L`esperienza procreativa in Italia dopo la Legge 40/2004
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L`esperienza procreativa in Italia dopo la Legge 40/2004
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN Teoria del Diritto e della Politica CICLO XXV TITOLO DELLA TESI L’esperienza procreativa in Italia dopo la Legge 40/2004. Uno studio antropologico fra bioetica e biopolitica. TUTOR DOTTORANDO Chiar.ma Prof.ssa Carla Faralli COORDINATORE Chiar.mo Prof. Adriano Ballarini ANNO 2012 Dott.ssa Maria Luisa Parisi Indice Introduzione PARTE PRIMA 1. La “rivoluzione procreativa”: intersezioni fra campi di sapere, meccanismi di disciplinamento e forme di soggettività. 1.1 Una prospettiva biopolitica della procreazione. 1.2 Forme di competenza somatica al tempo dell’etopolitica: fra bioetica e diritto. 1.3 La libertà procreativa PARTE SECONDA 2. Scelte riproduttive: la famiglia al tempo dei cromosomi. Il caso italiano. 2.1 La Diagnosi Genetica Preimpianto 2.2 La Fecondazione E(s)terologa Conclusioni Interviste Bibliografia Sitografia 2 Introduzione Questa ricerca si propone il fine di indagare le forme assunte dall’esperienza procreativa nella contemporaneità, in relazione al forte legame che le vincola al più ampio contesto biopolitico all’interno del quale esse si realizzano. Attraverso un approccio multidisciplinare, capace di riunire insieme i saperi della disciplina bioetica e la metodologia di analisi antropologica delle prassi incorporate della realtà, proveremo quindi a delineare i modi attraverso cui si strutturano i processi procreativi alla luce del grande sviluppo delle tecnologie biomediche ad essi dedicati. Mediante l’uso di un metodo qualitativo di ricerca, proveremo ad elaborare delle cartografie del presente (Braidotti, 2008), per poter abbozzare una storia dei “futuri possibili”: essi sono racchiusi nelle trasformazioni sociali e politiche, prodotte dalle prassi incorporate, in un mondo tecnologicamente mediato (Rose, 2007). Lo studio si compone di due parti: la prima, prettamente teorica; la seconda, di stampo empirico. Cominceremo col prendere in esame i modi attraverso i quali, nel corso degli ultimi cinquant’anni, si sia realizzata una vera e propria “rivoluzione procreativa”: come cioè il raggiungimento di nuove conoscenze e di nuovi saperi in ambito medico abbia influito non solo sullo sviluppo di nuove competenze tecniche ma, soprattutto, sul processo di ridefinizione delle “forme del venire al mondo”. L’ingresso delle tecnologie della riproduzione in un ambito che, sino ad allora, era sempre ricaduto nel dominio dei “fatti di natura” ha riconfigurato, in maniera sostanziale, in primo luogo, l’epistemologia più profonda della prassi medica e, cosa di non secondaria importanza, ha avuto un più ampio impatto – costrittivo e costruttivo – sui soggetti che in tali pratiche erano coinvolti e sulla realtà socio-politica 3 all’interno della quale tutti questi elementi sono implicati e trovano la loro realizzazione. L’esperienza procreativa della contemporaneità viene così a delinearsi come la risultante dell’intersezione di tre aspetti diversi ma complementari: i campi di sapere, le forme di soggettività e i tipi di normatività. Proveremo quindi ad analizzare queste tre dimensioni proponendo una sorta di “genealogia” dell’esperienza procreativa al tempo delle biotecnologie, considerando qui l’ “esperienza” nell’accezione foucaultiana del termine, come, cioè, la correlazione dei tre aspetti sopra citati: soggettività, normatività e sapere (Foucault, 1984). Cercheremo inoltre di comprendere come, quando, perché ed in quale forma l’attività procreativa si sia costituita come campo morale e come la vita intrauterina sia diventata, nel corso degli ultimi anni, il luogo di riproduzione e di esercizio del biopotere. Queste indagini ci permetteranno di formulare delle più ampie teorizzazioni sulle forme di autorità che esercitano il loro sapere/potere sulle prassi procreative: da quando esse si sono andate costituendo come «sostanza etica» (Foucault, 1984, p.31), vi si sono concentrate tutta una serie di attenzioni non solo, come si potrebbe ben pensare, da parte della classe medica, ma anche da parte di discipline come la bioetica e il biodiritto, volte rispettivamente all’analisi e alla normazione dei nuovi interrogativi posti in essere dallo sviluppo delle tecnologie della vita. Tali discipline hanno assunto, con pesi diversi, un ruolo di primo piano nel presiedere e orientare la sfera delle prassi etiche dei soggetti coinvolti nei processi procreativi postmoderni, prassi che chiamano in causa concetti come libertà, scelta ed autonomia. Ci avvarremo dell’impianto teorico sviluppato dalla bioetica per indagare l’intreccio delle questioni poste in essere dalle nuove forme del venire al mondo e, più nello specifico, della legittimità 4 del riconoscimento del diritto, che viene a configurarsi come prima facie: il diritto alla libertà procreativa, la sua estensione, gli eventuali limiti da porre e i modi della sua codificazione giuridica. Adottando e adattando le ultime elaborazioni del filosofo francese Michel Foucault sulle “pratiche di libertà” e sulle “tecnologie del sé” proporremo una diversa “teleologia dei soggetti etici” della contemporaneità; questi riferimenti teorici saranno le basi su cui argomenteremo la tesi principale di questo lavoro: la possibilità di pensare la libertà procreativa come un diritto morale positivo. Concluderemo questa prima parte dello studio con delle considerazioni in merito alla possibile regolamentazione giuridica delle prassi procreative che, pur rivestendo sempre più un carattere pubblico e socialmente negoziato, possono essere ancora riconosciute come azioni cariche di un significato simbolico per ciascun individuo che decide di porle in essere. Nella seconda parte del nostro lavoro cercheremo di comprendere come si costituisce l’esperienza procreativa nello specifico contesto italiano dopo l’entrata in vigore della legge 40/2004, volta a disciplinare le tecniche di procreazione medicalmente assistita. Daremo voce alle narrazioni – raccolte presso il centro HERA di Catania, il più grande del Sud Italia, per numero di pazienti e cicli effettuatati – di coloro che vivono l’esperienza di convivere con una malattia geneticamente trasmissibile e di coloro che invece vivono la condizione di infertilità. Queste persone sono coloro che hanno pagato di più – e non solo da un punto di vista simbolico – i dettami restrittivi della legge italiana che, de facto, proibiva una tecnica come la Diagnosi Genetica Preimpianto (che permette di conoscere il corredo cromosomico dell’embrione prima del suo trasferimento in utero) e a tutt’oggi proibisce la fecondazione con donazione 5 di gameti. Racconteremo la loro esperienza di ricerca di un figlio – le scelte, i dubbi, le difficoltà – ed il loro impegno affinché, attraverso lo strumento giurisprudenziale, la legge venisse cambiata; parleremo con loro del significato che ha assunto la medicalizzazione dell’evento procreativo, cosa abbia implicato e come si siano confrontati con le incertezze – morali ed etiche – che l’ingresso delle tecniche in una sfera così privata ha scatenato. A nostro sentire, solo guardando da vicino le esperienze del presente è possibile pensare a come orientare quelle del futuro. 6 PARTE PRIMA 7 1. La “rivoluzione procreativa”: intersezioni fra campi di sapere, meccanismi di disciplinamento e forme di soggettività. Le molteplici conoscenze acquisite nel campo della biomedicina ed i risultati empirici ottenuti a livello applicativo hanno di gran lunga ampliato, dalla seconda metà del XX secolo in poi, le possibilità di intervento medico sul corpo individuale e, cosa non meno importante, qualificazione hanno del notevolmente nostro tempo contribuito come alla secolo “biotecnologico”. Un tempo in cui le pratiche ed i saperi medici si sono intrecciati, sempre più, agli studi di biogenetica e neuroscienza, alle scoperte in campo farmaceutico e all’utilizzo di nuovi strumenti di monitoraggio e di indagine del corpo umano. Queste nuove prassi, nel corso della loro continua evoluzione, hanno non solo alimentato un forte dibattito all’interno del più ampio corpo sociale in cui prendevano forma – ponendo le basi per lo sviluppo, ad esempio, di una disciplina come la bioetica, volta proprio all’analisi e all’arbitrio dei nuovi interrogativi posti in essere dallo sviluppo delle tecnologie della vita – ma, allo stesso tempo, hanno contribuito a ridefinire l’antropologia più profonda dell’essere umano. Nello specifico, si vuole qui riflettere su come lo sviluppo di nuove tecniche di procreazione e le scoperte di ingegneria genetica e biologia molecolare – rappresentate nella cultura biomedica come progresso della ricerca scientifica – abbiano avuto un impatto costruttivo e costrittivo sul più ampio ordine politicoeconomico e sul piano culturale. Tali innovazioni 8 biotecnologiche hanno contribuito e contribuiscono, cioè, alla messa in opera di una biopolitica1che, attraverso la manipolazione dei corpi umani, ridefinisce le categorie di “natura”, “soggetto”, “persona”, “sé”, e produce la legittimazione istituzionale e morale di nuove idee di “natura”, “famiglia”, “vita”, “salute” e “malattia” (Strathern,1992; Duden, 1991; Pizza, 2005). In ottica antropologica le pratiche e i saperi delle biotecnologie vanno quindi apprezzati nei termini di veri e propri dispositivi di costruzione culturale della realtà, attraverso cui non si va ad intervenire sulla “vita” umana, come se questa fosse data in natura a prescindere dai processi della sua qualificazione simbolica, ma la si pone in essere, la si “produce”; si tratta cioè di mettere in luce come le tecnologie siano socialmente informate e cosa generino, attraverso un approccio capace di cogliere come il biologico acquista forma culturale e viene ad essere organizzato nei termini di una pratica sociale (Brodwin, 2000; Franklin, 1995; Franklin e Lock, 2003). Proprio per sottolineare, ancora una volta, la capacità generativa – sia sul piano biologico sia su quello simbolico-culturale – delle biotecnologie, per riferirci alla grande trasformazione che esse hanno prodotto sulle “forme del venire al mondo” (o del “non venire al mondo”, in dell’espressione certi casi) “rivoluzione adotteremo qui procreativa”, l’uso il cui significato è da ricercarsi nell’etimologia latina del termine procreo, generare. La preferiamo alla più diffusa 1 Cfr. Lock, Young, Cambrosio, 2000; Rabinow,2003. Il concetto di “biopolitica” deriva dagli studi di Michel Foucault sulle modalita attraverso le quali i poteri istituzionali agiscono sulla corporeita dei soggetti e sulle loro forme di vita; avremo modo di approfondire questi concetti nel corso della trattazione. Cfr. Foucault,1976; Agamben, 1995. 9 “rivoluzione riproduttiva” (Robertson, 1994) proprio perché il termine “riproduzione” cela, a nostro sentire, un’ambigua neutralità, non tiene in dovuta considerazione le differenze diacroniche e diatopiche della procreazione e, soprattutto, crea un rimando quasi immediato ad un contesto biologico/naturalistico. Il dato biologico è, ovviamente, non eludibile dall’intero processo riproduttivo, ma non deve comunque essere scisso dall’azione e dalle pratiche umane che lo pongono in essere: i “modi” della riproduzione chiamano in causa sia i procedimenti tecnici ad essa sottesi sia i livelli simbolici evocati. Come ben sottolineato da Jordanova, sono proprio i livelli simbolici quelli a cui si dovrebbe prestare maggiore attenzione, soprattutto nell’analisi dei modelli riproduttivi delle società occidentali contemporanee che, a partire dal XIX secolo, vengono profondamente permeati dalla razionalità scientifica, intrisi di biologismo ed orientati, come evoca il termine stesso, ad una mera ri-produzione seriale del genere umano (Jordanova, 1995). Ma la riproduzione umana «non è mai ripetizione» (Held, 1993; trad.it. p.68). Qualora le evidenti differenze – somatiche, ambientali, psicologiche e culturali – esperite da ciascuno di noi non fossero già una fonte autorevole per affermare l’indubbia unicità di ogni essere umano, la scienza biologica, con il sequenziamento del genoma umano, ha confermato questo dato: ciascun individuo è geneticamente differente da qualsiasi altro2. Procedere attraverso un’analisi simbolica dei processi riproduttivi significa quindi, da una parte, evidenziarne il carattere socialmente e culturalmente costruito e l’importanza da Questa affermazione vale per tutti i viventi umani, fatto salvo per i cosiddetti “gemelli omozigoti” i quali condividono il medesimo patrimonio genetico ed epigenetico. 2 10 essi rivestita all’interno di specifici contesti di norme e valori; dall’altra, demistificare le relazioni di potere all’interno delle quali essi sono inseriti e continuamente negoziati, a partire dal nudo dato biologico che assegna alle donne un ruolo così rilevante e centrale per la sopravvivenza collettiva. In particolar modo, proveremo qui a delineare i tratti peculiari di questa “rivoluzione procreativa” e, soprattutto, sulla scorta delle analisi foucaultiane, cercheremo di sviscerare le ragioni ed i meccanismi che stanno alla base della problematizzazione morale della procreazione e le pratiche a partire dalle quali queste problematizzazioni si formano (Foucault, 1984). Come, perché ed in quale forma l’attività riproduttiva viene a configurarsi non più come un’attività meramente ripetitiva, ma come un’attività procreativa/generativa? Come, perché ed in quale forma è andata costituendosi come campo morale? Perché questa problematizzazione? Cosa c’è realmente in gioco? Cercheremo quindi di indagare le modalità attraverso le quali si è costituita, nelle società occidentali moderne e contemporanee, un’esperienza per cui gli individui hanno cominciato a percepirsi e a riconoscersi come liberi soggetti riproduttivi: un’esperienza che coinvolge e pone in essere forme di soggettività specifiche radicate in «mondi morali locali» (Kleinman, 1995), che tocca campi di conoscenza e tipi di sapere molto diversi e che si articola in base ad un sistema di regole, norme e obblighi, tanto morali quanto giuridici. Questi tre aspetti che vanno a costituire l’ontologia dell’esperienza procreativa della modernità sono strettamente intrecciati l’uno all’altro: essi possono – e devono – essere pensati ed analizzati non solo nelle loro specificità storico-culturali 11 ma, soprattutto, come un insieme di reciprocamente connessi, strutturati e strutturanti. 12 campi 1.1 Una prospettiva biopolitica della procreazione. Il comune denominatore fra soggettività, normatività e sapere è il luogo sul quale essi si iscrivono: il corpo del vivente umano. Sulla scorta delle analisi di Michelle Foucault, ci sentiamo in grado di sostenere che è stato proprio il rimodellamento epistemologico, ontologico e tecnico della percezione del corpo la vera chiave di volta della cosiddetta modernità. Come oramai ben noto, il corpo è divenuto oggetto, dalla seconda metà del XX secolo, di numerose trattazioni ed attenzioni analitiche. A nostro sentire, una delle più interessanti è quella elaborata proprio da Foucault, il quale propone un classificazione binaria del biopotere, il potere politico il cui compito era quello di «gestire la vita» (Foucault, 1976; trad.it. p. 123) e, di conseguenza, i corpi attraverso i quali essa veniva posta in essere. Secondo il filosofo francese, è a partire dal XVII secolo che viene a configurarsi il primo dei due poli del biopotere: esso si focalizza su un’anatomo-politica del corpo umano, volta a potenziarne la forza, l’utilità e il docile inserimento in sistemi efficienti (come l’esercito o le fabbriche, ad esempio). È invece con lo stato amministrativo del XVIII secolo e con la nascita delle scienze positive – dalla biologia alla demografia – che, secondo Foucault, vengono a costituirsi: i meccanismi di gestione e controllo del corpo riproduttivo individuale inscritto nella massa della popolazione, i discorsi di verità prodotti dalla scienza medica attraverso il nuovo sguardo esercitato sui corpi e la produzione di un sapere scientifico organizzato intorno alla sessualità. È questo il tempo della 13 biopolitica: l’altro polo del biopotere – che ha originato tecniche, tecnologie ed apparati propri – volto al controllo degli individui, intesi non più come mere entità biologiche ma come “specie”, attraverso il disciplinamento dei loro corpi e dei processi di riproduzione della vita stessa (ibidem). Come ben osservato da Rose: «Il biopotere è più una prospettiva che un concetto: fa emergere da parte di autorità differenti una molteplicità di tentativi più o meno razionalizzati di intervento sulle caratteristiche vitali dell’esistenza umana: cioè sugli esseri umani, individualmente e collettivamente, come creature viventi che sono nate, maturano, abitano un corpo addestrabile e potenziabile, e poi si ammalano e muoiono» (Rose, 2007; trad.it. pp. 86-87). Sulla scorta di questa riflessione ci avvarremo della prospettiva biopolitica per indagare le pratiche, i dispositivi ed i saperi, sviluppatisi in campi diversi ma intrinsecamente connessi, che emergono come peculiari dell’esperienza procreativa nella modernità e che, a loro volta, hanno contribuito a ridefinire ed ampliare la nozione contemporanea di “politiche della vita”. Riteniamo in primo luogo necessario fare una breve premessa sulla grande rivoluzione socio-culturale che ha investito le società occidentali a partire dalle prime decadi del Novecento e che, secondo lo storico Eric Hobsbawn, passa proprio attraverso la rimodulazione del luogo della riproduzione per antonomasia: la famiglia; questa subisce una importante trasformazione a seguito dei profondi cambiamenti che investono «i modelli pubblici che regolavano la condotta sessuale, il rapporto di coppia e la procreazione» (Hobsbawn, 1994; trad.it. p. 379). Assetti sino ad allora ritenuti portanti e 14 immutabili – quali il matrimonio formalmente sancito, i rapporti inter e intra generazionali e le relazioni di genere – cominciano, a livello diacronico e diatopico in Europa, a subire notevoli trasformazioni; queste trasformazioni sono, allo stesso tempo, matrice e prodotto di una più ampia riconfigurazione che investe svariati campi del sociale e che non può prescindere dal tenere in considerazione le varianti di tipo economico e culturale. Non è questa la sede per indagare a fondo le questioni relative alla mobilità sociale nel secondo dopoguerra, all’ingresso delle donne nel mondo del lavoro, all’incremento della scolarizzazione e alla nascita del movimento femminista; ci basta qui sottolineare come tutti gli ormai noti fenomeni socio-economici peculiari del Novecento siano strettamente intrecciati gli uni agli altri e in grado di riverberare reciprocamente significati e valori in trasformazione. Uno degli ambiti che più riflette queste trasformazioni valoriali è proprio quello della riproduzione il quale, per un intreccio di motivi che ora andremo ad analizzare nello specifico, si fa portatore di antropologica tanto silenziosa una rivoluzione quanto profonda. Cercheremo quindi di rispondere alla prima domanda che abbiamo posto all’inizio di questa trattazione: quali sono stati gli elementi che hanno contribuito alla ridefinizione sia del significante – dal momento che preferiamo parlare di pro-creazione piuttosto che di riproduzione – sia del significato dei “modi del venire al mondo”? Una delle peculiarità più significative delle cosiddetta rivoluzione procreativa è il progressivo slittamento della linea di confine fra “caso” e “scelta”. Nell’ambito della riproduzione, quando si fa riferimento al binomio 15 oppositivo caso/scelta si intende sottolineare, fondamentalmente, l’inversione di segno della valenza dell’atto generativo che, da improcrastinabile e “naturale”, diventa oggetto di decisione e arbitrio da parte dei soggetti coinvolti. Questo binomio che, a seconda della disciplina all’interno della quale viene analizzato può presentarsi con termini diversi, ha, tuttavia, sempre lo stesso significato idealizzato: «il dominio del caso comprende eventi, cioè stati o processi che accadono. […] Il dominio della scelta comprende azioni finalizzate, che non accadono semplicemente ma vengono determinate. Nella realtà di cui facciamo quotidianamente esperienza, la complessità si presenta come un intreccio di elementi casuali e di elementi oggetto di scelta: le nostre scelte inevitabilmente modificano gli eventi naturali indipendenti ma anche questi possono limitare, vincolare, influire imprevedibilmente sulle nostre scelte. Non solo, il termine “caso” non rimanda necessariamente ad una realtà imprevedibile e capricciosa: esso può designare un complesso di eventi che possiede un ordine interno, per lo più finalistico, governato da leggi biologiche e fisiche» (Galletti, 2010; p.6)3. Ovviamente, non è possibile rintracciare nella storia contemporanea il momento esatto in cui la linea di confine tra caso e scelta si è dilatata perché, per quanto possano risultare evidenti e ben analizzabili le circostanze concomitanti – quei cambiamenti nell’ambito socio-economico a cui prima si faceva accenno – le variabili correlate che accompagnano la tendenza a ricercare il momento “giusto” per la Della “natura” del binomio caso/scelta avremo modo di parlare più avanti nel corso della trattazione. 3 16 procreazione, possono essere tante quanti sono gli esseri umani. Come hanno dimostrato molti studi qualitativi4, la piena assunzione di volontà e discrezionalità nell’atto procreativo sembra ormai comunemente condivisa: anzi, esso assume ancora più valore proprio perché va ad inscriversi all’interno di una configurazione più ampia di ruoli sociali, genere e forme di soggettività. Come ben evidenziato da Solinas: «i modelli minimalisti che hanno ormai guadagnato un’egemonia incontestata nell’Occidente industrializzato corrispondono ad un regime di riproduzione e trasmissione della vita che ne potenzia a dismisura il valore, la rende estremamente durevole e distanzia fino al limite del possibile il ricambio fra generazione e generazione. La vita dura molto di più di prima, si concede a nuovi titolari con grande parsimonia e assorbe quote di valore, di investimento riproduttivo, sociale ed economico incomparabilmente più alte di quelle che, nel passato, i progenitori trasmettevano ai discendenti, e che in molta parte finivano per disperdersi» (Solinas, 2010; pp. 219220). Senza alcuna ombra di dubbio, un notevole contributo al dilatarsi dei significati e delle pratiche implicati nel binomio caso/scelta e alla ridefinizione in chiave valoriale della “vita” – come concetto sostantivo e come sostanza – viene proprio dal grande sviluppo conosciuto, nel secondo Novecento, dalle biotecnologie mediche e dai profondi mutamenti che esse hanno posto in essere. Veniamo ora ad analizzare l’ambito forse più complesso – quello costituito dai campi del sapere e, nello specifico, del sapere medico – che ha ampiamente contribuito a 4 Cfr. Siebert, 1991; Ginatempo, 1993; D’Aloisio, 2007; Solinas, 2010. 17 ridefinire, non ci sembra un azzardo scriverlo, l’antropologia più profonda dell’essere umano e le sue forme di immanenza nel mondo. Al fine di proporre un’analisi esaustiva del fenomeno, ci avvarremo del pregevole lavoro di Nikolas Rose, il quale elabora una cartografia, articolata e pregnante, della nuova fisionomia assunta dalle scienze biomediche in relazione alle forme dalla biopolitica contemporanea. Secondo l’autore, la rimodulazione della percezione della pratica medica e politica si è realizzata attraverso le interconnessioni tra cambiamenti su diversi piani; nello specifico, possono essere individuati cinque percorsi che segnano le traiettorie delle modificazioni più profonde: «la molecolarizzazione, l’ottimizzazione, la soggettivazione, la competenza somatica e le economie della vitalità» (Rose, 2007; trad. it. pp. 9-10). Ciascuno di questi temi meriterebbe una trattazione a parte ma, per ovvi motivi, non potremo affrontarli tutti in questa sede. Ci concentreremo qui sui primi tre, proprio perché più funzionali allo sviluppo del nostro lavoro e poi, nel paragrafo successivo ci occuperemo dell’aspetto della competenza somatica. Per cercare di comprendere appieno il processo di ridefinizione di ciò che significa “essere umani” posto in essere dalle biotecnologie, è necessario effettuare un passaggio preliminare per capire come esse riconfigurino, in primo luogo, il significato di “esseri biologici”. Una caratteristica peculiare delle nuove tecnologie della vita è quella di essere principalmente “tecnologie della visione”(Haraway, 1997; trad. it. p. 245): le immagini rimandate da telecamere, TAC, PET, ecografie e microscopi rappresentano le modalità attraverso le 18 quali una classe di specialisti (biologi, radiologi, ecografisti, genetisti, medici della riproduzione,ecc…), acquisisce una competenza somatica sul corpo (Rose, 2007) e ne conosce la realtà biologica rappresentandola non più a livello “molare” – secondo la scala degli arti, degli organi, dei tessuti, ecc… - ma a livello “molecolare”, come un insieme di meccanismi vitali intellegibili (Cartwright, 1995; Rose 2001, 2007). Il paradigma visivo, dopo aver soppiantato quello tattile ed esperienziale, ha rappresentato il modello privilegiato della conoscenza scientifica in Occidente e, più in generale, della pratica clinica fino al XIX secolo; dagli anni Sessanta del Novecento la modalità di indagine visuale della biomedicina si arricchisce di nuovi strumenti e nuove tecniche, che permettono di pensare il corpo individuale non più come un unicum indivisibile, bensì come un insieme di elementi molecolari che, tutti insieme, concorrono a formare il vivente umano. Ciò che appare inoltre importante sottolineare è proprio il regime di verità prodotto dalle tecnologie della visione, che si basano su un’epistemologia in cui tanto maggiore e profonda e la penetrazione dello sguardo tanto piu veridica e reale e la sua conoscenza. Esse vanno a conferire un nuovo status ai corpi e al concetto di “vita” stesso. I corpi vengono reificati – possono essere controllati, gestiti, progettati, riplasmati, modulati – acquistano una propria fantomatica esistenza autonoma, alienata nelle sue vesti somatiche dalle persone che sono quei particolari corpi e dalle relazioni sociali in cui sono inseriti; la vita stessa diventa un “fatto”, nell’accezione latina del verbo facere: è il risultato di un’azione e di un processo conoscitivo che la pone in essere. 19 L’universo della procreazione medicalmente assistita e della genetica clinica ad essa connessa appare come paradigmatico delle prospettive tracciate dalla biopolitica contemporanea; esso emerge non solo in quanto inedita forma e modalità di riproduzione, ma anche come spazio privilegiato per la diffusione del pensiero scientifico molecolare su di essa, con il suo corredo di immaginario legato ai corpi, agli organi, alle sostanze e ai “prodotti” dell’intero processo riproduttivo. Sono innumerevoli gli studi sulla valenza simbolica e sull’estetica dei processi biologici della riproduzione oramai disvelati all’occhio umano5; riteniamo importante qui citare solo quello realizzato dalla storica delle donne Barbara Duden che, ne Il corpo della donna come luogo pubblico, indaga proprio i meccanismi di costruzione culturale del feto umano, attraverso il senso della vista, da Leonardo ai giorni nostri. Non è nostra intenzione addentrarci qui nel dibattito sulla natura del feto (cosa sia, cosa rappresenti, cosa potrebbe essere, come dovrebbe essere pensato): esso ci interessa solo come epitome e simbolo di un più ampio processo di costruzione culturale del reale. In questo saggio del 1991, quasi pioneristico per certi versi, Duden elabora una vera e propria epistemologia storica del feto come risultato della visione: «dal punto di vista della storia della cultura, il nascituro fa parte della categoria dell’ “occulto”, […] della società degli invisibili. Ciò che lo contraddistingue dagli altri invisibili è il suo essere sulla soglia dell’esistenza» (Duden, 1991; trad. it. p. 19). Dalla fine dell’Ottocento in poi – con la nascita della fotografia prima e poi con lo sviluppo dei raggi X, degli ultrasuoni e con la loro applicazione in campo 5 Si vedano: Martin, 1991; Héritier, 1996; Duden, 2002; Gribaldo, 2005; 20 scientifico – la pelle, che sino ad allora aveva racchiuso un volume “naturale” molare e segnato il limen fra interno ed esterno della corporeità, viene oltrepassata dallo sguardo clinico e disvela l’“invisibile”, il feto, che acquista forma di contingenza: «grazie alla tecnica […] si può contemplare l’emblema (della procreazione) con i propri occhi e conferirgli lo status di realtà. La percezione della donna viene oggettivata biologicamente» (Duden, 1991; trad. it. p. 87). Attraverso le nuove tecnologie della visione si pone cioè in essere un discorso – nell’accezione foucaultiana del termine – che, soppiantando la percezione somatica individuale, allo stesso tempo, istruisce e costruisce il visibile ed il reale: «le nuove tecnologie visive raffinano sempre più quelle tecniche di rappresentazione del reale che producono una quantità di immagini simulate attraverso le quali si viene a conoscenza della realtà. […] Questa tecnologia post-moderna, in cui l’immagine è specchio del reale, mette in scena una retorica del corpo naturale che oltrepassa la scienza e presiede ovunque alla formazione di un immaginario simbolico e scientifico sulla verità del nostro essere» (Gribaldo, 2005, p. 169170). Le immagini di rimando dell’intero processo riproduttivo ormai disvelato dalle tecniche di visualizzazione dall’incontro tra ovociti e spermatozoi sul disco di Petri sino ad arrivare alla prima ecografia del feto nel grembo della donna – contribuiscono cioè alla ridefinizione dell’essere umano nei termini di una forma biologicamente specifica di esistenza materiale, quasi ipostatizzata, percepita e rappresentata a livello molecolare. Ci preme inoltre sottolineare che, se in un qualche modo, soprattutto all’inizio della loro diffusione, 21 le tecniche di procreazione medicalmente assistita sono state accompagnate da una retorica che le voleva come alleate degli esseri umani – e, nello specifico, del genere femminile – nella lotta contro l’incedere inesorabile del tempo biologico e nell’allontanamento del momento della riproduzione – rinforzando, ancora una volta, la dilatazione del limen tra caso e scelta – esse hanno, in realtà, notevolmente contribuito a quel processo di ridefinizione dell’essere umano proprio nei termini di quel dato biologico che volevano eludere: attraverso una percezione e una costruzione, individuale e sociale, di un corpo molecolare che, nell’intreccio inestricabile che si è venuto a creare tra biotecnologie ed esseri umani, connota questi ultimi in termini «ancora più biologici» (Rose, 2007; trad.it. p. 130). Le tecnologie vengono quindi a configurarsi come: «assemblaggi ibridi di conoscenze, strumenti, persone, sistemi di giudizio, costruzioni e spazi, sorretti a livello programmatico da certi presupposti e assunti riguardo agli esseri umani» (cfr. Rose 1996, p.26); da esse non può essere scisso il dato relazionale e, non meno importante, quello simbolico. Le biotecnologie della procreazione si connotano quindi come veri e propri dispositivi di costruzione culturale della realtà dal momento che esse generano specifici modi di esperire la riproduzione (per tutti i soggetti coinvolti, siano essi medici o pazienti) e peculiari forme di ritualità (basti pensare alla diversa scansione del tempo e dello spazio nella frammentazione dell’evento riproduttivo)6. In particolar modo, esse emergono come il luogo di intersezione dei due processi che Didier Fassin individua Per una più approfondita epistemologia delle tecniche di procreazione medicalmente si vedano: Franklin, 1997; Rapp, 1999; Strathern, 1992; Gribaldo, 2005. 6 22 e riconosce come peculiari dell’età postmoderna: la naturalizzazione della cultura e la culturalizzazione della natura (Fassin, 2000). Ciò perché, da una parte la medicalizzazione della riproduzione permette di “reinventare” il dato biologico, il legame biogenetico e la riproduzione stessa, che non “avviene” ma si “fa” tramite l’azione desiderante che, sostituendosi all’atto sessuale, diviene scelta esplicita della coppia di ricorrere alle pratiche mediche volte ad ottimizzare le funzioni “produttive” del corpo; dall’altra, paradossalmente, la come viene ancora molto riproduzione “artificiale” spesso definita facilita il controllo su ciò che viene considerato “naturale”, per dare vita a ciò che è ritenuto più appropriato da una data cultura in un determinato periodo. Questa riflessione ci permette quindi di ritornare ad inscrivere la nostra analisi nel solco della biopolitica contemporanea e, nello specifico, in uno dei suoi aspetti peculiari a cui prima facevamo accenno, definendo le biotecnologie come: «assemblaggi ibridi orientati all’obiettivo dell’ottimizzazione […] (e che) inevitabilmente, incarnano visioni controverse di ciò che nella vita umana, individuale e/o collettiva, può in effetti essere uno stato ottimale» (cfr. Rose, 2007; trad.it p. 9). Anche nel caso dell’ottimizzazione, le tecnologie della riproduzione possono fungere da esempio esplicativo e fornire molti spunti utili per l’analisi che stiamo portando avanti. Il paradigma epistemologico su cui si fondano è proprio quello dell’ottimizzazione delle funzioni corporee: per “fare” la riproduzione è necessario fornire, all’occhio vigilie ed allenato della classe medica, le migliori sostanze biologiche leggasi gameti che si e in grado di “produrre” dopo un’accurata stimolazione farmacologica, affinché esse possano, a loro 23 volta, “produrre” un’ulteriore sostanza, stavolta connotata “più biologicamente” dei gameti, l’embrione; quest’ultimo, una volta superati dei “controlli di qualità” sulle sue caratteristiche morfologiche ed estetiche attraverso l’indagine osservazionale dei biologi, può essere quindi introdotto all’interno di un corpo – che qui torna ad essere un corpo connotato dal genere: un corpo femminile – il quale, nel frattempo, è stato nuovamente “preparato” farmacologicamente per accogliere al meglio quello stadio di organizzazione cellulare – composto da tessuti e cromosomi visibili solo in laboratorio – che, se supererà ulteriori screening e test diagnostici nel corso dei suoi diversi stadi di sviluppo, alla fine di una gestazione di circa nove mesi, anch’essa continuamente monitorata, porterà alla nascita, ovviamente medicalizzata, di un bambino. Questi processi di ottimizzazione degli stadi e dei prodotti corporei peculiari delle biotecnologie riproduttive hanno spinto Emily Martin a parlare di veri e propri “corpi fordisti”: «In reproductive biology, bodies are organized around principles of centralized control and factory-based production. Men continuously produce wonderfully astonishing quantities of highly valued sperm, women produce eggs and babies (though neither efficiently) and, when they are not doing this, either produce scrap (menstruation) or undergo a complete breakdown of central control (menopause). The models that confer order are hierarchical pyramids with the brain firmly located at the top and the other organs ranged below. […] These models of the body seem related in form and function to early 20th-century Fordist mass production systems» (cfr. Martin, 1992; pp.121-140). Il fine ultimo delle tecniche di ottimizzazione corporea è quindi quello 24 di agire sui processi vitali per poter massimizzare il loro funzionamento e potenziare gli esiti; ma la loro vera peculiarità è rappresentata dall’asse temporale sul quale si muovono: «tali tecnologie della vita cercano di rimodellare il futuro vitale agendo sul presente vitale» (Rose, 2007; trad.it. p. 26). Gli scenari possibili di questo “futuro vitale” sono delineati, ancora una volta, dall’incremento dei saperi acquisiti nel campo della genetica clinica nel corso delle ultime tre decadi del Novecento; tali saperi, come abbiamo già ricordato per altri ambiti della biomedicina, hanno avuto un impatto costruttivo e costrittivo sul più ampio contesto sociale, culturale e politico all’interno del quale prendono forma. I geni, i nuovi contemporanea, protagonisti come suggerisce della biomedicina Duden: «hanno soppiantato il destino, la provvidenza, perfino le costellazioni. Sono le linee di quel programma mille e mille volte ripetibile che noi, stando alle recenti acquisizioni, dobbiamo essere» (Duden, 2002; trad. it. p. 14). Quello a cui stiamo assistendo oggi è, secondo Nguyen (2005, trad.it. p. 76), un vero e proprio processo di «biologizzazione della sorte»: ciò che può accadere al vivente umano è sempre più legato alla biologia e alla genetica; queste scienze, attraverso pratiche discorsive predittive, definiscono gli individui in funzione della loro costituzione genetica determinandone le azioni future. Approfondiremo questo aspetto nella seconda parte del nostro lavoro, quando avremo modo di parlare del concetto di “rischio genetico” in relazione alle pratiche riproduttive, rispetto alle quali cercheremo di analizzare le modalità attraverso cui tale concetto pone in essere specifiche «tecnologie del sé genetico» (Novas, 2003) che, a loro volta, aprono le esperienze vitali dei soggetti 25 cosiddetti “a rischio” all’idioma della responsabilità e della scelta etica. In questo momento ciò che ci preme sottolineare è proprio il paradosso provocato dai diversi aspetti della biopolitica contemporanea la quale, se da una parte pone in essere meccanismi e forme di sapere che, attraverso un processo di conoscenza molecolare, riducono il corpo ad un mero biologismo rappresentativo e spogliano l’esperienza vitale dei suoi processi di qualificazione simbolica, dall’altra fa sì che il vivente umano configuri la propria forma di essere nel modo, le proprie forme di immanenza e le sue pratiche, come un «individuo somatico» (Rose, 2007; trad. it. p. 10): un soggetto profondamente legato al suo essere corporeo, alla sua esperienza carnale, alla sua forma di incorporazione7, che viene prodotta e continuamente negoziata all’interno di specifiche modalità di costruzione e rappresentazione della realtà (realtà mediata anche dai saperi e dalle pratiche della biomedicina). In altre parole: gli esseri umani percepiscono sempre più il proprio sé incorporato attraverso i discorsi di verità prodotti dal campo biomedico e, di conseguenza, agiscono su se stessi e nel mondo anche in funzione delle nuove possibilità offerte dalle biotecnologie. A questo livello, la vita stessa diviene, al contempo, soggetto e oggetto di una vera e propria «etica somatica, non nel senso di principî morali, ma come valori per la gestione della vita» (ivi); la vita intesa qui come esperienza biologica, somatica e La nozione di incorporazione viene qui utilizzata nell’accezione elaborata dalla disciplina antropologica (Csordas, 1990, 1999). Essa rappresenta «la condizione esistenziale dell’uomo: stare al mondo abitandolo con il proprio corpo e abituandosi ad esso. La nozione di incorporazione definisce le modalità attraverso le quali gli esseri umani vivono l’esperienza del corpo nel mondo e ne producono la rappresentazione» (Pizza, 2005; p. 37). 7 26 incorporata si apre cioè alla responsabilità, alla prudenza, alla contestazione, alla disciplina e alla sperimentazione. Questo terzo aspetto della biopolitica contemporanea, la soggettivazione, appare particolarmente rilevante all’interno del contesto di disamina delle biotecnologie riproduttive e della loro problematizzazione morale che stiamo cercando di portare avanti, proprio perché in esse espressioni quali “responsabilità”, “scelta” e “possibilità” costituiscono un tratto peculiare delle pratiche discorsive attraverso la quale vengono pensate, percepite ed esperite. Torneremo ad occuparci di questo peculiare aspetto nelle pagine a seguire proprio perché esso si caratterizza come uno dei tratti fondamentali della nuova forma assunta dalla politica della vita nel XXI secolo: l’«etopolitica» (Rose, 1999). Con questo termine ci si riferisce alla forma assunta dall’ «antropopoiesi» contemporanea (Remotti, 1999; 2000) che – embricata in specifiche relazioni di potere e campi di sapere – contribuisce, da una parte, a ridefinire le tecniche di costruzione del se da parte dei soggetti culturali e, dall’altra, cerca di modellare le pratiche umane agendo sui sentimenti, sulle credenze e sui valori sull’etica e cioe per rendere il vivente umano “migliore”, “responsabile” e “consapevole” nei confronti non solo della propria esistenza somatica ma, anche, di quella altrui a lui connessa da legami affettivo relazionali (fratelli, sorelli, coniugi, figli, parenti). Declinata a questo modo, l’etopolitica biologica della contemporaneità si apre a nuove forme di controllo e disciplina, a nuovi soggetti, a nuovi campi di sapere proprio perché, come detto in precedenza, il significato 27 di “stato ottimale” dell’esistenza non è univoco ma, al contrario, continuamente negoziato. Sulla base delle considerazioni fatte sino ad adesso, ci sentiamo in grado di sostenere per rispondere alla domanda che avevamo posto in apertura di questo lavoro sul come, perche ed in quale forma l’attivita riproduttiva e andata costituendosi come campo morale che la problematizzazione morale della riproduzione entra, con la biopolitica contemporanea, in una fase estremamente complessa ed articolata. Storicamente, la riproduzione è sempre stata al centro di una forte negoziazione sociale volta a definire, a seconda del contesto storico-culturale nel quale si realizzava, le modalità e le forme che doveva assumere8 ma, con lo sviluppo delle politiche della vita che abbiamo sinora cercato di tratteggiare, essa subisce, a nostro sentire, uno slittamento di significato di non poco valore: diventando sempre più visibile, soggetta a particolari dinamiche di controllo e aprendosi all’idioma della scelta e della responsabilità, essa viene a configurarsi come un nodo particolare di azione sociale in cui si proiettano non più – o almeno, non solo – le ansie biologistiche di perpetuazione della specie, ma tutta una serie di valori e simboli sulla natura più profonda dell’essere umani. È proprio questo interesse sul significato che assume l’essere nel mondo al centro della posta in gioco: la problematizzazione morale della procreazione al tempo Gli studi sul potere riproduttivo e sul suo controllo sociale sono davvero moltissimi, soprattutto in ambito antropologico. Questa disciplina, più di ogni altra, si è interessata delle variabili culturali, diacroniche e diatopiche, del “venire al mondo” e delle sue forme di gestione sociale e simbolica: dalla proibizione dell’incesto alle strutture della parentela passando per l’analisi delle credenze, dei valori e dei rituali che accompagnano tutto il percorso riproduttivo e perinatale. Si vedano, per una bibliografia minima: Lévi-Strauss, 1947; Mead, 1949; Héritier, 1979, 1981, 1996; Forni, Pennaccini, Pusseti (a cura di), 2006. 8 28 della biopolitica non ha più come solo oggetto il come della riproduzione, ma il cosa. Una volta diventata tecnologizzata e meramente biologica, una volta allontanata dalla sfera del privato e del personale per essere rivestita di un carattere pubblico e sociale, essa viene pensata e percepita come una pratica in cui l’èthos dell’esistenza umana è principio non solo fondamentale, ma ordinante. È su questa forma di umanesimo postmoderno fondato sulle prassi che si concentrano tutta una serie di dispositivi, normativi e di pensiero, volti ad orientare, costruire e negoziare la procreazione, le sue forme di realizzazione e il valore sostanziale di una nuova vita. 29 1.2 Forme di competenza somatica al tempo dell’etopolitica: fra bioetica e diritto. Nel paragrafo precedente abbiamo cercato di indagare come la rivoluzione procreativa, frutto di un intreccio tra sapere scientifico, forme di soggettività e tipi di normatività, abbia contribuito alla messa in opera di un’etopolitica biologico-somatica aperta alla disciplina e al controllo. Da quando cioè il processo riproduttivo si è andato costituendo come «sostanza etica» (Foucault, 1984, p.31), su di esso si sono concentrate tutta una serie di attenzioni analitiche e forme di autorità: non solo, come si potrebbe ben pensare, da parte della classe medica che riveste un ruolo fondamentale nella gestione delle nuove modalita del venire al mondo discipline come la bioetica ma, anche da parte di e il biodiritto, volte rispettivamente all’analisi e alla normazione dei nuovi interrogativi posti in essere dallo sviluppo delle tecnologie della vita. La «procreazione postmoderna», (Franklin, 1995b, p. 323) spostando sempre più avanti il limen fra caso e scelta, rivoluzionando i modi del concepimento e ampliando le possibilità di intervento sui corpi già dai primi stadi di organizzazione cellulare ha prodotto una vera e propria ridefinizione del significato de i «fatti di natura» (ibidem, p. 338): « from a postmodern point of view, the loss suffered in conflating natural and technological facts need not mean the demise of the 30aturala s a symbolic domain or the loss of its authority entirely. What postmodernism describes is a loss of faith, a crisis of legitimacy, and a collapse of foundational authority. It is a particular construction of nature that is shifting, one that arguably provided a certain degree of reassurance as a source of 30 absolute truth. In the confusion encountered within the law around these contested natural facts is evident a loss of faith in nature as a referent system» (ivi). Quando l’autorità delle leggi di natura viene a cadere e quando lo stesso universo del naturale viene ridefinito nelle sue forme epistemiche più profonde, ecco che si presentano le condizioni per una nuova negoziazione sociale sia del significato de i “fatti di natura” che del loro governo. Il vacŭum lasciato dal valore ordinante della natura deve essere riempito a livello simbolico ma, soprattutto, pratico da nuove forme di autorita; e qui che: «il diritto appare [come] l’unica cura sociale, con un’intensa richiesta di norme, limiti, divieti. Perdute le regole della natura, la società si rispecchia nel diritto e a esso chiede rassicurazione, prima ancora che protezione. Sembra quasi che l’umanità, vissuta fino a ieri al riparo delle leggi di natura, scopra luoghi dove l’irrompere improvviso della libertà si rivela insopportabile. Si rivelano così aree dell’esistenza che dovrebbero comunque essere “normate”, perché la libertà di scegliere, dove prima era solo caso o destino, spaventa, appare come un pericolo o un insostenibile peso. Se cadono le leggi della natura, l’orrore del vuoto che esse lasciano dev’essere colmato dalle leggi degli uomini» (Rodotà, 2009; p. 15). È a questo livello che la «nuda vita» (Agamben, 1995), alienata dalle sue vesti somatiche e simboliche incorporate, si apre all’eteronomia: il discorso giuridico si incunea tra i meccanismi vitali per orientare ed indirizzare le prassi della biopolitica contemporanea. Lo sguardo del diritto è andato dilatandosi sempre più nel corso del tempo e si trova, al giorno d’oggi, al centro di una dialettica complessa che coinvolge: i soggetti che del diritto rappresentano sia i titolari che l’oggetto di interesse; i meccanismi di potere – frammentati, 31 contingenti ed eterogenei – che pongono in essere e producono il discorso giuridico; l’universo simbolico che il diritto evoca e rappresenta – cioè quell’insieme di valori, principi e orientamenti ritenuti validi, degni di considerazione e tutela– e, infine, le altre forme o istituzioni di regolazione sociale presenti all’interno di una data comunità. In questo divenire fluido e continuamente negoziato della realtà, la dimensione giuridica, con il suo apparato di norme contraddistinte da specifici caratteri – quali, ad esempio, l’astrattezza e la generalità – non sempre appare come il mezzo più atto alla regolamentazione delle prassi incorporate oggetto delle politiche vitali della contemporaneità. Avremo modo di approfondire questo aspetto nelle pagine a seguire; quello che ci sembra qui doveroso sottolineare è come, a questa inscrizione del diritto nella “nuda vita”, corrisponda un medesimo processo di inscrizione delle “forme di vita” nel diritto. Se, da una parte, la dimensione giuridica ha avanzato delle pretese di gestione, presa in carico e competenza sull’esistenza biologico-somatica del vivente umano, allo stesso tempo, quest’ultimo ha trovato, mediante la dimensione giuridica, un nuovo strumento di affermazione e presenza nel mondo: è attraverso il vocabolario del diritto che, negli ultimi cinquant’anni, si sono declinate le rivendicazioni collettive di tutela e garanzia del valore vitale dell’esistenza umana9. Se i diritti civili concessi nel Settecento – con la trasformazione dei sudditi in cittadini – hanno portato al riconoscimento dei diritti politici La fase storico-culturale in atto ha visto la nascita e la proliferazione, a livello nazionale e sovranazionale, di moltissimi documenti, volti a sancire e a tutelare i cosiddetti “diritti umani”. Su tutti, con specifico riferimento al nostro ambito di indagine, ricordiamo qui la Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e la dignità dell’essere umano riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina, più nota come Convenzione di Oviedo, emanata nel 1987 dal Consiglio D’Europa. 9 32 nell’Ottocento e di quelli sociali nel Novecento, il XXI secolo è testimone della nascita di quelli che Bobbio (1990) definisce «diritti di quarta generazione», cioè quei diritti vitali rivendicati dai soggetti della biopolitica contemporanea: i «cittadini biologici» (Rose, 2007), cioè tutti quei soggetti – uomini, donne, famiglie, comunità o popolazioni – a cui vengono riconosciuti ed attribuiti (o negati, a seconda dei casi) i caratteri giuridici e sociali della cittadinanza sulla base di credenze legate all’esistenza biologica e al valore vitale degli esseri umani. Se finora abbiamo preso in esame le forme individualizzanti della biopolitica contemporanea e le sue modalità di inscrizione sull’esperienza incorporata del vivente umano, non dobbiamo dimenticare di sottolinearne anche l’aspetto collettivizzante. In un tempo in cui la dimensione vitale dell’esistenza umana è fortemente caratterizzata dalla sua componente biologica, la condivisione di una medesima condizione somatica o di uno status genetico rappresenta un nucleo di aggregazione identitario; Paul Rabinow (1992) definisce queste forme di collettivizzazione su base biologico-somatica con il termine “biosocialità”: con esso ci si riferisce all’emergere di relazioni sociali, movimenti, associazioni e comunità organizzate intorno a una condizione biologica condivisa (si pensi, per esempio, alle centinaia di associazioni a carattere locale e/o nazionale che riuniscono persone afflitte da una particolare malattia o i loro congiunti). Queste nuove forme aggregative sono il mezzo principale attraverso il quale si realizza una vera e propria «biocittadinanza dei diritti»: la rivendicazione di un particolare diritto – di cura, di accesso a particolari servizi, di assistenza, di attuazione di certe politiche di sostegno – passa attraverso la condivisione e le negoziazione sociale di una specifica condizione biologica. 33 Tale condizione biologica, di solito negativa e portatrice di sofferenza, necessita di una diagnosi biomedica “ufficiale” volta a definire e a orientare l’intervento terapeutico (di norma assente o difficile da ottenere per motivi economici e/o logistici); la competenza somatica sul corpo del vivente umano, acquisita dalla disciplina biomedica nel corso degli anni, viene ancora una volta evocata per sostanziare la rivendicazione politica e il godimento di un particolare diritto – di solito, il “diritto alla salute” – nei confronti dello Stato. A questo punto della trattazione riteniamo necessario fare una precisazione di tipo semantico-concettuale sull’uso della nozione di “diritto”, per sottolineare la differenza che sussiste tra la rivendicazione di un preciso diritto morale10 – come nel caso delle comunità biosociali di cui sopra – e la sua reale tutela attraverso lo strumento del diritto positivo: «rispetto ai diritti positivi i diritti morali o naturali sono soltanto richieste motivate con argomenti storici e razionali per il loro accoglimento in un sistema di diritto efficacemente protetto. Dal punto di vista di un ordinamento giuridico i cosiddetti diritti morali non sono propriamente diritti: sono soltanto esigenze da far valere per essere eventualmente trasformate in diritti di un nuovo ordinamento normativo caratterizzato da un diverso modo di protezione dei medesimi» (Bobbio, 1990, p. 82). Riflettere sul carattere bio-sociale delle rivendicazioni collettive per la tutela giuridica di un particolare diritto morale, ci permette inoltre di evidenziare l’aspetto storicoculturale della dimensione normativa e il profondo nesso che la lega alle più ampie trasformazioni sociali: tutti i diritti, come sottolinea Bobbio (1990), sono diritti storici, L’espressione “diritto morale” viene qui utilizzata nell’accezione formulata da Lecaldano (1999) che lo definisce come un « diritto prima facie o contenuto che riteniamo di dover prescrivere universalmente» (p. 40). 10 34 nascono in precise circostanze, «gradualmente, non tutti in una volta e non una volta per sempre» (ibidem, p. XIII). Si deve inoltre considerare la condizione per cui « le richieste che si concretano nella domanda di un intervento pubblico e di un apprestamento di servizi da parte dello stato possono essere soddisfatte soltanto ad un certo grado di sviluppo economico e tecnologico, e che rispetto alla stessa teoria sono proprio certe trasformazioni sociali e certe innovazioni tecniche che fanno sorgere nuove richieste imprevedibili e impraticabili prima che queste trasformazioni e innovazioni fossero avvenute» (ibidem, p. 77). In virtù di queste considerazioni si può quindi affermare che la «biocittadinanza dei diritti» assume sfumature differenti a seconda: del contesto biopolitico all’interno del quale prende forma, del rapporto tra Stato e cittadino vigente nel contesto nazionale nel quale si realizza, dell’avanzamento raggiunto in ambito tecnologico, delle richieste avanzate e del tipo di diritto rivendicato. Per portare un esempio concreto delle modalità di inscrizione delle forme di vita nella dimensione giuridica, nella seconda parte di questo lavoro, ci soffermeremo sullo specifico caso italiano in relazione alle forme di attivismo su base biosociale che hanno portato alla rinegoziazione di alcuni aspetti fondamentali della legge 40/200411, volta a regolamentare l’accesso e la fruizione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita. Queste nuove forme di attivismo sociale fondate sul dato biologico hanno avuto, nel corso degli anni, l’importante merito di aprire ed ampliare il dibattito pubblico sulle esperienze corporee e sulle loro implicazioni etiche. È in questo intreccio tra biologia, potere, diritto, tecnologie di Legge 19 febbraio 2004, n. 40, “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.45 del 24 febbraio 2004. 11 35 gestione della vita, pretese e responsabilità che si pongono le basi per la nascita e lo sviluppo di una disciplina dall’importante ruolo sociopolitico come la bioetica, volta a negoziare pratiche, discorsi e competenze inerenti al rapporto tra forme di vita emergenti, saperi della biomedicina e tipi di normazione. Dagli anni Settanta del Novecento – da quando cioè lo sviluppo delle biotecnologie ha ridefinito i modi del nascere, dello stare al mondo e del morire – la bioetica si è anzitutto connotata come un terreno interstiziale e un luogo di incontro fra morale, biomedicina e prassi soggettive; a seconda del ruolo che le è stato assegnato – controllo, arbitrio, legittimazione – il focus delle sue pratiche discorsive è andato continuamente rimodulandosi entrando spesso in conflitto con le altre discipline – biomedicina e diritto soprattutto (cfr. Borsellino, 2009, p. 46) – che avanzano pretese di gestione del vivente umano e presa in carico delle pratiche incorporate. Non è certo questa la sede per indagare criticamente le diverse e molteplici forme assunte, nel corso del tempo, dal dibattito – interno ed esterno alla disciplina – inerente le tematiche che, sotto l’egida della bioetica, sono state investigate né, tantomeno, tutte le diverse correnti di pensiero che al suo interno possono essere identificate (su tutte, e con particolare riferimento al contesto italiano, ricordiamo la differenziazione binario-oppositiva tra “bioetica laica” e “bioetica cattolica” che si fonda su assunti epistemologici opposti); quello che ci preme sottolineare all’interno del contesto di disamina delle biotecnologie procreative è il ruolo che tale disciplina, congiuntamente al diritto, ha assunto nel presiedere la sfera delle scelte morali ed etiche dei soggetti coinvolti nei processi procreativi postmoderni. Nelle pagine a seguire ci avvarremo dell’impianto teorico sviluppato dalla bioetica per indagare 36 l’intreccio delle questioni poste in essere dalle nuove forme del venire al mondo e, nello specifico, nella legittimità del riconoscimento del diritto, prima facie, che viene a configurarsi: il diritto alla libertà procreativa. La sua estensione, gli eventuali limiti da porre e i modi della sua codificazione giuridica. 37 1.3 La libertà procreativa: una libertà positiva? Come detto in apertura di questo lavoro, le tecnologie procreative hanno contribuito a ridefinire il significato ed il valore simbolico di molte categorie concettuali – “natura”, “sé”, “persona” - sollevando nuovi interrogativi di natura etica sia in coloro che ne sono direttamente coinvolti – clinici e pazienti – sia nel più ampio contesto sociale. L’immissione della possibilità di scelta da parte degli individui in ciò che prima era affidato al solo dominio della “natura” ha fatto sì che, intorno al tema della procreazione postmoderna, si sia sviluppato un vivace dibattitto sulla legittimità del riconoscimento di un particolare diritto: il diritto alla libertà procreativa, la libertà di cui ciascun individuo dovrebbe godere nel decidere i tempi ed i modi della procreazione. La forte enfasi posta su tale concetto pone le basi per l’analisi critica di due ulteriori interrogativi che essa pone in essere: che cosa intendiamo per libertà procreativa o, per meglio dire, che tipo di libertà è? Quali sono i suoli limiti? Paradossalmente, il dibattito bioetico, filosofico e giuridico degli ultimi cinquant’anni si è focalizzato principalmente sul secondo tipo di istanza – utilizzando come limen il principio del danno elaborato da Mill (1999) – e non prestando la medesima attenzione alla definizione del concetto stesso di libertà procreativa, agli assunti che vi soggiacciono e alla sua problematizzazione; a nostro sentire, soltanto elaborando una nuova e più profonda analisi critica di tale concetto sarà possibile riflettere sulla sua estensione, sui suoi limiti e sulla sua eventuale codificazione nell’ambito del diritto positivo. Come avremo modo di vedere, gran parte degli autori che hanno proposto delle teorizzazioni in merito – Harris 38 (2007), Robertson (1994) – pongono l’accento sull’importanza di definire la libertà procreativa come una libertà negativa, ove ciò che è in gioco, ossia la volontà e la capacità di generare una prole, deve essere ricondotta all’ambito delle scelte responsabili di uomini e donne e quindi sottratta all’intervento pubblico o al potere coercitivo dello stato; questa concezione affonda le sue radici nella tradizione filosofica liberale normativa – con i suoi assunti in merito alla definizione di individuo e al suo rapporto con il più ampio contesto sociopolitico di appartenenza – e che, ovviamente, non ci sentiamo di rigettare in toto. Nelle pagine a seguire cercheremo tuttavia di superare questa definizione in negativo e proveremo, ancora una volta sulla scorta degli ultimi lavori di Michel Foucault, ad elaborare un’accezione positiva del concetto di libertà procreativa, declinandola come una facoltà di cui ciascun individuo gode all’interno del suo processo autopoietico, un processo culturalmente orientato da specifici principi e valori etici socialmente negoziati; cercheremo di mettere in luce, avvalendoci della concezione foucaultiana dell’«etica come pratica del sé» (cfr. Foucault, 1984, pp. 15-18), le modalità attraverso le quali ciascuna soggettività etica emerge in quelle che vengono a configurarsi come vere e proprie «pratiche di libertà» (ivi) a cui sono sottesi specifici principi o codici morali (cfr. Mills, 2011). Proveremo quindi ad adottare la concezione foucaultiana di cui sopra e, allo stesso tempo, ad adattarla ad uno degli argomenti principe della discussione bioetica, l’autonomia – riproduttiva, in questo caso – integrando ad esse il contributo che la disciplina antropologica offre in merito all’analisi critica delle pratiche incorporate. A nostro sentire, la procreazione umana postmoderna deve essere indagata come una prassi relazionale in cui l’aspetto 39 individuale – la filiazione come scelta improntata all’etica somatica della responsabilità – si inscrive nella più ampia dimensione sociale e viceversa; a questo livello la libertà procreativa viene a configurarsi come una libertà positiva e negativa allo stesso tempo, proprio perché essa produce dei “soggetti etici” radicati in mondi morali locali. La questione che si pone, in primo luogo, è quella di cercare di comprendere come – e se - la libertà procreativa possa essere collocata «nello spazio della libertà morale di ciascuna persona» (Lecaldano, 1999, p. 31). È possibile rintracciare le radici di questo concetto nelle riflessioni che Mill elaborò nell’Ottocento sull’estensione e sui limiti della libertà individuale: esse rappresentano l’origine di tutta la tradizione liberale e i prodromi di tutte le discussioni contemporanee sulla procreazione al tempo delle biotecnologie. Ecco cosa scrive, a proposito del concetto di libertà individuale, il padre dell’utilitarismo: «Ecco qual è, dunque, la regione propria della libertà umana. Essa comprende prima di tutto gli intimi domini della coscienza; esige libertà di coscienza nel senso più ampio del termine; libertà di pensare e di sentire; assoluta libertà di opinioni e sentimenti in qualsiasi campo, pratico o speculativo, scientifico, morale o teologico. […] In secondo luogo, il nostro principio esige libertà di gusti e di occupazioni; libertà di disegnare il piano della nostra vita nel modo più consono al carattere di ognuno; di agire come meglio ci aggrada, affrontando tutte le conseguenze che possono derivarne, senza essere intralciati dai nostri simili finché quel che facciamo non arreca loro alcun danno, e anche se dovessero pensare che il nostro comportamento è sciocco, depravato o moralmente scorretto. […] Nessuna società sarà mai libera, quale che sia la forma del suo governo, se non rispetta complessivamente queste libertà; e nessuna 40 società è libera completamente, se tali libertà non sono assolute e senza riserve. L’unica libertà che merita questo nome è quella di perseguire a modo nostro il nostro bene, sempre che non cerchiamo di privare gli altri del loro, o di intralciare i loro sforzi per raggiungerlo. Ognuno di noi è a giusto titolo il guardiano della propria salute, sia fisica sia mentale e spirituale» (Mill, 1999, pp. 78-80). Come detto, la formulazione di Mill sull’estensione ed i limiti della libertà individuale è alla base di quelle concezioni etiche – al cui interno sono individuabili più correnti fondate su strategie argomentative differenti - che affrontano gli interrogativi posti in essere dalle biotecnologie riproduttive rintracciando nell’autonomia individuale la ragione della libertà procreativa (cfr. Lecaldano, 1999, p. 171). È questo il caso, ad esempio, di uno dei più recenti studi di John Harris (2007), in cui si riconosce la libertà procreativa come un diritto morale fondamentale che, come tale, deve essere tutelato dall’interferenze di terzi. Riprendendo le teorizzazioni di Dworkin (1977) sul concetto di autonomia – facoltà da ricondurre, nel suo processo costitutivo, più che alla razionalità, alla dignità e all’integrità della persona – Harris sostiene che la difesa della libertà procreativa deve affondare le sue radici non tanto nella tutela di un astratto diritto alla libertà di per sé, ma, piuttosto, nell’importanza del significato che essa acquista nell’esperienza vissuta delle persone e nei valori che ad essa soggiacciono; ciò che questo diritto riconosce «is the freedom to choose one’s own lifestyle and express, through actions as well as through words, the deeply held beliefs and the morality which families share and seek to pass on to future generations» (Harris, op.cit., p. 76). Non è questa la sede per avanzare delle critiche alle tesi, spesso contradditorie, 41 presentate nel testo; esso qui ci interessa perché l’autore mette bene in evidenza la stretta connessione che si viene a creare fra il concetto di libertà negativa e l’importanza che viene riconosciuta, nelle società occidentali, al processo autopoietico morale individuale, improntato sulla “libertà di disegnare il piano della propria vita nel modo più consono al carattere di ognuno” e secondo propri valori e credenze. Tale connessione pone le basi per un’analisi critica dei processi di decision-making che, come avremo modo di vedere nella seconda parte di questo lavoro, rivestono un ruolo di primo piano nelle scelte procreative di coloro che, ad esempio, a causa di malattie genetiche trasmissibili alla futura prole, si avvalgono di tecniche – come la diagnosi genetica preimpianto – che permettono di conoscere lo “stato di salute” dell’embrione prima del suo trasferimento in utero; nello specifico, cercheremo di mettere in luce le modalità attraverso cui la libertà riproduttiva è posta in essere e continuamente negoziata nelle prassi della quotidianità, emergendo come un processo di autopoiesi etica. Un ulteriore contributo molto utile al fine della nostra disamina è quello elaborato da John Robertson, autore che ha fornito una delle argomentazioni più interessanti a sostegno della «presumptive primacy» (Robertson, 1994, p. 24) della libertà procreativa. Egli sottolinea come la riproduzione sia, da sempre, al cuore delle attività umane e come essa abbia un profondo significato per l’identità personale: «Procreative liberty should enjoy presumptive primacy when conflicts about its exercise arise because control over whether one reproduces or not is central to personal identity, to dignity, and to the meaning of one’s life» (ivi). Ciò vale anche per la procreazione postmoderna che si avvale dell’ausilio di tecniche biomediche perché, in 42 ogni caso – e probabilmente ancora di più – essa ricade nel dominio delle scelta: «The lens of procreative liberty is essential because reproductive technologies are necessarily bound up with procreative choice. They are means to achieve or avoid the reproductive experiences that are central to personal conception of meaning and identity. To deny procreative choice is to deny or impose a crucial selfdefining experience, thus denying persons respect and dignity at the most basic level» (ibidem, p. 4). Secondo Robertson la possibilità di avvalersi o meno delle tecnologie riproduttive deve essere demandata alla scelta – libera ed autonoma – dei soggetti interessati, in virtù di una facoltà, la libertà procreativa appunto, che viene a configurarsi come un diritto morale fondamentale nell’esperienza umana. Tuttavia, precisa l’autore, mentre coloro che procreano “naturalmente” possono godere appieno di questo diritto, nel caso in cui si ricorra all’intervento di tecnologie mediche nel processo riproduttivo, tale diritto non è più assoluto; anche questo tipo di libertà può essere limitata o ristretta quando prassi e tecniche procreative si rivelano lesive degli interessi altrui: «recognition of the primacy of procreation does not mean that all reproduction is morally blameless, much less that reproduction is always responsible and praiseworthy and can be limited. However, the presumptive primacy of procreative liberty sets a very high standard for limiting those rights, tilting the balance in favor of reproducing but not totally determining its acceptability. A two-step process of analysis is envisaged here. The first question is whether a distinctively procreative interest is involved. If so, the question then Is whether the harm threatened by reproduction satisfies the strict standard for overriding this liberty interest» (ibidem, p. 30). In primo luogo è quindi necessario stabilire 43 l’interesse procreativo in gioco che, secondo l’autore, deve essere individuato nella capacità dei soggetti coinvolti di attribuire un significato alla personale esperienza riproduttiva e a tutte le azioni che ad essa sono connesse, come, ad esempio, la cura della futura prole. Da questo punto di vista le argomentazioni presentate da Robertson introducono nel dibattito sulla negoziazione sociale del diritto morale alla procreazione un nuovo elemento, che pone l’accento non solo sulla libera scelta autonoma di riprodursi, ma anche sul ruolo genitoriale e sulle prassi di cura e responsabilità argomentazione è che spesso esso implica. utilizzata nel Questa dibattito contemporaneo per avallare la liceità morale di alcune tecniche riproduttive, come la fecondazione con donazione di gameti ad esempio, dove il legame genetico – alla base della struttura parentale occidentale – viene sostituito dal desiderio e dalla volontà di rivestire il ruolo genitoriale. In merito alla seconda questione sollevata da Robertson, cioè sui limiti che il diritto alla libertà procreativa dovrebbe avere, l’autore suggerisce di impiegare un “test di prossimità”, una sorta di esercizio comparativo tra la riproduzione “naturale” e quella biotecnologica; mettendo in pratica questo approccio si avrà modo di constatare che ci sono pochi casi in cui i danni, temuti e spesso evocati come irreversibili da parte dei detrattori delle tecnologie riproduttive, sono tanto determinanti da giustificare degli interventi restrittivi attraverso l’uso dello strumento giuridico. Molte concezioni contestano questa etica dell’autonomia in particolare rilevando che essa si accompagna ad una idea astratta e priva dell’elemento relazionale che implica la libertà procreativa (cfr. Botti, 2000, pp. 137-230). In effetti, sia Harris che Robertson, «più che una serie di regole in 44 positivo, sottolineano le ragioni negative che impediscono agli Stati di espropriare i propri cittadini di una qualsiasi parte della loro libertà procreativa» (Lecaldano, 1999, p. 173) e, focalizzando la loro attenzione solo sul momento della “scelta”, non prendono nella giusta considerazione le implicazioni etiche del costruire l’autonomia riproduttiva come un’attività nella quale ciascun individuo realizza sì se stesso ma, in misura non certo minore, coinvolge in questo processo di autorealizzazione anche le vite di altri soggetti. A nostro sentire, è proprio l’elemento relazionale – campo strutturato e strutturante della soggettività – che permette di pensare la libertà procreativa come un diritto morale positivo. Al fine di sostenere questa tesi ci avvarremo, ancora una volta, degli scritti di Michel Foucault volti ad indagare le modalità di costruzione della soggettività. Ne L’uso dei piaceri – Storia della sessualità 2 il filosofo francese elabora una vera e propria «genealogia» (Foucault, 1984, p.10) delle prassi e dei comportamenti sessuali nell’antica Grecia; esso risulta estremamente utile al fine della nostra disamina proprio perché mette in luce come la libertà stessa sia una pratica positiva di autopoiesi, realizzata attraverso la messa in atto – nelle prassi relazionali di tutti i giorni – di specifici valori morali socialmente e culturalmente negoziati: in virtù di questa considerazione, anche la libertà procreativa può essere pensata come una libertà positiva. Se ne La volontà di sapere – Storia della sessualità 1 Foucault aveva indagato le diverse forme attraverso le quali la soggettività viene forgiata dalle tecnologie del potere, nel secondo volume della trilogia egli sposta il focus analitico sulle modalità attraverso le quali gli individui costituiscono e riconoscono se stessi come soggetti etici, ponendo in essere delle vere e proprie «tecniche del sé» attraverso le 45 quali essi agiscono nella/sulla realtà e su se stessi, mediante delle prassi orientate da particolari codici morali, peculiari forme di essere nel mondo e specifici criteri etici ed estetici. Come si costituiscono, quindi, i soggetti etici secondo Foucault? Essi vengono a configurarsi come il risultato di tre campi – diversi ma complementari – che danno forma alla realtà culturalmente orientata: il campo della morale codificata; il campo della moralità dei comportamenti; il campo degli agenti morali. Per “codice morale” Foucault intende «l’insieme di valori e regole d’azione che vengono proposti agli individui e ai gruppi tramite apparati impositivi diversi, quali la famiglia, le istituzioni educative, le Chiese, ecc. Può avvenire che queste regole e valori siano molto esplicitamente formulati in una dottrina coerente e in un insegnamento esplicito. Ma succede anche che vengano trasmessi in modo diffuso e che, lungi dal formare un corpus sistematico, costituiscano un gioco complesso di elementi che si compensano, si correggono, si annullano su alcuni punti, consentendo così compromessi o scappatoie» (op. cit., p. 30). Il secondo campo è costituito dal «comportamento reale degli individui in rapporto alle regole e ai valori che sono loro proposti: si designano così il modo in cui essi si assoggettano più o meno completamente a una regola di comportamento, il modo in cui obbediscono a un divieto o a una prescrizione o vi si oppongono, il modo in cui rispettano o misconoscono un insieme di valori» (ivi). Infine, il terzo campo, in cui si realizza «il modo in cui un individuo deve “condursi”, vale a dire il modo in cui si deve costituire, deve costituire se stesso, come soggetto morale che agisce in relazione agli elementi prescrittivi che formano il codice. Dato un codice di azioni, e per un determinato tipo di azioni (che si possono definire in base al loro grado di conformità o di divergenza rispetto a quel 46 codice), vi sono diversi modi di “comportarsi” moralmente, diversi modi, per l’individuo che agisce, di operare non semplicemente come agente, ma come soggetto morale di quell’azione» (ibidem, p. 31). Per definire i diversi modi di darsi e di costituirsi del soggetto morale in una specifica azione, Foucault rintraccia quattro distinte fasi di realizzazione del sé: in primo luogo l’individuazione «della sostanza etica, vale a dire il modo in cui l’individuo deve costituire questa o quell’altra parte di sé come materia principale della sua condotta morale» (ivi); in secondo luogo deve determinarsi «il modo di assoggettamento, vale a dire il modo in cui l’individuo stabilisce il proprio rapporto nei confronti di quella regola e si riconosce legato all’obbligo di metterla in opera» (ivi); questo secondo aspetto chiama in causa direttamente il terzo, cioè il «lavoro etico che si conduce su se stessi, e non solo per rendere il proprio comportamento conforme ad una regola data, ma per cercare di trasformare se stessi in soggetto morale della propria condotta» (ibidem, p. 32); infine, è possibile pensare una vera e propria «teleologia del soggetto morale: un’azione, infatti, non è morale solo in se stessa e nella sua singolarità; lo è anche attraverso il suo inserimento e il posto che occupa nell’insieme di una condotta; è un elemento e un aspetto di questa condotta, e segna una tappa nella sua durata, un eventuale progresso nella sua continuità. Un’azione morale tende al proprio compimento, ma mira inoltre, attraverso questo, alla costituzione di una condotta morale che porti l’individuo non semplicemente a delle azioni sempre conformi a certi valori e certe regole, ma anche a un certo modo di essere, caratteristico del soggetto morale» (ivi). In breve, quindi, sostiene Foucault: «se è vero che ogni azione morale implica un rapporto con il reale in cui si 47 compie e un rapporto con il codice a cui si riferisce, è vero altresì che essa implica un certo rapporto con se stessi, e questo rapporto non è semplicemente “coscienza di sé”, bensì costituzione di sé come “soggetto morale”, in cui l’individuo circoscrive la parte di sé che costituisce l’oggetto di una pratica morale, definisce la propria posizione in relazione al precetto a cui ottempera, si prefigge un certo modo di essere che varrà come compimento morale di sé, e, di conseguenza agisce su se stesso, comincia a conoscersi, si controlla, si mette alla prova, si perfeziona, si trasforma. […] L’azione morale è indissociabile da queste forme di attività su se stessi che differiscono da una morale all’altra non meno del sistema dei valori, delle regole e dei divieti» (ibidem, p. 33). La soggettività viene quindi a configurarsi come un’esperienza storico-culturale radicata in specifici mondi morali locali: essa pone in essere singolari processi di autopoiesi che sono, allo stesso tempo, frutto sia delle tecnologie del sapere/potere del contesto politico di appartenenza che delle tecniche del sé. Nella sua disamina del processo autopoietico Foucault non fa alcun riferimento esplicito alla dimensione intersoggettiva dell’esperienza morale che, a nostro sentire, riveste invece un ruolo importantissimo proprio in virtù del fatto che «experience is intersubjective inasmuch as it involves practices, negotiations and contestations with others with whom are connected. It also the medium within which collective and subjective processes fuse, enter into dialectical relationship, and mutually condition one another. We are born to the flow of palpable experience, where our senses are first patterned by the symbols and social interaction of our local worlds. But our emergent subjectivities also return to those symbols and interactions, reconfiguring, repatterning, and 48 sometimes even completely reinterpreting them. Experience, then, has much to do with collective realities as it does with individual translation and transformation of those realities. It is always simultaneously social and subjective, collective and individual. Thus, we can talk of moral experience as the fusion of affect and moral meanings in the interpersonal realm» (Kleinman and Fitz-Henry, 2007, p. 53). Questa dimensione intersoggettiva dell’esperienza morale appare ancora più evidente nel contesto delle biotecnologie riproduttive, proprio in virtù di tutte quelle considerazioni che abbiamo fatto in apertura di questo lavoro sulla procreazione postmoderna. Torniamo ora brevemente al testo del filosofo francese per sottolineare un ultimo, ma non meno rilevante, aspetto della sua riflessione sulla morale sessuale degli antichi greci: «è una morale di uomini: una morale pensata, scritta, insegnata da uomini e rivolta a uomini, evidentemente liberi. […] Si rivolge loro relativamente a comportamenti in cui essi devono far uso del loro diritto, del loro potere, della loro autorità e della loro libertà […]. Bisogna intendere questi temi dell’austerità sessuale come elaborazione e stilizzazione di un’attività nell’esercizio del suo potere e nella pratica della sua libertà» (op. cit., pp. 27-28) . Qui si pone l’accento sul fatto che le prassi etiche non dovevano essere poste in essere dagli uomini in virtù del loro essere uomini ma, del loro essere uomini liberi o, più precisamente, del loro essere considerati e del considerarsi come uomini liberi: l’etica del sé per gli antichi greci quindi coinvolge sia l’aspetto della relazione autoriflessiva con la propria percezione della libertà, che il suo esercizio pratico. Come possiamo adattare le riflessioni foucaultiane alle nostre argomentazioni a sostegno di una concezione positiva della libertà procreativa? «By extrapolating the 49 analytic principles that Foucault outlines from the model of an Ancient Greek practice of freedom to the context of advanced capitalist liberal democracies, it can be argued that liberty rights similarly entail the enactment and practice of freedom today. […] It is precisely by virtue of being free – in the sense of being subjects of liberal democratic governance that presupposes the political value of liberty and extends liberty rights to all citizens – that we can engage in practices of freedom. Conversely, it is to the extent that citizens engage in practices of freedom that the liberal democratic principle of liberty rights for all citizens is enlivened and given a reality within the context of everyday life. In this sense, it is by virtue of engaging in practices of freedom that the free subject of liberalism has a reality. […] In this light , the democratic presumption [of procreative liberty] appears as a norm of individual freedom that is given in the culture of Western liberal democracies […]. Through its enactment in quotidian practices, that norm produces free subjects are artefacts of its enactment » (Mills, 2011, p. 50). Per riassumere, possiamo quindi affermare che è in virtù del nostro percepirci e del nostro costruirci come soggetti liberi – come soggetti che godono della facoltà dell’essere liberi – che poniamo in essere pratiche di libertà nelle prassi di tutti i giorni e a cui, di conseguenza, conferiamo uno statuto di realtà. Sulla scorta di questi riflessioni proviamo quindi a declinare, seguendo la quadripartizione analitica proposta da Foucault, la teleologia dei liberi soggetti riproduttivi della contemporaneità: la determinazione della sostanza etica è rappresentata dalla scelta, dalla volontà, dal desiderio e dalla capacità di mettere al mondo dei figli e di prendersene cura; il modo di assoggettamento è quello 50 declinato nell’idioma dell’autonomia e della realizzazione personale; infine, il lavoro etico è improntato ad un’etica somatica della responsabilità e della scelta. Quest’ultimo aspetto appare forse come il più significativo all’interno del contesto delle biotecnologie riproduttive dove, come avremo modo di vedere, l’idioma della libertà di scelta assume una valenza discorsiva pregnante. Come ben sottolineato da Rose, la libertà e, in particolar modo la libertà di scegliere, rappresenta la matrice e la lente di ingrandimento attraverso la quale i soggetti della contemporaneità costruiscono e interpretano se stessi e le loro azioni: «modern individuals are not merely “free to choose”, but obliged to be free, to understand and enact their lives in terms of choice. They must interpret their past and dream their future as outcomes of choice made or choices still to make. Their choice are, in their turn, seen as realizations of the attributes of the choosing person – expressions of personality – and reflect back upon the person who has made them. […] Norms of conduct operate a regime of the self where competent personhood is thought to depend upon the continual exercise of freedom, and where one is encouraged to understand one’s life, actually or potentially, not in term of fate or social status, but in terms of one’s success or failure acquiring the skills and making the choices to actualize oneself» (Rose, 1999, p. 87). Detto altrimenti, la libertà è l’habitus della contemporaneità. Per riassumere quanto sostenuto finora, ci sentiamo in grado di affermare che la libertà procreativa può essere vista come una forma di autopoiesi etica, per cui il soggetto titolare di questa posizione viene posto in essere e si costruisce – nelle prassi intersoggettive della quotidianità – attraverso la realizzazione del più ampio principio – 51 democraticamente riconosciuto – della libertà individuale. Questa prospettiva sposta il focus dall’assenza di interferenze e costrizioni esterne sull’azione individuale, alle capacità positive degli individui di acquisire modi e forme di essere nel mondo in grado di accordarsi con le loro scelte (riproduttive, in questo caso) e con i valori più profondi che attribuiscono un significato alla personale esperienza intersoggettiva vissuta. Se, quindi, accettiamo la formulazione teorica per cui la libertà si realizza e viene posta in essere dalla “pratiche del sé”, l’intreccio fra procreazione, tecnologie della riproduzione e scelte morali può essere pensato non solo come un’estensione delle pratiche di libertà, ma viene a configurarsi come una loro problematizzazione: è per questo che, nella seconda parte di questo lavoro, proveremo ad elaborare un’analisi delle pratiche a partire dalle quali queste problematizzazioni si formano. Prima di concludere vorremmo però riflettere brevemente su un’ultima questione: la regolamentazione giuridica del diritto morale alla libertà procreativa. Alcune concezioni etiche riconoscono non solo un diritto morale alla libertà procreativa ma, soprattutto, un diritto positivo di tutela e di sostegno di tale libertà (cfr. Pollo, 2003). A nostro sentire, tuttavia, l’incunearsi del diritto positivo nella maglie di un ambito così personale e delicato della vita soggettiva può rivelarsi un meccanismo discorsivo ambiguo se non, delle volte, lesivo degli interessi che dovrebbe in realtà tutelare. Tuttavia la dimensione giuridica, come dimensione strutturata e strutturante della realtà in cui gli esseri umani si muovono, non può essere elusa dal processo autopoietico: «la libera costruzione della personalità è formula che non implica la definizione di un’area riservata alle scelte individuali priva di ogni rapporto con la regola 52 giuridica. Individua piuttosto uno strumento che rende possibile l’autonomo perseguimento di una politica dell’identità personale. […]. La libera costruzione della personalità può certo essere pensata indipendentemente dallo spazio giuridico, ma concretamente si pone, da una parte, come polo dialettico rispetto alla produzione di regole giuridiche, risolvendosi appunto nell’autonoma determinazione delle proprie regole di comportamento e di relazione; e, dall’altra, come prodotto di una scelta politica e sociale, che fonda giuridicamente il riconoscimento di spazi di autonomia» (Rodotà, 2009, p. 22). Come coniugare quindi i meccanismi discorsivi del diritto positivo alle prassi dei soggetti etici incorporati in merito alle scelte procreative? Ci sentiamo qui di abbracciare, ancora una volta, la tesi sostenuta da Rodotà per il quale la soggettività deve essere governata «secondo ipotesi di diritto e di non diritto, in un continuo rapporto tra “pieno” e “vuoto” di norme giuridiche. E in una dimensione in cui compare anche “il diritto di sbagliare”. […] Bisogna considerare la persona attraverso una continua serie di sfaccettature, ora riconoscendole autonoma capacità di decisione, ora accompagnandola con forme di sostegno» (ibidem, pp. 2427). In una realtà multisfaccettata – pregna di significati simbolici – in cui campi di sapere, tipi di normatività e forme di soggettività sono strutturati e si strutturano reciprocamente in una continua dialettica discorsiva, è necessario prendere in esame i molteplici itinerari – complessi e mai lineari – e i modi attraverso i quali la “vita stessa” e le sue forme si inscrivono in questa realtà. Il legislatore dovrebbe quindi tenere in considerazione questa complessità del reale e ricorrere «sempre più spesso a un diritto flessibile e leggero, che incontra la società, promuove l’autonomia e il rispetto reciproco, e avvia così la creazione 53 di principi comuni. Deve divenire consapevole dei limiti del diritto, dell’esistenza di aree dove la norma giuridica non deve entrare, o deve farlo con sobrietà e mitezza» (ibidem, pp. 24-27). Tali aspettative ed auspici sono stati totalmente disattesi dal legislatore italiano nella stesura della legge 40/2004, volta a regolamentare l’ambito della procreazione medicalmente assistita. Legge discussa e discutibile. Legge “manifesto” per molti. Legge non solo non riconosciuta socialmente, ma anche delegittimata dalle decisioni giurisprudenziali degli ultimi anni. 54 PARTE SECONDA 55 2. Scelte procreative: la famiglia al tempo del genoma. Il caso italiano. La seconda parte del nostro studio sarà interamente dedicata all’analisi delle pratiche discorsive che prendono forma all’interno delle cliniche di procreazione medicalmente assistita12 e dei laboratori di genetica clinica. Proveremo a comprendere meglio, mediante le narrazioni di pazienti e medici, la reale esperienza vissuta da coloro che si confrontano quotidianamente sia con le prassi e le scelte che le nuove tecnologie della vita pongono in essere, sia con le limitazioni imposte dal legislatore italiano: cercheremo di indagare come queste persone realizzano quel processo di autopoiesi etica che prende forma «nell’effettiva gestione di loro stessi e delle loro vite rispetto ai dilemmi cui si trovano di fronte e ai giudizi che debbono formulare e alle decisioni che devono prendere» (Rose, op.cit., p. 407). Proporremo quindi un’etnografia che si sviluppa intorno alla comunità biosociale della clinica HERA di Catania, un centro di medicina riproduttiva davvero particolare, per storia e costituzione. Questo centro nasce proprio dall'idea di medici e pazienti di proporre un nuovo e diverso modo di approcciarsi alla medicina della riproduzione: la sua peculiarità principale è quella di aver sempre privilegiato la relazione di cura rispetto al guadagno e di aver posto la volontà, le esigenze e la specifica condizione della coppia al di sopra di qualsiasi altro interesse; dall’approvazione della legge in poi, il centro ha anche assunto un ruolo di primo piano in tutte le battaglie legali – dal referendum del 2005 fino ai ricorsi presentati alla Corte Costituzionale italiana – che hanno 12 D’ora in avanti, PMA. 56 contribuito alla riscrittura di alcuni degli aspetti più iniqui del dettato normativo. Questo lavoro di antropologia applicata vuole dunque rappresentare un piccolo tassello di una cartografia più ampia delle diverse, multisfaccettate e complesse dimensioni del reale, che abbiamo cercato di indagare, da un punto di vista prettamente teorico, nella prima parte di questo studio: sulla base delle tesi che abbiamo sinora argomentato e sostenuto vorremmo qui delineare i modi attraverso i quali coloro che abbiamo definito «cittadini biologici debbano riformulare le loro risposte alle tre famose domande di Kant – Cosa posso conoscere? Cosa debbo fare? Cosa posso sperare? – nell’epoca della biopolitica molecolare della vita» (ivi). Nello specifico, nei paragrafi a seguire ci occuperemo delle esperienze di coloro i quali si non imbattuti nei dei due aspetti delineatisi, sin da subito, come i più problematici della legge e che hanno dato il via a tutta una serie di azioni legali e di decisioni giurisprudenziali: la proibizione, de facto, della Diagnosi Genetica Preimpianto e la fecondazione con donazione di gameti. Non è nostra intenzione qui presentare le diverse tappe né dell’iter legislativo né delle molte sentenze a favore delle modifiche alla legge pronunciate da svariati tribunali, dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, dal TAR del Lazio e dalla stessa Corte Costituzionale Italiana13; vogliamo solo sottolineare un aspetto che reputiamo estremamente importante in virtù di quanto detto sinora: tutte le istanze di modifica sono state presentate da coppie organizzate intorno a comunità biosociali che si sono Per questi aspetti si vedano, rispettivamente, i pregevoli lavori di Carlo Flamigni, Diario di un laico. Viaggi, incontri e scontri sulla legge per la procreazione assistita, Edizioni Pendragon, Bologna, 2007; D’Amico M., Clara M., Alesso I. (a cura di), La cicogna e il codice. Fecondazione assistita, riflessioni e prospettive, Franco Angeli, Milano 2010. 13 57 battute per il riconoscimento di un diritto alla libertà di scelta in ambito procreativo. Il percorso intrapreso contro la legge 40/2004 attraverso lo strumento della giurisprudenza si è rivelato particolarmente proficuo soprattutto nel caso della Diagnosi Genetica Preimpianto che, da tecnica “proibita”, è stata trasformata in tecnica “possibile”. Come ormai ben noto, gli aspetti più limitativi della legge sulla regolazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita riguardavano quelli stabiliti dall’articolo 14 (Limiti all’applicazione delle tecniche sugli embrioni): il numero massimo di embrioni che possono essere creati (identificato nel numero di tre), l’obbligo del loro trasferimento in utero in un’unica e contemporanea soluzione, il divieto di crioconservazione e la sola “attività osservazionale” che su di essi può essere condotta. La sentenza della Corte Costituzionale (151/2009) prima e, in ultimo, quella più recente della Corte Europea nello scorso agosto, hanno pian piano destrutturato l’impianto della legge che limitava l’accesso a una tecnica come la Diagnosi Genetica Preimpianto, almeno a livello teorico. Nella prassi, invece, esistono ancora forti limitazioni alla fruizione di questa tecnica (come dimostra l’ultima ordinanza del Tribunale di Cagliari del 9 novembre scorso). In primo luogo sussiste ancora una forte discrepanza fra l’offerta privata e quella pubblica: su 357 centri di PMA attivi in Italia, nessuno preimpianto14; dei in 76 pubblici secondo offre luogo, i la diagnosi costi della crioconservazione degli embrioni soprannumerari sono ancora molto elevati e non tutte le strutture – comprese quelle private – sono propense a dedicare spazi e risorse a Relazione del Ministro della Salute al Parlamento sullo stato di attuazione della legge contenente norme in materia di procreazione medicalmente assistita (Legge 19 febbraio 2004, n°40, articolo 15). Attività anno 2010 centri di procreazione medicalmente assistita. 14 58 questa tecnica. Per questi, e per molti altri motivi, nel corso di questi anni – ed ancora oggi, in alcuni casi – le coppie che desideravano usufruire dei vantaggi offerti dalla tecnica di diagnosi preimpianto dovevano rivolgersi ai centri esteri. Stessa sorte è riservata a coloro che decidono di avvalersi di tecniche di fecondazione con donazioni di gameti. Come viene quindi a strutturarsi l’esperienza di queste persone? Come si costruiscono e si conducono i soggetti morali in relazione alle prassi e alle scelte etiche che le nuove tecnologie della procreazione implicano? Come vengono a configurarsi queste prassi nel contesto della biopolitica e dell’etopolitica della contemporaneità? Cercheremo di rispondere a questi e ad altri interrogativi nei paragrafi a seguire. 59 2.1 La Diagnosi Genetica Preimpianto La Diagnosi Genetica Preimpianto15 potrebbe essere vista come il punto di intersezione tra la genetica clinica e il mondo della PMA, che funge da piattaforma tecnologica sia per l'infertilita che per la diagnosi genetica. Esse quindi si rispecchiano l'una nell'altra e non e possibile parlare delle dimensioni e delle implicazioni sociali, etiche e politiche dell'una senza evocare indirettamente l’altra. Vorremmo, in questa sede, da una parte, cercare di rendere piu espliciti i contesti biosociali all'interno dei quali i significati della tecnica sono negoziati perche, come abbiamo sottolineato piu volte nel corso di questo lavoro, se e vero che le scelte poste in essere dalle biotecnologie sono nuove, esse sono comunque implicate nelle medesime reti di relazioni: genere, famiglia, medico e paziente, cittadino e Stato; dall'altra parte, vorremmo cercare di comprendere, attraverso le voci di coloro che sono coinvolti in prima persona (fruitori delle tecniche e clinici), il processo di formazione e di problematizzazione di certe prassi etiche in merito all’suo di una tecnica, la DGP appunto, che viene a configurarsi come «a condensed node of social action, or a nodal point of exchange between different “stream” of social action» (Franklin, Roberts, 2006, p. 79). Sicuramente piu di altre, questa tecnica emerge come fortemente improntata da un’etica somatica della responsabilita perche essa mette in gioco le radici piu profonde dell’identita personale – ridefinita in termini biologici attraverso il processo di genetizzazione – e, di conseguenza, apre l’esperienza incorporata dei soggetti della contemporaneita a nuove 15 Da ora in poi, per brevità, DGP. 60 forme e a nuovi modi di pensarsi, costruirsi e condursi. Ecco quindi che le “tecnologie del se” foucaultiane si colorano di una nuova sfumatura, declinandosi in «tecnologie del se genetico: una combinazione di forme di conoscenza, competenza specialistica e tecniche diagnostiche» (Rose, op.cit., p. 181). Queste tecnologie del se genetico sono costituite da quattro dimensioni fondamentali, tra loro fortemente connesse, che qui presentiamo in breve: in prima istanza e necessario procedere al riconoscimento di una «identità genetico-molecolare»: essa permette agli individui di pensarsi in termini biologici e di valutare la propria condizione attraverso la dicotomia (riduttiva della complessita) “sano/malato”; tali informazioni genetiche aprono a loro volta la strada alla formazione di un campo di problematizzazione etica, che investe la sfera dei modi di condursi in base alle conoscenze acquisite; tali conoscenze, a loro volta, pongono in essere una nuova relazione con il sapere specialistico, che acquisisce un ruolo fondamentale e riconfigura i rapporti di potere/sapere all’interno della relazione tra clinici e potenziali pazienti; infine, la quarta ed ultima dimensione riguarda il campo della formazione di vere e proprie «strategie di vita: un campo etico complesso, visto che la questione di come si debba vivere scaturisce dall’intersezione di molteplici problemi etici, a volte in conflitto. Solamente un numero di forme di vita e a nostra disposizione: le pratiche e le tecniche di cui possiamo avvalerci per modellare noi stessi e plasmare la nostra vita sono delimitate dalle pratiche culturali dominanti e sono storicamente definite» (cfr. Rose, op. cit., pp. 199-203). Alla luce di queste riflessioni possiamo quindi definire la DGP come un dispositivo di costruzione culturale della realta che «acquires an overdetermined significance that is derivative of its multifaceted meanings» (Franklin, Roberts, 61 op.cit., p. 79). Ma quali sono questi significati multisfaccettati? I detrattori di questa tecnica ne parlano – non solo nei dibattiti interni alla disciplina bioetica ma anche, e soprattutto, in quelli rivolti all’opinione pubblica – in termini di eugenetica: essa verrebbe utilizzata dai potenziali genitori per la ricerca del bambino perfetto (rappresentato, in queste prassi discorsive fondate su una retorica persuasiva, dall’espressione fenotipica “bambino biondo con gli occhi azzurri”); l’aspetto interessante e che tale intenzione, nelle parole delle coppie protagoniste di questo studio, viene rigettata in toto: essa viene riformulata attraverso la coppia oppositiva sano/malato che, ovviamente, evoca una retorica emotiva di tutt’altro genere. Cio che queste persone desiderano e “avere un figlio sano, non un figlio perfetto” e, soprattutto le donne, vorrebbero non dover vivere nuovamente l'esperienza traumatica di un aborto, naturale o terapeutico che sia, in seguito alla scoperta di portare in grembo un “figlio malato”: Giacomo: quello che vorremmo evitare è proprio un ulteriore aborto terapeutico...se voglio un figlio malato non ho bisogno di fare la diagnosi preimpianto, possiamo anche cercarlo in modo naturale... ma noi non ce la sentiamo... Vorremmo qui sottolineare che nessuna delle coppie che hanno collaborato a questo studio aveva dei problemi riproduttivi, erano cioè tutte in grado di concepire naturalmente, quindi, ciò che essi chiedono alla biomedicina riproduttiva è « precisely not to give nature a helping hand but, rather, to prevent it doing what it might have done “by itself”» (ibidem, p. XX). La DGP viene quindi a configurarsi come una tecnologia medica che pone in essere nuovi tipi di scelte continuamente negoziate all'interno di una vera e propria 62 tecnologia discorsiva (ibidem, p.92), dove il personale e l'individuale non possono essere scissi dalle più ampie rappresentazioni intersoggettive dei dispositivi tecnologici attraverso cui la procreazione “si fa”. I prossimi punti andranno quindi ad evidenziare, da un parte, la storia della tecnica stessa e, dall'altra, come essa sia entrata nella storie personali delle coppie che hanno provato l'esperienza del trattamento e che li ha resi dei veri “esperti”: «consumers of a biomedical technology can be seen as experts capable of analyzing its burdens and benefits and casting a rather different light on contests for meaning and rationality» (Rapp, 1998, p.48). Prima di procedere con le narrazioni dei pazienti, desideriamo evidenziare che, a questo studio, mancano delle voci importanti: quelle delle coppie che, dopo aver superato il “rito di passaggio” della prima consultazione al centro e una volta entrate in contatto con l'universo della DGP, hanno deciso di non proseguire con il trattamento per ragioni economiche e/o inerenti alla morale. Cercheremo comunque di spiegare come, passo dopo passo, le coppie si siano avvicinate alla tecnica e abbiano percepito i diversi tipi di opzioni che essa offriva loro, e come, insieme al personale medico del centro, abbiano vissuto l'esperienza della scelta, della speranza, delle aspettative, delle delusioni, della rabbia, della felicità. Rayna Rapp – nel suo lavoro tra le donne newyorkesi che rifiutano di sottoporsi alle diagnosi prenatali – sostiene che «this new biomedical technology provides a context in which every pregnant woman is interpolated into the role of moral philosopher: one cannot confront the issue of the “quality control” of fetuses without wondering whose standards for entry into the human community will prevail and what the limits of voluntary parenthood might be» 63 (Rapp, op. cit., p.46). Le donne e gli uomini che sono stati intervistati durante il lavoro di ricerca non solo possono essere considerati dei “filosofi morali”, in quanto si trovano, come sottolinea Francesco, nella difficile situazione di dover prendere delle decisioni in un contesto estremamente incerto come quello creato dalle biotecnologie: Francesco: chi non vive questo tipo di problemi pensa che è il piacere di non avere un figlio anche malato... che non è necessariamente così... [...] non sono mai decisioni, anche la scelta di abortire, non è mai... delegata... [...] io conosco tanta gente che appena ha saputo di avere un problema si è sforzata, anche perché oggi è più facile reperire informazioni, cioè sono scelte e decisioni meditate a lungo... purtroppo ci sono anche quelli che cercano il figlio biondo con gli occhi azzurri, o il maschio piuttosto che la femmina, che poi portano a generalizzare il discorso e portano discredito su delle tecniche e su chi vive delle problematiche... Ma queste coppie sono hanno giocato un ruolo pioneristico anche in senso storico (cfr. Franklin, Roberts, op. cit., p. 109), in quanto sono state le prime a doversi confrontare con le restrizioni e i dettami della legge 40: Davide: quando abbiamo deciso di sposarci la diagnosi genetica si poteva fare... Sandra: e noi tra l'altro eravamo informatissimi [...] e quindi lo sapevamo perfettamente che c'era la diagnosi genetica e che sicuramente ti fa stare più sereni, cioè la vivi in un'altra maniera, perché sai che hai una possibilità tra virgolette... e solo che poi è uscita la famosa legge nel 2004, noi nel 2005 ci siamo sposati, esattamente una settimana dopo il referendum... e questo è stato il regalo che ci hanno fatto... ci siamo sposati consapevoli del fatto che c'era 'sta benedetta legge 40 che ci impediva la diagnosi... Sandra e Davide, entrambi portatori sani di betatalessemia, definiscono la loro scelta di sottoporsi alla DGP come una possibilità, un'opzione che si sceglie innanzitutto per ragioni emotive: Davide: diciamo che noi a priori scartavamo l'idea di concepire un bambino e poi al terzo mese di gravidanza... Sandra: no no, assolutamente... non mi sono proprio... io sono sincera... io vivevo col terrore, per me era una cosa... il pensiero di rimanere incinta, di dover fare un'amniocentesi e poi sapere... 64 dover decidere se tenerlo o no... solo il pensiero mi faceva morire... stavo malissimo solo a pensarlo...per cui sempre è stata una cosa di cui abbiamo parlato... [...] e quindi pur essendo fertili abbiamo deciso di fare la diagnosi preimpianto. La rinuncia alla propria fertilità è il prezzo che si deve pagare in nome di un maggiore controllo genetico. Da un punto di vista emotivo, quindi, è preferibile sottoporsi a una tecnica che permette di conoscere lo stato di salute dell'embrione prima del suo impianto in utero, piuttosto che dover scegliere se portare avanti o meno una gravidanza di un feto con gravi disabilità. La DGP comincia ad emergere, dalle parole dei suoi fruitori, come una prassi informata da una profonda etica somatica improntata alla responsabilità nei confronti di sé stessi, del proprio compagno, del potenziale figlio, ma anche della società stessa; come per Giovanni, malato di retinoblastoma, forma tumorale di origine genetica, trasmissibile per via paterna: Giovanni: io l'ho vissuta sulla mia pelle, io quando ero piccolo la colpa la davo ai miei genitori, perché tu sei diverso dagli altri, non puoi fare alcune cose... cioè, i genitori erano molto protettivi e ti ponevano dei limiti. Poi quando sono cresciuto i limiti li scopri da solo, fino a dove puoi arrivare. Quindi io mi sento almeno in dovere di cercare di evitare la malattia ai miei figli, per quello che ho passato io, mia sorella, mio padre, è tutta una situazione... cioè tu la vivi... non è come i miei genitori, non lo sapevano, sono arrivati, bene, ma tu che sei consapevole di avere questa malattia di trasmetterla, a me sembra incosciente, perché poi cioè... tu regali un tumore a tuo figlio... hanno fatto delle statistiche, tutti quelli che hanno il retinoblastoma possono con il tempo sviluppare il tumore alle ossa, cioè... quindi, almeno io non mi sento di fare questa cosa... Francesco: è giusto, da genitore, mettere al mondo un figlio che può avere lo stesso tipo di problema? Grazia: io un figlio malato non lo farei nascere... io ad esempio non condivido chi non fa un'amniocentesi perché comunque, qualsiasi problematica, come ad esempio un down, purtroppo non viviamo in una realtà dove ci sono anche le strutture per consentirti di portare avanti queste situazioni che sono pesantissime... 65 Queste coppie hanno scelto di percorrere la strada ardua e incerta offerta loro dalla tecnica che, producendo nuove forme di responsabilità, individuale e sociale, porta di conseguenza a nuove scelte, scelte meditate e graduali, molto impegnative da un punto di vista emotivo: Grazia: io credo che quello che si fa è un percorso, io non credo che ci sia una coppia... cioè comunque prima devi vivere anche un lungo periodo di infertilità per cominciare a pensare ad una tecnica... non è che uno dopo due mesi che non riesce ad avere un bimbo ricorre alla tecnica, figuriamoci una DGP... almeno per noi è stato così, prima di giungere a questa decisione sono passati due anni e mezzo e quattro aborti... Sandra: io non sono così pazza da dirti “ o sai che bella la diagnosi preimpianto, ti fa stare bene perché ti levi tutti i pensieri...!” per me anche quella, personalmente, non è un aborto per me, ma è comunque... ML: non lo vedi come un normale esame diagnostico? S: no, no... e per me, ti dico la verità è anche da folli pensarlo... non è così... non è un semplice esame... io ci sto male... ci sono stata male la prima volta, ci sto male ora ed è una cosa che non dimenticherò mai... che non ti puoi dimenticare mai... [...] sicuramente, sotto un certo punto di vista, è un po' più leggero di un aborto... ma non è una cosa che tu ti svegli la mattina e decidi di farla perché ci hai riflettuto mezz'ora e decidi di farla... è una cosa che tu maturi, è una cosa che tu ci pensi, ci ripensi, perché comunque gli scrupoli te li fai [...]. Le parole di Sandra sottolineano una delle maggiori questioni sollevate dalla medicina riproduttiva, cioè «the relationship between the reproductive desires or successes of individual couples who choose to undergo the new techniques and the wider questions that a technique such as PGD poses for everyone else» (Franklin, Roberts, op. cit., p. 195). Le questioni, i dubbi, gli interrogativi e gli “scrupoli” – come li definisce Sandra – che queste coppie affrontano, riguardano soprattutto la sfera individuale delle credenze e della morale: Francesco: quando abbiamo avuto il primo aborto io ho cominciato a pensare a fare una DGP [...] ho cominciato a documentarmi [...] e mi ponevo il problema se fosse giusto 66 selezionare comunque una vita... perché... cioè io non sono convinto che impedire a una vita, anche malata, di avere un luogo sia giusto... non dico che è sbagliato, ma non so neanche se è giusto... cioè ho maturato il fatto che se tu certe cose non le vivi, certe decisioni, certe scelte, sono... sono difficili da giudicare... io non so se me la sentirei... Giovanna: considerando la possibilità, come ci ha suggerito la genetista, che si poteva fare la DPG all'estero abbiamo cominciato a riflettere su questa opportunità e ti dirò comunque che è stata una scelta anche molto maturata perché è passato un anno da quando abbiamo deciso di provare... [...] ci abbiamo riflettuto con mio marito e poi abbiamo deciso di intraprendere comunque questa strada perché... io sono cattolica [...] io ho voluto un po' riflettere su questa cosa, ho letto in giro, diciamo che mi sono voluta anche dare una giustificazione a quello che stavo facendo, ora non so se sia giusto... però, per noi, come coppia, era l'unica strada, fare una DGP per avere un figlio, non per fare una selezione della specie come dice qualcuno, ma per avere almeno un figlio sano. Questo non è che garantisce che nostro figlio sarà perfetto o che avrà determinate caratteristiche fisiche, ma solo che possa partire tranquillamente, poter iniziare la sua vita tranquillamente senza sapere di dover già affrontare delle cure assurde... questa insomma è stata la cosa che ci ha fatto decidere di iniziare questo iter che, ti dico, già è pesante di suo, poi a noi ci tocca anche fare un viaggio... Da questi diversi passi delle interviste emergono due aspetti estremamente interessanti: in primo luogo la profonda riflessione etica che accompagna il cammino verso determinate scelte, il loro definirsi come campo di problematizzazione morale e la continua negoziazione delle “tecnologie del sé” e delle “strategie di vita” che i soggetti coinvolti devono configurarsi della realizzare; tecnica in secondo come un luogo, il dispositivo prevalentemente narrativo, un meccanismo dialogico su base relazionale che affonda le sue radici nel rapporto fra clinico e paziente e che, di conseguenza, riconfigura in maniera significativa il binomio sapere/potere insito in questo rapporto. In merito a quest’ultimo punto possiamo aggiungere una riflessione di carattere più generale sull’importanza che riveste l’instaurare una relazione di fiducia con il personale medico che opera nel campo della 67 procreazione medicalmente assistita, «in cui la relazione sessuale e sentimentale tra i coniugi non è più ciò che da luogo a una nascita; vi è la necessità per i pazienti di mantenere una componente relazionale, sentimentale, oltre che morale, nel “processo riproduttivo”» (Gribaldo, op. cit., p.16). Questo elemento relazionale è venuto completamente a mancare negli anni in cui la DGP in Italia era, de facto, vietata; le coppie, dopo la “preparazione” in Italia, erano costrette a recarsi all’estero dove, per le difficoltà inerenti alla comunicazione in una lingua differente dalla propria e per la diversità dei protocolli adottati, viene a cadere quel processo di costruzione comune – di alleanza terapeutica tra clinici e pazienti – che permette di attribuire un senso all'esperienza che si sta vivendo: Miriam: tu arrivi là in sala operatoria che ti devono fare tutto, ti devono addormentare e sei sola, perché lui (il marito) non può neanche entrare, ti devi solo fidare... non puoi fare altro... cioè non li hai mai visti, una cosa è che sei con il tuo ginecologo che ti dice ora facciamo questo, ora facciamo quest'altro, ti spiega, ti aiuta a capire... quando sei là ti addormentano e ti fanno quello che ti devono fare… Alessandra: noi siamo portatori sani di bethatalassemia, già abbiamo alle spalle tre gravidanze naturali, con diagnosi tutte e tre andate male, con aborti terapeutici e abbiamo alle spalle anche una fecondazione fatta in un centro di Palermo [...] adesso stiamo iniziando l'iter per andare all'estero... Paolo: perché l'idea della malattia che sin dal primo giorno del concepimento non puoi curare, come nel nostro caso, non li puoi curare... Alessandra: e adesso siamo costretti ad andare all'estero per evitare di nuovo... in mezzo a medici che non conosci... Sandra: una bellissima esperienza, veramente (ride)... fantastica, sotto tutti i punti di vista... sei fuori in un paese che non conosci, una lingua che non conosci, medici che non conosci, gli unici punti di riferimento siamo noi due... e affrontare una cosa del genere non è semplice, ci stai male, è normale, e sei solo... Davide: cioè nella camera d'albergo, quando lei stava male, perché una volta che è passato l'effetto dell'anestesia, quando ci siamo ritirati abbiamo cominciato a vedere che stava male... a chi ti rivolgi... oltre chiamare il dottore qui a chi ti rivolgi? Cosa fai? 68 Sandra: niente! È che da certi punti di vista ti comporti anche da irresponsabile... questa è la sensazione che ho io... io sono andata la, non so chi è, chi non è, non so come lavorano, come non lavorano... vai... cioè devi andare... non hai alternativa... non c'è un altro modo e quindi ti butti... Dalle parole di Sandra emerge quel senso di “inevitabilità” che sfiora le storie di vita di queste coppie: la malattia è qualcosa di inevitabile, è inscritta nelle pieghe più profonde della propria identità biologica e il ricorso alle biotecnologie procreative viene percepito come l’unica possibilità – non a caso esse vengono definite «tecnologie della speranza» (cfr. Franklin, 1997) – l’unica prospettiva, anch'essa inevitabile se ci si muove dentro un contesto di etica somatica della responsabilità, anche se esse offrono solo un più alto livello di controllo, non di certezze. E qui si delinea un aspetto paradossale della DGP che, trovandosi in una zona liminare tra possibilità e controllo, da una parte intensifica «the power to diagnose is also, at another level, amplification of pathology. At one level chance and control are opposed: instead of “leaving it all to chance”, there is the option of “being controlled properly”. However, since arrival at PGD confirms the presence of more serious disease, the prospect of “greater control” is double-edge (possibly more control but only in relation to a worse set of prospects)» (Franklin, Roberts, op. cit., p. 125). Da una parte quindi, la DGP, permette un maggiore controllo sui “fatti di natura”, come nel caso di Grazia, la cui traslocazione cromosomica non le permette di portare avanti la gravidanza: Grazia: io ho avuto 4 gravidanze naturali che si sono interrotte massimo entro l'undicesima settimana... cioè solo la prima volta sono arrivata all'undicesima settimana e durante la prima gravidanza sono arrivata a sentire il battito, mentre in quelle successive la prima è stata un'interruzione alla settima settimana, quindi, molto ma molto precoce, le altre due, consapevole anche del fatto che la precedente si era interrotta abbastanza presto, mi hanno fatto fare tipo riposo assoluto, mi 69 hanno fatto fare insomma una cura farmacologica che poi è un protocollo che fanno tutti quanti, un po' di cortisone, un po' di eparina, perché io fino a novembre, cioè non era nemmeno ben chiaro nel medico che precedentemente mi seguiva cosa comportava questa traslocazione, io ero cioè il classico caso di gravidanza a rischio, che non riesce ad andare avanti... Francesco: Diciamo che statisticamente su 12 ovociti 1 è completamente sano, si riesce a separare, uno li mantiene attaccati però non ha altri pezzi, gli altri 10 hanno o mancanze o eccessi, sono tutti casi incompatibili con la vita, quindi portano a interruzioni di gravidanza nel primo trimestre... Grazia: insomma all'inizio speravamo che naturalmente potesse andare bene... F:perché non è impossibile avere dei figli naturalmente, cioè, è molto difficile, perché, l'altra cosa che ci hanno detto e che comunque naturalmente, dei 10 difettosi molti non si dovrebbero nemmeno impiantare, quindi la natura dovrebbe fare una selezione a monte, fatto sta che al quarto tentativo... D' altra parte, come detto, si assiste a un'amplificazione della malattia stessa, sia nel paziente che si sottopone alla tecnica sia nei confronti del figlio che si desidera, cosa che diventa un ulteriore dilemma etico per le coppie: Francesco: io penso che chiunque ha piacere a trasmettere il suo corredo cromosomico... Grazia: tranne io (ride)... che non è il caso... Francesco: ma non è così... Grazia: io ci sono arrivata a questa considerazione... [...] e sicuramente farei un'amniocentesi perché io un figlio malato non lo farei nascere [...] da questo punto di vista sono drastica, preferisco sapere e fare un tipo di scelta conseguentemente... ML: quindi se tu adesso restassi incinta dopo tutto quello che avete fatto e scoprissi che non è sano... Grazia: non lo metterei al mondo, cioè nonostante tutto... Francesco: io non ho questa stessa certezza, non sono così categorico poi, probabilmente, maturerei la stessa scelta, però non sono convinto... cioè non sono sicuro che lo farei e... cioè anch'io sono per l'amniocentesi, è giusto avere delle informazioni anche perché le patologie non sono tutte le stesse, però... non me la sento di fare una graduatoria, fino a questo livello di problemi sono accettabili, questi altri no... mi ci dovrei trovare, non sono nella condizione di dire... e possibilmente avere anche dei rimorsi... 70 Grazia ci permette di sottolineare una caratteristica importante che differenzia coloro che si sottopongono a un classico ciclo di PMA, da coloro che invece si avvalgono della PMA per poi fare dei test genetici sugli embrioni: «IVF is oriented toward assistance to conception, while PGD offer assistance to heredity. The goal of IVF is a child, whereas the goal of PGD is, in a sense, the reverse, in that it is aimed at preventing some kinds of children being born» (Franklin, Roberts, op. cit., p. 161). Accostarsi a una tecnica di PMA richiede, come si evince da queste narrazioni, un grande coinvolgimento emotivo da parte della coppia e, di conseguenza, una nuova ridefinizione della propria soggettività durante tutto il percorso, dai primi esami diagnostici, passando per la stimolazione farmacologica, fino ad arrivare all'attesa di un risultato dopo un eventuale trasferimento embrionario: Giovanna: una cosa che è molto importante è questa cura, siccome la donna è la protagonista, perché prende tutti 'sti farmaci, punture, pillole, ha bisogno di una figura forte, ecco, mio marito che è sensibile, io gli dico sempre “se tu non mi dai forza e io ti vedo sempre con questa faccia cupa” (ride)... non è una cosa positiva, ecco, mio marito... mio marito è una persona sensibile quindi è come se la vivesse in prima persona, non è che è pauroso è sensibile, quindi lui, quando mi vede che faccio la puntura o che ho mal di testa... [...] per noi è una cosa pesante questa (ride)... per lui di più, per me alla fine, ecco, voglio viverla con positività, che è una cosa importante, senza avere false speranze, senza pensare che tutto vada bene per forza... quindi pensare in positivo però senza farsi delle false illusioni, perché sappiamo che la percentuale di riuscita è sempre del 30%... viverla positiva e affrontarla con spirito positivo, senza troppa ansia, ma senza farsi troppe illusioni che andrà sicuramente bene... non vorrei poi che la delusione fosse troppo grande... In Giovanna, come nelle altre coppie protagoniste di questo studio, emerge questa peculiare elaborazione del lavoro etico da condurre su se stessi, un vero e proprio meccanismo di costruzione del sé che lo metta al riparo dal fallimento della “speranza 71 della tecnologia” – per parafrasare la definizione di Franklin – e che, inevitabilmente, si presenta anche nel caso della DGP: «this is a sensible and rational form of emotional protection against the potentially costs of failure — it is a form of control that belongs very much to the complex “ontological choreography” of how patients mold their subjectivities, as well as their bodies and lives, to the demands of treatment» (Franklin S., Roberts C., op. cit., p. 138). Uno degli aspetti più paradossali della procreazione postmoderna è proprio il suo grado di incertezza: «uncertainty now characterizes the precise mechanisms occasioning successful conception. [...] However, an egg and sperm may be present and fail to fertilize, or they may fertilize and fail to develop, or the egg and the sperm may fertilize, develop, and then be absorbed by the uterus for no apparent reason. In sum, the facts of life have become more visibly partial and contingent» (Franklin, 1998, p. 106) . I fruitori della tecnica costruiscono la loro soggettività anche sulla base di queste informazioni che il personale medico deve fornire loro, già durante la prima visita (in ottemperanza all’articolo 6, comma 1, del Capo II della legge 40/2004); la possibilità del fallimento e quella di ripetere ciclicamente il trattamento vengono spesso espressi nei termini del “calvario” e del “martirio”: Miriam: anche perché la tecnica comunque non è detto che funzioni... certo c'è chi al primo tentativo ci riesce, noi abbiamo avuto due possibilità, due embrioni freschi, due embrioni congelati... La prima volta l'ho perso dopo pochi giorni... La seconda volta zero... Un calvario insomma… Giovanna: siccome deriva da lui si sente molto in colpa cioè... mi dice :“mi dispiace farti fare tutte queste cure, è tutta colpa mia, e io non servo a niente, hai questi tipi di problemi per colpa mia, ti devi sottoporre a tutti 'sti martirii...”, si da molte colpe... Grazia: dopo quattro aborti, dopo delle gravidanze assolutamente non serene perché, si ok, fai il test di gravidanza, hai la gioia che 72 sia positivo, poi inizia il calvario... il calvario dell'attesa, il calvario di metterti a riposo e svegliarti ogni mattina con l'incubo che vai in bagno e trovi la famosa perdita di sangue che per te è il disastro assoluto, l'attesa di un'ecografia con l'incrociare le dita per vedere se va bene... cioè dopo aver vissuto negli ultimi due anni e mezzo questo genere di cose, di stress... andare in ospedale, fare una fivet, e aspettare tre giorni per avere un esito, per me non può essere lo stesso livello di stress e la stessa risposta negativa, per quanto fonte di rabbia perché dici, vabbè, allora sono proprio sfigata, però l'esito è talmente veloce che secondo me, sono due livelli di stress e di dolore incomparabili... Se, come suggerisce Franklin, sia la riproduzione “normale” che quella assistita sono naturalizzate allo stesso modo attraverso l'idioma del “miracolo”, cioè di un evento che supera la normale prevedibilità dell'accadere o dell'azione umana, allo stesso modo il fallimento viene articolato mediante le categorie della “sfiga” – come per Grazia – della “sfortuna” o del “destino”, forze su cui niente e nessuno può esercitare alcun tipo di potere: Giovanni: il destino ha voluto che poi...si guarda proprio il destino...la seconda volta che siamo andati lì arrivati al trasferimento lei aveva la febbre e gli embrioni, che erano congelati glieli hanno dovuti trasferire per forza perché ormai li avevano scongelati... Miriam: è stata anche una questione di sfortuna.. come ci sono state invece coppie che abbiamo conosciuto, perché è pieno di italiani, che con ovociti congelati sono riusciti ad ottenere la gravidanza, ci sono le statistiche ma alla fine è da caso a caso... Questo processo di normalizzazione delle tecniche è l'altra faccia della medaglia di un'esperienza che viene considerata come extra - ordinaria, sia per le sue implicazioni pratiche sia per la sua densità emotiva, dimensione di cui le coppie sembrano volersi giustificare; tale dimensione si acuisce ulteriormente quando si ha a che fare con la genetica clinica e con una scienza che si teme possa andare oltre ogni limite. Per l'opinione pubblica queste coppie vogliono essere “genitori a tutti i costi” di figli “creati in laboratorio”, cosa che, come questo studio dimostra, è molto lontana dalle 73 intenzioni e dalle volontà di coloro che decidono di sottoporsi al percorso offerto dalle biotecnologie. Tuttavia, nelle parole e nei sentimenti delle persone intervistate, aleggia sempre un senso di giudizio sociale da dover affrontare, un giudizio che scatena rabbia: Sandra: quando vai fuori, sai che stai andando fuori e che tutti quanti pensano che tu fai schifo... tu e tuo marito siete due persone schifose e...quindi noi andiamo all'estero con l'odio di tutti... cioè te lo senti questo addosso, te lo senti... senti l'odio degli altri e ti arrabbi perché fondamentalmente la verità è una: che quando una cosa ce l'hanno gli altri si vive in una maniera, quando poi le vivi tu in prima persona è tutta un'altra storia... i nostri sentimenti, le nostre emozioni per le altre persone non esistono... Davide: hai una forte rabbia... S: ce l'hai sempre, cioè ti senti sempre... sempre arrabbiata... sempre quel pensiero che ti fa stare male... ML: che sia questo il costo di un figlio... non economico, emotivo... Sandra: si, si... più il costo emotivo... Davide: si, quello economico poi passa, certo all'inizio eravamo più spaventati poi... poi lo affronti e ti resta la rabbia... S: perché quello economico sai che prima o poi passerà... quello emotivo no... per me è una certezza che per tutta la vita io mi porterò questo pensiero dentro... Sandra sente l'odio sulla pelle e una rabbia che cova dentro, sente il giudizio per qualcosa che, se non hai provato, non riesci a comprendere: l’esperienza, ancora una volta, sembra essere la fonte a cui attingere per dare forma alla propria forma di essere nel mondo e per comprenderlo. L'esperienza di sofferenza – l’esperienza negativa del vivere con una malattia genetica – rappresenta il terreno su cui edificare specifiche “strategie di vita”, configurando i modi e i mezzi attraverso i quali si può agire sulla realtà in base ai propri obbiettivi, valori ed interessi; le biotecnologie riproduttive intervengono all’interno di questo contesto esperienziale con la loro capacità trasformativa, provando a modificare il dolore e la frustrazione in speranza per il 74 futuro, anche se questo futuro, come per Sandra, sarà sempre accompagnato da un carico emotivo pesante. Sandra e Davide si sono molto esposti, in questi anni, anche da un punto di vista mediatico, partecipando a diverse trasmissioni televisive nazionali e locali, per portare avanti una battaglia contro una legge che ritengono ingiusta e discriminatoria, e oggi si preoccupano delle ripercussioni che questa loro battaglia potrebbe avere sul futuro del bambino che Sandra, al momento di questa intervista, porta in grembo: Davide: Siamo andati sul tg3, alla trasmissione di Jacona, però adesso, visto e considerato come la pensa la gente ci preoccupiamo di lui, un po'... in futuro... Sandra: ti faccio un esempio: nel momento in cui tu leggi un articolo, come ad esempio è capitato a me, che per me era un'istigazione all'odio... cioè chi era bravo e fortunato ed era riuscito ad avere un figlio in modo naturale era buono e un santo, coloro i quali no... allora i bambini sono dei mostri, creati in laboratorio... allora io faccio un semplice ragionamento: nel momento in cui mio figlio dovesse andare all'asilo, vuoi o non vuoi la mia faccia si è vista, da tante parti, è difficile ma... mi incontrano e mi dicono : “ah ma tu sei quella che...”, alla fine vuol dire che qualcuno mi ha visto.. comincio a pensare che se i compagnetti di mio figlio dovessero avere alle spalle delle famiglie formate da persone superficiali, ignoranti, quello che vuoi, che la pensano alla stessa maniera e un giorno dovessero andare da mio figlio... una cosa è che lo dicono a me che sono adulta e responsabile delle mie azioni e so come rispondere, una cosa è fare pagare, a parte il fatto che è una vigliaccheria, un bambino... trovo mostruoso e ingiusto che debba essere mio figlio a dover pagare un prezzo sociale al mio posto... Questo “prezzo sociale da pagare”, questo doversi confrontare con il “come la pensa la gente”, questo vedere i figli nati mediante PMA come “mostri creati in laboratorio”, è il frutto della continua tensione tra il potere trasformativo delle nuove tecnologie e la tendenza a pensare il “naturale” e il “biologico” come se questi fossero due categorie di per sé sussistenti, e non una definizione storica e culturale. Per cui è naturale che un uomo e una donna partecipino allo 75 stesso modo al concepimento di un figlio che rappresenta la loro unione e, in virtù di questa volontà e del sentimento che li anima, non dovrebbero incontrare alcun limite alla loro libertà procreativa: la moralità di questo comportamento – a differenza di coloro che ricorrono a tecnologie procreative per raggiungere il medesimo fine – non viene mai messa in discussione. Questa dissimmetria sembra attualmente accettata come valida da molte intuizioni della moralità di senso comune, ma non ha nessuna base né razionale né da un punto di vista morale critico (cfr. Pollo, 2003, pp. 63-76). Ciò che appare interessante, a livello antropologico, è proprio la rappresentazione simbolica, nel linguaggio d’uso comune, del processo riproduttivo postmoderno, in cui spesso appare l’espressione: Davide: i figli nati dalla provetta non sono figli nati dall'amore... e ne abbiamo sentite di tutti i colori... I “figli nati dalla provetta non sono figli nati dall'amore” perché l'atto sessuale, emblema e simbolo dell'intimità, del sentimento, della reciprocità, della gratuità, viene sostituito da due diverse dimensioni pubbliche, molto spesso indicate come “senza scrupoli”: la biomedicina con la sua “freddezza”, la sua conoscenza specialistica e il suo controllo; e il mercato, per antonomasia amorale. Le coppie che decidono di avvalersi di una tecnica di PMA, invece, rifiutano completamente queste definizioni e queste etichette: Davide: penso che chi va incontro a una situazione del genere che comunque è difficile sono persone che vogliono fortemente un figlio, anche più di quelle che gli capita... per carità, non voglio giudicare... Sandra: io quando sento che è creato in laboratorio... mi interessa relativamente, penso siano degli imbecilli per cui... penso che non me ne vergogno, e non solo non me ne vergogno, ma non lo 76 nascondo e... ci resto anche male quando si nascondono gli altri, perché francamente non ne vedo il motivo... bambini nati con la fecondazione assistita ce ne saranno non so quanti e hanno tutti quanti la tendenza a nascondersi perché hanno tutti quanti una sorta di vergogna... perché? Grazia: io non ci vedo nulla di male... per me non è una cosa dell'altro mondo, il male è se tu vuoi un figlio biondo con gli occhi azzurri, perché penso che nel mondo di questi psicopatici ne possono anche esistere, ma se tu vuoi un bimbo sano... non vedo veramente dove sta il problema, né nel nostro caso che è paradossale né nei casi di altri ragazzi che abbiamo conosciuto, cioè cosa fanno di male nel volere un bimbo sano... sono ben altre le cose schifose che ci sono nella vita.... (ride) La “vergogna” che si prova è per aver fatto qualcosa di “male”, qualcosa che devia dalla normalità riproduttiva e quindi da un comportamento considerato moralmente lecito. Ma, come ben esplicato da Pizza, già da Durkheim «discende una consapevolezza critica importante: la normalità e l'anormalità non sono essenze ma, appunto “norme” prestabilite» (Pizza, 2005, p. 78) e, come tali, vanno comprese nella loro dimensione sociale e culturale storicamente definita e costruita. Queste coppie danno vita a una nuova forma di desiderio riproduttivo, che risponde a una visione “diversa” della genitorialità, e guardano ad una tecnica trasformativa come la DGP come una espressione di impegno, obbligo, possibilità e responsabilità riproduttiva «which is to exercise a form of genetic contraception that will prevent harmful genes being reproduced» (Franklin, Roberts, op. cit., p. 176). Come suggerisce Franklin, un modo per guardare alla relazione tra “tecnormatività” (fiducia nel progresso scientifico come pratica per migliorare la condizione umana) e la “bionormatività” (ciò che è considerato biologicamente normale) è quella di esplorare come le coppie considerino le diverse opzioni: «options that do not involve the biological norm in which procreativity 77 physically confirms and “completes” conjugality, or options in which this norm has to be refashioned» (ivi). Come dimostrano le esperienze qui riportate la DGP emerge come una delle opzioni desiderabili e una possibilità per chi non vuole mettere al mondo un figlio malato; ma essa rappresenta anche il primo passo che queste coppie compiono verso altre direzioni, come la donazione dei gameti o l'adozione. Grazia: stiamo andando per gradi... il prossimo sarà un'eterologa... il dottore oggi mi ha detto di non scoraggiarmi, che per un'eterologa c'è sempre tempo... Francesco: il discorso è che il tempo passa... questo giugno saranno 4 anni che siamo sposati... e il desiderio... molti amici sono già al secondo... c'è comunque un desiderio forte e aspettare non è semplice... è semplice dire “hai ancora tempo provaci ancora” ma... la scelta da parte sua di riprovare significa aspettare ancora ed è pesante, non è semplice... e poi alla fine passa il tempo, passano gli anni e poi magari è troppo tardi... Grazia: hai difficoltà... io ho fatto un'isteroscopia e mi hanno diagnosticato che ho una tuba chiusa [...] per me è stato un profondo dispiacere, perché comunque quasi sicuramente è legata, e anche qui ti viene da domandarti, il continuare a provarci anche naturalmente e non ricorrere a queste tecniche non è un bene né da un punto di vista psicologico né da un punto di vista fisico, io non so se tre anni fa la mia tuba era chiusa... Francesco: probabilmente no... aver avuto 4 gravidanze naturali.... [...] probabilmente si è chiusa con l'ultimo raschiamento... Grazia: per cui alla luce di tutto questo... per noi veramente la diagnosi preimpianto diventa fondamentale... Ancora una volta il ricorso alla tecnica è preferito al metodo “naturale” e viene ribadita l'ineluttabilità di questa scelta. Se sei in coppia è impossibile, per queste persone, non pensare ad avere un figlio, il “desiderio è forte e aspettare non è semplice” anche perché il tempo, in queste prassi, assume tutto un altro valore. Ma cosa succede quando proprio questo desiderio di rafforzare un’unione attraverso 78 la nascita di un figlio, attraverso la realizzazione di un ulteriore legame, richiede la dissoluzione dell’unità desiderante dei due soggetti coinvolti e richiama la possibilità di fare ricorso alla donazione dei gameti? ML: poco fa hai accennato al fatto che state pensando all'eterologa, me ne parlate un po'... Francesco: ne abbiamo parlato e lo stiamo prendendo in considerazione... però poi come in tutte le cose in questo momento è più lei per farla che io... io sarei più per tentare qualche altra volta... la stiamo valutando... ci sono le due opzioni: c'è l'eterologa con donazione di ovocita che dobbiamo prendere in considerazione o l'altra alternativa sarebbe adottare un embrione direttamente che è un'altra cosa che all'estero si può fare... pesando pro e contro, il pro della donazione dei gameti è che almeno un genitore, in caso di problemi, comunque è conosciuto, dal trapianto di midollo a tutto quello che ti può capitare nella vita, comunque aiuta... e quindi questa è la prima perplessità... dall'altro c'è la prima reazione “non è un figlio mio”, soprattutto del coniuge che... ML: che non ci mette il gamete... Francesco: esatto... anche se io non la vedo così, per me i figli sono di chi li cresce l'unica differenza è che permetterebbe rispetto ad un'adozione tutto il percorso della gravidanza, che con un'adozione non hai... uno dei vantaggi che avrebbe quello che dicevo prima di non fare passare ad un figlio gli stessi traumi che stiamo vivendo noi perché supererebbe la traslocazione... ed è una cosa che pesa nella genitorialità, è come non avere un figlio talessemico... questa tecnica oggi permetterebbe di evitarlo, quindi è una cosa che stiamo valutando... Delle coppie intervistate per questa parte dello studio, solo Grazia e Francesco si sono mostrati disponibili ad un eventuale ciclo di PMA con donazione di gamete o di embrione, perché “i figli sono di chi li cresce”. Questa espressione appare molto spesso nelle parole dei nostri interlocutori, soprattutto quando si tratta di coppie che hanno optato per la fecondazione con donazione di gamete, come avremo modo di vedere nelle pagine a seguire. Paradossalmente, nel momento in cui si rilancia la necessità di un legame biologico con il potenziale figlio, perché conoscere almeno un genitore “in caso di problemi, dal 79 trapianto di midollo a tutto quello che ti può capitare nella vita, comunque aiuta”, viene affermata un'interpretazione “sociale” del fatto naturale: “i figli sono di chi li cresce”. A nostro sentire, tuttavia, il ricorso ad una fecondazione con donazione di gamete non può essere ridotto alla dicotomia naturale/sociale, proprio perché: «siamo oltre il “costruzionismo sociale”: una volta che si problematizza il dato naturale e scontato (il legame sesso- riproduzionenascita) si entra in un ambito in cui non ci sono certezze, ma solo prospettive, soggettività”» (Gribaldo, op. cit., p. 118). Essendo oltre il “costruzionismo sociale” ed essendo l'atto sessuale sostituito dal desiderio e dalla volontà comune dei due coniugi di “cercare” un figlio, ciò che importa, per queste coppie, è salvaguardare la loro unione. É per questo motivo che, alla fecondazione con donazione di gamete è preferita, nella maggior parte dei casi, l'adozione: ML: non avete mai pensato di ricorrere all'eterologa? Miriam: no, assolutamente, questo proprio l'ho escluso... non critico, non giudico chi lo fa, perché poi bisogna anche trovarcisi in una situazione.. Giovanni: esatto... cioè io posso arrivare ad una certa età, vedo che non c'è nessuna soluzione, ci sono tanti bambini in giro che hanno bisogno d'affetto, cioè non vado poi io a cercare la cosa per forza, se hai provato per 10 15 volte... cioè io arrivato ad una certa età una vecchiaia senza figli, secondo me è una cosa troppo brutta... ML: quindi comunque tu preferiresti l'adozione ad un figlio con fecondazione eterologa... Giovanni: a questo punto... per me... si.... cioè io non critico... poi certo per una donna avere una gravidanza è la cosa più bella al mondo... Miriam: però io stessa, anche se lui mi dicesse si, non lo farei... Giovanni: perché la cosa vedi, cioè, il matrimonio è l'unione, deve essere una cosa di tutti e due, o di tutti e due o di nessuno, almeno io la penso così, adottivo è di nessuno... ML: è un tipo di genitorialità diversa... Giovanni: si appunto.. io sta cosa non la vedo tanto...perché un domani lei mi può dire questo è figlio mio... Miriam: no vabbè... 80 Giovanni: cioè, almeno la donna può dirlo, è figlio mio, non è figlio tuo... ML: geneticamente... Giovanni: perché lo ha partorito, invece così adottivo sappiamo che è, insomma... In una coppia dove l’identità genetica diventa il filo rosso di tutta la vita e di tutte le scelte future, meglio di “nessuno” che di uno solo. Anche Giovanna la pensa così: ML: avete mai parlato della fecondazione eterologa? Giovanna: No, quella non sono d'accordo... ML: non la faresti? Giovanna: No, no. Non la farei perché... qui noi lo facciamo perché è mio figlio e figlio di mio marito, è vero che i figli non sono di chi li fa ma di chi li cresce, però a quel punto preferirei un'adozione a tutti gli effetti... ML: anche tuo marito? Giovanna: Si, si. Ma neanche gliela proporrei un'eterologa, per lui non mi sembra... non so, giusto, corretto... alla fine è comunque un figlio... cioè a quel punto mi sembra per forza di voler avere una gravidanza a tutti i costi, essere madre per forza in una maniera... come tutte le altre donne, pur portando in grembo un figlio che è solo mio... cioè lui non avrebbe... cioè, voglio dire, si affezionerebbe comunque però a quel punto preferirei fare un'adozione, che comunque non è detto che non la facciamo, se dovesse andare bene questo, se non avessi altre possibilità, se non volessi di nuovo sottopormi a tutte le cure insomma, poi si vedrà, comunque l'idea di un'adozione c'è... Portare in grembo un figlio che non è espressione dell'unione desiderante della coppia significherebbe “ voler avere una gravidanza a tutti i costi, essere madre per forza in una maniera... come tutte le altre donne”, un desiderio non equilibrato, troppo sbilanciato da una parte. Il desiderio quindi, che sta a metà tra la dimensione della riproduzione (natura) e della scelta (cultura), deve essere reciproco, altrimenti viene a cadere la dimensione fondante di tutto l'iter che si è deciso di percorrere. Vorremmo concludere questa parte dello studio dedicata alla DGP con le parole di Franklin che, a nostro sentire, 81 riassumono molto bene sia le esperienze dei fruitori delle biotecnologie riproduttive che i contesti di lotta all'interno dei quali vengono negoziati i termini di queste esperienze: «PDG thus esemplifies the increasingly common situation, inextricabily tied to the power of modern medical technology, in which is impossible to know which answers or decision are “right”, and best practice must be based on the quality of the decision-making process, which in turn relies upon its perceived trustworthiness, or accountability» (Franklin, Roberts, op. cit., p. 209). A livello più generale, riconoscere che nel campo della procreazione possa sussistere un diritto alla libertà di scelta significa, in primo luogo, guardare più da vicino e senza pregiudizi al contesto in cui si realizzano e si formano storie di vita come quelle qui narrate; ovviamente, questo non significa, come ben suggerisce Pollo, «che vada accettata come “buona e giusta” qualsiasi scelta, ma invece che saranno considerate approvabili solo quelle scelte le cui ragioni morali apprezzeremo» (cfr. Pollo, 2003). 82 2.3 La Fecondazione E(s)terologa Questo terzo capitolo dello studio è volto ad indagare le esperienze di quelle coppie che hanno scelto di avvalersi di tecniche di PMA con donazione di gameti. Queste coppie condividono con quelle protagoniste del precedente capitolo l'esperienza di doversi rivolgere ad un centro medico per poter realizzare il proprio desiderio di genitorialità, ma con una differenza sostanziale. Mentre la Corte Costituzionale Italiana è intervenuta positivamente nel caso della DGP, altrettanto non si può dire per il caso della fecondazione con donazione di gameti: queste coppie devono ancora rivolgersi ad un centro estero per poter usufruire di un trattamento che la legge 40/2004, come detto, ha vietato16. Nei loro percorsi è quindi possibile rintracciare delle precedentemente analogie narrate – con le esperienze analogie riguardanti soprattutto gli aspetti emotivi e le pratiche poste in essere dall'ingresso della tecnica nella sfera della riproduzione – ma gli assunti e i presupposti che sono alla base di queste scelte procreative sono, essenzialmente, differenti. Queste coppie, diversamente dalle altre, vivono in primo luogo il problema dell'infertilità. Cercheremo quindi, in un primo tempo, di comprendere come abbiano scoperto questa problematica e come abbiano maturato la decisione di avvicinarsi alle tecniche di PMA e, in un secondo tempo, come esse abbiano attribuito un senso alla loro esperienza e alla scelta di ricorrere alla fecondazione assistita con donazione di gameti. Il ricorso a tecniche di PMA e, nello specifico, la fecondazione con donazione di gamete, ci 16 Legge 40/2004, Capo II, Articolo 4, comma 3. 83 permette inoltre di elaborare un discorso più ampio su come tali scelte vengano negoziate all'interno di contesti culturalmente informati e come esse, a loro volta, siano agenti di cambiamento all'interno di questi contesti perché, come sottolineano Franklin e Ragoné, «technology is not an agent of social change: people are» (Franklin, Ragoné, 1998, p. 5). Come abbiamo visto sin dall’inizio del nostro lavoro, la medicalizzazione della riproduzione – congiuntamente alle nuove prassi che essa pone in essere ed ai nuovi soggetti etici che contribuisce a realizzare – mette in evidenza tutta una serie di cambiamenti che coinvolgono le definizioni di “natura”, “vita”, “corpo” e “genitorialità”; collocare il cambiamento delle definizioni culturali della riproduzione nel contesto della loro articolazione vissuta permette di comprendere come lo stesso concetto di “parentela”, per anni al centro degli interessi degli antropologi, venga ridefinito e continuamente negoziato. Le narrazioni qui analizzate derivano dall'esperienza di tre coppie che si sono avvalse di tecniche di PMA con donazione di gameti e che hanno gentilmente accettato di farsi intervistare per questo studio. Il numero estremamente esiguo di casi rappresentati deriva dalla grande difficoltà incontrata sul campo nel reperire coppie disponibili a raccontare la loro esperienza passata o presente17. Ed è qui riscontrabile un'ulteriore differenza con coloro che, invece, si avvalgono delle tecniche di PMA per poi poter fare dei test genetici sugli embrioni: Sandra e Desideriamo qui fare una precisazione di tipo metodologico. Questo lavoro è frutto di una lunga “osservazione partecipante” all’interno del centro medico HERA di Catania. Nel corso dei mesi non sono quindi mancati incontri informali e lunghe chiacchierate con i pazienti in sala d’aspetto in merito ai trattamenti, alle esperienze, alle scelte ed ai percorsi di ciascuno di loro. Tuttavia, per ragioni “scientifiche”, preferiamo qui riportare solo le interviste registrate e trascritte, che allegheremo in appendice. 17 84 Davide, Miriam e Giovanni, Grazia e Francesco, Alessandra e Paolo, Giovanna e Antonio, Silvana e Giacomo si sentivano deprivati, dalla legge italiana, di un diritto, un diritto morale alla libertà procreativa, un diritto di scelta: il diritto di poter mettere al mondo un figlio sano. Per queste coppie, portatrici di malattie genetiche, il non poter accedere a tecniche di diagnosi genetica veniva percepito come “un'assurdità” e come la violazione di un diritto per il quale è giusto lottare e, come diceva Sandra, “metterci la faccia”. Invece, quando si tratta di tecniche con donazione di gamete, la tutela della privacy è la parola d'ordine. Questo dipende non solo dal contesto della ricerca stessa, un centro di PMA in cui convergono persone da tutta la Sicilia e non solo, ma, in generale, dalle pratiche discorsive poste in essere dalle istituzioni, statali ed ecclesiastiche, e dalle rappresentazioni pubbliche delle nuove possibilità di procreazione che le biotecnologie offrono. Come dirà Ludovica, “siamo un Paese abbastanza tradizionalista”... Abbiamo affermato più volte nel corso di questo lavoro che le pratiche riproduttive sono pratiche prettamente culturali e, come tali, permettono di elaborare – tramite l'analisi di specifici orizzonti interpretativi – delle più ampie teorizzazioni su un universo che si allontana sempre di più dalla sfera del privato, del personale, della mera biologia, per rivestirsi di un carattere pubblico e sociale: come pratiche incorporate esse contribuiscono a ridefinire continuamente il significato stesso dei “fatti di natura”, svelandone il carattere arbitrario, storicamente e culturalmente costruito. Ma andiamo a guardare un po' più da vicino le narrazioni e le esperienze di Marialuisa, 38 anni, Ludovica, 42, Margherita e Fausto, “oltre i 40”, che possono svelare molto sui due processi che, come sottolineato in apertura di 85 questo lavoro, stanno al cuore delle società contemporanee: la culturalizzazione della natura e la naturalizzazione della cultura. Non è nostro interesse indagare l'esperienza dell'infertilità in se stessa, per quanto non si possano eludere né il carattere drammatico di questa condizione né i suoi risvolti negativi da un punto di vista emotivo; essa viene qui presa in considerazione come luogo di origine di specifiche pratiche e scelte culturali, che prendono il via da un dato biologico che acquista forma di realtà. La scoperta dell'infertilità è un avvenimento doloroso, difficile da accettare e da comprendere: Ludovica: Io ho 42 anni, mio marito 3 di più, ci siamo sposati nel 2001 in età un po' avanzata quindi, e dopo tre anni circa, quattro, abbiamo deciso di mettere mano per un baby, ma vedevamo che dopo due anni non andava in porto niente... ogni mese era un dramma: “oh guarda il ciclo” (ride)... poi ci siamo rivolti a un centro e lì ci siamo accorti, facendo delle indagini, che mio marito era affetto da una azoospermia, probabilmente provocata da un intervento che lui ha fatto quando era piccolo, in tarda età però diceva l'andrologo, per cui questo intervento fatto in tarda età ha causato questa sterilità totale, anche facendo una cura i dottori sostenevano che non avrebbero ricavato alcun risultato positivo da un punto di vista della fertilità per cui, inizialmente ci siamo un po'... eravamo disorientati... Marialuisa: mio marito e io ci siamo sposati nel 90 e... ho fatto delle analisi, diciamo così, prima di sposarci, però a livello di analisi del sangue... lui ad esempio non ha fatto l'esame dello sperma, non le ha fatte, perché magari tu non vai a pensare che magari ci può essere un problema o che ci può essere qualcosa... niente... infatti io ho preso l'anticoncezionale per sei anni... e quindi dopo sei anni avevamo deciso di avere un bimbo e invece... diciamo non veniva fuori questo bimbo (ride)... e niente, allora abbiamo iniziato praticamente a fare tutti degli accertamenti, delle cose... abbiamo capito che poteva esserci qualcosa in mio marito che non andava... e infatti poi abbiamo scoperto che c'era una azoospermia e... i primi tempi è stata un po' dura, perché magari tu non riesci subito ad accettare.. io, sinceramente... non riesci subito ad accettare però... a me faceva più male il fatto che mio marito non riusciva ad accettare questa cosa, non tanto la voglia di avere un figlio, quella è inutile nasconderla, però... 86 Venire a conoscenza, tramite specifici esami diagnostici, di non essere in grado di mettere al mondo dei figli “è dura, perché non si riesce accettare subito” e ci si trova “disorientati”. La “ voglia di avere un figlio”, che non si può “nascondere”, e la scelta di volere un figlio, “mettere mano per un baby”, s'infrangono quindi contro il muro dell'infertilità. Prima della sua scoperta la capacità di riprodursi , come parte di un “normale e naturale” ciclo della vita, è assunta come indiscutibile: “tu non vai a pensare che magari ci può essere un problema o che ci può essere qualcosa, infatti io ho preso l'anticoncezionale per sei anni”. In questo senso è possibile parlare della scoperta dell'infertilità come di una vera e propria “crisi della presenza”, così come questo concetto è stato proposto ed elaborato da De Martino. Lo storico delle religioni ed etnologo indica con il concetto di “presenza” la capacità propria dell'uomo di riunire le memorie e le esperienze per poter rispondere in maniera adeguata a una determinata situazione storica mediante l'azione, questo «definisce insieme la presenza come ethos fondamentale dell'uomo e la perdita della presenza come rischio radicale a cui l'uomo – e soltanto l'uomo– è esposto» (De Martino, 1975, p.15). La “presenza” viene quindi a configurarsi come un vero e proprio stato etico – nell'accezione greca del termine έθος – che permette a ciascun individuo di poter agire mediante il suo corpo nel mondo: «tale capacità è data dalla potenzialità del corpo di incarnare la realtà rendendola ovvia: è nella minimale quotidianità di gesti apparentemente automatici, perché appresi e naturalizzati attraverso il corpo, che si realizza l'appaesamento nel mondo, ed è al contrario la perdita di questo rapporto di “oggettivazione della realtà” che funge da detonatore di una “crisi della presenza”» (Pizza, op. cit., p. 40) . 87 La malattia, secondo De Martino, rappresenta uno di quei momenti «critici dell'esistenza» (De Martino, 1995, p. 117), proprio perché essa riconfigura le forme corporee di appaesamento dell'individuo nel mondo. La “crisi della presenza”– il venir meno della possibilità di esserci, di agire nel mondo e, nel nostro caso specifico, di riprodursi – rappresenta quindi il momento di rottura con ciò che viene percepito e sembra costituito come “normale”, “naturale”, “dato”, “oggettivo”. Prima di allora, questa dimensione oggettuale della realtà e del mondo non è mai messa in discussione; nel momento critico dell'esistenza «la presenza è chiamata ad esserci con l'impiego pronto ed adattato della sua capacità di scelta e di decisione» (ivi). Uomini e donne sono quindi chiamati ad attribuire un senso all'esperienza di sofferenza che stanno vivendo, rinegoziando i termini della loro “presenza” nel mondo mediante nuove azioni e nuove pratiche: è in questo senso che si può parlare della scoperta dell'infertilità come di una condizione che ridefinisce le forme di essere nel mondo, proprio perché essa chiama gli individui alla negoziazione di nuovi tipi di scelte e decisioni. Dare senso a una nuova strada, tuttavia, non è semplice. Per una coppia che vive il problema dell'infertilità attribuire un senso a questa esperienza è un processo lungo e doloroso, durante il quale devono essere ridisegnati i piani, le aspettative e le speranze per il futuro. Non bisogna tuttavia dimenticare come questo processo, personale e privato, sia legato a doppio filo con altro tipo di processo che investe il corpo biologico dell'era contemporanea: la medicalizzazione della “nuda vita”. Secondo Ragoné questo processo di medicalizzazione si sviluppa a tre diversi livelli: 88 «conceptually, institutionally and within the doctor-patient relation. Conceptually, medicalization occurs when a process or condition is defined as a medical problem. Institutionally, it occurs when medical professionals legitimize the problem at hand as medical issue. Within the doctor-patient relationship, medicalization occurs when an individual is diagnosed and treated for a problem» (Ragoné, Willis, 2000, p. 308) . Nel processo di attribuzione di senso all'esperienza di infertilità vissuta, una coppia non può quindi prescindere dal contesto biomedico all'interno del quale tale condizione è prodotta. Le pratiche, le scelte e le azioni che ne derivano devono quindi confrontarsi con i nuovi tipi di possibilità che le tecniche di PMA, nate proprio come risposta al problema dell'infertilità, pongono in essere. La narrazione di Marialuisa ci permette proprio di evidenziare questo legame a doppio filo tra le pratiche discorsive della biomedicina, le possibilità che essa offre e le scelte individuali: Marialuisa: dopo la botta [la scoperta dell'azoospermia] ci siamo buttati subito in questa avventura e abbiamo iniziato, diciamo, a vedere con delle cure che doveva fare lui, però non c'è stato verso, insomma, nulla da fare... poi mio marito ha fatto una biopsia testicolare qui a Catania, dove avevano trovato spermatiti e spermatogoni, per questo noi all'inizio, diciamo che abbiamo insistito su questa cosa... però diciamo che qui non c'erano delle tecniche molto approfondite quindi poi siamo stati a Roma... e quando lì hanno visto questa biopsia hanno detto che si poteva tentare qualcosa, perché aveva un FSH che rientrava nella norma e hanno provato con questa cure stimolanti per l'uomo ecc... e quindi facevano questa cosa ma poi non andava bene...alla fine ci siamo fermati... e allora abbiamo deciso di viaggiare... (ride), alternativa... (ride), e abbiamo viaggiato un bel po', però alla fine ti rendi conto che comunque qualcosa ti manca... ugualmente... cioè queste sono cose futili, che tu puoi avere e puoi fare quando ti va... allora abbiamo avuto un momento molto lungo di riflessione e ci avevano detto se volevamo provare l'eterologa... in un primo momento diciamo che io... ML: non te la sei sentita... 89 ML: no, non me la sono sentita... allora... cioè non lo so se non me la sono sentita, oppure volevo provare però mi dispiaceva per lui... diciamo... e insomma non l'abbiamo fatta... e abbiamo... I: indovino: continuato a viaggiare? ML: esatto... (ride). Però poi ad un certo momento ci siamo fermati e abbiamo detto “questo è il momento”... ci siamo fatti una vacanza (ride) in cui abbiamo riflettuto su questa cosa e... è uscito fuori che stiamo provando per l'eterologa... L'infertilità, come condizione che non permette la realizzazione di un evento sperato – la nascita di un figlio – apre prospettive diverse, si cercano delle “alternative” per colmare un vuoto pressante, perché “alla fine ti rendi conto che comunque qualcosa ti manca”. La scoperta di una condizione biologica negativa, nel racconto di Marialuisa, emerge nella sua realtà negoziata tra le pratiche poste in essere dagli individui e quelle della biomedicina: due dati “oggettivi” – la presenza di spermatiti e spermatogoni nel liquido seminale e un livello di FSH “normale” – fanno pensare a una possibile cura,“ per questo all'inizio abbiamo insistito su questa cosa che però non portava a nulla”. Insistere nella direzione di un preciso percorso diagnostico e terapeutico è, per il Dottor Venti, andrologo del centro HERA, un modo attraverso cui gli uomini dimostrano alle proprie compagne di “aver fatto tutto”: Dottor Venti: l'atteggiamento dell'uomo è, prima di accettare una diagnosi di infertilità, di farsi fare tutte le indagini e le torture possibili ed immaginabili... quindi è un sacrificio totale dell'uomo che dimostra a questa compagna che ha fatto tutto... comprese le cose più cruente, dal prelievo in anestesia locale che comunque si sente il dolore fino alla biopsia, a quel punto passa ad accettare la donazione del gamete, però prima vuole dimostrarlo assolutamente... raramente ci sono coppie che, perché certe volte lo sappiamo che è inutile andare a fare certe indagini per vedere se ci sono spermatozoi come la biopsia del testicolo in anestesia generale con dolori e fastidi, lo sappiamo perché ci sono dei dati che ce lo dicono, glie lo diciamo ai pazienti che è inutile fare queste trafile ma loro vogliono farlo ugualmente per dimostrare di aver fatto tutto, perché vogliono dare questo messaggio alla compagna... 90 Torna nuovamente l'idioma del “sacrificio totale”, ma stavolta applicato a un corpo maschile: il desiderio di avere un figlio non può trovare ostacoli ed è necessario dimostrarlo in maniera assoluta mediante la “verità” dei discorsi medici e dei suoi dati “oggettivi”. Ma l'idioma del sacrificio torna anche nelle parole di Ludovica: Ludovica: sono sacrifici enormi, già è un sacrificio recarsi a un centro della tua città... cioè accettare di concepire un bambino... con dei metodi che sono al di fuori degli schemi naturali... io sono la quinta figlia di sei e mia mamma non ha mai avuto problemi, le mie sorelle neanche e... quindi già è una cosa enorme accettare questo... quindi recarsi in un centro, rivolgersi, parlare dei tuoi problemi molto intimi, credo che siano molto intimi (ride), perché devi condividere il problema della coppia con tanti medici, anche perché non è sempre lo stesso a seguirti... già quindi è un grande passo condividere con un centro... e accettare un metodo di fecondazione che è del tutto innaturale... ML: perché è “innaturale”? Ludovica: perché non avviene con fenomeni naturali (ride).... Accettare l'infertilità è difficile, soprattutto se si compara la propria situazione con la naturalità con la quale la riproduzione “normalmente” avviene; condividere quest'esperienza, rivolgersi a un centro, pensare a tecniche del “tutto innaturali” per concepire un figlio “è una cosa enorme da accettare”. Tuttavia, ricorrere alle tecniche sembra essere “l'unico modo” per bypassare il problema, l'unica “speranza” possibile: Dottor Venti: anche il dover dire che bisogna per forza ricorrere alla fecondazione assistita non è facile perché uno che pensa che (fare un figlio) è la cosa più naturale del mondo, non è una cosa facile da accettare... però il fatto che ci sia, che si da una speranza, già compensa questa brutta notizia, ma non è facile... Ludovica: inizialmente ci siamo un po'... eravamo disorientati, perché lì per lì devi decidere se intraprendere l'adozione oppure avere un bambino che per metà... (ride) ML: geneticamente... Ludovica: per metà che appartiene alla coppia... dato che mio marito mi ama parecchio e voleva a tutti i costi una bambina che assomigliasse a me (ride)... insomma con peculiarità caratteriali, 91 somatiche, abbiamo deciso di intraprendere l'eterologa... e per l'eterologa, come lei sa, in Italia è vietata... perché abbiamo il Papa (ride) che decide parecchie cose quindi... e sai benissimo, o credo immagini, le difficoltà, perché a questo punto ti devi rivolgere all'estero, quindi difficoltà di lingue, difficoltà a livello psicologico, perché devi accettare questa realtà, ti devi spostare fuori dal tuo paese, devi spendere dei soldi, sempre se... il tutto va bene. ML: quindi avete deciso subito per l'eterologa? Ludovica: si... perché credo che sia l'unica scappatoia... per avere un bambino... forse... perché io metto sempre il forse (ride)...Adesso siamo più tranquilli, anche mio marito è molto tranquillo, molto felice, anche perché credo che abbia capito che è l'unica possibilità per avere, lui, un bambino ora... e poi chiaramente per il futuro non lo sappiamo... L'unica “scappatoia” possibile al problema dell'infertilità, per questa coppia, è quella offerta dalle tecnologie della speranza. Dopo aver accettato questa “realtà”, processo arduo e complesso, le difficoltà non sono ancora finite. In Italia, come detto, la legge 40/2204 vieta la fecondazione con donazione di gameti, per Ludovica perché “c'è il Papa che decide molte cose”, costringendo coloro che vogliono usufruire di questa tecnica a recarsi presso un centro estero, con tutto ciò che ne consegue: problemi di lingua, alti costi economici e, non di secondaria importanza, la rinuncia al rapporto che si viene ad instaurare con i medici del centro dove si fa la preparazione alla tecnica. Come abbiamo visto anche nel paragrafo precedente dedicato a coloro che si rivolgono ad un centro estero per eseguire dei test genetici sugli embrioni, attribuire un senso all'esperienza vissuta, che sia essa una malattia genetica trasmissibile o la condizione di infertilità, è un processo in cui la struttura e gli operatori medici hanno un ruolo di primaria importanza, proprio perché essi contribuiscono attivamente al processo di costruzione di significato dell'esperienza stessa. Doversi trasferire in un centro estero significa anche rinunciare a tutto questo: 92 Ludovica: non è la stessa cosa, lì (nel centro Svizzero dove farà la tecnica) non sono come qua... noi siciliani abbiamo dei modi di affabilità di invogliare le persone, di coinvolgerle, loro sono troppo schematici, il timbro di voce... qui, quando le ragazze mi chiamano al telefono, sono gioiose (ride)... poi (i medici) ti danno la pacca sulla spalla (ride), lì invece la mano... c'è questa distanza... già affrontare questa problematica non è... poi affrontarla così, senza un briciola di umanità e per giunta dovendo sborsare tanti soldi... qui va meglio... questo aspetto umano lo recepisci... il medico che ti rincuora, ti sta accanto, anche come ti parla, il timbro di voce... Un altro aspetto paradossale della legge è il divieto per i medici di fornire informazioni sulle “tecniche proibite”18: Dottor Venti: noi per legge non possiamo dire “faccia l'eterologa”, il discorso viene preso alla larga e deve essere detto in maniera molto soft, a prescindere dal discorso della legge, non puoi dire “faccia la donazione”, perché non puoi sapere chi hai davanti, se uno che l'accetterebbe oppure no, c'è poi la possibilità fuori per chi lo vuole, facciamo capire, di fare questa scelta... Dottoressa Alecci: la DGP o l'eterologa sono soluzioni che devono essere presentate, poi è la coppia a decidere. Solo che in questo momento non sappiamo mai come ci dobbiamo comportare, perché non la possiamo fare e allo stesso tempo non potremmo indirizzare verso i centri esteri, non si capisce più niente di quello che dovresti fare... ma, eticamente, si può accettare che io ho un'informazione e non te la do perché non voglio nemmeno che tu faccia la tecnica fuori? La realtà poi è diversa... la realtà è che in Italia hanno fatto dei gemellaggi con i centri esteri e ci stanno mangiando sopra... I limiti imposti dalla legge incidono profondamente sulle prassi etiche dei clinici. Questi due diversi passi delle interviste ci permettono di mettere in luce due aspetti distinti ma complementari della realtà odierna. In primo luogo l’etica della professione che informa il lavoro di questi medici: il rispetto per il vissuto dei pazienti (“a prescindere dal discorso della legge, non puoi dire «faccia la donazione», perché non puoi sapere chi hai davanti, se uno che l'accetterebbe oppure no”) e i dubbi che vanno ad incrinare l’epistemologia più profonda del sapere e delle prassi degli 18 Legge 40/2004, Capo V, Articolo 12, comma 6. 93 specialisti (“eticamente, si può accettare che io ho un'informazione e non te la do perché non voglio nemmeno che tu faccia la tecnica fuori?”). In secondo luogo, ma non per importanza, la limitazione per legge di queste tecniche ha subito scatenato la corsa all’inganno della norma: molti centri italiani stanno speculando sulle imposizioni del legislatore, come sottolineato dalla Dottoressa Alecci, e percepiscono una percentuale sul costo delle tecniche effettuate all'estero in centri “gemellati”. Questa speculazione economica sulle tecniche procreative, questo “mercato della riproduzione”, è solo l’epitome di un ben più ampio “mercato dei diritti”; come ben sottolinea Rodotà, al giorno d’oggi «il soggetto si trova a poter disporre di un “patrimonio dei diritti” che può spendere, esercitare in luoghi diversi, ricercando proprio quelli dove non esistono divieti o limitazioni che ostacolano le libere scelte delle persone. E proprio la possibilità di agire in una dimensione che si dilata, fino a coincidere con il mondo, rende problematiche molte limitazioni dell’autonomia dei soggetti, perché ormai ogni restrizione nazionale è destinata ad entrare sempre più in concorrenza con le discipline meno rigide offerte da altri paesi» (Rodotà, op. cit., p.55). Non a caso, famosi e rinomati medici del panorama italiano della PMA, si sono direttamente trasferiti all'estero: Dottor Guglielmino: pensa a quanti hanno sfruttato la legge... Antinori, che era quello che durante la campagna referendaria se ne andava in giro per le televisioni a dire che lui clonava il mondo, si è fatto un centro a Mosca dove si pagano ventimila euro per fare un'ovodonazione, per cui per questi qua avere la legge è una manna... loro pigliano 100 donne in tre mesi, se le portano a Mosca e vedi quanto guadagnano... Il bisogno del riconoscimento di un diritto riproduttivo, un bisogno percepito come profondo, spinge quindi i soggetti 94 della contemporaneità a individuare i luoghi in cui tale diritto è riconosciuto; tuttavia, molto spesso, il riconoscimento di un diritto non va di pari passo con la reale tutela del soggetto titolare di quel diritto. Aprire il mondo della procreazione al mercato significa, in prima istanza, esporlo ad un processo di mera mercificazione, proprio perché, per antonomasia, i soggetti economici svolgono la propria attività soprattutto in quei luoghi dove può realizzarsi il massimo profitto con il minimo controllo da parte delle autorità competenti (Rodotà, op. cit., p.56). Ciò significa esporre i fruitori delle tecniche a una mancata tutela del proprio diritto alla salute costituzionalmente sancito perché – come molte delle persone intervistate per questo studio hanno raccontato – poco si sa del centro estero in cui ci si reca (soprattutto per quel che riguarda i centri dell’Est Europa, i più “economici”, in cui i sistemi di reclutamento dei donatori di gameti non sono molto chiari e le legislazioni nazionali in merito non forniscono indicazioni precise). Bisogna quindi sottolineare come questa «biocittadinanza dei diritti» abbia una base fortemente censitaria, con essa si assiste al ritorno della «relazione diretta tra reddito e godimento effettivo di un diritto» (Rodotà, op. cit., p.57): soltanto chi è in grado di investire un’ingente quantità di denaro può realmente godere del diritto ad una libertà procreativa altrimenti negata dallo Stato italiano. Ma, come detto più volte, una delle peculiarità delle biotecnologie è proprio quella di aver reso sempre più incerta la riproduzione: le percentuali di riuscita sono molto basse soprattutto perché, come abbiamo avuto modo di vedere, si arriva alla scelta di una fecondazione con donazione di gamete dopo un lungo lasso di tempo e alcune condizioni biologiche – come l’età della donna o la “qualità” dei gameti prodotti – influiscono 95 notevolmente sull’intero processo procreativo. Il più delle volte un solo tentativo non basta e i costi crescono: Marialuisa: il problema fondamentale sono i soldi... perché questa cosa ti distrugge... guarda, quando ancora c'era la lira non so se in tutto avremmo speso un cinquanta milioni... e ora, questa cosa di andare fuori... è antipatico... cioè a livello economico più che altro... perché se a me questa cosa mi costava due lire non me ne fregava nulla... però a livello economico... t'ammazza! Fai conto che abbiamo speso 3700 solo per la tecnica, ora ci fanno lo sconto, 3400... (ride) di cui 1725 abbiamo già fatto il bonifico e... facendosi due conti... non è che li troviamo nel pozzo... Ludovica: noi, escludendo tutte le spese di trasporto, vitto e 'ste cose qua, ci costerà, solo la tecnica, 4400 euro... addirittura io la preparazione la sto facendo a Catania infatti gliel'ho fatto notare a quelli di Lugano, quindi io spenderò dei soldi a Catania e non occuperò i laboratori e le sale lì... e loro mi hanno detto che ugualmente... anzi “se vuole viene a stare qua un mese, fa le sue terapie, la preparazione, i dosaggi ormonali”... e il prezzo è sempre quello... in caso di tentativo successivo toglierebbero solo 400 euro... e poi tu immagina, metti l'aereo, metti l'hotel... e poi siamo in due quindi tutto è raddoppiato... chiaramente la tecnica no (ride) perché la farò solo io... anche se qui, al centro HERA, mi hanno detto almeno due volte... quindi calcola in tutto 10000 euro... Margherita: non tutti se lo possono permettere... Fausto: non è che noi avremmo potuto fare altri tentativi, perché diciamo che le nostre riserve... Margherita: ma ci sono quelli che non possono fare nemmeno quello che abbiamo fatto noi.. Fausto: infatti... noi siamo già al limite... infatti noi diciamo che con i due tentativi che abbiamo fatto, tra tutto, tra viaggi e tutto, se ne sono andati 10000 euro... quindi non è che abbiamo delle riserve infinite... Qualora il centro in cui si effettua la preparazione in Italia non sia già “gemellato” con uno straniero, non poter fornire delle informazioni dettagliate significa, per i clinici, demandare alla buona volontà della coppia la ricerca di un centro in cui procedere con il trattamento. Questo vuoto, lasciato dalla figura del medico, è stato rimpiazzato da Internet: 96 Ludovica: i centri non possono darti informazioni, perché credo che sia legalmente punibile, ci sono delle penalità pazzesche, qua dovrebbero chiude tutto HERA (ride) e continuare a pagare per anni e anni... hanno delle sanzioni pazzesche... chiaramente loro hanno le mani legate... infatti loro ci hanno detto: “collegatevi ad internet”... noi molte informazioni non le abbiamo trovate dentro il centro, ma consultando Internet... perché lì ci sono le lettere, ci cono le ragazze che rispondono ai quesiti, ci sono le ragazze che si preparano alla terapia, quindi ti scrivono tutto... c'è tutta Italia che scrive e collegarsi ad internet è bello anche per questo, perché tu dalle esperienze degli altri poi te ne fai una tu, però chiaramente in queste situazioni ci devi stare dentro, perché è una situazione che tu reagisci con il tuo carattere, individualmente, certo gli altri si, ti danno una guida perché ti dicono “devi fare quello, questo e quest'altro”, però aiuta... Una delle peculiarità delle comunità biosociali della contemporaneità è proprio questa: esse sono per lo più comunità “virtuali”, che si sviluppano nello spazio elettronico della Rete e che realizzano nuove forme di «biocittadinanza digitale» (Rose, 2007; trad.it. p. 216) proprio perché, molto spesso, esse rappresentano i mezzi attraverso i quali gli individui agiscono sul più ampio contesto biopolitico per la rivendicazione di certi diritti. Non dobbiamo infatti dimenticare che tutte le richieste di modifica della legge italiana sulla disciplina delle tecniche di PMA – sia quelle presentate a livello nazionale che quelle inoltrate a livello europeo – sono state avanzate da legali che agivano per conto di associazioni di pazienti. Inoltre, queste forme di attivismo su base biosociale riconfigurano in modo significativo anche i rapporti di sapere/potere all’interno della relazione medico-paziente, proprio perché i fruitori delle tecniche non sono più soggetti passivi ma, al contrario, costruendosi e percependosi attraverso un’etica somatica della responsabilità e dell’autonomia, diventano essi stessi degli “esperti profani”: «questi esperti profani utilizzano i forum elettronici non solo per comunicarsi reciprocamente delle conoscenze, ma anche l’aspetto quotidiano delle cure, come gli effetti collaterali delle cure 97 […]. Gli esperti profani sono quindi anche “esperti per esperienza” in quanto generano ed utilizzano il loro stesso sapere, e le comunità in rete diventano strumenti di mediazione, organizzazione, raccolta e cura di conoscenza, non solo sulla condizione vissuta, ma anche sulle forme di vita necessarie per convivervi» (Rose, op.cit., p. 202). Questa forma di «biocittadinanza digitale» è, a differenza di molte altre, maggiormente egualitaria: l’inclusione in queste comunità biosociali è demandata all’autonoma volontà dei soggetti di aderirvi o meno e, come detto, esse rappresentano un valido mezzo di aiuto e sostegno per coloro che vivono un’esperienza di sofferenza. Condividere la propria esperienza diventa importante, soprattutto in un contesto come quello delle biotecnologie che, ponendo in essere nuovi tipi di scelte, porta coloro che ne usufruiscono a porsi continuamente delle domande. Confrontarsi con altre coppie non significa elaborare un giudizio di merito riducibile alla dicotomia giusto/sbagliato sulla scelta da operare, ma, più che altro, permette di riflettere sulla qualità stessa del processo di decisione e sulla capacità di attribuire un senso alla personale esperienza vissuta. Non si cercano risposte, si cercano le stesse domande: Marialuisa: io andavo spulciando su Internet, sono entrata in un forum e lì ho cominciato ad avere conversazioni con ragazze della mia età, anche un po' più grandi e un po' più piccole, anche loro andavano all'estero per fare l'eterologa e... diciamo che questo forum dove sono entrata, diciamo che ti fa un attimino... parlare con qualcuno... e leggendo sul forum vedevo che c'era gente che aveva già fatto l'eterologa la prima volta e che la stava rifacendo “speriamo che posso fare un compagnetto a mio figlio” dicevano alcuni, “mio marito è molto contento, mio marito è molto sereno”, insomma... insieme (lei e il marito) leggevamo queste cose e lui un giorno mi fa: “ma scusa, perché non proviamo?” È difficile attribuire un significato all'esperienza di infertilità vissuta. È qualcosa di cui è difficile parlare, sia con i medici che con i famigliari: 98 Dottor Venti: soprattutto nella nostra cultura meridionale è sentito questo shock di non poter procreare, di dover ricorrere a queste tecniche per motivi maschili, ormai frequentissimo, è spesso nascosto... non è detto nemmeno ai famigliari... Ludovica: ci sono stati tanti discorsi, discussioni, a volte anche con i parenti però... un po' velato perché noi non abbiamo detto la verità, perché lei sa che siamo in un paese parecchio tradizionalista quindi parecchi genitori non avrebbero condiviso al 100% questa scelta. Quindi noi velando questa realtà e ipotizzando in caso di sterilità totale una possibilità di eterologa cercavamo di strappare (ride) dai parenti un'idea... ML: e in famiglia ne avete parlato o lo avete tenuto per voi? Marialuisa : no... credo che sia una cosa “propria”... perché magari questa è una situazione che tu non ne parli con nessuno, perché io perlomeno... cioè, noi siamo una coppia che, ti ripeto, nella nostra famigli ci amiamo, ci vogliamo bene, però le nostre cose sono giustamente le nostre cose... I discorsi con i famigliari sono “velati”, c'è riserbo sulle “cose proprie”, forse perché, come suggerito da Ludovica, ricorrere a una tecnica di PMA con donazione di gamete è una scelta difficile da condividere con chi non ha mai provato l'esperienza dell'infertilità; a livello generale, poi, mentre l’intervento medico nel processo procreativo gode oramai di una certa accettazione sociale, il contributo “esterno” alla riproduzione è percepito dal sentire comune come qualcosa di disdicevole o, comunque, di negativo: “perché siamo un paese parecchio tradizionalista”, come dice Ludovica. Sembra quasi che la medicalizzazione della riproduzione, nonostante tutto, non sia riuscita a scalfire quei processi di traduzione del dato biologico in dato simbolico complesse che portano alle forme di regolamentazione sociale della parentela e che orientano i comportamenti e le rappresentazioni di intere società. Ma cosa significa parlare di parentela e di famiglia al tempo della procreazione postmoderna? Cercheremo di tracciare, nelle pagine a seguire, dei percorsi per poter pensare la 99 famiglia al tempo del genoma: un modo di far famiglia che esiste già, ma che non riusciamo ancora a concettualizzare. In primo luogo è necessario stabilire cosa si intenda per parentela. La disciplina antropologica ha avuto, nel corso della sua storia, un interesse analitico – quasi “ossessivo" (Coward, 1983) – nei confronti della parentela, dei termini per definirla, del concepimento, della consanguineità, della filiazione, della riproduzione e, più in generale, di tutti quegli aspetti socio-culturali concernenti i “fatti della vita”. Uno degli studi più interessanti sulla parentela occidentale è stato condotto da Schneider alla fine degli anni sessanta del Novecento; per l’antropologo americano la famiglia era un’unità di parentela il cui contenuto culturale aveva una base relazionale: essa era, allo stesso tempo, sessuale, procreativa e biogenetica. Possiamo ritenere valida parte di questa concettualizzazione anche – e soprattutto – per coloro che decidono di avvalersi delle biotecnologie per avere un figlio: Marialuisa: noi sentiamo il bisogno di un bimbo per casa... perché non so... è una specie di completamento... perché noi abbiamo tutto ma ci sentiamo incompleti, come famiglia proprio... e ora lo desideriamo tanto... La filiazione, quindi, si configura come elemento costitutivo del legame di parentela, sancita altrimenti solo dal diritto positivo o da scelte fideistiche attraverso il vincolo matrimoniale. In effetti, si potrebbe giustamente obiettare che, quando Schneider pubblica questo studio, le tecniche di PMA non erano ancora state messe a punto e gli studi di genetica cominciavano appena a circolare, tuttavia il suo lavoro è estremamente utile perché ci permettere di cogliere le variabili diacroniche e il contenuto semantico della costruzione culturale del concetto di parentela. Nella sua teorizzazione egli sostiene che: «il rapporto sessuale 100 (l’atto della procreazione) è il simbolo che fornisce i caratteri distintivi nei cui termini sia i membri della famiglia in quanto parenti, sia la famiglia come unità culturale sono definiti e differenziati» (Schneider, 1968, p. 11); Potremmo dire che, nel sentire comune, questa definizione è ancora oggi ritenuta valida e condivisibile. Ma come si riconfigura questo valore simbolico della procreazione e del legame biogenetico nella postmodernità, dove la “natura” perde la sua autorevolezza in favore di un sapere sempre più riflessivo, dove l’atto sessuale è sostituito dall’azione desiderante, dalla scelta e dalla volontà della coppia che si fa pratica medica, e dove il legame biogenetico, sempre più sostanziato, viene messo in discussione? Ovviamente non si possono elaborare delle teorizzazioni generali, ma si può provare ad analizzare i significati ed i significanti culturali delle prassi dei soggetti coinvolti in prima persona in questo processo di costruzione intersoggettiva della realtà, in questo processo di costruzione della parentela. Partiamo dall’etimologia stessa del termine “gamete”: il greco γαμέτής, che significa “coniuge”. I gameti, la cui unione porta alla formazione di un embrione, rappresentano quindi l'espressione massima della relazione tra i coniugi: un’unione sancita socialmente che si incorpora biologicamente in un altro potenziale individuo. Dal momento che, nelle tecniche di PMA, il rapporto sessuale viene sostituito da una pratica medica e dall'azione desiderante della coppia che vi si sottopone, i gameti, gli spermatozoi e gli ovuli «sono già dello stesso ordine di pensiero del DNA, sono segni, non più corpo» (Gribaldo, op.cit., p. 130). I gameti diventano quindi «segno» del legame parentale che si instaura con il nascituro e, allo stesso tempo, espressione dell'unione desiderante della 101 coppia. Sostituire i gameti, quindi, non è una cosa facile dal momento che essi incorporano, sostanziano e reificano, secondo il riduzionismo biologico imperante e le pratiche discorsive della biogenetica, la parentela stessa. Il dato genetico diventa un segno culturale: ML: e questa decisione (di ricorrere all'eterologa) l'avete maturata insieme? Ludovica: Be'... diciamo che sinceramente (ride) l'altra parte, in questo caso mio marito, ma poteva essere anche una donna, credo, perché c'è anche la donazione di follicoli... ML: ovociti... Ludovica: si tutte queste cose qua, perché poi noi ci siamo aggiornati, da internet abbiamo estrapolato parecchio materiale da leggere la sera e... allora all'inizio lui ha avuto una crisi, chiaramente, di... mi diceva di approvare la decisione di non fare l'adozione di provare con l'eterologa però dice “io guarderei sempre questo bambino/a come una persona che non mi appartiene”... Chiaramente lì ci sono stati tanti discorsi, discussioni, a volte anche con i parenti però... un po' velato... [...] noi velando questa realtà e ipotizzando in caso di sterilità totale una possibilità di eterologa cercavamo di strappare (ride) dai parenti un'idea... anche per confrontarci.. loro avevano più esperienza con i bambini... tutti quanti ci hanno detto “vabbé, non è di chi lo fa, è di chi lo cresce”, il bambino prende si le caratteristiche somatiche, però il carattere... è come una pianta, l'interazione tra ambiente e genetica... cioè ha il suo ruolo l'ambiente... comunque poi lui ha avuto una crisi e io lì ho cercato di fargli capire.. cioè dicendogli che “se tu avessi scelto una compagna sposata con figli allora io credo che tu non avresti mai amato questi bambini perché non li avevi fatti tu”, cioè mi fa capire questa cosa... se è tuo lo ami, se non appartiene a te geneticamente lo rifiuti... forse lui ha riflettuto parecchio su questa cosa.. perché poi è così... io ho due gatte stupende, Clara e Camilla, sono sorelle, e hanno cresciuto i cuccioli una dell'altra... comunque anche io penso che avrei avuto la mia piccola crisi (ride)... qualcosa l'avrei spesa, detta, pensata... adesso però lui è molto tranquillo, molto felice... In questa narrazione si palesa l'ambiguità della fecondazione eterologa: da una parte essa si preferisce ad un'adozione vera e propria perché, in questo modo, “per metà” geneticamente il nascituro appartiene alla coppia; dall'altra, essa viene parimenti rifiutata per gli stessi motivi. Inoltre, come sottolinea Gribaldo, la fecondazione con donazione di gameti maschili contribuisce al processo 102 di “rarefazione della paternità”: «la paternità dell'eterologa non fa che portare alle estreme conseguenze una logica che vede l'uomo sempre come un soggetto che entra a “posteriori” rispetto alla procreazione, ovvero dopo la nascita» (Gribaldo, op. cit., pp. 116-117). Questa idea torna anche nelle parole del Dottor Venti: Dottor Venti: molti hanno questa paura di essere completamente esclusi dal rapporto madre-figlio “perché se non ci metto neanche gli spermatozoi, sarò il primo ad essere escluso” si dicono, inconsciamente penso che ci possa essere questa paura, però... lo fanno, se accettano di farlo, per la compagna, perché vedono negli occhi di quella compagna che è troppo importante fare quel tentativo per cui lo accettano per avere quel risultato... ma con tantissima lacerazione interna, perché c'è il rischio di sentirsi escluso.. già in una normale coppia il maschio alla nascita del bambino si sente escluso se ci metti pure che quel bambino è suo figlio tra virgolette, è un tuo figlio legale e non hai superato ancora questa scelta, è possibile che ci si senta veramente ospiti... Tuttavia, proprio quando il legame biologico della procreazione (genitor/genetrix) sembra prevalere, esso viene nuovamente inserito all'interno della più ampia relazionale parentale di matrice socio-culturale: “i figli sono di chi li cresce” e la paternità, in fondo, è sempre «un'adozione, un riconoscimento, una disponibilità ad accettare il ruolo di padre». L'amore per un figlio, la relazione che si viene a creare con questo, come dice Ludovica, non può dipendere dal sentirlo geneticamente proprio. Proprio il concetto di relazione è anche alla base di una interessante elaborazione teorica dell’antropologa Janet Carsten (2000), che lo introduce al posto di quello di parentela e che sembra molto adatto al nostro contesto di disamina. Muovendosi fra diversi lavori etnografici che prendono in esame la realtà vissuta dalle coppie che si avvalgono di tecniche di procreazione assistita, Carsten declina il termine relatedness (relazionalità) attribuendogli un’accezione molo ampia, che contiene al suo interno forme 103 di relazione che superano il dato biogentico: si può vivere un legame relazionale senza essere “parenti” nel senso sostantivo, biologico e strutturato che il termine stesso “parentela” implica. Sono i rapporti costruiti su base relazionale e affettiva che implicano, essi stessi, il superamento della parentela: la parentela oltre se stessa (Carsten, 2004). Non vogliamo qui certo eludere il dato biologico come elemento costitutivo del legame relazionale su cui si fonda il concetto di parentela: vogliamo solo sottolineare che esso non può esserne l’unico riferimento sostanziale nel processo di costruzione e rappresentazione culturale. Nel caso della fecondazione con donazione di gameti maschili la relazione parentale con il nascituro è data dall'amore e dall'azione desiderante tra i due coniugi, che si fa scelta e pratica: Marialuisa: lui un giorno mi fa “ma scusa, perché non proviamo? Alla fine è un bimbo comunque nostro... cioè io amo te, voglio bene te e quindi è un bambino nostro, non è un bambino né tuo...” e io mi sentivo come se tradissi mio marito, ecco, in un certo senso, e... lui invece mi ha fatto capire... cioè “se tu lo vuoi, io lo voglio pure, cioè non ho nessun tipo di problema”... e io a questo punto ho detto proviamoci, perché è un impegno molto forte, molto importante, non è una cosa così, una passeggiata... Ricorrere alla donazione di gameti viene percepito quasi come un “tradimento”, perché si immette nella pratica riproduttiva un elemento “estraneo” alla relazione desiderante della coppia che, allo stesso tempo, è l'elemento costituente della pratica stessa. Questo sentimento di estraneità, come abbiamo avuto modo di vedere, si manifesta soprattutto quando il gamete donato è quello maschile. Secondo Collier e Delaney questo deriva da una specifica teoria della procreazione che definisce le categorie concettuali di maternità e paternità nel mondo occidentale: «a theory in which paternity is defined as the primary, 104 generative role. What the man contributes is, as we say, seminal – the creative seed that contains and confers identity. Maternity, in contrast, is defined not as conferring identity but as giving birth and nurture, a task that can be shared by several women, as is happening with new reproductive technologies» (Collier, Delaney, 1992, p. 303). Ci piace ricordare che, già negli anni Quaranta del Novecento, Margaret Mead metteva in luce questa forte ineguaglianza dei ruoli, legata al genere, nel processo procreativo: mentre le donne vivono l’onere e l’onore di portare in grembo la vita, di darla alla luce e di prendersene cura sin dai suoi primi momenti, agli uomini, quasi per compensare il loro essere in secondo piano in tutte queste fasi , viene assegnato un ruolo dalla forte valenza simbolica e dall’alto valore sociale: attribuire l’identità, conferire l’appartenenza al nuovo nato includendolo nella sua linea di discendenza (Mead, 1949). È proprio attraverso l’idioma della cura, dell’esperienza della gravidanza, del parto e dell’allattamento che si realizza il processo di rinaturalizzazione della tecnica con donazione di gamete femminile. Esemplare, a questo proposito, l'esperienza di Margherita e Fausto, una coppia di “oltre 40 anni” che, dopo una gravidanza naturale non andata a termine e un ciclo di PMA, ha deciso di recarsi presso un centro spagnolo per sottoporsi a un trattamento con ovodonazione: Margherita: il dottore ci ha detto di provare per l'ovodonazione, che forse c'erano maggiori possibilità di successo... se non va nemmeno con l'ovodonazione allora andiamo con l'adozione... E allora io ho detto va bene, è giusto che uno deve perseverare nella vita in tutto ciò che desidera fortemente e allora siamo andati a fare l'ovodonazione... abbiamo fatto questa pratica... hanno scelto una donatrice che avesse dei tratti fenotipici più o meno similari ai miei e poi hanno fatto il tutto... c'è stata ovviamente la donazione del seme di mio marito, chiaro... ML: avete deciso di comune accordo di intraprendere questo percorso? 105 Margherita: certo, noi tutto quello che facciamo... è una cosa molto particolare... Fausto: quando noi avevamo inizialmente questi problemi, per me la fecondazione eterologa rappresentava un problema, non solo se fosse stato necessario donare il seme, ma anche l'ovulo... cioè io volevo passare direttamente all'adozione perché mi sembrava di immettere nel rapporto tra di noi qualcosa di estraneo... e, in realtà, mia moglie poi, parlando con il dottore Guglielmino, il dottore che chiave ha trovato per dire “è un figlio totalmente vostro”, il fatto che la gravidanza è comunque un periodo molto intenso... un periodo molto importante per la donna, poi c'è eventualmente l'allattamento, cioè ci sono delle cose che comunque nel corpo della donna avvengono ugualmente e che rendono proprio il figlio... ecco... quando eravamo a Barcellona mia moglie mi ha detto: “ ma se avesse dovuto essere donato il seme saresti stato disponibile?”; io ho detto, sinceramente, non lo so, perché se l'uomo non ci mette il seme, cosa ci mette, ho detto scherzando, soltanto i soldi? (ride)... cioè in effetti, mentre l'ovulo è donato la donna ci mette l'utero, ma se l'uomo non ci mette il seme cosa ci mette? Allora sono contento che non si sia presentata l'eventualità e che la cosa si sia risolta almeno al momento positivamente... sinceramente io avrei avuto qualche perplessità... poi magari di fronte al desiderio di avere un figlio sono perplessità che si superano... però è diversa la cosa... Margherita: quindi a maggior ragione con l'ovodonazione dove c'è una gravidanza, ci sono tante cose... poi se uno vuole dire una cosa cattiva, ci sono tanti modi... figlio tuo, figlio mio... il figlio è della coppia... non è che questo bambino è più di mio marito che mio, o viceversa se fosse stato donato il seme, sarebbe stato più mio che di mio marito... Fausto: però la situazione non è simmetrica... il figlio è sempre della coppia e sono cose che sicuramente si superano se ci fossero, però la situazione non è simmetrica tra uomo e donna nella donazione dei gameti... perché la donna porta avanti la gravidanza, quindi fa proprio... nutre all'interno del proprio corpo... Ancora una volta, ricorrere alla donazione di gameti può diventare un “problema”, perché immette nel rapporto di coppia, un “ qualcosa di estraneo”. Questa estraneità, però, si connota diversamente a seconda che il gamete in questione sia quello maschile o quello femminile: i gameti, come dice Fausto, non sono “simmetrici”. Una donna, anche se rinuncia all'aspetto materiale della riproduzione, l'ovulo, può comunque generare a livello simbolico, perché “nutre 106 all'interno del proprio corpo”. Un ovulo, come mera entità biologica, di per sé, non avrebbe senso senza la capacità della donna di accoglierlo nel proprio corpo, come sottolinea Margherita: Margherita: è una tecnica di fecondazione (l'eterologa con ovodonazione) in cui danno una percentuale sempre... inferiore al 50%, poi dipende dall'endometrio, dall'utero, io, ripeto, avevo un utero in una posizione perfetta, avevo fatto delle cure per fare inspessire l'endometrio e favorire l'impianto ed era tutto perfetto... quindi diciamo che è andato tutto bene perché ho trovato un ottimo ovulo ma anche l'ovulo ha trovato un ottimo ambiente in cui impiantarsi... tutto deve andare bene... La qualità del gamete che si è ricevuto, “ottimo”, non sarebbe servito a nulla senza l'“ottima” qualità del ventre ospitante: “tutto deve andare bene” per fare la riproduzione. Altrimenti si fallisce, e le coppie lo sanno: l'autocoscienza del fallimento è, come detto, una «forma sensibile e razionale di protezione dai potenziali costi emotivi» a cui ci espone . Le tecniche, come più volte evidenziato nel corso del lavoro e come ribadito anche da Margherita, hanno una percentuale di riuscita molto bassa e hanno reso la riproduzione, assistita e/o naturale, sempre più incerta. Per Franklin questo ha portato a considerare questi due diversi tipi di riproduzione come complementari: «if IVF is difficult and largely unsuccessful, is not surprising since the natural process is so badly designed. [...] Reproductive failure is emphasized not only through accounts of risk but through accounts of wast. “Nature” is depicted as incomprehensibly profligate» (Franklin, op. cit., pp. 331-332). Come le tecniche, anche la natura può essere fallace, e quindi “bisogna aiutarla”: Fausto: le paure mi sono un po' passate quando ho scoperto che, tante volte ci sono embrioni fecondati in rapporti naturali che poi non portano a una gravidanza... cioè ho scoperto che rispetto agli embrioni fecondati la percentuale delle gravidanze è bassissima, ci sono embrioni che vengono scartati dalla natura stessa... allora, 107 se si aiuta la natura in fondo... cioè noi stiamo aiutando la natura... La tecnica, in questo caso, è vista come un prodotto della natura stessa, qualcosa di cui essa ha bisogno: «in this slippage, whereby the “helping hand” of technology is both conflated with, and yet also displaced, nature, a key shift in the cultural meaning and organization of reproduction must be seen to the lie. The importance of this shift is in its legitimation and naturalization (indeed legitimation through naturalization) of assistance to the reproductive process» (ibidem, p.334). I processi di cui abbiamo parlato in apertura di questo lavoro, la naturalizzazione della cultura e la culturalizzazione della natura, vivono qui la loro άκμή. Essi si inscrivono nella materialità dei corpi di uomini e donne riconfigurandone il significato e le pratiche, nonché il senso stesso della generazione e della filiazione. Vorremmo concludere quest’ultima parte del nostro lavoro dedicata all’esperienza procreativa con donazione di gameti cercando di rispondere alla domanda che ci siamo posti in merito alla possibilità di ripensare il concetto di parentela che queste tecniche, volente o nolente, in qualche modo, mettono in discussione. A tal proposito, ci avvarremmo della teorizzazione elaborata da Solinas (2010) sulla base della tripartizione schneideriana: «se si volessero tracciare, in un campo di variabili relazionali, gli assi della costruzione simbolica nelle funzioni della “parentela” – come campo semantico che struttura le rappresentazioni culturali – i tre motivi simbolici che si possono ricavare dal testo di Schneider – “sangue”, “legge” (parentela by blood, parentela by law), “amore” – servirebbero molto bene a delimitare tre di quattro vertici necessari. Ne resterebbe uno da coprire, per completare i due assi: suggerisco di 108 integrare il disegno, e colmare la lacuna proprio con quel concetto di “fatto” (o “di fatto”, de facto) […]. Parentela by law, l’affinità per via legale e parentela by fact, de facto, definirebbero perfettamente gli estremi d’una scala di rapporti (tra il formale e l’informale) in cui “sangue” (geni) e “amore” comparirebbero come valori simbolici complementari” (Solinas, 2010, p. 234). Ancora una volta, vogliamo qui sottolineare l’accezione dinamica con cui è utilizzato il sostantivo “fare”: il suo carattere costruito, “fatto”, come frutto di un’azione esplicita e autonoma dei soggetti che la pongono in essere. Solinas propone quindi di ridisegnare l’inserimento la tripartizione del concetto schneideriana di parentela che, “di con fatto” tramuterebbe l’immaginario triangolo in un quadrilatero; a nostro sentire questa teorizzazione, per quanto estremamente interessante, risulta però fallace in quanto pone la “parentela di fatto” come qualcosa di “altro”, di aggiuntivo, rispetto alle tre componenti fondamentali. Proviamo invece ad immaginare il quarto punto come interno al triangolo, individuandone il suo baricentro, il punto d’incontro delle mediane: cuore dell’equilibrio, punto sul quale l’intero sistema può rimanere perfettamente sospeso e che permette di collegare tutti e quattro i punti in tutte le possibili combinazioni, come da figura: Legge Fatto Amore FFff 109 Sangue Ripercorrendo in maniera immaginaria il percorso della realizzazione della parentela attraverso questo disegno ecco che essa viene a configurarsi come la risultante dei quattro elementi costituenti: “amore”, “legge”, “geni”, “fatti”. Le possibilità di combinare insieme questi elementi, tutti o solo due o tre di essi, sono tante quanti sono gli esseri umani. 110 Conclusioni Nell’arco di questo lavoro si sono volute mettere in luce, attraverso un approccio multidisciplinare, le forme assunte dall’esperienza procreativa nella contemporaneità. Attraverso la lente di ingrandimento della prospettiva foucaultiana – che affonda le sue radici teoriche nelle prassi concrete degli individui – abbiamo cercato di indagare le modalità attraverso cui si è costituita, nelle società occidentali moderne, un’esperienza per cui i soggetti culturali hanno cominciato a percepirsi ed a riconoscersi come liberi soggetti procreativi; tale esperienza tocca campi di conoscenza molto diversi e si articola, in base al più ampio contesto socio-politico all’interno del quale prende forma, in base ad uno specifico sistema di regole e costrizioni. In breve, potremmo dire di aver presentato una sorta di storia della procreazione postmoderna – una procreazione mediata e modificata dallo sviluppo delle biotecnologie – come esperienza, dove, con tale termine, si vuole denotare la correlazione esistente, in uno specifico contesto socio-culturale, fra campi di sapere, forme di soggettività e tipi di normatività. Abbiamo quindi preso in esame ciascuno di questi tre diversi componenti dell’esperienza procreativa postmoderna producendo, in particolare, una riflessione sull’importante ruolo assunto dalla dimensione giuridica nel processo di codificazione normativa delle nuove possibilità offerte dalle tecniche di procreazione medicalmente assistita che, scindendo i luoghi e i tempi della riproduzione, hanno riconfigurato le forme del “venire al mondo”. Produrre un’analisi dei meccanismi che soggiacciono alla relazione fra dimensione giuridica e forme di soggettività in un mondo tecnicamente mediato ci ha quindi portati a ripensare quel diritto che viene a configurarsi come prima facie: il diritto alla libertà 111 procreativa. Nel corso della trattazione abbiamo cercato di argomentare una tesi a favore della possibilità di pensare la libertà procreativa come un diritto morale positivo. Ancora una volta, ci siamo avvalsi dell’impianto teorico foucaultiano proprio perché, a nostro sentire, partire dalle prassi incorporate dei soggetti permette di mettere in luce i molteplici e complessi aspetti che compongono le modalità di relazione – a livello soggettivo e intersoggettivo – con le svariate dimensioni del reale vissuto e, di conseguenza, esperito. Porre l’accento su tale prospettiva interpretativa ci ha permesso di spostare il focus analitico dal principio negativo di non interferenza alla positività dell’azione individuale e alle pratiche di libertà poste in essere dai soggetti procreativi della contemporaneità che, attraverso l’idioma della scelta, declinano, adottano e adattano le prassi inerenti la propria sfera riproduttiva in base a valori percepiti come fondamentali e capaci di attribuire significato alla propria forma di essere nel mondo. La negoziazione sociale e la codificazione giuridica di tali valori vengono quindi a configurarsi come il fulcro intorno al quale si condensano tutta una serie di problematizzazioni morali inerenti il campo procreativo postmoderno. Tali aspetti emergono in maniera emblematica soprattutto nello specifico contesto italiano, dove l’entrata in vigore della legge 40/2004 con tutto il suo corredo di restrizioni e proibizioni, ha ridisegnato i limiti e le possibilità di esercizio di quel diritto morale alla libertà procreativa che dovrebbe essere non solo garantito ma, a nostro sentire, anche tutelato. Il caso italiano si rivela doppiamente interessante: da una parte perché esso rivela, forse più di altri all’interno del contesto europeo, quelle forme pervasive di inscrizione della dimensione giuridica sul vissuto personale; dall’altro perché è, probabilmente, il caso 112 più eclatante del processo inverso: l’inscrizione del vissuto personale nella dimensione giuridica. Come abbiamo avuto modo di vedere nella seconda parte del nostro lavoro solo le lunghe battaglie condotte da associazioni organizzate intorno a forme di biosocialità – siano esse la condizione di infertilità o l’essere portatori di malattie geneticamente trasmissibili – attraverso lo strumento giurisprudenziale hanno permesso di apportare delle modifiche sostanziali al dettato normativo. Non ci siamo soffermati sull’analisi dei pur molti aspetti contraddittori ed iniqui presenti nel testo di legge (dal paradigma terapeutico alla legittimità del desiderio di filiazione, dallo statuto conferito all’embrione al modello famigliare sottinteso ecce cc…) ma abbiamo concentrato la nostra attenzione su due tecniche, de facto, proibite: la diagnosi genetica preimpianto e la fecondazione con donazione di gamete. Per ciascuna di queste due diverse tecniche abbiamo cercato di mettere in luce l’esperienza diretta di coloro, medici e pazienti, che con esse si sono confrontati e che, di conseguenza, hanno prodotto delle personali elaborazioni della propria esperienza lavorativa e procreativa, con particolare riferimento ai dubbi di natura morale ed etica che hanno dovuto affrontare (e che continuano ad affrontare, in certi casi). Riconfigurando l’epistemologia più profonda dell’antropologia umana tali tecniche sollevano infatti molteplici interrogativi in merito al loro utilizzo, ai loro limiti e ai valori che esse incorporano: questo lavoro, nel suo piccolo, desidera tracciare una cartografia delle domande del presente per provare ad abbozzare una storia dei “futuri possibili”. 113 Interviste Alessandra&Paolo Alessandra: noi siamo portatori sani di talassemia, già abbiamo alle spalle tre gravidanze naturali, con diagnosi tutte e tre andate male, con aborti terapeutici e abbiamo alle spalle anche una fecondazione fatta in un centro di Palermo. Ci siamo avvicinati a questo centro perché abbiamo contattato il Dottore Fiorentini che è un famoso biologo italiano il quale ci ha detto che per andare all'estero avevamo bisogno della certificazione da parte di un centro italiano, che avesse avviato l'iter per andare a Istanbul, quindi ci hanno indicato questo centro qua a Catania, noi siamo di Palermo tra l'altro, ci hanno detto che era un centro molto accreditato e ci siamo affidati a loro e adesso stiamo iniziando l'iter sia per andare all'estero ma stiamo anche presentando il ricorso per poterla fare in Italia.... ML: quindi anche per voi il problema è l'obbligo dell'impianto oltre alla diagnosi? Alessandra: Si, anche perché qua in Italia è impossibile fare una DPG per le coppie malate di talassemia... ML: perché voi non siete considerati sterili... Alessandra: esatto... Paolo: purtroppo no... non siamo considerati ma come dice il dottor Guglielmino “che differenza c'è tra uno sterile e voi che comunque non potete portare avanti la gravidanza...”; ora c'è questa novità, delle linee guida... non so cosa succederà... ML: praticamente nulla per le coppie con malattie genetiche, vengono riconsiderati solo gli HIV positivi e le persone malate di epatite... Paolo: dovremmo vedere questa cosa dell'epatite C... Alessandra: potrebbe essere una cosa buona... Paolo: perché lei ha in corso questo virus che è... Alessandra: borderline... quando ho fatto tutti gli esami hanno visto che ho un valore incerto... che non si capisce se è in incubazione o no... 114 Paolo: quindi possiamo vedere, perché sul giornale c'era scritto forse erroneamente che si poteva fare... ML: credo comunque che venga sempre considerata la sterilità... Alessandra: ma il dottor Guglielmino dice che siccome è da undici anni che cerchiamo la gravidanza, la prima nel '96, poi nel 2000, 2001 e nel 2004 abbiamo fatto la fecondazione... quindi è da più di quattro anni e quindi possiamo essere considerati una coppia sterile... ML: e delle legge che pensate? Alessandra: (ride) diciamo che non è un gran che... penalizza tante coppie che hanno questo problema, soprattutto da un punto di vista economico incide tanto, se tu devi andare all'estero devi andare a sopportare tutto questo iter, la terapia ormonale, andare lì, non sapere come ti va a finire, c'è sempre l'incertezza e cose varie... Paolo: è uno stato cattolico che ha voluto questa legge... e poi si sta creando un sacco di confusione, anche da un punto di vista psicologico, perché chi è cattolico può pensare che è una legge giusta però siamo in un'epoca dove in effetti c'è di tutto e di più, e quindi andare a fare una legge che alla fine diventa datata nell'applicare delle tecniche è sicuramente sbagliata... Io penso che bisognerebbe lasciare lo stato vaticano fuori dallo stato italiano, perché se sta dentro ha ragione, dobbiamo partire da questo punto di vista, noi ci dobbiamo dichiarare atei... E allora secondo me o ne sta fuori o quando politica e stato vaticano parlano di questa cosa non si raggiungerà mai un accordo... ML: ma l'Italia è costituzionalmente uno stato laico... Paolo: si, ma non è così... perché questa legge l'ha voluta il vaticano... cioè i politici hanno discusso questa cosa con vescovi e compagnia bella... Alessandra: il referendum ad esempio... Paolo: il referendum, si è fatto tanto e poi alla fine non ce l'abbiamo fatta... la situazione è questa se la politica si distaccasse dallo stato vaticano... il fatto è che la politica fa di una questione etica una questione di voti, il problema è che se in un pentolone ti vengono a mancare i voti dati dai cattolici... non ti danno il voto se tu non gli dai qualcosa in cambio... 115 ML: tu pensi che desiderare un figlio sia un diritto? Paolo: noi abbiamo avuto tre aborti, noi... lei... per cui oggi il desiderare un figlio diventa un qualcosa... cioè tutti questi vincoli che esistono, almeno per parte mia, perché il desiderio di maternità è diverso... io l'ho vissuto nei momenti prima ancora della legge, cioè la legge ti mette... è come uno che vuole la ferrari, ma se non sei miliardario che te la compri a fare? Tu vuoi un figlio, lo desideri così tanto ma se alla fine non metti un freno, per tutti i vincoli che hai... cioè io lo so che a lei basterebbe un niente per rimanere incinta, per cui alla fine... è il danno oltre alla beffa... cioè io l'ho desiderato tanto, poi ho detto chissà quando verrà... quando verrà lo accetto, perché per me la famiglia è fatta di figli... io ho provato tanto a convincerla per fare richiesta d'adozione, io per 10 anni, sapendo prima di sposarci di questo problema, le dicevo “avviamo la documentazione” per l'adozione, lei non è stata mai d'accorso ed è giusto rispettare il suo pensiero... per cui il desiderio è in base a come tu puoi avere quella cosa, cioè che cos'è il desiderio? Avere qualcosa che non puoi avere... ML: e voi sareste disposti anche verso un figlio non vostro geneticamente? Paolo: io penso che l'emozione di un figlio sia diversa da quella di un figlio adottato, però è un mio punto di vista.. lo desideri al momento in cui ce l'hai... un figlio tuo lo desideri prima ancora di averlo... o no? Alessandra: (ride) si anche perché noi abbiamo provato anche la gioia della gravidanza... c'era l'emozione nel scoprirlo, nel vivere purtroppo anche l'interruzione... ML: vi è stata consigliata dai medici? Alessandra: si perché si trattava del grado mayor... avevamo fatto tutti gli esami di routine... ora diciamo che ci siamo un po' abituati alla normalità della coppia... viviamo la nostra normalità senza figli... anche perché con la talassemia tutti gli esami, tutte le peripezie, diventa tutto più complicato... noi lo sapevamo prima di sposarci, pensavamo a quella percentuale, che venisse sano... e poi è una malattia pesante, trasfusioni, trapianti... Paolo: ma forse neanche questo, in quel momento ti colpisce così tanto la cosa che non puoi stare a pensare alla cosa più giusta... la tipologia della patologia è così grave che anche un medico obiettore di coscienza 116 ci disse che stavamo facendo la cosa migliore... quando una coppia fa il primo figlio, ti trovi così disarmato quando succede una cosa del genere... e non ti nascondo che dopo 7/8 anni i sensi di colpa ti fanno tornare indietro e ti fanno pensare... però sono cose che tu devi vivere al momento, anche discusse dopo 7 anni queste cose... non so se tu tieni fede a quello che ti sei detto, che ti sei promesso, perché scatta un meccanismo che non è facile... Alessandra: c'è uno stato emotivo completamente diverso in quel momento... e adesso siamo costretti ad andare all'estero per evitare di nuovo... in mezzo a medici che non conosci... Paolo: è uno stato cieco adesso, perché non vuole vedere i problemi e sordo perché non ti vuole ascoltare... e sai cosa succederà se non cambieranno qualcosa, non ti dico adesso, ma fra 10 o 20 anni torneranno le cliniche clandestine... Alessandra: com'era per l'aborto... noi non vogliamo un bambino perfetto, vogliamo un bambino sano... Paolo: quello che noi chiediamo è di non andare incontro a questa malattia... poi mi rimetto al destino... o a Dio se uno ci crede... io faccio l'insegnante e una volta avevo un alunno, down, la cui nonna si era suicidata buttandosi dal balcone perché la figlia non aveva abortito... credo che tutti ci sentiremmo a disagio, forse anch'io, è una cosa che non si augura a nessuno ma... l'idea della malattia che sin dal primo giorno del concepimento non puoi curare, come nel nostro caso, non li puoi curare... ML: non li puoi guarire, perché te ne puoi prendere cura... Paolo: si, ma sta a vedere come... ci sono gradi diversi... con il grado mayor dopo il primo anno di vita devi fare trasfusioni tutti i giorni... Alessandra: si , e la qualità della vita solo parzialmente la puoi modificare... Paolo: io ho avuto un bambino che dopo ogni trasfusione doveva stare 15 giorni a casa... e lì non puoi fare niente... 117 Grazia&Francesco Grazia: Io ho una traslocazione robertsoniana bilanciata tra il cromosoma 13 e il cromosoma 14, diagnosticata già una decina di anni fa, ereditata da mio padre, ereditata da sua madre, quindi dalla nonna paterna che a sua volta ne è venuta a conoscenza più o meno casualmente perché un cugino di mio padre, la moglie non riusciva a portare avanti la gravidanza hanno proceduto a tutta una serie di analisi e da lì è venuto fuori che insomma c'era questa traslocazione, ne ero diciamo consapevole da diversi anni, probabilmente in questi ultimi due ci siamo resi conto di cosa comporta questa traslocazione. Francesco: non tutti sanno che, sostanzialmente, l'uomo ha tutte le cellule con 46 cromosomi, i cromosomi sono da 1 a 23 coppie, nel suo caso il cromosoma 13 e il cromosoma 14, una delle due coppie, sono attaccati, sono appiccicati, quindi lei ha 45 cromosomi di cui uno doppio anziché 46, questa quando è bilanciata, cioè quando ci sono tutti, non ci sono duplicazioni, questo è assolutamente compatibile con la vita, cioè non hai nessun problema. Il problema è che nel momento in cui deve avere un figlio nell'ovocita, nello spermatozoo, da 46 devono diventare 23 e poi, unendosi devono tornare 46, questa divisione, quando c'è un cromosoma attaccato è particolarmente difficile e porta a produrre o, ovociti con più materiale genetico di quello necessario o con meno, quindi o con un cromosoma in più o con un cromosoma in meno o anche bilanciati, può capitare, dipende da come avviene la separazione. Diciamo che statisticamente su 12 ovociti 1 è completamente sano, si riesce a separare, uno li mantiene attaccati però non ha altri pezzi, gli altri 10 hanno o mancanze o eccessi, sono tutti casi incompatibili con la vita, quindi portano a interruzioni di gravidanza nel primo trimestre... ML: quindi 10 su 12 non sono compatibili con la vita... Francesco: tranne un caso, che è una trisomia del 13 se non ricordo male, che è una sindrome particolare che può portare alla nascita però una vita che non va oltre le 2/3settimane, poi ci sono casi.. Grazia: comunque porta a una morte molto precoce... 118 Francesco: o addirittura all'interruzione di gravidanza nelle ultime settimane, quindi... questa è... Grazia: la diagnosi...(ride) Francesco: la spiegazione tecnica di cosa significa, significa sostanzialmente che da quando abbiamo iniziato a provare ad avere figli, lei ha avuto 4 aborti. ML:quindi hai già avuto 4 gravidanze naturali... Grazia: si, ho avuto 4 gravidanze naturali che si sono interrotte massimo entro l'undicesima settimana... ML: è diagnosticabile tramite villocentesi? L'hai già fatta? Grazia: si ma considera che la fai alla 12 settimana e io non ci sono mai arrivata, cioè solo la prima volta sono arrivata all'undicesima settimana e durante la prima gravidanza sono arrivata a sentire il battito, mentre in quelle successive la prima è stata un'interruzione alla settima settimana, quindi, molto ma molto precoce, le altre due, consapevole anche del fatto che la precedente si era interrotta abbastanza presto, mi hanno fatto fare tipo riposo assoluto, mi hanno fatto fare insomma una cura farmacologica che poi è un protocollo che fanno tutti quanti, un po' di cortisone, un po' di eparina, perché io fino a novembre, cioè non era nemmeno ben chiaro nel medico che precedentemente mi seguiva cosa comportava questa traslocazione, io ero cioè il classico caso di gravidanza a rischio che non riesce ad andare avanti, per cui sono stata inizialmente seguita da un medico che ha anche molto sottovalutato il problema... Francesco: e anche noi stessi conoscevamo il problema ma non con la consapevolezza che ne abbiamo oggi, anche perché sua nonna, che è un po' il caso di riferimento, comunque ha avuto due figli, anche se ha avuto diverse interruzioni, cioè noi ci ricordiamo, loro in famiglia si ricordano, diverse interruzioni ma comunque ci sono due gravidanze portate a termine, è anche vero che sua nonna ha provato ad avere dei figli ad una ventina d'anni e non a trenta, questo comunque facilita in un certo senso, e quindi noi ci abbiamo provato naturalmente e all'epoca del referendum avevamo consapevolezza di cosa significasse questa legge, però non avevamo ancora in programma di utilizzare tecniche di fecondazione assistita perché appunto... 119 Grazia:speravamo che naturalmente potesse andare bene... Francesco:perché non è impossibile avere dei figli naturalmente, cioè, è molto difficile, perché, l'altra cosa che ci hanno detto e che comunque naturalmente, moti dei 10 difettosi molti non si dovrebbero nemmeno impiantare, quindi la natura dovrebbe fare una selezione a monte, fatto sta che al quarto tentativo... poi nel frattempo ci siamo documentati di più, ci siamo rivolti a qualche centro ma già si parlava di andare all'estero.. io sono palermitano quindi siamo andai prima a Palermo poi, tramite amicizie abbiamo sentito parlare del Dottor Guglielmino siamo venuti qua, anche per comodità.. poi diciamo che ci ha fatto un'impressione migliore e quindi abbiamo deciso di farci aiutare e seguire da lui ML: quindi voi non avete ancora fatto un ciclo di fa... Grazia: abbiamo appena finito ma... purtroppo non è andata bene. Abbiamo iniziato tutta la stimolazione ovarica e poi siamo rientrati sabato scorso da Istanbul e purtroppo non è andata bene perché ero riuscita a produrre 10 ovociti, di questi fecondati 8, 6 embrioni e di questi 6, 3analizzati, e di questi nessuno sano, e anche questo da un po' l'idea della statistica favorevole. Anche il Dottor Guglielmino in trasmissione diceva è come se questa dona dovesse provare in continuazione tutti i mesi per poter beccare il mese giusto... ML: quindi adesso cosa farete... Francesco:noi stiamo presentando il ricorso anche se... siamo un po' poco convinti, perché non è quella la strada maestra, lo stiamo facendo per un discorso più... siccome pensiamo che il nostro caso è particolarmente significativo da un certo punto di vista di quanto è stupida questa legge, perché qualsiasi aspetto analizzi....non si pongono nemmeno problemi etici nel nostro caso, noi non è che chiediamo di avere un figlio sano o un figlio malato, non vogliamo questa scelta, noi vogliamo evitare un ennesimo aborto che porta ad un raschiamento, a problemi fisici e psicologici e quindi...è proprio un esempio che tutte queste limitazioni che mette sono assolutamente assurde, non si può scrivere una legge che sia valida, cioè... ML: per tutti? Francesco: per tutti si, cioè è come decidere che un paziente malato di cuore può fare solo una tecnica e solo a determinate condizioni, deve 120 essere poi il medico, d'accordo con il paziente a scegliere il percorso più corretto e più valido, per tutelare alla fine la salute della persona quantomeno del nascituro, almeno in questo caso particolare... cioè, nessun medico, per quello che ho avuto modo di vedere e di studiare io, nessun medico feconda 30 ovociti se non è necessario, per il piacere di congelarli, purtroppo un ... nel nostro caso... Grazia: ne sono necessari 30 (ride)... Francesco: ne sono necessari tanti e poi noi diciamo sempre, nel ricorso c'è anche scritto, se noi avessimo la fortuna di averne quattro sani, cioè non è che noi li vogliamo conservare, perché ne vogliamo uno biondo... cioè avendo questa fortuna anche impiantarli nel tempo tutti e 4, tutti e 10 se ci dovessero essere, perché non è questo il ...senso, è.. una legge che è molto miope, scritta comunque da chi non vive questi problemi, perché ripeto anche noi, pur essendo dentro il problema, tanti aspetti non li avevamo valutati prima di passarci direttamente... Quello che dico io è che non può non fare riflettere è che in nessun paese europeo esistano questo genere di restrizioni, cioè... noi siamo stati in Turchia, un paese che si è laico però ha una cultura di un certo tipo... cioè noi arrivavamo al centro e c'erano le donne col velo che accedevano a questo tipo i tecniche.... Hanno anche loro dei vincoli, ti richiedono il certificato di matrimonio, non è permessa l'eterologa, cioè, ci sono dei limiti, però a livello di quantità, sul numero, non esiste... ML: in molti hanno attribuito le restrizioni della legge italiana alla forte influenza esercitata da Città del Vaticano... Francesco:ma non è neanche questo... noi siamo cattolici praticanti, non è nemmeno questo lo spirito della chiesa, perché io, siccome conosco un po' questi aspetti etici, lo scopo della chiesa è fare magistero, fare vedere cioè qual'è la strada giusta alle persone, ma poi devo essere io a sceglierla perché... a me questa legge mi toglie il libero arbitrio di scegliere, cioè io non sono libero di poter scegliere, anche di sbagliare, se tu scegli per me non mi dai la possibilità di fare la scelta giusta... ML: una forma di Stato etico... Francesco: ma non è nemmeno questo il dettame del cristianesimo, cioè, noi siamo stati dotati di intelligenza proprio per distinguere il bene dal male...quindi non ha significato... poi io osso capire altre perplessità, 121 le posso capire, però... questo livello di restrizioni è folle... e poi appunto causa il turismo procreativo... ML: non avete mai pensato alla fecondazione eterologa o ad altre alternative... Grazia: ci stiamo cominciando a pensare (all'eterologa)... Francesco: l'adozione.... io ho detto anche in altre sedi che non deve essere una frustrazione, una scelta data dalla frustrazione di non potere avere figli perché mi impediscono di accedere ad una tecnica diagnostica, quella deve essere una scelta che deve essere fatta, meditata, perché comunque è una scelta d'amore perché un figlio adottato, secondo me, è ancora più impegnativo e quando ci siamo conosciuti ne avevamo parlato però... non è questo il momento, noi possiamo avere un figlio naturalmente, lei ha tutto il diritto di avere il piacere di portare avanti una gravidanza, la gioia di vedere crescere... come ce l'hanno tutte le donne e... poi magari una volta che avrà un figlio, avrà provato quello forse avrà anche il desiderio di adottare un figlio... in questo momento non c'è, perché non... siamo concentrati su altro.. Grazia: il discorso è che ti viene la rabbia perché non è che non puoi, perché ad esempio quando una coppia è sterile, lo è completamente da tutte e due le parti, oppure hai un problema fisico, che ne so, legato all'utero quindi hai un'incapacità di portare in grembo una creatura, quindi a quel punto dici ok non posso, ma in questo caso la rabbia che ti viene e che c'è la soluzione tecnica, cioè non è una cura ma c'è una soluzione tecnica, cioè ora noi... le persone ci dicono ma siete rientrati dopo un fallimento dopo una settimana e siete relativamente tranquilli,però io dico anche dopo 4 aborti dopo delle gravidanze assolutamente non serene perché per me, si ok fai il test di gravidanza hai la gioia che sia positivo, poi inizia il calvario... il calvario dell'attesa, il calvario di metterti a riposo e svegliarti ogni mattina con l'incubo che vai in bagno e trovi la famosa perdita di sangue che per te è il disastro assoluto, l'attesa di un'ecografia con l'incrociare le dita per vedere se va bene... cioè dopo aver vissuto negli ultimi due anni e mezzo questo genere di cose, di stress, andare in ospedale, fare una FIVET, e aspettare tre giorni per avere un esito, per me non può essere lo stesso livello di stress e la stessa risposta negativa, per quanto fonte di rabbia perché 122 dici, va' bè allora sono proprio sfigata, però l'esito è talmente veloce che secondo me, sono due livelli di stress e di dolore incomparabili... ML: forse anche il fatto che il tutto in questo caso avviene fuori dal tuo corpo... Grazia: si probabilmente, e anche, io dico sempre, quando tu ce l'hai già dentro sia che hai un'interruzione alla settimana che ce l'hai alla nona è sempre una cosa che hai dentro di te, che lo hai portato dentro di te. Quando tu invece ricorri ad una FIVET, cioè riesci paradossalmente a viverlo con un pizzico in più di distacco, cioè è come quando fai un qualsiasi esame diagnostico o clinico e va male... cioè io ho fatto un'isteroscopia e mi hanno diagnosticato che ho una tuba chiusa, cioè lo paragono più a quello, anche perché comunque scoprire di avere una tuba chiusa è stato per me un profondo dispiacere, perché comunque quasi sicuramente è legata, e anche qui ti viene da domandarti, il continuare a provarci anche naturalmente e non ricorrere a queste tecniche non è un bene né da un punto di vista psicologico né da un punto di vista fisico, io non so se tre anni fa la mia tuba era chiusa... Francesco: probabilmente no... aver avuto 4 gravidanze naturali.... essendo nel suo caso l'ovaio destro quello che normalmente produce di più... tutte le volte che abbiamo fatto ecografie era quello l'ovaio dove c'era il follicolo che stava per scoppiare quindi... probabilmente si è chiusa con l'ultimo raschiamento... Grazia: per cui alla luce di tutto questo... per noi veramente la diagnosi preimpianto per noi diventa fondamentale... Francesco: non c'è proprio paragone con un aborto terapeutico.... anche perché chi si riempie la bocca con l'embrione è già nel concepimento è vita... non è così... non è così perché... prova ne sia che quelle cellule nel nostro caso ad esempio non potrebbero andare avanti... come si fa a dire che è vita un qualcosa che... è vita nel momento in cui s'impianta nel corpo della donna, allora in quel momento puoi dire è vita... ma quando è su un vetrino e non sai cosa c'è dentro come fai a dire è vita... come nel nostro caso su 10, 8 ovociti fecondati, non ce ne era uno che poteva vivere... quindi come fai a dire che quelle cellule sono vita... cioè... l'embrione è vita nel momento in cui viene alimentato dal corpo della donna, altrimenti non è vita... perché non può vivere... non si può riprodurre... 123 Grazia: potrebbe avere un senso se non si arrivasse nemmeno ad impiantare, allora lo potrei capire perché dici provate in maniera naturale tanto male che va non s'impianta e quindi non hai nemmeno le conseguenze negative di una gravidanza che s'impianta... perché per noi sinora ogni gravidanza ha avuto solo degli aspetti negativi e nessuno positivo... e questa è la nostra storia... ML: grazie per avermela raccontata... capisco che deve essere difficile Grazia: io non mi vergogno assolutamente, anzi, mi fa bene raccontarla... Grazia: a me è capitato di raccontare la nostra storia in televisione anche perché mi metto nei panni di una coppia che magari non conosce di avere un problema genetico e si trova medici che, o per ignoranza, o per scelta cosciente, o per obiezione di coscienza, non ti portano nemmeno a valutare che quello potrebbe essere una causa di abortività... Cioè noi siamo stati da quello che è giudicato come il miglior ginecologo della città in cui viviamo e ci ha fatto fare 4 tentativi naturali e quando ha visto la sua mappa cromosomica ha detto “no, non è questo il problema”, cioè quindi... chissà quanta gente ha problemi... oggi per fortuna l'amniocentesi la fanno tante persone e magari scoprono di avere questo tipo di anomalie... però alla fine le interfacce sono medici che, o per ignoranza o per obiezione non ti mettono a conoscenza di qual'è il problema... Grazia: e le alternative che ci sono... che esistono, perché non è sai che non esistono, pazienza sei sfigato te la devi tenere la sfiga, cioè la rabbia sta in questo che tu sai che dietro l'angolo c'è l'alternativa e nel tuo Stato, Stato che ti dovrebbe tutelare, perché spesso e volentieri si parla di tutela della donna... cioè, io non la vedo... Francesco: e poi alla fine passa il tempo, passano gli anni e poi magari è troppo tardi... Grazia: hai difficoltà... ML: quindi anche alcuni medici hanno delle responsabilità Grazia: si perché o non sanno, e allora mi viene se non da piangere da ridere o sanno e, non so in nome di che cosa non ti suggeriscono le soluzioni che comunque esistono... 124 Francesco:perché voglio dire... io posso anche capire, “guarda io non sono d'accordo però non sono il medico che può curare il tuo problema”. Grazia: esatto, cioè secondo me è una questione di coscienza questo, dire “io so dell'esistenza di altre tecniche anche se io non sono in grado, non sono d'accordo, però mi sembra giusto che tu vada a rivolgerti a qualcun altro”... io sono venuta a conoscenza in quest'ultimo periodo di una legge in Italia che punisce un medico che ti da un qualsiasi suggerimento per un centro estero dove andare... questo secondo me è nell'assurdità totale, perché nel momento in cui io instauro un rapporto di fiducia con il mio ginecologo, con il mio medico, e so che lui magari me lo vorrebbe anche dire, mi vorrebbe dare qualche suggerimento perché ne è a conoscenza e non può perché è vietato dalla legge... anche questa cosa per me è assurda, non soltanto in Italia non ti consentono di fare questo tipo di tecnica ma non consentono neanche ai medici di darti le informazioni necessarie per accedere alla tecnica stessa... cioè c'è il tabù totale come se fosse chissà che cosa... di tutela in questa legge ce n'è ben poca, non c'è un aspetto che è tutelato, né dell'informazione, né della salute della donna, né della salute dell'embrione, perché anche quando mi parlano di salute dell'embrione quando poi io penso, al di là del nostro caso, che è un caso in cui l'embrione non è destinato neppure ad essere embrione perché s'interrompe, ma anche quando ci sono in ballo magari malattie serie per cui c'è un embrione gravemente malato, ma che salute dai? Che vita gli dai? Io poi sono pro amniocentesi, pro scelta di effettuare un aborto terapeutico quando insomma... Francesco:si però quelle sono scelte, delle coppie, così come lo puoi fare per l'aborto così potresti doverlo fare per l'impianto... Grazia: esatto, già che io sono una persona così immagina che fastidio mi può dare questo tipo di restrizione... cioè non ci vedo nulla di male... per me non è una cosa dell'altro mondo, il male è se tu vuoi un figlio biondo con gli occhi azzurri, perché penso che nel mondo di questi psicopatici ne possono anche esistere, ma se tu vuoi un bimbo sano... non vedo veramente dove sta il problema, né nel nostro caso che è paradossale né nei casi di altri ragazzi che abbiamo conosciuto, cioè cosa fanno di male nel volere un bimbo sano... sono ben altre le cose schifose che ci sono nella vita.... (ride) io penso che i nostri legislatori si dovrebbero ben occupare di altro piuttosto che del volere un bimbo... 125 che poi veramente non si capisce neanche il perché... di questo accanimento... 126 Grazia&Francesco ML: l'altra volta avevamo parlato della vostra esperienza ad Istanbul, eravate tornati da due giorni, adesso che è passato un po' di tempo come guardi a quell'esperienza? Grazia: sicuramente positiva... siamo partiti molto tranquilli e quindi anche tutta la settimana è stata abbastanza tranquilla... in ospedale ci siamo trovati molto bene, forse l'unica cosa un po' particolare è stata la difficoltà di comunicazione, perché parlano tutti turco naturalmente, anzi un medico che mi aveva visitato un po' di inglese lo parlava, però le infermiere o alla reception parlano esclusivamente in turco, però sono ben organizzati perché c'è questa ragazza che ti aiuta, che ti fa da interprete, però superato questo io ne posso parlare solo bene... io ho sempre pensato “vado a fare un figlio al terzo mondo”, in realtà non è assolutamente così... cioè me lo aspettavo molto peggio di quello che poi invece ho trovato... Francesco: colpisce un po' perché comunque le contraddizioni ci sono, magari chi ci vede dal di fuori le vede anche in noi... si usa il velo perché lo prescrive un certo tipo di cultura e di religione, nemmeno tutte, almeno nella parte nuova della città dove siamo stati noi, nemmeno troppe donne lo portavano, però è capitato di incontrare nella sala d'attesa delle donne che erano lì con il marito... Grazia: però questo ti lascia pensare, perché lui magari la vede come una contraddizione, io la vedo più come una cosa positiva... cioè nonostante... Francesco: va' bé però è una cosa che ti colpisce perché comunque se pensi com'è considerata... ML: la donna... Francesco: appunto, come siamo considerati più liberali nei comportamenti noi... e poi andiamo lì perché qui certe tecniche sono vietate in virtù di non so quali... valori... ci ha colpito il giorno in cui siamo andati, erano in calendario sei prelievi di ovociti e tre erano con diagnosi preimpianto, che è una percentuale non piccola, ora è vero che 127 c'eravamo noi che venivamo da fuori, però comunque su cinque, due facevano diagnosi... e dai nomi sembravano locali... sicuramente anche gente benestante perché comunque era un ospedale a pagamento, gente benestante si vedeva, avevano la mazzetta di banconote, perché poi pagavano in contanti... sicuramente gli stipendi sono più bassi dei nostri, non so se le donne lavorano e in che percentuale, sono tecniche che comunque hanno un costo... Grazia: ma non pagheranno la stessa cifra nostra... Francesco: ma io non mi sentirei di escluderlo, magari non pagano quanto da noi... alla fine qui se fai una ICSI comunque due/tremila euro... cioè non è che te la fanno gratis... se ci aggiungi tutto il resto... cioè non è che sono tecniche gratuite, devi avere un minimo... l'ospedale poi era una struttura in stile americano, cioè non ti senti di essere... io poi c'ero stato qualche anno fa (a Istanbul), a livello di miglioramenti... anche a livello di negozi, sulle strade principali ci sono tanti monobrand, servizi pubblici efficienti, grande pulizia, sicuramente più di molte città del sud... comunque sembra una città europea, il discorso del velo poi è culturale... ripeto, velo non ai livelli dell'Afghanistan... ML: volevo approfondire anche un altro tema che è emerso nella nostra precedente chiacchierata, cioè l'etica... cosa è per voi? Francesco: le definizioni sono sempre difficili... (ride) ML: no, non ti preoccupare, non voglio la definizione filosofica, vorrei sapere cosa è per te, nella pratica... Francesco: guarda, ti dirò, quando abbiamo perso il primo... non so nemmeno come chiamarlo... Grazia: embrione... e nemmeno... Francesco: a me verrebbe da dire il primo figlio... comunque quando abbiamo avuto il primo aborto io ho cominciato a pensare a fare una DGP, probabilmente non ne ho parlato subito nemmeno con lei perché comunque... però ci ho cominciato a pensare e ho cominciato a documentarmi e io ho capito solo dopo che tu con la DGP scarti solo gli embrioni sbilanciati, cioè quelli che hanno problemi seri, io ero convinto che si potesse scartare anche il traslocato bilanciato, come lei, e mi ponevo il problema se fosse giusto selezionare comunque una vita... perché... cioè io non sono convinto che impedire a una vita, anche 128 malata, di avere un luogo sia giusto... non dico che è sbagliato, ma non so neanche se è giusto... cioè ho maturato il fatto che se tu certe cose non le vivi, certe decisioni, certe scelte, sono... sono difficili da giudicare... io non so se me la sentirei... una delle cose che mi ha frenato a parlarne con lei era anche questo fatto, perché comunque noi ora stiamo cominciando a prendere in considerazione anche una donazione di gameti, un'eterologa, perché una delle perplessità che abbiamo è questa: un giorno nostro figlio potrebbe andare incontro alla stessa sofferenza che stiamo vivendo noi, e quindi te lo poni il problema: è giusto, da genitore, mettere al mondo un figlio che può avere lo stesso tipo di problema? E dall'altro però ti chiedi: è giusto non farlo? Cioè per me questo tipo di valutazioni, questi tipi di domande, sono per me l'etica... Non so cosa è giusto, non sono sicuro se è giusto, nel momento in cui c'è una cura, una tecnica, che ti pone davanti a una scelta che comunque riguarda la vita... ci devono essere dei limiti, te li devi porre... Oggi ci raccontava una ragazza che ci sono coppie che vanno in Belgio perché hanno avuto tre figli maschi e vogliono la figlia femmina e gli altri li scartano... questo secondo me non è etico... la vita ha un senso... secondo me nella vita anche le sofferenze hanno un significato, io sono credente per cui il significato del percorso che fai, che hai durante la vita, comunque contribuisce a creare quello che sei... e non sono sicuro che scegliere di non fare nascere un figlio malato è la decisione giusta per me... non mi trovo in questa situazione, ma se mi ci trovassi non sono sicuro di che scelta farei... cioè lei in questo è molto più... più drastica di me... Grazia: io un figlio malato non lo farei nascere... è il discorso che facevamo un po' l'altra volta... io ad esempio non condivido chi non fa un amniocentesi perché comunque qualsiasi problematica, come ad esempio un down, purtroppo non viviamo in una realtà dove ci sono anche le strutture per consentirti di portare avanti queste situazioni che sono pesantissime... io conosco personalmente una coppia che una ventina d'anni fa ha messo al mondo un bimbo con dei ritardi mentali e non mi posso mai scordare che questa signora, spesso e volentieri si è trovata costretta a chiudere suo figlio a casa, nella sua stanza, perché comunque quotidianamente doveva accompagnare gli altri figli a scuola, doveva fare la spesa, la normale vita quotidiana, e lei non ha avuto nessun appoggio se non de ragazzi volontari che saltuariamente andavano a darle una mano... e io penso, davanti a queste cose, non... a parte che vita è questa che fa questo ragazzo... non lo capisco, io da 129 questo punto di vista sono più drastica, preferisco sapere e fare un tipo di scelta conseguentemente... ML: quindi se tu adesso restassi incinta dopo tutto quello che avete fatto e scoprissi che non è sano... Grazia: non lo metterei al mondo, cioè nonostante tutto... Francesco: io non ho questa stessa certezza, non sono così categorico poi, probabilmente, maturerei la stessa scelta, però non sono convinto... cioè non sono sicuro che lo farei e... cioè anch'io sono per l'amniocentesi, è giusto avere delle informazioni anche perché le patologie non sono tutte le stesse, però... non me la sento di fare una graduatoria, fino a questo livello di problemi sono accettabili, questi altri no... mi ci dovrei trovare, non sono nella condizione di dire... e possibilmente avere anche dei rimorsi perché l'altra cosa che c'è nell'etica e che quando fai una scelta e non hai rimorsi, non hai tentennamenti, vuol dire che il problema etico non c'è, oggi io ho maturato che nella PGD, almeno nel nostro caso particolare, non c'è nessuna controindicazione etica per quello che è la mia etica, poi magari viene il Santo Padre e dice che l'unico modo per avere i figli deve essere la via naturale e se non vengono bisogna accettarlo, io non lo condivido, non è nella mia etica questo, per me quella è una cura ad una malattia e... come sono cure le trasfusioni di sangue che altre fedi religiose non ammettono, come sono cure i trapianti di organi e lì espianti un organo da una persona che è ancora viva... sono punti di vista, per me quelle sono cure, non sono... per quello che è la mia personale etica, che si è formata con la mia esperienza, con quello che ho letto, studiato, è la mia, ognuno ha la sua... Grazia: e poi io credo che quello che si fa è un percorso, io non credo che ci sia una coppia... cioè comunque prima devi vivere anche un lungo periodo di infertilità per cominciare a pensare ad una tecnica... un'altra coppia che conosco, è da due anni che provano ad avere un bambino, cioè solo ora stanno cominciando a ragionare e dire “forse dobbiamo trovare un'altra strada”... non è che uno dopo due mesi che non riesce ad avere un bimbo ricorre alla tecnica, figuriamoci una PGD... almeno per noi è stato così, prima di giungere a questa decisione sono passati due anni e mezzo e quattro aborti... Francesco: chi non vive questo tipo d problemi pensa che è il piacere di non avere un figlio anche malato... che non è necessariamente così... 130 perché comunque tu, chiunque, con qualsiasi livello culturale ha, nel momento in cui gli viene spiegato o comunque cerca di documentarsi, non sono mai decisioni, anche la scelta di abortire, non è mai... delegata... sono cose che ognuno con il livello di conoscenza che ha... però io conosco tante gente che appena ha saputo d avere un problema si è sforzata, anche perché oggi è più facile reperire informazioni, cioè sono scelte e decisioni meditate a lungo... purtroppo ci sono anche quelli che cercano il figlio biondo con gli occhi azzurri o il maschio piuttosto che la femmina che poi portano a generalizzare il discorso e portano discredito su delle tecniche e su chi vive delle problematiche... Grazia: e poi si parla alla fine più di tutti questi casi che del resto... Francesco: perché sono più semplici... e poi comunque l'infertilità sta diventando ogni giorno di più un problema, a causa dei nostri stili di vita, perché cominciamo a fare figli più tardi... e tutte quelle cose che sappiamo... ML: poco fa hai accennato al fatto che state pensando all'eterologa, me ne parlate un po'... Francesco: io, sempre perché sono quello che si documenta prima... ho preso il discorso io, ne abbiamo parlato e lo stiamo prendendo in considerazione... però poi come in tutte le cose in questo momento è più lei per farla che io... io sarei più per tentare qualche altra volta... la stiamo valutando... ci sono le due opzioni: c'è l'eterologa con donazione di ovocita che dobbiamo prendere in considerazione o l'altra alternativa sarebbe adottare un embrione direttamente che è un'altra cosa che all'estero si può fare... pesando pro e contro il pro della donazione dei gameti è che almeno un genitore, in caso di problemi, comunque è conosciuto, dal trapianto di midollo a tutto quello che ti può capitare nella vita, comunque aiuta... e quindi questa è la prima perplessità... dall'altro c'è la prima reazione “non è un figlio mio”, soprattutto del coniuge che... ML: che non ci mette il gamete... Francesco: esatto... io non ho questa... premesso che chiunque ha piacere a trasmettere il suo corredo cromosomico... Grazia: tranne io (ride)... che non è il caso... Francesco: ma non è così... 131 Grazia: io ci sono arrivata a questa considerazione... Francesco: ma non è vero perché la prima volta che glie ne ho parlato la reazione è stata: “così sarebbe solo un figlio tuo”... io non la vedo così, per me i figli sono di chi li cresce l'unica differenza è che permetterebbe rispetto ad un'adozione tutto il percorso della gravidanza, che con un'adozione non hai... uno dei vantaggi che avrebbe quello che dicevo prima di non fare passare ad un figlio gli stessi traumi che stiamo vivendo noi perché supererebbe la traslocazione... ed è una cosa che pesa nella genitorialità, è come non avere un figlio talassemico... questa tecnica oggi permetterebbe di evitarlo, quindi è una cosa che stiamo valutando... ML: bella l'idea di adottare un embrione però... Francesco: si è stata una delle richieste che avanzavano i genitori che avevano problemi quando è stata promulgata la legge 40, ci sono 30000 embrioni congelati che aspettano... è una cosa che normalmente le coppie non chiedono perché prevale la scelta... è raro insomma che ci siano problemi su tutti e due, però non è una cosa impossibile... poi alla fine pagando nella vita si può avere tutto... è una possibilità... Grazia: stiamo andando per gradi... il prossimo sarà un'eterologa... il dottore oggi mi ha detto di non scoraggiarmi, che per un'eterologa c'è sempre tempo... Francesco: il discorso è che il tempo passa... questo giugno saranno 4 anni che siamo sposati... e il desiderio... molti amici sono già al secondo... c'è comunque un desiderio forte e aspettare non è semplice... è semplice dire “hai ancora tempo provaci ancora” ma... la scelta da parte sua di riprovare significa aspettare ancora ed è pesante, non è semplice... anche per me, io sono più... secondo me in tutto quello che noi stiamo passando c'è un senso, che magari noi non vediamo ma... lei non ci crede... Grazia: (ride) io ancora lo devo capire qual'è questo senso, però se lui dice che c'è... ci dovrà essere... Francesco: guarda te lo dice uno che ne voleva quattro... Grazia: e sempre lì mi va il pensiero (ride), la gente che non ne vuole ce li ha e io che lo vorrei tanto no... ma perché? 132 Francesco: io non sono per niente rassegnato, non ho alcuna intenzione di arrendermi, le proveremo tutte le strade, anche se non è che uno può cascare malato... però, anche là, ogni cosa a suo tempo... ML: e tu tutte questa terapie come le vivi? Grazia: ma guarda a me non me ne frega niente, forse perché sono stata fortunata e con la stimolazione non ho avuto nessun problema, nessun sintomo collaterale... po’ impari a dare una scala anche al dolore... forse come dice lui è la fretta di arrivare al risultato, cioè non mi spaventa nemmeno un'altra delusione, dopo 4 aborti... dopo quello, nient'altro... l'aborto è devastante... anche perché magari lo fai in ospedale dove sei circondata da persone felici... anche fisicamente è molto più invasivo rispetto ad una tecnica... figurati se mi preoccupa il progesterone (ride)... 133 Miriam&Giovanni Miriam: noi siamo sposati da sette anni, abbiamo fatto PGD circa un mese fa in Turchia per evitare una malattia di cui mio marito è portatore e comunque ha vissuto anche, perché non è come la talassemia che se sei solo portatore non hai alcun disturbo, lui ha avuto l'esperienza di una forma di tumore che ha colpito alla retina e è stato operato quando aveva sei mesi in svizzera... Giovanni: mi è stato diagnosticato e subito sono stato operato, ho perso l'occhio sinistro, l'occhio destro è stato trattato con una tecnica all'ora innovativa e sono riusciti a salvarmi l'occhio, ma sono sempre sotto osservazione da quando sono nato perché ho 9 piccole cicatrici nella retina causate da questa terapia farmacologica che evita l'avanzamento del tumore. Dopo due anni è nata mia sorella con la stessa malattia in una forma più lieve; il mio è un retino blastoma bilaterale, quindi che colpisce tutti e due gli occhi, invece a mia sorella ha colpito solo l'occhio sinistro. E poi in svizzera hanno fatto tute delle altre indagini, hanno raccolto i nostri campioni del sangue, siamo stati in America perché all'epoca, trent'anni fa, era una malattia grave, e sono riusciti ad individuare questo tipo di malattia che si trasmette di padre in figlio con una percentuale del 50%. E quindi poi hanno indagato e hanno capito che la malattia era presente anche in mio padre, che è stato operato a circa 40 anni, ma quella di mio padre è una forma lieve, la mia è stata la più eclatante, diciamo... Ogni anno siamo sotto controllo, due anni fa ho avuto un'emorragia e questa cosa è andata avanti per due anni poi alla fine hanno deciso di fare il laser, che loro volevano evitare proprio per non danneggiare la retina che io ho già queste cicatrici, e addirittura l'ho fatto in Italia perché la Sanità italiana non mi dava l'ok per andare in svizzera, se no avrei dovuto pagare tutto io, e lì è la clinica migliore per quanto riguarda questa malattia. Miriam:tutto questo nel frattempo che ci stavamo preparando per partire per Istanbul... Giovanni: si, perché io ho avuto l'emorragia ad agosto, a settembre ho effettuato il laser... Miriam e poi ad ottobre siamo andati lì a prepararci... 134 ML: quindi voi non avete mai provato ad avere delle gravidanze in maniera “naturale”? Miriam: si, abbiamo provato, ma... Giovanni: si ma aspetta, nel 2001 quando ci siamo sposati abbiamo effettuato delle consulenze genetiche perché appunto eravamo a conoscenza della malattia che si può ereditare, quindi cercavamo una soluzione e siamo andati all'ospedale di Siena dove io facevo i controlli per il neuro blastoma, ci siamo rivolti alla dottoressa, alla responsabile del centro tumori, questo quando ancora la legge 40 non c'era, e la dottoressa ci ha detto che non c'era altra soluzione che ottenere una gravidanza naturale, poi effettuare l'amniocentesi al terzo mese e quindi portare ugualmente avanti la gravidanza se ci fosse stata la malattia, effettuare un parto cesareo all'ottavo mese, per intervenire subito sul bambino.. Miriam: con un parto anticipato all'ottavo mese in modo da anticipare la malattia... Giovanni: eravamo noi all'oscuro di questa tecnica che già esisteva ML: quindi la dottoressa ai tempi non vi ha consigliato Miriam: no... Giovanni:ci ha dato solo quella strada Miriam: stesso discorso pure in svizzera quando poi lui ha avuto l'emorragia, mentre eravamo lì abbiamo voluto parlare con il genetista e neanche lui ci ha parlato assolutamente di questo.. Giovanni: va' bé però in svizzera c'era il problema e la difficoltà della lingua perché il genetista era francese.. Miriam: va' bé... ma anche in Italia..non ci hanno mai proposto un'altra soluzione al problema. Giovanni: ci hanno detto soltanto: siete nelle mani di Dio Miriam: poi dopo abbiamo noi comunque.. perché non è che lo sapevamo... Giovanni: e noi abbiamo provato naturalmente ma non è successo niente, poi abbiamo fatto degli esami e abbiamo visto che c'erano questi 135 problemi ad ottenere la gravidanza, e ci hanno detto che c'era questa tecnica, ti puoi immaginare... lo potevamo sapere prima, erano passati tre anni... ML: nel frattempo era stata approvata la legge... Giovanni: appunto e noi eravamo allo scuro di questa cosa... Miriam: così nel 2006 ci siamo informati su queste tecniche e ci siamo organizzati per andare all'estero... Ml: quindi avete pensato di rivolgervi subito all'estero, senza prima passare per un centro qui in Italia, perché, non riuscendo ad ottenere delle gravidanze in modo naturale potevate essere considerati come una coppia infertile Giovanni: si va' bé ma il problema è che tu hai l'obbligo di fare l'impianto.. e se sono tutti e tre malati na'mu concluso nenti, come faccio io? Ml: la legge permette l'aborto terapeutico... Miriam: certo... Giovanni: oppure se sono due, tutti e due con la stessa malattia, cosa gli racconti poi? Tu hai cercato una gravidanza plurigemellare e in più... cioè io l'ho vissuta sulla mia pelle, io quando ero piccolo la colpa la davo ai miei genitori, perché tu sei diverso dagli altri, non puoi fare alcune cose... cioè, i genitori erano molto protettivi e ti ponevano dei limiti. Poi quando sono cresciuto i limiti poi li scopri da solo, fino a dove puoi arrivare. Quindi io mi sento almeno in dovere di cercare di evitare la malattia ai miei figli, per quello che ho passato io, mia sorella,mio padre, è tutta una situazione... cioè tu la vivi... non è come i miei genitori, non lo sapevano, sono arrivati, bene, ma tu che sei consapevole di avere questa malattia di trasmetterla, a me sembra incosciente, perché poi cioè... tu regali un tumore a tuo figlio... hanno fatto delle statistiche, tutti quelli che hanno il retino blastoma possono con il tempo sviluppare il tumore alle ossa, cioè... quindi, almeno io non mi sento di fare questa cosa... ML: né poi tanto meno di fare un aborto terapeutico... Giovanni: quello soprattutto per lei, poi siccome noi siamo costretti... 136 Miriam: dopo il tentativo a Istanbul poi non ne abbiamo fatti più perché ci è costato 10.000 euro Giovanni: tu puoi capire no... Miriam: lui guadagna 1100 euro e io ne guadagno 400 in nero, quindi abbiamo 1500 euro al mese, e con questi ci dobbiamo vivere e ci hanno aiutato i nostri genitori ad affrontare quello che abbiamo affrontato ma, se dovessimo rifarlo, mettere da parte altri 7000 euro per ripartire, ecco, non si fa in un giorno... oltre poi l'aspetto economico, anche psicologicamente è stato troppo brutto... io al solo pensiero di tornare là mi sento male... Giovanni: e tu considera che a Istanbul dal punto di vista religioso sono... tipo 50 anni indietro rispetto all'Italia, ma per loro è un'esigenza fare la diagnosi preimpianto perché la, in Turchia, il 70-80% della popolazione è portatore sano di beta talassemia... cioè per loro è un'esigenza per salvaguardare la nazione e invece qui in Italia ancora non esiste... cioè la tu ti vedevi le persone, le donne, con il chador, tutte coperte, che facevano la diagnosi, e qui in Italia invece non è possibile, perché c'è il Vaticano, c'è la chiesa... e tutti 'ste cose qua... io vengo da una famiglia molto cattolica, anche troppo... Miriam: si anche troppo... Giovanni: però ora mai io non credo più, credo solo nella natura, stop, basta! ML: quindi adesso state presentando il ricorso... Miriam: si, prima quando ancora non sapevamo di questa possibilità di presentare il ricorso avevamo deciso l'avremmo cercato nuovamente naturalmente e se non fosse venuto avremmo seguito la tecnica di fecondazione qui in Italia e come va... Giovanni: perché alla fine io posso dire a mio figlio che ci ho provato... Miriam: perché oggi il desiderio di avere un figlio, al di la di averlo sano, ecco... oggi prevale il desiderio di avere un figlio, se è sano o no... ML: quindi non avete mai pensato di ricorrere all'eterologa? 137 Miriam: no, assolutamente, questo proprio l'ho escluso... non critico, non giudico chi lo fa, perché poi bisogna anche trovarcisi in una situazione... Giovanni: esatto... Miriam: siccome nel nostro caso sappiamo, che appunto, naturalmente non ci riusciamo, perché gli spermatozoi in alcuni momenti sono indeboliti, in altri sembra invece che vada tutto bene, non lo so a 'sto punto... perché in realtà non c'è un motivo valido per cui... però sappiamo che comunque c'è una speranza facendo la fa... Giovanni: cioè io posso arrivare ad una certa età, vedo che non c'è nessuna soluzione, ci sono tanti bambini in giro che hanno bisogno d'affetto, cioè non vado poi io a cercare la cosa per forza, se hai provato per 10 15 volte... cioè io arrivato ad una certa età una vecchiaia senza figli, secondo me è una cosa troppo brutta... ML: quindi comunque tu preferiresti l'adozione ad un figlio con fecondazione eterologa... Giovanni: a questo punto... per me... si.... cioè io non critico... poi certo per una donna avere una gravidanza è la cosa più bella al mondo.. Miriam: però io stessa, anche se lui mi dicesse si, non lo farei... Giovanni: perché la cosa vedi, cioè, il matrimonio è l'unione, deve essere una cosa di tutti e due, o di tutti e due o di nessuno, almeno io la penso così, adottivo è di nessuno... ML: è un tipo di genitorialità diversa... Giovanni: si appunto.. io sta cosa non la vedo tanto...perché un domani lei mi può dire questo è figlio mio... Miriam: no va' bé... Giovanni cioè, almeno la donna può dirlo, è figlio mio, non è figlio tuo... ML: geneticamente... Giovanni: perché lo ha partorito, invece così adottivo sappiamo che è, insomma... Ml: quindi adesso aspettate l'esito del ricorso e poi riproverete... 138 Miriam: si, dopo l'estate... così ci riposiamo... anche economicamente... Giovanni: certo, perché ti pare che guadagniamo chissà che cosa... ML: poi anche per Miriam, da un punto di vista fisico... Miriam: si... Giovanni: che poi un'altra cosa; la situazione ora con la legge attuale, paghiamo tutto il procedimento, il bambino è malato, che devo fare? Devo farlo curare... e pagare... Miriam: all'estero poi, perché qua in Italia.. Giovanni: c'è il centro a Siena, ma tu pensi che me ne vado la dopo quello che mi hanno detto nel 2002? Non ci vado, vado in Svizzera dove sono stato operato io, dove è stato operato mio padre, mia sorella ti devi immaginare che non è stata operata lì perché economicamente i miei non ci arrivavano, prima ero stato operato io, dopo due anni è nata mia sorella, mio padre mi raccontava che, all'epoca, c'erano voluti tipo due anni di stipendio... ML: anche perché magari non era riconosciuta dal SSN, quindi nessuna agevolazione... Giovanni: certo, figurati... e poi la procedura è lunga... quando sono stato operato la prima volta si, abbiamo fatto tutte le carte, c'è una commissione che decide, ma poi quando mi è venuta l'emorragia due anni fa, pensi che avevo il tempo di andarmene in giro a sbrigarmi le cose e a aspettare la commissione? No... Quindi per me la Sanità italiana è zero, zero, per me... Ora poi che hanno messo questa cosa dell'AIDS, per me è un'offesa, cioè io l'AIDS me la vado a cercare Miriam: va' bé non sempre.. Giovanni: attenzione, può capitare facendo una trasfusione, però ora rientrano tutti... L'AIDS te lo vai a cercare giusto? Miriam: magari qualcuno se lo ritrova.. Giovanni: ritrovi che cosa? Miriam: l'hai detto tu, con un intervento, una trasfusione... Ml: considera anche che tante persone magari non possono scegliere se avere o no rapporti protetti... 139 Giovanni: si ma non ci nasci... per me è un'offesa per tutti quelli che hanno una malattia genetica dalla nascita... perché uno che se ne va a prostitute, che bisogna dirle queste cose, si prende l'HIV ed è più avvantaggiato di uno come me... ho ragione o no? ML: sicuramente chi è portatore di malattie genetiche è lasciato solo, discriminato... è come se si volessero solo esseri “perfetti” Giovanni: noi non cerchiamo il figlio perfetto, noi vogliamo solo la salute che è la cosa più importante.... noi non cerchiamo la bellezza... se anche mio figlio è bello ma ha un tumore pensi che mi ringrazierà? Che qualità della vita è? Le difficoltà che ho avuto io per trovare lavoro... Ma tu ci pensi che non ho potuto fare il militare, ho avuto le strade chiuse in polizia, carabinieri... ML: ma o stato non ti ha riconosciuto l'invalidità civile? Giovanni: ho l'invalidità, ma secondo te io ho trovato lavoro grazie alla mia invalidità? Io il lavoro l'ho trovato a 30 anni... Miriam: grazie a una raccomandazione... Giovanni: e anche sto fatto delle staminali, che non si può fare ricerca... hanno ricostruito tutto figurati se non riescono a ricostruire la retina... ML: quante volte siete andati ad Istanbul? Miriam: due volte, ma la seconda volta abbiamo trasferito embrioni congelati, ma... Giovanni: il destino ha voluto che poi... Miriam: ma anche perché la tecnica comunque non è detto che funzioni... certo c'è chi al primo tentativo ci riesce, noi abbiamo avuto due possibilità, due embrioni freschi, due embrioni congelati... La prima volta l'ho perso dopo pochi giorni... la seconda volta zero... Giovanni: si guarda proprio il destino...la seconda volta che siamo andati lì arrivati al trasferimento lei aveva la febbre e gli embrioni, che erano congelati glieli hanno dovuti trasferire per forza perché ormai li avevano scongelati... Miriam: è stata anche una questione di sfortuna.. come ci sono state invece coppie che abbiamo conosciuto perché è pieno di italiani che con ovociti congelati sono riusciti ad ottenere la gravidanza, oppure che 140 hanno il figlio più grande malato e che cercano di avere un fratellino compatibile per salvarlo... ci sono le statistiche ma alla fine è da caso a caso... come la sindrome di down, se sei giovane non ce l'hai... non è vero poi... ML: lì non c'è un limite nell'impianto degli embrioni? Miriam: decidi tu... con l'aiuto del medico naturalmente... Giovanni: quelli che non vuoi li congelano, per due anni mi sembra.. dopo se non li vuoi li buttano, credo... noi avevamo 12 ovociti, 8 sono andati avanti, poi li hanno analizzati e ne avevamo 4, 4 sani e 4 malati... ti puoi immaginare lo stress, l'attesa del risultato che c'è sempre la paura che possono essere tutti malati... ML: poi magari anche il fatto che si è da soli, lontani dalla famiglia Miriam: si questo ma anche la lingua... e poi anche lo stress perché magari il Dottor. Guglielmino ti fa la visita e ti dice domani devi essere a Istanbul, e allora organizzati, i biglietti, l'hotel, i bagagli, le ferie al lavoro, i medicinali... diventi pazzo, arrivi là che già sei esaurito... poi arrivi là, vai in ospedale, ti trovi di fronte dei medici che non capisci, che non hai mai visto, ti devi solo fidare... ML: non c'è un'interprete? Miriam: si c'era una ragazza, ma con tutte le coppie italiane che ci sono mica quella può stare con te per tutto il tempo... però alla fine quando tu arrivi là in sala operatoria che ti devono fare tutto, ti devono addormentare e sei sola, perché lui non può neanche entrare, ti devi solo fidare... non puoi fare altro... cioè non li hai mai visti, una cosa è che sei con il tuo ginecologo che ti dice ora facciamo questo, ora facciamo quest'altro, ti spiega, quando sei là ti addormentano e ti fanno quello che ti devono fare... Giovanni: poi io sono anche d'accordo con il fatto di congelare l'embrione malato... perché ci potrà essere una tecnica che lo salva in partenza, che ne sappiamo noi, la scienza ha fatto passi da gigante... potrebbe esserci una tecnica che trova la cura... ML: ma voi pensate che l'embrione sia già vita? Miriam: io penso che ognuno abbia la sua libertà di pensiero, non giudico chi la pensa così, che già quando la cellula uovo si unisce allo 141 spermatozoo già è vita, per me è una cellula fecondata da un'ora due ore due giorni quello che è, fino al momento in cui viene analizzata, non posso dire che già è vita, non la vedo così... per me ancora non è neanche embrione, per me ancora è una cellula che diventa embrione se lo impianti, ancora è una cellula che si sviluppa in due, tre cellule... Giovanni: per me la vita è quando cominci a pensare... Miriam: poi anche il fatto che la legge ti da la possibilità di abortire io la vedo assurda... non mi puoi dire che vuoi tutelare l'embrione in quanto vita... allora perché mi dici che se io sono portatore di malattie genetiche posso fare l'aborto... o lo accetti.. in questo momento se mi arrivasse una gravidanza naturale io sarei la persona più felice del mondo, anche se è malato lo accetterei... dopo tutto quello che abbiamo passato il desiderio di avere un figlio è più forte di qualunque cosa... Giovanni: oggi le tecniche possono bloccare il tumore, con il laser, ma siamo sempre lì, con il punto interrogativo... e devi essere fortunato nella sfortuna che il tumore deve essere alla periferia della retina, come il mio caso... se colpisce il centro... sei cieco... perché io devo fare passare a mio figlio questa cosa se posso preventivarla? Se si deve seguire il corso naturale della vita come dicono loro io metto al mondo un figlio che può morire di tumore se non lo curo... ML: quindi oggi per voi il desiderio di avere un figlio è più forte della paura che possa essere malato? Giovanni: si perché alla fine le abbiamo provate tutte, cioè che possiamo dire che abbiamo lo scrupolo che c'era una soluzione e non l'abbiamo provata... a un certo punto gli anni passano... Miriam: a meno che non ci rinunci e a un certo punto decidi di intraprendere l'adozione.. però io per adesso non mi voglio arrendere... ho ancora 29 anni e non mi voglio arrendere Giovanni: fino a quando c'è uno spiraglio ci proviamo... Miriam: può darsi che fra 10 anni m'arrenderò, ma ora no... 142 Sandra&Davide Sandra: allora da dove cominciamo... Davide:da dove vuoi cominciare...??? ci siamo conosciuti, sapevamo di essere entrambi portatori sani... Sandra: noi avevamo 16 anni, però eravamo amici e da amici sapevamo entrambi di essere portatori sani di talassemia; io lo sapevo da quando ero piccola... lui sospettava... Davide: io lo sospettavo e ai 20 anni ho avuto la conferma... ML: da cosa lo sospettavi? Davide: io ho una madre portatrice sana, e la statistica dice che il 50% dei figli possono essere portatori sani: io ero il sesto di sei figli, l'ultimo, tutti portatori sani... Sandra: per la serie le statistiche... nel mio caso invece si sospettava per un pallore che avevo spesso e il medico curante disse “non è per caso che...” e poi, testuali parole, “non fa nulla, l'importante è che non ti sposi con un altro portatore sano”, io l'ho preso alla lettera, dopo molti anni che ci conoscevamo, ci siamo messi insieme e ci siamo sposati sapendo già che eravamo entrambi portatori sani... Davide: e quando abbiamo deciso di sposarci la diagnosi genetica si poteva fare... Sandra: e noi tra l'altro eravamo informatissimi perché siamo amici della nipote del Dottor Guglielmino, quindi io ero costantemente informata su tutti i progressi scientifici... e quindi lo sapevamo perfettamente che c'era la diagnosi genetica e che sicuramente ti fa stare più sereni, cioè la vivi in un'altra maniera, perché sai che hai una possibilità tra virgolette e solo che poi è uscita la famosa legge nel 2004, noi nel 2005 ci siamo sposati, esattamente una settimana dopo il referendum... e questo è stato il regalo che ci hanno fatto... ci siamo sposati consapevoli del fatto che c'era 'sta benedetta legge 40 che ci impediva la diagnosi... Davide: diciamo che noi a priori scartavamo l'idea di concepire un bambino e poi al terzo mese di gravidanza... 143 Sandra: no no, assolutamente... non mi sono proprio... Davide: ci abbiamo messo tutti i mezzi perché non succedesse... Sandra: io sono sincera... io vivevo col terrore, per me era una cosa... il pensiero di rimanere incinta, di dover fare un amniocentesi e poi sapere... dover decidere se tenerlo o no... solo il pensiero mi faceva morire... stavo malissimo solo a pensarlo...per cui sempre è stata una cosa di cui abbiamo parlato... ML: perché c'è una percentuale del 25% che venga malato? Sandra: proprio quello è il problema.... ML: perché se sei portatore sano vivi benissimo... Davide:siamo qua... Sandra: può capitare di essere un po' più stanco di altri... ML: e quindi siete andati all'estero... niente Italia... Sandra: no assolutamente, perché comunque sapevamo che... ML: li avrebbero impiantati ugualmente... Sandra: e quindi pur essendo fertili abbiamo deciso di fare la diagnosi preimpianto... ML: dove siete stati? Sandra: a Istanbul Davide: due volte... Sandra: la prima volta erano tutti malati e quindi... Davide: sempre in barba alla statistica... Sandra: la statistica dice 1 su 4... Davide: sono riusciti a fecondarne 3 e tutti e tre malati... teoricamente ce ne doveva essere mezzo sano... e quindi ce ne siamo tornati a casa... Sandra: una bellissima esperienza... fantastica, sotto tutti i punti di vista... sei fuori in un paese che non conosci, una lingua che non conosci, medici che non conosci, gli unici punti di riferimento siamo noi due.. e 144 affrontare una cosa del genere non è semplice, ci stai male, è normale, e sei solo... Davide: e poi lei alla fine... un'anestesia totale, un intervento, per quanto leggero... ci sono migliaia di persone che non lo proveranno mai... Sandra: leggero?... Davide: dai, non è un intervento invasivo... Sandra: insomma, bene non sono stata... Davide: si, un piccolo intervento... Sandra: sono stata a letto coricata tre giorni, perciò tanto bene non è che mi ha fatto... la seconda volta non è andata così... ma la prima.. e io chiamavo (al telefono) perché non avevo nessuno... là chi avrei dovuto chiamare, il medico turco? Che parlava in turco? ML: niente servizio di interpretariato' Davide: no, la prima volta no.. e poi comunque non è che l'interprete ce l'hai 24h su 24... cioè nella camera d'albergo, quando lei stava male, perché una volta che è passato l'effetto dell'anestesia, quando ci siamo ritirati abbiamo cominciato a vedere che stava male... a chi ti rivolgi... oltre chiamare Guglielmino a chi ti rivolgi? Cosa fai? Sandra: niente! È che da certi punti di vista ti comporti anche da irresponsabile... questa è la sensazione che ho io... io sono andata la, non so chi è, chi non è, non so come lavorano, come non lavorano... vai... cioè devi andare... non hai alternativa... non c'è un altro modo e quindi ti butti... poi io mentalmente mi costruisco i miei castelli per cui... io preferisco non farmi troppe domande... cioè non pormi troppi dubbi, perché mi rendo conto di non avere le risposte e quindi preferisco... a modo mio mi dissocio... no è così, perché se poi cominci a pensare a tutto quello che può succedere...non vai da nessuna parte... e quindi ti lanci... Davide: cerca di renderti conto di questa situazione: tu vai la, otto giorni, e aspetti l'esito della diagnosi... sentirti dire che non si fa il trasferimento... cioè, una delle peggiori botte che abbiamo mai ricevuto... Sandra: sì, assolutamente.. 145 Davide: e.. quindi te ne torni a casa... avendo speso 8000 euro la prima e 9000 la seconda... più qua devi fare tutto il ciclo di stimolazione, e quello sono altri soldi... per un totale di 18/19 mila euro... noi piangeremo questa situazione per i prossimi anni, ma era inevitabile... Sandra: cioè, o hai tanti soldi o, se non ne hai, puoi provare una volta e poi ci rinunci, o, se sei nelle vie di mezzo... Davide: se sei un onesto lavoratore... Sandra: sai che per molto tempo dovrai... pagare, in un modo o nell'altro... (ride) ML: ma ora non sei felice? Sandra: si, per carità, sono felice, però... io sono sincera, devo dire la verità... non è... una felicità che gusti al 100%...no, c'è sempre... Davide: si anche perché stando sempre qua dentro (al centro HERA)... sei sempre in questo clima... poi vedi una trasmissione come quella (8e1/2 del 5 maggio) e a me mi si rigira tutto dentro... e quindi non è semplice... Sandra: no... per me è stato stressante... non vivi nemmeno la gravidanza come le altre donne, cioè vorresti viverla come le altre donne ma, hai un chiodo fisso... così come ce lo avevo prima purtroppo me lo sono portato anche dopo... per carità, chiaro che sono felice... però hai una rabbia dentro che ti cova... Davide: hai una forte rabbia... Sandra: ce l'hai sempre, cioè ti senti sempre... sempre arrabbiata... sempre quel pensiero che ti fa stare male... ML: che sia questo il costo di un figlio... non economico, emotivo... Sandra: si, si... più il costo emotivo... Davide: si, quello economico poi passa, certo all'inizio eravamo più spaventati poi... poi lo affronti e ti resta la rabbia... Sandra: perché quello economico sai che prima o poi passerà... quello emotivo no... per me è una certezza che per tutta la vita io mi porterò questo pensiero dentro... né tanto meno io sono così pazza da dirti “ o sai che bella la diagnosi preimpianto, ti fa stare bene perché ti levi tutti i 146 pensieri...!” per me anche quella, personalmente, non è un aborto per me, ma è comunque... ML: non lo vedi come un normale esame diagnostico? Sandra: no, no... e per me, ti dico la verità è anche da folli pensarlo... non è così... non è un semplice esame... io ci sto male... ci sono stata male la prima volta, ci sto male ora ed è una cosa che non dimenticherò mai... che non ti puoi dimenticare mai... Ml: perché? Sandra: perché comunque dentro di te... allora perché io dico che c'è differenza, perché per me è una cosa ben diversa sapere che tu sei in stato di gravidanza, cioè che c'è una gravidanza in corso, una cosa è sapere che sono degli ovuli fecondati, degli embrioni, che solo potenzialmente potranno dare luogo a una gravidanza, ma che in quel momento preciso... Davide: sono cellule... Sandra: nel momento in cui ne vengono trasferiti due e uno non è andato avanti, non ho deciso io... per cui la vivo un po' in questa maniera... sicuramente, sotto un certo punto di vista, è un po' più leggero di un aborto... ma non è una cosa che tu ti svegli la mattina e decidi di farla perché ci hai riflettuto mezz'ora e decidi di farla... è una cosa che tu maturi, è una cosa che tu ci pensi, ci ripensi, perché comunque gli scrupoli te li fai, perché un minimo di cognizione ce l'hai e pensi che, ok, d'accordo, potenzialmente potrebbe essere una vita... ma non è una cosa che vivi in maniera serena, o almeno... io no... ML: non pensi che derivi anche un po' dall'aria che si respira in giro? Forse perché ti senti sempre sotto giudizio... Sandra: si è quello... Davide: c'è molta superficialità... non si conosce la materia... Sandra: quando vai fuori, sai che stai andando fuori e che tutti quanti pensano che tu fai schifo... tu e tuo marito siete due persone schifose e...quindi noi andiamo all'estero con l'odio di tutti... cioè te lo senti questo addosso, te lo senti... senti l'odio degli altri e ti arrabbi perché fondamentalmente la verità è una: che quando una cosa ce l'hanno gli altri si vive in una maniera, quando poi le vivi tu in prima persona è 147 tutta un'altra storia... i nostri sentimenti, le nostre emozioni per le altre persone non esistono... ML: e il fatto di ricorrere alla tecnica come l'hai vissuto? È stata un mezzo o una sorta di invasione? Sandra: no, assolutamente... Davide: guarda ne abbiamo sentite di tutti i colori... i figli nati dalla provetta non sono figli nati dall'amore... ecc...ecc... Sandra: aspetta, ma non perché l'ho fatto io... è una cosa che ho sempre pensato e...anche la famiglia, cioè sono sempre cresciuta in maniera, da questo punto di vista disinvolto, nel senso che, capitava anche di altre persone che avevano fatto FA, cioè a casa mia non se n'è mai parlato male, non si è mai giudicato nessuno, anzi, veniva vista come una forma di aiuto per chi realmente aveva problemi... un aiuto, né più né meno... Davide: penso che chi va incontro a una situazione del genere che comunque è difficile sono persone che vogliono fortemente un figlio, anche più di quelle che gli capita... per carità, non voglio giudicare... Sandra: io quando sento che è creato in laboratorio... mi interessa relativamente, penso siano degli imbecilli per cui... penso che non me ne vergogno, e non solo non me ne vergogno, ma non lo nascondo e... ci resto anche male quando si nascondono gli altri, perché francamente non ne vedo il motivo... bambini nati con la FA ce ne saranno non so quanti e hanno tutti quanti la tendenza a nascondersi perché hanno tutti quanti una sorta di vergogna... perché? Davide: noi ormai non ce l'abbiamo più... se no non saremmo qua, non avremmo fatto tutto quello che abbiamo fatto. Siamo andati sul tg3, alla trasmissione di Jacona, però adesso, visto e considerato come la pensa la gente ci preoccupiamo di lui, un po'... in futuro... Sandra: ti faccio un esempio: nel momento in cui tu leggi un articolo, come ad esempio è capitato a me, che per me era un'istigazione all'odio... cioè chi era bravo e fortunato ed era riuscito ad avere un figlio in modo naturale era buono e un santo, coloro i quali no... allora i bambini sono dei mostri, creati in laboratorio... allora io faccio un semplice ragionamento: nel momento in cui mio figlio dovesse andare all'asilo, vuoi o non vuoi la mia faccia si è vista, da tante parti, è difficile ma... mi incontrano e mi dicono : “ah ma tu sei quella che...”, alla fine 148 vuol dire che qualcuno mi ha visto.. comincio a pensare che se i compagnetti di mio figlio dovessero avere alle spalle delle famiglie formate da persone superficiali, ignoranti, quello che vuoi, che la pensano alla stessa maniera e un giorno dovessero andare da mio figlio... si è difficile, ma io l'ho pensato... una cosa è che lo dicono a me che sono adulta e responsabile delle mie azioni e so come rispondere, una cosa è fare pagare, a parte il fatto che è una vigliaccheria, un bambino... trovo mostruoso e ingiusto che debba essere mio figlio a dover pagare un prezzo sociale al mio posto... 149 Silvana&Giacomo Giacomo: dai raccontale la nostra storia, dall'inizio Silvana: non è che ci sia molto da raccontare, comunque.... Siamo venuti qui stamattina per parlare con l'Avvocato che si occupa dei ricorsi anche se la nostra esperienza è piuttosto recente. Noi ci siamo conosciuti nel 1993 e dopo un po' che stavamo insieme, parlando, è uscita questa cosa che entrambi siamo portatori sani di beta talassemia. Ci siamo sposati nel 2003 e, sinceramente, non abbiamo dato più di tanto peso a questa cosa perché abbiamo sempre pensato che in fondo la scienza va sempre avanti... per noi invece è andata indietro (ride)... Giacomo: noi abbiamo degli amici che hanno avuto dei bambini ugualmente quindi abbiamo sempre pensato che anche noi avevamo una percentuale di possibilità che venissero dei figli sani... All'inizio abbiamo provato in modo naturale e nel 2006 lei è rimasta incinta... Alla dodicesima settimana abbiamo fatto i controlli... Silvana: la villocentesi... Giacomo: e da lì si è visto che il bambino era malato... Silvana: della forma più grave, tra l'altro... Giacomo: e così abbiamo fatto l'aborto terapeutico che, soprattutto per lei, non è mica stata una cosa piacevole... E allora abbiamo deciso insieme di venire qui, attraverso dei nostri amici che già conoscevano questo centro. Adesso abbiamo deciso di andare all'estero, in Grecia, dove il tutto costa meno rispetto ad altri paesi europei... Silvana: dovevamo partire domenica ma io adesso ho avuto un problema... sono andata in iperstimolazione ovarica, ho prodotto tipo 22/24 follicoli, una cosa abnorme... quindi abbiamo rimandato a settembre, dopo l'estate... già fare tutta la terapia non è piacevole, con tutto quello che comporta, tutti gli effetti collaterali che ci sono, ci manca solo il caldo (ride)... va' bé, pazienza vuol dire che non era il nostro momento... 150 Giacomo: per noi il problema resta comunque l'impianto obbligatorio perché nella nostra concezione non esiste il concepire un figlio per poi buttarlo via... Silvana: per me questa legge non ha senso, non mi tutela per niente... perché io non sono libera di scegliere, viene limitata la mia possibilità di scegliere se mettere al mondo o no un figlio malato... lo sai che cosa significa per una mamma, quando tuo figlio ha un anno, sei mesi, mentre le tue amiche sono al parco con le carrozzine, tu devi tornare a casa per fare la terapia farmacologica... per non parlare poi di quando comincia il calvario delle trasfusioni... Giacomo: che vita è questa? Oggi le persone campano 80 anni se va male e tu sei costretto a mettere al mondo un figlio che sai morirà presto e con una qualità della vita pessima Silvana: con questa legge si gioca a scarica barile... dal legislatore al medico alla coscienza del singolo... l'hanno fatta sulla nostra pelle e oggi noi siamo venuti qui proprio per parlare con l'Avvocato, per presentare i ricorsi, perché in Italia non si parla abbastanza della discriminazione che subiscono le persone come noi... è stato come per il referendum, perché non si è raggiunto il quorum? perché alla gente non interessa, è una cosa che non interessa se non sei direttamente coinvolto e poi c'è stata poca informazione e molto viziata... la Chiesa ha fatto un putiferio su 'sto fatto dell'embrione e oggi ci troviamo in questa situazione... Ml: siete cattolici? Giacomo: si, cioè, ci siamo sposati in chiesa, ma non vuol dire niente... Silvana:si, ma io ho una fede tutta mia... prego, ma a modo mio... è una cosa mia molto personale... Giacomo: quello che vorremmo evitare è proprio un ulteriore aborto terapeutico... se voglio un figlio malato non ho bisogno di fare la diagnosi preimpianto, possiamo anche cercarlo in modo naturale... ma noi non ce la sentiamo... Silvana: per me l'aborto terapeutico è peggio rispetto alla selezione degli embrioni... perché a 12 settimane è già una vita: ha le braccia, le gambe... è formato... invece dopo 5 giorni è ancora un ammasso di 151 cellule, cioè poi non lo so... però mi sembra... è anche esterno al tuo corpo, non è dentro di te, non hai ancora nessun tipo di legame... ML: desiderare un figlio non malato secondo voi è eugenetica? Giacomo: secondo me no... non è che qui si tratta di fare bambini biondi, mori, con gli occhi azzurri... noi abbiamo amici con figli malati, e ti assicuro che non è proprio una bella cosa... e poi chi lo può dire dove inizia la vita? Se dovessimo ragionare in maniera assoluta allora anche un ovulo può essere vita, così come uno spermatozoo, chi lo può dire? Per assurdo, se si volesse tutelare la vita sotto ogni aspetto, dovrebbero vietare anche i contraccettivi... perché anche lì in fondo tu stai decidendo di non avere dei figli... ML: e cosa ne pensate delle linee guida che sono state emanate due giorni fa? Giacomo: per noi non cambia niente, perché per noi il problema è l'obbligo dell'impianto... sono meglio forse per quelli che hanno delle malattie sessualmente trasmissibili, come l'HIV o l'epatite, perché sei sicuro di non contagiare il partner... e poi hai comunque delle possibilità... Silvana: e poi la natura è imprevedibile... è tutto soggettivo... c'è chi riesce e chi no... noi per adesso speriamo... abbiamo fiducia... 152 Giovanna Giovanna: innanzitutto, noi prima di sposarci, non avevamo mai pensato... non sapevamo di avere questo problema, sapevamo che poteva insorgere ok, abbiamo scoperto di dover fare una DPG in seguito a degli esami particolari che solo qui ci hanno prescritto, cioè il cariotipo, che è un esame che va a guardare la mappa genetica sia dell'uomo che della donna ed è risultata una traslocazione, però bilanciata, da parte di mio marito, quindi , parlando qui con la genetista lei ci ha detto che, nel caso in cui si fosse creato l'embrione, ci potevano essere delle malformazioni particolari nel feto, quali down, nanismo, comunque delle cose abbastanza pesanti... perché io mi ero affidata al fatto che, se fosse stata una cosa lieve, un difetto lieve, era un problema superabile, però... pensare a un bambino che può essere un vegetale o che potrà avere pochi anni di vita, no... non è una bella prospettiva, e quindi all'inizio il dottore ha detto che l'unica soluzione era quella di eseguire qui in Italia un'inseminazione e provvedere eventualmente con un aborto terapeutico nel caso in cui ci fosse stato un problema... ML: questo in che anno? Giovanna: l'anno scorso, quindi la legge 40 e il referendum... c'erano già stati... allora io, non avendolo vissuto in prima persona, quando c'è stato il referendum l'ho preso un po' alla leggera, perché purtroppo poi l'informazione, anche personale, è stata scarsa... poi è anche vero che tu un problema lo vivi in maniera più profonda quando ti tocca in prima persona no? Quando non ti tocca puoi anche dire “io non sono d'accordo” oppure dare dei giudizi avventati, no? Però in effetti quando poi passi... quando questi problemi ti toccano in prima persona vedi le cose in un'altra prospettiva... Soprattutto il fatto di dover affrontare un aborto... cioè, avrei lasciato perdere, ecco, se non ci fosse stata nessuna fattività... mentre considerando la possibilità come ci ha suggerito la genetista, che si poteva fare la DPG all'estero abbiamo cominciato a riflettere su questa opportunità e ti dirò comunque che è stata una scelta anche molto maturata perché è passato un anno da quando abbiamo deciso di provare ... difatti siamo nel 2008 ma noi siamo qua dal 2006, perché abbiamo scoperto questo all'inizio del 2007, ci abbiamo riflettuto con mio marito e poi abbiamo deciso di 153 intraprendere comunque questa strada perché... io sono cattolica, lui diciamo che ha tutti i sacramenti però... è abbastanza ateo (ride)... ML: non è praticante diciamo... Giovanna: si ecco, non è praticante (ride), anche se lui ora si definisce proprio ateo... per lui era indifferente, non c'erano problemi, avremmo potuto affrontare subito... io ho voluto un po' riflettere su questa cosa, ho letto in giro, diciamo che mi sono voluta anche dare una giustificazione a quello che stavo facendo, ora non so se sia giusto... non è giusto per quanto riguarda... se io vado a parlare con qualcuno... qualche ministro, ecc ecc, non è giusto, però, per noi, come coppia, mio marito era contrario all'adozione e quindi... era l'unica strada, fare una DPG per avere un figlio, non per fare una selezione della specie come dice qualcuno, ma per avere almeno un figlio sano, questo non è che garantisce che nostro figlio sarà perfetto o che avrà determinate caratteristiche fisiche, ma solo che possa partire tranquillamente, poter iniziare la sua vita tranquillamente senza sapere di dover già affrontare delle cure assurde, questo insomma è stata la cosa che ci ha fatto decidere di iniziare questo iter che, ti dico, già è pesante di suo, poi a noi ci tocca anche fare un viaggio con delle cifre anche alte, perché solo il biglietto, e io posso prenotarlo con sicurezza solo due/tre giorni prima, e si parla di 700 euro a testa solo il viaggio, sono già una cifra... ora, stiamo parlando di soldi ma, per come vanno le cose oggi, il prezzo della vita e i nostri stipendi, ci vogliono almeno un 9000 euro, perché poi l'intervento costa un occhio della testa, una volta che fai una DGP gli ovociti e gli embrioni a quel punto io spero anche di poterli congelare in modo tale da non dover riaffrontare una cura ormonale così pesante, ti dirò, fin'ora è andato tutto bene, spero di non avere controindicazioni a questa cura (ride) però speriamo bene insomma, siamo in attesa di dover partire fra pochi giorni... ML: quindi tu prima non avevi avuto delle gravidanze naturali? Giovanna: no, non ne ho mai avute perché, ti ripeto, c'era comunque questo problema, se ci sono stati mai degli approcci di gravidanza praticamente non me ne sono mai accorta... a parte problemi che possono essere molto comuni come l'oligospermia o l'azoospermia che ci sono, ci sono anche quelli, quindi inizialmente sono stati imputati a quelli, infatti mio marito nel nostro paese ha fatto delle cure per cercare di aumentare la vitalità o la mobilità ma lo stesso queste cure... se è fatto 154 proprio così il suo liquido seminale non portano a miglioramenti, quindi, oltre a questo, qui ci hanno fatto fare il cariotipo e lì si è scoperto che c'era anche questo problema, quindi... (ride) problemi su problemi, perché nel momento in cui è solo un problema di azoospermia qui puoi fare l'inseminazione artificiale, però c'era anche quel problema di traslocazione cromosomica e quindi abbiamo optato per andare all'estero; ci ha seguito un dottore di Roma per fare determinati esami che qui in Sicilia non fanno, abbiamo aspettato due mesi per avere il risultato di questi esami, quando lo abbiamo avuto abbiamo iniziato a fare atri esami qua, quale isteroscopia, insomma (ride) abbastanza invasivi, che sono necessari anche per l'inseminazione...(ride) e questo è il sunto, diciamo... ML: ma tu come l'hai vissuta questa decisione di andare contro delle credenze... Giovanna: si, diciamo che io sono cattolica però... non so se questo è un bene, però cerco sempre di ragionare anche con la mia testa, cioè se certe cose non le reputo giuste, cerco comunque di essere obiettiva, non so... ad esempio l'uso del preservativo in Africa... Mi sembra di dover dire per forza “si è sbagliato” ma se il problema reale c'è, tra l'altro che non si può risolvere, che ci siano dei rapporti a rischio e tanti bambini muoiono perché la gente non conosce l'uso del preservativo... allo stesso modo ho affrontato questo problema, ripeto, però ho maturato questa scelta quando mi ha toccato in prima persona, quindi mi sono chiesta “ è vero che, davvero due cellule al di fuori di un utero, cinque cellule perché poi si tratta di fare un esame su 5 cellule, è veramente vero che 5 cellule sono già una vita?” È vero che hanno già una mappa cromosomica, un DNA predefinito, quindi sai se quelle cellule saranno sane, se sarà una femmina... Ha tutta una mappa cromosomica quindi forse in se... Cioè sapere se è veramente una vita questo... se è veramente una vita al di fuori di un utero, che poi è quello che poi dà veramente la vita... non so... ecco lì mi sono data forse una giustificazione, capito? (ride); cioè non so se è veramente così però per me... ho trovato una giustificazione a quello che sto facendo... certo non la vivo tranquillamente, però mi sono data una giustificazione... vogliamo dire cosi... (ride) ML: e questo fatto di dover andare all'estero come lo vivi? 155 Giovanna: lo vivo male, cioè perché tu dici, lo avrei potuto fare anche qui a un'ora da casa e invece... mi devo sobbarcare anche questa cosa, di ansia, perché la prima cosa che ti porta è l'ansia, perché tu fino all'ultimo non sai quando partire, fino a quando i follicoli non sono abbastanza grossi non puoi partire, e quest'ansia di dire li trovo biglietti, e quando li trovo, perché se li prendi ad un orario che arrivi alle tre di notte perché non c'è il Catania/Istanbul direttamente ma devi fare scalo a Roma,, Milano o a Monaco... quando invece se fossi stata qui in un'ora sarei arrivata e dopo due ore sarei stata a casa... invece lì devo restare almeno una decina di giorni perché devi aspettare che fanno gli esami, poi li devono impiantare nel caso che vada tutto bene, poi devi stare un giorno a letto, poi deve prendere l'aereo quindi comunque è un passaggio in più... quindi ti dico, non tanto la parte economica, e quella comunque influisce, però lo stress che una coppia vive nell'affrontare, così, un viaggio della speranza è notevole... non c'è qui mio marito, ma se lui ci fosse stato ti avrebbe detto che... (ride)... avrebbe preferito restare qui... tra l'altro ha anche una fobia per gli aerei (ride)... quindi sicuramente avrebbe preferito fare tutte cose a casa e rimanere qui... per lui... già è in ansia da ora sapendo che deve prendere l'aereo... quindi... per noi è una cosa pesante questa (ride)... per lui di più, per me alla fine, ecco, voglio viverla con positività, che è una cosa importante, senza avere false speranze, senza pensare che tutto vada bene per forza... quindi pensare in positivo però senza farsi delle false illusioni, perché sappiamo che la percentuale di riuscita è sempre del 30 %... viverla positiva e affrontarla con spirito positivo, senza troppa ansia, ma senza farsi troppe illusioni che andrà sicuramente bene... non vorrei poi che la delusione fosse troppo grande... ML: e ne avete mai parlato della fecondazione eterologa? Giovanna: no, quella non sono d'accordo... ML: non la faresti? Giovanna: no, no. Non la farei perché... qui noi lo facciamo perché è mio figlio e figlio di mio marito, è vero che i figli non sono di chi li fa ma di chi li cresce, però a quel punto preferirei un'adozione a tutti gli effetti... ML: anche tuo marito? Giovanna: si, si. Ma neanche gliela proporrei un'eterologa, per lui non mi sembra... non so, giusto, corretto... alla fine è comunque un figlio... 156 cioè a quel punto mi sembra per forza di voler avere una gravidanza a tutti i costi, essere madre per forza in una maniera... come tutte le altre donne, pur portando in grembo un figlio che è solo mio... cioè lui non avrebbe... cioè, voglio dire, si affezionerebbe comunque però a quel punto preferirei fare un'adozione, che comunque non è detto che non la facciamo, se dovesse andare bene questo, se non avessi altre possibilità, se non volessi di nuovo sottopormi a tutte le cure insomma, poi si vedrà, comunque l'idea di un'adozione c'è... ML: quindi è un'opzione che non escludete... Giovanna: no, anche perché mio marito all'inizio non era d'accordo, poi quando ha sentito tutta quest'ansia, tutto questo stress, il pericolo dell'iperstimolazione che potrebbe essere dovuta ai farmaci, là mi ha detto “ah, mi sento in colpa per averti per forza obbligato a fare questa cosa, se vuoi lasciamo perdere... possiamo alo stesso adottare un bambino”, quindi ha un po' cambiato idea ma secondo me più per la paura di quello a cui possiamo andare incontro... però, è anche vero che abbiamo detto che se avremo questo figlio e poi vorremo averne un altro... se riesco questa prima volta o comunque riesco a congelare degli embrioni, riuscirò un domani ad avere un figlio mio e solo uno, comunque un domani un'adozione ci penserei a farla... ML: e tu come percepisci il fatto di essere, diciamo, la protagonista principale di tutto questo processo? Giovanna: la vivo serenamente perché sono comunque una persona positiva e questo è un grande dono... è ovvio che vedo sempre le cose migliori... Mio marito fondamentalmente è uno negativo, cioè siamo proprio gli opposti... io la vivo bene, cerco sempre di allontanare i pensieri negativi... è normale che il carico ormonale c'è, quindi è una molla che scatta immediatamente, gli altri mi dicono “stai calma” ma io non mi rendo conto di essere agitata, però a detta degli altri è così...però la vivo tranquillamente... all'inizio ho avuto sonnolenza, mal di testa, perché ci sono vari farmaci che prendi, quando ho iniziato a prendere il primo alle 10 crollavo perché avevo questo senso di stanchezza, oppure mi alzavo la notte con il mal di testa forte, sono delle controindicazioni... ora a detta degli altri sono agitata, però per me sono sempre la stessa... ML: e in famiglia come la state vivendo? 157 Giovanna: ecco, questa è una cosa che le altre ragazze non hanno fatto, non lo sa nessuno che stanno facendo... lo stanno vivendo solo marito e moglie, noi abbiamo una famiglia molto free, aperta, lo sa mia mamma, lo sa mia sorella, mio padre lo sa, in famiglia da noi lo sanno tutti, famiglia inteso mia mamma, mio papà, le mie sorelle, dalla parte di mio marito pure, certo non abbiamo messo i manifesti però... anche perché per me non c'è nulla di male, è un problema che per la gente che c'è qui è molto comune, ne parliamo tutti tranquillamente... la viviamo bene, certo mia mamma forse è quella più preoccupata di tutti, per una questione di protezione, paura sicuramente... sicuramente ha tanta paura... ML: magari anche il saperti lontana in un momento così delicato, da sola... Giovanna: ci accompagna mio padre, così... lei sarebbe voluta venire, per visitare Istanbul che è bellissima, per fare un viaggio (ride)... perché loro sono due viaggiatori, solo che poi per una serie di problemi deve rimanere qui... anche perché mio marito è molto sensibile... infatti quando ho dovuto fare una volta un esame qui sotto, che non ho potuto fare da sveglia, mi hanno dovuto fare un'anestesia totale, è durato 20 minuti, per me non è stato gran che, io mi sono fatta proprio una bella dormita (ride)... però è venuta mia sorella perché lui da solo non se la sentiva... infatti poi quando sono uscita dalla sala lei mi è venuta incontro ma lui non si è riuscito ad alzare perché aveva le lacrime agli occhi... quindi ho detto “portiamo mio padre” così almeno ci sostiene lui (ride)... non tanto per me... l'unica cosa che è molto importante è questa cura, siccome la donna è la protagonista, perché prende tutti 'sti farmaci, punture, pillole, ha bisogno di una figura forte, ecco, mio marito che è sensibile, io gli dico sempre “se tu non mi dai forza e io ti vedo sempre con questa faccia cupa” (ride) non è una cosa positiva, ecco, mio marito ha una... capisco che c'è gente e gente, mio marito è una persona sensibile quindi è come se la vivesse in prima persona, non è che è pauroso è sensibile, quindi lui, quando mi vede che faccio la puntura o che ho mal di testa... quindi io ormai evito direttamente, “come stai?”, “benissimo”, perché lui appena sente che sto male si allarma... ML: si sente in colpa? Giovanna: questa è una cosa importante, perché siccome deriva da lui si sente molto in colpa cioè... mi dice “mi dispiace farti fare tutte queste 158 cure, è tutta colpa mia, e io non servo a niente, hai questi tipi di problemi per colpa mia, ti devi sottoporre a tutti 'sti martirii...”, si da molte colpe, quindi questa sua... lui somatizza molto questo mio malessere, o comunque tutta questa cosa dei farmaci, quindi lui lo somatizza e... si vede che spesso è assente, un po' pensieroso, perché si sente in colpa... lui somatizza, non dice nulla, però io mi accorgo che... è meno allegro, meno sereno, e ora questa cosa che dobbiamo partire la prossima settimana lui già... sta covando quest'ansia... ML: e quindi nella gestione quotidiana della terapia come hai fatto? Giovanna: (ride) allora io non so fare le punture, però uno di questi farmaci è una specie di penna preriempita tipo l'insulina, è una penna normalissima, tu schiacci il tappetto in alto e esce il liquido, naturalmente l'ago prima lo devi infilzare nella carne... è un aghetto piccolissimo, fai conto... la prima volta l'ha fatta lui, la seconda pure, la terza volta ho detto “no, devo farla io perché devo imparare” ed è andata bene, ieri però ho cominciato un altro medicinale che si fa sempre sotto cute ma con le siringhe classiche e devi comunque infilzarlo... è stato un dramma, perché eravamo qui a Catania, mio marito non c'era e io l'ho lanciata tre volte facendola rimbalzare indietro e riempiendomi la pancia di puntini... e mia sorella a quel punto mi ha detto “togliti, ci penso io..”(ride), guarda se non ci fosse stata lei avrei chiamato qualcuno del condominio, perché non sapevo come fare a lanciarla... mi sono puntinata la pancia... ML: speriamo che unendo i puntini esca un bel disegno... Giovanna: speriamo, incrociamo le dita! 159 Margherita&Fausto Margherita: noi siamo venuti qui al centro perché dopo qualche anno che ci siamo sposati abbiamo provato ad avere un bambino, al primo tentativo (in maniera naturale) io ho avuto subito la possibilità di rimanere incinta, quindi, diciamo, io non pensavo di dovermi rivolgere ad un centro, solo che appena entrata al terzo mese, non si sa per quale motivo, perché hanno fatto poi delle indagini all'ospedale e non hanno rilevato niente anche perché il materiale fetale era talmente poco, io ho perso il bambino e allora ho cercato, e io già allora avevo una quarantina d'anni, quindi già per me era una cosa strana rimanere incinta al primo colpo, ho detto “va' be', cose che capitano”, tante mie cugine, tante mie amiche hanno avuto figli anche a 42, 43 anni, e ho detto “va' be', vuol dire che la prossima volta andrà meglio” e non sono più riuscita ad avere bambini per tanti anni invece, non rimanevo più incinta e allora poi... forse un po' per caso, alcune cose sono un po' come segni del destino, ho trovato dei giornali dal medico, così, da leggere in sala d'attesa, è capitato che abbiamo visto un film insieme che trattava di questi argomenti... quindi, non so, ci siamo guardati in faccia io e mio marito e abbiamo scelto insieme e ci siamo detti “noi continuiamo a provare ad avere un bambino”, però eventualmente... e poi ogni mese c'è l'attesa, vediamo se c'è o non c'è, possiamo vagliare anche questa possibilità.. e allora, abbiamo deciso di fare questo passo, ci siamo informati anche con altri medici e ci hanno detto che questo centro è validissimo, sia come medici sia come biologi, poi siamo venuti qua e ci hanno detto che ci sono tre tipi di fecondazione: c'è l'inseminazione, c'è la FIVET e l'ovodonazione... allora l'inseminazione mi hanno detto di non farla in quanto, diciamo, ci sono delle percentuali che la consigliano per le donne più giovani che non per quelle che hanno compiuto già quarant'anni... magari per donne che hanno problemi all'organo genitale, io ero normale... ML: come nel caso di gravidanze extrauterine... Margherita: perfetto, ma io ero normale, tant'è vero che la gravidanza l'avevo avuta, solo che per motivi che non si è capito... ML: quindi è un'infertilità inspiegata la vostra... 160 Fausto: diciamo che per l'infertilità non c'è una causa, c'è l'età... Margherita: noi siamo stati analizzati, stiamo bene, c'è solo l'età... io mi sono sottoposta a tante indagini, l'isteroscopia ad esempio, tutto benissimo è andato, mi sono fatta visitare perché ho detto c'è qualcosa magari che non mi aiuta a portare avanti la gravidanza, tutto ok, l'unica cosa era questo 40... questo numero che mi portavo dietro e allora tutti i dottori, compreso il Dottor Guglielmino, mi ha consigliato di tentare la FIVET, dicendomi “ci sono delle percentuali, diciamo, discrete”, mi ha detto, anche se non molto alte, perché è chiaro che man mano, siccome utilizziamo gli ovuli della donna, è chiaro che gli ovuli di una di venti non sono quelli di una di trenta, e nemmeno come quelli di una di quaranta... man mano... possiamo provare però... e quindi abbiamo provato per la prima volta la FIVET però non è andata bene... ML: in che anno? Fausto: in realtà, per dirla tutta, noi la FIVET l'abbiamo provata all'estero perché mia moglie aveva il desiderio che si facesse la diagnosi preimpianto... Margherita: ci avevamo detto che la facevano solo fuori... Fausto: non per malattie genetiche ma, perché è noto, che quando i gameti hanno una maggiore età ci può essere un maggiore rischio di alcune malattie... e quindi l'anno scorso, dopo la legge... Margherita: e quindi noi la FIVET l'abbiamo dovuta fare fuori perché volevamo fare la PGD che qui ci avevano detto che non si poteva fare... Siamo stati in Spagna... Ma siamo andati più volte, perché non è che subito fanno la FIVET, prima fanno tante visite, e poi c'è stato un trasferimento solo che non è andato molto bene perché evidentemente era destino, forse la qualità dell'embrione non era quella giusta, io ho avuto anche dei disturbi, purtroppo lì sono stata male, perché bisogna stare a riposo completo dopo il trasferimento, e io non ho potuto farlo, quindi anche questo ha influito, perché ho avuto un blocco vescicale, e quindi tutta una serie di problemi, mi hanno dovuto mettere il catetere... ML: che può portare delle infezioni... Margherita: le ho avute purtroppo, quindi da settembre ho cercato di riprovare di nuovo ma non l'ho potuto fare perché ho dovuto levare 161 l'infezione più altri problemi che prima ho dovuto risolvere e poi ho riprovato di nuovo, un altro tentativo, per vedere se poteva sortire dei risultati... Ora noi siamo partiti con mio marito da recente... Fausto: un mese fa... Margherita: va' be', tanto vale che lo dico, quando la FIVET non è andata bene, che ci davano delle percentuali tipo un 20-30%, anzi di meno, il Dottor Guglielmino mi ha detto che le donne della mia età... perché per fare la FIVET, come lei sa, ho dovuto fare delle punture... ML: la stimolazione... Margherita: sia per l'endometrio sia per gli stessi ovuli , diciamo a dare il meglio di loro, mi ha detto che molte donne alla mia età non rispondono nemmeno a queste sollecitazioni e invece a me hanno preso tanti ovuli buoni e invece non sono andati bene ugualmente e...allora il Dottor Guglielmino ha detto che c'era un'ultima possibilità, perché noi abbiamo desiderato tanto un bambino, quindi l'ultima possibilità era l'adozione e, però, l'adozione è una cosa particolare secondo me... Io faccio la maestra di sostegno, mio marito lo sa, quanto io amo e di come mi affeziono ai miei alunni, specialmente ai bambini che hanno difficoltà, per me diventano, non dico figli miei, ma il loro bisogno d'affetto diventa uno scambio per me, però io so che, la maggior parte dei bambini che ho avuto, sarà stato un caso, sono bambini adottati.. quindi molte volte vengono da situazioni, anche se non hanno deficit fisici, ma comunque rimane nella loro infanzia una traccia, sono bambini che hanno problemi a livello cognitivo, specialmente a livello affettivo-relazionale, sono bambini che si rifiutano di affezionarsi, di attaccarsi a una persona, vedono il mondo ostile e quindi è molto difficile, come posso dire, annientare tutto quello di difficile hanno vissuto e di rieducare questi bambini... perché specialmente alla mia età, a 40 anni, l'adozione, mi è stato detto, che non mi davano un bambino neonato, mi davano un bambino dai 10 anni in su, quindi un bambino che già è cosciente del proprio vissuto, del suo passato, e quindi ancora più difficile è lavorare su un bambino che ha queste difficoltà... e io, ho grande stima per loro, per carità, però è un peso a 40 anni avere la capacità e l'energia per affrontare queste situazioni e quindi ho detto... bene... proviamo per l'ultima possibilità, e quindi il dottore ci ha detto di provare per l'ovodonazione, che forse c'erano maggiori possibilità di successo... se non va nemmeno con l'ovodonazione allora andiamo con 162 l'adozione... E allora io ho detto va bene, è giusto che uno deve perseverare nella vita in tutto ciò che desidera fortemente e allora siamo andati a fare l'ovodonazione... abbiamo fatto questa pratica... Fausto: proprio recentemente... ML: sempre in Spagna... Margherita: si, perché c'eravamo trovati bene... hanno scelto una donatrice che avesse dei tratti fenotipici più o meno similari ai miei e poi hanno fatto il tutto... c'è stata ovviamente la donazione del seme di mio marito, chiaro... com'era stato per la FIVET, diciamo che solo io ho cambiato... anche perché si tratta di ovuli di ragazze che hanno al massimo 25 anni, però ripeto non sono delle cose che hanno una sicurezza di successo, hanno sicuramente più possibilità rispetto a una donna di 40 anni che la cosa possa risultare positivamente, però in queste cose... Fausto: in questo momento, siamo, contenti, diciamo... Margherita: quasi (ride)... abbiamo fatto il trasferimento e allora, due giorni fa abbiamo fatto il prelievo... e io sono... in attesa di un bambino... però devo stare a riposo perché purtroppo ho delle piccole minacce di aborto... la mia vita è letto- poltrona- letto- poltrona, e quindi purtroppo, siccome sono passata dall'esperienza del bambino che ho perso e quindi...questa seconda possibilità non troverà ostacoli né sacrifici, per carità quindi... io ce la metterò tutta poi speriamo bene... perché noi siamo riusciti al primo tentativo ad avere questo... ML: quindi un ottimo risultato... Margherita: si, io avevo parlato con una dottoressa, che è quasi un'amica, che mi aveva seguito, con cui mi sono molto consultata, che fa parte di un altro laboratorio, e mi ha detto che addirittura lei aveva saputo di sue pazienti, di donne che a 50 anni che avevano fatto l'ovodonazione che avevano avuto due gemellini e quindi... è una tecnica di fecondazione in cui danno una percentuale sempre... inferiore al 50%, poi dipende dall'endometrio, dall'utero, io, ripeto, avevo un utero in una posizione perfetta, avevo fatto delle cure per fare inspessire l'endometrio e favorire l'impianto ed era tutto perfetto... quindi diciamo che è andato tutto bene perché ho trovato un ottimo ovulo ma anche l'ovulo ha trovato un ottimo ambiente in cui impiantarsi... tutto deve andare bene... 163 ML: quindi anche lei ha fatto una terapia... Margherita: si, ho preso degli ormoni, estrogeno e progesterone, e prima ho fatto delle punture... Fausto: si, scusa, diciamo in sintesi, che prima bisogna spegnere il suo sistema riproduttivo perché gli ovuli devono essere introdotti dall'esterno e poi invece bisogna aiutare a far crescere... si prende qualcosa di simile alla pillola anticoncezionale... Margherita: e li devo prendere fino al terzo mese di gravidanza per aiutare... perché è il periodo più delicato...e quindi... ML: e quindi è un buon momento... Margherita:speriamo che vada bene...ripeto, ho delle piccole minacce di aborto... ML: hanno fecondato altri ovuli? Fausto: loro fecondano tutti quelli che possano, poi però non ne impiantano più di tre, mia moglie ha voluto limitare a due gli embrioni impiantati, degli altri embrioni si potrebbe fare il congelamento, nel nostro caso non abbiamo notizie se è stato possibile fare il congelamento di altri embrioni... abbiamo chiesto notizie ma ancora non abbiamo ricevuto risposta... ML: ma il centro non è obbligato a fornire queste informazioni? Fausto: no, non è obbligatorio... un po' sono stati giorni molto intensi come può immaginare perché abbiamo ricevuto queste analisi... in linea di principio uno fa impiantare un certo numero di embrioni il resto li congela per fare eventualmente qualche altro tentativo... ML: e quindi non sapete niente... Fausto: ci hanno detto una cosa che a me è sembrata un po' strana... cioè, bisogna vedere se questi embrioni crescono e allora si possono crioconservare... ML: avete deciso di comune accordo di intraprendere questo percorso? Margherita: certo, noi tutto quello che facciamo... è una cosa molto particolare... 164 Fausto: quando noi avevamo inizialmente questi problemi, per me la fecondazione eterologa rappresentava un problema, non solo se fosse stato necessario donare il seme, ma anche l'ovulo... cioè io volevo passare direttamente all'adozione perché mi sembrava di immettere nel rapporto tra di noi qualcosa di estraneo... e, in realtà, mia moglie poi, parlando con il dottore Guglielmino, il dottore che chiave ha trovato per dire “è un figlio totalmente vostro”, il fatto che la gravidanza è comunque un periodo molto intenso... Margherita: certo... Fausto: un periodo molto importante per la donna, poi c'è eventualmente l'allattamento, cioè ci sono delle cose che comunque nel corpo della donna avvengono ugualmente e che rendono proprio il figlio... ecco... quando eravamo a Barcellona mia moglie mi ha detto: “ ma se avesse dovuto essere donato il seme saresti stato disponibile?”; io ho detto, sinceramente, non lo so, perché se l'uomo non ci mette il seme, cosa ci mette, ho detto scherzando, soltanto i soldi? (ride)... cioè in effetti, mentre l'ovulo è donato la donna ci mette l'utero, ma se l'uomo non ci mette il seme cosa ci mette? Allora sono contento che non si sia presentata l'eventualità e che la cosa si sia risolta almeno al momento positivamente... sinceramente io avrei avuto qualche perplessità... poi magari di fronte al desiderio di avere un figlio sono perplessità che si superano... però è diversa la cosa... Margherita: ci diceva il dottore che, anche nell'adozione, quando un bambino è molto desiderato poi uno con la quotidianità lo dimentica... uno lo sente come figlio suo... Fausto: certo... Margherita: quindi a maggior ragione con l'ovodonazione dove c'è una gravidanza, ci sono tante cose... poi se uno vuole dire una cosa cattiva, ci sono tanti modi... figlio tuo, figlio mio... il figlio è della coppia... non è che questo bambino è più di mio marito che mio, o viceversa se fosse stato donato il seme, sarebbe stato più mio che di mio marito... Fausto: però la situazione non è simmetrica... il figlio è sempre della coppia e sono cose che sicuramente si superano se ci fossero, però la situazione non è simmetrica tra uomo e donna nella donazione dei gameti... perché la donna porta avanti la gravidanza, quindi fa proprio... nutre all'interno del proprio corpo... 165 ML: quindi non avete visto il ricorso alle tecniche come qualcosa di negativo? Fausto: diciamo che, come molti medici ci hanno detto, noi abbiamo fatto la cosa migliore che potevamo fare nelle nostre condizioni... Margherita: con la nostra età, cioè... Fausto: che vuol dire con la nostra età... e quindi... io fino a qualche anno fa mai avrei immaginato di fare cose di questo tipo... Margherita: nemmeno io... quasi tutti i miei cugini si sono sposati ma erano molto giovani, io ho una sorella gemella e anche lei ha avuto un figlio a 25 anni... ML: è stata una scelta difficile? Margherita: un po' all'inizio forse si, però poi io dico una cosa... che quando c'è amore nelle cose... io non pensavo... credevo che la FIVET fosse una cosa strana... poi sono venuta qua e quando si entra nelle cose ho visto che c'erano tantissime donne che la facevano e quindi questo... fa vivere la situazione come accettabile, come normale... ma anche donne molto più piccole di me, che possibilmente l'avevano provata molte altre volte, quindi mi accorgo che...tante cose si capiscono di più quando si entra dentro un problema che quando si ha una visione dall'esterno... adesso ci sono tantissime donne che fanno la FIVET, anche perché tantissime donne si sposano grandi, tutto da lì nasce il discorso, perché ora c'è il lavoro, ci dobbiamo laureare, poi dopo laureate ci dobbiamo sistemare e... tante cose, dobbiamo trovare la persona giusta, siamo più esigenti, il mondo è diverso quindi... ML: e il fatto che siete dovuti andare all'estero come l'avete vissuto? Fausto: qui si apre un discorso anche politico (ride)... Margherita: ed economico (ride) anche... Fausto: ed economico a tutti gli effetti.. Margherita: non tutti se lo possono permettere... Fausto: non è che noi avremmo potuto fare altri tentativi, perché diciamo che le nostre riserve... 166 Margherita: ma ci sono quelli che non possono fare nemmeno quello che abbiamo fatto noi.. Fausto: infatti... noi siamo già al limite... infatti noi diciamo che con i due tentativi che abbiamo fatto, tra tutto, tra viaggi e tutto, se ne sono andati 10000 euro... quindi non è che abbiamo delle riserve infinite... e in questo momento siamo contenti perché la cosa è andata bene e... speriamo che continui.. certo, diciamo che avremmo gradito che anche in Italia, come in Spagna, in fondo sono due paesi cattolici alla stessa maniera, soltanto che il Papa sta qui anziché a Madrid o non so dove... quindi questo aspetto politico è dovuto anche al fatto che probabilmente si vuole, a livello delle forze politiche dei vari schieramenti, acquisire il consenso dei cattolici che non è più fossilizzato nella DC com'era una volta... si vuole acquisire quindi il consenso dei cattolici attraverso il consenso delle gerarchie... diciamo che certo se non fossimo partiti saremmo stati più contenti, nella situazione fa molto... d'altra parte sono anche cose che io capisco, a un certo livello, perché capisco che chi ha una forte convinzione religiosa possa dire “queste sono cose un po' al limite”, del resto a un certo punto un limite ci deve essere, io dico, solo che stabilire questo limite, tra le cose che si possono fare e quelle che non si possono fare... non è che tutto quello che è tecnicamente possibile è giusto farlo... però, in fondo, cosa stiamo facendo di male? Stiamo cercando di mettere al mondo un bambino, forse, è un desiderio umanissimo, in fondo non c'è tutto sommato, niente di male... scrupoli di carattere morale non ne abbiamo avuti, ecco... ML: e gli embrioni? Margherita: queste cose sono un po' controverse... Fausto: queste cose mi sono un po' passate quando ho scoperto che, tante volte ci sono embrioni fecondati in rapporti naturali che poi non portano a una gravidanza... cioè ho scoperto che rispetto agli embrioni fecondati la percentuale delle gravidanze è bassissima, ci sono embrioni che vengono scartati dalla natura stessa... allora, se si aiuta la natura in fondo... cioè noi stiamo aiutando la natura... da un certo punto di vista, poi, da un altro, per chi ha delle credenze religiose molto forti può dire “ma la natura non avrebbe fatto questo”... ML: ma non dovrebbe essere una scelta personale? 167 Fausto: questo è ancora un altro discorso: chi ha credenze religiose non dovrebbe imporle agli altri.. però io penso ancora ad un altro livello, cioè: qual'è il limite fra le cose giuste e quelle sbagliate? Margherita: ci sono certe donne che non fanno l'amniocentesi perché... sono delle forme secondo me di ipocrisia... perché poi magari l'hanno fatta ma non l'hanno detto, e questo è il paradosso, perché non lo devo dire perché se poi il bambino è malato che faccio abortisco? Dillo no? Anzi, secondo me il fatto di utilizzare delle tecniche è una cosa giusta... la medicina è a sostegno e a favore della prevenzione della salute della donna... che senso ha che non posso fare la diagnosi preimpianto e poi però posso fare l'aborto terapeutico? Già al terzo mese, quando davvero il bambino ha un cuore che batte cioè... se non è legale l'uno non lo è nemmeno l'altro, non ha alcun significato... Fausto: ma infatti sono nati da due momenti storici e politici differenti... quelle sono state leggi approvate trenta anni fa... comunque il discorso è complicato, perché da una parte c'è la tutela della donna, dell'embrione, troppe cose... bisogna trovare ovviamente un compromesso giusto... ovviamente la persona già viva deve essere tutelata prevalentemente, l'embrione deve essere tutelato ma in maniera subordinata, soprattutto se può portare ad un essere vivente che è sano... Margherita: poi, portare avanti una gravidanza e dopo qualche mese scoprire che il bambino è malato, è un trauma per la donna... cioè io ho perso un bambino al terzo mese, e non era una gravidanza molto avanzata, forse perché io lo desideravo moltissimo... cioè io dal primo giorno in cui ho scoperto di essere incinta mi sentivo già mamma... ci sono tanti aspetti psicologici... e non è stato per me tanto facile andare ad abortire... perché già il bambino non c'era più e quindi ho dovuto fare il raschiamento... sono delle esperienze molto brutte per una donna, specialmente, ripeto, se viene molto desiderato... perché ci sono molte persone che invece erano in gravidanza e se ne volevano liberare solo perché erano fidanzate, oppure perché non lo volevano... Nella stessa sala c'ero io che piangevo perché lo avevo perso e quelle invece che dopo l'aborto cantavano, si mettevano il rossetto, cioè aspetti psicologici completamente diversi... ma la natura quanto è strana, a chi lo vorrebbe veramente non dà la possibilità... psicologicamente è un trauma quando hai una gravidanza avanzata e la devi interrompere per un qualsiasi motivo... è un'esperienza molto forte direi, soprattutto da un punto di vista psicologico... 168 169 Marialuisa ML: mi racconti la vostra storia dall'inizio? M: dall'inizio inizio? ok... mio marito e io ci siamo sposati nel 90 e... ho fatto delle analisi, diciamo così, prima di sposarci, però a livello di analisi del sangue... lui ad esempio non ha fatto l'esame dello sperma, non le ha fatte, perché magari tu non vai a pensare che magari ci può essere un problema o che ci può essere qualcosa... niente... infatti io ho preso l'anticoncezionale per sei anni... e quindi dopo sei anni avevamo deciso di avere un bimbo e invece... diciamo non veniva fuori questo bimbo (ride)... e niente, allora abbiamo iniziato praticamente a fare tutti degli accertamenti, delle cose, e il primo dottore dove siamo stati, è stato il dottore Falcidia qui a Catania, che ci ha dato da fare delle analisi e ci ha mandato dal dottore D'Agata sempre qua a Catania, che era un endocrinologo, che ha visto diciamo che poteva esserci qualcosa in mio marito che non andava... e, niente, infatti poi abbiamo scoperto che c'era una azoospermia e... i primi tempi è stata un po' dura, perché magari tu non riesci subito ad accettare.. io, sinceramente... non riesci subito ad accettare però... a me faceva più male il fatto che mio marito non riusciva ad accettare questa cosa, non tanto la voglia di avere un figlio, quella è inutile nasconderla, però... in base al nostro tipo di rapporto, fra me e lui... cioè come ti posso dire... noi abbiamo un rapporto troppo forte fra me e lui, nel senso che... ora è 18 anni che siamo sposati e a volte ci rendiamo conto che facciamo delle cose tipo adolescenti proprio (ride)... perché, ci viene spontaneo, non è che lo facciamo per... secondo me, e anche secondo lui, è un rapporto troppo forte... e niente... poi ci siamo buttati subito in questa avventura e abbiamo iniziato, diciamo, a vedere con delle cure che doveva fare lui, però non c'è stato verso... siamo stati due volte a Roma al centro di Antinori e lui ha fatto anche delle punture, delle cure, però, insomma, nulla da fare... alla fine ci siamo fermati... e allora abbiamo deciso di viaggiare... (ride), alternativa... (ride), e abbiamo viaggiato un bel po', siamo stati in Messico, a Cuba, nel centroamerica, i Caraibi... e ci siamo divertiti... (ride)... però alla fine ti rendi conto che comunque qualcosa ti manca... ugualmente... cioè queste sono cose futili, che tu puoi avere e puoi fare quando ti va... basta che ti raccogli i soldi e poi li fai (ride)... non è che... allora abbiamo avuto un momento molto lungo di riflessione e ci 170 avevano detto se volevamo provare l'eterologa... in un primo momento diciamo che io... ML: questo in che anno scusami? M: questo... nel 2000... e io non ero d'accordo, non lo so, gli dicevo “ma no, ma no”... lui in un certo senso è come se in questa cosa voleva la spinta, voleva... non lo so... però io proprio... ML: non te la sei sentita... M: no, non me la sono sentita... allora... cioè non lo so se non me la sono sentita, oppure volevo provare però mi dispiaceva per lui... diciamo... e insomma non l'abbiamo fatta... e abbiamo... ML: continuato a viaggiare? M: esatto... (ride). Però poi ad un certo momento ci siamo fermati e abbiamo detto “questo è il momento”, anche perché poi, quando tu raggiungi anche un'età, giusto, non siamo grandissimi perché io ho 38 anni adesso e lui ne ha 44, però diciamo è un'età in cui “o dentro o fuori” in questa storia, poi non mi piace che io debba aver superato i 40 anni... perché poi diventa veramente una cosa troppo egoistica... e allora ci siamo fermati un po'... ci siamo fatti una vacanza (ride) in cui abbiamo riflettuto su questa cosa e... è uscito fuori che stiamo provando per l'eterologa... e la prima volta che abbiamo provato, giustamente... allora, quando in Italia c'era la legge che si poteva fare non abbiamo mai provato perché non ci andava (ride)... io e mio marito creiamo sempre situazioni al contrario (ride), sempre... devo dire però che siamo d'accordo anche su questo... e niente, quando poi la legge vieta questa cosa decidiamo di rimetterci di nuovo in gioco per quest'avventura... e abbiamo provato... io andavo spulciando su internet, sono entrata in un forum e lì ho cominciato ad avere conversazioni con ragazze della mia età, anche un po' più grandi e un po' più piccole, anche loro andavano all'estero per fare l'eterologa e... diciamo che questo forum dove sono entrata, diciamo che ti fa un attimino... parlare con qualcuno, perché magari questa è una situazione che tu non ne parli con nessuno, perché io perlomeno... cioè, noi siamo una coppia che, ti ripeto, ci amiamo, ci vogliamo bene, però le nostre cose sono giustamente le nostre cose... cioè noi parliamo moltissimo tra di noi, delle cose nostre, delle cose che riguardano il lavoro, cioè... riusciamo ad avere un rapporto... cioè noi diciamo che siamo amici, amanti, compagni... e quindi ci siamo buttati di 171 nuovo in questa cosa, io leggendo sul forum leggevo che c'era gente che aveva già fatto l'eterologa la prima volta e che la stava rifacendo “speriamo che posso fare un compagnetto a mio figlio” dicevano alcuni, “mio marito è molto contento, mio marito è molto sereno”, insomma... insieme leggevamo queste cose e lui un giorno mi fa “ma scusa, perché non proviamo? Alla fine è un bimbo comunque nostro... cioè io amo te, voglio bene te e quindi è un bambino nostro, non è un bambino né tuo...” e io mi sentivo come se tradissi mio marito, ecco, in un certo senso, e... lui invece mi ha fatto capire... cioè “se tu lo vuoi, io lo voglio pure, cioè non ho nessun tipo di problema”... e io a questo punto ho detto proviamoci, perché è un impegno molto forte, molto importante, non è una cosa così, una passeggiata... e abbiamo provato a febbraio e noi stiamo andando n un centro a Barcellona, e ci stiamo trovando molto bene... la prima volta non è andata bene perché poi, diciamo, si è aggiunto un altro problema, cioè che io ho un FSH alto, o almeno, in quei giorni lo avevo a 20 e poi, quando ho rifatto le analisi, non so se dopo la cura che ho fatto, questo FSH si era abbassato prima a 10, ora ce l'ho a 11/12... quindi abbiamo fatto la prima volta un ciclo corto di cura, di stimolazione e adesso stiamo provando con un ciclo più lungo, così come lo chiamano loro... e, niente, è andata male questa cosa... e quando è andata male ho visto che mio marito... c'è rimasto ancora più male di me, nel senso che ci teneva... ci sperava...ma anche adesso... ti faccio un esempio: ieri abbiamo avuto una mattinata carica di cose da fare, io dovevo fare la puntura alle 9:30 e me l'ero dimenticata... lui è molto premuroso in questa cosa no, e me l'ha ricordato... anche ieri sera, prima di andare a letto mi ha detto “allora tu domani vai a Catania” e io... già me n'ero dimenticata, e lui “Luisa, ma come fai a dimenticarlo? Tu ti devi concentrare in questa cosa...” Io l'avevo proprio cancellata 'sta cosa... e lui mi ha mangiata... Comunque adesso stiamo riprovando di nuovo sempre in questo centro... certo è pesantuccio dover affrontare, cioè non è che affronti solo la spesa della terapia... ML: dici il fatto di dover andare all'estero? M: no, no... il fatto di dover andare fuori non ci da nessun problema, nel senso che non ci manca la famiglia (ride)... noi stiamo bene da soli... cioè, siamo molto attaccati alla famiglia, noi lavoriamo tutti insieme in un supermercato con i miei fratelli... però, voglio dire, io ho sentito parlare molte coppie che hanno il problema di andare fuori perché la mamma, non hanno i genitori, non hanno il sostegno della famiglia... 172 ML: non la senti come una mancanza... M: no... probabilmente quando sei più grande e hai un rapporto così forte... io sento che la mia famiglia è mio marito... anzi, il fatto che siamo fuori... ML: solidifica di più il rapporto? M: si, ci fa sentire più uniti, più... comunque il problema fondamentale sono i soldi... perché questa cosa ti distrugge... guarda, quando ancora c'era la lira non so se in tutto avremmo speso un cinquanta milioni... tra viaggi, prima a Catania, gli accertamenti che sono tutti a pagamento, perché la mutua non ti passa niente e comunque dovresti fare una trafila enorme che non ne vale neanche la pena... e poi quando abbiamo cominciato ad andare fuori questi viaggi con l'aereo, che oggi non costano nulla ma una volta... poi dovevi dormire fuori... e le tecniche lì... perché facevano l'ago aspirato a lui più la cura e poi dovevano togliere i follicoli a me, cosa che poi non si concludeva in nulla ma che in tutto veniva a costare sugli otto milioni, o dieci... tu considera questa cosa già fatta due volte... più tutto il resto... ML: quindi lui si è sottoposto a tutte queste tecniche... M: si, guarda, mio marito ha fatto una biopsia testicolare qui a Catania, dove avevano trovato spermatiti e spermatogoni, per questo noi all'inizio, diciamo che abbiamo insistito su questa cosa... però diciamo che qui non c'erano delle tecniche molto approfondite quindi poi siamo stati a Roma da Antinoiri... e quando lì hanno visto questa biopsia hanno detto che si poteva tentare qualcosa, perché aveva un SH che rientrava nella norma e hanno provato con questa cure stimolanti per l'uomo ecc... e quindi facevano questa cosa ma poi non andava bene... ML: ma all'adozione non ci avete mai pensato? M: ma, secondo noi, io parlo sempre al plurale perché abbiamo la stessa visione... non lo so, per fare qualcosa del genere tu devi essere pronto e noi in effetti non lo siamo mai stati... ci abbiamo riflettuto molto su questa cosa... però poi... cioè è una cosa che tu... non è una mancanza, perché molti dicono che quando non si adotta un bambino e non si hanno figli è una mancanza di sensibilità... secondo me no... cioè quando tu fai una determinata cosa tu la devi sentire... noi non l'abbiamo mai sentita... cioè è una cosa che ti deve venire proprio da dentro... cioè non 173 è un fatto semplice, non è una cosa che vai a comprare un pacco di non so cosa... ML: una burocrazia troppo lunga? M: anche, in Itala soprattutto... è che non l'abbiamo mai... ML: desiderato veramente? M: si, esatto... cioè se riusciamo ne vorremmo uno nostro... ML: e il fatto di doverti sottoporre a tutte queste cure come lo vivi? M: (ride)... allora, diciamo che le prime volte l'ho vissuta male... poi ti abitui a tutto e diventa normale... pensi che nella vita ci sono cose molto peggiori e alla fine hai una persona che ami e che ti vuole bene accanto... cioè quando accanto hai una persona forte che ti vuole bene sicuramente non hai... non ti pesa più di tanto ecco... guarda ti dico che quando è andata male, questa volta a febbraio, praticamente a me la sera già mi sono venute delle macchie e la mattina quando queste macchie sono aumentate io mi sono messa a piangere perché è normale che ci rimani male e quindi ha un attimino di sfogo... però contemporaneamente tutti e due abbiamo detto “se va male ci riproviamo”... non è stata una cosa sai del tipo “se va male, basta, non ci riproviamo più”... anzi, la cosa che ci fa riflettere adesso è che magari abbiamo fatto troppa pausa... però ci sono state anche molte cose di mezzo... è morto il papà di mio marito, ha avuto un tumore... anche perché quando fai queste cose devi essere un attimino tranquillo, sereno... ML: e lui ora è tranquillo? M: si... ma proprio io lo sento... e io non l'avrei fatto se lui non fosse stato... sai, a volte pensavo, perché ti viene in mente, un dubbio... sto facendo del male a mio marito... quando sei da sola con te stessa magari ci pensi che vorresti avere un figlio, perché è inutile nasconderlo, la voglia di maternità c'è in tutte le donne, è inutile che diciamo “ah, io non voglio avere figli...”, a volte sento dire gente che ha 40 che è sposata come me da 18 anni “ah, ancora...”, ma ancora che? Cioè, non ne vengono e non ne vengono, ma è normale che la voglia c'è e altro che... e fino a quando io non ho sentito che lui... insomma, io dovevo essere sicura di questa cosa, se no non l'avrei mai fatto... al momento in cui io mi sono sentita sicura... ma tutta la sicurezza che io ho non l'ho 174 acquisita perché ho “immaginato” che lui... ma perché in effetti è così... che ti posso dire, banalmente, quando mi faccio le punture si mette là, gli dispiace... tutte le attenzioni... anche in quel periodo che sono stata più a riposo perché aspettavamo il risultato non voleva che andassi a lavoro... cioè, mille attenzioni... ML: quindi tu pensi che non è la voglia individuale di maternità o paternità ma il sentimento reciproco fra due persone che ti fa fare un passo di questo? M: si, sicuramente, non tutti possono farlo perché... è forte... ML: e pensi che possa essere destabilizzante per una coppia? M: si, per me si... questi problemi quando capitano in situazioni dove ci sono coppie con problemi... che il Signore non le faccia capitare mai... perché sono dei problemi che possono portare... allora, possono succedere due cose: o, in un rapporto come il nostro, ad esempio, che si è solidificato tantissimo... oppure si rompe, cioè, non c'è una via di mezzo... e quando si trova vuol dire che allora ognuno ha una vita per conto suo... ML: siete cattolici? M: si ML: e questa cosa come la vivete? M: io ne ho parlato anche con il mio prete per esempio... ML: e lui cosa ti ha detto? Ti ha consigliato? M: e... non mi ha consigliato... lui mi ha detto che ognuno nella vita fa le sue scelte e non vuol dire che non si ami Gesù allo stesso modo, che non... ML: quindi nessun senso di “peccato”? M: assolutamente no, io mi confesso, vado in chiesa, prendo la mia comunione... allora, all'inizio l'ho avuta questa cosa, infatti non sono andata un periodo a messa... anzi diciamo che questa cosa... io non ero una gran frequentatrice della chiesa, però di tanto in tanto ci andavo... poi a un certo momento ho deciso di parlare di questa cosa con il mio prete e gli ho detto che proprio io non mi sentivo di andare, che, chissà perché avvertivo questo... 175 ML: disagio? M: si, disagio... e lui invece mi ha detto che, insomma, sbagliavo, perché avvicinandomi alla chiesa puoi stare anche meglio... e ti devo dire che io, diciamo, non sono diventa una... ML: fervente cattolica... M: (ride) si, fervente cattolica... però vado...mi fa stare meglio, questo si... ML: e in famiglia ne avete parlato o lo avete tenuto per voi? M: no... credo che sia una cosa “propria”... ML: e qui da HERA come siete arrivati? M: (ride) tra i mille viaggi... ne abbiamo sentito parlare... e proprio qui la prima volta ci hanno proposto l'eterologa... perché quando arrivi qui hai il colloquio con lo psicologo e lui ce l'aveva proposta... e io ho detto di no, perché quando si è più giovani si va, come ti posso dire, su una giostra... forse l'inconsapevolezza... magari se me l'avessero proposta subito, a Roma, allora forse l'avrei fatta, però a quel tempo salire su quella giostra mi faceva paura... così ho risposto al dottore e lui mi ha fatto i complimenti per la metafora... magari già allora lui ce l'aveva proposto perché ci vedeva come una coppia già forte, che non avrebbe avuto problemi... però allora non abbiamo provato, non ce la siamo sentiti... ripeto, sia io che lui abbiamo avuto avere la certezza di fare questo passo insieme... perché non è una cosa semplicissima, ti devi scavare proprio all'interno, devi capire... tu in lui e lui in te, per capire fino a che punto... sono delle prove... dell'amore... e poi capisci... io oggi capisco che questo passo l'avrei potuto fare prima, però forse non erano maturi i tempi... ML: e il fatto che oggi la legge vi obbliga ad andare all'estero? M: è antipatico... cioè a livello economico più che altro... perché se a me questa cosa mi costava due lire non me ne fregava nulla... però a livello economico... t'ammazza! Fai conto che abbiamo speso 3700 solo per la tecnica, ora ci fanno lo sconto, 3400... (ride) di cui 1725 abbiamo già fatto il bonifico e... dai, la viviamo anche come una vacanza... ML: perché “aviti u peri lonnu...” (avete il piede lungo) 176 M: (ride) si... perché infatti questa volta abbiamo deciso che ci fermiamo fuori dieci giorni... la prima volta solo 4, il tempo della tecnica... perché proprio ti senti meglio... quando arrivi a casa... stavolta infatti stiamo dicendo che proprio andiamo via per vacanza... stiamo usando una tecnica diversa(ride)... perché è abbastanza pesante quando poi tu torni da una situazione del genere poi tutte le mattine ti telefona, la mamma, la cognata, ti chiedono come stai, come non stai... tutte le mattine... Non ti alzare, non ti strapazzare... Tutte le mattine.. Diventa una cosa... stavolta invece ho deciso di viverla come dicono loro, perché io sono stata a riposo 15 giorni, dormivo, mangiavo, avevo persino la ragazza che mi veniva a casa... invece questa volta la voglio vivere proprio... normale... Comunque vada sarà un successo... ML: e la prima volta quanti ovociti fecondati ti hanno impiantato? M: uno, uno solo... io ne avevo prodotti 4, due non andavano bene, due erano da 8, che è un loro coso per fare una classifica, erano ottimi... solo che uno non ha fecondato e me ne hanno impiantato uno solo... ML: tu saresti d'accordo nel donare i tuoi ovociti? M: si, senza dubbio... io sono d'accordo sulla donazione di tutto: sono una donatrice di sangue, donerò gli organi... credo sia giusto così... ML: non hai un legame particolare con i tuoi ovuli? M: (ride) no... non credo... ML: nel senso che molte donne li vedono come parte del loro patrimonio genetico... M: no, quello magari no... però io sono molto egoista, non so bene come funziona questa cosa, però prima vedrei se me ne avanzano... egoisticamente parlando, dopo tanti sacrifici... non so fino a che punto... ML: li crioconserverai se necessario? M: si, lì lo fanno... per sei mesi credo, costa 600 euro e dopo un anno li distruggono... la scelta è tua, dopo nove mesi se non sbaglio devi decidere... e comunque questo è un centro molto serio... io mi sono trovata benissimo, soprattutto per la privacy... che io, quando sono uscita, gli ho detto a Carmelo: “ma siamo sicuri che hanno fatto tutto?”... perché io non mi sono accorta di niente... tu entri, quando abbiamo fatto la tecnica... perché c'eravamo già andati prima, abbiamo fatto il 177 colloquio, ti seguono tantissimo, per telefono, via e-mail, c'è la coordinazione internazionale, tu fai il numero, chiami, gli dici che sei il 497 ad esempio e poi ti richiama l'operatrice della tua lingua e... ti dicevo che entri in questa saletta, dove sei solo tu con tuo marito, ti fanno mettere un camice, cuffia pantofole, loro ti conducono in un'altra stanza, non vedi nessuno nel passaggio, sei in questa stanza completamente al buio, ti dicono tramite microfono quello che devi fare e tempo 5 minuti ti ritrovi fuori... cioè, io non ho visto un dottore, non ho visto nessuno... solo l'anestesista che mi ha messo la flebo e mi sono risvegliata già nella stanzetta insieme a mio marito... ML: e il donatore lo avete scelto voi o loro? M: no loro... hanno voluto una foto di mio marito e basta... speriamo che stavolta vada bene... ML: in becco alla cicogna allora... M: speriamo... molti dicono che volere un figlio a tutti i costi sia una scelta egoistica, forse è vero... Io però lo capisco di più per una macchina... Ma un figlio è una scelta d'amore... Mio marito e io diciamo che forse abbiamo troppo amore... Sentiamo il bisogno di un bimbo per casa... perché non so... è una specie di complemento... perché noi abbiamo tutto ma ci sentiamo incompleti... e ora lo desideriamo tanto... 178 Ludovica Ludovica: io ho 42 anni, mio marito 3 di più, ci siamo sposati nel 2001 in età un po' avanzata quindi, dopo tre anni circa, quattro, abbiamo deciso di mettere mano per un baby e poi lì ci siamo accorti, facendo delle indagini che mio marito era affetto da una azoospermia, probabilmente provocata da un intervento che lui ha fatto quando era piccolo, in tarda età però diceva l'andrologo, per cui questo intervento fatto in tarda età ha causato questa sterilità totale, anche facendo una cura i dottori sostenevano che non avrebbero ricavato alcun risultato positivo da un punto di vista fertilità per cui, inizialmente ci siamo un po'... eravamo disorientati, perché lì per lì devi decidere se intraprendere l'adozione oppure avere un bambino che per metà... (ride) ML: geneticamente... Ludovica: per metà che appartiene alla coppia... dato che mio marito mi ama parecchio e voleva a tutti i costi una bambina che assomigliasse a me (ride)... insomma con peculiarità caratteriali, somatiche, abbiamo deciso di intraprendere l'eterologa... e per l'eterologa, come lei sa, in Italia è vietata... perché abbiamo il Papa (ride) che decide parecchie cose quindi...lei sa benissimo, o credo immagini, le difficoltà, perché a questo punto ti devi rivolgere all'estero, quindi difficoltà di lingue, difficoltà a livello psicologico, perché devi accettare questa realtà, ti devi spostare fuori dal tuo paese, devi spendere dei soldi, sempre se... il tutto va bene. Quindi abbiamo fatto una ricerca su Internet vedendo quali erano i paesi dove dessero un'assistenza più appropriata al nostro caso e soprattutto più vicino e anche da un punto di vista economico più abbordabile. E abbiamo visto che la Spagna, da un punto di vista economico e poi anche tutti i forum e le mail ci dicevano che sì il personale era specializzato però certe volte avevano avuto delle esperienze negative... Comunque abbiamo fatto una ricerca e abbiamo visto che il posto più vicino, più accessibile era Lugano, in Svizzera, e quindi ci siamo rivolti alla PROCREA di Lugano. Abbiamo fatto il primo colloquio e adesso io sono in terapia... ML: aveva già provato in Italia? 179 Ludovica: no... ML: quindi avete deciso subito per l'eterologa? Ludovica: si... perché credo che sia l'unica scappatoia... per avere un bambino... forse... perché io metto sempre il forse (ride)... ML: e questa decisione l'avete maturata insieme? Ludovica: bé... diciamo che sinceramente (ride) l'altra parte, in questo caso mio marito, ma poteva essere anche una donna, credo, perché c'è anche la donazione di follicoli... ML: ovociti... Ludovica: si tutte queste cose qua, perché poi noi ci siamo aggiornati, da internet abbiamo estrapolato parecchio materiale da leggere la sera e... allora all'inizio lui ha avuto una crisi, chiaramente, di... mi diceva di approvare la decisione di non fare l'adozione di provare con l'eterologa però dice “io guarderei sempre questo bambino/a come una persona che non mi appartiene... Chiaramente lì ci sono stati tanti discorsi, discussioni, a volte anche con i parenti però... un po' velato perché noi non abbiamo detto la verità, perché lei sa che siamo in un paese parecchio tradizionalista quindi parecchi genitori non avrebbero condiviso al 100% questa scelta. Quindi noi velando questa realtà e ipotizzando in caso di sterilità totale una possibilità di eterologa cercavamo di strappare (ride) dai parenti un'idea... anche per confrontarci.. loro avevano più esperienza con i bambini... tutti quanti ci hanno detto “va' bé non è di chi lo fa, è di chi lo cresce”, il bambino prende si le caratteristiche somatiche, però il carattere... è come una pianta, l'interazione tra ambiente e genetica... cioè ha il suo ruolo l'ambiente... comunque poi lui ha avuto una crisi e io lì ho cercato di fargli capire.. cioè dicendogli che “se tu avessi scelto una compagna sposata con figli allora io credo che tu non avresti mai amato questi bambini perché non li avevi fatti tu”, cioè mi fa capire questa cosa... se è tuo lo ami se non appartiene a te geneticamente lo rifiuti... forse lui ha riflettuto parecchio su questa cosa.. perché poi è così... io ho due gatte stupende, Clara e Camilla, sono sorelle, e hanno cresciuto i cuccioli una dell'altra... comunque anche io penso che avrei avuto la mia piccola crisi (ride)... qualcosa l'avrei spesa, detta, pensata... adesso però lui è molto tranquillo, molto felice anche perché credo che abbia capito che è 180 l'unica possibilità per avere, lui, un bambino ora... e poi chiaramente per il futuro non lo sappiamo... ML: avete già avviato le pratiche per l'adozione? Ludovica: no, al momento ci siamo concentrati sull'eterologa, non vogliamo poi disperdere energia in tante cose... anche perché lì a Lugano, il dottore che ci segue, ci diceva che c'era la possibilità di conservare eventualmente... se non dovesse andare in porto, alla fin fine, di riprovare perché congeleranno questi follicoli che verranno prelevati e possono essere nuovamente ri-fecondati e riprovare la metodica della FIVET e dell'eterologa... ML: quindi siete al vostro primo tentativo... Ludovica: io adesso sono pronta, mi daranno la risposta stasera in base ai valori che otterrò nell'ecografia se partire domani sera o giovedì sera... per fare pick-up ovociti e poi... ML: e questo fatto di dover andare fuori come lo avete vissuto? Ludovica: allora (ride)... chiaramente sono sacrifici enormi, già è un sacrificio recarsi a un centro della tua città... cioè accettare di concepire un bambino... con dei metodi che sono al di fuori degli schemi naturali... io sono la quinta figlia di sei e mia mamma non ha mai avuto problemi, le mie sorelle neanche e... quindi già è una cosa enorme accettare questo... quindi recarsi in un centro, rivolgersi, parlare dei tuoi problemi molto intimi, credo che siano molto intimi (ride), perché devi condividere il problema della coppia con tanti medici, anche perché non è sempre lo stesso a seguirti... già quindi è un grande passo condividere con un centro... e accettare un metodo di fecondazione che è del tutto innaturale... ML: perché è “innaturale”? Ludovica: perché non avviene con fenomeni naturali, anche se io avessi fatto... com'è che la chiamano... ML: la fecondazione in vivo? Ludovica: si quella, anche per me è innaturale... comunque abbiamo notato che in molte coppie c'è questa difficoltà alla procreazione... è generazionale sembra... forse nei nostri nipiol, là, com'è che si chiamavano (ride) hanno messo qualcosa... questo lascia pensare... io ho 181 delle teorie (ride)... quasi segrete... cioè come esiste la guerra batteriologica, che viene fatta a tua insaputa, esistono delle decisioni supreme (ride)... che dicono “noi questa generazione dobbiamo indurla a rivolgersi a una clinica così pagano dei soldi...” ML: e, a proposito di centri, com'è il rapporto con i medici? Ludovica: guarda noi abbiamo consultato un altro centro qui a Catania, perché vedevamo che dopo due anni non andava in porto niente... ogni mese era un dramma: “oh guarda il ciclo” (ride)... questo centro dove siamo stati è molto venale, all'avanguardia almeno per quello che ho potuto vedere io, ma mancava il lato umano... sostituito da quello venale però (ride)... qui va meglio... questo aspetto umano lo recepisci... il medico che ti rincuora, ti sta accanto, anche come ti parla, il timbro di voce non è... all'altro centro ci hanno dato tutta una serie di fogli e ci hanno detto che dovevamo fare tutta una serie di esami... apaticamente però, senza invogliarci... già affrontare questa problematica non è... poi affrontarla così, senza un briciola di umanità e per giunta dovendo sborsare tanti soldi... ML: diciamo che te lo devi anche poter permettere.. Ludovica: si guarda noi, escludendo tutte le spese di trasporto, vitto e 'ste cose qua, ci costerà, solo la tecnica, 4400 euro... addirittura io la preparazione la sto facendo a Catania infatti gliel'ho fatto notare a quelli di Lugano, quindi io spenderò dei soldi a Catania e non occuperò i laboratori e le sale lì... e loro mi hanno detto che ugualmente... anzi “se vuole viene a stare qua un mese, fa le sue terapie, la preparazione, i dosaggi ormonali”... e il prezzo è sempre quello... in caso di tentativo successivo toglierebbero solo 400 euro... e poi tu immagina, metti l'aereo, metti l'hotel... e poi siamo in due quindi tutto è raddoppiato... chiaramente la tecnica no (ride) perché la farò solo io... anche se qui, al centro Hera, mi hanno detto almeno due volte... quindi calcola in tutto 10000 euro... un'altra cosa che ti volevo fare notare è che noi molte informazioni non le abbiamo trovate dentro il centro, ma consultando Internet... perché lì ci sono le lettere, ci cono le ragazze che rispondono ai quesiti, ci sono le ragazze che si preparano alla terapia, quindi ti scrivono tutto... c'è tutta Italia che scrive, tu dai un quesito che so... io sapevo che questa terapia avrebbe portato degli effetti collaterali, che fortunatamente non ho avuto, tipo umore ballerino... invece no, invece ho avuto dei sintomi tipo dolori ai muscoli e mi ha tenuto troppo 182 tranquilla, troppo calma... sono delle punture... e leggevo che appunto 'ste punture le facevano come, non so, l'anticamera della morte (ride)... bruciano maledettamente, ma hanno l'ago piccolissimo e te le puoi fare anche da sola... poi però hai gli effetti, man mano che queste dosi si accumulano nei giorni, ti accorgi che sei stanca, i capezzoli mi fanno un male cane... ML: è perché prendi ormoni a palla... Ludovica: si si, guarda l'estradiolo da 227 si è portato, in due giorni a 628... quindi immagina che sbalzo assurdo... ML: e questa cosa come la vivi? Ludovica: ma... guarda io e mio marito ci siamo informati, abbiamo chiesto ma ancora gli effetti collaterali di questa cosa non si conoscono... perché la FIVET e tutte 'ste cose che ci sono adesso (ride) che ormai dobbiamo accettare non si sanno gli effetti collaterali... ML: e il fatto di viverlo direttamente e maggiormente sul tuo corpo? Ludovica: guarda io intanto sono contraria alle medicine e, infatti anche se prendo un'aspirina, mi metto lì con foglietto e vedo il dosaggio, la composizione e gli effetti collaterali, appena ho letto che dovevo fare una terapia di 28 giorni di Trimop che è una pillola che devi prendere tutte le sere, ho letto il fogliettino con gli effetti collaterali ho detto: “va' bè basta, io qua chiudo!” (ride), perché può portare cisti ovariche, cisti al seno e tutta una serie di cose... e collegarsi ad internet è bello anche per questo, perché tu dalle esperienze degli altri poi te ne fai una tu, però chiaramente in queste situazioni ci devi stare dentro, perché è una situazione che tu reagisci con il tuo carattere, individualmente, certo gli altri si, ti danno una guida perché ti dicono “devi fare quello, questo e quest'altro”, cosa che i centri non fanno perché credo che sia legalmente punibile, ci sono delle penalità pazzesche, qua dovrebbero chiude tutto Hera (ride) e continuare a pagare per anni e anni... hanno delle sanzioni pazzesche... chiaramente loro hanno le mani legate... infatti loro ci hanno detto “collegatevi ad internet” ML: quindi ve l'hanno suggerito loro... Ludovica: sì sì, lì tu hai una guida che ti dice cosa fare passo passo, prima mi rivolgo a un centro all'estero, poi loro ti fissano un appuntamento, quindi devi andare lì, infatti noi siamo stati già una volta 183 a Lugano e lì già mi hanno fatto... perché questo dottore che è italiano tra l'altro mi aveva detto : “signora lei deve tornare, deve tornare almeno un'altra volta prima del pick-up”, “no senta io tutti 'sti soldi non ce li ho” (ride)... “e allora lo facciamo adesso”, perché lui ha capito che stava fuggendo la cliente (ride)... quindi mi ha fatto una visita ginecologica e ... una preparazione per quello che dovrò fare adesso... quindi già ci siamo recati lì, abbiamo avuto delle spese... però andarci già è meglio, perché tu vedi il centro, vedi le persone con cui avrai a che fare... poi ci sta seguendo un dottore italiano... ML: quindi non c'è il gap linguistico... Ludovica: si, ma non è la stessa cosa, lì non sono come qua... noi siciliano abbiamo dei modi di affabilità di invogliare le persone, di coinvolgerle, loro sono troppo schematici, il timbro di voce... qui quando le ragazze mi chiamano al telefono sono gioiose (ride)... poi ti danno la pacca sulla spalla (ride), lì invece la mano... c'è questa distanza... e come ti dicevo per concludere l'esperienza te la devi fare tu, poi una volta che ci sei dentro capisci... non è come viverlo dall'esterno... come ad esempio, se non avessimo accettato l'eterologa e avremmo proseguito per l'adozione e ci leggevamo i forum, erano si notizie che tu leggi, le coppie che si rivolgono all'estero, le terapie, le medicine... ah, procurarsi le medicine è una cosa pazzesca... ML: difficile? Sì sì, ci sono medicine che costano parecchio... ci devi mettere anche questo, e comunque se non lo vivi non lo capisci che significa... 184 Dottoressa Alecci Biologa ML: mi parli un po’ dell’embrione? R: è qualcosa che noi di solito non vediamo, arriva, se ne va, se ne va da solo, non s’impianta, tutto questo quando avviene nella normalità delle cose all’interno del corpo femminile non ha tutte quelle implicazioni psicologiche che viene ad assumere qui da noi, dove ha una consistenza fisica, dove è un qualcosa che poi viene ad assumere un significato che va al di là … cioè diventa una persona, parlano di bambino già quando c’è … si proprio, hanno spesso le pazienti un atteggiamento affettivo, parlano di perdita quando no c’è l’impianto, quando tutto questo in natura non avviene. Ci sono spesso gravidanze dette biochimiche, il cosiddetto ritardo, poi arriva la mestruazione e uno non ci fa neanche caso nella routine della nostra vita quotidiana e, senza saperlo, abbiamo avuto 4, 5, inizi di gravidanze … perché non è che uno, a parte se ha delle paranoie particolari, si va a fare un test di gravidanza al primo giorno di ritardo … cioè se non hai un progetto di genitorialità … mentre qui è tutto diverso, perché tutto viene concentrato sul figlio, sul progetto di genitorialità, per cui l’embrione che può essere considerato un qualcosa che esiste ma non sai neanche che c’è, che se ne va da solo e non s’impianta, e non sai nemmeno di averlo avuto, diventa una realtà ben precisa, gli danno … cioè parlano già del bambino, cioè se lo visualizzano già … e infatti quando poi la gravidanza non c’è perché l’embrione non s’impianta, cioè, vivono un vero e proprio lutto, come se hanno perso qualcosa, s’inventano che hanno visto qualcosa uscire, una massa, un grumo di sangue … e lì gioca molto il discorso dell’ignoranza, nel senso proprio che ignorano, per cui pensano di aver visto qualcosa, ma in quella fase ovviamente non c’è niente, può essere al massimo un coagulo, punto e basta, cioè è l’endometrio che si sfalda perché non c’è la mestruazione … che è una cosa normale ma loro la vivono come un lutto, perché c’è un grosso investimento emotivo su questa cosa … e questa è la cosa più difficile da gestire … ML: per un medico? 185 R: anche per la paziente … per il medico è stressante, perché si deve vestire di figure diverse: deve essere ginecologo, deve essere anche psicologo, deve anche essere capace di consolare quindi … ti parlo di una cosa che succede anche a noi biologhe, che ci chiedono perché, come mai, cosa è successo, e cerchiamo di spiegare … ML: è un bisogno di sapere? R: più che altro è un bisogno di consolazione, bisogno di capire e di elaborare questo insuccesso, ed è la parte più brutta, dove la paziente in genere, la coppia, ha bisogno di maggiore sostegno, perché non riesce proprio a essere razionale, si perde proprio la razionalità, subentrano diversi momenti … io no ho studiato psicologia ma so che ci sono diverse fasi … qui ci hanno fatto un corso sulla comunicazione e ci hanno spiegato proprio come nascono tutti questi meccanismi, come si alternano tutte queste emozioni e che poi sfociano in tante cose anche brutte … ci sono quelli che sono più preparati, anche caratterialmente, ad affrontare questo genere di cose, ci sono coppie che invece … e lì subentra tutto un discorso di equilibri di coppia … i meccanismi cioè sono molteplici, e sono allucinanti … allucinanti perché devono dare la colpa a qualcuno, spesso se la danno fra di loro, oppure la devono dare al medico, la devono dare alla struttura, la devono dare a qualcuno ‘sta colpa no? Nella migliore delle ipotesi riescono a metabolizzare tutto e vanno avanti, infatti io non smetto mai di consigliare alla coppia di fare un tentativo solo nel momento in cui sono veramente pronti, ma pronti non fisicamente … perché la storia fisica la superi: mestruazione, stimolazione e si ricomincia … il discorso è di avere la forza psicologica di superare la cosa, è molto meglio aspettare un mese in più, due, sei, età permettendo, piuttosto che fare una cosa in un momento in cui non sei assolutamente pronta per affrontarla, lì diventa anche deleterio … alla fine, in dodici anni che faccio ‘sto mestiere, la parte più difficile da gestire è quella emotiva … perché devi avere la pazienza di ascoltare, la pazienza di sentirti ripetere la stessa cosa duemila volte, la pazienza di ripetere le cose duemila volte (ride), cioè fargli entrare nella testa che le cose vanno perché devono andare in un determinato modo, non ci può essere nulla a monte di questo, bisogna solo avere la pazienza e la forza di andare avanti e tentare, quindi … però sicuramente da questo punto di vista il medico è quello che ha più esperienza perché fanno più colloqui e più consultazioni, la prima, la seconda, quella pre–tecnica, quella post–tecnica … 186 ML: e della diagnosi pre-impianto? R: il discorso della pre-impianto è molto semplice … è vietata… ML: più che altro il problema, mi è parso di capire, è l’impianto obbligatorio… R: a parte che non ha senso perché se lo diagnostichi malato, in teoria, lo devi trasferire lo stesso, perché non lo puoi eliminare, non lo puoi nemmeno congelare, cioè non si capisce quello che ci dovresti fare… perché una volta che l’hai diagnosticato malato non ha poi senso trasferirlo, cioè viene a cadere il principio stesso della pre-impianto, che serve per evitare poi l’aborto terapeutico, e quindi trasferire direttamente o i portatori o i sani, in quel modo tu hai la possibilità di affrontare un inizio di gravidanza già sapendo che tuttalpiù possa essere portatore, ma questo da un punto di vista di salute non implica nulla, ce ne sono tanti portatori, ma puoi evitare la gravidanza se è malato… e paradossalmente noi che siamo stati i primi in Italia ad avere la gravidanza dopo un DGP per beta talassemia… ML: vi è successo di dover trasferire embrioni malati? R: no, noi non la facciamo più… in queste condizioni… poi c’è il limite del numero di embrioni che puoi produrre, per fare una pre-imppianto sicuramente ce ne vogliono molti di più… quindi tu non puoi nemmeno lavorare in quelle condizioni, sarebbe vietato anche manipolare l’embrione in quel senso, perché tu per diagnosticarlo devi prelevare il blastomero, quindi… non puoi avere tutta questa serie di limitazioni quando esegui una tecnica che ha come fine quello di diagnosticare una malattia… non ha senso... c’è un’anomalia incredibile dove si sono basati su presupposti etici e religiosi che sono entrati nel merito di questioni in cui non c’entravano niente, sarebbe come dire, non so, in altri termini, che tu ti occupi di cardiologia o non so che e una questione etica di ti dice “no, è vietato trapiantare il cuore”… perché loro dicono che non bisogna accanirsi se non si possono avere figli, cioè, rimettiamoci nelle mani di Dio… ma che discorso è? Allora anche quando hai problemi di altro tipo ti devi preparare all’inevitabile e basta… ML: ma sottoporsi a una tecnica significa accanirsi? R: ma no, seconde me è legittimo utilizzare le tecniche disponibili per risolvere un problema allo stesso modo che se tu hai la dermatite te ne 187 vai dal dermatologo e ti fai l’antimicotico… in questo campo invece dove c’entra la riproduzione, il controllo delle donne, diventa più una questione religioso-politica che altro e viene strumentalizzato… e da lì viene fuori ‘sta legge che non c’entra niente con la scienza… perché i comitati etici ci sono sempre stati, questa diceria che c’era il far west è stata montata tutta nell’opinione pubblica affinché si avesse un’opinione negativa nei riguardi della riproduzione assistita… poi è chiaro che la gente non si espone, le stesse persone che sono coinvolte poi alla fine non sì interessano e non lottano per i propri diritti, anche perché poi fanno parte di quella sfera di argomenti e cose di cui non si parla… e poi è un problema sociale vero e proprio, interessa più del 20% della popolazione cioè non è una nicchia, non è una malattia rara che riguarda lo zero virgola qualcosa della popolazione, cioè ovunque ti giri, io ovunque vado incontro pazienti, i parenti, gli amici, cioè è un problema che riguarda e riguarderà sempre di più la popolazione, per un discorso ambientale, abitudini di vita… e non la puoi liquidare con una legge simile e va affrontata secondo me… cioè è chiaro che ci deve essere un controllo, che ci deve essere un dibattito etico molto ampio intorno, ma non può essere solo una serie di divieti solo perché dobbiamo essere timorati di Dio… invece a questo si riduce… e la persona non ha più la possibilità di scegliere, a questo si riduce… è una di quelle cose in cui c’è una discussione etica e poi arriva il Papa e ti dice, ad esempio, che non puoi staccare la macchina, che non puoi fare una tecnica se non puoi avere figli… è uno di quegli argomenti su cui ti viene tolto il diritto di scelta, come su tante altre cose… non viene rispettata la libertà, è un fatto di libertà… perché da una parte c’è il potere che ti deve controllare dall’altra c’è la libertà della persona, per cui su alcune cose è più facile combattere, su questi argomenti sembra impossibile; poi non si capisce perché se io sono nel pieno delle mie facoltà non posso decidere di mettere fine alle mie sofferenze, per quale motivo? È un mistero… Però in tutte queste cose è difficile poi trovare la verità, per questo le leggi dovrebbero essere al di sopra delle differenze d’opinione, però alla base secondo me ci deve essere la cosa più sacrosanta, che è la libertà della persona, almeno per me, poi ognuno ha il suo modo di pensare… E poi quando sento quelli che passano per luminari della scienza che fanno certe affermazioni mi viene la pelle d’oca, come fai tu a decidere a decretare di avere un’opinione che vale più di quella degli altri? ML: quindi il vostro lavoro è cambiato molto? 188 R: certo, anche se devo dire che noi cerchiamo di portare comunque avanti il nostro modo di lavorare,, che significa guardare prima di tutto alle esigenze della coppia, della paziente, di rispettarne la volontà, di avere uno scambio il più possibile… perché qua si lavora in un altro modo… e io questa differenza la vedo rispetto ad altri centri… io sono nata con questo centro… ML: mi racconteresti questa tua esperienza? R: guarda, capita raramente nella vita di conoscere persone che lasciano un segno, no? Cioè alla fine tu conosci tanta gente, però di quante veramente puoi dire questa persona mi ha cambiato la vita? Alla fine poche (ride)… Nino è decisamente una di quelle persone che ha lasciato un segno fortissimo e ha segnato la differenza per quanto mi riguarda, sia per un modo di pensare, che su tante cose mi riconosco perfettamente, sia su questa cosa di generosità… sarà una coincidenza che è di sinistra (ride), io non sapevo neanche di esserlo prima di conoscerlo (ride)… non mi piacciono le etichette però lo senti subito quando parli con una persona e condividi il suo modo di pensare… e lui ha un senso profondo del sociale, dei diritti, della libertà, e io mi sono trovata subito, figurati che dovevo fare solo il tirocinio post laurea (ride) e invece, eccomi qua… dal ‘96 ML: da quando è nata HERA praticamente… R: si, che è nata come un progetto per mettere su la reimpianto nella clinica ostetrica con il prof. Di Leo al Vittorio. Tutto è cominciato così, perché lui era stato fuori, poi è tornato e con Sandrine si sono inventati questa cosa, hanno messo su questo progetto, infatti tutti noi abbiamo cominciato come volontari, e poi ciascuno, in base anche alle proprie idee è rimasto o è andato via… perché non è facile, decidere di rimanere e pensare di non fare nient’altro per me è stato assolutamente naturale, non mi sarebbe passato nemmeno per l’anticamera del cervello di fare altro e però non è facile… è quasi come una missione… poi almeno io l’ho vissuta così… Nino mi ha reclutata così nel corridoio dell’ospedale: “ci salti su questo treno?”… E io ho detto andiamo, senza alcuna garanzia, ma a me piace troppo quello che facciamo, vedere la felicità di una coppia quando ottiene una gravidanza, pensare che stai aiutando qualcuno ad avere un figlio, che poi è lo scopo della nostra specie, che poi è la dimensione assolutamente naturale, quale altro scopo potresti avere? Certo poi noi ci allontaniamo tantissimo da questa visione 189 naturale e ci allontaniamo tantissimo ma poi rimane… è quasi l’aspetto più animale, se uno ci pensa, del resto, se uno non fa cose grandiose nella vita l’unica cosa che rimane nel futuro sono i figli… almeno io ho questa visione molto naturale, i miei principi fondamentali sono semplici… ML: e per quanto riguarda la fecondazione eterologa, tu la consiglieresti? R: certo, se è necessaria… è la coppia che deve decidere, mica posso dire io se è giusto o no, perché io sono contraria non la fai, o se io ho un’informazione non te la do perché non condivido… se vuoi evitare un figlio malato dalla nascita puoi fare la DGP o l’eterologa, ma questo è la coppia che lo deve decidere…. Sono soluzioni che devono essere presentate, solo che in questo momento non sappiamo mai come ci dobbiamo comportare… perché non la possiamo fare e allo stesso tempo non potremmo indirizzare verso i centri esteri, non si capisce più niente di quello che dovresti fare… ma eticamente si può accettare che io ho un informazione e non te la do perché non voglio nemmeno che tu faccia la tecnica fuori, la realtà invece è diversa… la verità è che in Italia hanno fatto dei gemellaggi con i centri esteri, ci stanno mangiando anche sopra sicuramente… la verità è che in Italia ce ne freghiamo delle leggi, si può fare qualunque cosa, l’importante è che non si sappia, che la facciata sia pulita ma tanto ognuno fa quello che gli passa per la testa, in realtà l’etica non esiste… la verità è che quando hai un problema cerchi di risolverlo in qualunque modo, ti interessa il risultato… e poi la falsità e l’ipocrisia dei politici e della chiesa… dov’è l’etica in tutto questo? Gli interessa solo mangiarsi i soldi e farsi i fatti loro, di tutte queste belle cose chi se ne occupa? Nessuno… ML: tu qui ti occupi di crioconservazione, me ne parli un po’… R: noi qui, quando abbiamo deciso di iniziare il programma di congelamento, perché all’inizio, considera siamo nati nei primi anni ’90, non si faceva il congelamento e quando si inizia a lavorare in questo campo si parte dal primo livello, ti occupi prima delle cose più semplici e poi man mano vai a migliorare… e il programma di congelamento nella fa è basilare, la cosa più naturale è cominciare con la conservazione del seme che è importantissima per svariati motivi, se il paziente ha una difficoltà a produrre, se deve affrontare un intervento e per sicurezza congeli il seme, un ciclo di chemio, si parla qui di 190 autoconservazione. Quando poi nel ’97 c’è stata in Italia la prima gravidanza da ovociti congelati Nino ha detto che dovevamo mettere su il sistema, mi ha mandato a Bologna, sono stata lì due settimane nel gruppo che ha avuto la gravidanza con la Dott.ssa Fabbri, ho imparato la tecnica e quando sono tornata ho messo su il sistema, abbiamo comprato le attrezzature e abbiamo cominciato a congelare gli ovociti, infatti siamo stati in Sicilia i primi ad avere la gravidanza… e lì abbiamo fatto una scelta ben precisa che era quella di iniziare piuttosto con il congelamento ovocita rio che nessuno faceva piuttosto che con gli embrioni, perché Nino aveva un po’ questo sentore (ride), non mi chiedere come fa ma lui tante cose le sa prima, ha la sfera di cristallo nella testa… sapeva che ci sarebbero stati dei problemi etici intorno al congelamento che la gente faceva ormai da tempo, anche perché è una tecnica molto più facile da eseguire, nel senso che congelando gli embrioni in termini di risultati di gravidanza i risultati sono migliori rispetto a quelli che si hanno con gli ovociti, quindi la coppia può avere un reale vantaggio… perché prima cosa succedeva con gli embrioni “in più”, ne mettevi a fecondare di più, trasferivi uno, due, tre a seconda anche dell’età della paziente e la qualità dell’embrione, perché anche lì non è che li congeli tutti quelli che restano, quelli che hanno una maggiore chance di impiantarsi, quindi gli embrioni di categoria uno o di classe A, li congeli o per avere una seconda possibilità o per non fare di nuovo tutto il ciclo di stimolazione, e la paziente si risparmiava un mare di casini, di stress, di farmaci e quanto altro e poteva avere più occasioni di gravidanza con una singola stimolazione… però già all’inizio abbiamo detto di no, non ci volevamo impelagare in questa storia del congelamento embrionario, perché poi se ‘sti embrioni non li trasferiamo che succede? Rimangono nella banca, la coppia che se ne fa… E se poi perdi le tracce della coppia? Finché si tratta di spermatozoi o di ovociti, poco male, sono cellule che comunque sono destinate al nulla, hanno un patrimonio a metà, sono aploidi, non sono niente alla fine… quando si tratta di embrioni lì il discorso è un po’ diverso perché già si tratta di materiale potenzialmente individuo, potenzialmente… è un embrione congelato… poi se tu lo scongeli, lo trasferisci in utero… fuori dal corpo ha poco senso parlare di vita… perché allora potenzialmente, se dobbiamo impostarlo sul potenziale non te ne esci più… ML: la legge elimina il potenziale, lo da per scontato… 191 R: e infatti entra in un contrasto bestiale con la volontà della madre, che pensa di valere meno dell’embrione che produce e che è fuori da lei.. cioè l’embrione ha più diritti di te… ML: ma meno di un feto… R: brava, lì volevano andare a parare, volevano toccare la legge 194, ma quello era scontato… già lo abbiamo visto questo film prima che lo facessero, che avrebbero cercato di intaccare la 194, la chiesa subito ci ha messo le mani sopra… e noi qui... ad aspettare di vedere come finisce ‘sto film... 192 Dottoressa Andolina Biologa ML: mi puoi raccontare la tua esperienza al centro, come sei arrivata, di cosa ti occupi... R: io sono arrivata al centro mediante la tesi e anzi quando sono arrivata qui la mia era la prima tesi che accettavano e dopo un anno di tesi sono rimasta qui a occuparmi di una tecnica che si fa, l'assisted touching, ho fatto il tirocinio per un anno e quindi ho cominciato a lavorare praticamente nel laboratorio di biologia di Patrizia... e insomma dal 2005 sono qua... ML: e di cosa ti occupi? R: allora, all'inizio nel laboratorio di Patrizia facevano le analisi di endocrinologia e tutte queste cose qua, perché lei erra da sola e ci voleva un aiuto, dopo di che sono stata sei mesi a Troina dove c'è un centro specializzato nell'esame del cariotipo per poter imparare e farlo qui che ancora non si faceva. Ho imparato la tecnica, abbiamo comprato la strumentazione e adesso stiamo cominciando... ML: e a che serve il cariotipo? R: il cariotipo serve per vedere la mappa cromosomica dei pazienti e per applicare le tecniche di fecondazione è indispensabile perché permette di comprendere il quadro completo, perché comunque si è visto che il 20% dell'infertilità deriva da traslocazioni cromosomiche o delle sindromi particolari che inibiscono la procreazione... e ora da qualche mese ci siamo divise il lavoro con Patrizia, lei si occupa della parte endocrinologica e io del seme, faccio le prove diagnostiche e tutte 'ste cose qua... ML: quindi i pazienti li vedi relativamente... R: si, diciamo che li vedo quando si fa la raccolta del seme però poi sempre s'instaura un dialogo... e lavorando ogni giorno qua alla fine ti abitui anche a dare le brutte notizie, diciamo che devi avere la delicatezza ma alla fine la butto sulla scientificità, cioè è così... poi 193 naturalmente dipende anche dalla persona che hai di fronte, il linguaggio cambia a seconda di chi hai di fronte... poi si capisce che io lo so quando vado a dire certe cose che alle persone veramente le ammazzi, devi essere delicato, perché quella persona si sente un malato a tutti gli effetti... però alla fine tu gli dai anche delle soluzioni, perché alla fine chi viene qua lo sa che comunque potrebbe avere dei problemi... certo se è un problema di azoospermia non c'è molto da fare, però già se ci sono degli spermatozoi tu li rincuori, ci sono le tecniche che ti possono aiutare, le soluzioni ci sono... ML: per gli uomini è più difficile da accettare? Per le donne magari ci sono più soluzioni... Nel caso maschile se c'è l'azoospermia non è che c'è molto da fare, quello è... a me è capitata una coppia in cui lui era completamente azospermico e aveva fatto anche un biopsia e un prelievo testicolare e lì ci sono solo due soluzioni o vai all'estero per un'eterologa o fai un'adozione? ML: tu la condividi come tecnica l'eterologa? R: si, decisamente, ma anche l'adozione... Soltanto che è troppo complicato... Un figlio alla fine te lo cresci tu, o è biologicamente tuo o non lo è, comunque, se lo cresci tu, è tuo... ML: e il fatto che la legge abbia vietato alcune tecniche come la vedi? R: il problema che la legge è brutta, non c'è niente da recuperare, va contro la Costituzione, i diritti della donna... con il fatto che non puoi congelare l'embrione e devi fare continuamente stimolazioni ovariche le donne stanno malissimo... il discorso è soggettivo, io penso che le persone o la coppia in sé dovrebbero avere la libertà di scegliere, quello che può essere giusto per me non può esserlo per te... io sono d'accordo al congelamento embrionario per esempio, o nel fatto che se è malato venga utilizzato per la ricerca e nient'altro, però questo è il mio pensiero, non è che tutti la devono pensare come me, però la legge deve dare la possibilità alla gente di decidere quello che vogliono fare, io non lo come mi comporterei se mi trovassi nelle condizioni di un paziente, se alla fine non ti ci ritrovi nelle cose possiamo anche parlare però... poi è un'altra cosa scegliere e decidere cosa è giusto e cosa è sbagliato, la legge non ti può imporre... anche perché poi al terzo mese puoi fare l'aborto, che ha tutto, è formato, e quando ancora è una blastocisti non me la posso levare perché il concepito ha il diritto alla vita più di un 194 bambino? È assurda già alla base, il concetto di concepito è assurdo e poi tutto il resto è una conseguenza... la DGP, ad esempio, cioè tu mi dai la possibilità di abortire sei, setto, otto volte fino a quando non mi viene il bambino sano e poi non mi dai la possibilità, la prima volta, di fare una DGP? E se ci sono, come ci sono, quelli che sono contro l'aborto, che fai? Se io sono contraria all'aborto perché non posso avere la possibilità di impiantare degli embrioni sani? E poi anche mettere al mondo un bambino malato è assurdo, oggi... Il problema è che questa legge l'hanno fatta persone che non c'entrano niente, che non ne capisce niente e comunque anche la Chiesa... non si possono sposare, non possono fare figli e parlano... io adesso sono incinta ma, sono sincera, non me lo sarei tenuto se avessi scoperto che era malato... e se avessi saputo di avere una malattia genetica avrei fatto una DGP all'estero, sicuro... 195 Dottor Biagi Psicologo ML: mi parla della dimensione “sociale” delle tecniche di PMA? Come si lega il corpo individuale a quello sociale? R: sicuramente negli ultimi 5 anni, da quando c'è stato un ampio dibattito in seguito alle legge e alla campagna referendaria, il mondo della procreazione assistita è diventato di dominio pubblico, c'è stata un'ampia possibilità di poterne parlare e quindi sicuramente anche l'approccio verso le tecniche se da una parte può esserci tutto un discorso legato alla proibizione e alla scienza che non ha permesso un dibattito aperto sulla legge 40, c'è comunque dall'altra parte un dibattito che ha permesso di rendere accessibile di dare anche una connotazione istituzionale e legislativa che ha dato un “permesso” a tutto un mondo, ci sono state coppie che si sono esposte, hanno parlato delle tecniche come di un qualcosa di possibile per raggiungere una gravidanza, non più separato dal discorso procreativo come una dimensione quasi innata, naturale, ma una dimensione in cui questo tipo di scelta appartiene un po' di più a un ramo scientifico che è quello della cura di determinate malattie e quindi possibile, non dico in maniera decisiva, determinante e accettata, però magari le coppie arrivano con una maggiore determinazione nell'affrontare un'eventuale tecnica come l'unica possibilità di diventare genitori, e questa dimensione di accesso alle tecniche ha probabilmente consentito alle coppie una maggiore consonanza e quindi una minore separazione di quello che può essere il corpo sociale, ed è possibile recuperare un po' la scissione tra il corpo individuale e quello sociale mediante la dimensione affettiva, cioè la possibilità di diventare genitori anche attraverso le tecniche è a livello sociale maggiormente consentita e accettata, chiaro che è un dibattito aperto che comunque risente ancora di alcune ideologie dogmatiche quali quelle cristiano-cattoliche, quindi questo magari qui in Sicilia può pesare, però probabilmente la storia sta facendo il suo corso, la scienza sta andando avanti e questo diventa ormai un approccio più naturale, più possibile. Cosa diversa è invece sicuramente una tecnica come l'eterologa, lì c'è una maggiore resistenza e difficoltà magari a fare questo passo in più, cioè è un passaggio molto 196 delicato, mentre per le tecniche tradizionali sicuramente stiamo vivendo un'epoca di maggiore consenso, dove l'aspetto del desiderio di diventare genitori colma quello che può essere anche la separazione tra la mente e il corpo, no? Cioè un corpo abitato da emozioni, da desideri, che comunque rappresentano l'unione e il superamento del paradigma cartesiano... ML: quindi il desiderio viene a configurarsi come l'unione non solo tra il la mente e il corpo individuale, ma anche tra questo e quello sociale? R: si, sicuramente... è chiaro che anche questo avrebbe bisogno di una riflessione maggiore ed è importante quindi l'apporto di figure professionali, come quella mia ad esempio, possono sicuramente accompagnare questa possibilità di mettere insieme le cose anziché separarle... e forse in un ambito come quello della PMA questa cosa, la volontà di mettere al mondo un figlio, si fa sempre più scelta chiara, esplicita anche se è slegata dall'atto sessuale. ML: e una coppia che cosa chiede, cioè che tasselli gli mancano per riunire tutti i pezzi? R: guarda, sicuramente, quello che chiedono è di soddisfare il desiderio di genitorialità, è chiaro che questo può essere connotato da tanti aspetti, quindi quando c'è un sano desiderio di maternità o di paternità, perché spesso si tende a parlare della situazione solo al femminile e lì spesso il desiderio di maternità può essere intrappolato all'interno di dinamiche emozionali più intrapsichiche e patologiche, come una risposta a una parte dell'io più narcisistiche o individualistiche e spesso in questi casi l'uomo viene messo da parte... e noi cerchiamo, in questi casi, di dare una valutazione, e questo comunque capita spesso in donne in età avanzata, questi elementi sono molto evidenti... ML: e della fecondazione eterologa che mi dice? R: sicuramente quella l'eterologa necessariamente bisogno di recuperare un altro momento di elaborazione, rappresenta il frutto della possibilità di ricevere un gamete che non sia dei componenti della coppia e stabilisce una relazione all'interno della coppia che può determinare degli squilibri... ma poi non è nemmeno da sottovalutare il fatto che noi viviamo in una cultura per cui, proprio da un punto di vista antropologico, ci sono delle cose che sono permesse e altre che non lo sono, e così questa nasce e si alimenta proprio con delle regole... 197 ML: però è anche vero che ciascuno di noi fa la cultura, cioè è un soggetto attivo di trasformazione... R: si... e qui entra in gioco la possibilità di recuperare la soggetto e quindi in realtà tutto il dibattito intorno a ciò che è permesso e ciò che non lo è, rischia di escludere dentro questo processo l'individuo, il soggetto attivo e pensante, cioè la possibilità che comunque non è assolutamente pregiudizievole questo tipo di atto se per il soggetto va bene, cioè se per il soggetto è consono a quello che è l'atto che ha determinato e che ha portato a una scelta, e quindi la possibilità che all'interno del proprio io e all'interno della coppia questa cosa diventa giocata e possibile, cioè il rischio è sempre quello di generalizzare, mentre su alcuni aspetti etici, che possa essere l'embrione, l'eterologa, la DGP, l'eutanasia, il testamento biologico, si rischia poi di scegliere per tutti e non per il soggetto, che possa liberamente scegliere per se, con la propria storia, le proprie convinzioni, far si che quella opzione diventi praticabile e possibile, e anche desiderabile. Un po' tutto il dibattito che oggi c'è da una parte sulla funzione dogmatica dello Stato, o comunque più pedagogica, orientata a dare indirizzi e un po' quello che invece è il relativismo, una parola tanto abusata oggi che però ha determinato grandi scoperte, soprattutto nel campo della medicina, della ricerca, o anche nella percezione stessa dell'individuo, è messa completamente al bando, la società contemporanea sta attraversando un po' questo momento storico e filosofico che sta determinando un orientamento sempre più regolamentato soprattutto su questi temi che in realtà non servono a molto... E poi comunque io ritengo che diventare genitori rappresenti una parte fondamentale dell'individuo, proprio perché lega a se la sua storia, e quindi la possibilità che questa possa essere trasmessa e che in qualche modo rappresenta il superamento della mortalità, perché poi attraverso i figli ci appropriamo della possibilità di continuare a vivere, e quindi poi all'interno della coppia questo modo ciclico di far si che la vita continui rappresenta un grande momento di crescita, non solo culturale, cioè sicuramente da una parte, ma dall'altra ha anche delle radici ontologiche innate che appartengono agli individui, e per questo aldilà delle leggi, di quello che può significare la regola, i centri di fecondazione assistita continuano ad essere popolati in maniera esponenziale da chi deve risolvere questi tipi di problemi, poi magari ci sono delle tecniche che meritano sicuramente degli ulteriori momenti di riflessione però penso che un passaggio sia stato fatto... la legge 40 ha sicuramente dei presupposti dogmatici molto forti, 198 già riconoscendo dei diritti all'embrione, e quindi di conseguenza tutto diventa difficilmente smontabile, perché poi sulla questione eugenetica probabilmente bisogna avere chiaro cosa significa, forse... se da una parte può significare fare una selezione degli embrioni malati allora lì ti scontri con una legge dalle maglie molto strette, ma se dall'altra significa scegliere i tratti somatici del figlio, forse lì davvero si stanno apportando delle trasformazioni e un miglioramento della razza umana, quindi cioè diventa sicuramente difficile poterlo dire... 199 Melina D'Antoni Segretaria ML: mi puoi raccontare la tua esperienza al centro? R: intanto io entro come paziente, quindi … da che ero andata da un medico che mi chiedeva sempre soldi, non ho ottenuto niente, ci sono stata 8 mesi e me ne sono andata… sono entrata poi al centro, ai tempi al Vittorio Emanuele dove ho incontrato per la prima volta Nino e da lì abbiamo iniziato un iter diagnostico, eravamo al Vittorio quindi non ho mai pagato niente, proprio perché il centro era ancora all’inizio, tutto in fase di sperimentazione, dove la legge comunque ti diceva la sterilità non era una malattia quindi… Poi alla fine, dopo qualche mese ho intrapreso, oltre a essere paziente e continuare le mie terapie, ho iniziato a stare dentro la struttura come volontaria, sempre come volontaria, il mio ruolo qua è stato sempre quello. Ho intrapreso questa strada di volontariato per comunicare con la gente su quella che era la struttura e tutto, dove ognuno dei primi pazienti dava una quota per iniziare a comprare proprio i macchinari del centro, e così i primi pazienti hanno fatto le prime tecniche. Io nel frattempo ho iniziato anche le mie cure, ho avuto anche il mio risultato, poi sfortunatamente ho perso la gravidanza, poi dopo tre mesi sono rimasta incinta naturalmente e comunque ho sempre proseguito a lavorare con il centro, dove pazienti e medici insieme che, appunto come dicevo, intanto hanno iniziato insieme… anche le cartelle mediche, eravamo noi stessi che ci facevamo le fotocopie, magari la tipografi sta che conoscevamo, la cancelleria… ognuno portava qualcosa da casa, là avevamo uno spazio, una stanza e un altro camerino dove si faceva il prelievo ovocita rio, ma anche a livello di pazienti non era alto come lo è adesso… poi man mano si è cominciato a crescere, la gente veniva, i pazienti parlavano, e poi c’è stato il fatto che, dal Vittorio Emanuele, per varie ragioni, ovvie ragioni, hanno cominciato a mandarci via, infatti poi ci misero anche alla strutture, alle stanze proprio, un giorno siamo arrivati e abbiamo trovato le stanze con i lucchetti, addirittura c’era anche una signora che doveva fare un trasferimento embrionario e le hanno chiuso gli embrioni dentro, a questo livello... e poi alla fine, la signora tramite l’avvocato è riuscita a fare il trasferimento, lei era 200 l’ultima, di cui poi è rimasta anche incinta.... poi siamo andati alla clinica Gretter , struttura più grande, naturalmente con tutti i disagi del trasloco, la gente disorientata... ma lì, secondo me, abbiamo raggiunto un livello alto di struttura e di qualità, poi ulteriori problemi là, spazi piccoli e siamo venuti qua in affitto dove il centro penso che funzioni abbastanza bene... poi a livello di volontariato noi ci mettevamo l’anima... e adesso un po’ questa cosa si è persa, ormai siamo in pochi a essere coinvolti nell’associazione però... non so se hai visto prima quella signora, anche se non veniva da anni, considera che lei era una paziente, nemmeno troppo inserita nel volontariato, è venuta qui e... insomma, pensa a noi come a qualcuno che le ha cambiato la vita... quello che le persone notano in noi è che siamo a portata di mano, non abbiamo quello stile che c’è sempre nelle strutture, dove c’è un distacco tra paziente e operatore.... cosa che dicono tutti è che si trovano a casa loro a loro agio, nessuno dice “io mi sono sentita trascurata”, perché la gente dice che negli altri posti si sente trattata come un numero o come un obiettivo che il medico deve raggiungere, qui aspettano è vero (ride), ma si sentono tranquilli perché sanno che qui sono in una famiglia, la parola che usano di più è proprio famiglia... ML: e adesso l’associazione di cosa si occupa? R: la legge... noi puntiamo sulla legge, di far camminare un po’, di far muovere chi sta ai punti alti... ‘sta legge che sta bloccando tutti... ML: ma tu della tecnica vera propria, dal momento che l’hai vissuta in prima persona, che ne pensi? R: io da paziente, ti posso dire che mi sono sposata nel ’91, sono arrivata al centro nel ’96, quindi erano già passati 5 anni ed ero stata da quel dottore solo 8 mesi prima, quindi devo dire che non ci ho pensato subito... anche se devo dire che un figlio l’ho desiderato subito e quindi ho capito che c’era qualcosa che non andava... ho fatto delle inseminazioni intrauterine semplici e fin lì mi sono... non ho avuto nessun problema, sai molti dicono “la stimolazione farà male, chissà nel tempo”, io ero propensa, certo c’era un po’ di... come ti posso dire, no di vergogna, perché non mi sono mai vergognata, però non lo dicevo a tutti che andavo a frequentare un centro di riproduzione assistita, perché più che altro, ci sono, ancora oggi, dei tabù... nonostante sia da parte mia che di mio marito dicevamo “sai mamma adesso ci sono tanti centri che...”, perché passati cinque anni tutti volevano ‘sto nipotino che non 201 arrivava... quindi io la tecnica l’avrei fatta ugualmente, però non a stressarmi, infatti di inseminazioni io ne potevo fare una ogni mese mane facevo una l’anno, in modo tale che... ma perché proprio ero io che avevo questa cosa... cioè, io lo desideravo un figlio, però tutti mi dicevano che non lo desideravo così tanto perché per tentarci una volta l’anno... ma forse è perché ero serena, avendo trovato questo centro... non avevo quell’angoscia... infatti io non ho mai versato una lacrima per questo, e sono stata otto anni senza figli... poi... per quanto riguarda la reimpianto sono d’accordissimo, è una cosa stupenda che possano nascere figli che non hanno problemi, già quando i nostri figli hanno una febbre siamo alle stelle (ride)... e io lo sto provando anche adesso che ho tutti e due i bambini malati, quindi mi sento impazzire, immagino una mamma che suo figlio, già alla nascita, sa che è malato... quindi condivido e la trovo una cosa giustissima... per quanto riguarda l’eterologa io ho sempre pensato che, infatti con mio marito lo dicevamo sempre che se figli non ne avevamo, avremmo preferito l’adozione più che l’eterologa, così almeno il figlio era uguale per tutti e due... perché in quel modo mi saprebbe un po’ più di parte... o è tuo, o è mio... invece in quel modo è di tutti e due allo stesso modo, ma non giudico chi la fa perché per me è una decisione di coppia, è troppo personale... ho consigliato anche molte persone, che erano titubanti, che venivano qua da me in associazione, “ma sai, forse dobbiamo fare...”, ai tempi quando si faceva, e proprio da persone che già avevano partorito, avevano avuto figli, avevo sentito dire che poi non te lo ricordi più che hai fatto un’eterologa... anche perché quando vieni qua con una certa diagnosi sai già che non c’è altra strada... e avevo persone che ogni mese mi chiamavano, per il complimese del figlio, per ringraziarmi (ride)... ML: e dopo la legge com’è cambiato il lavoro al centro? R: molta gente telefona proprio disperata che non sa più che fare... anche per quel fatto dei tre embrioni... ma, cambiato non direi, però sicuramente c’è stato un po’ di calo, non a livello di risultati, ma a livello di persone, perché naturalmente manca tutta quella fascia di persone che non fanno né diagnosi né fecondazione eterologa... ML : e tu della legge che pensi? R: che è un’assurdità, perché se fosse una legge per tutti dici, va bene, non si può fare e basta... ma il fatto che si possa andare all’estero e qua no... quella è una cosa assurda... perché mi metto nei panni di quelle 202 persone che vogliono un figlio a tutti i costi e non hanno la possibilità di farsi un viaggio in Turchia o in Spagna... io impazzirei all’idea che non posso avere figli perché non ho il denaro per andare... là impazzirei proprio, là veramente avrei tutto il rammarico... mica tutti si possono fare un mutuo, un operaio come lo va a pagare un mutuo? È assurdo che tu non puoi fare una tecnica e devi spendere tutti questi soldi, lì mi arrabbio veramente... mi dà molto fastidio... 203 Dottor Galletta Ginecologo ML: mi vuole raccontare la sua esperienza qui al centro? R: io lavoro al centro da circa un anno e mezzo, per quanto riguarda l’aspetto lavorativo è una bellissima esperienza perché si sta molto a contatto con persone che hanno un certo tipo particolare di problema e che devono essere innanzitutto capite e non trattate come dice sempre Guglielmino come una catena di montaggio, sono delle persone, con grandissimi problemi, e si vede, stando dall’altra parte, anche la solidità della coppi, ci sono coppie e coppie... La legge 40 diciamo che ci ha creato grossissimi problemi perché, non dico che è razzista però... è riuscita ad allontanare parecchie persone, grazie anche all’intervento della chiesa, e le ha allontanate anche dalla chiesa, perché molte persone credenti, chiacchierando anche con noi, hanno capito che effettivamente è troppo osteggiata la possibilità per una coppia che ha un problema genetico di riuscire ad ottenere un figlio sano con le tecniche che oggi sono a nostra disposizione... molte persone si sono incattivite perché devono andare fuori a spendere una barca di soldi per una cosa che potevano fare benissimo qui, e hanno capito che c’è anche un forte inasprimento ad opera, qualcuno dice, anche della chiesa... qualcuno dice che questa legge è un manifesto teologico proibendo la diagnosi preimpianto e tutto quello che ne conviene... perché giustamente la donna si vede violentata, perché ogni trattamento che noi facciamo, alla fine, è una sorta di violenza per la donna, e quando la tecnica poi va male, e la devi ripetere 2 ,3, 4, 5 volte, non è il massimo della vita, quando prima potevano congelarsi gli embrioni ed esaurire tutto il numero di embrioni congelati, eventualmente poi dopo ripetevano... ma quando hai tre embrioni, almeno uno lo perdi... infatti prima della legge 40 c’era una percentuale maggiore nel numero di gravidanze, oggi sono aumentate le gravidanze trigemine, che sono gravidanze pericolose con tutto ciò che ne consegue, parti prematuri, bambini che restano deficitari anche con deficit importanti e oggi che si parla tanto di costi, vallo ad assister un bambino prematuro di 25 settimane, sono costi altissimi, se poi diventa anche deficitario diventa un costo a vita... 204 ML: anche perché la riduzione embrionaria non è consentita... R: ufficialmente no, ufficialmente no... ML: ma qualcuno la fa... R: al nord Italia qualcuno la fa... ML: fatta la legge trovato l’inganno... R: come in tutte le cose... qualcuno va fuori e da quattro diventano due, ed è una cosa devastante, cinica, perché tu che prima non ne hai avuti ora devi decidere quali andare a togliere... c’è stata una persona che ne aveva 4, due nella stessa sacca... naturalmente quali vai a fermare? Quelli nella stessa sacca, è più semplice, per ciò vedi che bel giochino per una mamma andare a decidere... prima niente. Ora ne ho 4, e ora di 4 ne devo togliere due... ML: ma perché, secondo lei, c’è questo atteggiamento nei confronti delle biotecnologie? R: perché probabilmente si ha paura... l’Italia poi è un paese abbastanza tradizionalista, molto attaccato alle tradizioni... c’è forse la paura del cambiamento o la paura che qualcuno possa fare lo scienziato pazzo della situazione e quindi sbizzarrirsi con clonazione e cose varie... si ha paura dell’esaurito di turno che si metta a giocare un po’ troppo, perché è simpatico che hanno clonato la pecora, ma come hanno clonato la pecora possono farlo con qualsiasi altra cosa... ora bisogna vedere la clonazione a cosa ti serve, perché ci continuano a giocare, se serve davvero a qualcosa di utile va bene, ma se qualcuno in giro per il mondo continua a giocarci può essere utilizzata per tante altre cose... E comunque oggi in Italia si vive un grande paradosso perché con la legge 40 si è rischiato di coinvolgere in maniera importante la legge 194, secondo me loro hanno voluto inasprire la legge 40 proprio per paura di toccare la 194, in realtà invece si sono dati la zappa sui piedi perché si è andati a parlare proprio di 194... perché tu con la legge 40 mi dici che l’embrione è un essere umano, con i suoi diritti e tutte queste cose, poi la legge 194 ti dice che invece l’embrione non ha alcun diritto e che dipende dalla mamma, cioè, è un paradosso... lì mi dici che ha diritto e là invece non ne ha, che cappero di senso ha? ML: ma lei non pensa che derivi un po’ anche dalle tecnologie biomediche che hanno reso visibile questo benedetto embrione? 205 R: si, sicuramente... parentesi, io prima di venire a lavorare qua avevo un incarico al Cannizzaro e mi occupavo di 194, ma dopo un po' non ho resistito e me ne sono scappato... la legge 194 è stata, a mio modestissimo avviso, un fallimento, perché sai, alla ragazza può capitare un incidente, ma quando veniva la donna di 35 anni, quarta, quinta, sesto, settima, ottava, interruzione di gravidanza, allora lì c'è un grosso deficit nella legge, che dovrebbe essere una legge della maternità responsabile, ma che poi in realtà non è cosi, ci sono coppie che hanno scambiato l'interruzione di gravidanza per una pillola anticoncezionale... i metodi anticoncezionali ci sono... ML: ma non tutti possono contrattare i rapporti... R: si ma poi i problemi sono i suoi, è lì che la donna deve educare l'uomo, ma sono veramente poche... e comunque, per tornare alla legge vera e propria, anche la 194 è stata toccata, pensa che l'articolo sei, che permetteva l'interruzione di gravidanza per patologia fino a sei mesi, questo limite è stato abbassato a 22 settimane, perché si diceva che il bambino nasceva comunque morto, che non è vero, perché oggi ci sono tecniche di rianimazione natale che permettono anche la sopravvivenza di un feto di 23, 24 settimane, è molto raro, ma succede, e invece io oggi ti posso ammazzare quando tu potresti sopravvivere, e per me è un controsenso... e già quindi una botta alla 194 l'hanno data... certo i limiti si devono rivedere e soprattutto si devono educare le persone... per questo ti dico che viviamo dei paradossi, qui gli diamo un'identità all'embrione là la togliamo e lo strapazziamo... bisognerebbe veramente cambiare la testa di questi vaticanisti che hanno fatto la legge 40, perché veramente le limitazioni sono assurde, non posso fecondare più di tre ovociti, non posso congelare gli embrioni, allora è più giusto che io faccio fare alla donna più stimolazioni, quindi martirizzo e violento un corpo di una donna più volte, con i rischi che tutto questo comporta... ML: mi è sembrato di capire che le donne si sottopongono a questo “martirio” senza pensarci troppo alla fine, come se fosse il “prezzo” da pagare per avere un figlio... R: si, da una parte sono rassegnate però dall'altra sono motivate perché pur di avere un figlio smuoverebbero le montagne, però è anche vero che tu, donna, che oggi ti rivolgi alle tecniche, sai che questa è la realtà, quindi o così o niente, ma quando tu hai vissuto questa esperienza prima della legge capisci la differenza, proprio poco fa parlavo con una 206 coppia che aveva avuto una gravidanza 6 anni fa, avevamo prelevato 10 ovociti, fecondati otto, crioconservati e impiantati in due momenti diversi, alla fine hanno portato a una gravidanza, oggi invece non è più così, ti devi fare il secondo, terzo , ciclo di stimolazione... quindi è davvero fastidioso... ML: anche per un medico... R: si, perché devi stare lì, non a prendere in giro la coppia, però... devi dire che è la cosa più giusta, anche se non è vero, se no si creerebbero le folle in piazza a contestare, noi stiamo cercando di portare avanti i ricorsi ma sicuramente si deve sensibilizzare di più l'opinione pubblica, almeno per quanto riguarda la DGP e il limite di non poter congelare gli embrioni, poi per quanto riguarda il discorso etico intorno ai casi in cui ci si trova davanti a una sterilità completa, o davanti a una meno pausa precoce, ho sentito spesso parlare qualcuno che diceva “adotti una cellula”, ma allora perché non adotti un bambino che ce ne sono tanti? Ma anche lì entri in un meccanismo che è allucinante, perché adottarlo in Italia è praticamente impossibile, quindi molti vanno ad adottare direttamente all'estero, noi abbiamo le case famiglie piene di bambini adottabili ma restano lì perché i procedimenti sono lunghi e complicatissimi, e allora vedi che veramente viviamo nell'ipocrisia più completa, perché li dobbiamo tenere lì perché c'è un giro pauroso di soldi intorno e quindi non te li fanno portare perché se no come campano? Oppure per adottare all'estero che devi pagare delle vere e proprie tangenti... e questa cosa mi fa davvero irritare, che su una cosa così importante ci debbano essere queste speculazioni, ma purtroppo è sempre stato così, è una cosa che non cambierà mai... ML: e lei come vive il fatto che comunque i medici, all'interno di questo contesto, della difficoltà di mettere al mondo un figlio, sono visti e percepiti come delle divinità? R: guarda, io penso che essere un buon medico significa innanzitutto capire chi hai davanti e fare del proprio meglio... da quando lavoro qua, ho visto molte coppie che venivano da esperienze con altri centri, dove i medici molto spesso sono commerciati senza etica professionale, e dove le coppie erano viste solo come dei numeri da cui bisognava ottenere dei risultati e spillare il maggior numero di soldi possibili, qui devo dire che queste dimensioni sono eliminate completamente, qui c'è una grande etica e un rispetto totale della persona, non sono numeri ma 207 hanno una loro dignità, e loro lo dicono, poco tempo fa c'è stata una coppia di ragazzi troppo duci che avevano fatto un ciclo in un altro centro, era andato male e sono venuti qua, noi gli avevamo spiegato qual'era la situazione, loro per forza volevano andare fuori, sono andati, non sono riusciti e sono tornati qui, siamo entrati in confidenza, noi abbiamo fatto tutto quello che potevamo, siamo riusciti ad ottenere la gravidanza, e hanno detto una cosa bellissima, cioè che qui c'è un trattamento della persona davvero umano, che è il vero rapporto che deve instaurare il medico, perché puoi essere il megaprofessore di non so che, però quando si chiude la porta ci deve essere calore, le persone hanno bisogno di essere capite, ci deve essere quel contatto umano, perché se no sono pazienti trattati così... e questi ragazzi mi hanno detto che in Austria erano stati meno freddi dell'altro centro di Catania e qui invece è tutta un'altra cosa, si tratta di umanizzare i trattamenti, cosa che invece si è persa nella maggior parte dei casi, dove si alzano le barriere proprio per non essere intaccati dalle loro vite... 208 Dottor Guglielmino Ginecologo ML: mi racconta come nasce HERA? R: HERA nasce dall'unione e dalla volontà di pazienti e medici di dare vita a un centro che si potesse occupare di dare una risposta sanitaria pubblica a un servizio che di fatto veniva offerto solo nel privato. Per parecchi questa cosa qui, che c’era la partecipazione della gente, è sembrata... la parola giusta è che si è instaurato un meccanismo di fastidio nei confronti dell’associazione e del fatto che i pazienti avevano trovato un sistema per partecipare e quindi alla fine controllare quello che succedeva negli ospedali e nella clinica ostetrica, per cui gli operatoti della clinica ostetrica si sono sentiti proprio infastiditi, però non veniva facile dirlo: “siamo infastiditi da un’associazione di pazienti”, infatti è stato molto singolare il fatto che il direttore generale e il direttore sanitario nella delibera di chiusura della struttura, dell’attività del centro, avevano difficoltà a buttare fuori l’associazione di pazienti, “com’è possibile che in ospedale c’è un’associazione di pazienti che vengono buttati fuori da una direzione generale e da una direzione sanitaria di un ospedale pubblico?”, e lì secondo me c’era, in questa vicenda in cui ci fu sia la volontà dell’azienda ospedaliera che dell’università di chiudere l’attività, lì c’era tutta la pressione politica di chi contemporaneamente nella sanità fa il politico e il medico, con ruoli dirigenziali sia nell’ambito del politico, cioè deputati, membri di commissioni del parlamento, sia nell’ambito medico, specialmente nell’infertilità. Quindi il ruolo nella politica è servito tantissimo nella pressione nell’azienda ospedaliera e del personale tutto nominato da istituzioni politiche, e il ruolo nell’università è stato importantissimo perché faceva pressione sul rettore per bloccare questa cosa qua. Risultato: ci fu una delibera della direzione sanitaria che chiudeva l’attività in difficoltà e una delibera dell’università che chiudeva definitivamente l’attività del centro HERA nel Vittorio Emanuele. Per cui i pazienti che avevano svolto un ottimo ruolo nel sociale, per cui la struttura era molto conosciuta, la chiusura del centro è durata per tantissimo tempo per cui ci furono manifesta zio, venne occupata la clinica ostetrica, quindi la stampa sia locale che nazionale ne dovettero 209 parlare e resero quest’esperienza ancora più famosa, no? Il giudizio che ha dato l’infertilità italiana è stato un giudizio di pericolosità di quest’esperienza, perché un’attività che veniva fatta nella stragrande maggioranza dei casi nel privato, con una giustificazione della mancanza dell’attività nella struttura pubblica che la struttura sanitaria pubblica non è in grado per il tipo di situazioni che vive di poter realizzare un’attività così complessa e così impegnativa, quindi l’unica attività organizzata poteva essere trovata nel privato, e invece noi che eravamo la testimonianza che la struttura pubblica, con la partecipazione dei cittadini, quindi con il massimo della partecipazione democratica, poteva avere successo, è stata vista come una cosa pericolosa nell’equilibrio del privato italiano, per cui da una parte ci sono stati quelli a cui ha fatto comodo qua e poi il giudizio italiano che l’ha ritenuta pericolosa, anche perché in quegli anni c’era un governo di centro-sinistra, per cui potevamo dire: “minchia carusi, bella ‘sta cosa, perché non cerchiamo di trasportarla in altre realtà?”. E così fu... Alla fine abbiamo chiuso l’attività dopo anni di lotte, l’associazione HERA che aveva fatto un ottimo lavoro nel sociale ha fatto questa battaglia sempre più conosciute, le attrezzature che gestivano il servizio erano state comprate dai pazienti di HERA a proprie spese, per cui l’associazione HERA ha rivendicato la proprietà delle attrezzature, la prese, tutta, mandò un camion, lo caricò e se la portò via, poi cercò un posto dove poter continuare l’attività. Si andò allora in casa di cura Gretter dove tutti gli operatori dell’ospedale vennero a lavorare, tutti, tranne due timorosi che avevano rapporti particolari con l' establishment della clinica ostetrica, tutti poi abbandonarono l’università per venire dietro a questa cosa dove c’erano i pazienti, per cui loro sono stati veramente l’attrazione nei confronti degli operatori. Si cominciò a lavorare, cambiando la struttura ovviamente, perché rimase l’associazione dei pazienti, istituendo un’altra forma di organizzazione non lucrativa che gestiva i rapporti di lavoro degli operatori, e quindi avevamo una cooperativa che gestiva i lavoratori e l’associazione dei pazienti che in parte era padrona delle attrezzature che gestiva un sistema di controllo sulla qualità, il modo di gestire i rapporti tra medici e pazienti e via dicendo. E così fu e in parte è tutt’ora perché una volta che il primo impulso di un paziente era quello di avere un centro sanitario che desse un’assistenza nel mondo della riproduzione assistita e che desse garanzie di chiarezza, cioè un luogo dove si poteva discutere con gli operatori di quello che stava succedendo,dove uno si sentiva aiutato e compreso a diventare 210 genitore, per cui questa cosa qua fu realizzata e nel momento in cui questa cosa qua fu realizzata, se vuoi l’obbiettivo dell’associazione si poteva esaurire... però l’associazione ha continuato a trasformarsi nel tempo e quindi a maturare un processo cominciando a parlare non solamente più di centro di riproduzione assistita ma di genitorialità, infatti ha cominciato a fare iniziative sulla difesa della capacità riproduttiva della donna dopo il cancro, e ha sviluppato le tematiche legate al mantenimento della capacità riproduttiva attraverso il congelamento ovocita rio, noi siamo stati tra i primi centri in Italia a fare il congelamento ovocita rio, la capacità della coppia nonostante siano portatori di malattie genetiche, perché quando una coppia che ha malattie genetiche ha fatto due, tre aborti poi alla fine dicono “non ne vogliamo più sentire” e questi alla fine decidono di non avere più figli per paura di un nuovo aborto, quindi l’associazione ha allargato i suoi confini dal mondo dell’infertilità in senso stretto al mondo della genitorialità, quindi parlando anche alle coppie che i figli teoricamente li possono avere, come quelli che sono portatori di malattie genetiche ma che non sono infertili, sviluppando la diagnosi genetica preimpianto, noi siamo stati i primi in Italia a fare la diagnosi per la talassemia, o come le donne che hanno il cancro e quindi si devono fare la chemioterapia e perdono la loro capacità riproduttiva e quindi si congelavano le uova. Questi sono stati i forti capisaldi che hanno maturato, come poi abbiamo allargato all’adozione, il servizio di psicologia che prima era ancora più forte, ce n’erano tre, anche se gli psicologi sono persone abbastanza strane e poi non fanno mai un cazzo non so per quale motivo hanno questa tendenza... e quindi l’impostazione aperta a 360° della genitorialità... fino a quando poi non è arrivata la legge 40 che bloccò tutti i processi maturativi, cioè da una parte non ci ha dato più la possibilità di fare la diagnosi genetica preimpianto nel posto in cui se n’erano fatte di più in tutta Italia, stavamo allargando dalla talassemia alla fibrosi cistica, e quindi un’altra malattia genetica, e questa cosa qui fu bloccata sul nascere, si spinse di più sul congelamento ovocita rio non più finalizzato al mantenimento della capacità riproduttiva della donna che deve sottoporsi alla chemioterapia, ma per la crioconservazione degli ovociti soprannumerari della donna infertile, quindi si è subito ridisegnato in negativo quello che era un processo di sviluppo e di maturazione culturale che si stava sviluppando attraverso questa esperienza... proprio quella della diagnosi genetica preimpianto è stata una cosa che noi abbiamo considerato veramente assurda perché qui, essendo 211 endemica la malattia genetica, hai anche una grossa percentuale della popolazione che è portatrice della malattia genetica che è infertile, u capisti? Perciò, mentre il problema della donna che deve fare la chemioterapia te lo consente la legge, tu congeli l’ovocita e basta, quella parte della popolazione infertile che è anche portatrice di malattie genetiche non trova assistenza, perché la legge dice che se non sei infertile non puoi fare trattamenti, quindi l’80% dei portatori di malattie genetiche vengono esclusi, però il numero di pazienti che sono infertili e contemporaneamente portatori di malattie genetiche si mettono davanti al dilemma: “e ora chi fazzu?, cioè mi faccio la tecnica così risolvo l’infertilità e se poi il bambino mi viene talassemico chi fazzu, n’aborto?”, Hai capito? E infatti è successo che qualche coppia portatrice di malattie genetiche ha fatto la tecnica, ottengono la gravidanza e gli nasce u picciriddu malatu... U capisti? E chi fai’ ML: è un out/out... R: l’ho desiderato per anni, riesco ad averlo, ce l’ho e mi veni malatu, mu tegnu... che è l’obbiettivo del parrino, capisci? ML: in che senso? R: è l’obbiettivo del parrino che è riuscito a non farti fare né l’aborto né la diagnosi genetica... ML: ma secondo lei perché c’è tutta questa pressione? R: sono delle concezioni teologiche, il figlio è un dono divino, quindi se il bambino non viene vuol dire che ci sarà una ragione per cui Dio non ti vuole fare questo dono, e tu non hai nessun diritto di cercarlo attraverso tecniche, create dall’uomo... la vita è una cosa sacra e tu non hai nessun diritto di poterla trattare o manipolare perché è una cosa che può trattare, creare, distruggere soltanto Dio... quindi tu non puoi fare una diagnosi genetica che interviene nella selezione, può essere solo Dio che seleziona e che modifica un corso, e quindi da una parte il dono divino della vita, quando viene dato, dall’altro appunto la nascita e la prosecuzione della vita dal concepimento fino alla morte, nel suo alveo della sacralità, tu sei un essere, sei un uomo, non hai diritto di toccare ciò che non ti appartiene e che appartiene alla sacralità divina, che è quella di crearla e di distruggerla... 212 ML: ma, secondo lei, questo non potrebbe essere solo una faccia della medaglia? In fondo l’embrione è una scoperta proprio dalla biomedicina? R: si, ma quando la chiesa dice che il discorso sull’embrione e sul concepito non è un fatto trattabile, dice questo, cioè è un fatto, è un assioma, è un fatto di fede, la vita è un dono divino, punto e basta. Per cui si è deciso un momento in cui poteva cominciare la vita, si è scelta una parola che proprio è pazzesca, che è il “concepimento della vita”, e quann’è u concepimento da vita? Quannu chiddu ai quattru di pomeriggio telefona a chidda e ci rici: “chi fa stasira ni viremu?”. E chidda rici: “minchia che bello, stasira mi fazzu ‘n picciriddu”. U capisti? (ride). Pecciò s’appoi chiddu ‘ntappa ca machina, e non succeri nenti (ride), quello è un assassino... Bestiale!(ride). Che ne pensi? ML: potrebbe essere ma non mi convince del tutto... secondo me la biomedicina qualche responsabilità nel modo di percepire i corpi, fatti e potenziali, ce l’ha... R: secondo me... la sacralità della vita è una faccia della medaglia, ma qual è quella dell’altra parte? È la qualità della vita, giusto? Se noi tutte le cose che noi facciamo e di cui stiamo discutendo non le leggi più secondo la visione della sacralità della vita ma le leggi con le lenti della qualità della vita, cambia completamente tutto... ML: ecco vede che lo dice lei stesso... la qualità della vita è un concetto che viene dal paradigma biomedico... R: si ma che senso ha che fai nascere uno malato? Che senso ha per una coppia accollarsi la nascita di un bambino malato? Che senso ha per una coppia farsi la diagnosi genetica preimpianto, vedere che il figlio malato, essere obbligati a trasferirlo e a 11 settimane fare l’aborto? E vivere quest’esperienza dell’aborto consapevole? Cioè dal punto di vista della qualità della vita è tutta un’assurdità, dal punto di vista della concretezza c’è l’annullamento completo di quello che è il ruolo della donna da un punto di vista sociale... il fatto è che è un sistema intelligente per controllare in modo definitivo quella che è la donna, nella parte che riguarda la sua attività riproduttiva, perché tu cosa le dici, le dici “tu non conti più nulla”, tu hai gli stessi identici diritti del concepito e siccome il concepito non può prendere parola ci penso io, Stato, attraverso una legge, a garantirlo, però il presupposto qual è? Che voi siete due entità uguali... C’è un superamento concreto in questo di 213 quello che è stato il giudizio della Corte Costituzionale del 1975, che ha dato la possibilità dell’entrata in vigore della legge sull’aborto del 1978, in cui c’era una prevalenza nella decisione della donna nei confronti del nascituro, per cui tu potevi decidere di interrompere la gravidanza per un motivo che riguardava la tua persona e il tuo equilibrio psicofisico. Nella legge 40 c’è il superamento di questo e il tentativo di cambiare la 194, perché quando tu affermi ca su a stissa cosa tuttu rui, come fai tu a prevalere su quell’altro? Come fai tu a dire che quell’embrione può essere selezionato? Come fai tu a decidere una volta che è portatore di diritti questo essere congelato? E infatti, non si può toccare l’embrione, non si può congelare l’embrione, non si può fare ricerca sull’embrione, non si po fari chiu nenti... perché è diventato un essere come tutti gli altri... u capisti? Quindi la cosa è abbastanza chiara, semplice, elementare, e che tempi ca currunu, con l’ipocrisia che c’è, il fatto che la donna non conti più nulla, che ci sia un arretramento culturale dietro lo slogan “Dio, padre e famiglia”, insomma se ci saranno delle modifiche alla legge 40 saranno in senso opposto, dove il ruolo decisionale della donna sarà sempre più minoritario, sempre più subalterno, infatti è una legge “straordinaria” perché per la prima volta regola il rapporto tra il medico e il paziente, decide come dev’essere fatta una terapia, per legge, cioè “tu t’a pigghiari tri pinnuli”, “no, ma iu naiu bisognu cinqu”, “tri ti ‘nna pigghiari, tu ricu iu, pi leggi, si tu no fai...!”. Cioè non c’è più... mancano dei capisaldi... Il consenso informato, nella legge, la donna, nel momento in cui lo spermatozoo tocca l’ovocita non può più cambiare il consenso informato, quindi il procedimento sanitario avviene per legge... ML: che sarebbe anche un attimino anticostituzionale... R: certo... “ma iu no vogghiu chiui”, “no, u stissu tilla fari fari!”, c’è la polizia ginecologica... “pigghiati chidda dà!”...(ride)... u capisti? Cose assurde, proprio pazzesche... cioè se tu la vedi dal punto di vista del diritto la legge 40 è una mostruosità in cui vengono lesi il diritto alla saluto, il diritto all’autodeterminazione dell’individuo, il diritto della donna di scegliere la sua maternità in maniera responsabile... infatti la legge 40 è un manifesto teologico... ML: ma voi ve la aspettavate una legge così? R: si certo, hanno fatto un’operazione in grande stile, hanno fatto una cosa bella e intelligente... hanno pagato chi doveva essere pagato per 214 andare in televisione dicendo che voleva clonare gli uomini, se li portavano in televisione a dire che quello clonava tutti, tutti scandalizzati di questa cosa qua, quella cretina di Giovanna Melandri scriveva che bisognava uscire dal far west... cioè c’erano tutta un’impalcatura che hanno costruito, perciò alla fine è stato detto: “basta carusi cu ‘stu fattu, non sinni po’ chiui cu sta riproduzione assistita, chisti chi fanu na ‘sti laboratori... a na fari l’omo bionico, i mostri, vogliono fare la ricerca... picchì accuminciunu accusì, appoi... finu a quannu suì ddanni i cieccunu i picciriddi ppi farici l’esperimenti...”. E quindi... una sinistra completamente inesistente, quel cretino di Rutelli che gli ha votato la legge a favore... la sinistra ha balbettato davanti a tutto questo... e siamo qua... perché cosa dice la religione Cattolica che l'atto riproduttivo è strettamente connesso con l'atto sessuale, nonostante tutto quello che è successo negli anni passati le donne, il femminismo, la pillola, gli anticoncezionali e via dicendo, che hanno cercato di separare l'atto riproduttivo dall'atto sessuale – perché la pillola li separa e la chiesa è contro, perché questa separazione non l'accetta – in Italia ovviamente la Chiesa non ha mai accettato, e non lo accetterà mai, e lo fa pesare, il fatto che si possa attraverso la riproduzione assistita immaginare, minimamente, la possibilità che diventi un sistema riproduttivo alternativo, per alcune donne, quindi deve essere, infatti nelle legge 40 una coppia che viene ad un centro di fecondazione assistita deve avere il certificato medico che è malata e che non può avere figli e che non può avere - loro avevano pensato addirittura c'era questa legge in cui prevedeva che dovevano essere sposati che neanche le coppie di fatto potevano ricorrere, ma poi dopo questa cosa qua l'hanno accettata perché era proprio una cosa troppo becera, troppo vergognosa, però dietro questo fatto qui ci sta, infatti dietro l'eterologa vietata, dietro la diagnosi genetica preimpianto vietata, ma soprattutto vietata alle coppie fertili, quindi, ma dietro all'idea della certificazione dell'infertilità come presupposto fondamentale per poter accedere ad un centro di riproduzione assistita ci sta questo patto, solamente chi ha già sperimentato e non ci riesce ed è stato dichiarato da un certificato che ha un problema può accedere alla fecondazione assistita. Le tecniche messe in piedi dopo Luise Brown in Inghilterra nel '78, quindi la fecondazione in vitro cosa fa, qual'è la grandezza della fecondazione in vitro, cioè che ha ricreato in vitro quello che in natura 215 succede in un altro modo, dando la possibilità all'uomo di poter avere un contatto diretto con un processo che altrimenti avveniva in un processo tutto interno al corpo della donna, con tutti i pro, dalla ricerca sulle cellule embrionarie, dalla ricerca sulle cellule staminali, alla possibilità di fare diagnosi delle malattie genetiche, ora tu di colpo tu cosa fai? Parli non più di persone che hanno problemi d'infertilità, ma parli di persone che hanno problemi di carattere genetico che possono avere tutti i figli che vogliono ma che portano, attraverso le regole mendeliane della trasmissione genetica, che portano disordini nei figli, addirittura ci sono delle mutazioni genetiche per cui i genitori sono portatori sani, non hanno cioè la malattia, ma che poi possono avere i figli, e allora non c'è meglio di utilizzare le tecniche come la DGP per evitare che ti nascano dei figli malati anche se tu sei un portatore sano, sai consapevolmente che ti può venire un figlio malato e con queste tecniche lo eviti, ma queste coppie che sono? Sono coppie fertili quindi la DGP c'è un avvicinamento della coppia fertile, che accetta quindi di riprodursi in modo diverso, che è quella della fecondazione in vitro pur potendosi tranquillamente riprodurre in maniera tradizionale, ma fare in modo possa passare attraverso una diagnosi e possa essere selezionato geneticamente secondo la malattia. Quindi quelli, gli inglesi, ma tutti i paesi del mondo da questo punto di vista che non hanno questa pesantezza della chiesa e della cultura cattolica che tiene uniti questi due ambiti del riproduttivo con il rapporto sessuale, quelli che hanno maturato una separazione intelligente della riproduzione dal rapporto sessuale, accettano il rapporto sessuale per quello che è e la riproduzione per quella che è , e quindi anche tutte le possibilità che ci possono essere anche di cambiare il sistema riproduttivo. Nella stessa logica ci stanno anche tutte le persone che hanno altre problematiche, pensa al congelamento, embrionario o ovocitario, non è che è legato alla coppia infertile, è legato alla donna che scopre di avere un tumore, che si deve fare la radioterapia o la chemioterapia, vuole mantenere la sua fertilità, non ha legami non ha niente, e che fa? Si congela le uova... Quindi c'è attraverso la fecondazione in vitro la possibilità di poter rispondere a delle esigenze che normalmente non sono legate all'infertilità, e noi questa cosa la diciamo da più di dieci anni, infatti ore in tutto il mondo utilizzano il nostro protocollo e si basano sulle nostre pubblicazioni... E le persone erano entusiaste, e questa cosa che ti dice? Ti conferma che , aldilà di quello che dice la Chiesa quando poi una persona ha un problema reale, se ne frega completamente dei dettami delle gerarchie ecclesiastiche e segue quelli che sono i propri principi, 216 ecco prevale senza dubbio nella cultura della gente del 2008 l'idea della qualità della vita più che della idea sacralità della vita, che è prettamente cattolica, che è una discussione chiacchericcia e ipocrita, che può essere utilizzata solamente davanti per fare bella figura, ma quando poi si tratta di decidere veramente le cose personali questa sacralità della vita viene messa di lato e viene sostituita da un pensiero laico e sacrosanto che è quello della qualità della vita, per cui se tu devi decidere se devi fare nascere uno malato di beta talassemia o di fibrosi cistica te ne fotti completamente della sacralità della vita e quindi farlo nascere a tutti costi perché la vita è un dono divino, ma ci fai bella diagnosi genetica ed eviti che nasca un bambino malato, per evitare che soffra lui e che soffrano anche i genitori, per evitare appunto in nome della qualità della vita di tutti. Per noi medici c'è un problema di coscienza reale, essendo il mondo della riproduzione assistita ampiamente privato, il profitto poi alla fine può prevalere nella scelta, e siccome la riproduzione assistita quando poi viene fatta secondo tutte le regole e secondo tutti i crismi e con il massimo della potenzialità riesce ad avere delle percentuali di successo che è un minimo rispetto a quello dell'insuccesso, anche se fai una cosa perfetta t'accucchi un 42, 43% di probabilità e un 55% di insuccesso poi li a scendere hai percentuali sempre più basse una volta che la donna diventa più grande, una delle cose che noi facciamo tranquillamente è di dire alla donna che dopo una certa età abbiamo dei marker che ci studiamo e che verifichiamo durante la fase diagnostica prima di arrivare ai trattamenti, se i marks danno un dato diagnostico negativo per quanto riguarda il successo della tecnica noi glielo diciamo tranquillamente... la donna non è contenta, quando le si dice che non ha possibilità di andare avanti, primo per un motivo narcisistico, perché ci sta ricennu ca... è danni, secondo perché capisce che ha superato una fase della sua vita in modo irreversibile, o in modo cosciente o in modo incosciente in ogni caso, la reazione, come ti posso dire, è fortemente negativa, e tante volte mette in crisi il rapporto tra medico e paziente, perché sei tu che glielo dici e non c'è un modo bello per dirlo, perché quella è la realtà, nuda e cruda, cioè la perdita di una possibilità rispetto a una cosa che viene desiderata... lì lo sai cosa viene fuori?lì viene fuori fortissimamente la differenza tra quelli che sono gli elementi portanti e costituenti dell'essere umano, cioè la cultura e il gene, il gene fa il suo corso, ha i suoi tempi e detta le sue regole, la cultura dell'uomo si può modificare nel tempo come vuole, però alla fine non può intaccare 217 minimamente quelle che sono le regole dei geni e la verità genetica che è quella determinante, per cui una donna può anche pensare di poter fare dei figli a 37 38 anni culturalmente, perché è impegnata, perché ha fatto carriera, perché voleva diventare manager e tutte le cose,, però poi la natura non le consente più di fare figli, quindi lì si capisce come c'è una contraddizione fortissima tra queste due entità, cioè la donna dovrebbe evitare il problema dell'infertilità che è fortemente legato all'età, cioè tante donne a 40 anni che vengono qua non hanno niente, è sulu ca anu 40 anni... quindi loro cercano nella riproduzione assistita questa cosa qua e c'è stata qui in Italia una campagna bugiarda fatta da alcuni operatori che ha dato l'impressione che le donne potevano rimanere gravide a qualsiasi età, grazie alle biotecnologie... la mammanonna e tutte 'ste cose qua... e così alcuni hanno pensato :”allora quando vogliamo”... cioè in questo mondo di plastica, tutto meccanizzato, tutto organizzato, tutto appresso alla capacità economica che tu t'accatti zoccu voi c'era anche questa cosa qua, cioè a un certo punto tu, dopo il successo della carriera, dei soldi e via dicendo potevi tranquillamente decidere quando diventare madre a qualsiasi età... ma così non è... ti racconto una cosa: settimana scorsa è venuta qui una coppia di Verona, lei 44 anni lui 48. Lei aveva fatto un tentativo lì a Verona senza concludere niente, due o tre anni fa, a 44 anni la probabilità di ottenere una gravidanza per una donna è veramente rara, lui ricchissimo, dice: “se la probabilità che mia moglie rimane incinta è bassa però deve fare tutta la trafila io non voglio che faccia nulla”, lei non vuole fare l'ovodonazione perché rifiuta l'idea di fare sviluppare dentro di se un'entità che non le appartiene geneticamente, lui mi ha telefonato e mi ha detto: “io voglio andare in America, mi prendo una donna, gli metto il mio seme lei mi fa la gravidanza tranquillamente poi quando lei mi fa il bambino io me lo porto, l'importante che lui ha i miei gameti e i miei geni, mia moglie è tranquilla e non deve fare niente... iu m'uccattu... e per lui il problema era se in America si può fare o meno... neanche i ha chiesto quanto costa... u capisti? E si capisce che alla fine lo spirito con cui lo fai non è neanche uno spirito sano, perché io dicevo a lei che era nelle condizioni di fare l'ovodonazione, almeno si faceva la gravidanza, il parto e l'allattamento... chidda chi pinsau? “ah, mi fazzu sti tri cosi che modificano il mio corpo? Ma mi nni staiu futtennu, portamelo direttamente fatto”... questa visione plastificata viene tante volte confusa con i problemi reali della gente per cui... diventa un fatto folkloristico, come quando si dice che i siciliani sono tutti mafiosi... ma non è un fatto reale, perché poi il 99% della gente che fa fecondazione 218 assistita è gente che ha realmente bisogno, poi ci su 'sti sciamuniti... e poi se pensi a questi qua che hanno sfruttato la legge... Antinori, che era quello che durante la campagna referendaria se ne andava in giro per le televisioni a dire che lui clonava il mondo, si è fatto un centro a Mosca dove si pagano ventimila euro per fare un'ovodonazione, per cui per questi qua avere la legge è una manna... loro pigliano 100 donne in tre mesi, se le portano a Mosca e vedi quanto guadagnano... 219 Dottoressa Maglia Ginecologa ML: mi potrebbe parlare della sua esperienza al centro? R: allora, la mia esperienza al centro risale al 1995, infatti io sono una degli storici del centro... tutto nasce da un’idea che il Dott. Guglielmino ha sempre avuto, noi siamo stati colleghi di corso alla scuola di specializzazione e quindi sai, tra colleghi si parla, anche se lui spesso non c’era, sai, è sempre stato un tipo particolarmente sui generis, non c’era perché era spesso all’estero perché ha sempre avuto quest’idea di fare infertilità... e mi ricordo che alla fine della scuola di specializzazione, lui poi è stato per diversi anni in giro per l’Inghilterra e il Belgio, mi disse: “vedrai che quando torno io farò un centro di fecondazione assistita qui in ospedale”, e io gli dissi: “quando torni ricordati di me”. Punto. Ed era il 1990. Quindi quando lui è tornato abbiamo in effetti cominciato a fare quest’esperienza, io mi occupavo all’epoca di diagnosi prenatale, anche se già al momento della tesi mi ero interessata all’argomento perché avevo lavorato con una dottoressa che si cominciava ad occupare delle coppie infertili più però a livello di endocrinologia. Quindi abbiamo cominciato, Nino, un suo amico andrologo e io, e all’inizio eravamo tutti “giovani” (ride) medici volontari, ci siamo andati a ricavare questi spazi, quasi quasi rubandoli agli altri medici, alle altre attività dell’ospedale, anche perché Nino ai tempi aveva un rapporto particolare con il primario che, nessuno si è spiegato mai, come alla fine ci consentisse di fare questa cosa perché, alla fine, non eravamo nessuno, non eravamo strutturati, eravamo volontari... però probabilmente lui aveva questo piacere di avere nella sua clinica una cosa come questa, anche perché penso che all’epoca a Catania non ci fosse niente se non con Palumbo al Santo Bambino, e quindi ci diede il permesso e cominciò questa cosa... eravamo volontari appunto, infatti lavoravamo di pomeriggio quando le attività dell’ospedale erano finite e insomma... naturalmente sin dall’inizio ci fu un successo di utenza veramente clamoroso e all’inizio, essendo stata in città veramente una cosa nuova con centinaia e centinai di pazienti, noi facevamo di continuo riunioni, attività che coinvolgevano tutti i pazienti e si è creato sin da subito un rapporto quasi amichevole con i pazienti, 220 poi a un certo punto anche troppo secondo me, quasi fossimo tutti sullo stesso piano, c’era molta confidenza e anche molta fiducia nei nostri confronti... Poi io mi sono allontanata, poi cominciai, perché purtroppo la nostra carriera è molto lunga (ride), a lavorare alle guardie mediche, in casa di cura e quindi questo impegno che comunque era una cosa che impegnava veramente tanto, non retribuito e... insomma, uno comincia anche ad avere un riscontro economico crescendo e quindi mi sono allontanata però sempre tenendo una sorta di contatto con Nino, non ci siamo mai persi di vista insomma... nel frattempo poi ci fu tutta la vicenda del Vittorio Emanuele e poi, visto che comunque la mia passione all’interno della ginecologia e dell’ostetricia è rimasta questa insieme alla diagnosi prenatale, ed è un’attività che comunque non si può svolgere da soli nel proprio studio, si puoi vedere le coppie e fare alcune terapie, ma in ogni caso devi avere un posto dove appoggiarti anche per seguire gli aggiornamenti e quindi piano piano mi sono riavvicinata fino poi ad inserirmi completamente, questa è la mia storia... ML: come vive oggi il rapporto con i pazienti? R: guarda, indipendentemente dalla legge 40, penso che oggi il rapporto con i pazienti sia migliorato ma non so dire se questo dipende o meno dalla legge, credo che dipenda anche da una sempre maggiore consapevolezza del rapporto che si instaura con i pazienti, perché prima eravamo considerati, io penso, tipo un gruppo di ragazzacci (ride) che sì erano bravi, perché poi i risultati li abbiamo sempre avuti in termini di gravidanze anche perché il laboratorio funziona veramente bene, però erano un po’ così... cioè secondo me davamo quest’impressione, di un gruppo di ragazzi che organizzava le feste con i bambini, le cene sociali e tutte queste cose qua, cioè più un gruppo goliardico che un gruppo di professionisti. Questo all’inizio ha giocato a nostro favore, secondo la mia opinione, perché eravamo così simpatici e alla mano, per un certo periodo di transizione questo invece è stato un’ inconveniente, soprattutto quando si è cominciato a far pagare le tecniche perché all’inizio siccome noi eravamo volontari le spese che avevamo erano solo spese di laboratorio, cioè comprare le apparecchiature e il materiale di consumo, e ci siamo sempre autogestiti con questa sorta di donazioni che le coppie facevano all’associazione, quindi la cifra che pagavano queste coppie era davvero irrisoria rispetto al privato puro che c’era in giro a Catania, poco ma c’era, ma noi avevamo anche coppie 221 che erano state in giro per il mondo e che avevano speso veramente centinaia di milioni all’epoca... poi naturalmente non si può pensare di aumentare il personale, le segretarie, le infermieri e quant’altro, e mandare avanti un centro basandosi sulla forza di tre o quattro volontari quindi chiaramente da tutto questo si doveva pensare di far uscire uno stipendio per gli operatori... quindi quando poi cominciarono ad aumentare i prezzi delle tecniche c’è stato un momento molto brutto devo dire, che è durato fino a qualche anno fa, in cui il paziente siccome usciva dei soldi, era come se avesse la pretesa della riuscita. Per cui ci fu un lungo periodo in cui noi ci trovavamo, nel caso in cui la tecnica non fosse andata a buon fine, pazienti che venivano a chiederti come mai con quell’arroganza e con quel tono di sfida o di minaccia ti dicevano “io ho pagato, tu mi devi dare...” e questa cosa è stata davvero antipatica ed è durata per molto tempo, non so da cosa dipenda, probabilmente da questo atteggiamento ormai standardizzato che loro avevano, cioè noi eravamo un gruppo così, gli chiedevamo più soldi e come minimo avremmo dovuto garantire... poi Guglielmino con il suo carattere, perché magari io ho reagito distaccandomi, mentre prima ero quella sempre sorridente sempre così, anche all’inizio ero la dottoressa sorridente che metteva a proprio agio che ti tranquillizzava, insomma l’amica di tutti, poi siccome questa cosa mi ha infastidito ho reagito cambiando atteggiamento nei confronti dei pazienti e quindi forse tutta questa simpatia nei confronti dei pazienti non ce l’avevo più e forse non la trasmettevo più, lui forse ha reagito in maniera abbastanza violenta nei confronti di coppie che, probabilmente, se lo meritavano (ride)... e poi questa cosa man mano è cambiata, io mi ritrovo oggi, non improvvisamente certo, è stato un cambiamento graduale, a fare una parte che noi chiamiamo post tecnica, cioè quando la coppia fa la tecnica e non ottiene la gravidanza, noi facciamo dopo la mestruazione un’ecografia di controllo, non è utilissima da un punto di vista clinico, però ci serve per rincontrare la coppia, parlarne, e questa cosa era considerata da me personalmente di una noia mortale (ride) perché prima io pensavo che fosse uno scontro più che un incontro, dove la coppia mi veniva a chiedere conto, soddisfazione e ragione di quello che era successo... poi, siccome nonostante tutto continuo a mantenere, fa parte della mia indole credo, questa voglia di parlare con le persone, cercare di capire, di spiegare, non lo so, mi sono ritrovata tante volte nei panni... infatti io dico che fuori dalla porta dobbiamo scrivere consulenze psicologiche, non post tecniche, perché poi alla fine, parlando parlando, mi sono ritrovata ad avere sempre meno scontri, 222 sempre meno atteggiamenti aggressivi da parte dei pazienti, e diventa un momento professionale gratificante parlare con queste coppie che, devo dire, non hanno più questo atteggiamento di arroganza, almeno nei miei confronti... ML: alla luce della sua esperienza di medico cosa ne pensa della legge? R: secondo me bisogna distinguere la diagnosi genetica preimpianto dall’eterologa... la diagnosi genetica preimpianto è chiaro che è un problema non poterla fare... c’è stata comunque molta confusione all’inizio tra i pazienti, perché quando si disse appunto che non si poteva più fare, la gran parte diceva “ma allora non si può vedere se è malato?”, perché pensavano che si potesse fare una diagnosi genetica di tutto e quindi c’è stata un po’ di confusione e abbiamo faticato non poco per far capire che la diagnosi genetica in realtà riguardava in realtà solo alcune malattie genetiche conosciute e per le quali bisognava ricercare un determinato gene, le persone in realtà credevano che questa legge avesse tolto completamente la possibilità se l’embrione era “buono”, loro dicevano, oppure no... e quindi abbiamo impiegato diverso tempo a chiarire il tutto, perché c’è stato un momento di panico nelle coppie... è chiaro poi che la diagnosi genetica di reimpianto è una tecnica a cui ci si sottopone solo in presenza di un rischio concreto, cioè la coppia di portatori sani di beta talassemia che hanno il 25% di rischio di avere un bambino malato anche se fertili la fanno, e prima potevano farla proprio per evitare poi il trauma dell’aborto, ma la sindrome di down che non è ereditaria né genetica, in una coppia fertile, non ha senso, si fa direttamente la diagnosi prenatale se si vuole considerando anche che il rischio è estremamente basso, non certo il 25%... Per quanto riguarda la fecondazione eterologa devo dire che a me comunque non piace, continua a non piacermi, non mi piacciono le persone che si rivolgono all’estero anche se me lo vengono a chiedere, e io ho mandato tanta gente in centri esteri perché non mi sento di giudicare del tutto la donna di 28 anni in meno pausa precoce che decide di ricorrere all’ovodonazione, mi sento di criticare un po’ di più la quarantaseienne che va a fare l’ovodonazione dopo svariati tentativi, questo non mi piace, mi da fastidio, mi sembra un atto di egoismo veramente estremo perché alla fine si vivono la gravidanza però... poi considerare un patrimonio genetico di un figlio che non è completamente tuo e allora io ritengo che sia più valido il discorso dell’adozione... che purtroppo tante coppie nostre, ma dico tante, rifiutano, perché le coppie infertili 223 diventano egoiste... certe volte vedo queste donne che pur di vivere una gravidanza sono disposte ad andarsene all’estero, farsi prestare un ovocita da una perfetta sconosciuta, farlo fecondare con lo spermatozoo del marito... a me sembra una cosa assurda... ML: non le sembra che sia un po’ il pensiero imperante questo riduzionismo biologico... R: esatto, perché poi alla fine non è un figlio tuo se vogliamo parlare in termini tecnici... allora tanto vale, adottarlo, almeno per come la penso io, quello si che è un vero gesto d’amore, di altruismo... sicuramente molto più nobile dell’andarsi ad accanire... e questo vale anche per l’accanimento di certe donne che magari un’eterologa non la vanno a fare ma continuano a fare tentativi su tentativi a 44, 45, 46... abbiamo avuto veramente casi pietosi di persone che continuano ad insistere oltre ogni logica e che ogni mese si vanno a fare un prelievo ovocitario, un ciclo fisiologico e tutte queste cose con uno stress accumulato negli anni che non so... abbiamo avuto una coppia con una cartella tanta che forse ha finalmente deciso di smetterla e che ha iniziato nel 1997 e quindi dieci anni di tentativi, adesso lei ha un 48/49 anni... e io penso che la colpa sia anche nostra che non riusciamo a dire a queste coppie basta, non è possibile... e un altro aspetto psicologico che mi disturba parecchio sono queste donne, perché io la vedo in questo modo: queste sono coppie in cui l’uomo se ne frega completamente, viene qui per fare un favore alla moglie, per non sentirla parlare altrimenti rompe le scatole, l’accompagna e si sottopone a tutti questi esami e poi fa un sacco di storie, “io ho il lavoro, ho questo ho quello”, cioè poi si vede da questo che... se una coppia è decisa, è unita, ha questa voglia di fare questa cosa bisogna prendere gli appuntamenti, che sicuramente sono tanti, però se uno la vuole fare si organizza... ML: è una questione di priorità... R: si brava, esattamente... ma siccome quasi sempre l’uomo è quello che dice che deve lavorare, che perde il lavoro, che non si possono fare tutti questi viaggi e la donna è quella che dice mio marito deve lavorare non mi può accompagnare, e io esco di fuori quando sento queste cose... e quindi tutti questi sacrifici, dopo tutte queste cose vengono qua, la donna che tenta disperatamente, anche contro ogni logica, di fare questo figlio per dare una risposta a lui, molte volte per dare anche una risposta alla famiglia di lui, per dire almeno sono servita a qualche cosa, 224 a fargli fare un figlio a questo qua che si portano appresso e che quindi non si sentono realizzate come persone se non riescono a fare questa cosa qui... e a me ‘sta cosa mi da fastidio, forse perché io figli non ne ho fatti per scelta e ritengo di essere una persona perfettamente realizzata come coloro che ne hanno fatti, credo sia una scelta più che un obbligo... e purtroppo qui diventa più un obbligo, almeno a certi livelli... ML: è che non sempre si ha la possibilità di scegliere o di decidere sul proprio corpo... R: si però non è giusto accanirsi contro ogni logica, oltre ogni limite... ML: è che poi il limite con la tecnica si elimina... R: si è vero... perché tu alla fine dici non ci sono riuscita questa volta, ci riuscirò la prossima... ma, secondo me ci sono quelle coppie che poi a un certo punto si fermano, che sono le più equilibrate, e che poi paradossalmente sono quelle che poi ottengono la gravidanza, perché io ci credo profondamente a una componente psicologica in tutto questo, è fondamentale, perché alcune cose non sono spiegabili altrimenti perché non hanno giustificazioni da un punto di vista clinico... io racconto sempre la storia di una mia carissima amica che dopo tantissimi tentativi ha adottato una bambina, è stata fortunata perché era piccolissima, subito dopo ha fatto un’altra tecnica ed è rimasta gravida e si è trovata con due figli piccoli (ride)... ci credo ciecamente a questa cosa qua... quindi a me sinceramente la legge 40 vietando l’eterologa mi ha fatto anche un favore, però la gente se ne va all’estero... e io stessa, mi trovo un po’ a vivere questa contraddizione, ho mandato delle coppie in un centro, che poi è stato trovato dai pazienti stessi, e ho avuto tante gravidanze e quindi alla fine (ride)... loro sembrano contenti... certo io ho avuto una coppia, lei 45 anni, aveva già un figlio da una precedente relazione, stava con un ragazzo più giovane... questa qui pur di dare un figlio a questo suo compagno, e là entra la paura di perderlo e tutte queste cose qui, si è sottoposta prima a una serie di tentativi con noi poi è andata all’estero, questa è ipertesa e ha messo a repentaglio la vita... poi la gravidanza si è fermata perché proprio a causa dell’ipertensione ha avuto un problema durante la formazione della placenta, il bambino non è cresciuto più ed è morto da solo, e quindi io mi domandavo questa cosa... guarda un po’ la gente arriva a rischiare la vita, ora si è convinta, pur di tenersi un uomo, ad esempio? Perché lei mi diceva “ah, lui non ha figli”, e lui mi diceva “no, ma lei lo sa, 225 a me non interessa, io voglio stare con lei”... quindi esperienza di coppie... e dietro le apparenze si nasconde moltissimo, soprattutto dietro coppie che devono affrontare l’infertilità, e sono veramente pochissime quelle che si salvano, che riescono a mantenere un equilibrio e che, aldilà dell’infertilità hanno un rapporto e qualcosa che li lega... ML: e lei come vede l’apporto del suo lavoro all’interno di questa ricerca, perché alla fine queste coppie stanno cercando qualcosa, che sia un bimbo, che sia dare un senso alla loro esperienza di vita, e che comunque cercano l’apporto del medico per attribuire un significato... R: ma... sicuramente è una gratificazione grande... quando però non diventa dipendenza e non sconfina nella tua vita privata, questo penso che lo dicono tanti medici, però forse noi in maniera particolare... con certuni si crea un rapporto... io infatti dico che sono delle adozioni, soprattutto con ragazze giovani, quelle un po’ più fragili magari... loro vedono in me, in noi, una sorta di divinità certe volte... naturalmente, questo da un certo punto di vista è gratificante, dall’altro ti dà tante responsabilità anche se comunque i limiti della tecnica sono quelli, anche se quando s’instaura un rapporto intelligente, a parte la dipendenza psicologica della coppia, questo emerge come un dato di fatto che si deve capire... quando invece questo non viene capito diventa antipatico e diventa uno di quei rapporti che uno vorrebbe tagliare al più presto, quando cioè non si riesce a far comprendere e a trasmettere qual è l’effettivo limite della tecnica... io sono disponibile ad accompagnarti in tutto questo percorso ma tu devi capire che c’è un limite, che io non sono il padre eterno, che io faccio sicuramente tutto quello che posso e lo faccio nel migliore modo possibile... certe volte in effetti io mi sento molto carica di responsabilità e quando la tecnica va male è come se io mi mettessi nelle condizioni di dover dare una spiegazione, forse dipende anche dal mio carattere... effettivamente è così, non ci avevo mai riflettuto... 226 Gabriella Tomaselli Segreteria ML: mi racconti la tua esperienza al centro? R: io sono la segretaria del centro medico, conoscevo già l’associazione perché mia sorella e mio cognato sono stati tra i primi pazienti e fondatori, insieme al Dottor Guglielminio dell’associazione HERA. Quando ho avuto la proposta di lavoro dal Dottor Guglielminio sapevo quindi di non venire a lavorare in un qualsiasi centro medico, ma di venire a lavorare anche per un’associazione, di pazienti e medici, che è molto diverso, in cui il rapporto cambia proprio tra medico e paziente, c’è una compartecipazione... ML: in che senso ti sembra diverso? R: perché non si tratta solo di un centro medico in cui si viene soltanto per fare la visita, in qualche modo si resta in primo luogo legati e poi c’è l’associazione da portare avanti perché ci si muove per portare avanti la legge 40, ci si muove per i pazienti che sono costretti ad andare all’estero, insomma c’è interesse... anche il mio lavoro, non si tratta di mera meccanica, prendi appuntamenti, fai le cose confezionate e basta... e comunque a me piace il mio lavoro, forse perché l’ho scelto, mi sono buttata in quest’avventura... ML: hai notato cambiamenti nella vita del centro dopo l’entrata in vigore la legge? R: diciamo che la legge, ma più che altro le linee guida, hanno posto un limite alla diagnosi preimpianto e i pazienti che arrivano qui, che comunque desiderano un figlio e hanno problemi di infertilità, o hanno problemi di malattie genetiche, io per prima ho una malattia genetica perché sono celiaca, anche mia figlia lo è, e quindi in qualche modo la sento moltissimo la problematica... sicuramente non avrei fatto una diagnosi preimpianto per celiachia perché comunque è una cosa con cui si può convivere, ma se avessi avuto un problema di talassemia o un problema veramente importante che comunque ha un’incidenza rilevante sullo stile di vita, sicuramente avrei seguito la scelta di fare 227 una diagnosi preimpianto e... essendo sin da piccolina malata, da questo punto di vista, mi fa piacere sapere che c’è qualcuno che s’interessi dei problemi genetici... e potendomelo permettere sicuramente andrei all’estero... che poi vai all’estero a fare una cosa che in Italia non è permessa, ma poi tu ritorni in Italia, ti fai seguire qui da un centro italiano e tutto il resto... mi sembra un’ipocrisia incredibile... e una grande ipocrisia è che i centri esteri sono gestiti da medici italiani che sono i migliori in questo campo, doppia ipocrisia mi sembra... non comprendo il motivo per cui bisogna far spendere agli italiani tutti questi soldi per andare all’estero... e poi cosa fai? Non permettere a questi bambini nati da diagnosi di tornare e crescere in Italia? ML: ma secondo te, perché ? R: perché ci sono interessi economici fortissimi, perché ci sono i centri esteri gestiti da medici italiani che guadagnano il doppio e in Italia invece il costo della diagnosi è molto più contenuto, forse alla fine è davvero un problema economico... poi sappiamo anche che ci sono i problemi etici legati alla chiesa, che chiaramente pone questi vincoli dal punto di vista etico e morale, che è del tutto discutibile... perché alla fine permette molto di più... permette che si faccia la diagnosi a 5 mesi e si possa abortire, quando poi non si permette che prima ancora che diventi una vita non si possa fare la diagnosi... ML: ma è lo stato italiano che non te lo permette, non la chiesa... R: ma noi viviamo in uno stato dove la chiesa ha un peso fondamentale sul piano politico, sui personaggi politici... la chiesa è totalmente integrata in Italia, sicuramente in questo momento non c’è nessun quadro politico che permette di superare quest’ostacolo... ML: quindi tu non pensi che sia una cosa che proviene anche da una forma particolare che la nostra società ha acquisito? R: si... quello anche... è che forse la chiesa ha paura... e i politici poi secondo me si comportano in maniera ipocrita, perché non è perché seguono la chiesa, ma è perché con la chiesa hai un elettorato incredibile e di quello devi tener conto... il problema è che la chiesa ha paura, appunto, che si possa decidere sul corpo, quando invece per loro il principio è l’anima non il corpo, come se le due cose non possano andare di pari passo... cioè guarire il corpo perché questo possa agire anche sull’anima, come se le due cose fossero distaccate... e invece 228 possono andare benissimo di pari passo... ma è una cose che non va bene, ma sempre dal punto di vista politico-economico, io di questo ne sono convinta, se poi la mettiamo sulla morale ci prendiamo in giro, ma i veri problemi sono di natura politica ed economica... e secondo me la vera colpa che ha la chiesa e che non riesce a comprendere il progetto genitoriale, non ne tiene conto... ML: in che senso, nella procreazione medicalmente assistita o in generale? R: si, io questa cosa la penso da sempre... cioè quando ho deciso di avere dei figli ho pensato a un progetto genitoriale, non ho pensato ad avere un figlio perché fosse una cosa mia personale, io non vivo le mie figlie come qualcosa di mio, come un attaccamento corporeo, ma le vivo come un progetto... spero che crescano e che crescendo riescano ad apportare qualcosa alla società, certo mi hanno dato tantissimo dal punto di vista personale... ma non finisce lì, almeno per me, non ha senso... cioè avere un figlio significa portare avanti un progetto genitoriale, è una cosa più ampia,a tutti i livelli... ma è una cosa mia, io lo vedo anche nelle coppie che vengono qui vedono il figlio non solo come qualcosa che è legato a te e basta, secondo me il progetto di genitorialità si sta allargando, si sta sviluppando e sta maturando, però, per me progetto genitoriale significa anche adozione, significa tanto altro, non vuol dire soltanto un figlio biologico, che il figlio biologico sia importante non c’è dubbio, che è un’esperienza che tutti hanno diritto di provare non c’è dubbio... ML: quindi per te è un diritto avere dei figli? R: certamente, è un diritto... è un diritto perché poi hai dei doveri come genitore, perché c’è un progetto da portare avanti, è un diritto fino a quando lo desideri, poi diventa un dovere... ma poi sai, quello dipende da quanto tu hai costruito culturalmente il tuo progetto genitoriale, e non c'è un unico modo per realizzarlo, come non c'è un unico modo di essere genitori, abbiamo tanti modelli ed è giusto scelga quello più adatto, il discorso è che si dovrebbe essere liberi di scegliere... cioè bisognerebbe fornire un quadro ampio, perché i quadri si possono solo ridurre, perché ponendo troppi limiti alla base i limiti possono solo ridurre, non ampliare... ML: e delle coppie che incontri qua cosa ne pensi? 229 R: guarda, in un anno che lavoro qua, mi sono accorta che le coppie sono molto più preparate di quello che pensavo, cioè sanno benissimo cosa vogliono e cosa desiderano, hanno le loro idee, i loro modelli, e a volte riesci solo a smussare gli angoli, cioè se hanno la voglia di avere un figlio biologico è difficile fargli cambiare idea, poi solamente presentare altre prospettive ma se sono di una idea difficilmente... cioè devono essere culturalmente predisposte all'idea ad esempio dell'adozione, però le trovo comunque molto preparate, si sanno muovere, sanno le risposte, poi magari non sono tanto preparate ad accettarle, per questo è importante avere dentro il centro una figura come quella dello psicologo, o anche la stessa preparazione degli operatori, perché dobbiamo essere pronti ad accogliere le loro perplessità, paure, perché di sapere sanno, poi manca la parte dell'accettazione, che in alcuni è già avvenuta in altri deve ancora avvenire, e questo diciamo che i medici sono molto preparati da questo punto di vista, lo fanno tutti in maniera diversa, ognuno ha un approccio diverso, ed è giusto perché non possiamo essere tutti uniformi, cioè non esiste una versione univoca... poi io credo che ognuno debba rispondere per le proprie competenze, è giusto per una professionalità nei confronti dei pazienti, io anche difficilmente entro nelle storie dei pazienti, li ascolto ma non mi intrometto... 230 Dottoressa Tamburino Genetista ML: mi può raccontare la sua esperienza al centro... come è arrivata, di cosa si occupa... Io sono arrivata qui fondamentalmente per fare dei test genetici e ho cominciato a fare uno screening di tutti i pazienti del centro per una determinata malattia genetica che è la fibrosi cistica, un test genetico che prima non veniva fatto e quindi loro avevano quest'esigenza di capire come il gene della fibrosi cistica fosse correlato al problema dell'infertilità; insieme a questo il mio contratto di lavoro prevedeva anche che mi occupassi di DGP, e quindi mi occupavo contemporaneamente di fare i test genetici per la fibrosi cistica e anche di lavorare con la biologa che si occupava di DGP per i talassemici. Io sono arrivata qui nel 2003 e ho iniziato a lavorare per mettere a punto il protocollo per poter fare la DGP sui pazienti che erano portatori di fibrosi cistica, ci ho lavorato praticamente un anno, nel senso che ho iniziato a mettere appunto il test di screen, ho iniziato a mettere a punto il protocollo e nel frattempo facevo le diagnosi genetiche e facevo una ricerca per individuare la correlazione tra fibrosi cistica e infertilità maschile. Poi è arrivata la legge 40 e sembrava che non andasse in porto, soprattutto io, che nel frattempo stavo lavorando per mettere a punto la tecnica specifica per fare la DGP, e dicevo: “vabè l'hanno detto tante volte, figuriamoci non succederà niente, anche stavolta non arriveranno a togliere completamente tutte le possibilità ai pazienti e invece... è successo quello che è successo, la legge è entrata in vigore con una velocità incredibile per me, non me lo aspettavo per niente... la legge è entrata in vigore a marzo e qui al centro subito sono cominciate le lotte... io ho dovuto chiudere tutti i miei quaderni (ride), ho chiuso tutte le mie ricerche, pensavo solo temporaneamente e invece sono chiuse da marzo del 2004. I miei quaderni sono qui, alla biblioteca del centro, pensavo un giorno di poterli riaprire e invece non sono stati mai riaperti... Nonostante la delusione, soprattutto da parte mia, e l'incredulità, perché io proprio non ci volevo credere, abbiamo continuato soprattutto grazie a Guglielmino che ci ha molto spronato a lottare, ad andare contro questa legge, a iniziare le procedure per quello 231 che poi sarebbe stato il referendum. Lui ci ha molto spronato, sempre... e ci è servito tanto, perché veramente alcuni ci credevano, altri non ci volevano credere, è stato veramente un periodo di marasma e alla fine, ci abbiamo creduto tutti, siamo andati in piazza in strada, dappertutto, tutti impegnati per informare la gente, parlare con loro, per capire cosa ne pensavano, quali erano le loro idee, cercare di approfondire dei concetti che non erano poi così facili da capire, che magari la gente non conosceva, ed è stato veramente faticoso, il nostro raggio di azione è stata la città di Catania, non è che abbiamo potuto andare oltre, noi lavoravamo con la gente di qua e fino all'ultimo ci abbiamo sperato nel referendum... io mi ricordo che il giorno del referendum io non dormii tutta la notte, poi andai a votare subito e la mattina successiva mi sono svegliata prestissimo per vedere i sondaggi... tipo pazza (ride)... ma poi finì là... grande amarezza e rassegnazione... e abbiamo ricominciato a lavorare, anche se io non ho potuto lavorare... abbiamo chiuso il laboratorio della DGP e non ci è entrato più nessuno (ride)... è andato in disuso... io ho continuato nel mio rapporto di ricerca sulla fibrosi cistica che è stato molto entusiasmante perché man mano che andava avanti venivano fuori dei risultati molto interessanti e mi rendevo conto che era meglio così, che nella vita bisogna andare avanti e fregarsene dei politici, che la situazione ormai era questa e basta... anzi non sono stata licenziata (ride)... perché molti biologi hanno perso il posto di lavoro, soprattutto in Sardegna e a Milano... insomma io ho resistito, siamo andati avanti, ho messo appunto altri protocolli per fare altri test genetici per aumentare l'offerta diagnostica del centro e siamo qua... ML: in nome della tutela dell'embrione... Lei come la vede? Io sono una biologa, lo vedo dal punto di vista biologico (ride)... nel senso che conoscendo quali sono le fasi e le caratteristiche di sviluppo embrionario io dico che non si può parlare di vita... io rispetto chi ha un punto di vista prettamente cattolico, religioso, che considera già la prima cellula vita, io lo rispetto, lo posso comprendere ma per me non è così... per noi qui non è così, altrimenti non avrei lavorato con loro se non fossi stata d'accordo con certe idee, quindi l'embrione non può essere chiamato vita, sono cellule in un primo stadio che solo poi in una fase di differenziazione cellulare, di proliferazione, diventano vita dentro il corpo di una donna... ML: lei incontra anche i pazienti? 232 Si, io faccio le consulenze genetiche per quelle coppie che hanno richiesto specifici test genetici e quindi sono pazienti magari che ancora non sanno di essere portatori, sono molto aperti, disponibili perché capiscono che sono delle possibilità per ridurre il rischio di avere dei bambini affetti da fibrosi cistica o da anomalie del cariotipo, e loro sono molto disponibili e pronti a fare tutti i test necessari... mi ricordo invece la disperazione di quella coppia che aveva presentato ricorso al tribunale di Catania, ricorso che è poi stato rigettato, subito dopo la legge, perché erano portatori di beta talassemia ed erano obbligati al trasferimento degli embrioni che avevamo diagnosticato come malati... che poi anche adesso ci sono quelle coppie che non credono alle diagnosi genetiche prenatali, che non sono disponibili e che magari dopo aver scoperto di essere entrambi portatori di fibrosi cistica scelgono comunque di mettere al mondo dei figli... perché l'importante è essere coscienti, sapere quello a cui si può andare incontro... del rischio insomma, però poi le coppie decidono, noi non siamo qui per dire tu sei bravo o tu non sei bravo se fai determinate scelte, noi siamo qui per informare i pazienti del rischio ed eventualmente, se loro vogliono... e noi siamo qui a cercare tutte le alternative possibili, stiamo mettendo appunto nuovi protocolli per lavorare sugli ovociti ad esempio perché dobbiamo trovare altre vie perché ma non possiamo più lavorare sugli embrioni che diciamo era la metodologia considerata più attendibile, più affidabile dalla letteratura... bisogna andare per altre vie per forza e quindi ci sono gli scienziati che si stanno scervellando ma non c'è molto da fare perché le diagnosi pre-concezionali e hanno i loro limiti e non sono abbastanza affidabili per poter essere applicate senza una diagnosi generale... 233 Bibliografia AA.VV., Un'appropriazione indebita. 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