA – “Il disegno di legge sull’autismo va sostenuto e difeso: è giusto e opportuno che arrivi in porto”: ne è convinto Carlo Hanau, voce forse minoritaria nel dibattito, piuttosto vivace, che si è acceso all’indomani della discussioni del Ddl alla Camera, dopo il precedente ok del Senato. E le ragioni per difenderlo, per Hanau, non mancano davvero. Primo, perché solo con una legge sull’autismo sarà possibile avere dei Livelli essenziali capaci di tutelare le persone colpite da questo disturbo e le loro famiglie. “E’ in corso la lenta e faticosa preparazione del nuovo decreto sui Lea – spiega infatti Hanau - Dato che i Lea generali però sono in gestazione da troppi anni, e il ministero della salute ha rinviato a fine 2015 l’approvazione, il Ddl prescrive che entro sei mesi dall’approvazione della legge, il governo debba emanare Lea specifici per l’autismo: ecco perché, innanzitutto, è urgente approvare il Ddl”. Il secondo motivo è che, più di questo, a una legge nazionale non si può chiedere: inutile insomma chiedere a un disegno di legge ciò che no gli compete: “Il Ddl sull’autismo è una legge quadro, e non può essere differente, dato che la materia sanità e servizi sociosanitari è stata delegata alle Regioni con la riforma del titolo V della Costituzione – spiega infatti Hanau - Al di là dei Lea, in materia di sanità e servizi sociali, una legge nazionale non può imporre alle Regioni le modalità di fare assistenza sanitaria e sociosanitaria. Molte critiche al Ddl vorrebbero invece che il testo contenesse addirittura le modalità di accreditamento, come ad esempio le qualifiche del personale addetto e le ore assistenza. Questi contenuti sono delegati alla potestà legislativa delle Regioni e pertanto a livello nazionale si possono dare soltanto delle indicazioni e non delle imposizioni”. Terzo motivo: ciò che tanti pretenderebbero dal Ddl, in realtà già esiste: ed è contenuto nelle Linee di indirizzo del 22 novembre 2012, approvate dalla Conferenza unificata, preparate dal ministero della Salute in collaborazione con Miur, regioni ed enti locali: Sulla base di queste Linee “le Regioni avrebbero dovuto fare leggi apposite, come ha fatto la regione Marche, oppure delibere di giunta – ricorda Hanau - ma la stragrande maggioranza delle regioni non ha fatto nulla: soltanto la forza di una legge e le penalità nei finanziamenti previsti nel Ddl potranno smuoverle dall’inerzia”. Hanau risponde quindi alle principali critiche che vengono riferite al Ddl: “innanzitutto, si dice che non dissi un grado di invalidità minimo – spiega -Si deve tuttavia ammettere che la Commissione Superiore dell’Inps, a cui compete in via principale l’indicazione su come applicare gli accertamenti dell’invalidità, da più di un anno ha dato disposizioni favorevoli per le persone con autismo, particolarmente importanti”. In secondo luogo, alcuni critici osservano che il Ddl non fa riferimento alla normativa generale sulla disabilità e “forse – ammette Hanau – sarebbe stato puiù elegante premettere al testo una lunga serie di richiami alle leggi che regolano la disabilità in generale”. Anche se “la ripetizione delle grida di manzoniana memoria non ha mai rafforzato la loro applicazione reale. E comunque – osserva – il richiamo ad alcune di queste norme, come la Convenzione Onu sulla disabilità, è implicito”. Rispondendo poi in particolare all’Anffas, che lamenta la mancanza di un riferimento al progetto di vita e all’autismo in età adulta, nel Ddl si parla di “Pdta”, ovvero “percorso diagnostico terapeutico assistenziale per la presa in carico” e si desume che tale dizione riguardi la vita intera e che il ‘piano di assistenza’ sia compilato secondo quanto indicato dalla legge 328 del 2000”. Insomma, per Hanau non c’è davvero nessun motivo per accanirsi contro un disegno di legge, al lungo invocato da famiglie e associazioni, e che forse sta per vedere la luce. E domani andrà a ribadire con forza questa sua posizione in Senato, dove si svolgerà il “Convegno autismo: attori non più spettatori”, promosso da Manuela Serra, deputata del Movimento 5 Stelle”. “Sarò forse l’unico dei presenti a spezzare una lancia in favore di questa legge: ma sono convinto delle mie ragioni”. (cl) © Copyright Redattore Sociale Puglia, le mani sporche degli schiavisti I caporali sono italiani, africani, albanesi. «Nei campi operai a costo zero» MATTEO F RASCHINI KOFFI NARDO (LEccE) a campana della chiesa di San Trifone in piazza Salandra suona ogni mezz'ora. I rintocchi di questa sera accompagnano i passi di una bambina mentre illumina decine di candeline che compongono il nome "Mohamed". Circa cento persone sono venute a ricordare il sudanese accasciatosi 5 giorni prima, il 20 luglio, su un campo di pomodori a qualche chilometro di distan za da qui. Erano le 13.30 e la temperatura superava i 40 gradi. Mohamed Abdullah aveva 47 anni. Sposato, padre di due figli, arrivato dalla Sicilia il giorno prima per lavorare fino a settembre, sprovvisto di un contratto. Secondo la prima autopsia, si è trattato di un infarto. Ma le autorità devono ancora far chiarezza su questo dramma ed eventualmente punirne i responsabili. «Quelli che speculano sulla vita delle persone sono mafiosi - interviene una partecipante alla veglia -. La mafia è quella che usa le persone come fossero bestie da soma, è quella che si fa beffa di qualsiasi diritto, e che opera alla luce del sole anche in consiglio comunale frenando le nostre iniziative». Tra i presenti, i rappresentanti di Caritas, Flai Cgil, libera e altre associazioni che da anni combattono la "schiavitù moderna" nella regione. A contrastarli c'è però un sistema ben ramificato, e spesso spietato, che coinvolge diverse forme di caporalato, un numero imprecisato di agricoltori, la corsa al profitto di cooperative, consorzi o aziende singole dell'orticoltura, e la fortissima pressione esercitata dalle grandi società di trasporto, trasformazione e distribuzione. Tra le fessure di questa massiccia struttura piramidale, s'infiltrano le mafie, più o meno organizzate, che sfruttano le debolezze della politica locale. «Il caporalato ha ormai preso una dimensione tentacolare», afferma Concetta Notarangelo, esponente del "Presidio" Caritas a Foggia, un progetto nato con l'o- biettivo di offrire assistenza legale e sanitaria ai migranti che lavorano nelle campagne. «Nel noto "ghetto" di Rignano ci sono i capi-squadra o capineri: migranti di origine africana che parlano bene italiano e trasportano i braccianti tra il ghetto e i campi; poi ci sono molti romeni che prendono accordi tra i capi-squadra e i datori di lavoro; e infine - continua Notarangelo - stiamo assistendo a un aumento di italiani che arrivano al ghetto per trasportare direttamente i migranti nei loro campi». Ma a seconda delle diverse aree, la realtà cambia e si evolve. «Qui non abbiamo più africani, ma soprattutto gente dell'est Europa - spiega un caporale albanese di Orta Nova -. Abbiamo avuto troppi problemi con gli africani: volevano essere pagati ogni giorno e in contanti». Sebbene da 15 anni nella provincia di Foggia si raccolgano pomodori soprattutto a macchina, in tutta la regione le ore dei braccianti cambiano a seconda del clima o dell'umore del datore di lavoro. Si fatica dalle 8 alle 12 ore giornaliere. Nel peggiore dei casi, quando la macchina si inceppa o piove, non c'è pausa. Le aziende che pagano meno, danno 2,5 euro all'ora o per un cassone di 3 quintali. Ma anche qui le cifre sono molto soggettive. A volte, invece, la paga viene rimandata continuamente senza mai essere distribuita. Nel piccolo Comune di Stornarella, a circa 20 chilometri da Foggia, un nigeriano basso e corpulento che si fa chia- Alla veglia per M ohamed, il sudanese morto una settimana fa mentre raccoglieva pomodori, non c'era nessun cittadino straniero mare July racconta di quando qualche anno prima bastava farsi trovare in piazza alle 4 di mattina per salire su un furgone e andare in campagna. «Ora sono soprattutto i romeni a dare indicazioni a noi africani per gli alloggi e il trasporto - continua July -. La piazza è vuota perché i caporali non vogliono farsi notare». Anche a Nardò, tra le più gettonate mete turistiche del Salento, i braccianti tendono ormai a nascondersi nelle campagne senza più girare nelle cittadine una volta finita la giornata. «Siamo sicuri che la fiaccolata per Mohamed abbia rappresentato anche una minaccia per il lavoro di caporali sudanesi e tunisini che operano nella zona», commenta Antonella Cazzato della Cgil di Lecce. Alcuni membri delle diverse associazioni che lottano contro lo sfruttamento sono infatti stati oggetto di serie inti midazioni: pneumatici bucati o pistole brandite davanti alla faccia. Ma queste minacce sono dirette anche contro le aziende agricole che spesso sono vittime di una competizione feroce provocata dalle aste al ribasso. «Sappiamo che non è etico pagare un bracciante 2,5 giuro all'ora - protesta un commerciante - ma non è neanche etico che le grandi società sottopaghino i nostri pomodori costringendoci al fallimento!». La filiera, che dal lavoro nei campi porta il prodotto sugli scaffali dei supermercati, non ha pietà. L'unico obiettivo è il profitto, per questo ogni tentativo di rendere più etico tale processo viene ignorato o deriso. «Il drammatico schiavismo moderno nelle campagne è il sintomo di un' altrettanto grave malattia», spiega Antonio Fortarezza, documentarista foggiano che sta realizzando un filmato su questo tema. «L'estrema debolezza contrattuale del migrante è sfruttata dal caporalato. A questo si aggiunge la grande distribuzione nazionale e internazionale, la quale - conclude Fortarezza - ha l'enorme potere di imporre a proprio vantaggio il prezzo d'acquisto dei prodotti». © RIPRODUZIONE RISERVATA Rosarno, parco su terre de i b oss SFRUTTATE. Immigrati raccolgono verdure e ortaggi nelle campagne italiane "i nc . ,_ _ _ , Viaggio tra Nardò, Foggia e Stornarella dove si gioca al ribasso sulla pelle dei lavoratori sfruttati Chi gestisce i traffici non ha una sola nazionalità La Caritas: «Fenomeno sempre più tentacolare, aumentano i connazionali complici dell'illegalità» Al via i lavori di bonifica del sito confiscato alla'ndrangheta e concesso dal Comune di Rosarno al consorzio Terre del Sole nei terreni limitrofi ai fiumi Mesima e Metramo, progetto sostenuto dalla Fondazione con il Sud. É necessario infatti rimuovere i rifiuti scaricati nel terreno: un passaggio cruciale per giungere nei prossimi 18 mesi alla realizzazione del primo parco fluviale della Provincia di Reggio Calabria. I lavori saranno realizzati dal 2 al 9 agosto anche con il contributo degli scout dei Campi Lavoro dell'ARCI e saranno coordinati dai tecnici di Legambiente». «L'avvio dei lavori sul terreno confiscato rappresenta - dichiara Nuccio Quattrone, presidente dei Consorzio 'Terre del Sole" - un primo passo verso la normalizzazione di quel sito. Questo farà sì che l'intera cittadinanza rosarnese si senta protagonista di un importante atto di cambiamento e di coesione reale fra tutte le componenti della società». Durante queste prime operazioni saranno impiegati alcuni migranti residenti a Rosarno e facenti parte dell'Associazione Omnia: proprio l'inclusione sociale attraverso l'attivazione di percorsi lavorativi sostenibili nel tempo è il pilastro progettuale unitamente alla riqualificazione del bene confiscato ai clan. ll volontariato migliora il curriculum: on line la pubblicazione di CSVnet É online la pubblicazione dal titolo "Riconoscimento e validazione delle competenze acquisite attraverso il Volontariato: buone pratiche in Italia", scaricabile dalla sezione "Pubblicazioni di CSVnet". Il testo, dopo un passaggio introduttivo sulle nozioni di competenza e apprendimento, quest’ultima declinata in tre diverse tipologie - formale, non formale, informale -, definisce e illustra le competenze chiave in tema di apprendimento permanente e formazione riconosciute a livello europeo dal 2006 e richiamate in Italia nell’ambito del D.M. “Regolamento recante norme in materia di adempimento dell’obbligo di istruzione” del 2007. Successivamente, il testo si sofferma sulle pratiche di valutazione, validazione e riconoscimento dell’apprendimento in ambiti informali e non formali (come il volontariato) in Italia, divenute in questi anni oggetto di regolamentazione, offrendo uno spaccato sulle migliori buone prassi condotte nel nostro Paese sul tema. Dalla pubblicazione emerge come scuole, Organizzazioni di Volontariato e associazioni giovanili che si occupano di mobilità europea e internazionale sono state molto attive nel promuovere modelli di riconoscimento e validazione delle competenze acquisite in contesti non formali e informali e ad elaborare strumenti per valorizzare i giovani volontari e le esperienze di volontariato degli studenti. Tuttavia, secondo l’Inventario europeo delle qualifiche per l’Italia (Cedefop 2010) permangono degli ostacoli alla validazione che comprendono il valore formale e giuridico delle qualifiche e dei diplomi ottenuti attraverso formali percorsi di istruzione e formazione; la tradizionale debolezza italiana dei sistemi per l’educazione degli adulti e per la formazione di breve durata, l’assenza di un sistema nazionale delle qualifiche esplicito ed adeguatamente regolamentato; la diversità delle istituzioni coinvolte in questa materia a livello nazionale, regionale e locale. E' evidente, quindi, che i prossimi anni saranno cruciali per adeguare la situazione italiana alla dimensione europea in tema di validazione degli apprendimenti e di includere il volontariato e la sua portata internazionale come un importante settore informale per lo sviluppo delle competenze. La pubblicazione è stata realizzata da CSVnet nell'ambito del progetto " I'VE – I Have Experienced. Recognition and Validation of volunteering through peer support and open source tools", promosso insieme all'associazione di promozione sociale Lunaria, due istituti di ricerca e altri undici enti di volontariato internazionale, e finalizzato all’individuazione di metodologie e strumenti utili per l’identificazione e la valutazione delle competenze acquisite attraverso il volontariato, sia in ambito nazionale che internazionale. Legge sull'autismo, "vince il compromesso: niente cambierà" Nicoletti dopo il convegno in Senato: “L'impressione è che i giochi siano già fatti e la legge passerà così com'è: ognuno continuerà a fare ciò che è stato fatto. Unico merito: riconosce l'autismo. Ma lo avevamo già riconosciuto da soli” 28 luglio 2015 ROMA – E' la “legge del compromesso” quella che vedrà la luce, probabilmente a breve, dopo una lunga gestazione: “una legge fatta col bilancino, la legge della non belligeranza”: così Gianluca Nicoletti definisce il disegno di legge sull'autismo, già approvato al Senato e discusso alla Camera, ora di nuovo al Senato dopo lievi modifiche introdotte dai deputati. Se ne è parlato oggi in un incontro voluto dalla senatrice Manuela Serra, che aveva lo scopo di raccogliere le diverse posizioni e richieste sulla legge in discussione, chiamando a raccolta esperti, associazioni e famiglie. Ma c'erano due grandi assenti, questa mattina: “da una parte gli autistici, rappresentati solo da Tommy, che ho voluto portare con me per far vedere com'è fatto un autistico – spiega Nicoletti -. C'era anche un genio Asperger, ma non credo che a quelli come lui si rivolga la legge, per quanto ovviamente abbia anche loro diritto a riconoscimento e tutele. Ma i destinatari sono persone che stanno a ben altri livelli”. Secondo grande assente “il mondo scientifico e, in particolare, l'Istituto superiore di Sanità. L'incontro è stato insomma la fotografia della sconnessione con cui è trattato l'autismo: mondi paralleli che non comunicano tra loro”, spiega Nicoletti. Pur essendo “frutto di compromesso”, però, la legge divide: da una parte c'è chi, come Manuela Serra e tanti genitori e rappresentanti di associazioni, non risparmia alla legge forti critiche, “pretendendo giustamente che il tanto sospirato dettagli maggiormente, soprattutto in materia di terapie e di formazione – spiega Nicoletti –. Invece, non cambierà nulla: ognuno continuerà a seguire le terapie che vuole, le associazioni e le cooperative continueranno a fare il proprio lavoro e in materia di formazione dubito che ci saranno significativi cambiamenti – commenta Nicoletti –. E poi, diciamocelo, una legge senza soldi non serve a niente”. Dall'altra parte c'è invece chi, come Hanau, “sostiene che questo sia il massimo e unico compromesso possibile. Personalmente, “credo che tutto rimarrà com'era. Unico merito della legge sarà di aver riconosciuto l'autismo: grazie tante, ma l'avevamo già riconosciuto da soli...” (cl) © Copyright Redattore Sociale