L`esperienza procreativa in Italia dopo la Legge 40/2004

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L`esperienza procreativa in Italia dopo la Legge 40/2004
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA
DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA
CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN
Teoria del Diritto e della Politica
CICLO XXV
TITOLO DELLA TESI
L’esperienza procreativa in Italia dopo la Legge 40/2004.
Uno studio antropologico fra bioetica e biopolitica.
TUTOR
DOTTORANDO
Chiar.ma Prof.ssa Carla Faralli
COORDINATORE
Chiar.mo Prof. Adriano Ballarini
ANNO 2012
Dott.ssa Maria Luisa Parisi
Indice
Introduzione
PARTE PRIMA
1. La “rivoluzione procreativa”: intersezioni fra campi di
sapere, meccanismi di disciplinamento e forme di
soggettività.
1.1 Una prospettiva biopolitica della procreazione.
1.2 Forme di competenza somatica al tempo dell’etopolitica:
fra bioetica e diritto.
1.3 La libertà procreativa
PARTE SECONDA
2. Scelte riproduttive: la famiglia al tempo dei cromosomi.
Il caso italiano.
2.1 La Diagnosi Genetica Preimpianto
2.2 La Fecondazione E(s)terologa
Conclusioni
Interviste
Bibliografia
Sitografia
2
Introduzione
Questa ricerca si propone il fine di indagare le forme
assunte dall’esperienza procreativa nella contemporaneità,
in relazione al forte legame che le vincola al più ampio
contesto biopolitico all’interno del quale esse si realizzano.
Attraverso un approccio multidisciplinare, capace di riunire
insieme i saperi della disciplina bioetica e la metodologia di
analisi antropologica delle prassi incorporate della realtà,
proveremo quindi a delineare i modi attraverso cui si
strutturano i processi procreativi alla luce del grande
sviluppo delle tecnologie biomediche ad essi dedicati.
Mediante l’uso di un metodo qualitativo di ricerca,
proveremo ad elaborare delle cartografie del presente
(Braidotti, 2008), per poter abbozzare una storia dei “futuri
possibili”: essi sono racchiusi nelle trasformazioni sociali e
politiche, prodotte dalle prassi incorporate, in un mondo
tecnologicamente mediato (Rose, 2007).
Lo studio si compone di due parti: la prima, prettamente
teorica; la seconda, di stampo empirico.
Cominceremo col prendere in esame i modi attraverso i
quali, nel corso degli ultimi cinquant’anni, si sia realizzata
una vera e propria “rivoluzione procreativa”: come cioè il
raggiungimento di nuove conoscenze e di nuovi saperi in
ambito medico abbia influito non solo sullo sviluppo di
nuove competenze tecniche ma, soprattutto, sul processo di
ridefinizione delle “forme del venire al mondo”. L’ingresso
delle tecnologie della riproduzione in un ambito che, sino
ad allora, era sempre ricaduto nel dominio dei “fatti di
natura” ha riconfigurato, in maniera sostanziale, in primo
luogo, l’epistemologia più profonda della prassi medica e,
cosa di non secondaria importanza, ha avuto un più ampio
impatto – costrittivo e costruttivo – sui soggetti che in tali
pratiche erano coinvolti e sulla realtà socio-politica
3
all’interno della quale tutti questi elementi sono implicati e
trovano la loro realizzazione. L’esperienza procreativa della
contemporaneità viene così a delinearsi come la risultante
dell’intersezione di tre aspetti diversi ma complementari: i
campi di sapere, le forme di soggettività e i tipi di
normatività. Proveremo quindi ad analizzare queste tre
dimensioni
proponendo
una
sorta
di
“genealogia”
dell’esperienza procreativa al tempo delle biotecnologie,
considerando qui l’ “esperienza” nell’accezione foucaultiana
del termine, come, cioè, la correlazione dei tre aspetti sopra
citati: soggettività, normatività e sapere (Foucault, 1984).
Cercheremo inoltre di comprendere come, quando, perché
ed in quale forma l’attività procreativa si sia costituita come
campo morale e come la vita intrauterina sia diventata, nel
corso degli ultimi anni, il luogo di riproduzione e di
esercizio del biopotere. Queste indagini ci permetteranno di
formulare delle più ampie teorizzazioni sulle forme di
autorità che esercitano il loro sapere/potere sulle prassi
procreative: da quando esse si sono andate costituendo
come «sostanza etica» (Foucault, 1984, p.31), vi si sono
concentrate tutta una serie di attenzioni non solo, come si
potrebbe ben pensare, da parte della classe medica, ma
anche da parte di discipline come la bioetica e il biodiritto,
volte rispettivamente all’analisi e alla normazione dei nuovi
interrogativi posti in essere dallo sviluppo delle tecnologie
della vita. Tali discipline hanno assunto, con pesi diversi, un
ruolo di primo piano nel presiedere e orientare la sfera
delle prassi etiche dei soggetti coinvolti nei processi
procreativi postmoderni, prassi che chiamano in causa
concetti come libertà, scelta ed autonomia. Ci avvarremo
dell’impianto teorico sviluppato dalla bioetica per indagare
l’intreccio delle questioni poste in essere dalle nuove forme
del venire al mondo e, più nello specifico, della legittimità
4
del riconoscimento del diritto, che viene a configurarsi
come prima facie: il diritto alla libertà procreativa, la sua
estensione, gli eventuali limiti da porre e i modi della sua
codificazione giuridica. Adottando e adattando le ultime
elaborazioni del filosofo francese Michel Foucault sulle
“pratiche di libertà” e sulle “tecnologie del sé” proporremo
una
diversa
“teleologia
dei
soggetti
etici”
della
contemporaneità; questi riferimenti teorici saranno le basi
su cui argomenteremo la tesi principale di questo lavoro: la
possibilità di pensare la libertà procreativa come un diritto
morale positivo. Concluderemo questa prima parte dello
studio con delle considerazioni in merito alla possibile
regolamentazione giuridica delle prassi procreative che,
pur rivestendo sempre più un carattere pubblico e
socialmente negoziato, possono essere ancora riconosciute
come azioni cariche di un significato simbolico per ciascun
individuo che decide di porle in essere.
Nella seconda parte del nostro lavoro cercheremo di
comprendere come si costituisce l’esperienza procreativa
nello specifico contesto italiano dopo l’entrata in vigore
della legge 40/2004, volta a disciplinare le tecniche di
procreazione medicalmente assistita. Daremo voce alle
narrazioni – raccolte presso il centro HERA di Catania, il più
grande del Sud Italia, per numero di pazienti e cicli
effettuatati – di coloro che vivono l’esperienza di convivere
con una malattia geneticamente trasmissibile e di coloro
che invece vivono la condizione di infertilità. Queste
persone sono coloro che hanno pagato di più – e non solo da
un punto di vista simbolico – i dettami restrittivi della legge
italiana che, de facto, proibiva una tecnica come la Diagnosi
Genetica Preimpianto (che permette di conoscere il corredo
cromosomico dell’embrione prima del suo trasferimento in
utero) e a tutt’oggi proibisce la fecondazione con donazione
5
di gameti. Racconteremo la loro esperienza di ricerca di un
figlio – le scelte, i dubbi, le difficoltà – ed il loro impegno
affinché, attraverso lo strumento giurisprudenziale, la legge
venisse cambiata; parleremo con loro del significato che ha
assunto la medicalizzazione dell’evento procreativo, cosa
abbia implicato e come si siano confrontati con le incertezze
– morali ed etiche – che l’ingresso delle tecniche in una
sfera così privata ha scatenato.
A nostro sentire, solo guardando da vicino le esperienze del
presente è possibile pensare a come orientare quelle del
futuro.
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PARTE PRIMA
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1. La “rivoluzione procreativa”: intersezioni fra campi
di sapere, meccanismi di disciplinamento e forme di
soggettività.
Le molteplici conoscenze acquisite nel campo della
biomedicina ed i risultati empirici ottenuti a livello
applicativo hanno di gran lunga ampliato, dalla seconda
metà del XX secolo in poi, le possibilità di intervento
medico sul corpo individuale e, cosa non meno
importante,
qualificazione
hanno
del
notevolmente
nostro
tempo
contribuito
come
alla
secolo
“biotecnologico”. Un tempo in cui le pratiche ed i saperi
medici si sono intrecciati, sempre più, agli studi di
biogenetica e neuroscienza, alle scoperte in campo
farmaceutico e all’utilizzo di nuovi strumenti di
monitoraggio e di indagine del corpo umano. Queste
nuove prassi, nel corso della loro continua evoluzione,
hanno non solo alimentato un forte dibattito all’interno
del più ampio corpo sociale in cui prendevano forma –
ponendo le basi per lo sviluppo, ad esempio, di una
disciplina come la bioetica, volta proprio all’analisi e
all’arbitrio dei nuovi interrogativi posti in essere dallo
sviluppo delle tecnologie della vita – ma, allo stesso
tempo, hanno contribuito a ridefinire l’antropologia più
profonda dell’essere umano.
Nello specifico, si vuole qui riflettere su come lo sviluppo
di nuove tecniche di procreazione e le scoperte di
ingegneria
genetica
e
biologia
molecolare
–
rappresentate nella cultura biomedica come progresso
della ricerca scientifica – abbiano avuto un impatto
costruttivo e costrittivo sul più ampio ordine politicoeconomico e sul piano culturale. Tali innovazioni
8
biotecnologiche hanno contribuito e contribuiscono, cioè,
alla messa in opera di una biopolitica1che, attraverso la
manipolazione dei corpi umani, ridefinisce le categorie di
“natura”, “soggetto”, “persona”, “sé”, e produce la
legittimazione istituzionale e morale di nuove idee di
“natura”, “famiglia”,
“vita”, “salute” e “malattia”
(Strathern,1992; Duden, 1991; Pizza, 2005).
In ottica antropologica le pratiche e i saperi delle
biotecnologie vanno quindi apprezzati nei termini di veri
e propri dispositivi di costruzione culturale della realtà,
attraverso cui non si va ad intervenire sulla “vita” umana,
come se questa fosse data in natura a prescindere dai
processi della sua qualificazione simbolica, ma la si pone
in essere, la si “produce”; si tratta cioè di mettere in luce
come le tecnologie siano socialmente informate e cosa
generino, attraverso un approccio capace di cogliere
come il biologico acquista forma culturale e viene ad
essere organizzato nei termini di una pratica sociale
(Brodwin, 2000; Franklin, 1995; Franklin e Lock, 2003).
Proprio per sottolineare, ancora una volta, la capacità
generativa – sia sul piano biologico sia su quello
simbolico-culturale – delle biotecnologie, per riferirci
alla grande trasformazione che esse hanno prodotto sulle
“forme del venire al mondo” (o del “non venire al
mondo”,
in
dell’espressione
certi
casi)
“rivoluzione
adotteremo
qui
procreativa”,
l’uso
il
cui
significato è da ricercarsi nell’etimologia latina del
termine procreo, generare. La preferiamo alla più diffusa
1
Cfr. Lock, Young, Cambrosio, 2000; Rabinow,2003. Il concetto di
“biopolitica” deriva dagli studi di Michel Foucault sulle modalita
attraverso le quali i poteri istituzionali agiscono sulla corporeita dei
soggetti e sulle loro forme di vita; avremo modo di approfondire
questi concetti nel corso della trattazione. Cfr. Foucault,1976;
Agamben, 1995.
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“rivoluzione riproduttiva” (Robertson, 1994) proprio
perché il termine “riproduzione” cela, a nostro sentire,
un’ambigua
neutralità,
non
tiene
in
dovuta
considerazione le differenze diacroniche e diatopiche
della procreazione e, soprattutto, crea un rimando quasi
immediato ad un contesto biologico/naturalistico. Il dato
biologico è, ovviamente, non eludibile dall’intero
processo riproduttivo, ma non deve comunque essere
scisso dall’azione e dalle pratiche umane che lo pongono
in essere: i “modi” della riproduzione chiamano in causa
sia i procedimenti tecnici ad essa sottesi sia i livelli
simbolici evocati. Come ben sottolineato da Jordanova,
sono proprio i livelli simbolici quelli a cui si dovrebbe
prestare maggiore attenzione, soprattutto nell’analisi dei
modelli
riproduttivi
delle
società
occidentali
contemporanee che, a partire dal XIX secolo, vengono
profondamente permeati dalla razionalità scientifica,
intrisi di biologismo ed orientati, come evoca il termine
stesso, ad una mera ri-produzione seriale del genere
umano (Jordanova, 1995). Ma la riproduzione umana
«non è mai ripetizione» (Held, 1993; trad.it. p.68).
Qualora le evidenti differenze – somatiche, ambientali,
psicologiche e culturali – esperite da ciascuno di noi non
fossero già una fonte autorevole per affermare l’indubbia
unicità di ogni essere umano, la scienza biologica, con il
sequenziamento del genoma umano, ha confermato
questo
dato:
ciascun
individuo
è
geneticamente
differente da qualsiasi altro2. Procedere attraverso
un’analisi simbolica dei processi riproduttivi significa
quindi,
da
una
parte,
evidenziarne
il
carattere
socialmente e culturalmente costruito e l’importanza da
Questa affermazione vale per tutti i viventi umani, fatto salvo per i
cosiddetti “gemelli omozigoti” i quali condividono il medesimo
patrimonio genetico ed epigenetico.
2
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essi rivestita all’interno di specifici contesti di norme e
valori; dall’altra, demistificare le relazioni di potere
all’interno delle quali essi sono inseriti e continuamente
negoziati, a partire dal nudo dato biologico che assegna
alle donne un ruolo così rilevante e centrale per la
sopravvivenza collettiva.
In particolar modo, proveremo qui a delineare i tratti
peculiari
di
questa
“rivoluzione
procreativa”
e,
soprattutto, sulla scorta delle analisi foucaultiane,
cercheremo di sviscerare le ragioni ed i meccanismi che
stanno alla base della problematizzazione morale della
procreazione e le pratiche a partire dalle quali queste
problematizzazioni si formano (Foucault, 1984).
Come, perché ed in quale forma l’attività riproduttiva
viene a configurarsi non più come un’attività meramente
ripetitiva, ma come un’attività procreativa/generativa?
Come, perché ed in quale forma è andata costituendosi
come campo morale? Perché questa problematizzazione?
Cosa c’è realmente in gioco?
Cercheremo quindi di indagare le modalità attraverso le
quali si è costituita, nelle società occidentali moderne e
contemporanee, un’esperienza per cui gli individui hanno
cominciato a percepirsi e a riconoscersi come liberi
soggetti riproduttivi: un’esperienza che coinvolge e pone
in essere forme di soggettività specifiche radicate in
«mondi morali locali» (Kleinman, 1995), che tocca campi
di conoscenza e tipi di sapere molto diversi e che si
articola in base ad un sistema di regole, norme e obblighi,
tanto morali quanto giuridici.
Questi tre aspetti che
vanno a costituire l’ontologia dell’esperienza procreativa
della modernità sono strettamente intrecciati l’uno
all’altro: essi possono – e devono – essere pensati ed
analizzati non solo nelle loro specificità storico-culturali
11
ma,
soprattutto,
come
un
insieme
di
reciprocamente connessi, strutturati e strutturanti.
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campi
1.1 Una prospettiva biopolitica della procreazione.
Il comune denominatore fra soggettività, normatività e
sapere è il luogo sul quale essi si iscrivono: il corpo del
vivente umano.
Sulla scorta delle analisi di Michelle Foucault, ci sentiamo
in
grado
di
sostenere
che
è
stato
proprio
il
rimodellamento epistemologico, ontologico e tecnico
della percezione del corpo la vera chiave di volta della
cosiddetta modernità.
Come oramai ben noto, il corpo è divenuto oggetto, dalla
seconda metà del XX secolo, di numerose trattazioni ed
attenzioni analitiche. A nostro sentire, una delle più
interessanti è quella elaborata proprio da Foucault, il
quale propone un classificazione binaria del biopotere, il
potere politico il cui compito era quello di «gestire la
vita» (Foucault, 1976; trad.it. p. 123) e, di conseguenza, i
corpi attraverso i quali essa veniva posta in essere.
Secondo il filosofo francese, è a partire dal XVII secolo
che viene a configurarsi il primo dei due poli del
biopotere: esso si focalizza su un’anatomo-politica del
corpo umano, volta a potenziarne la forza, l’utilità e il
docile inserimento in sistemi efficienti (come l’esercito o
le fabbriche, ad esempio).
È invece con lo stato amministrativo del XVIII secolo e
con la nascita delle scienze positive – dalla biologia alla
demografia – che, secondo Foucault, vengono a
costituirsi: i meccanismi di
gestione e controllo del
corpo riproduttivo individuale inscritto nella massa della
popolazione, i discorsi di verità prodotti dalla scienza
medica attraverso il nuovo sguardo esercitato sui corpi e
la produzione di un sapere scientifico organizzato
intorno alla sessualità. È questo il tempo della
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biopolitica: l’altro polo del biopotere – che ha originato
tecniche, tecnologie ed apparati propri – volto al
controllo degli individui, intesi non più come mere entità
biologiche
ma
come
“specie”,
attraverso
il
disciplinamento dei loro corpi e dei processi di
riproduzione della vita stessa (ibidem).
Come ben osservato da Rose: «Il biopotere è più una
prospettiva che un concetto: fa emergere da parte di
autorità differenti una molteplicità di tentativi più o
meno razionalizzati di intervento sulle caratteristiche
vitali dell’esistenza umana: cioè sugli esseri umani,
individualmente e collettivamente, come creature viventi
che sono nate, maturano, abitano un corpo addestrabile e
potenziabile, e poi si ammalano e muoiono» (Rose, 2007;
trad.it. pp. 86-87). Sulla scorta di questa riflessione ci
avvarremo della prospettiva biopolitica per indagare le
pratiche, i dispositivi ed i saperi, sviluppatisi in campi
diversi ma intrinsecamente connessi, che emergono
come
peculiari
dell’esperienza
procreativa
nella
modernità e che, a loro volta, hanno contribuito a
ridefinire ed ampliare la nozione contemporanea di
“politiche della vita”.
Riteniamo in primo luogo necessario fare una breve
premessa sulla grande rivoluzione socio-culturale che ha
investito le società occidentali a partire dalle prime
decadi del Novecento e che, secondo lo storico Eric
Hobsbawn, passa proprio attraverso la rimodulazione
del luogo della riproduzione per antonomasia: la
famiglia; questa subisce una importante trasformazione
a seguito dei profondi cambiamenti che investono «i
modelli pubblici che regolavano la condotta sessuale, il
rapporto di coppia e la procreazione» (Hobsbawn, 1994;
trad.it. p. 379). Assetti sino ad allora ritenuti portanti e
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immutabili – quali il matrimonio formalmente sancito, i
rapporti inter e intra generazionali e le relazioni di
genere – cominciano, a livello diacronico e diatopico in
Europa, a subire notevoli trasformazioni;
queste
trasformazioni sono, allo stesso tempo, matrice e
prodotto di una più ampia riconfigurazione che investe
svariati campi del sociale e che non può prescindere dal
tenere in considerazione le varianti di tipo economico e
culturale. Non è questa la sede per indagare a fondo le
questioni relative alla mobilità sociale nel secondo
dopoguerra, all’ingresso delle donne nel mondo del
lavoro, all’incremento della scolarizzazione e alla nascita
del movimento femminista; ci basta qui sottolineare
come tutti gli ormai noti fenomeni socio-economici
peculiari del Novecento siano strettamente intrecciati gli
uni agli altri e in grado di riverberare reciprocamente
significati e valori in trasformazione.
Uno degli ambiti che più riflette queste trasformazioni
valoriali è proprio quello della riproduzione il quale, per
un intreccio di motivi che ora andremo ad analizzare
nello specifico, si fa portatore di
antropologica
tanto
silenziosa
una rivoluzione
quanto
profonda.
Cercheremo quindi di rispondere alla prima domanda
che abbiamo posto all’inizio di questa trattazione: quali
sono stati gli elementi che hanno contribuito alla
ridefinizione sia del significante – dal momento che
preferiamo parlare di pro-creazione piuttosto che di riproduzione – sia del significato dei “modi del venire al
mondo”?
Una delle peculiarità più significative delle cosiddetta
rivoluzione procreativa è il progressivo slittamento della
linea di confine fra “caso” e “scelta”. Nell’ambito della
riproduzione, quando si fa riferimento al binomio
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oppositivo
caso/scelta
si
intende
sottolineare,
fondamentalmente, l’inversione di segno della valenza
dell’atto
generativo
che,
da
improcrastinabile
e
“naturale”, diventa oggetto di decisione e arbitrio da
parte dei soggetti coinvolti. Questo binomio che, a
seconda della disciplina all’interno della quale viene
analizzato può presentarsi con termini diversi, ha,
tuttavia, sempre lo stesso significato idealizzato: «il
dominio del caso comprende eventi, cioè stati o processi
che accadono. […] Il dominio della scelta comprende
azioni finalizzate, che non accadono semplicemente ma
vengono determinate. Nella realtà di cui facciamo
quotidianamente esperienza, la complessità si presenta
come un intreccio di elementi casuali e di elementi
oggetto di scelta: le nostre scelte inevitabilmente
modificano gli eventi naturali indipendenti ma anche
questi
possono
limitare,
vincolare,
influire
imprevedibilmente sulle nostre scelte. Non solo, il
termine “caso” non rimanda necessariamente ad una
realtà imprevedibile e capricciosa: esso può designare un
complesso di eventi che possiede un ordine interno, per
lo più finalistico, governato da leggi biologiche e fisiche»
(Galletti, 2010; p.6)3. Ovviamente, non è possibile
rintracciare nella storia contemporanea il momento
esatto in cui la linea di confine tra caso e scelta si è
dilatata perché, per quanto possano risultare evidenti e
ben analizzabili le circostanze concomitanti – quei
cambiamenti nell’ambito socio-economico a cui prima si
faceva accenno – le variabili correlate che accompagnano
la tendenza a ricercare il momento “giusto” per la
Della “natura” del binomio caso/scelta avremo modo di parlare più
avanti nel corso della trattazione.
3
16
procreazione, possono essere tante quanti sono gli esseri
umani.
Come hanno dimostrato molti studi qualitativi4, la piena
assunzione
di
volontà
e
discrezionalità
nell’atto
procreativo sembra ormai comunemente condivisa: anzi,
esso assume ancora più valore proprio perché va ad
inscriversi all’interno di una configurazione più ampia di
ruoli sociali, genere e forme di soggettività. Come ben
evidenziato da Solinas: «i modelli minimalisti che hanno
ormai
guadagnato
un’egemonia
incontestata
nell’Occidente industrializzato corrispondono ad un
regime di riproduzione e trasmissione della vita che ne
potenzia a dismisura il valore, la rende estremamente
durevole e distanzia fino al limite del possibile il
ricambio fra generazione e generazione. La vita dura
molto di più di prima, si concede a nuovi titolari con
grande parsimonia e assorbe quote di valore, di
investimento
riproduttivo,
sociale
ed
economico
incomparabilmente più alte di quelle che, nel passato, i
progenitori trasmettevano ai discendenti, e che in molta
parte finivano per disperdersi» (Solinas, 2010; pp. 219220).
Senza alcuna ombra di dubbio, un notevole contributo al
dilatarsi dei significati e delle pratiche implicati nel
binomio caso/scelta e alla ridefinizione in chiave
valoriale della “vita” – come concetto sostantivo e come
sostanza – viene proprio dal grande sviluppo conosciuto,
nel secondo Novecento, dalle biotecnologie mediche e
dai profondi mutamenti che esse hanno posto in essere.
Veniamo ora ad analizzare l’ambito forse più complesso
– quello costituito dai campi del sapere e, nello specifico,
del sapere medico – che ha ampiamente contribuito a
4
Cfr. Siebert, 1991; Ginatempo, 1993; D’Aloisio, 2007; Solinas, 2010.
17
ridefinire,
non
ci
sembra
un
azzardo
scriverlo,
l’antropologia più profonda dell’essere umano e le sue
forme di immanenza nel mondo. Al fine di proporre
un’analisi esaustiva del fenomeno, ci avvarremo del
pregevole lavoro di Nikolas Rose, il quale elabora una
cartografia,
articolata
e
pregnante,
della
nuova
fisionomia assunta dalle scienze biomediche in relazione
alle forme dalla biopolitica contemporanea. Secondo
l’autore, la rimodulazione della percezione della pratica
medica
e
politica
si
è
realizzata
attraverso
le
interconnessioni tra cambiamenti su diversi piani; nello
specifico, possono essere individuati cinque percorsi che
segnano le traiettorie delle modificazioni più profonde:
«la
molecolarizzazione,
l’ottimizzazione,
la
soggettivazione, la competenza somatica e le economie
della vitalità» (Rose, 2007; trad. it. pp. 9-10). Ciascuno di
questi temi meriterebbe una trattazione a parte ma, per
ovvi motivi, non potremo affrontarli tutti in questa sede.
Ci concentreremo qui sui primi tre, proprio perché più
funzionali allo sviluppo del nostro lavoro e poi, nel
paragrafo successivo ci occuperemo dell’aspetto della
competenza somatica.
Per cercare di comprendere appieno il processo di
ridefinizione di ciò che significa “essere umani” posto in
essere dalle biotecnologie, è necessario effettuare un
passaggio
preliminare
per
capire
come
esse
riconfigurino, in primo luogo, il significato di “esseri
biologici”.
Una caratteristica peculiare delle nuove tecnologie della
vita è quella di essere principalmente “tecnologie della
visione”(Haraway, 1997; trad. it. p. 245): le immagini
rimandate da telecamere, TAC, PET, ecografie e
microscopi
rappresentano le modalità attraverso le
18
quali una classe di specialisti (biologi, radiologi,
ecografisti, genetisti, medici della riproduzione,ecc…),
acquisisce una competenza somatica sul corpo (Rose,
2007) e ne conosce la realtà biologica rappresentandola
non più a livello “molare” – secondo la scala degli arti,
degli organi, dei tessuti, ecc… - ma a livello “molecolare”,
come un insieme di meccanismi vitali intellegibili
(Cartwright, 1995; Rose 2001, 2007). Il paradigma
visivo,
dopo
aver
soppiantato
quello
tattile
ed
esperienziale, ha rappresentato il modello privilegiato
della conoscenza scientifica in Occidente e, più in
generale, della pratica clinica fino al XIX secolo; dagli
anni Sessanta del Novecento la modalità di indagine
visuale della biomedicina si arricchisce di nuovi
strumenti e nuove tecniche, che permettono di pensare il
corpo individuale non più come un unicum indivisibile,
bensì come un insieme di elementi molecolari che, tutti
insieme, concorrono a formare il vivente umano. Ciò che
appare inoltre importante sottolineare è proprio il
regime di verità prodotto dalle tecnologie della visione,
che si basano su un’epistemologia in cui tanto maggiore e
profonda e la penetrazione dello sguardo tanto piu
veridica e reale e la sua conoscenza. Esse vanno a
conferire un nuovo status ai corpi e al concetto di “vita”
stesso. I corpi vengono reificati – possono essere
controllati, gestiti, progettati, riplasmati, modulati –
acquistano una propria fantomatica esistenza autonoma,
alienata nelle sue vesti somatiche dalle persone che sono
quei particolari corpi e dalle relazioni sociali in cui sono
inseriti; la vita stessa diventa un “fatto”, nell’accezione
latina del verbo facere: è il risultato di un’azione e di un
processo conoscitivo che la pone in essere.
19
L’universo della procreazione medicalmente assistita e
della genetica clinica ad essa connessa appare come
paradigmatico
delle
prospettive
tracciate
dalla
biopolitica contemporanea; esso emerge non solo in
quanto inedita forma e modalità di riproduzione, ma
anche come spazio privilegiato per la diffusione del
pensiero scientifico molecolare su di essa, con il suo
corredo di immaginario legato ai corpi, agli organi, alle
sostanze e ai “prodotti” dell’intero processo riproduttivo. Sono innumerevoli gli studi sulla valenza
simbolica e sull’estetica dei processi biologici della
riproduzione
oramai
disvelati
all’occhio
umano5;
riteniamo importante qui citare solo quello realizzato
dalla storica delle donne Barbara Duden che, ne Il corpo
della donna come luogo pubblico, indaga proprio i
meccanismi di costruzione culturale del feto umano,
attraverso il senso della vista, da Leonardo ai giorni
nostri. Non è nostra intenzione addentrarci qui nel
dibattito sulla natura del feto (cosa sia, cosa rappresenti,
cosa potrebbe essere, come dovrebbe essere pensato):
esso ci interessa solo come epitome e simbolo di un più
ampio processo di costruzione culturale del reale. In
questo saggio del 1991, quasi pioneristico per certi versi,
Duden elabora una vera e propria epistemologia storica
del feto come risultato della visione: «dal punto di vista
della storia della cultura, il nascituro fa parte della
categoria dell’ “occulto”, […] della società degli invisibili.
Ciò che lo contraddistingue dagli altri invisibili è il suo
essere sulla soglia dell’esistenza» (Duden, 1991; trad. it.
p. 19). Dalla fine dell’Ottocento in poi – con la nascita
della fotografia prima e poi con lo sviluppo dei raggi X,
degli ultrasuoni e con la loro applicazione in campo
5
Si vedano: Martin, 1991; Héritier, 1996; Duden, 2002; Gribaldo, 2005;
20
scientifico – la pelle, che sino ad allora aveva racchiuso
un volume “naturale” molare e segnato il limen fra
interno ed esterno della corporeità, viene oltrepassata
dallo sguardo clinico e disvela l’“invisibile”, il feto, che
acquista forma di contingenza: «grazie alla tecnica […] si
può contemplare l’emblema (della procreazione) con i
propri occhi e conferirgli lo status di realtà. La
percezione
della
donna
viene
oggettivata
biologicamente» (Duden, 1991; trad. it. p. 87).
Attraverso le nuove tecnologie della visione si pone cioè
in essere un discorso – nell’accezione foucaultiana del
termine – che, soppiantando la percezione somatica
individuale, allo stesso tempo, istruisce e costruisce il
visibile ed il reale: «le nuove tecnologie visive raffinano
sempre più quelle tecniche di rappresentazione del reale
che producono una quantità di immagini simulate
attraverso le quali si viene a conoscenza della realtà. […]
Questa tecnologia post-moderna, in cui l’immagine è
specchio del reale, mette in scena una retorica del corpo
naturale che oltrepassa la scienza e presiede ovunque
alla formazione di un immaginario simbolico e scientifico
sulla verità del nostro essere» (Gribaldo, 2005, p. 169170).
Le immagini di rimando dell’intero processo riproduttivo
ormai disvelato dalle tecniche di visualizzazione
dall’incontro tra ovociti e spermatozoi sul disco di Petri
sino ad arrivare alla prima ecografia del feto nel grembo
della donna – contribuiscono cioè alla ridefinizione
dell’essere
umano
nei
termini
di
una
forma
biologicamente specifica di esistenza materiale, quasi
ipostatizzata,
percepita
e
rappresentata
a
livello
molecolare. Ci preme inoltre sottolineare che, se in un
qualche modo, soprattutto all’inizio della loro diffusione,
21
le tecniche di procreazione medicalmente assistita sono
state accompagnate da una retorica che le voleva come
alleate degli esseri umani – e, nello specifico, del genere
femminile – nella lotta contro l’incedere inesorabile del
tempo biologico e nell’allontanamento del momento
della riproduzione – rinforzando, ancora una volta, la
dilatazione del limen tra caso e scelta – esse hanno, in
realtà, notevolmente contribuito a quel processo di
ridefinizione dell’essere umano proprio nei termini di
quel dato biologico che volevano eludere: attraverso una
percezione e una costruzione, individuale e sociale, di un
corpo molecolare che, nell’intreccio inestricabile che si è
venuto a creare tra biotecnologie ed esseri umani,
connota questi ultimi in termini «ancora più biologici»
(Rose, 2007; trad.it. p. 130). Le tecnologie vengono
quindi a configurarsi come: «assemblaggi ibridi di
conoscenze, strumenti, persone, sistemi di giudizio,
costruzioni e spazi, sorretti a livello programmatico da
certi presupposti e assunti riguardo agli esseri umani»
(cfr. Rose 1996, p.26); da esse non può essere scisso il
dato relazionale e, non meno importante, quello
simbolico. Le biotecnologie della procreazione si
connotano quindi come veri e propri dispositivi di
costruzione culturale della realtà dal momento che esse
generano specifici modi di esperire la riproduzione (per
tutti i soggetti coinvolti, siano essi medici o pazienti) e
peculiari forme di ritualità (basti pensare alla diversa
scansione del tempo e dello spazio nella frammentazione
dell’evento riproduttivo)6.
In particolar modo, esse emergono come il luogo di
intersezione dei due processi che Didier Fassin individua
Per una più approfondita epistemologia delle tecniche di procreazione
medicalmente si vedano: Franklin, 1997; Rapp, 1999; Strathern, 1992;
Gribaldo, 2005.
6
22
e riconosce come peculiari dell’età postmoderna: la
naturalizzazione della cultura e la culturalizzazione della
natura (Fassin, 2000). Ciò perché, da una parte la
medicalizzazione della riproduzione permette di “reinventare” il dato biologico, il legame biogenetico e la
riproduzione stessa, che non “avviene” ma si “fa” tramite
l’azione desiderante che, sostituendosi all’atto sessuale,
diviene scelta esplicita della coppia di ricorrere alle
pratiche mediche volte ad ottimizzare le funzioni
“produttive” del corpo; dall’altra, paradossalmente, la
come viene ancora molto
riproduzione “artificiale”
spesso definita
facilita il controllo su ciò che viene
considerato “naturale”, per dare vita a ciò che è ritenuto
più appropriato da una data cultura in un determinato
periodo. Questa riflessione ci permette quindi di
ritornare ad inscrivere la nostra analisi nel solco della
biopolitica contemporanea e, nello specifico, in uno dei
suoi aspetti peculiari a cui prima facevamo accenno,
definendo le biotecnologie come: «assemblaggi ibridi
orientati all’obiettivo dell’ottimizzazione […] (e che)
inevitabilmente, incarnano visioni controverse di ciò che
nella vita umana, individuale e/o collettiva, può in effetti
essere uno stato ottimale» (cfr. Rose, 2007; trad.it p. 9).
Anche nel caso dell’ottimizzazione, le tecnologie della
riproduzione possono fungere da esempio esplicativo e
fornire molti spunti utili per l’analisi che stiamo
portando avanti. Il paradigma epistemologico su cui si
fondano è proprio quello dell’ottimizzazione delle
funzioni
corporee:
per
“fare”
la
riproduzione
è
necessario fornire, all’occhio vigilie ed allenato della
classe medica, le migliori sostanze biologiche
leggasi
gameti che si e in grado di “produrre” dopo un’accurata
stimolazione farmacologica, affinché esse possano, a loro
23
volta,
“produrre”
un’ulteriore
sostanza,
stavolta
connotata “più biologicamente” dei gameti, l’embrione;
quest’ultimo, una volta superati dei “controlli di qualità”
sulle sue caratteristiche morfologiche ed estetiche
attraverso l’indagine osservazionale dei biologi, può
essere quindi introdotto all’interno di un corpo – che qui
torna ad essere un corpo connotato dal genere: un corpo
femminile – il quale, nel frattempo, è stato nuovamente
“preparato” farmacologicamente per accogliere al meglio
quello stadio di organizzazione cellulare – composto da
tessuti e cromosomi visibili solo in laboratorio – che, se
supererà ulteriori screening e test diagnostici nel corso
dei suoi diversi stadi di sviluppo, alla fine di una
gestazione di circa nove mesi, anch’essa continuamente
monitorata,
porterà
alla
nascita,
ovviamente
medicalizzata, di un bambino. Questi processi di
ottimizzazione degli stadi e dei prodotti corporei
peculiari delle biotecnologie riproduttive hanno spinto
Emily Martin a parlare di veri e propri “corpi fordisti”:
«In reproductive biology, bodies are organized around
principles of centralized control and factory-based
production. Men continuously produce wonderfully
astonishing quantities of highly valued sperm, women
produce eggs and babies (though neither efficiently) and,
when they are not doing this, either produce scrap
(menstruation) or undergo a complete breakdown of
central control (menopause). The models that confer
order are hierarchical pyramids with the brain firmly
located at the top and the other organs ranged below.
[…] These models of the body seem related in form and
function to early 20th-century Fordist mass production
systems» (cfr. Martin, 1992; pp.121-140). Il fine ultimo
delle tecniche di ottimizzazione corporea è quindi quello
24
di agire sui processi vitali per poter massimizzare il loro
funzionamento e potenziare gli esiti; ma la loro vera
peculiarità è rappresentata dall’asse temporale sul quale
si muovono: «tali tecnologie della vita cercano di
rimodellare il futuro vitale agendo sul presente vitale»
(Rose, 2007; trad.it. p. 26). Gli scenari possibili di questo
“futuro vitale” sono delineati, ancora una volta,
dall’incremento dei saperi acquisiti nel campo della
genetica clinica nel corso delle ultime tre decadi del
Novecento; tali saperi, come abbiamo già ricordato per
altri ambiti della biomedicina, hanno avuto un impatto
costruttivo e costrittivo sul più ampio contesto sociale,
culturale e politico all’interno del quale prendono forma.
I
geni,
i
nuovi
contemporanea,
protagonisti
come
suggerisce
della
biomedicina
Duden:
«hanno
soppiantato il destino, la provvidenza, perfino le
costellazioni. Sono le linee di quel programma mille e
mille volte ripetibile che noi, stando alle recenti
acquisizioni, dobbiamo essere» (Duden, 2002; trad. it. p.
14). Quello a cui stiamo assistendo oggi è, secondo
Nguyen (2005, trad.it. p. 76), un vero e proprio processo
di «biologizzazione della sorte»: ciò che può accadere al
vivente umano è sempre più legato alla biologia e alla
genetica; queste scienze, attraverso pratiche discorsive
predittive, definiscono gli individui in funzione della loro
costituzione genetica determinandone le azioni future.
Approfondiremo questo aspetto nella seconda parte del
nostro lavoro, quando avremo modo di parlare del
concetto di “rischio genetico” in relazione alle pratiche
riproduttive, rispetto alle quali cercheremo di analizzare
le modalità attraverso cui tale concetto pone in essere
specifiche «tecnologie del sé genetico» (Novas, 2003)
che, a loro volta, aprono le esperienze vitali dei soggetti
25
cosiddetti “a rischio” all’idioma della responsabilità e
della scelta etica.
In questo momento ciò che ci preme sottolineare
è
proprio il paradosso provocato dai diversi aspetti della
biopolitica contemporanea la quale, se da una parte pone
in essere meccanismi e forme di sapere che, attraverso
un processo di conoscenza molecolare, riducono il corpo
ad un mero biologismo rappresentativo e spogliano
l’esperienza vitale dei suoi processi di qualificazione
simbolica, dall’altra fa sì che il vivente umano configuri la
propria forma di essere nel modo, le proprie forme di
immanenza e le sue pratiche, come un «individuo
somatico» (Rose, 2007; trad. it. p. 10): un soggetto
profondamente legato al suo essere corporeo, alla sua
esperienza carnale, alla sua forma di incorporazione7,
che viene prodotta e continuamente negoziata all’interno
di specifiche modalità di costruzione e rappresentazione
della realtà (realtà mediata anche dai saperi e dalle
pratiche della biomedicina). In altre parole: gli esseri
umani percepiscono sempre più il proprio sé incorporato
attraverso i discorsi di verità prodotti dal campo
biomedico e, di conseguenza, agiscono su se stessi e nel
mondo anche in funzione delle nuove possibilità offerte
dalle biotecnologie. A questo livello, la vita stessa
diviene, al contempo, soggetto e oggetto di una vera e
propria «etica somatica, non nel senso di principî morali,
ma come valori per la gestione della vita» (ivi); la vita
intesa qui come esperienza biologica, somatica e
La nozione di incorporazione viene qui utilizzata nell’accezione
elaborata dalla disciplina antropologica (Csordas, 1990, 1999). Essa
rappresenta «la condizione esistenziale dell’uomo: stare al mondo
abitandolo con il proprio corpo e abituandosi ad esso. La nozione di
incorporazione definisce le modalità attraverso le quali gli esseri umani
vivono l’esperienza del corpo nel mondo e ne producono la
rappresentazione» (Pizza, 2005; p. 37).
7
26
incorporata
si apre cioè alla responsabilità, alla
prudenza, alla contestazione, alla disciplina e alla
sperimentazione. Questo terzo aspetto della biopolitica
contemporanea,
la
soggettivazione,
appare
particolarmente rilevante all’interno del contesto di
disamina delle biotecnologie riproduttive e della loro
problematizzazione morale che stiamo cercando di
portare avanti, proprio perché in esse espressioni quali
“responsabilità”, “scelta” e “possibilità” costituiscono un
tratto peculiare delle pratiche discorsive attraverso la
quale
vengono
pensate,
percepite
ed
esperite.
Torneremo ad occuparci di questo peculiare aspetto
nelle pagine a seguire proprio perché esso si caratterizza
come uno dei tratti fondamentali della nuova forma
assunta dalla politica della vita nel XXI secolo:
l’«etopolitica» (Rose, 1999). Con questo termine ci si
riferisce alla forma assunta dall’ «antropopoiesi»
contemporanea (Remotti, 1999; 2000) che – embricata
in specifiche relazioni di potere e campi di sapere –
contribuisce, da una parte, a ridefinire le tecniche di
costruzione del se da parte dei soggetti culturali e,
dall’altra, cerca di modellare le pratiche umane agendo
sui sentimenti, sulle credenze e sui valori
sull’etica
e cioe
per rendere il vivente umano “migliore”,
“responsabile” e “consapevole” nei confronti non solo
della propria esistenza somatica ma, anche, di quella
altrui a lui connessa da legami affettivo relazionali
(fratelli, sorelli, coniugi, figli, parenti).
Declinata a questo modo, l’etopolitica biologica della
contemporaneità si apre a nuove forme di controllo e
disciplina, a nuovi soggetti, a nuovi campi di sapere
proprio perché, come detto in precedenza, il significato
27
di “stato ottimale” dell’esistenza non è univoco ma, al
contrario, continuamente negoziato.
Sulla base delle considerazioni fatte sino ad adesso, ci
sentiamo in grado di sostenere
per rispondere alla
domanda che avevamo posto in apertura di questo
lavoro sul come, perche ed in quale forma l’attivita
riproduttiva e andata costituendosi come campo morale
che la problematizzazione morale della riproduzione
entra, con la biopolitica contemporanea, in una fase
estremamente complessa ed articolata. Storicamente, la
riproduzione è sempre stata al centro di una forte
negoziazione sociale volta a definire, a seconda del
contesto storico-culturale nel quale si realizzava, le
modalità e le forme che doveva assumere8 ma, con lo
sviluppo delle politiche della vita che abbiamo sinora
cercato di tratteggiare, essa subisce, a nostro sentire, uno
slittamento di significato di non poco valore: diventando
sempre più visibile, soggetta a particolari dinamiche di
controllo e aprendosi all’idioma della scelta e della
responsabilità, essa viene a configurarsi come un nodo
particolare di azione sociale in cui si proiettano non più –
o almeno, non solo – le ansie biologistiche di
perpetuazione della specie, ma tutta una serie di valori e
simboli sulla natura più profonda dell’essere umani. È
proprio questo interesse sul significato che assume
l’essere nel mondo al centro della posta in gioco: la
problematizzazione morale della procreazione al tempo
Gli studi sul potere riproduttivo e sul suo controllo sociale sono
davvero moltissimi, soprattutto in ambito antropologico. Questa
disciplina, più di ogni altra, si è interessata delle variabili culturali,
diacroniche e diatopiche, del “venire al mondo” e delle sue forme di
gestione sociale e simbolica: dalla proibizione dell’incesto alle strutture
della parentela passando per l’analisi delle credenze, dei valori e dei
rituali che accompagnano tutto il percorso riproduttivo e perinatale. Si
vedano, per una bibliografia minima: Lévi-Strauss, 1947; Mead, 1949;
Héritier, 1979, 1981, 1996; Forni, Pennaccini, Pusseti (a cura di), 2006.
8
28
della biopolitica non ha più come solo oggetto il come
della riproduzione, ma il cosa. Una volta diventata
tecnologizzata
e
meramente
biologica,
una
volta
allontanata dalla sfera del privato e del personale per
essere rivestita di un carattere pubblico e sociale, essa
viene pensata e percepita come una pratica in cui l’èthos
dell’esistenza umana è principio non solo fondamentale,
ma ordinante.
È su questa forma di umanesimo postmoderno fondato
sulle prassi che si concentrano tutta una serie di
dispositivi, normativi e di pensiero, volti ad orientare,
costruire e negoziare la procreazione, le sue forme di
realizzazione e il valore sostanziale di una nuova vita.
29
1.2 Forme
di
competenza
somatica
al
tempo
dell’etopolitica: fra bioetica e diritto.
Nel paragrafo precedente abbiamo cercato di indagare
come la rivoluzione procreativa, frutto di un intreccio tra
sapere
scientifico, forme di
soggettività e
tipi di
normatività, abbia contribuito alla messa in opera di
un’etopolitica biologico-somatica aperta alla disciplina e al
controllo. Da quando cioè il processo riproduttivo si è
andato costituendo come «sostanza etica» (Foucault, 1984,
p.31), su di esso si sono concentrate tutta una serie di
attenzioni analitiche e forme di autorità: non solo, come si
potrebbe ben pensare, da parte della classe medica
che
riveste un ruolo fondamentale nella gestione delle nuove
modalita del venire al mondo
discipline
come
la
bioetica
ma, anche da parte di
e
il
biodiritto,
volte
rispettivamente all’analisi e alla normazione dei nuovi
interrogativi posti in essere dallo sviluppo delle tecnologie
della vita. La «procreazione postmoderna», (Franklin,
1995b, p. 323)
spostando sempre più avanti il limen fra
caso e scelta, rivoluzionando i modi del concepimento e
ampliando le possibilità di intervento sui corpi già dai primi
stadi di organizzazione cellulare
ha prodotto una vera e
propria ridefinizione del significato de i «fatti di natura»
(ibidem, p. 338): « from a postmodern point of view, the loss
suffered in conflating natural and technological facts need
not mean the demise of the 30aturala s a symbolic domain
or the loss of its authority entirely. What postmodernism
describes is a loss of faith, a crisis of legitimacy, and a
collapse of foundational authority. It is a particular
construction of nature that is shifting, one that arguably
provided a certain degree of reassurance as a source of
30
absolute truth. In the confusion encountered within the law
around these contested natural facts is evident a loss of
faith in nature as a referent system» (ivi). Quando l’autorità
delle leggi di natura viene a cadere e quando lo stesso
universo del naturale viene ridefinito nelle sue forme
epistemiche più profonde, ecco che si presentano le
condizioni per una nuova negoziazione sociale sia del
significato de i “fatti di natura” che del loro governo. Il
vacŭum lasciato dal valore ordinante della natura deve
essere riempito
a livello simbolico ma, soprattutto,
pratico da nuove forme di autorita; e qui che: «il diritto
appare [come] l’unica cura sociale, con un’intensa richiesta
di norme, limiti, divieti. Perdute le regole della natura, la
società si rispecchia nel diritto e a esso chiede
rassicurazione, prima ancora che protezione. Sembra quasi
che l’umanità, vissuta fino a ieri al riparo delle leggi di
natura, scopra luoghi dove l’irrompere improvviso della
libertà si rivela insopportabile. Si rivelano così aree
dell’esistenza che dovrebbero comunque essere “normate”,
perché la libertà di scegliere, dove prima era solo caso o
destino, spaventa, appare come un pericolo o un
insostenibile peso. Se cadono le leggi della natura, l’orrore
del vuoto che esse lasciano dev’essere colmato dalle leggi
degli uomini» (Rodotà, 2009; p. 15). È a questo livello che la
«nuda vita» (Agamben, 1995), alienata dalle sue vesti
somatiche e simboliche incorporate, si apre all’eteronomia:
il discorso giuridico si incunea tra i meccanismi vitali per
orientare ed indirizzare le prassi della biopolitica
contemporanea. Lo sguardo del diritto è andato dilatandosi
sempre più nel corso del tempo e si trova, al giorno d’oggi,
al centro di una dialettica complessa che coinvolge: i
soggetti che del diritto rappresentano sia i titolari che
l’oggetto di interesse; i meccanismi di potere – frammentati,
31
contingenti ed eterogenei – che pongono in essere e
producono il discorso giuridico; l’universo simbolico che il
diritto evoca e rappresenta – cioè quell’insieme di valori,
principi
e
orientamenti
ritenuti
validi,
degni
di
considerazione e tutela– e, infine, le altre forme o istituzioni
di regolazione sociale presenti all’interno di una data
comunità. In questo divenire fluido e continuamente
negoziato della realtà, la dimensione giuridica, con il suo
apparato di norme contraddistinte da specifici caratteri –
quali, ad esempio, l’astrattezza e la generalità – non sempre
appare come il mezzo più atto alla regolamentazione delle
prassi incorporate oggetto delle politiche vitali della
contemporaneità. Avremo modo di approfondire questo
aspetto nelle pagine a seguire; quello che ci sembra qui
doveroso sottolineare è come, a questa inscrizione del
diritto nella “nuda vita”, corrisponda un medesimo
processo di inscrizione delle “forme di vita” nel diritto. Se,
da una parte, la dimensione giuridica ha avanzato delle
pretese di gestione, presa in carico e competenza
sull’esistenza biologico-somatica del vivente umano, allo
stesso tempo, quest’ultimo ha trovato, mediante la
dimensione giuridica, un nuovo strumento di affermazione
e presenza nel mondo: è attraverso il vocabolario del diritto
che, negli ultimi cinquant’anni, si sono declinate le
rivendicazioni collettive di tutela e garanzia del valore
vitale dell’esistenza umana9. Se i diritti civili concessi nel
Settecento – con la trasformazione dei sudditi in cittadini –
hanno portato al riconoscimento dei diritti politici
La fase storico-culturale in atto ha visto la nascita e la proliferazione, a
livello nazionale e sovranazionale, di moltissimi documenti, volti a
sancire e a tutelare i cosiddetti “diritti umani”. Su tutti, con specifico
riferimento al nostro ambito di indagine, ricordiamo qui la Convenzione
per la protezione dei diritti dell’uomo e la dignità dell’essere umano
riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina, più nota come
Convenzione di Oviedo, emanata nel 1987 dal Consiglio D’Europa.
9
32
nell’Ottocento e di quelli sociali nel Novecento, il XXI secolo
è testimone della nascita di quelli che Bobbio (1990)
definisce «diritti di quarta generazione», cioè quei diritti
vitali
rivendicati
dai
soggetti
della
biopolitica
contemporanea: i «cittadini biologici» (Rose, 2007), cioè
tutti quei soggetti – uomini, donne, famiglie, comunità o
popolazioni – a cui vengono riconosciuti ed attribuiti (o
negati, a seconda dei casi) i caratteri giuridici e sociali della
cittadinanza sulla base di credenze legate all’esistenza
biologica e al valore vitale degli esseri umani. Se finora
abbiamo preso in esame le forme individualizzanti della
biopolitica contemporanea e le sue modalità di inscrizione
sull’esperienza incorporata del vivente umano, non
dobbiamo dimenticare di sottolinearne anche l’aspetto
collettivizzante. In un tempo in cui la dimensione vitale
dell’esistenza umana è fortemente caratterizzata dalla sua
componente biologica, la condivisione di una medesima
condizione somatica o di uno status genetico rappresenta
un nucleo di aggregazione identitario; Paul Rabinow (1992)
definisce queste forme di collettivizzazione su base
biologico-somatica con il termine “biosocialità”: con esso ci
si riferisce all’emergere di relazioni sociali, movimenti,
associazioni e comunità organizzate intorno a una
condizione biologica condivisa (si pensi, per esempio, alle
centinaia di associazioni a carattere locale e/o nazionale
che riuniscono persone afflitte da una particolare malattia o
i loro congiunti). Queste nuove forme aggregative sono il
mezzo principale attraverso il quale si realizza una vera e
propria «biocittadinanza dei diritti»: la rivendicazione di un
particolare diritto – di cura, di accesso a particolari servizi,
di assistenza, di attuazione di certe politiche di sostegno –
passa attraverso la condivisione e le negoziazione sociale di
una
specifica
condizione
biologica.
33
Tale
condizione
biologica, di solito negativa e portatrice di sofferenza,
necessita di una diagnosi biomedica “ufficiale” volta a
definire e a orientare l’intervento terapeutico (di norma
assente o difficile da ottenere per motivi economici e/o
logistici); la competenza somatica sul corpo del vivente
umano, acquisita dalla disciplina biomedica nel corso degli
anni, viene ancora una volta evocata per sostanziare la
rivendicazione politica e il godimento di un particolare
diritto – di solito, il “diritto alla salute” – nei confronti dello
Stato. A questo punto della trattazione riteniamo necessario
fare una precisazione di tipo semantico-concettuale sull’uso
della nozione di “diritto”, per sottolineare la differenza che
sussiste tra la rivendicazione di un preciso diritto morale10
– come nel caso delle comunità biosociali di cui sopra – e la
sua reale tutela attraverso lo strumento del diritto positivo:
«rispetto ai diritti positivi i diritti morali o naturali sono
soltanto richieste motivate con argomenti storici e razionali
per il loro accoglimento in un sistema di diritto
efficacemente
protetto.
Dal
punto
di
vista
di
un
ordinamento giuridico i cosiddetti diritti morali non sono
propriamente diritti: sono soltanto esigenze da far valere
per essere eventualmente trasformate in diritti di un nuovo
ordinamento normativo caratterizzato da un diverso modo
di protezione dei medesimi» (Bobbio, 1990, p. 82).
Riflettere sul carattere bio-sociale delle rivendicazioni
collettive per la tutela giuridica di un particolare diritto
morale, ci permette inoltre di evidenziare l’aspetto storicoculturale della dimensione normativa e il profondo nesso
che la lega alle più ampie trasformazioni sociali: tutti i
diritti, come sottolinea Bobbio (1990), sono diritti storici,
L’espressione “diritto morale” viene qui utilizzata nell’accezione
formulata da Lecaldano (1999) che lo definisce come un « diritto prima
facie o contenuto che riteniamo di dover prescrivere universalmente»
(p. 40).
10
34
nascono in precise circostanze, «gradualmente, non tutti in
una volta e non una volta per sempre» (ibidem, p. XIII). Si
deve inoltre considerare la condizione per cui « le richieste
che si concretano nella domanda di un intervento pubblico
e di un apprestamento di servizi da parte dello stato
possono essere soddisfatte soltanto ad un certo grado di
sviluppo economico e tecnologico, e che rispetto alla stessa
teoria sono proprio certe trasformazioni sociali e certe
innovazioni tecniche che fanno sorgere nuove richieste
imprevedibili
e
impraticabili
prima
che
queste
trasformazioni e innovazioni fossero avvenute» (ibidem, p.
77). In virtù di queste considerazioni si può quindi
affermare che la «biocittadinanza dei diritti» assume
sfumature differenti a seconda: del contesto biopolitico
all’interno del quale prende forma, del rapporto tra Stato e
cittadino vigente nel contesto nazionale nel quale si
realizza, dell’avanzamento raggiunto in ambito tecnologico,
delle richieste avanzate e del tipo di diritto rivendicato. Per
portare un esempio concreto delle modalità di inscrizione
delle forme di vita nella dimensione giuridica, nella seconda
parte di questo lavoro, ci soffermeremo sullo specifico caso
italiano in relazione alle forme di attivismo su base
biosociale che hanno portato alla rinegoziazione di alcuni
aspetti fondamentali della legge 40/200411, volta a
regolamentare l’accesso e la fruizione delle tecniche di
procreazione medicalmente assistita.
Queste nuove forme di attivismo sociale fondate sul dato
biologico hanno avuto, nel corso degli anni, l’importante
merito di aprire ed ampliare il dibattito pubblico sulle
esperienze corporee e sulle loro implicazioni etiche. È in
questo intreccio tra biologia, potere, diritto, tecnologie di
Legge 19 febbraio 2004, n. 40, “Norme in materia di procreazione
medicalmente assistita”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.45 del 24
febbraio 2004.
11
35
gestione della vita, pretese e responsabilità che si pongono
le basi per la nascita e lo sviluppo di una disciplina
dall’importante ruolo sociopolitico come la bioetica, volta a
negoziare pratiche, discorsi e competenze inerenti al
rapporto tra forme di vita emergenti, saperi della
biomedicina e tipi di normazione. Dagli anni Settanta del
Novecento – da quando cioè lo sviluppo delle biotecnologie
ha ridefinito i modi del nascere, dello stare al mondo e del
morire – la
bioetica si è anzitutto connotata come un
terreno interstiziale e un luogo di incontro fra morale,
biomedicina e prassi soggettive; a seconda del ruolo che le è
stato assegnato – controllo, arbitrio, legittimazione – il
focus delle sue pratiche discorsive è andato continuamente
rimodulandosi entrando spesso in conflitto con le altre
discipline – biomedicina e diritto soprattutto (cfr.
Borsellino, 2009, p. 46) – che avanzano pretese di gestione
del vivente umano e presa in carico delle
pratiche
incorporate. Non è certo questa la sede per indagare
criticamente le diverse e molteplici forme assunte, nel corso
del tempo, dal dibattito – interno ed esterno alla disciplina –
inerente le tematiche che, sotto l’egida della bioetica, sono
state investigate né, tantomeno, tutte le diverse correnti di
pensiero che al suo interno possono essere identificate (su
tutte, e con particolare riferimento al contesto italiano,
ricordiamo
la
differenziazione
binario-oppositiva
tra
“bioetica laica” e “bioetica cattolica” che si fonda su assunti
epistemologici opposti); quello che ci preme sottolineare
all’interno del contesto di disamina delle biotecnologie
procreative è il ruolo che tale disciplina, congiuntamente al
diritto, ha assunto nel presiedere la sfera delle scelte morali
ed etiche dei soggetti coinvolti nei processi procreativi
postmoderni. Nelle pagine a seguire ci avvarremo
dell’impianto teorico sviluppato dalla bioetica per indagare
36
l’intreccio delle questioni poste in essere dalle nuove forme
del venire al mondo e, nello specifico, nella legittimità del
riconoscimento del diritto, prima facie, che viene a
configurarsi: il diritto alla libertà procreativa. La sua
estensione, gli eventuali limiti da porre e i modi della sua
codificazione giuridica.
37
1.3 La libertà procreativa: una libertà positiva?
Come detto in apertura di questo lavoro, le tecnologie
procreative hanno contribuito a ridefinire il significato ed il
valore simbolico di molte categorie concettuali – “natura”,
“sé”, “persona” - sollevando nuovi interrogativi di natura
etica sia in coloro che ne sono direttamente coinvolti –
clinici e pazienti – sia nel più ampio contesto sociale.
L’immissione della possibilità di scelta da parte degli
individui in ciò che prima era affidato al solo dominio della
“natura” ha fatto sì che, intorno al tema della procreazione
postmoderna, si sia sviluppato un vivace dibattitto sulla
legittimità del riconoscimento di un particolare diritto: il
diritto alla libertà procreativa, la libertà di cui ciascun
individuo dovrebbe godere nel decidere i tempi ed i modi
della procreazione. La forte enfasi posta su tale concetto
pone le basi per l’analisi critica di due ulteriori interrogativi
che essa pone in essere: che cosa intendiamo per libertà
procreativa o, per meglio dire, che tipo di libertà è? Quali
sono i suoli limiti?
Paradossalmente, il dibattito bioetico, filosofico e giuridico
degli ultimi cinquant’anni si è focalizzato principalmente
sul secondo tipo di istanza – utilizzando come limen il
principio del danno elaborato da Mill (1999) – e non
prestando la medesima attenzione alla definizione del
concetto stesso di libertà procreativa, agli assunti che vi
soggiacciono e alla sua problematizzazione; a nostro
sentire, soltanto elaborando una nuova e più profonda
analisi critica di tale concetto sarà possibile riflettere sulla
sua estensione, sui suoi limiti e sulla sua eventuale
codificazione nell’ambito del diritto positivo.
Come avremo modo di vedere, gran parte degli autori che
hanno proposto delle teorizzazioni in merito – Harris
38
(2007),
Robertson
(1994)
–
pongono
l’accento
sull’importanza di definire la libertà procreativa come una
libertà negativa, ove ciò che è in gioco, ossia la volontà e la
capacità di generare una prole, deve essere ricondotta
all’ambito delle scelte responsabili di uomini e donne e
quindi sottratta all’intervento pubblico o al potere
coercitivo dello stato; questa concezione affonda le sue
radici nella tradizione filosofica liberale normativa – con i
suoi assunti in merito alla definizione di individuo e al suo
rapporto con il più ampio contesto sociopolitico di
appartenenza – e che, ovviamente, non ci sentiamo di
rigettare in toto. Nelle pagine a seguire cercheremo tuttavia
di superare questa definizione in negativo e proveremo,
ancora una volta sulla scorta degli ultimi lavori di Michel
Foucault, ad elaborare un’accezione positiva del concetto di
libertà procreativa, declinandola come una facoltà di cui
ciascun individuo gode all’interno del suo processo
autopoietico, un processo culturalmente orientato da
specifici principi e valori etici socialmente negoziati;
cercheremo di mettere in luce, avvalendoci della concezione
foucaultiana dell’«etica come pratica del sé» (cfr. Foucault,
1984, pp. 15-18), le modalità attraverso le quali ciascuna
soggettività etica emerge in quelle che vengono a
configurarsi come vere e proprie «pratiche di libertà» (ivi) a
cui sono sottesi specifici principi o codici morali (cfr. Mills,
2011). Proveremo quindi ad adottare la concezione
foucaultiana di cui sopra e, allo stesso tempo, ad adattarla
ad uno degli argomenti principe della discussione bioetica,
l’autonomia – riproduttiva, in questo caso – integrando ad
esse il contributo che la disciplina antropologica offre in
merito all’analisi critica delle pratiche incorporate. A nostro
sentire, la procreazione umana postmoderna deve essere
indagata come una prassi relazionale in cui l’aspetto
39
individuale – la filiazione come scelta improntata all’etica
somatica della responsabilità – si inscrive nella più ampia
dimensione sociale e viceversa; a questo livello la libertà
procreativa viene a configurarsi come una libertà positiva e
negativa allo stesso tempo, proprio perché essa produce dei
“soggetti etici” radicati in mondi morali locali.
La questione che si pone, in primo luogo, è quella di cercare
di comprendere come – e se - la libertà procreativa possa
essere collocata «nello spazio della libertà morale di
ciascuna persona» (Lecaldano, 1999, p. 31). È possibile
rintracciare le radici di questo concetto nelle riflessioni che
Mill elaborò nell’Ottocento sull’estensione e sui limiti della
libertà individuale: esse rappresentano l’origine di tutta la
tradizione liberale e i prodromi di tutte le discussioni
contemporanee
sulla
procreazione
al
tempo
delle
biotecnologie. Ecco cosa scrive, a proposito del concetto di
libertà individuale, il padre dell’utilitarismo: «Ecco qual è,
dunque, la regione propria della libertà umana. Essa
comprende prima di tutto gli intimi domini della coscienza;
esige libertà di coscienza nel senso più ampio del termine;
libertà di pensare e di sentire; assoluta libertà di opinioni e
sentimenti in qualsiasi campo, pratico o speculativo,
scientifico, morale o teologico. […] In secondo luogo, il
nostro principio esige libertà di gusti e di occupazioni;
libertà di disegnare il piano della nostra vita nel modo più
consono al carattere di ognuno; di agire come meglio ci
aggrada, affrontando tutte le conseguenze che possono
derivarne, senza essere intralciati dai nostri simili finché
quel che facciamo non arreca loro alcun danno, e anche se
dovessero pensare che il nostro comportamento è sciocco,
depravato o moralmente scorretto. […] Nessuna società
sarà mai libera, quale che sia la forma del suo governo, se
non rispetta complessivamente queste libertà; e nessuna
40
società è libera completamente, se tali libertà non sono
assolute e senza riserve. L’unica libertà che merita questo
nome è quella di perseguire a modo nostro il nostro bene,
sempre che non cerchiamo di privare gli altri del loro, o di
intralciare i loro sforzi per raggiungerlo. Ognuno di noi è a
giusto titolo il guardiano della propria salute, sia fisica sia
mentale e spirituale» (Mill, 1999, pp. 78-80).
Come detto, la formulazione di Mill sull’estensione ed i
limiti della libertà individuale è alla base di quelle
concezioni etiche – al cui interno sono individuabili più
correnti fondate su strategie argomentative differenti - che
affrontano
gli
interrogativi
posti
in
essere
dalle
biotecnologie riproduttive rintracciando nell’autonomia
individuale la ragione della libertà procreativa (cfr.
Lecaldano, 1999, p. 171). È questo il caso, ad esempio, di
uno dei più recenti studi di John Harris (2007), in cui si
riconosce la libertà procreativa come un diritto morale
fondamentale che, come tale, deve essere tutelato
dall’interferenze di terzi. Riprendendo le teorizzazioni di
Dworkin (1977) sul concetto di autonomia – facoltà da
ricondurre, nel suo processo costitutivo, più che alla
razionalità, alla dignità e all’integrità della persona – Harris
sostiene che la difesa della libertà procreativa deve
affondare le sue radici non tanto nella tutela di un astratto
diritto alla libertà di per sé, ma, piuttosto, nell’importanza
del significato che essa acquista nell’esperienza vissuta
delle persone e nei valori che ad essa soggiacciono; ciò che
questo diritto riconosce «is the freedom to choose one’s
own lifestyle and express, through actions as well as
through words, the deeply held beliefs and the morality
which families share and seek to pass on to future
generations» (Harris, op.cit., p. 76). Non è questa la sede per
avanzare delle critiche alle tesi, spesso contradditorie,
41
presentate nel testo; esso qui ci interessa perché l’autore
mette bene in evidenza la stretta connessione che si viene a
creare fra il concetto di libertà negativa e l’importanza che
viene riconosciuta, nelle società occidentali, al processo
autopoietico morale individuale, improntato sulla “libertà
di disegnare il piano della propria vita nel modo più
consono al carattere di ognuno” e secondo propri valori e
credenze. Tale connessione pone le basi per un’analisi
critica dei processi di decision-making che, come avremo
modo di vedere nella seconda parte di questo lavoro,
rivestono un ruolo di primo piano nelle scelte procreative
di coloro che, ad esempio, a causa di malattie genetiche
trasmissibili alla futura prole, si avvalgono di tecniche –
come la diagnosi genetica preimpianto – che permettono di
conoscere lo “stato di salute” dell’embrione prima del suo
trasferimento in utero; nello specifico, cercheremo di
mettere in luce le modalità attraverso cui la libertà
riproduttiva è posta in essere e continuamente negoziata
nelle prassi della quotidianità, emergendo come un
processo di autopoiesi etica.
Un ulteriore contributo molto utile al fine della nostra
disamina è quello elaborato da John Robertson, autore che
ha fornito una delle argomentazioni più interessanti a
sostegno della «presumptive primacy» (Robertson, 1994, p.
24) della libertà procreativa. Egli sottolinea come la
riproduzione sia, da sempre, al cuore delle attività umane e
come essa abbia un profondo significato per l’identità
personale: «Procreative liberty should enjoy presumptive
primacy when conflicts about its exercise arise because
control over whether one reproduces or not is central to
personal identity, to dignity, and to the meaning of one’s
life» (ivi). Ciò vale anche per la procreazione postmoderna
che si avvale dell’ausilio di tecniche biomediche perché, in
42
ogni caso – e probabilmente ancora di più – essa ricade nel
dominio delle scelta: «The lens of procreative liberty is
essential because reproductive technologies are necessarily
bound up with procreative choice. They are means to
achieve or avoid the reproductive experiences that are
central to personal conception of meaning and identity. To
deny procreative choice is to deny or impose a crucial selfdefining experience, thus denying persons respect and
dignity at the most basic level» (ibidem, p. 4). Secondo
Robertson la possibilità di avvalersi o meno delle tecnologie
riproduttive deve essere demandata alla scelta – libera ed
autonoma – dei soggetti interessati, in virtù di una facoltà,
la libertà procreativa appunto, che viene a configurarsi
come un diritto morale fondamentale nell’esperienza
umana. Tuttavia, precisa l’autore, mentre coloro che
procreano “naturalmente” possono godere appieno di
questo diritto, nel caso in cui si ricorra all’intervento di
tecnologie mediche nel processo riproduttivo, tale diritto
non è più assoluto; anche questo tipo di libertà può essere
limitata o ristretta quando prassi e tecniche procreative si
rivelano lesive degli interessi altrui: «recognition of the
primacy of procreation does not mean that all reproduction
is morally blameless, much less that reproduction is always
responsible and praiseworthy and can be limited. However,
the presumptive primacy of procreative liberty sets a very
high standard for limiting those rights, tilting the balance in
favor of reproducing but not totally determining its
acceptability. A two-step process of analysis is envisaged
here. The first question is whether a distinctively
procreative interest is involved. If so, the question then Is
whether the harm threatened by reproduction satisfies the
strict standard for overriding this liberty interest» (ibidem,
p. 30). In primo luogo è quindi necessario stabilire
43
l’interesse procreativo in gioco che, secondo l’autore, deve
essere individuato nella capacità dei soggetti coinvolti di
attribuire
un
significato
alla
personale
esperienza
riproduttiva e a tutte le azioni che ad essa sono connesse,
come, ad esempio, la cura della futura prole. Da questo
punto di vista le argomentazioni presentate da Robertson
introducono nel dibattito sulla negoziazione sociale del
diritto morale alla procreazione un nuovo elemento, che
pone l’accento non solo sulla libera scelta autonoma di
riprodursi, ma anche sul ruolo genitoriale e sulle prassi di
cura
e
responsabilità
argomentazione
è
che
spesso
esso
implica.
utilizzata
nel
Questa
dibattito
contemporaneo per avallare la liceità morale di alcune
tecniche riproduttive, come la fecondazione con donazione
di gameti ad esempio, dove il legame genetico – alla base
della struttura parentale occidentale – viene sostituito dal
desiderio e dalla volontà di rivestire il ruolo genitoriale. In
merito alla seconda questione sollevata da Robertson, cioè
sui limiti che il diritto alla libertà procreativa dovrebbe
avere, l’autore suggerisce di impiegare un “test di
prossimità”, una sorta di esercizio comparativo tra la
riproduzione “naturale” e quella biotecnologica; mettendo
in pratica questo approccio si avrà modo di constatare che
ci sono pochi casi in cui i danni, temuti e spesso evocati
come irreversibili da parte dei detrattori delle tecnologie
riproduttive, sono tanto determinanti da giustificare degli
interventi restrittivi attraverso l’uso dello strumento
giuridico.
Molte concezioni contestano questa etica dell’autonomia in
particolare rilevando che essa si accompagna ad una idea
astratta e priva dell’elemento relazionale che implica la
libertà procreativa (cfr. Botti, 2000, pp. 137-230). In effetti,
sia Harris che Robertson, «più che una serie di regole in
44
positivo, sottolineano le ragioni negative che impediscono
agli Stati di espropriare i propri cittadini di una qualsiasi
parte della loro libertà procreativa» (Lecaldano, 1999, p.
173) e, focalizzando la loro attenzione solo sul momento
della “scelta”, non prendono nella giusta considerazione le
implicazioni etiche del costruire l’autonomia riproduttiva
come un’attività nella quale ciascun individuo realizza sì se
stesso ma, in misura non certo minore, coinvolge in questo
processo di autorealizzazione anche le vite di altri soggetti.
A nostro sentire, è proprio l’elemento relazionale – campo
strutturato e strutturante della soggettività – che permette
di pensare la libertà procreativa come un diritto morale
positivo.
Al fine di sostenere questa tesi ci avvarremo, ancora una
volta, degli scritti di Michel Foucault volti ad indagare le
modalità di costruzione della soggettività. Ne L’uso dei
piaceri – Storia della sessualità 2 il filosofo francese elabora
una vera e propria «genealogia» (Foucault, 1984, p.10) delle
prassi e dei comportamenti sessuali nell’antica Grecia; esso
risulta estremamente utile al fine della nostra disamina
proprio perché mette in luce come la libertà stessa sia una
pratica positiva di autopoiesi, realizzata attraverso la messa
in atto – nelle prassi relazionali di tutti i giorni – di specifici
valori morali socialmente e culturalmente negoziati: in virtù
di questa considerazione, anche la libertà procreativa può
essere pensata come una libertà positiva.
Se ne La volontà di sapere – Storia della sessualità 1 Foucault
aveva indagato le diverse forme attraverso le quali la
soggettività viene forgiata dalle tecnologie del potere, nel
secondo volume della trilogia egli sposta il focus analitico
sulle modalità attraverso le quali gli individui costituiscono
e riconoscono se stessi come soggetti etici, ponendo in
essere delle vere e proprie «tecniche del sé» attraverso le
45
quali essi agiscono nella/sulla realtà e su se stessi, mediante
delle prassi orientate da particolari codici morali, peculiari
forme di essere nel mondo e specifici criteri etici ed estetici.
Come si costituiscono, quindi, i soggetti etici secondo
Foucault? Essi vengono a configurarsi come il risultato di
tre campi – diversi ma complementari – che danno forma
alla realtà culturalmente orientata: il campo della morale
codificata; il campo della moralità dei comportamenti; il
campo degli agenti morali. Per “codice morale” Foucault
intende «l’insieme di valori e regole d’azione che vengono
proposti agli individui e ai gruppi tramite apparati
impositivi diversi, quali la famiglia, le istituzioni educative,
le Chiese, ecc. Può avvenire che queste regole e valori siano
molto esplicitamente formulati in una dottrina coerente e in
un insegnamento esplicito. Ma succede anche che vengano
trasmessi in modo diffuso e che, lungi dal formare un
corpus sistematico, costituiscano un gioco complesso di
elementi che si compensano, si correggono, si annullano su
alcuni punti, consentendo così compromessi o scappatoie»
(op. cit., p. 30). Il secondo campo è costituito dal
«comportamento reale degli individui in rapporto alle
regole e ai valori che sono loro proposti: si designano così il
modo in cui essi si assoggettano più o meno completamente
a una regola di comportamento, il modo in cui obbediscono
a un divieto o a una prescrizione o vi si oppongono, il modo
in cui rispettano o misconoscono un insieme di valori» (ivi).
Infine, il terzo campo, in cui si realizza «il modo in cui un
individuo deve “condursi”, vale a dire il modo in cui si deve
costituire, deve costituire se stesso, come soggetto morale
che agisce in relazione agli elementi prescrittivi che
formano il codice. Dato un codice di azioni, e per un
determinato tipo di azioni (che si possono definire in base
al loro grado di conformità o di divergenza rispetto a quel
46
codice), vi sono diversi modi di “comportarsi” moralmente,
diversi modi, per l’individuo che agisce, di operare non
semplicemente come agente, ma come soggetto morale di
quell’azione» (ibidem, p. 31).
Per definire i diversi modi di darsi e di costituirsi del
soggetto morale in una specifica azione, Foucault rintraccia
quattro distinte fasi di realizzazione del sé: in primo luogo
l’individuazione «della sostanza etica, vale a dire il modo in
cui l’individuo deve costituire questa o quell’altra parte di
sé come materia principale della sua condotta morale»
(ivi); in secondo luogo deve determinarsi «il modo di
assoggettamento, vale a dire il modo in cui l’individuo
stabilisce il proprio rapporto nei confronti di quella regola e
si riconosce legato all’obbligo di metterla in opera» (ivi);
questo secondo aspetto chiama in causa direttamente il
terzo, cioè il «lavoro etico che si conduce su se stessi, e non
solo per rendere il proprio comportamento conforme ad
una regola data, ma per cercare di trasformare se stessi in
soggetto morale della propria condotta» (ibidem, p. 32);
infine, è possibile pensare una vera e propria «teleologia del
soggetto morale: un’azione, infatti, non è morale solo in se
stessa e nella sua singolarità; lo è anche attraverso il suo
inserimento e il posto che occupa nell’insieme di una
condotta; è un elemento e un aspetto di questa condotta, e
segna una tappa nella sua durata, un eventuale progresso
nella sua continuità. Un’azione morale tende al proprio
compimento, ma mira inoltre, attraverso questo, alla
costituzione di una condotta morale che porti l’individuo
non semplicemente a delle azioni sempre conformi a certi
valori e certe regole, ma anche a un certo modo di essere,
caratteristico del soggetto morale» (ivi).
In breve, quindi, sostiene Foucault: «se è vero che ogni
azione morale implica un rapporto con il reale in cui si
47
compie e un rapporto con il codice a cui si riferisce, è vero
altresì che essa implica un certo rapporto con se stessi, e
questo rapporto non è semplicemente “coscienza di sé”,
bensì costituzione di sé come “soggetto morale”, in cui
l’individuo circoscrive la parte di sé che costituisce l’oggetto
di una pratica morale, definisce la propria posizione in
relazione al precetto a cui ottempera, si prefigge un certo
modo di essere che varrà come compimento morale di sé, e,
di conseguenza agisce su se stesso, comincia a conoscersi, si
controlla, si mette alla prova, si perfeziona, si trasforma. […]
L’azione morale è indissociabile da queste forme di attività
su se stessi che differiscono da una morale all’altra non
meno del sistema dei valori, delle regole e dei divieti»
(ibidem, p. 33).
La
soggettività
viene
quindi
a
configurarsi
come
un’esperienza storico-culturale radicata in specifici mondi
morali locali: essa pone in essere singolari processi di
autopoiesi che sono, allo stesso tempo, frutto sia delle
tecnologie del sapere/potere del contesto politico di
appartenenza che delle tecniche del sé. Nella sua disamina
del processo autopoietico Foucault non fa alcun riferimento
esplicito alla dimensione intersoggettiva dell’esperienza
morale che, a nostro sentire, riveste invece un ruolo
importantissimo proprio in virtù del fatto che «experience
is intersubjective inasmuch as it involves practices,
negotiations and contestations with others with whom are
connected. It also the medium within which collective and
subjective processes fuse, enter into dialectical relationship,
and mutually condition one another. We are born to the
flow of palpable experience, where our senses are first
patterned by the symbols and social interaction of our local
worlds. But our emergent subjectivities also return to those
symbols and interactions, reconfiguring, repatterning, and
48
sometimes
even
completely
reinterpreting
them.
Experience, then, has much to do with collective realities as
it does with individual translation and transformation of
those realities. It is always simultaneously social and
subjective, collective and individual. Thus, we can talk of
moral experience as the fusion of affect and moral meanings
in the interpersonal realm» (Kleinman and Fitz-Henry,
2007,
p.
53).
Questa
dimensione
intersoggettiva
dell’esperienza morale appare ancora più evidente nel
contesto delle biotecnologie riproduttive, proprio in virtù di
tutte quelle considerazioni che abbiamo fatto in apertura di
questo lavoro sulla procreazione postmoderna.
Torniamo ora brevemente al testo del filosofo francese per
sottolineare un ultimo, ma non meno rilevante, aspetto
della sua riflessione sulla morale sessuale degli antichi
greci: «è una morale di uomini: una morale pensata, scritta,
insegnata da uomini e rivolta a uomini, evidentemente
liberi. […] Si rivolge loro relativamente a comportamenti in
cui essi devono far uso del loro diritto, del loro potere, della
loro autorità e della loro libertà […]. Bisogna intendere
questi temi dell’austerità sessuale come elaborazione e
stilizzazione di un’attività nell’esercizio del suo potere e
nella pratica della sua libertà» (op. cit., pp. 27-28) . Qui si
pone l’accento sul fatto che le prassi etiche non dovevano
essere poste in essere dagli uomini in virtù del loro essere
uomini ma, del loro essere uomini liberi o, più precisamente,
del loro essere considerati e del considerarsi come uomini
liberi: l’etica del sé per gli antichi greci quindi coinvolge sia
l’aspetto della relazione autoriflessiva con la propria
percezione della libertà, che il suo esercizio pratico.
Come possiamo adattare le riflessioni foucaultiane alle
nostre argomentazioni a sostegno di una concezione
positiva della libertà procreativa? «By extrapolating the
49
analytic principles that Foucault outlines from the model of
an Ancient Greek practice of freedom to the context of
advanced capitalist liberal democracies, it can be argued
that liberty rights similarly entail the enactment and
practice of freedom today. […] It is precisely by virtue of
being free – in the sense of being subjects of
liberal
democratic governance that presupposes the political value
of liberty and extends liberty rights to all citizens – that we
can engage in practices of freedom. Conversely, it is to the
extent that citizens engage in practices of freedom that the
liberal democratic principle of liberty rights for all citizens
is enlivened and given a reality within the context of
everyday life. In this sense, it is by virtue of engaging in
practices of freedom that the free subject of liberalism has a
reality. […] In this light , the democratic presumption [of
procreative liberty] appears as a norm of individual
freedom that is given in the culture of Western liberal
democracies […]. Through its enactment in quotidian
practices, that norm produces free subjects are artefacts of
its enactment » (Mills, 2011, p. 50). Per riassumere,
possiamo quindi affermare che è in virtù del nostro
percepirci e del nostro costruirci come soggetti liberi –
come soggetti che godono della facoltà dell’essere liberi –
che poniamo in essere pratiche di libertà nelle prassi di tutti
i giorni e a cui, di conseguenza, conferiamo uno statuto di
realtà.
Sulla scorta di questi riflessioni proviamo quindi a
declinare, seguendo la quadripartizione analitica proposta
da Foucault, la teleologia dei liberi soggetti riproduttivi
della contemporaneità: la determinazione della sostanza
etica è rappresentata dalla scelta, dalla volontà, dal
desiderio e dalla capacità di mettere al mondo dei figli e di
prendersene cura; il modo di assoggettamento è quello
50
declinato nell’idioma dell’autonomia e della realizzazione
personale; infine, il lavoro etico è improntato ad un’etica
somatica della responsabilità e della scelta. Quest’ultimo
aspetto appare forse come il più significativo all’interno del
contesto delle biotecnologie riproduttive dove, come
avremo modo di vedere, l’idioma della libertà di scelta
assume una valenza discorsiva pregnante. Come ben
sottolineato da Rose, la libertà e, in particolar modo la
libertà di scegliere, rappresenta la matrice e la lente di
ingrandimento attraverso la quale i soggetti della
contemporaneità costruiscono e interpretano se stessi e le
loro azioni: «modern individuals are not merely “free to
choose”, but obliged to be free, to understand and enact
their lives in terms of choice. They must interpret their past
and dream their future as outcomes of choice made or
choices still to make. Their choice are, in their turn, seen as
realizations of the attributes of the choosing person –
expressions of personality – and reflect back upon the
person who has made them. […] Norms of conduct operate
a regime of the self where competent personhood is
thought to depend upon the continual exercise of freedom,
and where one is encouraged to understand one’s life,
actually or potentially, not in term of fate or social status,
but in terms of one’s success or failure acquiring the skills
and making the choices to actualize oneself» (Rose, 1999, p.
87).
Detto
altrimenti,
la
libertà
è
l’habitus
della
contemporaneità.
Per riassumere quanto sostenuto finora, ci sentiamo in
grado di affermare che la libertà procreativa può essere
vista come una forma di autopoiesi etica, per cui il soggetto
titolare di questa posizione viene posto in essere e si
costruisce – nelle prassi intersoggettive della quotidianità –
attraverso la realizzazione del più ampio principio –
51
democraticamente riconosciuto – della libertà individuale.
Questa
prospettiva
sposta
il
focus
dall’assenza
di
interferenze e costrizioni esterne sull’azione individuale,
alle capacità positive degli individui di acquisire modi e
forme di essere nel mondo in grado di accordarsi con le loro
scelte (riproduttive, in questo caso) e con i valori più
profondi che attribuiscono un significato alla personale
esperienza intersoggettiva vissuta. Se, quindi, accettiamo la
formulazione teorica per cui la libertà si realizza e viene
posta in essere dalla “pratiche del sé”, l’intreccio fra
procreazione, tecnologie della riproduzione e scelte morali
può essere pensato non solo come un’estensione delle
pratiche di libertà, ma viene a configurarsi come una loro
problematizzazione: è per questo che, nella seconda parte
di questo lavoro, proveremo ad elaborare un’analisi delle
pratiche a partire dalle quali queste problematizzazioni si
formano.
Prima di concludere vorremmo però riflettere brevemente
su un’ultima questione: la regolamentazione giuridica del
diritto morale alla libertà procreativa. Alcune concezioni
etiche riconoscono non solo un diritto morale alla libertà
procreativa ma, soprattutto, un diritto positivo di tutela e di
sostegno di tale libertà (cfr. Pollo, 2003). A nostro sentire,
tuttavia, l’incunearsi del diritto positivo nella maglie di un
ambito così personale e delicato della vita soggettiva può
rivelarsi un meccanismo discorsivo ambiguo se non, delle
volte, lesivo degli interessi che dovrebbe in realtà tutelare.
Tuttavia
la
dimensione
giuridica,
come
dimensione
strutturata e strutturante della realtà in cui gli esseri umani
si
muovono,
non
può
essere
elusa
dal
processo
autopoietico: «la libera costruzione della personalità è
formula che non implica la definizione di un’area riservata
alle scelte individuali priva di ogni rapporto con la regola
52
giuridica. Individua piuttosto uno strumento che rende
possibile l’autonomo perseguimento di una politica
dell’identità personale. […]. La libera costruzione della
personalità può certo essere pensata indipendentemente
dallo spazio giuridico, ma concretamente si pone, da una
parte, come polo dialettico rispetto alla produzione di
regole giuridiche, risolvendosi appunto nell’autonoma
determinazione delle proprie regole di comportamento e di
relazione; e, dall’altra, come prodotto di una scelta politica e
sociale, che fonda giuridicamente il riconoscimento di spazi
di autonomia» (Rodotà, 2009, p. 22). Come coniugare
quindi i meccanismi discorsivi del diritto positivo alle
prassi dei soggetti etici incorporati in merito alle scelte
procreative? Ci sentiamo qui di abbracciare, ancora una
volta, la tesi sostenuta da Rodotà per il quale la soggettività
deve essere governata «secondo ipotesi di diritto e di non
diritto, in un continuo rapporto tra “pieno” e “vuoto” di
norme giuridiche. E in una dimensione in cui compare
anche “il diritto di sbagliare”. […] Bisogna considerare la
persona attraverso una continua serie di sfaccettature, ora
riconoscendole autonoma capacità di decisione, ora
accompagnandola con forme di sostegno» (ibidem, pp. 2427). In una realtà multisfaccettata – pregna di significati
simbolici – in cui campi di sapere, tipi di normatività e
forme di soggettività sono strutturati e si strutturano
reciprocamente in una continua dialettica discorsiva, è
necessario prendere in esame i molteplici itinerari –
complessi e mai lineari – e i modi attraverso i quali la “vita
stessa” e le sue forme si inscrivono in questa realtà. Il
legislatore dovrebbe quindi tenere in considerazione questa
complessità del reale e ricorrere «sempre più spesso a un
diritto flessibile e leggero, che incontra la società, promuove
l’autonomia e il rispetto reciproco, e avvia così la creazione
53
di principi comuni. Deve divenire consapevole dei limiti del
diritto, dell’esistenza di aree dove la norma giuridica non
deve entrare, o deve farlo con sobrietà e mitezza» (ibidem,
pp. 24-27). Tali aspettative ed auspici sono stati totalmente
disattesi dal legislatore italiano nella stesura della legge
40/2004, volta a regolamentare l’ambito della procreazione
medicalmente assistita. Legge discussa e discutibile. Legge
“manifesto” per molti. Legge non solo non riconosciuta
socialmente, ma anche delegittimata dalle decisioni
giurisprudenziali degli ultimi anni.
54
PARTE SECONDA
55
2. Scelte procreative: la famiglia al tempo del genoma.
Il caso italiano.
La seconda parte del nostro studio sarà interamente
dedicata all’analisi delle pratiche discorsive che prendono
forma
all’interno
delle
cliniche
di
procreazione
medicalmente assistita12 e dei laboratori di genetica clinica.
Proveremo a comprendere meglio, mediante le narrazioni
di pazienti e medici, la reale esperienza vissuta da coloro
che si confrontano quotidianamente sia con le prassi e le
scelte che le nuove tecnologie della vita pongono in essere,
sia con le limitazioni imposte dal legislatore italiano:
cercheremo di indagare come queste persone realizzano
quel processo di autopoiesi etica che prende forma
«nell’effettiva gestione di loro stessi e delle loro vite
rispetto ai dilemmi cui si trovano di fronte e ai giudizi che
debbono formulare e alle decisioni che devono prendere»
(Rose, op.cit., p. 407). Proporremo quindi un’etnografia che
si sviluppa intorno alla comunità biosociale della clinica
HERA di Catania, un centro di medicina riproduttiva
davvero particolare, per storia e costituzione. Questo centro
nasce proprio dall'idea di medici e pazienti di proporre un
nuovo e diverso modo di approcciarsi alla medicina della
riproduzione: la sua peculiarità principale è quella di aver
sempre privilegiato la relazione di cura rispetto al
guadagno e di aver posto la volontà, le esigenze e la
specifica condizione della coppia al di sopra di qualsiasi
altro interesse; dall’approvazione della legge in poi, il
centro ha anche assunto un ruolo di primo piano in tutte le
battaglie legali – dal referendum del 2005 fino ai ricorsi
presentati alla Corte Costituzionale italiana – che hanno
12
D’ora in avanti, PMA.
56
contribuito alla riscrittura di alcuni degli aspetti più iniqui
del dettato normativo.
Questo lavoro di antropologia applicata vuole dunque
rappresentare un piccolo tassello di una cartografia più
ampia
delle
diverse,
multisfaccettate
e
complesse
dimensioni del reale, che abbiamo cercato di indagare, da
un punto di vista prettamente teorico, nella prima parte di
questo studio: sulla base delle tesi che abbiamo sinora
argomentato e sostenuto vorremmo qui delineare i modi
attraverso i quali coloro che abbiamo definito «cittadini
biologici debbano riformulare le loro risposte alle tre
famose domande di Kant – Cosa posso conoscere? Cosa
debbo fare? Cosa posso sperare? – nell’epoca della
biopolitica molecolare della vita» (ivi). Nello specifico, nei
paragrafi a seguire ci occuperemo delle esperienze di coloro
i quali si non imbattuti nei dei due aspetti delineatisi, sin da
subito, come i più problematici della legge e che hanno dato
il via a tutta una serie di azioni legali e di decisioni
giurisprudenziali: la proibizione, de facto, della Diagnosi
Genetica Preimpianto e la fecondazione con donazione di
gameti. Non è nostra intenzione qui presentare le diverse
tappe né dell’iter legislativo né delle molte sentenze a
favore delle modifiche alla legge pronunciate da svariati
tribunali, dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, dal TAR
del Lazio e dalla stessa Corte Costituzionale Italiana13;
vogliamo solo sottolineare un aspetto che reputiamo
estremamente importante in virtù di quanto detto sinora:
tutte le istanze di modifica sono state presentate da coppie
organizzate intorno a comunità biosociali che si sono
Per questi aspetti si vedano, rispettivamente, i pregevoli lavori di
Carlo Flamigni, Diario di un laico. Viaggi, incontri e scontri sulla legge per
la procreazione assistita, Edizioni Pendragon, Bologna, 2007; D’Amico
M., Clara M., Alesso I. (a cura di), La cicogna e il codice. Fecondazione
assistita, riflessioni e prospettive, Franco Angeli, Milano 2010.
13
57
battute per il riconoscimento di un diritto alla libertà di
scelta in ambito procreativo. Il percorso intrapreso contro
la
legge
40/2004
attraverso
lo
strumento
della
giurisprudenza si è rivelato particolarmente proficuo
soprattutto nel caso della Diagnosi Genetica Preimpianto
che, da tecnica “proibita”, è stata trasformata in tecnica
“possibile”. Come ormai ben noto, gli aspetti più limitativi
della legge sulla regolazione delle tecniche di procreazione
medicalmente
assistita
riguardavano
quelli
stabiliti
dall’articolo 14 (Limiti all’applicazione delle tecniche sugli
embrioni): il numero massimo di embrioni che possono
essere creati (identificato nel numero di tre), l’obbligo del
loro trasferimento in utero in un’unica e contemporanea
soluzione, il divieto di crioconservazione e la sola “attività
osservazionale” che su di essi può essere condotta. La
sentenza della Corte Costituzionale (151/2009) prima e, in
ultimo, quella più recente della Corte Europea nello scorso
agosto, hanno pian piano destrutturato l’impianto della
legge che limitava l’accesso a una tecnica come la Diagnosi
Genetica Preimpianto, almeno a livello teorico. Nella prassi,
invece, esistono ancora forti limitazioni alla fruizione di
questa tecnica (come dimostra l’ultima ordinanza del
Tribunale di Cagliari del 9 novembre scorso). In primo
luogo sussiste ancora una forte discrepanza fra l’offerta
privata e quella pubblica: su 357 centri di PMA attivi in
Italia,
nessuno
preimpianto14;
dei
in
76
pubblici
secondo
offre
luogo,
i
la
diagnosi
costi
della
crioconservazione degli embrioni soprannumerari sono
ancora molto elevati e non tutte le strutture – comprese
quelle private – sono propense a dedicare spazi e risorse a
Relazione del Ministro della Salute al Parlamento sullo stato di
attuazione della legge contenente norme in materia di procreazione
medicalmente assistita (Legge 19 febbraio 2004, n°40, articolo 15).
Attività anno 2010 centri di procreazione medicalmente assistita.
14
58
questa tecnica. Per questi, e per molti altri motivi, nel corso
di questi anni – ed ancora oggi, in alcuni casi – le coppie che
desideravano usufruire dei vantaggi offerti dalla tecnica di
diagnosi preimpianto dovevano rivolgersi ai centri esteri.
Stessa sorte è riservata a coloro che decidono di avvalersi di
tecniche di fecondazione con donazioni di gameti. Come
viene quindi a strutturarsi l’esperienza di queste persone?
Come si costruiscono e si conducono i soggetti morali in
relazione alle prassi e alle scelte etiche che le nuove
tecnologie della procreazione implicano? Come vengono a
configurarsi queste prassi nel contesto della biopolitica e
dell’etopolitica della contemporaneità? Cercheremo di
rispondere a questi e ad altri interrogativi nei paragrafi a
seguire.
59
2.1 La Diagnosi Genetica Preimpianto
La Diagnosi Genetica Preimpianto15 potrebbe essere vista
come il punto di intersezione tra la genetica clinica e il
mondo della PMA, che funge da piattaforma tecnologica sia
per l'infertilita che per la diagnosi genetica. Esse quindi si
rispecchiano l'una nell'altra e non e possibile parlare delle
dimensioni e delle implicazioni sociali, etiche e politiche
dell'una senza evocare indirettamente l’altra.
Vorremmo, in questa sede, da una parte, cercare di rendere
piu espliciti i contesti biosociali all'interno dei quali i
significati della tecnica sono negoziati perche, come
abbiamo sottolineato piu volte nel corso di questo lavoro, se
e vero che le scelte poste in essere dalle biotecnologie sono
nuove, esse sono comunque implicate nelle medesime reti
di relazioni: genere, famiglia, medico e paziente, cittadino e
Stato; dall'altra parte, vorremmo cercare di comprendere,
attraverso le voci di coloro che sono coinvolti in prima
persona (fruitori delle tecniche e clinici), il processo di
formazione e di problematizzazione di certe prassi etiche in
merito all’suo di una tecnica, la DGP appunto, che viene a
configurarsi come «a condensed node of social action, or a
nodal point of exchange between different “stream” of social
action» (Franklin, Roberts, 2006, p. 79). Sicuramente piu di
altre, questa tecnica emerge come fortemente improntata
da un’etica somatica della responsabilita perche essa mette
in gioco le radici piu profonde dell’identita personale –
ridefinita in termini biologici attraverso il processo di
genetizzazione – e, di conseguenza, apre l’esperienza
incorporata dei soggetti della contemporaneita a nuove
15 Da ora in poi, per brevità, DGP.
60
forme e a nuovi modi di pensarsi, costruirsi e condursi. Ecco
quindi che le “tecnologie del se” foucaultiane si colorano di
una nuova sfumatura, declinandosi in «tecnologie del se
genetico: una combinazione di forme di conoscenza,
competenza specialistica e tecniche diagnostiche» (Rose,
op.cit., p. 181). Queste tecnologie del se genetico sono
costituite da quattro dimensioni fondamentali, tra loro
fortemente connesse, che qui presentiamo in breve: in
prima istanza e necessario procedere al riconoscimento di
una «identità genetico-molecolare»: essa permette agli
individui di pensarsi in termini biologici e di valutare la
propria condizione attraverso la dicotomia (riduttiva della
complessita) “sano/malato”; tali informazioni genetiche
aprono a loro volta la strada alla formazione di un campo di
problematizzazione etica, che investe la sfera dei modi di
condursi in base alle conoscenze acquisite; tali conoscenze,
a loro volta, pongono in essere una nuova relazione con il
sapere specialistico, che acquisisce un ruolo fondamentale e
riconfigura i rapporti di potere/sapere all’interno della
relazione tra clinici e potenziali pazienti; infine, la quarta ed
ultima dimensione riguarda il campo della formazione di
vere e proprie «strategie di vita: un campo etico complesso,
visto che la questione di come si debba vivere scaturisce
dall’intersezione di molteplici problemi etici, a volte in
conflitto. Solamente un numero di forme di vita e a nostra
disposizione: le pratiche e le tecniche di cui possiamo
avvalerci per modellare noi stessi e plasmare la nostra vita
sono delimitate dalle pratiche culturali dominanti e sono
storicamente definite» (cfr. Rose, op. cit., pp. 199-203).
Alla luce di queste riflessioni possiamo quindi definire la
DGP come un dispositivo di costruzione culturale della
realta che «acquires an overdetermined significance that is
derivative of its multifaceted meanings» (Franklin, Roberts,
61
op.cit.,
p.
79).
Ma
quali
sono
questi
significati
multisfaccettati?
I detrattori di questa tecnica ne parlano – non solo nei
dibattiti interni alla disciplina bioetica ma anche, e
soprattutto, in quelli rivolti all’opinione pubblica – in
termini di eugenetica: essa verrebbe utilizzata dai
potenziali genitori per la ricerca del bambino perfetto
(rappresentato, in queste prassi discorsive fondate su una
retorica persuasiva, dall’espressione fenotipica “bambino
biondo con gli occhi azzurri”); l’aspetto interessante e che
tale intenzione, nelle parole delle coppie protagoniste di
questo studio, viene rigettata in toto: essa viene riformulata
attraverso
la
coppia
oppositiva
sano/malato
che,
ovviamente, evoca una retorica emotiva di tutt’altro genere.
Cio che queste persone desiderano e “avere un figlio sano,
non un figlio perfetto” e, soprattutto le donne, vorrebbero
non dover vivere nuovamente l'esperienza traumatica di un
aborto, naturale o terapeutico che sia, in seguito alla
scoperta di portare in grembo un “figlio malato”:
Giacomo: quello che vorremmo evitare è proprio un ulteriore
aborto terapeutico...se voglio un figlio malato non ho bisogno di
fare la diagnosi preimpianto, possiamo anche cercarlo in modo
naturale... ma noi non ce la sentiamo...
Vorremmo qui sottolineare che nessuna delle coppie che
hanno collaborato a questo studio aveva dei problemi
riproduttivi, erano cioè tutte in grado di concepire
naturalmente, quindi, ciò che essi chiedono alla biomedicina
riproduttiva è « precisely not to give nature a helping hand
but, rather, to prevent it doing what it might have done “by
itself”» (ibidem, p. XX).
La DGP viene quindi a configurarsi come una tecnologia
medica
che
pone
in
essere
nuovi
tipi
di
scelte
continuamente negoziate all'interno di una vera e propria
62
tecnologia discorsiva (ibidem, p.92), dove il personale e
l'individuale non possono essere scissi dalle più ampie
rappresentazioni intersoggettive dei dispositivi tecnologici
attraverso cui la procreazione “si fa”. I prossimi punti
andranno quindi ad evidenziare, da un parte, la storia della
tecnica stessa e, dall'altra, come essa sia entrata nella storie
personali delle coppie che hanno provato l'esperienza del
trattamento e che li ha resi dei veri “esperti”: «consumers of
a biomedical technology can be seen as experts capable of
analyzing its burdens and benefits and casting a rather
different light on contests for meaning and rationality»
(Rapp, 1998, p.48).
Prima di procedere con le narrazioni dei pazienti,
desideriamo evidenziare che, a questo studio, mancano
delle voci importanti: quelle delle coppie che, dopo aver
superato il “rito di passaggio” della prima consultazione al
centro e una volta entrate in contatto con l'universo della
DGP, hanno deciso di non proseguire con il trattamento per
ragioni economiche e/o inerenti alla morale. Cercheremo
comunque di spiegare come, passo dopo passo, le coppie si
siano avvicinate alla tecnica e abbiano percepito i diversi
tipi di opzioni che essa offriva loro, e come, insieme al
personale medico del centro, abbiano vissuto l'esperienza
della scelta, della speranza, delle aspettative, delle
delusioni, della rabbia, della felicità.
Rayna Rapp – nel suo lavoro tra le donne newyorkesi che
rifiutano di sottoporsi alle diagnosi prenatali – sostiene che
«this new biomedical technology provides a context in
which every pregnant woman is interpolated into the role
of moral philosopher: one cannot confront the issue of the
“quality control” of fetuses without wondering whose
standards for entry into the human community will prevail
and what the limits of voluntary parenthood might be»
63
(Rapp, op. cit., p.46). Le donne e gli uomini che sono stati
intervistati durante il lavoro di ricerca non solo possono
essere considerati dei “filosofi morali”, in quanto si trovano,
come sottolinea Francesco, nella difficile situazione di dover
prendere delle decisioni in un contesto estremamente
incerto come quello creato dalle biotecnologie:
Francesco: chi non vive questo tipo di problemi pensa che è il
piacere di non avere un figlio anche malato... che non è
necessariamente così... [...] non sono mai decisioni, anche la scelta
di abortire, non è mai... delegata... [...] io conosco tanta gente che
appena ha saputo di avere un problema si è sforzata, anche
perché oggi è più facile reperire informazioni, cioè sono scelte e
decisioni meditate a lungo... purtroppo ci sono anche quelli che
cercano il figlio biondo con gli occhi azzurri, o il maschio
piuttosto che la femmina, che poi portano a generalizzare il
discorso e portano discredito su delle tecniche e su chi vive delle
problematiche...
Ma queste coppie sono hanno giocato un ruolo pioneristico
anche in senso storico (cfr. Franklin, Roberts, op. cit., p.
109), in quanto sono state le prime a doversi confrontare
con le restrizioni e i dettami della legge 40:
Davide: quando abbiamo deciso di sposarci la diagnosi genetica si
poteva fare...
Sandra: e noi tra l'altro eravamo informatissimi [...] e quindi lo
sapevamo perfettamente che c'era la diagnosi genetica e che
sicuramente ti fa stare più sereni, cioè la vivi in un'altra maniera,
perché sai che hai una possibilità tra virgolette... e solo che poi è
uscita la famosa legge nel 2004, noi nel 2005 ci siamo sposati,
esattamente una settimana dopo il referendum... e questo è stato
il regalo che ci hanno fatto... ci siamo sposati consapevoli del fatto
che c'era 'sta benedetta legge 40 che ci impediva la diagnosi...
Sandra e Davide, entrambi portatori sani di betatalessemia,
definiscono la loro scelta di sottoporsi alla DGP come una
possibilità, un'opzione che si sceglie innanzitutto per ragioni
emotive:
Davide: diciamo che noi a priori scartavamo l'idea di concepire
un bambino e poi al terzo mese di gravidanza...
Sandra: no no, assolutamente... non mi sono proprio... io sono
sincera... io vivevo col terrore, per me era una cosa... il pensiero di
rimanere incinta, di dover fare un'amniocentesi e poi sapere...
64
dover decidere se tenerlo o no... solo il pensiero mi faceva
morire... stavo malissimo solo a pensarlo...per cui sempre è stata
una cosa di cui abbiamo parlato... [...] e quindi pur essendo fertili
abbiamo deciso di fare la diagnosi preimpianto.
La rinuncia alla propria fertilità è il prezzo che si deve
pagare in nome di un maggiore controllo genetico. Da un
punto di vista emotivo, quindi, è preferibile sottoporsi a una
tecnica che permette di conoscere lo stato di salute
dell'embrione prima del suo impianto in utero, piuttosto
che dover scegliere se portare avanti o meno una
gravidanza di un feto con gravi disabilità. La DGP comincia
ad emergere, dalle parole dei suoi fruitori, come una prassi
informata da una profonda etica somatica improntata alla
responsabilità nei confronti di sé stessi, del proprio
compagno, del potenziale figlio, ma anche della società
stessa; come per Giovanni, malato di retinoblastoma, forma
tumorale di origine genetica, trasmissibile per via paterna:
Giovanni: io l'ho vissuta sulla mia pelle, io quando ero piccolo la
colpa la davo ai miei genitori, perché tu sei diverso dagli altri,
non puoi fare alcune cose... cioè, i genitori erano molto protettivi
e ti ponevano dei limiti. Poi quando sono cresciuto i limiti li
scopri da solo, fino a dove puoi arrivare. Quindi io mi sento
almeno in dovere di cercare di evitare la malattia ai miei figli, per
quello che ho passato io, mia sorella, mio padre, è tutta una
situazione... cioè tu la vivi... non è come i miei genitori, non lo
sapevano, sono arrivati, bene, ma tu che sei consapevole di avere
questa malattia di trasmetterla, a me sembra incosciente, perché
poi cioè... tu regali un tumore a tuo figlio... hanno fatto delle
statistiche, tutti quelli che hanno il retinoblastoma possono con il
tempo sviluppare il tumore alle ossa, cioè... quindi, almeno io non
mi sento di fare questa cosa...
Francesco: è giusto, da genitore, mettere al mondo un figlio che
può avere lo stesso tipo di problema?
Grazia: io un figlio malato non lo farei nascere... io ad esempio
non condivido chi non fa un'amniocentesi perché comunque,
qualsiasi problematica, come ad esempio un down, purtroppo
non viviamo in una realtà dove ci sono anche le strutture per
consentirti di portare avanti queste situazioni che sono
pesantissime...
65
Queste coppie hanno scelto di percorrere la strada ardua e
incerta offerta loro dalla tecnica che, producendo nuove
forme di responsabilità, individuale e sociale, porta di
conseguenza a nuove scelte, scelte meditate e graduali,
molto impegnative da un punto di vista emotivo:
Grazia: io credo che quello che si fa è un percorso, io non credo
che ci sia una coppia... cioè comunque prima devi vivere anche un
lungo periodo di infertilità per cominciare a pensare ad una
tecnica... non è che uno dopo due mesi che non riesce ad avere un
bimbo ricorre alla tecnica, figuriamoci una DGP... almeno per noi
è stato così, prima di giungere a questa decisione sono passati
due anni e mezzo e quattro aborti...
Sandra: io non sono così pazza da dirti “ o sai che bella la diagnosi
preimpianto, ti fa stare bene perché ti levi tutti i pensieri...!” per
me anche quella, personalmente, non è un aborto per me, ma è
comunque...
ML: non lo vedi come un normale esame diagnostico?
S: no, no... e per me, ti dico la verità è anche da folli pensarlo... non
è così... non è un semplice esame... io ci sto male... ci sono stata
male la prima volta, ci sto male ora ed è una cosa che non
dimenticherò mai... che non ti puoi dimenticare mai... [...]
sicuramente, sotto un certo punto di vista, è un po' più leggero di
un aborto... ma non è una cosa che tu ti svegli la mattina e decidi
di farla perché ci hai riflettuto mezz'ora e decidi di farla... è una
cosa che tu maturi, è una cosa che tu ci pensi, ci ripensi, perché
comunque gli scrupoli te li fai [...].
Le parole di Sandra sottolineano una delle maggiori
questioni sollevate dalla medicina riproduttiva, cioè «the
relationship between the reproductive desires or successes
of individual couples who choose to undergo the new
techniques and the wider questions that a technique such
as PGD poses for everyone else» (Franklin, Roberts, op. cit.,
p. 195). Le questioni, i dubbi, gli interrogativi e gli “scrupoli”
– come li definisce Sandra – che queste coppie affrontano,
riguardano soprattutto la sfera individuale delle credenze e
della morale:
Francesco: quando abbiamo avuto il primo aborto io ho
cominciato a pensare a fare una DGP [...] ho cominciato a
documentarmi [...] e mi ponevo il problema se fosse giusto
66
selezionare comunque una vita... perché... cioè io non sono
convinto che impedire a una vita, anche malata, di avere un luogo
sia giusto... non dico che è sbagliato, ma non so neanche se è
giusto... cioè ho maturato il fatto che se tu certe cose non le vivi,
certe decisioni, certe scelte, sono... sono difficili da giudicare... io
non so se me la sentirei...
Giovanna: considerando la possibilità, come ci ha suggerito la
genetista, che si poteva fare la DPG all'estero abbiamo cominciato
a riflettere su questa opportunità e ti dirò comunque che è stata
una scelta anche molto maturata perché è passato un anno da
quando abbiamo deciso di provare... [...] ci abbiamo riflettuto con
mio marito e poi abbiamo deciso di intraprendere comunque
questa strada perché... io sono cattolica [...] io ho voluto un po'
riflettere su questa cosa, ho letto in giro, diciamo che mi sono
voluta anche dare una giustificazione a quello che stavo facendo,
ora non so se sia giusto... però, per noi, come coppia, era l'unica
strada, fare una DGP per avere un figlio, non per fare una
selezione della specie come dice qualcuno, ma per avere almeno
un figlio sano. Questo non è che garantisce che nostro figlio sarà
perfetto o che avrà determinate caratteristiche fisiche, ma solo
che possa partire tranquillamente, poter iniziare la sua vita
tranquillamente senza sapere di dover già affrontare delle cure
assurde... questa insomma è stata la cosa che ci ha fatto decidere
di iniziare questo iter che, ti dico, già è pesante di suo, poi a noi ci
tocca anche fare un viaggio...
Da questi diversi passi delle interviste emergono due
aspetti estremamente interessanti: in primo luogo la
profonda riflessione etica che accompagna il cammino
verso determinate scelte, il loro definirsi come campo di
problematizzazione morale e la continua negoziazione delle
“tecnologie del sé” e delle “strategie di vita” che i soggetti
coinvolti
devono
configurarsi
della
realizzare;
tecnica
in
secondo
come
un
luogo,
il
dispositivo
prevalentemente narrativo, un meccanismo dialogico su
base relazionale che affonda le sue radici nel rapporto fra
clinico e paziente e che, di conseguenza, riconfigura in
maniera significativa il binomio sapere/potere insito in
questo rapporto. In merito a quest’ultimo punto possiamo
aggiungere una riflessione di carattere più generale
sull’importanza che riveste l’instaurare una relazione di
fiducia con il personale medico che opera nel campo della
67
procreazione medicalmente assistita, «in cui la relazione
sessuale e sentimentale tra i coniugi non è più ciò che da
luogo a una nascita; vi è la necessità per i pazienti di
mantenere una componente relazionale, sentimentale, oltre
che morale, nel “processo riproduttivo”» (Gribaldo, op. cit.,
p.16). Questo elemento relazionale è venuto completamente
a mancare negli anni in cui la DGP in Italia era, de facto,
vietata; le coppie, dopo la “preparazione” in Italia, erano
costrette a recarsi all’estero dove, per le difficoltà inerenti
alla comunicazione in una lingua differente dalla propria e
per la diversità dei protocolli adottati, viene a cadere quel
processo di costruzione comune – di alleanza terapeutica
tra clinici e pazienti – che permette di attribuire un senso
all'esperienza che si sta vivendo:
Miriam: tu arrivi là in sala operatoria che ti devono fare tutto, ti
devono addormentare e sei sola, perché lui (il marito) non può
neanche entrare, ti devi solo fidare... non puoi fare altro... cioè
non li hai mai visti, una cosa è che sei con il tuo ginecologo che ti
dice ora facciamo questo, ora facciamo quest'altro, ti spiega, ti
aiuta a capire... quando sei là ti addormentano e ti fanno quello
che ti devono fare…
Alessandra: noi siamo portatori sani di bethatalassemia, già
abbiamo alle spalle tre gravidanze naturali, con diagnosi tutte e
tre andate male, con aborti terapeutici e abbiamo alle spalle
anche una fecondazione fatta in un centro di Palermo [...] adesso
stiamo iniziando l'iter per andare all'estero...
Paolo: perché l'idea della malattia che sin dal primo giorno del
concepimento non puoi curare, come nel nostro caso, non li puoi
curare...
Alessandra: e adesso siamo costretti ad andare all'estero per
evitare di nuovo... in mezzo a medici che non conosci...
Sandra: una bellissima esperienza, veramente (ride)... fantastica,
sotto tutti i punti di vista... sei fuori in un paese che non conosci,
una lingua che non conosci, medici che non conosci, gli unici
punti di riferimento siamo noi due... e affrontare una cosa del
genere non è semplice, ci stai male, è normale, e sei solo...
Davide: cioè nella camera d'albergo, quando lei stava male,
perché una volta che è passato l'effetto dell'anestesia, quando ci
siamo ritirati abbiamo cominciato a vedere che stava male... a chi
ti rivolgi... oltre chiamare il dottore qui a chi ti rivolgi? Cosa fai?
68
Sandra: niente! È che da certi punti di vista ti comporti anche da
irresponsabile... questa è la sensazione che ho io... io sono andata
la, non so chi è, chi non è, non so come lavorano, come non
lavorano... vai... cioè devi andare... non hai alternativa... non c'è un
altro modo e quindi ti butti...
Dalle parole di Sandra emerge quel senso di “inevitabilità”
che sfiora le storie di vita di queste coppie: la malattia è
qualcosa di inevitabile, è inscritta nelle pieghe più profonde
della
propria
identità
biologica
e
il
ricorso
alle
biotecnologie procreative viene percepito come l’unica
possibilità – non a caso esse vengono definite «tecnologie
della speranza» (cfr. Franklin, 1997) – l’unica prospettiva,
anch'essa inevitabile se ci si muove dentro un contesto di
etica somatica della responsabilità, anche se esse offrono
solo un più alto livello di controllo, non di certezze. E qui si
delinea un aspetto paradossale della DGP che, trovandosi in
una zona liminare tra possibilità e controllo, da una parte
intensifica «the power to diagnose is also, at another level,
amplification of pathology. At one level chance and control
are opposed: instead of “leaving it all to chance”, there is the
option of “being controlled properly”. However, since
arrival at PGD confirms the presence of more serious
disease, the prospect of “greater control” is double-edge
(possibly more control but only in relation to a worse set of
prospects)» (Franklin, Roberts, op. cit., p. 125).
Da una parte quindi, la DGP, permette un maggiore
controllo sui “fatti di natura”, come nel caso di Grazia, la cui
traslocazione cromosomica non le permette di portare
avanti la gravidanza:
Grazia: io ho avuto 4 gravidanze naturali che si sono interrotte
massimo entro l'undicesima settimana... cioè solo la prima volta
sono arrivata all'undicesima settimana e durante la prima
gravidanza sono arrivata a sentire il battito, mentre in quelle
successive la prima è stata un'interruzione alla settima
settimana, quindi, molto ma molto precoce, le altre due,
consapevole anche del fatto che la precedente si era interrotta
abbastanza presto, mi hanno fatto fare tipo riposo assoluto, mi
69
hanno fatto fare insomma una cura farmacologica che poi è un
protocollo che fanno tutti quanti, un po' di cortisone, un po' di
eparina, perché io fino a novembre, cioè non era nemmeno ben
chiaro nel medico che precedentemente mi seguiva cosa
comportava questa traslocazione, io ero cioè il classico caso di
gravidanza a rischio, che non riesce ad andare avanti...
Francesco: Diciamo che statisticamente su 12 ovociti 1 è
completamente sano, si riesce a separare, uno li mantiene
attaccati però non ha altri pezzi, gli altri 10 hanno o mancanze o
eccessi, sono tutti casi incompatibili con la vita, quindi portano a
interruzioni di gravidanza nel primo trimestre...
Grazia: insomma all'inizio speravamo che naturalmente potesse
andare bene...
F:perché non è impossibile avere dei figli naturalmente, cioè, è
molto difficile, perché, l'altra cosa che ci hanno detto e che
comunque naturalmente, dei 10 difettosi molti non si dovrebbero
nemmeno impiantare, quindi la natura dovrebbe fare una
selezione a monte, fatto sta che al quarto tentativo...
D' altra parte, come detto, si assiste a un'amplificazione
della malattia stessa, sia nel paziente che si sottopone alla
tecnica sia nei confronti del figlio che si desidera, cosa che
diventa un ulteriore dilemma etico per le coppie:
Francesco: io penso che chiunque ha piacere a trasmettere il suo
corredo cromosomico...
Grazia: tranne io (ride)... che non è il caso...
Francesco: ma non è così...
Grazia: io ci sono arrivata a questa considerazione... [...] e
sicuramente farei un'amniocentesi perché io un figlio malato non
lo farei nascere [...] da questo punto di vista sono drastica,
preferisco sapere e fare un tipo di scelta conseguentemente...
ML: quindi se tu adesso restassi incinta dopo tutto quello che
avete fatto e scoprissi che non è sano...
Grazia: non lo metterei al mondo, cioè nonostante tutto...
Francesco: io non ho questa stessa certezza, non sono così
categorico poi, probabilmente, maturerei la stessa scelta, però
non sono convinto... cioè non sono sicuro che lo farei e... cioè
anch'io sono per l'amniocentesi, è giusto avere delle informazioni
anche perché le patologie non sono tutte le stesse, però... non me
la sento di fare una graduatoria, fino a questo livello di problemi
sono accettabili, questi altri no... mi ci dovrei trovare, non sono
nella condizione di dire... e possibilmente avere anche dei
rimorsi...
70
Grazia ci permette di sottolineare una caratteristica
importante che differenzia coloro che si sottopongono a un
classico ciclo di PMA, da coloro che invece si avvalgono
della PMA per poi fare dei test genetici sugli embrioni: «IVF
is oriented toward assistance to conception, while PGD
offer assistance to heredity. The goal of IVF is a child,
whereas the goal of PGD is, in a sense, the reverse, in that it
is aimed at preventing some kinds of children being born»
(Franklin, Roberts, op. cit., p. 161).
Accostarsi a una tecnica di PMA richiede, come si evince da
queste narrazioni, un grande coinvolgimento emotivo da
parte della coppia e, di conseguenza, una nuova
ridefinizione della propria soggettività durante tutto il
percorso, dai primi esami diagnostici, passando per la
stimolazione farmacologica, fino ad arrivare all'attesa di un
risultato dopo un eventuale trasferimento embrionario:
Giovanna: una cosa che è molto importante è questa cura,
siccome la donna è la protagonista, perché prende tutti 'sti
farmaci, punture, pillole, ha bisogno di una figura forte, ecco, mio
marito che è sensibile, io gli dico sempre “se tu non mi dai forza e
io ti vedo sempre con questa faccia cupa” (ride)... non è una cosa
positiva, ecco, mio marito... mio marito è una persona sensibile
quindi è come se la vivesse in prima persona, non è che è pauroso
è sensibile, quindi lui, quando mi vede che faccio la puntura o che
ho mal di testa... [...] per noi è una cosa pesante questa (ride)...
per lui di più, per me alla fine, ecco, voglio viverla con positività,
che è una cosa importante, senza avere false speranze, senza
pensare che tutto vada bene per forza... quindi pensare in
positivo però senza farsi delle false illusioni, perché sappiamo
che la percentuale di riuscita è sempre del 30%... viverla positiva
e affrontarla con spirito positivo, senza troppa ansia, ma senza
farsi troppe illusioni che andrà sicuramente bene... non vorrei poi
che la delusione fosse troppo grande...
In Giovanna, come nelle altre coppie protagoniste di questo
studio, emerge questa peculiare elaborazione del lavoro
etico da condurre su se stessi, un vero e proprio
meccanismo di costruzione del sé che lo metta al riparo dal
fallimento
della
“speranza
71
della
tecnologia”
–
per
parafrasare
la
definizione
di
Franklin
–
e
che,
inevitabilmente, si presenta anche nel caso della DGP: «this
is a sensible and rational form of emotional protection
against the potentially costs of failure — it is a form of
control that belongs very much to the complex “ontological
choreography” of how patients mold their subjectivities, as
well as their bodies and lives, to the demands of treatment»
(Franklin S., Roberts C., op. cit., p. 138). Uno degli aspetti più
paradossali della procreazione postmoderna è proprio il
suo grado di incertezza: «uncertainty now characterizes the
precise mechanisms occasioning successful conception. [...]
However, an egg and sperm may be present and fail to
fertilize, or they may fertilize and fail to develop, or the egg
and the sperm may fertilize, develop, and then be absorbed
by the uterus for no apparent reason. In sum, the facts of
life have become more visibly partial and contingent»
(Franklin, 1998, p. 106) . I fruitori della tecnica
costruiscono la loro soggettività anche sulla base di queste
informazioni che il personale medico deve fornire loro, già
durante la prima visita (in ottemperanza all’articolo 6,
comma 1, del Capo II della legge 40/2004); la possibilità del
fallimento e quella di ripetere ciclicamente il trattamento
vengono spesso espressi nei termini del “calvario” e del
“martirio”:
Miriam: anche perché la tecnica comunque non è detto che
funzioni... certo c'è chi al primo tentativo ci riesce, noi abbiamo
avuto due possibilità, due embrioni freschi, due embrioni
congelati... La prima volta l'ho perso dopo pochi giorni... La
seconda volta zero... Un calvario insomma…
Giovanna: siccome deriva da lui si sente molto in colpa cioè... mi
dice :“mi dispiace farti fare tutte queste cure, è tutta colpa mia, e
io non servo a niente, hai questi tipi di problemi per colpa mia, ti
devi sottoporre a tutti 'sti martirii...”, si da molte colpe...
Grazia: dopo quattro aborti, dopo delle gravidanze assolutamente
non serene perché, si ok, fai il test di gravidanza, hai la gioia che
72
sia positivo, poi inizia il calvario... il calvario dell'attesa, il calvario
di metterti a riposo e svegliarti ogni mattina con l'incubo che vai
in bagno e trovi la famosa perdita di sangue che per te è il
disastro assoluto, l'attesa di un'ecografia con l'incrociare le dita
per vedere se va bene... cioè dopo aver vissuto negli ultimi due
anni e mezzo questo genere di cose, di stress... andare in
ospedale, fare una fivet, e aspettare tre giorni per avere un esito,
per me non può essere lo stesso livello di stress e la stessa
risposta negativa, per quanto fonte di rabbia perché dici, vabbè,
allora sono proprio sfigata, però l'esito è talmente veloce che
secondo me, sono due livelli di stress e di dolore incomparabili...
Se, come suggerisce Franklin, sia la riproduzione “normale”
che quella assistita sono naturalizzate allo stesso modo
attraverso l'idioma del “miracolo”, cioè di un evento che
supera la normale prevedibilità dell'accadere o dell'azione
umana, allo stesso modo il fallimento viene articolato
mediante le categorie della “sfiga” – come per Grazia – della
“sfortuna” o del “destino”, forze su cui niente e nessuno può
esercitare alcun tipo di potere:
Giovanni: il destino ha voluto che poi...si guarda proprio il
destino...la seconda volta che siamo andati lì arrivati al
trasferimento lei aveva la febbre e gli embrioni, che erano
congelati glieli hanno dovuti trasferire per forza perché ormai li
avevano scongelati...
Miriam: è stata anche una questione di sfortuna.. come ci sono
state invece coppie che abbiamo conosciuto, perché è pieno di
italiani, che con ovociti congelati sono riusciti ad ottenere la
gravidanza, ci sono le statistiche ma alla fine è da caso a caso...
Questo processo di normalizzazione delle tecniche è l'altra
faccia della medaglia di un'esperienza che viene considerata
come extra - ordinaria, sia per le sue implicazioni pratiche
sia per la sua densità emotiva, dimensione di cui le coppie
sembrano volersi giustificare; tale dimensione si acuisce
ulteriormente quando si ha a che fare con la genetica clinica
e con una scienza che si teme possa andare oltre ogni limite.
Per l'opinione pubblica queste coppie vogliono essere
“genitori a tutti i costi” di figli “creati in laboratorio”, cosa
che, come questo studio dimostra, è molto lontana dalle
73
intenzioni e dalle volontà di coloro che decidono di
sottoporsi al percorso offerto dalle biotecnologie. Tuttavia,
nelle parole e nei sentimenti delle persone intervistate,
aleggia sempre un senso di giudizio sociale da dover
affrontare, un giudizio che scatena rabbia:
Sandra: quando vai fuori, sai che stai andando fuori e che tutti
quanti pensano che tu fai schifo... tu e tuo marito siete due
persone schifose e...quindi noi andiamo all'estero con l'odio di
tutti... cioè te lo senti questo addosso, te lo senti... senti l'odio
degli altri e ti arrabbi perché fondamentalmente la verità è una:
che quando una cosa ce l'hanno gli altri si vive in una maniera,
quando poi le vivi tu in prima persona è tutta un'altra storia... i
nostri sentimenti, le nostre emozioni per le altre persone non
esistono...
Davide: hai una forte rabbia...
S: ce l'hai sempre, cioè ti senti sempre... sempre arrabbiata...
sempre quel pensiero che ti fa stare male...
ML: che sia questo il costo di un figlio... non economico, emotivo...
Sandra: si, si... più il costo emotivo...
Davide: si, quello economico poi passa, certo all'inizio eravamo
più spaventati poi... poi lo affronti e ti resta la rabbia...
S: perché quello economico sai che prima o poi passerà... quello
emotivo no... per me è una certezza che per tutta la vita io mi
porterò questo pensiero dentro...
Sandra sente l'odio sulla pelle e una rabbia che cova dentro,
sente il giudizio per qualcosa che, se non hai provato, non
riesci a comprendere: l’esperienza, ancora una volta,
sembra essere la fonte a cui attingere per dare forma alla
propria forma di essere nel mondo e per comprenderlo.
L'esperienza di sofferenza – l’esperienza negativa del vivere
con una malattia genetica – rappresenta il terreno su cui
edificare specifiche “strategie di vita”, configurando i modi e
i mezzi attraverso i quali si può agire sulla realtà in base ai
propri obbiettivi, valori ed interessi; le biotecnologie
riproduttive intervengono all’interno di questo contesto
esperienziale con la loro capacità trasformativa, provando
a modificare il dolore e la frustrazione in speranza per il
74
futuro, anche se questo futuro, come per Sandra, sarà
sempre accompagnato da un carico emotivo pesante.
Sandra e Davide si sono molto esposti, in questi anni, anche
da un punto di vista mediatico, partecipando a diverse
trasmissioni televisive nazionali e locali, per portare avanti
una battaglia contro una legge che ritengono ingiusta e
discriminatoria, e oggi si preoccupano delle ripercussioni
che questa loro battaglia potrebbe avere sul futuro del
bambino che Sandra, al momento di questa intervista, porta
in grembo:
Davide: Siamo andati sul tg3, alla trasmissione di Jacona, però
adesso, visto e considerato come la pensa la gente ci
preoccupiamo di lui, un po'... in futuro...
Sandra: ti faccio un esempio: nel momento in cui tu leggi un
articolo, come ad esempio è capitato a me, che per me era
un'istigazione all'odio... cioè chi era bravo e fortunato ed era
riuscito ad avere un figlio in modo naturale era buono e un santo,
coloro i quali no... allora i bambini sono dei mostri, creati in
laboratorio... allora io faccio un semplice ragionamento: nel
momento in cui mio figlio dovesse andare all'asilo, vuoi o non
vuoi la mia faccia si è vista, da tante parti, è difficile ma... mi
incontrano e mi dicono : “ah ma tu sei quella che...”, alla fine vuol
dire che qualcuno mi ha visto.. comincio a pensare che se i
compagnetti di mio figlio dovessero avere alle spalle delle
famiglie formate da persone superficiali, ignoranti, quello che
vuoi, che la pensano alla stessa maniera e un giorno dovessero
andare da mio figlio... una cosa è che lo dicono a me che sono
adulta e responsabile delle mie azioni e so come rispondere, una
cosa è fare pagare, a parte il fatto che è una vigliaccheria, un
bambino... trovo mostruoso e ingiusto che debba essere mio figlio
a dover pagare un prezzo sociale al mio posto...
Questo “prezzo sociale da pagare”, questo doversi
confrontare con il “come la pensa la gente”, questo vedere i
figli nati mediante PMA come “mostri creati in laboratorio”,
è il frutto della continua tensione tra il potere trasformativo
delle nuove tecnologie e la tendenza a pensare il “naturale”
e il “biologico” come se questi fossero due categorie di per
sé sussistenti, e non una definizione storica e culturale. Per
cui è naturale che un uomo e una donna partecipino allo
75
stesso modo al concepimento di un figlio che rappresenta la
loro unione e, in virtù di questa volontà e del sentimento
che li anima, non dovrebbero incontrare alcun limite alla
loro
libertà
procreativa:
la
moralità
di
questo
comportamento – a differenza di coloro che ricorrono a
tecnologie procreative per raggiungere il medesimo fine –
non viene mai messa in discussione. Questa dissimmetria
sembra attualmente accettata come valida da molte
intuizioni della moralità di senso comune, ma non ha
nessuna base né razionale né da un punto di vista morale
critico (cfr. Pollo, 2003, pp. 63-76). Ciò che appare
interessante,
a
livello
antropologico,
è
proprio
la
rappresentazione simbolica, nel linguaggio d’uso comune,
del processo riproduttivo postmoderno, in cui spesso
appare l’espressione:
Davide: i figli nati dalla provetta non sono figli nati dall'amore... e
ne abbiamo sentite di tutti i colori...
I “figli nati dalla provetta non sono figli nati dall'amore”
perché l'atto sessuale, emblema e simbolo dell'intimità, del
sentimento, della reciprocità, della gratuità, viene sostituito
da due diverse dimensioni pubbliche, molto spesso indicate
come “senza scrupoli”: la biomedicina con la sua
“freddezza”, la sua conoscenza specialistica e il suo
controllo; e il mercato, per antonomasia amorale. Le coppie
che decidono di avvalersi di una tecnica di PMA, invece,
rifiutano completamente queste definizioni e queste
etichette:
Davide: penso che chi va incontro a una situazione del genere che
comunque è difficile sono persone che vogliono fortemente un
figlio, anche più di quelle che gli capita... per carità, non voglio
giudicare...
Sandra: io quando sento che è creato in laboratorio... mi interessa
relativamente, penso siano degli imbecilli per cui... penso che non
me ne vergogno, e non solo non me ne vergogno, ma non lo
76
nascondo e... ci resto anche male quando si nascondono gli altri,
perché francamente non ne vedo il motivo... bambini nati con la
fecondazione assistita ce ne saranno non so quanti e hanno tutti
quanti la tendenza a nascondersi perché hanno tutti quanti una
sorta di vergogna... perché?
Grazia: io non ci vedo nulla di male... per me non è una cosa
dell'altro mondo, il male è se tu vuoi un figlio biondo con gli occhi
azzurri, perché penso che nel mondo di questi psicopatici ne
possono anche esistere, ma se tu vuoi un bimbo sano... non vedo
veramente dove sta il problema, né nel nostro caso che è
paradossale né nei casi di altri ragazzi che abbiamo conosciuto,
cioè cosa fanno di male nel volere un bimbo sano... sono ben altre
le cose schifose che ci sono nella vita.... (ride)
La “vergogna” che si prova è per aver fatto qualcosa di
“male”, qualcosa che devia dalla normalità riproduttiva e
quindi da un comportamento considerato moralmente
lecito. Ma, come ben esplicato da Pizza, già da Durkheim
«discende una consapevolezza critica importante: la
normalità e l'anormalità non sono essenze ma, appunto
“norme” prestabilite» (Pizza, 2005, p. 78) e, come tali,
vanno comprese nella loro dimensione sociale e culturale
storicamente definita e costruita.
Queste coppie danno vita a una nuova forma di desiderio
riproduttivo, che risponde a una visione “diversa” della
genitorialità, e guardano ad una tecnica trasformativa come
la DGP come una espressione di impegno, obbligo,
possibilità e responsabilità riproduttiva «which is to
exercise a form of genetic contraception that will prevent
harmful genes being reproduced» (Franklin, Roberts, op.
cit., p. 176). Come suggerisce Franklin, un modo per
guardare alla relazione tra “tecnormatività” (fiducia nel
progresso scientifico come pratica per migliorare la
condizione umana) e la “bionormatività” (ciò che è
considerato biologicamente normale) è quella di esplorare
come le coppie considerino le diverse opzioni: «options that
do not involve the biological norm in which procreativity
77
physically confirms and “completes” conjugality, or options
in which this norm has to be refashioned» (ivi).
Come dimostrano le esperienze qui riportate la DGP emerge
come una delle opzioni desiderabili e una possibilità per chi
non vuole mettere al mondo un figlio malato; ma essa
rappresenta anche il primo passo che queste coppie
compiono verso altre direzioni, come la donazione dei
gameti o l'adozione.
Grazia: stiamo andando per gradi... il prossimo sarà
un'eterologa... il dottore oggi mi ha detto di non scoraggiarmi, che
per un'eterologa c'è sempre tempo...
Francesco: il discorso è che il tempo passa... questo giugno
saranno 4 anni che siamo sposati... e il desiderio... molti amici
sono già al secondo... c'è comunque un desiderio forte e aspettare
non è semplice... è semplice dire “hai ancora tempo provaci
ancora” ma... la scelta da parte sua di riprovare significa
aspettare ancora ed è pesante, non è semplice... e poi alla fine
passa il tempo, passano gli anni e poi magari è troppo tardi...
Grazia: hai difficoltà... io ho fatto un'isteroscopia e mi hanno
diagnosticato che ho una tuba chiusa [...] per me è stato un
profondo dispiacere, perché comunque quasi sicuramente è
legata, e anche qui ti viene da domandarti, il continuare a
provarci anche naturalmente e non ricorrere a queste tecniche
non è un bene né da un punto di vista psicologico né da un punto
di vista fisico, io non so se tre anni fa la mia tuba era chiusa...
Francesco: probabilmente no... aver avuto 4 gravidanze
naturali.... [...] probabilmente si è chiusa con l'ultimo
raschiamento...
Grazia: per cui alla luce di tutto questo... per noi veramente la
diagnosi preimpianto diventa fondamentale...
Ancora una volta il ricorso alla tecnica è preferito al metodo
“naturale” e viene ribadita l'ineluttabilità di questa scelta.
Se sei in coppia è impossibile, per queste persone, non
pensare ad avere un figlio, il “desiderio è forte e aspettare
non è semplice” anche perché il tempo, in queste prassi,
assume tutto un altro valore. Ma cosa succede quando
proprio questo desiderio di rafforzare un’unione attraverso
78
la nascita di un figlio, attraverso la realizzazione di un
ulteriore legame,
richiede la dissoluzione dell’unità
desiderante dei due soggetti coinvolti e richiama la
possibilità di fare ricorso alla donazione dei gameti?
ML: poco fa hai accennato al fatto che state pensando
all'eterologa, me ne parlate un po'...
Francesco: ne abbiamo parlato e lo stiamo prendendo in
considerazione... però poi come in tutte le cose in questo
momento è più lei per farla che io... io sarei più per tentare
qualche altra volta... la stiamo valutando... ci sono le due opzioni:
c'è l'eterologa con donazione di ovocita che dobbiamo prendere
in considerazione o l'altra alternativa sarebbe adottare un
embrione direttamente che è un'altra cosa che all'estero si può
fare... pesando pro e contro, il pro della donazione dei gameti è
che almeno un genitore, in caso di problemi, comunque è
conosciuto, dal trapianto di midollo a tutto quello che ti può
capitare nella vita, comunque aiuta... e quindi questa è la prima
perplessità... dall'altro c'è la prima reazione “non è un figlio mio”,
soprattutto del coniuge che...
ML: che non ci mette il gamete...
Francesco: esatto... anche se io non la vedo così, per me i figli
sono di chi li cresce l'unica differenza è che permetterebbe
rispetto ad un'adozione tutto il percorso della gravidanza, che
con un'adozione non hai... uno dei vantaggi che avrebbe quello
che dicevo prima di non fare passare ad un figlio gli stessi traumi
che stiamo vivendo noi perché supererebbe la traslocazione... ed
è una cosa che pesa nella genitorialità, è come non avere un figlio
talessemico... questa tecnica oggi permetterebbe di evitarlo,
quindi è una cosa che stiamo valutando...
Delle coppie intervistate per questa parte dello studio, solo
Grazia e Francesco si sono mostrati disponibili ad un
eventuale ciclo di PMA con donazione di gamete o di
embrione, perché “i figli sono di chi li cresce”. Questa
espressione appare molto spesso nelle parole dei nostri
interlocutori, soprattutto quando si tratta di coppie che
hanno optato per la fecondazione con donazione di gamete,
come avremo modo di vedere nelle pagine a seguire.
Paradossalmente, nel momento in cui si rilancia la necessità
di un legame biologico con il potenziale figlio, perché
conoscere almeno un genitore “in caso di problemi, dal
79
trapianto di midollo a tutto quello che ti può capitare nella
vita, comunque aiuta”, viene affermata un'interpretazione
“sociale” del fatto naturale: “i figli sono di chi li cresce”. A
nostro sentire, tuttavia, il ricorso ad una fecondazione con
donazione di gamete non può essere ridotto alla dicotomia
naturale/sociale,
proprio
perché:
«siamo
oltre
il
“costruzionismo sociale”: una volta che si problematizza il
dato naturale e scontato (il legame sesso- riproduzionenascita) si entra in un ambito in cui non ci sono certezze,
ma solo prospettive, soggettività”» (Gribaldo, op. cit., p.
118). Essendo oltre il “costruzionismo sociale” ed essendo
l'atto sessuale sostituito dal desiderio e dalla volontà
comune dei due coniugi di “cercare” un figlio, ciò che
importa, per queste coppie, è salvaguardare la loro unione.
É per questo motivo che, alla fecondazione con donazione di
gamete è preferita, nella maggior parte dei casi, l'adozione:
ML: non avete mai pensato di ricorrere all'eterologa?
Miriam: no, assolutamente, questo proprio l'ho escluso... non
critico, non giudico chi lo fa, perché poi bisogna anche trovarcisi
in una situazione..
Giovanni: esatto... cioè io posso arrivare ad una certa età, vedo
che non c'è nessuna soluzione, ci sono tanti bambini in giro che
hanno bisogno d'affetto, cioè non vado poi io a cercare la cosa per
forza, se hai provato per 10 15 volte... cioè io arrivato ad una
certa età una vecchiaia senza figli, secondo me è una cosa troppo
brutta...
ML: quindi comunque tu preferiresti l'adozione ad un figlio con
fecondazione eterologa...
Giovanni: a questo punto... per me... si.... cioè io non critico... poi
certo per una donna avere una gravidanza è la cosa più bella al
mondo...
Miriam: però io stessa, anche se lui mi dicesse si, non lo farei...
Giovanni: perché la cosa vedi, cioè, il matrimonio è l'unione, deve
essere una cosa di tutti e due, o di tutti e due o di nessuno,
almeno io la penso così, adottivo è di nessuno...
ML: è un tipo di genitorialità diversa...
Giovanni: si appunto.. io sta cosa non la vedo tanto...perché un
domani lei mi può dire questo è figlio mio...
Miriam: no vabbè...
80
Giovanni: cioè, almeno la donna può dirlo, è figlio mio, non è
figlio tuo...
ML: geneticamente...
Giovanni: perché lo ha partorito, invece così adottivo sappiamo
che è, insomma...
In una coppia dove l’identità genetica diventa il filo rosso di
tutta la vita e di tutte le scelte future, meglio di “nessuno”
che di uno solo. Anche Giovanna la pensa così:
ML: avete mai parlato della fecondazione eterologa?
Giovanna: No, quella non sono d'accordo...
ML: non la faresti?
Giovanna: No, no. Non la farei perché... qui noi lo facciamo perché
è mio figlio e figlio di mio marito, è vero che i figli non sono di chi
li fa ma di chi li cresce, però a quel punto preferirei un'adozione a
tutti gli effetti...
ML: anche tuo marito?
Giovanna: Si, si. Ma neanche gliela proporrei un'eterologa, per lui
non mi sembra... non so, giusto, corretto... alla fine è comunque
un figlio... cioè a quel punto mi sembra per forza di voler avere
una gravidanza a tutti i costi, essere madre per forza in una
maniera... come tutte le altre donne, pur portando in grembo un
figlio che è solo mio... cioè lui non avrebbe... cioè, voglio dire, si
affezionerebbe comunque però a quel punto preferirei fare
un'adozione, che comunque non è detto che non la facciamo, se
dovesse andare bene questo, se non avessi altre possibilità, se
non volessi di nuovo sottopormi a tutte le cure insomma, poi si
vedrà, comunque l'idea di un'adozione c'è...
Portare in grembo un figlio che non è espressione
dell'unione desiderante della coppia significherebbe “ voler
avere una gravidanza a tutti i costi, essere madre per forza
in una maniera... come tutte le altre donne”, un desiderio
non equilibrato, troppo sbilanciato da una parte. Il
desiderio quindi, che sta a metà tra la dimensione della
riproduzione (natura) e della scelta (cultura), deve essere
reciproco, altrimenti viene a cadere la dimensione fondante
di tutto l'iter che si è deciso di percorrere.
Vorremmo concludere questa parte dello studio dedicata
alla DGP con le parole di Franklin che, a nostro sentire,
81
riassumono molto bene sia le esperienze dei fruitori delle
biotecnologie riproduttive che i contesti di lotta all'interno
dei quali vengono negoziati i termini di queste esperienze:
«PDG thus esemplifies the increasingly common situation,
inextricabily tied to the power of modern medical
technology, in which is impossible to know which answers
or decision are “right”, and best practice must be based on
the quality of the decision-making process, which in turn
relies
upon
its
perceived
trustworthiness,
or
accountability» (Franklin, Roberts, op. cit., p. 209). A livello
più generale, riconoscere che nel campo della procreazione
possa sussistere un diritto alla libertà di scelta significa, in
primo luogo, guardare più da vicino e senza pregiudizi al
contesto in cui si realizzano e si formano storie di vita come
quelle qui narrate; ovviamente, questo non significa, come
ben suggerisce Pollo, «che vada accettata come “buona e
giusta” qualsiasi scelta, ma invece che saranno considerate
approvabili solo quelle scelte le cui ragioni morali
apprezzeremo» (cfr. Pollo, 2003).
82
2.3 La Fecondazione E(s)terologa
Questo terzo capitolo dello studio è volto ad indagare le
esperienze di quelle coppie che hanno scelto di avvalersi di
tecniche di PMA con donazione di gameti.
Queste coppie condividono con quelle protagoniste del
precedente capitolo l'esperienza di doversi rivolgere ad un
centro medico per poter realizzare il proprio desiderio di
genitorialità, ma con una differenza sostanziale. Mentre la
Corte Costituzionale Italiana è intervenuta positivamente
nel caso della DGP, altrettanto non si può dire per il caso
della fecondazione con donazione di gameti: queste coppie
devono ancora rivolgersi ad un centro estero per poter
usufruire di un trattamento che la legge 40/2004, come
detto, ha vietato16. Nei loro percorsi è quindi possibile
rintracciare
delle
precedentemente
analogie
narrate
–
con
le
esperienze
analogie
riguardanti
soprattutto gli aspetti emotivi e le pratiche poste in essere
dall'ingresso della tecnica nella sfera della riproduzione –
ma gli assunti e i presupposti che sono alla base di queste
scelte procreative sono, essenzialmente, differenti. Queste
coppie, diversamente dalle altre, vivono in primo luogo il
problema dell'infertilità. Cercheremo quindi, in un primo
tempo, di comprendere come abbiano scoperto questa
problematica e come abbiano maturato la decisione di
avvicinarsi alle tecniche di PMA e, in un secondo tempo,
come esse abbiano attribuito un senso alla loro esperienza e
alla scelta di ricorrere alla fecondazione assistita con
donazione di gameti. Il ricorso a tecniche di PMA e, nello
specifico, la fecondazione con donazione di gamete, ci
16
Legge 40/2004, Capo II, Articolo 4, comma 3.
83
permette inoltre di elaborare un discorso più ampio su
come tali scelte vengano negoziate all'interno di contesti
culturalmente informati e come esse, a loro volta, siano
agenti di cambiamento all'interno di questi contesti perché,
come sottolineano Franklin e Ragoné, «technology is not an
agent of social change: people are» (Franklin, Ragoné, 1998,
p. 5).
Come abbiamo visto sin dall’inizio del nostro lavoro, la
medicalizzazione della riproduzione – congiuntamente alle
nuove prassi che essa pone in essere ed ai nuovi soggetti
etici che contribuisce a realizzare – mette in evidenza tutta
una serie di cambiamenti che coinvolgono le definizioni di
“natura”, “vita”, “corpo” e “genitorialità”; collocare il
cambiamento delle definizioni culturali della riproduzione
nel contesto della loro articolazione vissuta permette di
comprendere come lo stesso concetto di “parentela”, per
anni al centro degli interessi degli antropologi, venga
ridefinito e continuamente negoziato.
Le narrazioni qui analizzate derivano dall'esperienza di tre
coppie che si sono avvalse di tecniche di PMA con
donazione di gameti e che hanno gentilmente accettato di
farsi
intervistare
per
questo
studio.
Il
numero
estremamente esiguo di casi rappresentati deriva dalla
grande difficoltà incontrata sul campo nel reperire coppie
disponibili a raccontare la loro esperienza passata o
presente17. Ed è qui riscontrabile un'ulteriore differenza
con coloro che, invece, si avvalgono delle tecniche di PMA
per poi poter fare dei test genetici sugli embrioni: Sandra e
Desideriamo qui fare una precisazione di tipo metodologico. Questo
lavoro è frutto di una lunga “osservazione partecipante” all’interno del
centro medico HERA di Catania. Nel corso dei mesi non sono quindi
mancati incontri informali e lunghe chiacchierate con i pazienti in sala
d’aspetto in merito ai trattamenti, alle esperienze, alle scelte ed ai
percorsi di ciascuno di loro. Tuttavia, per ragioni “scientifiche”,
preferiamo qui riportare solo le interviste registrate e trascritte, che
allegheremo in appendice.
17
84
Davide, Miriam e Giovanni, Grazia e Francesco, Alessandra e
Paolo, Giovanna e Antonio, Silvana e Giacomo si sentivano
deprivati, dalla legge italiana, di un diritto, un diritto morale
alla libertà procreativa, un diritto di scelta: il diritto di poter
mettere al mondo un figlio sano. Per queste coppie,
portatrici di malattie genetiche, il non poter accedere a
tecniche di diagnosi genetica veniva percepito come
“un'assurdità” e come la violazione di un diritto per il quale
è giusto lottare e, come diceva Sandra, “metterci la faccia”.
Invece, quando si tratta di tecniche con donazione di
gamete, la tutela della privacy è la parola d'ordine. Questo
dipende non solo dal contesto della ricerca stessa, un centro
di PMA in cui convergono persone da tutta la Sicilia e non
solo, ma, in generale, dalle pratiche discorsive poste in
essere dalle istituzioni, statali ed ecclesiastiche, e dalle
rappresentazioni pubbliche delle nuove possibilità di
procreazione che le biotecnologie offrono. Come dirà
Ludovica, “siamo un Paese abbastanza tradizionalista”...
Abbiamo affermato più volte nel corso di questo lavoro che
le pratiche riproduttive sono pratiche prettamente culturali
e, come tali, permettono di elaborare – tramite l'analisi di
specifici orizzonti interpretativi – delle più ampie
teorizzazioni su un universo che si allontana sempre di più
dalla sfera del privato, del personale, della mera biologia,
per rivestirsi di un carattere pubblico e sociale: come
pratiche incorporate esse contribuiscono a ridefinire
continuamente il significato stesso dei “fatti di natura”,
svelandone
il
carattere
arbitrario,
storicamente
e
culturalmente costruito.
Ma andiamo a guardare un po' più da vicino le narrazioni e
le esperienze di Marialuisa, 38 anni, Ludovica, 42,
Margherita e Fausto, “oltre i 40”, che possono svelare molto
sui due processi che, come sottolineato in apertura di
85
questo lavoro, stanno al cuore delle società contemporanee:
la culturalizzazione della natura e la naturalizzazione della
cultura.
Non è nostro interesse indagare l'esperienza dell'infertilità
in se stessa, per quanto non si possano eludere né il
carattere drammatico di questa condizione né i suoi risvolti
negativi da un punto di vista emotivo; essa viene qui presa
in considerazione come luogo di origine di specifiche
pratiche e scelte culturali, che prendono il via da un dato
biologico che acquista forma di realtà.
La scoperta dell'infertilità è un avvenimento doloroso,
difficile da accettare e da comprendere:
Ludovica: Io ho 42 anni, mio marito 3 di più, ci siamo sposati nel
2001 in età un po' avanzata quindi, e dopo tre anni circa, quattro,
abbiamo deciso di mettere mano per un baby, ma vedevamo che
dopo due anni non andava in porto niente... ogni mese era un
dramma: “oh guarda il ciclo” (ride)... poi ci siamo rivolti a un
centro e lì ci siamo accorti, facendo delle indagini, che mio marito
era affetto da una azoospermia, probabilmente provocata da un
intervento che lui ha fatto quando era piccolo, in tarda età però
diceva l'andrologo, per cui questo intervento fatto in tarda età ha
causato questa sterilità totale, anche facendo una cura i dottori
sostenevano che non avrebbero ricavato alcun risultato positivo
da un punto di vista della fertilità per cui, inizialmente ci siamo
un po'... eravamo disorientati...
Marialuisa: mio marito e io ci siamo sposati nel 90 e... ho fatto
delle analisi, diciamo così, prima di sposarci, però a livello di
analisi del sangue... lui ad esempio non ha fatto l'esame dello
sperma, non le ha fatte, perché magari tu non vai a pensare che
magari ci può essere un problema o che ci può essere qualcosa...
niente... infatti io ho preso l'anticoncezionale per sei anni... e
quindi dopo sei anni avevamo deciso di avere un bimbo e invece...
diciamo non veniva fuori questo bimbo (ride)... e niente, allora
abbiamo iniziato praticamente a fare tutti degli accertamenti,
delle cose... abbiamo capito che poteva esserci qualcosa in mio
marito che non andava... e infatti poi abbiamo scoperto che c'era
una azoospermia e... i primi tempi è stata un po' dura, perché
magari tu non riesci subito ad accettare.. io, sinceramente... non
riesci subito ad accettare però... a me faceva più male il fatto che
mio marito non riusciva ad accettare questa cosa, non tanto la
voglia di avere un figlio, quella è inutile nasconderla, però...
86
Venire a conoscenza, tramite specifici esami diagnostici, di
non essere in grado di mettere al mondo dei figli “è dura,
perché non si riesce accettare subito” e ci si trova
“disorientati”. La “ voglia di avere un figlio”, che non si può
“nascondere”, e la scelta di volere un figlio, “mettere mano
per un baby”, s'infrangono quindi contro il muro
dell'infertilità. Prima della sua scoperta la capacità di
riprodursi , come parte di un “normale e naturale” ciclo
della vita, è assunta come indiscutibile:
“tu non vai a
pensare che magari ci può essere un problema o che ci può
essere qualcosa, infatti io ho preso l'anticoncezionale per
sei anni”. In questo senso è possibile parlare della scoperta
dell'infertilità come di una vera e propria “crisi della
presenza”, così come questo concetto è stato proposto ed
elaborato da De Martino. Lo storico delle religioni ed
etnologo indica con il concetto di “presenza” la capacità
propria dell'uomo di riunire le memorie e le esperienze per
poter rispondere in maniera adeguata a una determinata
situazione storica mediante l'azione, questo «definisce
insieme la presenza come ethos fondamentale dell'uomo e
la perdita della presenza come rischio radicale a cui l'uomo
– e soltanto l'uomo– è esposto» (De Martino, 1975, p.15).
La “presenza” viene quindi a configurarsi come un vero e
proprio stato etico – nell'accezione greca del termine έθος –
che permette a ciascun individuo di poter agire mediante il
suo corpo nel mondo: «tale capacità è data dalla
potenzialità del corpo di incarnare la realtà rendendola
ovvia:
è
nella
minimale
quotidianità
di
gesti
apparentemente automatici, perché appresi e naturalizzati
attraverso il corpo, che si realizza l'appaesamento nel
mondo, ed è al contrario la perdita di questo rapporto di
“oggettivazione della realtà” che funge da detonatore di una
“crisi della presenza”» (Pizza, op. cit., p. 40) .
87
La malattia, secondo De Martino, rappresenta uno di quei
momenti «critici dell'esistenza» (De Martino, 1995, p. 117),
proprio perché essa riconfigura le forme corporee di
appaesamento dell'individuo nel mondo. La “crisi della
presenza”– il venir meno della possibilità di esserci, di agire
nel mondo e, nel nostro caso specifico, di riprodursi –
rappresenta quindi il momento di rottura con ciò che viene
percepito e sembra costituito come “normale”, “naturale”,
“dato”, “oggettivo”. Prima di allora, questa dimensione
oggettuale della realtà e del mondo non è mai messa in
discussione; nel momento critico dell'esistenza «la presenza
è chiamata ad esserci con l'impiego pronto ed adattato della
sua capacità di scelta e di decisione» (ivi). Uomini e donne
sono quindi chiamati ad attribuire un senso all'esperienza
di sofferenza che stanno vivendo, rinegoziando i termini
della loro “presenza” nel mondo mediante nuove azioni e
nuove pratiche: è in questo senso che si può parlare della
scoperta dell'infertilità come di una condizione che
ridefinisce le forme di essere nel mondo, proprio perché
essa chiama gli individui alla negoziazione di nuovi tipi di
scelte e decisioni. Dare senso a una nuova strada, tuttavia,
non è semplice. Per una coppia che vive il problema
dell'infertilità attribuire un senso a questa esperienza è un
processo lungo e doloroso, durante il quale devono essere
ridisegnati i piani, le aspettative e le speranze per il futuro.
Non bisogna tuttavia dimenticare come questo processo,
personale e privato, sia legato a doppio filo con altro tipo di
processo
che
investe
il
corpo
biologico
dell'era
contemporanea: la medicalizzazione della “nuda vita”.
Secondo Ragoné questo processo di medicalizzazione si
sviluppa a tre diversi livelli:
88
«conceptually, institutionally and within the doctor-patient
relation. Conceptually, medicalization occurs when a
process or condition is defined as a medical problem.
Institutionally, it occurs when medical professionals
legitimize the problem at hand as medical issue. Within the
doctor-patient relationship, medicalization occurs when an
individual is diagnosed and treated for a problem» (Ragoné,
Willis, 2000, p. 308) . Nel processo di attribuzione di senso
all'esperienza di infertilità vissuta, una coppia non può
quindi prescindere dal contesto biomedico all'interno del
quale tale condizione è prodotta. Le pratiche, le scelte e le
azioni che ne derivano devono quindi confrontarsi con i
nuovi tipi di possibilità che le tecniche di PMA, nate proprio
come risposta al problema dell'infertilità, pongono in
essere. La narrazione di Marialuisa ci permette proprio di
evidenziare questo legame a doppio filo tra le pratiche
discorsive della biomedicina, le possibilità che essa offre e
le scelte individuali:
Marialuisa: dopo la botta [la scoperta dell'azoospermia] ci siamo
buttati subito in questa avventura e abbiamo iniziato, diciamo, a
vedere con delle cure che doveva fare lui, però non c'è stato
verso, insomma, nulla da fare... poi mio marito ha fatto una
biopsia testicolare qui a Catania, dove avevano trovato spermatiti
e spermatogoni, per questo noi all'inizio, diciamo che abbiamo
insistito su questa cosa... però diciamo che qui non c'erano delle
tecniche molto approfondite quindi poi siamo stati a Roma... e
quando lì hanno visto questa biopsia hanno detto che si poteva
tentare qualcosa, perché aveva un FSH che rientrava nella norma
e hanno provato con questa cure stimolanti per l'uomo ecc... e
quindi facevano questa cosa ma poi non andava bene...alla fine ci
siamo fermati... e allora abbiamo deciso di viaggiare... (ride),
alternativa... (ride), e abbiamo viaggiato un bel po', però alla fine
ti rendi conto che comunque qualcosa ti manca... ugualmente...
cioè queste sono cose futili, che tu puoi avere e puoi fare quando
ti va... allora abbiamo avuto un momento molto lungo di
riflessione e ci avevano detto se volevamo provare l'eterologa... in
un primo momento diciamo che io...
ML: non te la sei sentita...
89
ML: no, non me la sono sentita... allora... cioè non lo so se non me
la sono sentita, oppure volevo provare però mi dispiaceva per
lui... diciamo... e insomma non l'abbiamo fatta... e abbiamo...
I: indovino: continuato a viaggiare?
ML: esatto... (ride). Però poi ad un certo momento ci siamo
fermati e abbiamo detto “questo è il momento”... ci siamo fatti
una vacanza (ride) in cui abbiamo riflettuto su questa cosa e... è
uscito fuori che stiamo provando per l'eterologa...
L'infertilità, come condizione che non permette la
realizzazione di un evento sperato – la nascita di un figlio –
apre prospettive diverse, si cercano delle “alternative” per
colmare un vuoto pressante, perché “alla fine ti rendi conto
che comunque qualcosa ti manca”. La scoperta di una
condizione biologica negativa, nel racconto di Marialuisa,
emerge nella sua realtà negoziata tra le pratiche poste in
essere dagli individui e quelle della biomedicina: due dati
“oggettivi” – la presenza di spermatiti e spermatogoni nel
liquido seminale e un livello di FSH “normale” – fanno
pensare a una possibile cura,“ per questo all'inizio abbiamo
insistito su questa cosa che però non portava a nulla”.
Insistere nella direzione di un preciso percorso diagnostico
e terapeutico è, per il Dottor Venti, andrologo del centro
HERA, un modo attraverso cui gli uomini dimostrano alle
proprie compagne di “aver fatto tutto”:
Dottor Venti: l'atteggiamento dell'uomo è, prima di accettare una
diagnosi di infertilità, di farsi fare tutte le indagini e le torture
possibili ed immaginabili... quindi è un sacrificio totale dell'uomo
che dimostra a questa compagna che ha fatto tutto... comprese le
cose più cruente, dal prelievo in anestesia locale che comunque si
sente il dolore fino alla biopsia, a quel punto passa ad accettare la
donazione del gamete, però prima vuole dimostrarlo
assolutamente... raramente ci sono coppie che, perché certe volte
lo sappiamo che è inutile andare a fare certe indagini per vedere
se ci sono spermatozoi come la biopsia del testicolo in anestesia
generale con dolori e fastidi, lo sappiamo perché ci sono dei dati
che ce lo dicono, glie lo diciamo ai pazienti che è inutile fare
queste trafile ma loro vogliono farlo ugualmente per dimostrare
di aver fatto tutto, perché vogliono dare questo messaggio alla
compagna...
90
Torna nuovamente l'idioma del “sacrificio totale”, ma
stavolta applicato a un corpo maschile: il desiderio di avere
un figlio non può trovare ostacoli ed è necessario
dimostrarlo in maniera assoluta mediante la “verità” dei
discorsi medici e dei suoi dati “oggettivi”. Ma l'idioma del
sacrificio torna anche nelle parole di Ludovica:
Ludovica: sono sacrifici enormi, già è un sacrificio recarsi a un
centro della tua città... cioè accettare di concepire un bambino...
con dei metodi che sono al di fuori degli schemi naturali... io sono
la quinta figlia di sei e mia mamma non ha mai avuto problemi, le
mie sorelle neanche e... quindi già è una cosa enorme accettare
questo... quindi recarsi in un centro, rivolgersi, parlare dei tuoi
problemi molto intimi, credo che siano molto intimi (ride),
perché devi condividere il problema della coppia con tanti
medici, anche perché non è sempre lo stesso a seguirti... già
quindi è un grande passo condividere con un centro... e accettare
un metodo di fecondazione che è del tutto innaturale...
ML: perché è “innaturale”?
Ludovica: perché non avviene con fenomeni naturali (ride)....
Accettare l'infertilità è difficile, soprattutto se si compara la
propria situazione con la naturalità con la quale la
riproduzione
“normalmente”
avviene;
condividere
quest'esperienza, rivolgersi a un centro, pensare a tecniche
del “tutto innaturali” per concepire un figlio “è una cosa
enorme da accettare”. Tuttavia, ricorrere alle tecniche
sembra essere “l'unico modo” per bypassare il problema,
l'unica “speranza” possibile:
Dottor Venti: anche il dover dire che bisogna per forza ricorrere
alla fecondazione assistita non è facile perché uno che pensa che
(fare un figlio) è la cosa più naturale del mondo, non è una cosa
facile da accettare... però il fatto che ci sia, che si da una speranza,
già compensa questa brutta notizia, ma non è facile...
Ludovica: inizialmente ci siamo un po'... eravamo disorientati,
perché lì per lì devi decidere se intraprendere l'adozione oppure
avere un bambino che per metà... (ride)
ML: geneticamente...
Ludovica: per metà che appartiene alla coppia... dato che mio
marito mi ama parecchio e voleva a tutti i costi una bambina che
assomigliasse a me (ride)... insomma con peculiarità caratteriali,
91
somatiche, abbiamo deciso di intraprendere l'eterologa... e per
l'eterologa, come lei sa, in Italia è vietata... perché abbiamo il
Papa (ride) che decide parecchie cose quindi... e sai benissimo, o
credo immagini, le difficoltà, perché a questo punto ti devi
rivolgere all'estero, quindi difficoltà di lingue, difficoltà a livello
psicologico, perché devi accettare questa realtà, ti devi spostare
fuori dal tuo paese, devi spendere dei soldi, sempre se... il tutto va
bene.
ML: quindi avete deciso subito per l'eterologa?
Ludovica: si... perché credo che sia l'unica scappatoia... per avere
un bambino... forse... perché io metto sempre il forse
(ride)...Adesso siamo più tranquilli, anche mio marito è molto
tranquillo, molto felice, anche perché credo che abbia capito che
è l'unica possibilità per avere, lui, un bambino ora... e poi
chiaramente per il futuro non lo sappiamo...
L'unica “scappatoia” possibile al problema dell'infertilità,
per questa coppia, è quella offerta dalle tecnologie della
speranza. Dopo aver accettato questa “realtà”, processo
arduo e complesso, le difficoltà non sono ancora finite. In
Italia, come detto, la legge 40/2204 vieta la fecondazione
con donazione di gameti, per Ludovica perché “c'è il Papa
che decide molte cose”, costringendo coloro che vogliono
usufruire di questa tecnica a recarsi presso un centro
estero, con tutto ciò che ne consegue: problemi di lingua,
alti costi economici e, non di secondaria importanza, la
rinuncia al rapporto che si viene ad instaurare con i medici
del centro dove si fa la preparazione alla tecnica. Come
abbiamo visto anche nel paragrafo precedente dedicato a
coloro che si rivolgono ad un centro estero per eseguire dei
test
genetici
sugli
embrioni,
attribuire
un
senso
all'esperienza vissuta, che sia essa una malattia genetica
trasmissibile o la condizione di infertilità, è un processo in
cui la struttura e gli operatori medici hanno un ruolo di
primaria importanza, proprio perché essi contribuiscono
attivamente al processo di costruzione di significato
dell'esperienza stessa. Doversi trasferire in un centro estero
significa anche rinunciare a tutto questo:
92
Ludovica: non è la stessa cosa, lì (nel centro Svizzero dove farà la
tecnica) non sono come qua... noi siciliani abbiamo dei modi di
affabilità di invogliare le persone, di coinvolgerle, loro sono
troppo schematici, il timbro di voce... qui, quando le ragazze mi
chiamano al telefono, sono gioiose (ride)... poi (i medici) ti danno
la pacca sulla spalla (ride), lì invece la mano... c'è questa
distanza... già affrontare questa problematica non è... poi
affrontarla così, senza un briciola di umanità e per giunta
dovendo sborsare tanti soldi... qui va meglio... questo aspetto
umano lo recepisci... il medico che ti rincuora, ti sta accanto,
anche come ti parla, il timbro di voce...
Un altro aspetto paradossale della legge è il divieto per i
medici di fornire informazioni sulle “tecniche proibite”18:
Dottor Venti: noi per legge non possiamo dire “faccia l'eterologa”,
il discorso viene preso alla larga e deve essere detto in maniera
molto soft, a prescindere dal discorso della legge, non puoi dire
“faccia la donazione”, perché non puoi sapere chi hai davanti, se
uno che l'accetterebbe oppure no, c'è poi la possibilità fuori per
chi lo vuole, facciamo capire, di fare questa scelta...
Dottoressa Alecci: la DGP o l'eterologa sono soluzioni che devono
essere presentate, poi è la coppia a decidere. Solo che in questo
momento non sappiamo mai come ci dobbiamo comportare,
perché non la possiamo fare e allo stesso tempo non potremmo
indirizzare verso i centri esteri, non si capisce più niente di
quello che dovresti fare... ma, eticamente, si può accettare che io
ho un'informazione e non te la do perché non voglio nemmeno
che tu faccia la tecnica fuori? La realtà poi è diversa... la realtà è
che in Italia hanno fatto dei gemellaggi con i centri esteri e ci
stanno mangiando sopra...
I limiti imposti dalla legge incidono profondamente sulle
prassi etiche dei clinici. Questi due diversi passi delle
interviste ci permettono di mettere in luce due aspetti
distinti ma complementari della realtà odierna. In primo
luogo l’etica della professione che informa il lavoro di questi
medici: il rispetto per il vissuto dei pazienti (“a prescindere
dal discorso della legge, non puoi dire «faccia la donazione»,
perché non puoi sapere chi hai davanti, se uno che
l'accetterebbe oppure no”) e i dubbi che vanno ad incrinare
l’epistemologia più profonda del sapere e delle prassi degli
18
Legge 40/2004, Capo V, Articolo 12, comma 6.
93
specialisti (“eticamente, si può accettare che io ho
un'informazione e non te la do perché non voglio nemmeno
che tu faccia la tecnica fuori?”). In secondo luogo, ma non
per importanza, la limitazione per legge di queste tecniche
ha subito scatenato la corsa all’inganno della norma: molti
centri italiani stanno speculando sulle imposizioni del
legislatore, come sottolineato dalla Dottoressa Alecci, e
percepiscono una percentuale sul costo delle tecniche
effettuate
all'estero
in
centri
“gemellati”.
Questa
speculazione economica sulle tecniche procreative, questo
“mercato della riproduzione”, è solo l’epitome di un ben più
ampio “mercato dei diritti”; come ben sottolinea Rodotà, al
giorno d’oggi «il soggetto si trova a poter disporre di un
“patrimonio dei diritti” che può spendere, esercitare in
luoghi diversi, ricercando proprio quelli dove non esistono
divieti o limitazioni che ostacolano le libere scelte delle
persone. E proprio la possibilità di agire in una dimensione
che si dilata, fino a coincidere con il mondo, rende
problematiche
molte
limitazioni
dell’autonomia
dei
soggetti, perché ormai ogni restrizione nazionale è
destinata ad entrare sempre più in concorrenza con le
discipline meno rigide offerte da altri paesi» (Rodotà, op.
cit., p.55). Non a caso, famosi e rinomati medici del
panorama italiano della PMA, si sono direttamente trasferiti
all'estero:
Dottor Guglielmino: pensa a quanti hanno sfruttato la legge...
Antinori, che era quello che durante la campagna referendaria se
ne andava in giro per le televisioni a dire che lui clonava il
mondo, si è fatto un centro a Mosca dove si pagano ventimila
euro per fare un'ovodonazione, per cui per questi qua avere la
legge è una manna... loro pigliano 100 donne in tre mesi, se le
portano a Mosca e vedi quanto guadagnano...
Il bisogno del riconoscimento di un diritto riproduttivo, un
bisogno percepito come profondo, spinge quindi i soggetti
94
della contemporaneità a individuare i luoghi in cui tale
diritto
è
riconosciuto;
tuttavia,
molto
spesso,
il
riconoscimento di un diritto non va di pari passo con la
reale tutela del soggetto titolare di quel diritto. Aprire il
mondo della procreazione al mercato significa, in prima
istanza, esporlo ad un processo di mera mercificazione,
proprio perché, per antonomasia, i soggetti economici
svolgono la propria attività soprattutto in quei luoghi dove
può realizzarsi il massimo profitto con il minimo controllo
da parte delle autorità competenti (Rodotà, op. cit., p.56).
Ciò significa esporre i fruitori delle tecniche a una mancata
tutela del proprio diritto alla salute costituzionalmente
sancito perché – come molte delle persone intervistate per
questo studio hanno raccontato – poco si sa del centro
estero in cui ci si reca (soprattutto per quel che riguarda i
centri dell’Est Europa, i più “economici”, in cui i sistemi di
reclutamento dei donatori di gameti non sono molto chiari
e le legislazioni nazionali in merito non forniscono
indicazioni precise). Bisogna quindi sottolineare come
questa «biocittadinanza dei diritti» abbia una base
fortemente censitaria, con essa si assiste al ritorno della
«relazione diretta tra reddito e godimento effettivo di un
diritto» (Rodotà, op. cit., p.57): soltanto chi è in grado di
investire un’ingente quantità di denaro può realmente
godere del diritto ad una libertà procreativa altrimenti
negata dallo Stato italiano. Ma, come detto più volte, una
delle peculiarità delle biotecnologie è proprio quella di aver
reso sempre più incerta la riproduzione: le percentuali di
riuscita sono molto basse soprattutto perché, come
abbiamo avuto modo di vedere, si arriva alla scelta di una
fecondazione con donazione di gamete dopo un lungo lasso
di tempo e alcune condizioni biologiche – come l’età della
donna o la “qualità” dei gameti prodotti – influiscono
95
notevolmente sull’intero processo procreativo. Il più delle
volte un solo tentativo non basta e i costi crescono:
Marialuisa: il problema fondamentale sono i soldi... perché questa
cosa ti distrugge... guarda, quando ancora c'era la lira non so se in
tutto avremmo speso un cinquanta milioni... e ora, questa cosa di
andare fuori... è antipatico... cioè a livello economico più che
altro... perché se a me questa cosa mi costava due lire non me ne
fregava nulla... però a livello economico... t'ammazza! Fai conto
che abbiamo speso 3700 solo per la tecnica, ora ci fanno lo
sconto, 3400... (ride) di cui 1725 abbiamo già fatto il bonifico e...
facendosi due conti... non è che li troviamo nel pozzo...
Ludovica: noi, escludendo tutte le spese di trasporto, vitto e 'ste
cose qua, ci costerà, solo la tecnica, 4400 euro... addirittura io la
preparazione la sto facendo a Catania infatti gliel'ho fatto notare
a quelli di Lugano, quindi io spenderò dei soldi a Catania e non
occuperò i laboratori e le sale lì... e loro mi hanno detto che
ugualmente... anzi “se vuole viene a stare qua un mese, fa le sue
terapie, la preparazione, i dosaggi ormonali”... e il prezzo è
sempre quello... in caso di tentativo successivo toglierebbero solo
400 euro... e poi tu immagina, metti l'aereo, metti l'hotel... e poi
siamo in due quindi tutto è raddoppiato... chiaramente la tecnica
no (ride) perché la farò solo io... anche se qui, al centro HERA, mi
hanno detto almeno due volte... quindi calcola in tutto 10000
euro...
Margherita: non tutti se lo possono permettere...
Fausto: non è che noi avremmo potuto fare altri tentativi, perché
diciamo che le nostre riserve...
Margherita: ma ci sono quelli che non possono fare nemmeno
quello che abbiamo fatto noi..
Fausto: infatti... noi siamo già al limite... infatti noi diciamo che
con i due tentativi che abbiamo fatto, tra tutto, tra viaggi e tutto,
se ne sono andati 10000 euro... quindi non è che abbiamo delle
riserve infinite...
Qualora il centro in cui si effettua la preparazione in Italia
non sia già “gemellato” con uno straniero, non poter fornire
delle informazioni dettagliate significa, per i clinici,
demandare alla buona volontà della coppia la ricerca di un
centro in cui procedere con il trattamento. Questo vuoto,
lasciato dalla figura del medico, è stato rimpiazzato da
Internet:
96
Ludovica: i centri non possono darti informazioni, perché credo
che sia legalmente punibile, ci sono delle penalità pazzesche, qua
dovrebbero chiude tutto HERA (ride) e continuare a pagare per
anni e anni... hanno delle sanzioni pazzesche... chiaramente loro
hanno le mani legate... infatti loro ci hanno detto: “collegatevi ad
internet”... noi molte informazioni non le abbiamo trovate dentro
il centro, ma consultando Internet... perché lì ci sono le lettere, ci
cono le ragazze che rispondono ai quesiti, ci sono le ragazze che
si preparano alla terapia, quindi ti scrivono tutto... c'è tutta Italia
che scrive e collegarsi ad internet è bello anche per questo,
perché tu dalle esperienze degli altri poi te ne fai una tu, però
chiaramente in queste situazioni ci devi stare dentro, perché è
una situazione che tu reagisci con il tuo carattere,
individualmente, certo gli altri si, ti danno una guida perché ti
dicono “devi fare quello, questo e quest'altro”, però aiuta...
Una delle peculiarità delle comunità biosociali della
contemporaneità è proprio questa: esse sono per lo più
comunità “virtuali”, che si sviluppano nello spazio
elettronico della Rete e che realizzano nuove forme di
«biocittadinanza digitale» (Rose, 2007; trad.it. p. 216)
proprio perché, molto spesso, esse rappresentano i mezzi
attraverso i quali gli individui agiscono sul più ampio
contesto biopolitico per la rivendicazione di certi diritti.
Non dobbiamo infatti dimenticare che tutte le richieste di
modifica della legge italiana sulla disciplina delle tecniche di
PMA – sia quelle presentate a livello nazionale che quelle
inoltrate a livello europeo – sono state avanzate da legali
che agivano per conto di associazioni di pazienti. Inoltre,
queste forme di attivismo su base biosociale riconfigurano
in modo significativo anche i rapporti di sapere/potere
all’interno della relazione medico-paziente, proprio perché i
fruitori delle tecniche non sono più soggetti passivi ma, al
contrario, costruendosi e percependosi attraverso un’etica
somatica della responsabilità e dell’autonomia, diventano
essi stessi degli “esperti profani”: «questi esperti profani
utilizzano i forum elettronici non solo per comunicarsi
reciprocamente delle conoscenze, ma anche l’aspetto
quotidiano delle cure, come gli effetti collaterali delle cure
97
[…]. Gli esperti profani sono quindi anche “esperti per
esperienza” in quanto generano ed utilizzano il loro stesso
sapere, e le comunità in rete diventano strumenti di
mediazione, organizzazione, raccolta e cura di conoscenza,
non solo sulla condizione vissuta, ma anche sulle forme di
vita necessarie per convivervi» (Rose, op.cit., p. 202).
Questa forma di «biocittadinanza digitale» è, a differenza di
molte altre, maggiormente egualitaria: l’inclusione in
queste comunità biosociali è demandata all’autonoma
volontà dei soggetti di aderirvi o meno e, come detto, esse
rappresentano un valido mezzo di aiuto e sostegno per
coloro che vivono un’esperienza di sofferenza. Condividere
la propria esperienza diventa importante, soprattutto in un
contesto come quello delle biotecnologie che, ponendo in
essere nuovi tipi di scelte, porta coloro che ne usufruiscono
a porsi continuamente delle domande. Confrontarsi con
altre coppie non significa elaborare un giudizio di merito
riducibile alla dicotomia giusto/sbagliato sulla scelta da
operare, ma, più che altro, permette di riflettere sulla
qualità stessa del processo di decisione e sulla capacità di
attribuire un senso alla personale esperienza vissuta. Non si
cercano risposte, si cercano le stesse domande:
Marialuisa: io andavo spulciando su Internet, sono entrata in un
forum e lì ho cominciato ad avere conversazioni con ragazze della
mia età, anche un po' più grandi e un po' più piccole, anche loro
andavano all'estero per fare l'eterologa e... diciamo che questo
forum dove sono entrata, diciamo che ti fa un attimino... parlare
con qualcuno... e leggendo sul forum vedevo che c'era gente che
aveva già fatto l'eterologa la prima volta e che la stava rifacendo
“speriamo che posso fare un compagnetto a mio figlio” dicevano
alcuni, “mio marito è molto contento, mio marito è molto sereno”,
insomma... insieme (lei e il marito) leggevamo queste cose e lui
un giorno mi fa: “ma scusa, perché non proviamo?”
È difficile attribuire un significato all'esperienza di
infertilità vissuta. È qualcosa di cui è difficile parlare, sia
con i medici che con i famigliari:
98
Dottor Venti: soprattutto nella nostra cultura meridionale è
sentito questo shock di non poter procreare, di dover ricorrere a
queste tecniche per motivi maschili, ormai frequentissimo, è
spesso nascosto... non è detto nemmeno ai famigliari...
Ludovica: ci sono stati tanti discorsi, discussioni, a volte anche
con i parenti però... un po' velato perché noi non abbiamo detto la
verità, perché lei sa che siamo in un paese parecchio
tradizionalista quindi parecchi genitori non avrebbero condiviso
al 100% questa scelta. Quindi noi velando questa realtà e
ipotizzando in caso di sterilità totale una possibilità di eterologa
cercavamo di strappare (ride) dai parenti un'idea...
ML: e in famiglia ne avete parlato o lo avete tenuto per voi?
Marialuisa : no... credo che sia una cosa “propria”... perché magari
questa è una situazione che tu non ne parli con nessuno, perché
io perlomeno... cioè, noi siamo una coppia che, ti ripeto, nella
nostra famigli ci amiamo, ci vogliamo bene, però le nostre cose
sono giustamente le nostre cose...
I discorsi con i famigliari sono “velati”, c'è riserbo sulle
“cose proprie”, forse perché, come suggerito da Ludovica,
ricorrere a una tecnica di PMA con donazione di gamete è
una scelta difficile da condividere con chi non ha mai
provato l'esperienza dell'infertilità; a livello generale, poi,
mentre l’intervento medico nel processo procreativo gode
oramai di una certa accettazione sociale, il contributo
“esterno” alla riproduzione è percepito dal sentire comune
come qualcosa di disdicevole o, comunque, di negativo:
“perché siamo un paese parecchio tradizionalista”, come
dice Ludovica. Sembra quasi che la medicalizzazione della
riproduzione, nonostante tutto, non sia riuscita a scalfire
quei processi di traduzione del
dato biologico in dato
simbolico
complesse
che
portano
alle
forme
di
regolamentazione sociale della parentela e che orientano i
comportamenti e le rappresentazioni di intere società. Ma
cosa significa parlare di parentela e di famiglia al tempo
della procreazione postmoderna? Cercheremo di tracciare,
nelle pagine a seguire, dei percorsi per poter pensare la
99
famiglia al tempo del genoma: un modo di far famiglia che
esiste già, ma che non riusciamo ancora a concettualizzare.
In primo luogo è necessario stabilire cosa si intenda per
parentela. La disciplina antropologica ha avuto, nel corso
della sua storia, un interesse analitico – quasi “ossessivo"
(Coward, 1983) – nei confronti della parentela, dei termini
per definirla, del concepimento, della consanguineità, della
filiazione, della riproduzione e, più in generale, di tutti
quegli aspetti socio-culturali concernenti i “fatti della vita”.
Uno degli studi più interessanti sulla parentela occidentale
è stato condotto da Schneider alla fine degli anni sessanta
del Novecento; per l’antropologo americano la famiglia era
un’unità di parentela il cui contenuto culturale aveva una
base relazionale: essa era, allo stesso tempo, sessuale,
procreativa e biogenetica. Possiamo ritenere valida parte di
questa concettualizzazione anche – e soprattutto – per
coloro che decidono di avvalersi delle biotecnologie per
avere un figlio:
Marialuisa: noi sentiamo il bisogno di un bimbo per casa... perché
non so... è una specie di completamento... perché noi abbiamo
tutto ma ci sentiamo incompleti, come famiglia proprio... e ora lo
desideriamo tanto...
La filiazione, quindi, si configura come elemento costitutivo
del legame di parentela, sancita altrimenti solo dal diritto
positivo o da scelte fideistiche attraverso il vincolo
matrimoniale. In effetti, si potrebbe giustamente obiettare
che, quando Schneider pubblica questo studio, le tecniche di
PMA non erano ancora state messe a punto e gli studi di
genetica cominciavano appena a circolare, tuttavia il suo
lavoro è estremamente utile perché ci permettere di
cogliere le variabili diacroniche e il contenuto semantico
della costruzione culturale del concetto di parentela. Nella
sua teorizzazione egli sostiene che: «il rapporto sessuale
100
(l’atto della procreazione) è il simbolo che fornisce i
caratteri distintivi nei cui termini sia i membri della
famiglia in quanto parenti, sia la famiglia come unità
culturale sono definiti e differenziati» (Schneider, 1968, p.
11); Potremmo dire che, nel sentire comune, questa
definizione è ancora oggi ritenuta valida e condivisibile. Ma
come
si
riconfigura
questo
valore
simbolico
della
procreazione e del legame biogenetico nella postmodernità,
dove la “natura” perde la sua autorevolezza in favore di un
sapere sempre più riflessivo, dove l’atto sessuale è
sostituito dall’azione desiderante, dalla scelta e
dalla
volontà della coppia che si fa pratica medica, e dove il
legame biogenetico, sempre più sostanziato, viene messo in
discussione? Ovviamente non si possono elaborare delle
teorizzazioni generali, ma si può provare ad analizzare i
significati ed i significanti culturali delle prassi dei soggetti
coinvolti in prima persona in questo processo di
costruzione intersoggettiva della realtà, in questo processo
di costruzione della parentela.
Partiamo dall’etimologia stessa del termine “gamete”: il
greco γαμέτής, che significa “coniuge”. I gameti, la cui
unione
porta
alla
formazione
di
un
embrione,
rappresentano quindi l'espressione massima della relazione
tra i coniugi: un’unione sancita socialmente che si incorpora
biologicamente in un altro potenziale individuo. Dal
momento che, nelle tecniche di PMA, il rapporto sessuale
viene sostituito da una pratica medica e dall'azione
desiderante della coppia che vi si sottopone, i gameti, gli
spermatozoi e gli ovuli «sono già dello stesso ordine di
pensiero del DNA, sono segni, non più corpo» (Gribaldo,
op.cit., p. 130). I gameti diventano quindi «segno» del
legame parentale che si instaura con il nascituro e, allo
stesso tempo, espressione dell'unione desiderante della
101
coppia. Sostituire i gameti, quindi, non è una cosa facile dal
momento che essi incorporano, sostanziano e reificano,
secondo il riduzionismo biologico imperante e le pratiche
discorsive della biogenetica, la parentela stessa. Il dato
genetico diventa un segno culturale:
ML: e questa decisione (di ricorrere all'eterologa) l'avete
maturata insieme?
Ludovica: Be'... diciamo che sinceramente (ride) l'altra parte, in
questo caso mio marito, ma poteva essere anche una donna,
credo, perché c'è anche la donazione di follicoli...
ML: ovociti...
Ludovica: si tutte queste cose qua, perché poi noi ci siamo
aggiornati, da internet abbiamo estrapolato parecchio materiale
da leggere la sera e... allora all'inizio lui ha avuto una crisi,
chiaramente, di... mi diceva di approvare la decisione di non fare
l'adozione di provare con l'eterologa però dice “io guarderei
sempre questo bambino/a come una persona che non mi
appartiene”... Chiaramente lì ci sono stati tanti discorsi,
discussioni, a volte anche con i parenti però... un po' velato... [...]
noi velando questa realtà e ipotizzando in caso di sterilità totale
una possibilità di eterologa cercavamo di strappare (ride) dai
parenti un'idea... anche per confrontarci.. loro avevano più
esperienza con i bambini... tutti quanti ci hanno detto “vabbé, non
è di chi lo fa, è di chi lo cresce”, il bambino prende si le
caratteristiche somatiche, però il carattere... è come una pianta,
l'interazione tra ambiente e genetica... cioè ha il suo ruolo
l'ambiente... comunque poi lui ha avuto una crisi e io lì ho cercato
di fargli capire.. cioè dicendogli che “se tu avessi scelto una
compagna sposata con figli allora io credo che tu non avresti mai
amato questi bambini perché non li avevi fatti tu”, cioè mi fa
capire questa cosa... se è tuo lo ami, se non appartiene a te
geneticamente lo rifiuti... forse lui ha riflettuto parecchio su
questa cosa.. perché poi è così... io ho due gatte stupende, Clara e
Camilla, sono sorelle, e hanno cresciuto i cuccioli una dell'altra...
comunque anche io penso che avrei avuto la mia piccola crisi
(ride)... qualcosa l'avrei spesa, detta, pensata... adesso però lui è
molto tranquillo, molto felice...
In
questa
narrazione
si
palesa
l'ambiguità
della
fecondazione eterologa: da una parte essa si preferisce ad
un'adozione vera e propria perché, in questo modo, “per
metà” geneticamente il nascituro appartiene alla coppia;
dall'altra, essa viene parimenti rifiutata
per gli stessi
motivi. Inoltre, come sottolinea Gribaldo, la fecondazione
con donazione di gameti maschili contribuisce al processo
102
di “rarefazione della paternità”: «la paternità dell'eterologa
non fa che portare alle estreme conseguenze una logica che
vede l'uomo sempre come un soggetto che entra a
“posteriori” rispetto alla procreazione, ovvero dopo la
nascita» (Gribaldo, op. cit., pp. 116-117). Questa idea torna
anche nelle parole del Dottor Venti:
Dottor Venti: molti hanno questa paura di essere completamente
esclusi dal rapporto madre-figlio “perché se non ci metto
neanche gli spermatozoi, sarò il primo ad essere escluso” si
dicono, inconsciamente penso che ci possa essere questa paura,
però... lo fanno, se accettano di farlo, per la compagna, perché
vedono negli occhi di quella compagna che è troppo importante
fare quel tentativo per cui lo accettano per avere quel risultato...
ma con tantissima lacerazione interna, perché c'è il rischio di
sentirsi escluso.. già in una normale coppia il maschio alla nascita
del bambino si sente escluso se ci metti pure che quel bambino è
suo figlio tra virgolette, è un tuo figlio legale e non hai superato
ancora questa scelta, è possibile che ci si senta veramente ospiti...
Tuttavia, proprio quando il legame biologico della
procreazione (genitor/genetrix) sembra prevalere, esso
viene nuovamente inserito all'interno della più ampia
relazionale parentale di matrice socio-culturale: “i figli sono
di chi li cresce” e la paternità, in fondo, è sempre
«un'adozione, un riconoscimento, una disponibilità ad
accettare il ruolo di padre». L'amore per un figlio, la
relazione che si viene a creare con questo, come dice
Ludovica, non può dipendere dal sentirlo geneticamente
proprio. Proprio il concetto di relazione è anche alla base di
una interessante elaborazione teorica dell’antropologa
Janet Carsten (2000), che lo introduce al posto di quello di
parentela e che sembra molto adatto al nostro contesto di
disamina. Muovendosi fra diversi lavori etnografici che
prendono in esame la realtà vissuta dalle coppie che si
avvalgono di tecniche di procreazione assistita, Carsten
declina il termine relatedness (relazionalità) attribuendogli
un’accezione molo ampia, che contiene al suo interno forme
103
di relazione che superano il dato biogentico: si può vivere
un legame relazionale senza essere “parenti” nel senso
sostantivo, biologico e strutturato che il termine stesso
“parentela” implica.
Sono i rapporti costruiti su base
relazionale e affettiva che implicano, essi stessi, il
superamento della parentela: la parentela oltre se stessa
(Carsten, 2004). Non vogliamo qui certo eludere il dato
biologico come elemento costitutivo del legame relazionale
su cui si fonda il concetto di parentela: vogliamo solo
sottolineare che esso non può esserne l’unico riferimento
sostanziale nel processo di costruzione e rappresentazione
culturale.
Nel caso della fecondazione con donazione di gameti
maschili la relazione parentale con il nascituro è data
dall'amore e dall'azione desiderante tra i due coniugi, che si
fa scelta e pratica:
Marialuisa: lui un giorno mi fa “ma scusa, perché non proviamo?
Alla fine è un bimbo comunque nostro... cioè io amo te, voglio
bene te e quindi è un bambino nostro, non è un bambino né tuo...”
e io mi sentivo come se tradissi mio marito, ecco, in un certo
senso, e... lui invece mi ha fatto capire... cioè “se tu lo vuoi, io lo
voglio pure, cioè non ho nessun tipo di problema”... e io a questo
punto ho detto proviamoci, perché è un impegno molto forte,
molto importante, non è una cosa così, una passeggiata...
Ricorrere alla donazione di gameti viene percepito quasi
come un “tradimento”, perché si immette nella pratica
riproduttiva
un
elemento
“estraneo”
alla
relazione
desiderante della coppia che, allo stesso tempo, è l'elemento
costituente della pratica stessa. Questo sentimento di
estraneità, come abbiamo avuto modo di vedere, si
manifesta soprattutto quando il gamete donato è quello
maschile. Secondo Collier e Delaney questo deriva da una
specifica teoria della procreazione che definisce le categorie
concettuali di maternità e paternità nel mondo occidentale:
«a theory in which paternity is defined as the primary,
104
generative role. What the man contributes is, as we say,
seminal – the creative seed that contains and confers
identity. Maternity, in contrast, is defined not as conferring
identity but as giving birth and nurture, a task that can be
shared by several women, as is happening with new
reproductive technologies» (Collier, Delaney, 1992, p. 303).
Ci piace ricordare che, già negli anni Quaranta del
Novecento, Margaret Mead metteva in luce questa forte
ineguaglianza dei ruoli, legata al genere, nel processo
procreativo: mentre le donne vivono l’onere e l’onore di
portare in grembo la vita, di darla alla luce e di prendersene
cura sin dai suoi primi momenti, agli uomini, quasi per
compensare il loro essere in secondo piano in tutte queste
fasi , viene assegnato un ruolo dalla forte valenza simbolica
e dall’alto valore sociale: attribuire l’identità, conferire
l’appartenenza al nuovo nato includendolo nella sua linea di
discendenza (Mead, 1949). È proprio attraverso l’idioma
della cura, dell’esperienza della gravidanza, del parto e
dell’allattamento
che
si
realizza
il
processo
di
rinaturalizzazione della tecnica con donazione di gamete
femminile. Esemplare, a questo proposito, l'esperienza di
Margherita e Fausto, una coppia di “oltre 40 anni” che, dopo
una gravidanza naturale non andata a termine e un ciclo di
PMA, ha deciso di recarsi presso un centro spagnolo per
sottoporsi a un trattamento con ovodonazione:
Margherita: il dottore ci ha detto di provare per l'ovodonazione,
che forse c'erano maggiori possibilità di successo... se non va
nemmeno con l'ovodonazione allora andiamo con l'adozione... E
allora io ho detto va bene, è giusto che uno deve perseverare
nella vita in tutto ciò che desidera fortemente e allora siamo
andati a fare l'ovodonazione... abbiamo fatto questa pratica...
hanno scelto una donatrice che avesse dei tratti fenotipici più o
meno similari ai miei e poi hanno fatto il tutto... c'è stata
ovviamente la donazione del seme di mio marito, chiaro...
ML: avete deciso di comune accordo di intraprendere questo
percorso?
105
Margherita: certo, noi tutto quello che facciamo... è una cosa
molto particolare...
Fausto: quando noi avevamo inizialmente questi problemi, per
me la fecondazione eterologa rappresentava un problema, non
solo se fosse stato necessario donare il seme, ma anche l'ovulo...
cioè io volevo passare direttamente all'adozione perché mi
sembrava di immettere nel rapporto tra di noi qualcosa di
estraneo... e, in realtà, mia moglie poi, parlando con il dottore
Guglielmino, il dottore che chiave ha trovato per dire “è un figlio
totalmente vostro”, il fatto che la gravidanza è comunque un
periodo molto intenso... un periodo molto importante per la
donna, poi c'è eventualmente l'allattamento, cioè ci sono delle
cose che comunque nel corpo della donna avvengono ugualmente
e che rendono proprio il figlio... ecco... quando eravamo a
Barcellona mia moglie mi ha detto: “ ma se avesse dovuto essere
donato il seme saresti stato disponibile?”; io ho detto,
sinceramente, non lo so, perché se l'uomo non ci mette il seme,
cosa ci mette, ho detto scherzando, soltanto i soldi? (ride)... cioè
in effetti, mentre l'ovulo è donato la donna ci mette l'utero, ma se
l'uomo non ci mette il seme cosa ci mette? Allora sono contento
che non si sia presentata l'eventualità e che la cosa si sia risolta
almeno al momento positivamente... sinceramente io avrei avuto
qualche perplessità... poi magari di fronte al desiderio di avere un
figlio sono perplessità che si superano... però è diversa la cosa...
Margherita: quindi a maggior ragione con l'ovodonazione dove
c'è una gravidanza, ci sono tante cose... poi se uno vuole dire una
cosa cattiva, ci sono tanti modi... figlio tuo, figlio mio... il figlio è
della coppia... non è che questo bambino è più di mio marito che
mio, o viceversa se fosse stato donato il seme, sarebbe stato più
mio che di mio marito...
Fausto: però la situazione non è simmetrica... il figlio è sempre
della coppia e sono cose che sicuramente si superano se ci
fossero, però la situazione non è simmetrica tra uomo e donna
nella donazione dei gameti... perché la donna porta avanti la
gravidanza, quindi fa proprio... nutre all'interno del proprio
corpo...
Ancora una volta, ricorrere alla donazione di gameti può
diventare un “problema”, perché immette nel rapporto di
coppia, un “ qualcosa di estraneo”. Questa estraneità, però,
si connota diversamente a seconda che il gamete in
questione sia quello maschile o quello femminile: i gameti,
come dice Fausto, non sono “simmetrici”. Una donna, anche
se rinuncia all'aspetto materiale della riproduzione, l'ovulo,
può comunque generare a livello simbolico, perché “nutre
106
all'interno del proprio corpo”. Un ovulo, come mera entità
biologica, di per sé, non avrebbe senso senza la capacità
della donna di accoglierlo nel proprio corpo, come
sottolinea Margherita:
Margherita: è una tecnica di fecondazione (l'eterologa con
ovodonazione) in cui danno una percentuale sempre... inferiore
al 50%, poi dipende dall'endometrio, dall'utero, io, ripeto, avevo
un utero in una posizione perfetta, avevo fatto delle cure per fare
inspessire l'endometrio e favorire l'impianto ed era tutto
perfetto... quindi diciamo che è andato tutto bene perché ho
trovato un ottimo ovulo ma anche l'ovulo ha trovato un ottimo
ambiente in cui impiantarsi... tutto deve andare bene...
La qualità del gamete che si è ricevuto, “ottimo”, non
sarebbe servito a nulla senza l'“ottima” qualità del ventre
ospitante:
“tutto
deve
andare
bene”
per
fare
la
riproduzione. Altrimenti si fallisce, e le coppie lo sanno:
l'autocoscienza del fallimento è, come detto, una «forma
sensibile e razionale di protezione dai potenziali costi
emotivi» a cui ci espone . Le tecniche, come più volte
evidenziato nel corso del lavoro e come ribadito anche da
Margherita, hanno una percentuale di riuscita molto bassa e
hanno reso la riproduzione, assistita e/o naturale, sempre
più incerta. Per Franklin questo ha portato a considerare
questi
due
diversi
tipi
di
riproduzione
come
complementari: «if IVF is difficult and largely unsuccessful,
is not surprising since the natural process is so badly
designed. [...] Reproductive failure is emphasized not only
through accounts of risk but through accounts of wast.
“Nature” is depicted as incomprehensibly profligate»
(Franklin, op. cit., pp. 331-332). Come le tecniche, anche la
natura può essere fallace, e quindi “bisogna aiutarla”:
Fausto: le paure mi sono un po' passate quando ho scoperto che,
tante volte ci sono embrioni fecondati in rapporti naturali che poi
non portano a una gravidanza... cioè ho scoperto che rispetto agli
embrioni fecondati la percentuale delle gravidanze è bassissima,
ci sono embrioni che vengono scartati dalla natura stessa... allora,
107
se si aiuta la natura in fondo... cioè noi stiamo aiutando la
natura...
La tecnica, in questo caso, è vista come un prodotto della
natura stessa, qualcosa di cui essa ha bisogno: «in this
slippage, whereby the “helping hand” of technology is both
conflated with, and yet also displaced, nature, a key shift in
the cultural meaning and organization of reproduction must
be seen to the lie. The importance of this shift is in its
legitimation
and
naturalization
(indeed
legitimation
through naturalization) of assistance to the reproductive
process» (ibidem, p.334).
I processi di cui abbiamo parlato in apertura di questo
lavoro,
la
naturalizzazione
della
cultura
e
la
culturalizzazione della natura, vivono qui la loro άκμή. Essi
si inscrivono nella materialità dei corpi di uomini e donne
riconfigurandone il significato e le pratiche, nonché il senso
stesso della generazione e della filiazione. Vorremmo
concludere quest’ultima parte del nostro lavoro dedicata
all’esperienza
procreativa
con
donazione
di
gameti
cercando di rispondere alla domanda che ci siamo posti in
merito alla possibilità di ripensare il concetto di parentela
che queste tecniche, volente o nolente, in qualche modo,
mettono in discussione. A tal proposito, ci avvarremmo
della teorizzazione elaborata da Solinas (2010) sulla base
della tripartizione schneideriana: «se si volessero tracciare,
in un campo di variabili relazionali, gli assi della
costruzione simbolica nelle funzioni della “parentela” –
come campo semantico che struttura le rappresentazioni
culturali – i tre motivi simbolici che si possono ricavare dal
testo di Schneider – “sangue”, “legge” (parentela by blood,
parentela by law), “amore” – servirebbero molto bene a
delimitare tre di quattro vertici necessari. Ne resterebbe
uno da coprire, per completare i due assi: suggerisco di
108
integrare il disegno, e colmare la lacuna proprio con quel
concetto di “fatto” (o “di fatto”, de facto) […]. Parentela by
law, l’affinità per via legale e parentela by fact, de facto,
definirebbero perfettamente gli estremi
d’una scala di
rapporti (tra il formale e l’informale) in cui “sangue” (geni)
e
“amore”
comparirebbero
come
valori
simbolici
complementari” (Solinas, 2010, p. 234). Ancora una volta,
vogliamo qui sottolineare l’accezione dinamica con cui è
utilizzato il sostantivo “fare”: il suo carattere costruito,
“fatto”, come frutto di un’azione esplicita e autonoma dei
soggetti che la pongono in essere. Solinas propone quindi di
ridisegnare
l’inserimento
la
tripartizione
del
concetto
schneideriana
di
parentela
che,
“di
con
fatto”
tramuterebbe l’immaginario triangolo in un quadrilatero; a
nostro
sentire
questa
teorizzazione,
per
quanto
estremamente interessante, risulta però fallace in quanto
pone la “parentela di fatto” come qualcosa di “altro”, di
aggiuntivo, rispetto alle tre componenti fondamentali.
Proviamo invece ad immaginare il quarto punto come
interno al triangolo, individuandone il suo baricentro, il
punto d’incontro delle mediane: cuore dell’equilibrio, punto
sul quale l’intero sistema può rimanere perfettamente
sospeso e che permette di collegare tutti e quattro i punti in
tutte le possibili combinazioni, come da figura:
Legge
Fatto
Amore
FFff
109
Sangue
Ripercorrendo in maniera immaginaria il percorso della
realizzazione della parentela attraverso questo disegno
ecco che essa viene a configurarsi come la risultante dei
quattro elementi costituenti: “amore”, “legge”, “geni”, “fatti”.
Le possibilità di combinare insieme questi elementi, tutti o
solo due o tre di essi, sono tante quanti sono gli esseri
umani.
110
Conclusioni
Nell’arco di questo lavoro si sono volute mettere in luce,
attraverso un approccio multidisciplinare, le forme assunte
dall’esperienza procreativa nella contemporaneità.
Attraverso la lente di ingrandimento della prospettiva
foucaultiana – che affonda le sue radici teoriche nelle prassi
concrete degli individui – abbiamo cercato di indagare le
modalità attraverso cui si è costituita, nelle società
occidentali moderne, un’esperienza per cui i soggetti
culturali hanno cominciato a percepirsi ed a riconoscersi
come liberi soggetti procreativi; tale esperienza tocca campi
di conoscenza molto diversi e si articola, in base al più
ampio contesto socio-politico all’interno del quale prende
forma, in base ad uno specifico sistema di regole e
costrizioni. In breve, potremmo dire di aver presentato una
sorta di storia della procreazione postmoderna – una
procreazione mediata e modificata dallo sviluppo delle
biotecnologie – come esperienza, dove, con tale termine, si
vuole denotare la correlazione esistente, in uno specifico
contesto socio-culturale, fra campi di sapere, forme di
soggettività e tipi di normatività. Abbiamo quindi preso in
esame
ciascuno
di
questi
tre
diversi
componenti
dell’esperienza procreativa postmoderna producendo, in
particolare, una riflessione sull’importante ruolo assunto
dalla dimensione giuridica nel processo di codificazione
normativa delle nuove possibilità offerte dalle tecniche di
procreazione medicalmente assistita che, scindendo i luoghi
e i tempi della riproduzione, hanno riconfigurato le forme
del “venire al mondo”. Produrre un’analisi dei meccanismi
che soggiacciono alla relazione fra dimensione giuridica e
forme di soggettività in un mondo tecnicamente mediato ci
ha quindi portati a ripensare quel diritto che viene a
configurarsi come prima facie: il diritto alla libertà
111
procreativa. Nel corso della trattazione abbiamo cercato di
argomentare una tesi a favore della possibilità di pensare la
libertà procreativa come un diritto morale positivo. Ancora
una
volta,
ci
siamo
avvalsi
dell’impianto
teorico
foucaultiano proprio perché, a nostro sentire, partire dalle
prassi incorporate dei soggetti permette di mettere in luce i
molteplici e complessi aspetti che compongono le modalità
di relazione – a livello soggettivo e intersoggettivo – con le
svariate dimensioni del reale vissuto e, di conseguenza,
esperito. Porre l’accento su tale prospettiva interpretativa
ci ha permesso di spostare il focus analitico dal principio
negativo di non interferenza alla positività dell’azione
individuale e alle pratiche di libertà poste in essere dai
soggetti procreativi della contemporaneità che, attraverso
l’idioma della scelta, declinano, adottano e adattano le
prassi inerenti la propria sfera riproduttiva in base a valori
percepiti come fondamentali e capaci di attribuire
significato alla propria forma di essere nel mondo. La
negoziazione sociale e la codificazione giuridica di tali
valori vengono quindi a configurarsi come il fulcro intorno
al quale si condensano tutta una serie di problematizzazioni
morali inerenti il campo procreativo postmoderno. Tali
aspetti emergono in maniera emblematica soprattutto nello
specifico contesto italiano, dove l’entrata in vigore della
legge 40/2004 con tutto il suo corredo di restrizioni e
proibizioni, ha ridisegnato i limiti e le possibilità di
esercizio di quel diritto morale alla libertà procreativa che
dovrebbe essere non solo garantito ma, a nostro sentire,
anche tutelato. Il caso italiano si rivela doppiamente
interessante: da una parte perché esso rivela, forse più di
altri all’interno del contesto europeo, quelle forme
pervasive di inscrizione della dimensione giuridica sul
vissuto personale; dall’altro perché è, probabilmente, il caso
112
più eclatante del processo inverso: l’inscrizione del vissuto
personale nella dimensione giuridica. Come abbiamo avuto
modo di vedere nella seconda parte del nostro lavoro solo
le lunghe battaglie condotte da associazioni organizzate
intorno a forme di biosocialità – siano esse la condizione di
infertilità o l’essere portatori di malattie geneticamente
trasmissibili – attraverso lo strumento giurisprudenziale
hanno permesso di apportare delle modifiche sostanziali al
dettato normativo. Non ci siamo soffermati sull’analisi dei
pur molti aspetti contraddittori ed iniqui presenti nel testo
di legge (dal paradigma terapeutico alla legittimità del
desiderio di filiazione, dallo statuto conferito all’embrione
al modello famigliare sottinteso ecce cc…) ma abbiamo
concentrato la nostra attenzione su due tecniche, de facto,
proibite: la diagnosi genetica preimpianto e la fecondazione
con donazione di gamete. Per ciascuna di queste due
diverse tecniche abbiamo cercato di mettere in luce
l’esperienza diretta di coloro, medici e pazienti, che con
esse si sono confrontati e che, di conseguenza, hanno
prodotto
delle
personali
elaborazioni
della
propria
esperienza lavorativa e procreativa, con particolare
riferimento ai dubbi di natura morale ed etica che hanno
dovuto affrontare (e che continuano ad affrontare, in certi
casi).
Riconfigurando
l’epistemologia
più
profonda
dell’antropologia umana tali tecniche sollevano infatti
molteplici interrogativi in merito al loro utilizzo, ai loro
limiti e ai valori che esse incorporano: questo lavoro, nel
suo piccolo, desidera tracciare una cartografia delle
domande del presente per provare ad abbozzare una storia
dei “futuri possibili”.
113
Interviste
Alessandra&Paolo
Alessandra: noi siamo portatori sani di talassemia, già abbiamo alle
spalle tre gravidanze naturali, con diagnosi tutte e tre andate male, con
aborti terapeutici e abbiamo alle spalle anche una fecondazione fatta in
un centro di Palermo. Ci siamo avvicinati a questo centro perché
abbiamo contattato il Dottore Fiorentini che è un famoso biologo
italiano il quale ci ha detto che per andare all'estero avevamo bisogno
della certificazione da parte di un centro italiano, che avesse avviato
l'iter per andare a Istanbul, quindi ci hanno indicato questo centro qua a
Catania, noi siamo di Palermo tra l'altro, ci hanno detto che era un
centro molto accreditato e ci siamo affidati a loro e adesso stiamo
iniziando l'iter sia per andare all'estero ma stiamo anche presentando il
ricorso per poterla fare in Italia....
ML: quindi anche per voi il problema è l'obbligo dell'impianto oltre alla
diagnosi?
Alessandra: Si, anche perché qua in Italia è impossibile fare una DPG per
le coppie malate di talassemia...
ML: perché voi non siete considerati sterili...
Alessandra: esatto...
Paolo: purtroppo no... non siamo considerati ma come dice il dottor
Guglielmino “che differenza c'è tra uno sterile e voi che comunque non
potete portare avanti la gravidanza...”; ora c'è questa novità, delle linee
guida... non so cosa succederà...
ML: praticamente nulla per le coppie con malattie genetiche, vengono
riconsiderati solo gli HIV positivi e le persone malate di epatite...
Paolo: dovremmo vedere questa cosa dell'epatite C...
Alessandra: potrebbe essere una cosa buona...
Paolo: perché lei ha in corso questo virus che è...
Alessandra: borderline... quando ho fatto tutti gli esami hanno visto che
ho un valore incerto... che non si capisce se è in incubazione o no...
114
Paolo: quindi possiamo vedere, perché sul giornale c'era scritto forse
erroneamente che si poteva fare...
ML: credo comunque che venga sempre considerata la sterilità...
Alessandra: ma il dottor Guglielmino dice che siccome è da undici anni
che cerchiamo la gravidanza, la prima nel '96, poi nel 2000, 2001 e nel
2004 abbiamo fatto la fecondazione... quindi è da più di quattro anni e
quindi possiamo essere considerati una coppia sterile...
ML: e delle legge che pensate?
Alessandra: (ride) diciamo che non è un gran che... penalizza tante
coppie che hanno questo problema, soprattutto da un punto di vista
economico incide tanto, se tu devi andare all'estero devi andare a
sopportare tutto questo iter, la terapia ormonale, andare lì, non sapere
come ti va a finire, c'è sempre l'incertezza e cose varie...
Paolo: è uno stato cattolico che ha voluto questa legge... e poi si sta
creando un sacco di confusione, anche da un punto di vista psicologico,
perché chi è cattolico può pensare che è una legge giusta però siamo in
un'epoca dove in effetti c'è di tutto e di più, e quindi andare a fare una
legge che alla fine diventa datata nell'applicare delle tecniche è
sicuramente sbagliata... Io penso che bisognerebbe lasciare lo stato
vaticano fuori dallo stato italiano, perché se sta dentro ha ragione,
dobbiamo partire da questo punto di vista, noi ci dobbiamo dichiarare
atei... E allora secondo me o ne sta fuori o quando politica e stato
vaticano parlano di questa cosa non si raggiungerà mai un accordo...
ML: ma l'Italia è costituzionalmente uno stato laico...
Paolo: si, ma non è così... perché questa legge l'ha voluta il vaticano...
cioè i politici hanno discusso questa cosa con vescovi e compagnia
bella...
Alessandra: il referendum ad esempio...
Paolo: il referendum, si è fatto tanto e poi alla fine non ce l'abbiamo
fatta... la situazione è questa se la politica si distaccasse dallo stato
vaticano... il fatto è che la politica fa di una questione etica una
questione di voti, il problema è che se in un pentolone ti vengono a
mancare i voti dati dai cattolici... non ti danno il voto se tu non gli dai
qualcosa in cambio...
115
ML: tu pensi che desiderare un figlio sia un diritto?
Paolo: noi abbiamo avuto tre aborti, noi... lei... per cui oggi il desiderare
un figlio diventa un qualcosa... cioè tutti questi vincoli che esistono,
almeno per parte mia, perché il desiderio di maternità è diverso... io l'ho
vissuto nei momenti prima ancora della legge, cioè la legge ti mette... è
come uno che vuole la ferrari, ma se non sei miliardario che te la compri
a fare? Tu vuoi un figlio, lo desideri così tanto ma se alla fine non metti
un freno, per tutti i vincoli che hai... cioè io lo so che a lei basterebbe un
niente per rimanere incinta, per cui alla fine... è il danno oltre alla beffa...
cioè io l'ho desiderato tanto, poi ho detto chissà quando verrà... quando
verrà lo accetto, perché per me la famiglia è fatta di figli... io ho provato
tanto a convincerla per fare richiesta d'adozione, io per 10 anni,
sapendo prima di sposarci di questo problema, le dicevo “avviamo la
documentazione” per l'adozione, lei non è stata mai d'accorso ed è
giusto rispettare il suo pensiero... per cui il desiderio è in base a come tu
puoi avere quella cosa, cioè che cos'è il desiderio? Avere qualcosa che
non puoi avere...
ML: e voi sareste disposti anche verso un figlio non vostro
geneticamente?
Paolo: io penso che l'emozione di un figlio sia diversa da quella di un
figlio adottato, però è un mio punto di vista.. lo desideri al momento in
cui ce l'hai... un figlio tuo lo desideri prima ancora di averlo... o no?
Alessandra: (ride) si anche perché noi abbiamo provato anche la gioia
della gravidanza... c'era l'emozione nel scoprirlo, nel vivere purtroppo
anche l'interruzione...
ML: vi è stata consigliata dai medici?
Alessandra: si perché si trattava del grado mayor... avevamo fatto tutti
gli esami di routine... ora diciamo che ci siamo un po' abituati alla
normalità della coppia... viviamo la nostra normalità senza figli... anche
perché con la talassemia tutti gli esami, tutte le peripezie, diventa tutto
più complicato... noi lo sapevamo prima di sposarci, pensavamo a quella
percentuale, che venisse sano... e poi è una malattia pesante, trasfusioni,
trapianti...
Paolo: ma forse neanche questo, in quel momento ti colpisce così tanto
la cosa che non puoi stare a pensare alla cosa più giusta... la tipologia
della patologia è così grave che anche un medico obiettore di coscienza
116
ci disse che stavamo facendo la cosa migliore... quando una coppia fa il
primo figlio, ti trovi così disarmato quando succede una cosa del
genere... e non ti nascondo che dopo 7/8 anni i sensi di colpa ti fanno
tornare indietro e ti fanno pensare... però sono cose che tu devi vivere al
momento, anche discusse dopo 7 anni queste cose... non so se tu tieni
fede a quello che ti sei detto, che ti sei promesso, perché scatta un
meccanismo che non è facile...
Alessandra: c'è uno stato emotivo completamente diverso in quel
momento... e adesso siamo costretti ad andare all'estero per evitare di
nuovo... in mezzo a medici che non conosci...
Paolo: è uno stato cieco adesso, perché non vuole vedere i problemi e
sordo perché non ti vuole ascoltare... e sai cosa succederà se non
cambieranno qualcosa, non ti dico adesso, ma fra 10 o 20 anni
torneranno le cliniche clandestine...
Alessandra: com'era per l'aborto... noi non vogliamo un bambino
perfetto, vogliamo un bambino sano...
Paolo: quello che noi chiediamo è di non andare incontro a questa
malattia... poi mi rimetto al destino... o a Dio se uno ci crede... io faccio
l'insegnante e una volta avevo un alunno, down, la cui nonna si era
suicidata buttandosi dal balcone perché la figlia non aveva abortito...
credo che tutti ci sentiremmo a disagio, forse anch'io, è una cosa che
non si augura a nessuno ma... l'idea della malattia che sin dal primo
giorno del concepimento non puoi curare, come nel nostro caso, non li
puoi curare...
ML: non li puoi guarire, perché te ne puoi prendere cura...
Paolo: si, ma sta a vedere come... ci sono gradi diversi... con il grado
mayor dopo il primo anno di vita devi fare trasfusioni tutti i giorni...
Alessandra: si , e la qualità della vita solo parzialmente la puoi
modificare...
Paolo: io ho avuto un bambino che dopo ogni trasfusione doveva stare
15 giorni a casa... e lì non puoi fare niente...
117
Grazia&Francesco
Grazia: Io ho una traslocazione robertsoniana bilanciata tra il
cromosoma 13 e il cromosoma 14, diagnosticata già una decina di anni
fa, ereditata da mio padre, ereditata da sua madre, quindi dalla nonna
paterna che a sua volta ne è venuta a conoscenza più o meno
casualmente perché un cugino di mio padre, la moglie non riusciva a
portare avanti la gravidanza hanno proceduto a tutta una serie di
analisi e da lì è venuto fuori che insomma c'era questa traslocazione, ne
ero diciamo consapevole da diversi anni, probabilmente in questi ultimi
due ci siamo resi conto di cosa comporta questa traslocazione.
Francesco: non tutti sanno che, sostanzialmente, l'uomo ha tutte le
cellule con 46 cromosomi, i cromosomi sono da 1 a 23 coppie, nel suo
caso il cromosoma 13 e il cromosoma 14, una delle due coppie, sono
attaccati, sono appiccicati, quindi lei ha 45 cromosomi di cui uno doppio
anziché 46, questa quando è bilanciata, cioè quando ci sono tutti, non ci
sono duplicazioni, questo è assolutamente compatibile con la vita, cioè
non hai nessun problema. Il problema è che nel momento in cui deve
avere un figlio nell'ovocita, nello spermatozoo, da 46 devono diventare
23 e poi, unendosi devono tornare 46, questa divisione, quando c'è un
cromosoma attaccato è particolarmente difficile e porta a produrre o,
ovociti con più materiale genetico di quello necessario o con meno,
quindi o con un cromosoma in più o con un cromosoma in meno o
anche bilanciati, può capitare, dipende da come avviene la separazione.
Diciamo che statisticamente su 12 ovociti 1 è completamente sano, si
riesce a separare, uno li mantiene attaccati però non ha altri pezzi, gli
altri 10 hanno o mancanze o eccessi, sono tutti casi incompatibili con la
vita, quindi portano a interruzioni di gravidanza nel primo trimestre...
ML: quindi 10 su 12 non sono compatibili con la vita...
Francesco: tranne un caso, che è una trisomia del 13 se non ricordo
male, che è una sindrome particolare che può portare alla nascita però
una vita che non va oltre le 2/3settimane, poi ci sono casi..
Grazia: comunque porta a una morte molto precoce...
118
Francesco: o addirittura all'interruzione di gravidanza nelle ultime
settimane, quindi... questa è...
Grazia: la diagnosi...(ride)
Francesco:
la
spiegazione
tecnica
di
cosa
significa,
significa
sostanzialmente che da quando abbiamo iniziato a provare ad avere
figli, lei ha avuto 4 aborti.
ML:quindi hai già avuto 4 gravidanze naturali...
Grazia: si, ho avuto 4 gravidanze naturali che si sono interrotte
massimo entro l'undicesima settimana...
ML: è diagnosticabile tramite villocentesi? L'hai già fatta?
Grazia: si ma considera che la fai alla 12 settimana e io non ci sono mai
arrivata, cioè solo la prima volta sono arrivata all'undicesima settimana
e durante la prima gravidanza sono arrivata a sentire il battito, mentre
in quelle successive la prima è stata un'interruzione alla settima
settimana, quindi, molto ma molto precoce, le altre due, consapevole
anche del fatto che la precedente si era interrotta abbastanza presto, mi
hanno fatto fare tipo riposo assoluto, mi hanno fatto fare insomma una
cura farmacologica che poi è un protocollo che fanno tutti quanti, un po'
di cortisone, un po' di eparina, perché io fino a novembre, cioè non era
nemmeno ben chiaro nel medico che precedentemente mi seguiva cosa
comportava questa traslocazione, io ero cioè il classico caso di
gravidanza a rischio che non riesce ad andare avanti, per cui sono stata
inizialmente seguita da un medico che ha anche molto sottovalutato il
problema...
Francesco: e anche noi stessi conoscevamo il problema ma non con la
consapevolezza che ne abbiamo oggi, anche perché sua nonna, che è un
po' il caso di riferimento, comunque ha avuto due figli, anche se ha
avuto diverse interruzioni, cioè noi ci ricordiamo, loro in famiglia si
ricordano, diverse interruzioni ma comunque ci sono due gravidanze
portate a termine, è anche vero che sua nonna ha provato ad avere dei
figli ad una ventina d'anni e non a trenta, questo comunque facilita in un
certo senso, e quindi noi ci abbiamo provato naturalmente e all'epoca
del referendum avevamo consapevolezza di cosa significasse questa
legge, però non avevamo ancora in programma di utilizzare tecniche di
fecondazione assistita perché appunto...
119
Grazia:speravamo che naturalmente potesse andare bene...
Francesco:perché non è impossibile avere dei figli naturalmente, cioè, è
molto difficile, perché, l'altra cosa che ci hanno detto e che comunque
naturalmente, moti dei 10 difettosi molti non si dovrebbero nemmeno
impiantare, quindi la natura dovrebbe fare una selezione a monte, fatto
sta che al quarto tentativo... poi nel frattempo ci siamo documentati di
più, ci siamo rivolti a qualche centro ma già si parlava di andare
all'estero.. io sono palermitano quindi siamo andai prima a Palermo poi,
tramite amicizie abbiamo sentito parlare del Dottor Guglielmino siamo
venuti qua, anche per comodità.. poi diciamo che ci ha fatto
un'impressione migliore e quindi abbiamo deciso di farci aiutare e
seguire da lui
ML: quindi voi non avete ancora fatto un ciclo di fa...
Grazia: abbiamo appena finito ma... purtroppo non è andata bene.
Abbiamo iniziato tutta la stimolazione ovarica e poi siamo rientrati
sabato scorso da Istanbul e purtroppo non è andata bene perché ero
riuscita a produrre 10 ovociti, di questi fecondati 8, 6 embrioni e di
questi 6, 3analizzati, e di questi nessuno sano, e anche questo da un po'
l'idea della statistica favorevole. Anche il Dottor Guglielmino in
trasmissione diceva è come se questa dona dovesse provare in
continuazione tutti i mesi per poter beccare il mese giusto...
ML: quindi adesso cosa farete...
Francesco:noi stiamo presentando il ricorso anche se... siamo un po'
poco convinti, perché non è quella la strada maestra, lo stiamo facendo
per un discorso più... siccome pensiamo che il nostro caso è
particolarmente significativo da un certo punto di vista di quanto è
stupida questa legge, perché qualsiasi aspetto analizzi....non si pongono
nemmeno problemi etici nel nostro caso, noi non è che chiediamo di
avere un figlio sano o un figlio malato, non vogliamo questa scelta, noi
vogliamo evitare un ennesimo aborto che porta ad un raschiamento, a
problemi fisici e psicologici e quindi...è proprio un esempio che tutte
queste limitazioni che mette sono assolutamente assurde, non si può
scrivere una legge che sia valida, cioè...
ML: per tutti?
Francesco: per tutti si, cioè è come decidere che un paziente malato di
cuore può fare solo una tecnica e solo a determinate condizioni, deve
120
essere poi il medico, d'accordo con il paziente a scegliere il percorso più
corretto e più valido, per tutelare alla fine la salute della persona
quantomeno del nascituro, almeno in questo caso particolare... cioè,
nessun medico, per quello che ho avuto modo di vedere e di studiare io,
nessun medico feconda 30 ovociti se non è necessario, per il piacere di
congelarli, purtroppo un ... nel nostro caso...
Grazia: ne sono necessari 30 (ride)...
Francesco: ne sono necessari tanti e poi noi
diciamo sempre, nel
ricorso c'è anche scritto, se noi avessimo la fortuna di averne quattro
sani, cioè non è che noi li vogliamo conservare, perché ne vogliamo uno
biondo... cioè avendo questa fortuna anche impiantarli nel tempo tutti e
4, tutti e 10 se ci dovessero essere, perché non è questo il ...senso, è..
una legge che è molto miope, scritta comunque da chi non vive questi
problemi, perché ripeto anche noi, pur essendo dentro il problema,
tanti aspetti non li avevamo valutati prima di passarci direttamente...
Quello che dico io è che non può non fare riflettere è che in nessun
paese europeo esistano questo genere di restrizioni, cioè... noi siamo
stati in Turchia, un paese che si è laico però ha una cultura di un certo
tipo... cioè noi arrivavamo al centro e c'erano le donne col velo che
accedevano a questo tipo i tecniche.... Hanno anche loro dei vincoli, ti
richiedono il certificato di matrimonio, non è permessa l'eterologa, cioè,
ci sono dei limiti, però a livello di quantità, sul numero, non esiste...
ML: in molti hanno attribuito le restrizioni della legge italiana alla forte
influenza esercitata da Città del Vaticano...
Francesco:ma non è neanche questo... noi siamo cattolici praticanti, non
è nemmeno questo lo spirito della chiesa, perché io, siccome conosco un
po' questi aspetti etici, lo scopo della chiesa è fare magistero,
fare vedere cioè qual'è la strada giusta alle persone, ma poi devo essere
io a sceglierla perché... a me questa legge mi toglie il libero arbitrio di
scegliere, cioè io non sono libero di poter scegliere, anche di sbagliare,
se tu scegli per me non mi dai la possibilità di fare la scelta giusta...
ML: una forma di Stato etico...
Francesco: ma non è nemmeno questo il dettame del cristianesimo,
cioè, noi siamo stati dotati di intelligenza proprio per distinguere il bene
dal male...quindi non ha significato... poi io osso capire altre perplessità,
121
le posso capire, però... questo livello di restrizioni è folle... e poi appunto
causa il turismo procreativo...
ML: non avete mai pensato alla fecondazione eterologa o ad altre
alternative...
Grazia: ci stiamo cominciando a pensare (all'eterologa)...
Francesco: l'adozione.... io ho detto anche in altre sedi che non deve
essere una frustrazione, una scelta data dalla frustrazione di non potere
avere figli perché mi impediscono di accedere ad una tecnica
diagnostica, quella deve essere una scelta che deve essere fatta,
meditata, perché comunque è una scelta d'amore perché un figlio
adottato, secondo me, è ancora più impegnativo e quando ci siamo
conosciuti ne avevamo parlato però... non è questo il momento, noi
possiamo avere un figlio naturalmente, lei ha tutto il diritto di avere il
piacere di portare avanti una gravidanza, la gioia di vedere crescere...
come ce l'hanno tutte le donne e... poi magari una volta che avrà un
figlio, avrà provato quello forse avrà anche il desiderio di adottare un
figlio... in questo momento non c'è, perché non... siamo concentrati su
altro..
Grazia: il discorso è che ti viene la rabbia perché non è che non puoi,
perché ad esempio quando una coppia è sterile, lo è completamente da
tutte e due le parti, oppure hai un problema fisico, che ne so, legato
all'utero quindi hai un'incapacità di portare in grembo una creatura,
quindi a quel punto dici ok non posso, ma in questo caso la rabbia che ti
viene e che c'è la soluzione tecnica, cioè non è una cura ma c'è una
soluzione tecnica, cioè ora noi... le persone ci dicono ma siete rientrati
dopo un fallimento dopo una settimana e siete relativamente
tranquilli,però io dico anche dopo
4 aborti dopo delle gravidanze
assolutamente non serene perché per me, si ok fai il test di gravidanza
hai la gioia che sia positivo, poi inizia il calvario... il calvario dell'attesa, il
calvario di metterti a riposo e svegliarti ogni mattina con l'incubo che
vai in bagno e trovi la famosa perdita di sangue che per te è il disastro
assoluto, l'attesa di un'ecografia con l'incrociare le dita per vedere se va
bene... cioè dopo aver vissuto negli ultimi due anni e mezzo questo
genere di cose, di stress, andare in ospedale, fare una FIVET, e aspettare
tre giorni per avere un esito, per me non può essere lo stesso livello di
stress e la stessa risposta negativa, per quanto fonte di rabbia perché
122
dici, va' bè allora sono proprio sfigata, però l'esito è talmente veloce che
secondo me, sono due livelli di stress e di dolore incomparabili...
ML: forse anche il fatto che il tutto in questo caso avviene fuori dal tuo
corpo...
Grazia: si probabilmente, e anche, io dico sempre, quando tu ce l'hai già
dentro sia che hai un'interruzione alla settimana che ce l'hai alla nona è
sempre una cosa che hai dentro di te, che lo hai portato dentro di te.
Quando tu invece ricorri ad una FIVET, cioè riesci paradossalmente a
viverlo con un pizzico in più di distacco, cioè è come quando fai un
qualsiasi esame diagnostico
o clinico e va male... cioè io ho fatto
un'isteroscopia e mi hanno diagnosticato che ho una tuba chiusa, cioè lo
paragono più a quello, anche perché comunque scoprire di avere una
tuba chiusa è stato per me un profondo dispiacere, perché comunque
quasi sicuramente è legata, e anche qui ti viene da domandarti, il
continuare a provarci anche naturalmente e non ricorrere a queste
tecniche non è un bene né da un punto di vista psicologico né da un
punto di vista fisico, io non so se tre anni fa la mia tuba era chiusa...
Francesco: probabilmente no... aver avuto 4 gravidanze naturali....
essendo nel suo caso l'ovaio destro quello che normalmente produce di
più... tutte le volte che abbiamo fatto ecografie era quello l'ovaio dove
c'era il follicolo che stava per scoppiare quindi... probabilmente si è
chiusa con l'ultimo raschiamento...
Grazia: per cui alla luce di tutto questo... per noi veramente la diagnosi
preimpianto per noi diventa fondamentale...
Francesco: non c'è proprio paragone con un aborto terapeutico.... anche
perché chi si riempie la bocca con l'embrione è già nel concepimento è
vita... non è così... non è così perché... prova ne sia che quelle cellule nel
nostro caso ad esempio non potrebbero andare avanti... come si fa a
dire che è vita un qualcosa che... è vita nel momento in cui s'impianta
nel corpo della donna, allora in quel momento puoi dire è vita... ma
quando è su un vetrino e non sai cosa c'è dentro come fai a dire è vita...
come nel nostro caso su 10, 8 ovociti fecondati, non ce ne era uno che
poteva vivere... quindi come fai a dire che quelle cellule sono vita... cioè...
l'embrione è vita nel momento in cui viene alimentato dal corpo della
donna, altrimenti non è vita... perché non può vivere... non si può
riprodurre...
123
Grazia: potrebbe avere un senso se non si arrivasse nemmeno ad
impiantare, allora lo potrei capire perché dici provate in maniera
naturale tanto male che va non s'impianta e quindi non hai nemmeno le
conseguenze negative di una gravidanza che s'impianta... perché per noi
sinora ogni gravidanza ha avuto solo degli aspetti negativi e nessuno
positivo... e questa è la nostra storia...
ML: grazie per avermela raccontata... capisco che deve essere difficile
Grazia: io non mi vergogno assolutamente, anzi, mi fa bene raccontarla...
Grazia: a me è capitato di raccontare la nostra storia in televisione
anche perché mi metto nei panni di una coppia che magari non conosce
di avere un problema genetico e si trova medici che, o per ignoranza, o
per scelta cosciente, o per obiezione di coscienza, non ti portano
nemmeno a valutare che quello potrebbe essere una causa di
abortività... Cioè noi siamo stati da quello che è giudicato come il miglior
ginecologo della città in cui viviamo e ci ha fatto fare 4 tentativi naturali
e quando ha visto la sua mappa cromosomica ha detto “no, non è questo
il problema”, cioè quindi... chissà quanta gente ha problemi... oggi per
fortuna l'amniocentesi la fanno tante persone e magari scoprono di
avere questo tipo di anomalie... però alla fine le interfacce sono medici
che, o per ignoranza o per obiezione non ti mettono a conoscenza di
qual'è il problema...
Grazia: e le alternative che ci sono... che esistono, perché non è sai che
non esistono, pazienza sei sfigato te la devi tenere la sfiga, cioè la
rabbia sta in questo che tu sai che dietro l'angolo c'è l'alternativa e nel
tuo Stato, Stato che ti dovrebbe tutelare, perché spesso e volentieri si
parla di tutela della donna... cioè, io non la vedo...
Francesco: e poi alla fine passa il tempo, passano gli anni e poi magari è
troppo tardi...
Grazia: hai difficoltà...
ML: quindi anche alcuni medici hanno delle responsabilità
Grazia: si perché o non sanno, e allora mi viene se non da piangere da
ridere o sanno e, non so in nome di che cosa non ti suggeriscono le
soluzioni che comunque esistono...
124
Francesco:perché voglio dire... io posso anche capire, “guarda io non
sono d'accordo però non sono il medico che può curare il tuo
problema”.
Grazia: esatto, cioè secondo me è una questione di coscienza questo,
dire “io so dell'esistenza di altre tecniche anche se io non sono in grado,
non sono d'accordo, però mi sembra giusto che tu vada a rivolgerti a
qualcun altro”... io sono venuta a conoscenza in quest'ultimo periodo di
una legge in Italia che punisce un medico che ti da un qualsiasi
suggerimento per un centro estero dove andare... questo secondo me è
nell'assurdità totale, perché nel momento in cui io instauro un rapporto
di fiducia con il mio ginecologo, con il mio medico, e so che lui magari
me lo vorrebbe anche dire, mi vorrebbe dare qualche suggerimento
perché ne è a conoscenza e non può perché è vietato dalla legge... anche
questa cosa per me è assurda, non soltanto in Italia non ti consentono di
fare questo tipo di tecnica ma non consentono neanche ai medici di
darti le informazioni necessarie per accedere alla tecnica stessa... cioè
c'è il tabù totale come se fosse chissà che cosa... di tutela in questa legge
ce n'è ben poca, non c'è un aspetto che è tutelato, né dell'informazione,
né della salute della donna, né della salute dell'embrione, perché anche
quando mi parlano di salute dell'embrione quando poi io penso, al di là
del nostro caso, che è un caso in cui l'embrione non è destinato neppure
ad essere embrione perché s'interrompe, ma anche quando ci sono in
ballo magari malattie serie per cui c'è un embrione gravemente malato,
ma che salute dai? Che vita gli dai? Io poi sono pro amniocentesi, pro
scelta di effettuare un aborto terapeutico quando insomma...
Francesco:si però quelle sono scelte, delle coppie, così come lo puoi fare
per l'aborto così potresti doverlo fare per l'impianto...
Grazia: esatto, già che io sono una persona così immagina che fastidio
mi può dare questo tipo di restrizione... cioè non ci vedo nulla di male...
per me non è una cosa dell'altro mondo, il male è se tu vuoi un figlio
biondo con gli occhi azzurri, perché penso che nel mondo di questi
psicopatici ne possono anche esistere, ma se tu vuoi un bimbo sano...
non vedo veramente dove sta il problema, né nel nostro caso che è
paradossale né nei casi di altri ragazzi che abbiamo conosciuto, cioè
cosa fanno di male nel volere un bimbo sano... sono ben altre le cose
schifose che ci sono nella vita.... (ride) io penso che i nostri legislatori si
dovrebbero ben occupare di altro piuttosto che del volere un bimbo...
125
che poi veramente non si capisce neanche il perché... di questo
accanimento...
126
Grazia&Francesco
ML: l'altra volta avevamo parlato della vostra esperienza ad Istanbul,
eravate tornati da due giorni, adesso che è passato un po' di tempo
come guardi a quell'esperienza?
Grazia: sicuramente positiva... siamo partiti molto tranquilli e quindi
anche tutta la settimana è stata abbastanza tranquilla... in ospedale ci
siamo trovati molto bene, forse l'unica cosa un po' particolare è stata la
difficoltà di comunicazione, perché parlano tutti turco naturalmente,
anzi un medico che mi aveva visitato un po' di inglese lo parlava, però le
infermiere o alla reception parlano esclusivamente in turco, però sono
ben organizzati perché c'è questa ragazza che ti aiuta, che ti fa da
interprete, però superato questo io ne posso parlare solo bene... io ho
sempre pensato “vado a fare un figlio al terzo mondo”, in realtà non è
assolutamente così... cioè me lo aspettavo molto peggio di quello che poi
invece ho trovato...
Francesco: colpisce un po' perché comunque le contraddizioni ci sono,
magari chi ci vede dal di fuori le vede anche in noi... si usa il velo perché
lo prescrive un certo tipo di cultura e di religione, nemmeno tutte,
almeno nella parte nuova della città dove siamo stati noi, nemmeno
troppe donne lo portavano, però è capitato di incontrare nella sala
d'attesa delle donne che erano lì con il marito...
Grazia: però questo ti lascia pensare, perché lui magari la vede come
una contraddizione, io la vedo più come una cosa positiva... cioè
nonostante...
Francesco: va' bé però è una cosa che ti colpisce perché comunque se
pensi com'è considerata...
ML: la donna...
Francesco: appunto, come siamo considerati più liberali nei
comportamenti noi... e poi andiamo lì perché qui certe tecniche sono
vietate in virtù di non so quali... valori... ci ha colpito il giorno in cui
siamo andati, erano in calendario sei prelievi di ovociti e tre erano con
diagnosi preimpianto, che è una percentuale non piccola, ora è vero che
127
c'eravamo noi che venivamo da fuori, però comunque su cinque, due
facevano diagnosi... e dai nomi sembravano locali... sicuramente anche
gente benestante perché comunque era un ospedale a pagamento, gente
benestante si vedeva, avevano la mazzetta di banconote, perché poi
pagavano in contanti... sicuramente gli stipendi sono più bassi dei
nostri, non so se le donne lavorano e in che percentuale, sono tecniche
che comunque hanno un costo...
Grazia: ma non pagheranno la stessa cifra nostra...
Francesco: ma io non mi sentirei di escluderlo, magari non pagano
quanto da noi... alla fine qui se fai una ICSI comunque due/tremila
euro... cioè non è che te la fanno gratis... se ci aggiungi tutto il resto...
cioè non è che sono tecniche gratuite, devi avere un minimo... l'ospedale
poi era una struttura in stile americano, cioè non ti senti di essere... io
poi c'ero stato qualche anno fa (a Istanbul), a livello di miglioramenti...
anche a livello di negozi, sulle strade principali ci sono tanti monobrand,
servizi pubblici efficienti, grande pulizia, sicuramente più di molte città
del sud... comunque sembra una città europea, il discorso del velo poi è
culturale... ripeto, velo non ai livelli dell'Afghanistan...
ML: volevo approfondire anche un altro tema che è emerso nella nostra
precedente chiacchierata, cioè l'etica... cosa è per voi?
Francesco: le definizioni sono sempre difficili... (ride)
ML: no, non ti preoccupare, non voglio la definizione filosofica, vorrei
sapere cosa è per te, nella pratica...
Francesco: guarda, ti dirò, quando abbiamo perso il primo... non so
nemmeno come chiamarlo...
Grazia: embrione... e nemmeno...
Francesco: a me verrebbe da dire il primo figlio... comunque quando
abbiamo avuto il primo aborto io ho cominciato a pensare a fare una
DGP, probabilmente non ne ho parlato subito nemmeno con lei perché
comunque... però ci ho cominciato a pensare e ho cominciato a
documentarmi e io ho capito solo dopo che tu con la DGP scarti solo gli
embrioni sbilanciati, cioè quelli che hanno problemi seri, io ero
convinto che si potesse scartare anche il traslocato bilanciato, come lei,
e mi ponevo il problema se fosse giusto selezionare comunque una
vita... perché... cioè io non sono convinto che impedire a una vita, anche
128
malata, di avere un luogo sia giusto... non dico che è sbagliato, ma non
so neanche se è giusto... cioè ho maturato il fatto che se tu certe cose
non le vivi, certe decisioni, certe scelte, sono... sono difficili da
giudicare... io non so se me la sentirei... una delle cose che mi ha frenato
a parlarne con lei era anche questo fatto, perché comunque noi ora
stiamo cominciando a prendere in considerazione anche una donazione
di gameti, un'eterologa, perché una delle perplessità che abbiamo è
questa: un giorno nostro figlio potrebbe andare incontro alla stessa
sofferenza che stiamo vivendo noi, e quindi te lo poni il problema: è
giusto, da genitore, mettere al mondo un figlio che può avere lo stesso
tipo di problema? E dall'altro però ti chiedi: è giusto non farlo? Cioè per
me questo tipo di valutazioni, questi tipi di domande, sono per me
l'etica... Non so cosa è giusto, non sono sicuro se è giusto, nel momento
in cui c'è una cura, una tecnica, che ti pone davanti a una scelta che
comunque riguarda la vita... ci devono essere dei limiti, te li devi porre...
Oggi ci raccontava una ragazza che ci sono coppie che vanno in Belgio
perché hanno avuto tre figli maschi e vogliono la figlia femmina e gli
altri li scartano... questo secondo me non è etico... la vita ha un senso...
secondo me nella vita anche le sofferenze hanno un significato, io sono
credente per cui il significato del percorso che fai, che hai durante la
vita, comunque contribuisce a creare quello che sei... e non sono sicuro
che scegliere di non fare nascere un figlio malato è la decisione giusta
per me... non mi trovo in questa situazione, ma se mi ci trovassi non
sono sicuro di che scelta farei... cioè lei in questo è molto più... più
drastica di me...
Grazia: io un figlio malato non lo farei nascere... è il discorso che
facevamo un po' l'altra volta... io ad esempio non condivido chi non fa
un amniocentesi perché comunque qualsiasi problematica, come ad
esempio un down, purtroppo non viviamo in una realtà dove ci sono
anche le strutture per consentirti di portare avanti queste situazioni che
sono pesantissime... io conosco personalmente una coppia che una
ventina d'anni fa ha messo al mondo un bimbo con dei ritardi mentali e
non mi posso mai scordare che questa signora, spesso e volentieri si è
trovata costretta a chiudere suo figlio a casa, nella sua stanza, perché
comunque quotidianamente doveva accompagnare gli altri figli a
scuola, doveva fare la spesa, la normale vita quotidiana, e lei non ha
avuto nessun appoggio se non de ragazzi volontari che saltuariamente
andavano a darle una mano... e io penso, davanti a queste cose, non... a
parte che vita è questa che fa questo ragazzo... non lo capisco, io da
129
questo punto di vista sono più drastica, preferisco sapere e fare un tipo
di scelta conseguentemente...
ML: quindi se tu adesso restassi incinta dopo tutto quello che avete fatto
e scoprissi che non è sano...
Grazia: non lo metterei al mondo, cioè nonostante tutto...
Francesco: io non ho questa stessa certezza, non sono così categorico
poi, probabilmente, maturerei la stessa scelta, però non sono convinto...
cioè non sono sicuro che lo farei e... cioè anch'io sono per
l'amniocentesi, è giusto avere delle informazioni anche perché le
patologie non sono tutte le stesse, però... non me la sento di fare una
graduatoria, fino a questo livello di problemi sono accettabili, questi
altri no... mi ci dovrei trovare, non sono nella condizione di dire... e
possibilmente avere anche dei rimorsi perché l'altra cosa che c'è
nell'etica e che quando fai una scelta e non hai rimorsi, non hai
tentennamenti, vuol dire che il problema etico non c'è, oggi io ho
maturato che nella PGD, almeno nel nostro caso particolare, non c'è
nessuna controindicazione etica per quello che è la mia etica, poi magari
viene il Santo Padre e dice che l'unico modo per avere i figli deve essere
la via naturale e se non vengono bisogna accettarlo, io non lo condivido,
non è nella mia etica questo, per me quella è una cura ad una malattia
e... come sono cure le trasfusioni di sangue che altre fedi religiose non
ammettono, come sono cure i trapianti di organi e lì espianti un organo
da una persona che è ancora viva... sono punti di vista, per me quelle
sono cure, non sono... per quello che è la mia personale etica, che si è
formata con la mia esperienza, con quello che ho letto, studiato, è la mia,
ognuno ha la sua...
Grazia: e poi io credo che quello che si fa è un percorso, io non credo che
ci sia una coppia... cioè comunque prima devi vivere anche un lungo
periodo di infertilità per cominciare a pensare ad una tecnica... un'altra
coppia che conosco, è da due anni che provano ad avere un bambino,
cioè solo ora stanno cominciando a ragionare e dire “forse dobbiamo
trovare un'altra strada”... non è che uno dopo due mesi che non riesce
ad avere un bimbo ricorre alla tecnica, figuriamoci una PGD... almeno
per noi è stato così, prima di giungere a questa decisione sono passati
due anni e mezzo e quattro aborti...
Francesco: chi non vive questo tipo d problemi pensa che è il piacere di
non avere un figlio anche malato... che non è necessariamente così...
130
perché comunque tu, chiunque, con qualsiasi livello culturale ha, nel
momento in cui gli viene spiegato o comunque cerca di documentarsi,
non sono mai decisioni, anche la scelta di abortire, non è mai...
delegata... sono cose che ognuno con il livello di conoscenza che ha...
però io conosco tante gente che appena ha saputo d avere un problema
si è sforzata, anche perché oggi è più facile reperire informazioni, cioè
sono scelte e decisioni meditate a lungo... purtroppo ci sono anche quelli
che cercano il figlio biondo con gli occhi azzurri o il maschio piuttosto
che la femmina che poi portano a generalizzare il discorso e portano
discredito su delle tecniche e su chi vive delle problematiche...
Grazia: e poi si parla alla fine più di tutti questi casi che del resto...
Francesco: perché sono più semplici... e poi comunque l'infertilità sta
diventando ogni giorno di più un problema, a causa dei nostri stili di
vita, perché cominciamo a fare figli più tardi... e tutte quelle cose che
sappiamo...
ML: poco fa hai accennato al fatto che state pensando all'eterologa, me
ne parlate un po'...
Francesco: io, sempre perché sono quello che si documenta prima... ho
preso il discorso io, ne abbiamo parlato e lo stiamo prendendo in
considerazione... però poi come in tutte le cose in questo momento è più
lei per farla che io... io sarei più per tentare qualche altra volta... la
stiamo valutando... ci sono le due opzioni: c'è l'eterologa con donazione
di ovocita che dobbiamo prendere in considerazione o l'altra alternativa
sarebbe adottare un embrione direttamente che è un'altra cosa che
all'estero si può fare... pesando pro e contro il pro della donazione dei
gameti è che almeno un genitore, in caso di problemi, comunque è
conosciuto, dal trapianto di midollo a tutto quello che ti può capitare
nella vita, comunque aiuta... e quindi questa è la prima perplessità...
dall'altro c'è la prima reazione “non è un figlio mio”, soprattutto del
coniuge che...
ML: che non ci mette il gamete...
Francesco: esatto... io non ho questa... premesso che chiunque ha
piacere a trasmettere il suo corredo cromosomico...
Grazia: tranne io (ride)... che non è il caso...
Francesco: ma non è così...
131
Grazia: io ci sono arrivata a questa considerazione...
Francesco: ma non è vero perché la prima volta che glie ne ho parlato la
reazione è stata: “così sarebbe solo un figlio tuo”... io non la vedo così,
per me i figli sono di chi li cresce l'unica differenza è che permetterebbe
rispetto ad un'adozione tutto il percorso della gravidanza, che con
un'adozione non hai... uno dei vantaggi che avrebbe quello che dicevo
prima di non fare passare ad un figlio gli stessi traumi che stiamo
vivendo noi perché supererebbe la traslocazione... ed è una cosa che
pesa nella genitorialità, è come non avere un figlio talassemico... questa
tecnica oggi permetterebbe di evitarlo, quindi è una cosa che stiamo
valutando...
ML: bella l'idea di adottare un embrione però...
Francesco: si è stata una delle richieste che avanzavano i genitori che
avevano problemi quando è stata promulgata la legge 40, ci sono 30000
embrioni congelati che aspettano... è una cosa che normalmente le
coppie non chiedono perché prevale la scelta... è raro insomma che ci
siano problemi su tutti e due, però non è una cosa impossibile... poi alla
fine pagando nella vita si può avere tutto... è una possibilità...
Grazia: stiamo andando per gradi... il prossimo sarà un'eterologa... il
dottore oggi mi ha detto di non scoraggiarmi, che per un'eterologa c'è
sempre tempo...
Francesco: il discorso è che il tempo passa... questo giugno saranno 4
anni che siamo sposati... e il desiderio... molti amici sono già al secondo...
c'è comunque un desiderio forte e aspettare non è semplice... è semplice
dire “hai ancora tempo provaci ancora” ma... la scelta da parte sua di
riprovare significa aspettare ancora ed è pesante, non è semplice...
anche per me, io sono più... secondo me in tutto quello che noi stiamo
passando c'è un senso, che magari noi non vediamo ma... lei non ci
crede...
Grazia: (ride) io ancora lo devo capire qual'è questo senso, però se lui
dice che c'è... ci dovrà essere...
Francesco: guarda te lo dice uno che ne voleva quattro...
Grazia: e sempre lì mi va il pensiero (ride), la gente che non ne vuole ce
li ha e io che lo vorrei tanto no... ma perché?
132
Francesco: io non sono per niente rassegnato, non ho alcuna intenzione
di arrendermi, le proveremo tutte le strade, anche se non è che uno può
cascare malato... però, anche là, ogni cosa a suo tempo...
ML: e tu tutte questa terapie come le vivi?
Grazia: ma guarda a me non me ne frega niente, forse perché sono stata
fortunata e con la stimolazione non ho avuto nessun problema, nessun
sintomo collaterale... po’ impari a dare una scala anche al dolore... forse
come dice lui è la fretta di arrivare al risultato, cioè non mi spaventa
nemmeno un'altra delusione, dopo 4 aborti... dopo quello, nient'altro...
l'aborto è devastante... anche perché magari lo fai in ospedale dove sei
circondata da persone felici... anche fisicamente è molto più invasivo
rispetto ad una tecnica... figurati se mi preoccupa il progesterone
(ride)...
133
Miriam&Giovanni
Miriam: noi siamo sposati da sette anni, abbiamo fatto PGD circa un
mese fa in Turchia per evitare una malattia di cui mio marito è
portatore e comunque ha vissuto anche, perché non è come la
talassemia che se sei solo portatore non hai alcun disturbo, lui ha avuto
l'esperienza di una forma di tumore che ha colpito alla retina e è stato
operato quando aveva sei mesi in svizzera...
Giovanni: mi è stato diagnosticato e subito sono stato operato, ho perso
l'occhio sinistro, l'occhio destro è stato trattato con una tecnica all'ora
innovativa e sono riusciti a salvarmi l'occhio, ma sono sempre sotto
osservazione da quando sono nato perché ho 9 piccole cicatrici nella
retina causate da questa terapia farmacologica che evita l'avanzamento
del tumore. Dopo due anni è nata mia sorella con la stessa malattia in
una forma più lieve; il mio è un retino blastoma bilaterale, quindi che
colpisce tutti e due gli occhi, invece a mia sorella ha colpito solo l'occhio
sinistro. E poi in svizzera hanno fatto tute delle altre indagini, hanno
raccolto i nostri campioni del sangue, siamo stati in America perché
all'epoca, trent'anni fa, era una malattia grave, e sono riusciti ad
individuare questo tipo di malattia che si trasmette di padre in figlio
con una percentuale del 50%. E quindi poi hanno indagato e hanno
capito che la malattia era presente anche in mio padre, che è stato
operato a circa 40 anni, ma quella di mio padre è una forma lieve, la mia
è stata la più eclatante, diciamo... Ogni anno siamo sotto controllo, due
anni fa ho avuto un'emorragia e questa cosa è andata avanti per due
anni poi alla fine hanno deciso di fare il laser, che loro volevano evitare
proprio per non danneggiare la retina che io ho già queste cicatrici, e
addirittura l'ho fatto in Italia perché la Sanità italiana non mi dava l'ok
per andare in svizzera, se no avrei dovuto pagare tutto io, e lì è la clinica
migliore per quanto riguarda questa malattia.
Miriam:tutto questo nel frattempo che ci stavamo preparando per
partire per Istanbul...
Giovanni: si, perché io ho avuto l'emorragia ad agosto, a settembre ho
effettuato il laser...
Miriam e poi ad ottobre siamo andati lì a prepararci...
134
ML: quindi voi non avete mai provato ad avere delle gravidanze in
maniera “naturale”?
Miriam: si, abbiamo provato, ma...
Giovanni: si ma aspetta, nel 2001 quando ci siamo sposati abbiamo
effettuato delle consulenze genetiche perché appunto eravamo a
conoscenza della malattia che si può ereditare, quindi cercavamo una
soluzione e siamo andati all'ospedale di Siena dove io facevo i controlli
per il neuro blastoma, ci siamo rivolti alla dottoressa, alla responsabile
del centro tumori, questo quando ancora la legge 40 non c'era, e la
dottoressa ci ha detto che non c'era altra soluzione che ottenere una
gravidanza naturale, poi effettuare l'amniocentesi al terzo mese e
quindi portare ugualmente avanti la gravidanza se ci fosse stata la
malattia, effettuare un parto cesareo all'ottavo mese, per intervenire
subito sul bambino..
Miriam: con un parto anticipato all'ottavo mese in modo da anticipare la
malattia...
Giovanni: eravamo noi all'oscuro di questa tecnica che già esisteva
ML: quindi la dottoressa ai tempi non vi ha consigliato
Miriam: no...
Giovanni:ci ha dato solo quella strada
Miriam: stesso discorso pure in svizzera quando poi lui ha avuto
l'emorragia, mentre eravamo lì abbiamo voluto parlare con il genetista
e neanche lui ci ha parlato assolutamente di questo..
Giovanni: va' bé però in svizzera c'era il problema e la difficoltà della
lingua perché il genetista era francese..
Miriam: va' bé... ma anche in Italia..non ci hanno mai proposto un'altra
soluzione al problema.
Giovanni: ci hanno detto soltanto: siete nelle mani di Dio
Miriam: poi dopo abbiamo noi comunque.. perché non è che lo
sapevamo...
Giovanni: e noi abbiamo provato naturalmente ma non è successo
niente, poi abbiamo fatto degli esami e abbiamo visto che c'erano questi
135
problemi ad ottenere la gravidanza, e ci hanno detto che c'era questa
tecnica, ti puoi immaginare... lo potevamo sapere prima, erano passati
tre anni...
ML: nel frattempo era stata approvata la legge...
Giovanni: appunto e noi eravamo allo scuro di questa cosa...
Miriam: così nel 2006 ci siamo informati su queste tecniche e ci siamo
organizzati per andare all'estero...
Ml: quindi avete pensato di rivolgervi subito all'estero, senza prima
passare per un centro qui in Italia, perché, non riuscendo ad ottenere
delle gravidanze in modo naturale potevate essere considerati come
una coppia infertile
Giovanni: si va' bé ma il problema è che tu hai l'obbligo di fare
l'impianto.. e se sono tutti e tre malati na'mu concluso nenti, come
faccio io?
Ml: la legge permette l'aborto terapeutico...
Miriam: certo...
Giovanni: oppure se sono due, tutti e due con la stessa malattia, cosa gli
racconti poi? Tu hai cercato una gravidanza plurigemellare e in più...
cioè io l'ho vissuta sulla mia pelle, io quando ero piccolo la colpa la davo
ai miei genitori, perché tu sei diverso dagli altri, non puoi fare alcune
cose... cioè, i genitori erano molto protettivi e ti ponevano dei limiti. Poi
quando sono cresciuto i limiti poi li scopri da solo, fino a dove puoi
arrivare. Quindi io mi sento almeno in dovere di cercare di evitare la
malattia ai miei figli, per quello che ho passato io, mia sorella,mio padre,
è tutta una situazione... cioè tu la vivi... non è come i miei genitori, non lo
sapevano, sono arrivati, bene, ma tu che sei consapevole di avere questa
malattia di trasmetterla, a me sembra incosciente, perché poi cioè... tu
regali un tumore a tuo figlio... hanno fatto delle statistiche, tutti quelli
che hanno il retino blastoma possono con il tempo sviluppare il tumore
alle ossa, cioè... quindi, almeno io non mi sento di fare questa cosa...
ML: né poi tanto meno di fare un aborto terapeutico...
Giovanni: quello soprattutto per lei, poi siccome noi siamo costretti...
136
Miriam: dopo il tentativo a Istanbul poi non ne abbiamo fatti più perché
ci è costato 10.000 euro
Giovanni: tu puoi capire no...
Miriam: lui guadagna 1100 euro e io ne guadagno 400 in nero, quindi
abbiamo 1500 euro al mese, e con questi ci dobbiamo vivere e ci hanno
aiutato i nostri genitori ad affrontare quello che abbiamo affrontato ma,
se dovessimo rifarlo, mettere da parte altri 7000 euro per ripartire,
ecco, non si fa in un giorno... oltre poi l'aspetto economico, anche
psicologicamente è stato troppo brutto... io al solo pensiero di tornare là
mi sento male...
Giovanni: e tu considera che a Istanbul dal punto di vista religioso
sono... tipo 50 anni indietro rispetto all'Italia, ma per loro è un'esigenza
fare la diagnosi preimpianto perché la, in Turchia, il 70-80% della
popolazione è portatore sano di beta talassemia... cioè per loro è
un'esigenza per salvaguardare la nazione e invece qui in Italia ancora
non esiste... cioè la tu ti vedevi le persone, le donne, con il chador, tutte
coperte, che facevano la diagnosi, e qui in Italia invece non è possibile,
perché c'è il Vaticano, c'è la chiesa... e tutti 'ste cose qua... io vengo da
una famiglia molto cattolica, anche troppo...
Miriam: si anche troppo...
Giovanni: però ora mai io non credo più, credo solo nella natura, stop,
basta!
ML: quindi adesso state presentando il ricorso...
Miriam: si, prima quando ancora non sapevamo di questa possibilità di
presentare il ricorso avevamo deciso l'avremmo cercato nuovamente
naturalmente e se non fosse venuto avremmo seguito la tecnica di
fecondazione qui in Italia e come va...
Giovanni: perché alla fine io posso dire a mio figlio che ci ho provato...
Miriam: perché oggi il desiderio di avere un figlio, al di la di averlo sano,
ecco... oggi prevale il desiderio di avere un figlio, se è sano o no...
ML: quindi non avete mai pensato di ricorrere all'eterologa?
137
Miriam: no, assolutamente, questo proprio l'ho escluso... non critico,
non giudico chi lo fa, perché poi bisogna anche trovarcisi in una
situazione...
Giovanni: esatto...
Miriam: siccome nel nostro caso sappiamo, che appunto, naturalmente
non ci riusciamo, perché gli spermatozoi in alcuni momenti sono
indeboliti, in altri sembra invece che vada tutto bene, non lo so a 'sto
punto... perché in realtà non c'è un motivo valido per cui... però
sappiamo che comunque c'è una speranza facendo la fa...
Giovanni: cioè io posso arrivare ad una certa età, vedo che non c'è
nessuna soluzione, ci sono tanti bambini in giro che hanno bisogno
d'affetto, cioè non vado poi io a cercare la cosa per forza, se hai provato
per 10 15 volte... cioè io arrivato ad una certa età una vecchiaia senza
figli, secondo me è una cosa troppo brutta...
ML: quindi comunque tu preferiresti l'adozione ad un figlio con
fecondazione eterologa...
Giovanni: a questo punto... per me... si.... cioè io non critico... poi certo
per una donna avere una gravidanza è la cosa più bella al mondo..
Miriam: però io stessa, anche se lui mi dicesse si, non lo farei...
Giovanni: perché la cosa vedi, cioè, il matrimonio è l'unione, deve essere
una cosa di tutti e due, o di tutti e due o di nessuno, almeno io la penso
così, adottivo è di nessuno...
ML: è un tipo di genitorialità diversa...
Giovanni: si appunto.. io sta cosa non la vedo tanto...perché un domani
lei mi può dire questo è figlio mio...
Miriam: no va' bé...
Giovanni cioè, almeno la donna può dirlo, è figlio mio, non è figlio tuo...
ML: geneticamente...
Giovanni: perché lo ha partorito, invece così adottivo sappiamo che è,
insomma...
Ml: quindi adesso aspettate l'esito del ricorso e poi riproverete...
138
Miriam: si, dopo l'estate... così ci riposiamo... anche economicamente...
Giovanni: certo, perché ti pare che guadagniamo chissà che cosa...
ML: poi anche per Miriam, da un punto di vista fisico...
Miriam: si...
Giovanni: che poi un'altra cosa; la situazione ora con la legge attuale,
paghiamo tutto il procedimento, il bambino è malato, che devo fare?
Devo farlo curare... e pagare...
Miriam: all'estero poi, perché qua in Italia..
Giovanni: c'è il centro a Siena, ma tu pensi che me ne vado la dopo
quello che mi hanno detto nel 2002? Non ci vado, vado in Svizzera dove
sono stato operato io, dove è stato operato mio padre, mia sorella ti devi
immaginare che non è stata operata lì perché economicamente i miei
non ci arrivavano, prima ero stato operato io, dopo due anni è nata mia
sorella, mio padre mi raccontava che, all'epoca, c'erano voluti tipo due
anni di stipendio...
ML: anche perché magari non era riconosciuta dal SSN, quindi nessuna
agevolazione...
Giovanni: certo, figurati... e poi la procedura è lunga... quando sono stato
operato la prima volta si, abbiamo
fatto tutte le carte, c'è una
commissione che decide, ma poi quando mi è venuta l'emorragia due
anni fa, pensi che avevo il tempo di andarmene in giro a sbrigarmi le
cose e a aspettare la commissione? No... Quindi per me la Sanità italiana
è zero, zero, per me... Ora poi che hanno messo questa cosa dell'AIDS,
per me è un'offesa, cioè io l'AIDS me la vado a cercare
Miriam: va' bé non sempre..
Giovanni: attenzione, può capitare facendo una trasfusione, però ora
rientrano tutti... L'AIDS te lo vai a cercare giusto?
Miriam: magari qualcuno se lo ritrova..
Giovanni: ritrovi che cosa?
Miriam: l'hai detto tu, con un intervento, una trasfusione...
Ml: considera anche che tante persone magari non possono scegliere se
avere o no rapporti protetti...
139
Giovanni: si ma non ci nasci... per me è un'offesa per tutti quelli che
hanno una malattia genetica dalla nascita... perché uno che se ne va a
prostitute, che bisogna dirle queste cose, si prende l'HIV ed è più
avvantaggiato di uno come me... ho ragione o no?
ML: sicuramente chi è portatore di malattie genetiche è lasciato solo,
discriminato... è come se si volessero solo esseri “perfetti”
Giovanni: noi non cerchiamo il figlio perfetto, noi vogliamo solo la salute
che è la cosa più importante.... noi non cerchiamo la bellezza... se anche
mio figlio è bello ma ha un tumore pensi che mi ringrazierà? Che qualità
della vita è? Le difficoltà che ho avuto io per trovare lavoro... Ma tu ci
pensi che non ho potuto fare il militare, ho avuto le strade chiuse in
polizia, carabinieri...
ML: ma o stato non ti ha riconosciuto l'invalidità civile?
Giovanni: ho l'invalidità, ma secondo te io ho trovato lavoro grazie alla
mia invalidità? Io il lavoro l'ho trovato a 30 anni...
Miriam: grazie a una raccomandazione...
Giovanni: e anche sto fatto delle staminali, che non si può fare ricerca...
hanno ricostruito tutto figurati se non riescono a ricostruire la retina...
ML: quante volte siete andati ad Istanbul?
Miriam: due volte, ma la seconda volta abbiamo trasferito embrioni
congelati, ma...
Giovanni: il destino ha voluto che poi...
Miriam: ma anche perché la tecnica comunque non è detto che
funzioni... certo c'è chi al primo tentativo ci riesce, noi abbiamo avuto
due possibilità, due embrioni freschi, due embrioni congelati... La prima
volta l'ho perso dopo pochi giorni... la seconda volta zero...
Giovanni: si guarda proprio il destino...la seconda volta che siamo andati
lì arrivati al trasferimento lei aveva la febbre e gli embrioni, che erano
congelati glieli hanno dovuti trasferire per forza perché ormai li
avevano scongelati...
Miriam: è stata anche una questione di sfortuna.. come ci sono state
invece coppie che abbiamo conosciuto perché è pieno di italiani che con
ovociti congelati sono riusciti ad ottenere la gravidanza, oppure che
140
hanno il figlio più grande malato e che cercano di avere un fratellino
compatibile per salvarlo... ci sono le statistiche ma alla fine è da caso a
caso... come la sindrome di down, se sei giovane non ce l'hai... non è vero
poi...
ML: lì non c'è un limite nell'impianto degli embrioni?
Miriam: decidi tu... con l'aiuto del medico naturalmente...
Giovanni: quelli che non vuoi li congelano, per due anni mi sembra..
dopo se non li vuoi li buttano, credo... noi avevamo 12 ovociti, 8 sono
andati avanti, poi li hanno analizzati e ne avevamo 4, 4 sani e 4 malati...
ti puoi immaginare lo stress, l'attesa del risultato che c'è sempre la
paura che possono essere tutti malati...
ML: poi magari anche il fatto che si è da soli, lontani dalla famiglia
Miriam: si questo ma anche la lingua... e poi anche lo stress perché
magari il Dottor. Guglielmino ti fa la visita e ti dice domani devi essere a
Istanbul, e allora organizzati, i biglietti, l'hotel, i bagagli, le ferie al
lavoro, i medicinali... diventi pazzo, arrivi là che già sei esaurito... poi
arrivi là, vai in ospedale, ti trovi di fronte dei medici che non capisci, che
non hai mai visto, ti devi solo fidare...
ML: non c'è un'interprete?
Miriam: si c'era una ragazza, ma con tutte le coppie italiane che ci sono
mica quella può stare con te per tutto il tempo... però alla fine quando tu
arrivi là in sala operatoria che ti devono fare tutto, ti devono
addormentare e sei sola, perché lui non può neanche entrare, ti devi
solo fidare... non puoi fare altro... cioè non li hai mai visti, una cosa è che
sei con il tuo ginecologo che ti dice ora facciamo questo, ora facciamo
quest'altro, ti spiega, quando sei là ti addormentano e ti fanno quello
che ti devono fare...
Giovanni: poi io sono anche d'accordo con il fatto di congelare
l'embrione malato... perché ci potrà essere una tecnica che lo salva in
partenza, che ne sappiamo noi, la scienza ha fatto passi da gigante...
potrebbe esserci una tecnica che trova la cura...
ML: ma voi pensate che l'embrione sia già vita?
Miriam: io penso che ognuno abbia la sua libertà di pensiero, non
giudico chi la pensa così, che già quando la cellula uovo si unisce allo
141
spermatozoo già è vita, per me è una cellula fecondata da un'ora due ore
due giorni quello che è, fino al momento in cui viene analizzata, non
posso dire che già è vita, non la vedo così... per me ancora non è
neanche embrione, per me ancora è una cellula che diventa embrione se
lo impianti, ancora è una cellula che si sviluppa in due, tre cellule...
Giovanni: per me la vita è quando cominci a pensare...
Miriam: poi anche il fatto che la legge ti da la possibilità di abortire io la
vedo assurda... non mi puoi dire che vuoi tutelare l'embrione in quanto
vita... allora perché mi dici che se io sono portatore di malattie
genetiche posso fare l'aborto... o lo accetti.. in questo momento se mi
arrivasse una gravidanza naturale io sarei la persona più felice del
mondo, anche se è malato lo accetterei... dopo tutto quello che abbiamo
passato il desiderio di avere un figlio è più forte di qualunque cosa...
Giovanni: oggi le tecniche possono bloccare il tumore, con il laser, ma
siamo sempre lì, con il punto interrogativo... e devi essere fortunato
nella sfortuna che il tumore deve essere alla periferia della retina, come
il mio caso... se colpisce il centro... sei cieco... perché io devo fare passare
a mio figlio questa cosa se posso preventivarla? Se si deve seguire il
corso naturale della vita come dicono loro io metto al mondo un figlio
che può morire di tumore se non lo curo...
ML: quindi oggi per voi il desiderio di avere un figlio è più forte della
paura che possa essere malato?
Giovanni: si perché alla fine le abbiamo provate tutte, cioè che possiamo
dire che abbiamo lo scrupolo che c'era una soluzione e non l'abbiamo
provata... a un certo punto gli anni passano...
Miriam: a meno che non ci rinunci e a un certo punto decidi di
intraprendere l'adozione.. però io per adesso non mi voglio arrendere...
ho ancora 29 anni e non mi voglio arrendere
Giovanni: fino a quando c'è uno spiraglio ci proviamo...
Miriam: può darsi che fra 10 anni m'arrenderò, ma ora no...
142
Sandra&Davide
Sandra: allora da dove cominciamo...
Davide:da dove vuoi cominciare...??? ci siamo conosciuti, sapevamo di
essere entrambi portatori sani...
Sandra: noi avevamo 16 anni, però eravamo amici e da amici sapevamo
entrambi di essere portatori sani di talassemia; io lo sapevo da quando
ero piccola... lui sospettava...
Davide: io lo sospettavo e ai 20 anni ho avuto la conferma...
ML: da cosa lo sospettavi?
Davide: io ho una madre portatrice sana, e la statistica dice che il 50%
dei figli possono essere portatori sani: io ero il sesto di sei figli, l'ultimo,
tutti portatori sani...
Sandra: per la serie le statistiche... nel mio caso invece si sospettava per
un pallore che avevo spesso e il medico curante disse “non è per caso
che...” e poi, testuali parole, “non fa nulla, l'importante è che non ti sposi
con un altro portatore sano”, io l'ho preso alla lettera, dopo molti anni
che ci conoscevamo, ci siamo messi insieme e ci siamo sposati sapendo
già che eravamo entrambi portatori sani...
Davide: e quando abbiamo deciso di sposarci la diagnosi genetica si
poteva fare...
Sandra: e noi tra l'altro eravamo informatissimi perché siamo amici
della nipote del Dottor Guglielmino, quindi io ero costantemente
informata su tutti i progressi scientifici... e quindi lo sapevamo
perfettamente che c'era la diagnosi genetica e che sicuramente ti fa
stare più sereni, cioè la vivi in un'altra maniera, perché sai che hai una
possibilità tra virgolette e solo che poi è uscita la famosa legge nel 2004,
noi nel 2005 ci siamo sposati, esattamente una settimana dopo il
referendum... e questo è stato il regalo che ci hanno fatto... ci siamo
sposati consapevoli del fatto che c'era 'sta benedetta legge 40 che ci
impediva la diagnosi...
Davide: diciamo che noi a priori scartavamo l'idea di concepire un
bambino e poi al terzo mese di gravidanza...
143
Sandra: no no, assolutamente... non mi sono proprio...
Davide: ci abbiamo messo tutti i mezzi perché non succedesse...
Sandra: io sono sincera... io vivevo col terrore, per me era una cosa... il
pensiero di rimanere incinta, di dover fare un amniocentesi e poi
sapere... dover decidere se tenerlo o no... solo il pensiero mi faceva
morire... stavo malissimo solo a pensarlo...per cui sempre è stata una
cosa di cui abbiamo parlato...
ML: perché c'è una percentuale del 25% che venga malato?
Sandra: proprio quello è il problema....
ML: perché se sei portatore sano vivi benissimo...
Davide:siamo qua...
Sandra: può capitare di essere un po' più stanco di altri...
ML: e quindi siete andati all'estero... niente Italia...
Sandra: no assolutamente, perché comunque sapevamo che...
ML: li avrebbero impiantati ugualmente...
Sandra: e quindi pur essendo fertili abbiamo deciso di fare la diagnosi
preimpianto...
ML: dove siete stati?
Sandra: a Istanbul
Davide: due volte...
Sandra: la prima volta erano tutti malati e quindi...
Davide: sempre in barba alla statistica...
Sandra: la statistica dice 1 su 4...
Davide: sono riusciti a fecondarne 3 e tutti e tre malati... teoricamente
ce ne doveva essere mezzo sano... e quindi ce ne siamo tornati a casa...
Sandra: una bellissima esperienza... fantastica, sotto tutti i punti di
vista... sei fuori in un paese che non conosci, una lingua che non conosci,
medici che non conosci, gli unici punti di riferimento siamo noi due.. e
144
affrontare una cosa del genere non è semplice, ci stai male, è normale, e
sei solo...
Davide: e poi lei alla fine... un'anestesia totale, un intervento, per quanto
leggero... ci sono migliaia di persone che non lo proveranno mai...
Sandra: leggero?...
Davide: dai, non è un intervento invasivo...
Sandra: insomma, bene non sono stata...
Davide: si, un piccolo intervento...
Sandra: sono stata a letto coricata tre giorni, perciò tanto bene non è
che mi ha fatto... la seconda volta non è andata così... ma la prima.. e io
chiamavo (al telefono) perché non avevo nessuno... là chi avrei dovuto
chiamare, il medico turco? Che parlava in turco?
ML: niente servizio di interpretariato'
Davide: no, la prima volta no.. e poi comunque non è che l'interprete ce
l'hai 24h su 24... cioè nella camera d'albergo, quando lei stava male,
perché una volta che è passato l'effetto dell'anestesia, quando ci siamo
ritirati abbiamo cominciato a vedere che stava male... a chi ti rivolgi...
oltre chiamare Guglielmino a chi ti rivolgi? Cosa fai?
Sandra: niente! È che da certi punti di vista ti comporti anche da
irresponsabile... questa è la sensazione che ho io... io sono andata la, non
so chi è, chi non è, non so come lavorano, come non lavorano... vai... cioè
devi andare... non hai alternativa... non c'è un altro modo e quindi ti
butti... poi io mentalmente mi costruisco i miei castelli per cui... io
preferisco non farmi troppe domande... cioè non pormi troppi dubbi,
perché mi rendo conto di non avere le risposte e quindi preferisco... a
modo mio mi dissocio... no è così, perché se poi cominci a pensare a
tutto quello che può succedere...non vai da nessuna parte... e quindi ti
lanci...
Davide: cerca di renderti conto di questa situazione: tu vai la, otto
giorni, e aspetti l'esito della diagnosi... sentirti dire che non si fa il
trasferimento... cioè, una delle peggiori botte che abbiamo mai
ricevuto...
Sandra: sì, assolutamente..
145
Davide: e.. quindi te ne torni a casa... avendo speso 8000 euro la prima e
9000 la seconda... più qua devi fare tutto il ciclo di stimolazione, e quello
sono altri soldi... per un totale di 18/19 mila euro... noi piangeremo
questa situazione per i prossimi anni, ma era inevitabile...
Sandra: cioè, o hai tanti soldi o, se non ne hai, puoi provare una volta e
poi ci rinunci, o, se sei nelle vie di mezzo...
Davide: se sei un onesto lavoratore...
Sandra: sai che per molto tempo dovrai... pagare, in un modo o
nell'altro... (ride)
ML: ma ora non sei felice?
Sandra: si, per carità, sono felice, però... io sono sincera, devo dire la
verità... non è... una felicità che gusti al 100%...no, c'è sempre...
Davide: si anche perché stando sempre qua dentro (al centro HERA)...
sei sempre in questo clima... poi vedi una trasmissione come quella
(8e1/2 del 5 maggio) e a me mi si rigira tutto dentro... e quindi non è
semplice...
Sandra: no... per me è stato stressante... non vivi nemmeno la
gravidanza come le altre donne, cioè vorresti viverla come le altre
donne ma, hai un chiodo fisso... così come ce lo avevo prima purtroppo
me lo sono portato anche dopo... per carità, chiaro che sono felice... però
hai una rabbia dentro che ti cova...
Davide: hai una forte rabbia...
Sandra: ce l'hai sempre, cioè ti senti sempre... sempre arrabbiata...
sempre quel pensiero che ti fa stare male...
ML: che sia questo il costo di un figlio... non economico, emotivo...
Sandra: si, si... più il costo emotivo...
Davide: si, quello economico poi passa, certo all'inizio eravamo più
spaventati poi... poi lo affronti e ti resta la rabbia...
Sandra: perché quello economico sai che prima o poi passerà... quello
emotivo no... per me è una certezza che per tutta la vita io mi porterò
questo pensiero dentro... né tanto meno io sono così pazza da dirti “ o
sai che bella la diagnosi preimpianto, ti fa stare bene perché ti levi tutti i
146
pensieri...!” per me anche quella, personalmente, non è un aborto per
me, ma è comunque...
ML: non lo vedi come un normale esame diagnostico?
Sandra: no, no... e per me, ti dico la verità è anche da folli pensarlo... non
è così... non è un semplice esame... io ci sto male... ci sono stata male la
prima volta, ci sto male ora ed è una cosa che non dimenticherò mai...
che non ti puoi dimenticare mai...
Ml: perché?
Sandra: perché comunque dentro di te... allora perché io dico che c'è
differenza, perché per me è una cosa ben diversa sapere che tu sei in
stato di gravidanza, cioè che c'è una gravidanza in corso, una cosa è
sapere che sono degli ovuli fecondati, degli embrioni, che solo
potenzialmente potranno dare luogo a una gravidanza, ma che in quel
momento preciso...
Davide: sono cellule...
Sandra: nel momento in cui ne vengono trasferiti due e uno non è
andato avanti, non ho deciso io... per cui la vivo un po' in questa
maniera... sicuramente, sotto un certo punto di vista, è un po' più
leggero di un aborto... ma non è una cosa che tu ti svegli la mattina e
decidi di farla perché ci hai riflettuto mezz'ora e decidi di farla... è una
cosa che tu maturi, è una cosa che tu ci pensi, ci ripensi, perché
comunque gli scrupoli te li fai, perché un minimo di cognizione ce l'hai e
pensi che, ok, d'accordo, potenzialmente potrebbe essere una vita... ma
non è una cosa che vivi in maniera serena, o almeno... io no...
ML: non pensi che derivi anche un po' dall'aria che si respira in giro?
Forse perché ti senti sempre sotto giudizio...
Sandra: si è quello...
Davide: c'è molta superficialità... non si conosce la materia...
Sandra: quando vai fuori, sai che stai andando fuori e che tutti quanti
pensano che tu fai schifo... tu e tuo marito siete due persone schifose
e...quindi noi andiamo all'estero con l'odio di tutti... cioè te lo senti
questo addosso, te lo senti... senti l'odio degli altri e ti arrabbi perché
fondamentalmente la verità è una: che quando una cosa ce l'hanno gli
altri si vive in una maniera, quando poi le vivi tu in prima persona è
147
tutta un'altra storia... i nostri sentimenti, le nostre emozioni per le altre
persone non esistono...
ML: e il fatto di ricorrere alla tecnica come l'hai vissuto? È stata un
mezzo o una sorta di invasione?
Sandra: no, assolutamente...
Davide: guarda ne abbiamo sentite di tutti i colori... i figli nati dalla
provetta non sono figli nati dall'amore... ecc...ecc...
Sandra: aspetta, ma non perché l'ho fatto io... è una cosa che ho sempre
pensato e...anche la famiglia, cioè sono sempre cresciuta in maniera, da
questo punto di vista disinvolto, nel senso che, capitava anche di altre
persone che avevano fatto FA, cioè a casa mia non se n'è mai parlato
male, non si è mai giudicato nessuno, anzi, veniva vista come una forma
di aiuto per chi realmente aveva problemi... un aiuto, né più né meno...
Davide: penso che chi va incontro a una situazione del genere che
comunque è difficile sono persone che vogliono fortemente un figlio,
anche più di quelle che gli capita... per carità, non voglio giudicare...
Sandra: io quando sento che è creato in laboratorio... mi interessa
relativamente, penso siano degli imbecilli per cui... penso che non me ne
vergogno, e non solo non me ne vergogno, ma non lo nascondo e... ci
resto anche male quando si nascondono gli altri, perché francamente
non ne vedo il motivo... bambini nati con la FA ce ne saranno non so
quanti e hanno tutti quanti la tendenza a nascondersi perché hanno
tutti quanti una sorta di vergogna... perché?
Davide: noi ormai non ce l'abbiamo più... se no non saremmo qua, non
avremmo fatto tutto quello che abbiamo fatto. Siamo andati sul tg3, alla
trasmissione di Jacona, però adesso, visto e considerato come la pensa
la gente ci preoccupiamo di lui, un po'... in futuro...
Sandra: ti faccio un esempio: nel momento in cui tu leggi un articolo,
come ad esempio è capitato a me, che per me era un'istigazione
all'odio... cioè chi era bravo e fortunato ed era riuscito ad avere un figlio
in modo naturale era buono e un santo, coloro i quali no... allora i
bambini sono dei mostri, creati in laboratorio... allora io faccio un
semplice ragionamento: nel momento in cui mio figlio dovesse andare
all'asilo, vuoi o non vuoi la mia faccia si è vista, da tante parti, è difficile
ma... mi incontrano e mi dicono : “ah ma tu sei quella che...”, alla fine
148
vuol dire che qualcuno mi ha visto.. comincio a pensare che se i
compagnetti di mio figlio dovessero avere alle spalle delle famiglie
formate da persone superficiali, ignoranti, quello che vuoi, che la
pensano alla stessa maniera e un giorno dovessero andare da mio
figlio... si è difficile, ma io l'ho pensato... una cosa è che lo dicono a me
che sono adulta e responsabile delle mie azioni e so come rispondere,
una cosa è fare pagare, a parte il fatto che è una vigliaccheria, un
bambino... trovo mostruoso e ingiusto che debba essere mio figlio a
dover pagare un prezzo sociale al mio posto...
149
Silvana&Giacomo
Giacomo: dai raccontale la nostra storia, dall'inizio
Silvana: non è che ci sia molto da raccontare, comunque.... Siamo venuti
qui stamattina per parlare con l'Avvocato che si occupa dei ricorsi
anche se la nostra esperienza è piuttosto recente. Noi ci siamo
conosciuti nel 1993 e dopo un po' che stavamo insieme, parlando, è
uscita questa cosa che entrambi siamo portatori sani di beta talassemia.
Ci siamo sposati nel 2003 e, sinceramente, non abbiamo dato più di
tanto peso a questa cosa perché abbiamo sempre pensato che in fondo
la scienza va sempre avanti... per noi invece è andata indietro (ride)...
Giacomo: noi abbiamo degli amici che hanno avuto dei bambini
ugualmente quindi abbiamo sempre pensato che anche noi avevamo
una percentuale di possibilità che venissero dei figli sani... All'inizio
abbiamo provato in modo naturale e nel 2006 lei è rimasta incinta... Alla
dodicesima settimana abbiamo fatto i controlli...
Silvana: la villocentesi...
Giacomo: e da lì si è visto che il bambino era malato...
Silvana: della forma più grave, tra l'altro...
Giacomo: e così abbiamo fatto l'aborto terapeutico che, soprattutto per
lei, non è mica stata una cosa piacevole... E allora abbiamo deciso
insieme di venire qui, attraverso dei nostri amici che già conoscevano
questo centro. Adesso abbiamo deciso di andare all'estero, in Grecia,
dove il tutto costa meno rispetto ad altri paesi europei...
Silvana:
dovevamo partire domenica ma io adesso ho avuto un
problema... sono andata in iperstimolazione ovarica, ho prodotto tipo
22/24 follicoli, una cosa abnorme... quindi abbiamo rimandato a
settembre, dopo l'estate... già fare tutta la terapia non è piacevole, con
tutto quello che comporta, tutti gli effetti collaterali che ci sono, ci
manca solo il caldo (ride)... va' bé, pazienza vuol dire che non era il
nostro momento...
150
Giacomo: per noi il problema resta comunque l'impianto obbligatorio
perché nella nostra concezione non esiste il concepire un figlio per poi
buttarlo via...
Silvana: per me questa legge non ha senso, non mi tutela per niente...
perché io non sono libera di scegliere, viene limitata la mia possibilità di
scegliere se mettere al mondo o no un figlio malato... lo sai che cosa
significa per una mamma, quando tuo figlio ha un anno, sei mesi,
mentre le tue amiche sono al parco con le carrozzine, tu devi tornare a
casa per fare la terapia farmacologica... per non parlare poi di quando
comincia il calvario delle trasfusioni...
Giacomo: che vita è questa? Oggi le persone campano 80 anni se va male
e tu sei costretto a mettere al mondo un figlio che sai morirà presto e
con una qualità della vita pessima
Silvana: con questa legge si gioca a scarica barile... dal legislatore al
medico alla coscienza del singolo... l'hanno fatta sulla nostra pelle e oggi
noi siamo venuti qui proprio per parlare con l'Avvocato, per presentare
i ricorsi, perché in Italia non si parla abbastanza della discriminazione
che subiscono le persone come noi... è stato come per il referendum,
perché non si è raggiunto il quorum? perché alla gente non interessa, è
una cosa che non interessa se non sei direttamente coinvolto e poi c'è
stata poca informazione e molto viziata... la Chiesa ha fatto un putiferio
su 'sto fatto dell'embrione e oggi ci troviamo in questa situazione...
Ml: siete cattolici?
Giacomo: si, cioè, ci siamo sposati in chiesa, ma non vuol dire niente...
Silvana:si, ma io ho una fede tutta mia... prego, ma a modo mio... è una
cosa mia molto personale...
Giacomo: quello che vorremmo evitare è proprio un ulteriore aborto
terapeutico...
se voglio un figlio malato non ho bisogno di fare la diagnosi
preimpianto, possiamo anche cercarlo in modo naturale... ma noi non ce
la sentiamo...
Silvana: per me l'aborto terapeutico è peggio rispetto alla selezione
degli embrioni... perché a 12 settimane è già una vita: ha le braccia, le
gambe... è formato... invece dopo 5 giorni è ancora un ammasso di
151
cellule, cioè poi non lo so... però mi sembra... è anche esterno al tuo
corpo, non è dentro di te, non hai ancora nessun tipo di legame...
ML: desiderare un figlio non malato secondo voi è eugenetica?
Giacomo: secondo me no... non è che qui si tratta di fare bambini biondi,
mori, con gli occhi azzurri... noi abbiamo amici con figli malati, e ti
assicuro che non è proprio una bella cosa... e poi chi lo può dire dove
inizia la vita? Se dovessimo ragionare in maniera assoluta allora anche
un ovulo può essere vita, così come uno spermatozoo, chi lo può dire?
Per assurdo, se si volesse tutelare la vita sotto ogni aspetto, dovrebbero
vietare anche i contraccettivi... perché anche lì in fondo tu stai
decidendo di non avere dei figli...
ML: e cosa ne pensate delle linee guida che sono state emanate due
giorni fa?
Giacomo: per noi non cambia niente, perché per noi il problema è
l'obbligo dell'impianto... sono meglio forse per quelli che hanno delle
malattie sessualmente trasmissibili, come l'HIV o l'epatite, perché sei
sicuro di non contagiare il partner... e poi hai comunque delle
possibilità...
Silvana: e poi la natura è imprevedibile... è tutto soggettivo... c'è chi
riesce e chi no... noi per adesso speriamo... abbiamo fiducia...
152
Giovanna
Giovanna: innanzitutto, noi prima di sposarci, non avevamo mai
pensato... non sapevamo di avere questo problema, sapevamo che
poteva insorgere ok, abbiamo scoperto di dover fare una DPG in seguito
a degli esami particolari che solo qui ci hanno prescritto, cioè il
cariotipo, che è un esame che va a guardare la mappa genetica sia
dell'uomo che della donna ed è risultata una traslocazione, però
bilanciata, da parte di mio marito, quindi , parlando qui con la genetista
lei ci ha detto che, nel caso in cui si fosse creato l'embrione, ci potevano
essere delle malformazioni particolari nel feto, quali down, nanismo,
comunque delle cose abbastanza pesanti... perché io mi ero affidata al
fatto che, se fosse stata una cosa lieve, un difetto lieve, era un problema
superabile, però... pensare a un bambino che può essere un vegetale o
che potrà avere pochi anni di vita, no... non è una bella prospettiva, e
quindi all'inizio il dottore ha detto che l'unica soluzione era quella di
eseguire qui in Italia un'inseminazione e provvedere eventualmente
con un aborto terapeutico nel caso in cui ci fosse stato un problema...
ML: questo in che anno?
Giovanna: l'anno scorso, quindi la legge 40 e il referendum... c'erano già
stati... allora io, non avendolo vissuto in prima persona, quando c'è stato
il referendum l'ho preso un po' alla leggera, perché purtroppo poi
l'informazione, anche personale, è stata scarsa... poi è anche vero che tu
un problema lo vivi in maniera più profonda quando ti tocca in prima
persona no? Quando non ti tocca puoi anche dire “io non sono
d'accordo” oppure dare dei giudizi avventati, no? Però in effetti quando
poi passi... quando questi problemi ti toccano in prima persona vedi le
cose in un'altra prospettiva... Soprattutto il fatto di dover affrontare un
aborto... cioè, avrei lasciato perdere, ecco, se non ci fosse stata nessuna
fattività... mentre considerando la possibilità come ci ha suggerito la
genetista, che si poteva fare la DPG all'estero abbiamo cominciato a
riflettere su questa opportunità e ti dirò comunque che è stata una
scelta anche molto maturata perché è passato un anno da quando
abbiamo deciso di provare ... difatti siamo nel 2008 ma noi siamo qua
dal 2006, perché abbiamo scoperto questo all'inizio del 2007, ci
abbiamo riflettuto con mio marito e poi abbiamo deciso di
153
intraprendere comunque questa strada perché... io sono cattolica, lui
diciamo che ha tutti i sacramenti però... è abbastanza ateo (ride)...
ML: non è praticante diciamo...
Giovanna: si ecco, non è praticante (ride), anche se lui ora si definisce
proprio ateo... per lui era indifferente, non c'erano problemi, avremmo
potuto affrontare subito... io ho voluto un po' riflettere su questa cosa,
ho letto in giro, diciamo che mi sono voluta anche dare una
giustificazione a quello che stavo facendo, ora non so se sia giusto... non
è giusto per quanto riguarda... se io vado a parlare con qualcuno...
qualche ministro, ecc ecc, non è giusto, però, per noi, come coppia, mio
marito era contrario all'adozione e quindi... era l'unica strada, fare una
DPG per avere un figlio, non per fare una selezione della specie come
dice qualcuno, ma per avere almeno un figlio sano, questo non è che
garantisce che nostro figlio sarà perfetto o che avrà determinate
caratteristiche fisiche, ma solo che possa partire tranquillamente, poter
iniziare la sua vita tranquillamente senza sapere di dover già affrontare
delle cure assurde, questo insomma è stata la cosa che ci ha fatto
decidere di iniziare questo iter che, ti dico, già è pesante di suo, poi a noi
ci tocca anche fare un viaggio con delle cifre anche alte, perché solo il
biglietto, e io posso prenotarlo con sicurezza solo due/tre giorni prima,
e si parla di 700 euro a testa solo il viaggio, sono già una cifra... ora,
stiamo parlando di soldi ma, per come vanno le cose oggi, il prezzo della
vita e i nostri stipendi, ci vogliono almeno un 9000 euro, perché poi
l'intervento costa un occhio della testa, una volta che fai una DGP gli
ovociti e gli embrioni a quel punto io spero anche di poterli congelare in
modo tale da non dover riaffrontare una cura ormonale così pesante, ti
dirò, fin'ora è andato tutto bene, spero di non avere controindicazioni a
questa cura (ride) però speriamo bene insomma, siamo in attesa di
dover partire fra pochi giorni...
ML: quindi tu prima non avevi avuto delle gravidanze naturali?
Giovanna: no, non ne ho mai avute perché, ti ripeto, c'era comunque
questo problema, se ci sono stati mai degli approcci di gravidanza
praticamente non me ne sono mai accorta... a parte problemi che
possono essere molto comuni come l'oligospermia o l'azoospermia che
ci sono, ci sono anche quelli, quindi inizialmente sono stati imputati a
quelli, infatti mio marito nel nostro paese ha fatto delle cure per cercare
di aumentare la vitalità o la mobilità ma lo stesso queste cure... se è fatto
154
proprio così il suo liquido seminale non portano a miglioramenti,
quindi, oltre a questo, qui ci hanno fatto fare il cariotipo e lì si è
scoperto che c'era anche questo problema, quindi... (ride) problemi su
problemi, perché nel momento in cui è solo un problema di
azoospermia qui puoi fare l'inseminazione artificiale, però c'era anche
quel problema di traslocazione cromosomica e quindi abbiamo optato
per andare all'estero; ci ha seguito un dottore di Roma per fare
determinati esami che qui in Sicilia non fanno, abbiamo aspettato due
mesi per avere il risultato di questi esami, quando lo abbiamo avuto
abbiamo iniziato a fare atri esami qua, quale isteroscopia, insomma
(ride)
abbastanza
invasivi,
che
sono
necessari
anche
per
l'inseminazione...(ride) e questo è il sunto, diciamo...
ML: ma tu come l'hai vissuta questa decisione di andare contro delle
credenze...
Giovanna: si, diciamo che io sono cattolica però... non so se questo è un
bene, però cerco sempre di ragionare anche con la mia testa, cioè se
certe cose non le reputo giuste, cerco comunque di essere obiettiva, non
so... ad esempio l'uso del preservativo in Africa... Mi sembra di dover
dire per forza “si è sbagliato” ma se il problema reale c'è, tra l'altro che
non si può risolvere, che ci siano dei rapporti a rischio e tanti bambini
muoiono perché la gente non conosce l'uso del preservativo... allo
stesso modo ho affrontato questo problema, ripeto, però ho maturato
questa scelta quando mi ha toccato in prima persona, quindi mi sono
chiesta “ è vero che, davvero due cellule al di fuori di un utero, cinque
cellule perché poi si tratta di fare un esame su 5 cellule, è veramente
vero che 5 cellule sono già una vita?” È vero che hanno già una mappa
cromosomica, un DNA predefinito, quindi sai se quelle cellule saranno
sane, se sarà una femmina... Ha tutta una mappa cromosomica quindi
forse in se... Cioè sapere se è veramente una vita questo... se è
veramente una vita al di fuori di un utero, che poi è quello che poi dà
veramente la vita... non so... ecco lì mi sono data forse una
giustificazione, capito? (ride); cioè non so se è veramente così però per
me... ho trovato una giustificazione a quello che sto facendo... certo non
la vivo tranquillamente, però mi sono data una giustificazione...
vogliamo dire cosi... (ride)
ML: e questo fatto di dover andare all'estero come lo vivi?
155
Giovanna: lo vivo male, cioè perché tu dici, lo avrei potuto fare anche
qui a un'ora da casa e invece... mi devo sobbarcare anche questa cosa, di
ansia, perché la prima cosa che ti porta è l'ansia, perché tu fino
all'ultimo non sai quando partire, fino a quando i follicoli non sono
abbastanza grossi non puoi partire, e quest'ansia di dire li trovo
biglietti, e quando li trovo, perché se li prendi ad un orario che arrivi
alle tre di notte perché non c'è il Catania/Istanbul direttamente ma devi
fare scalo a Roma,, Milano o a Monaco... quando invece se fossi stata qui
in un'ora sarei arrivata e dopo due ore sarei stata a casa... invece lì devo
restare almeno una decina di giorni perché devi aspettare che fanno gli
esami, poi li devono impiantare nel caso che vada tutto bene, poi devi
stare un giorno a letto, poi deve prendere l'aereo quindi comunque è un
passaggio in più... quindi ti dico, non tanto la parte economica, e quella
comunque influisce, però lo stress che una coppia vive nell'affrontare,
così, un viaggio della speranza è notevole... non c'è qui mio marito, ma
se lui ci fosse stato ti avrebbe detto che... (ride)... avrebbe preferito
restare qui... tra l'altro ha anche una fobia per gli aerei (ride)... quindi
sicuramente avrebbe preferito fare tutte cose a casa e rimanere qui...
per lui... già è in ansia da ora sapendo che deve prendere l'aereo...
quindi... per noi è una cosa pesante questa (ride)... per lui di più, per me
alla fine, ecco, voglio viverla con positività, che è una cosa importante,
senza avere false speranze, senza pensare che tutto vada bene per
forza... quindi pensare in positivo però senza farsi delle false illusioni,
perché sappiamo che la percentuale di riuscita è sempre del 30 %...
viverla positiva e affrontarla con spirito positivo, senza troppa ansia, ma
senza farsi troppe illusioni che andrà sicuramente bene... non vorrei poi
che la delusione fosse troppo grande...
ML: e ne avete mai parlato della fecondazione eterologa?
Giovanna: no, quella non sono d'accordo...
ML: non la faresti?
Giovanna: no, no. Non la farei perché... qui noi lo facciamo perché è mio
figlio e figlio di mio marito, è vero che i figli non sono di chi li fa ma di
chi li cresce, però a quel punto preferirei un'adozione a tutti gli effetti...
ML: anche tuo marito?
Giovanna: si, si. Ma neanche gliela proporrei un'eterologa, per lui non
mi sembra... non so, giusto, corretto... alla fine è comunque un figlio...
156
cioè a quel punto mi sembra per forza di voler avere una gravidanza a
tutti i costi, essere madre per forza in una maniera... come tutte le altre
donne, pur portando in grembo un figlio che è solo mio... cioè lui non
avrebbe... cioè, voglio dire, si affezionerebbe comunque però a quel
punto preferirei fare un'adozione, che comunque non è detto che non la
facciamo, se dovesse andare bene questo, se non avessi altre possibilità,
se non volessi di nuovo sottopormi a tutte le cure insomma, poi si vedrà,
comunque l'idea di un'adozione c'è...
ML: quindi è un'opzione che non escludete...
Giovanna: no, anche perché mio marito all'inizio non era d'accordo, poi
quando ha sentito tutta quest'ansia, tutto questo stress, il pericolo
dell'iperstimolazione che potrebbe essere dovuta ai farmaci, là mi ha
detto “ah, mi sento in colpa per averti per forza obbligato a fare questa
cosa, se vuoi lasciamo perdere... possiamo alo stesso adottare un
bambino”, quindi ha un po' cambiato idea ma secondo me più per la
paura di quello a cui possiamo andare incontro... però, è anche vero che
abbiamo detto che se avremo questo figlio e poi vorremo averne un
altro... se riesco questa prima volta o comunque riesco a congelare degli
embrioni, riuscirò un domani ad avere un figlio mio e solo uno,
comunque un domani un'adozione ci penserei a farla...
ML: e tu come percepisci il fatto di essere, diciamo, la protagonista
principale di tutto questo processo?
Giovanna: la vivo serenamente perché sono comunque una persona
positiva e questo è un grande dono... è ovvio che vedo sempre le cose
migliori... Mio marito fondamentalmente è uno negativo, cioè siamo
proprio gli opposti... io la vivo bene, cerco sempre di allontanare i
pensieri negativi... è normale che il carico ormonale c'è, quindi è una
molla che scatta immediatamente, gli altri mi dicono “stai calma” ma io
non mi rendo conto di essere agitata, però a detta degli altri è così...però
la vivo tranquillamente... all'inizio ho avuto sonnolenza, mal di testa,
perché ci sono vari farmaci che prendi, quando ho iniziato a prendere il
primo alle 10 crollavo perché avevo questo senso di stanchezza, oppure
mi alzavo la notte con il mal di testa forte, sono delle controindicazioni...
ora a detta degli altri sono agitata, però per me sono sempre la stessa...
ML: e in famiglia come la state vivendo?
157
Giovanna: ecco, questa è una cosa che le altre ragazze non hanno fatto,
non lo sa nessuno che stanno facendo... lo stanno vivendo solo marito e
moglie, noi abbiamo una famiglia molto free, aperta, lo sa mia mamma,
lo sa mia sorella, mio padre lo sa, in famiglia da noi lo sanno tutti,
famiglia inteso mia mamma, mio papà, le mie sorelle, dalla parte di mio
marito pure, certo non abbiamo messo i manifesti però... anche perché
per me non c'è nulla di male, è un problema che per la gente che c'è qui
è molto comune, ne parliamo tutti tranquillamente... la viviamo bene,
certo mia mamma forse è quella più preoccupata di tutti, per una
questione di protezione, paura sicuramente... sicuramente ha tanta
paura...
ML: magari anche il saperti lontana in un momento così delicato, da
sola...
Giovanna: ci accompagna mio padre, così... lei sarebbe voluta venire, per
visitare Istanbul che è bellissima, per fare un viaggio (ride)... perché
loro sono due viaggiatori, solo che poi per una serie di problemi deve
rimanere qui... anche perché mio marito è molto sensibile... infatti
quando ho dovuto fare una volta un esame qui sotto, che non ho potuto
fare da sveglia, mi hanno dovuto fare un'anestesia totale, è durato 20
minuti, per me non è stato gran che, io mi sono fatta proprio una bella
dormita (ride)... però è venuta mia sorella perché lui da solo non se la
sentiva... infatti poi quando sono uscita dalla sala lei mi è venuta
incontro ma lui non si è riuscito ad alzare perché aveva le lacrime agli
occhi... quindi ho detto “portiamo mio padre” così almeno ci sostiene lui
(ride)... non tanto per me... l'unica cosa che è molto importante è questa
cura, siccome la donna è la protagonista, perché prende tutti 'sti
farmaci, punture, pillole, ha bisogno di una figura forte, ecco, mio marito
che è sensibile, io gli dico sempre “se tu non mi dai forza e io ti vedo
sempre con questa faccia cupa” (ride) non è una cosa positiva, ecco, mio
marito ha una... capisco che c'è gente e gente, mio marito è una persona
sensibile quindi è come se la vivesse in prima persona, non è che è
pauroso è sensibile, quindi lui, quando mi vede che faccio la puntura o
che ho mal di testa... quindi io ormai evito direttamente, “come stai?”,
“benissimo”, perché lui appena sente che sto male si allarma...
ML: si sente in colpa?
Giovanna: questa è una cosa importante, perché siccome deriva da lui si
sente molto in colpa cioè... mi dice “mi dispiace farti fare tutte queste
158
cure, è tutta colpa mia, e io non servo a niente, hai questi tipi di
problemi per colpa mia, ti devi sottoporre a tutti 'sti martirii...”, si da
molte colpe, quindi questa sua... lui somatizza molto questo mio
malessere, o comunque tutta questa cosa dei farmaci, quindi lui lo
somatizza e... si vede che spesso è assente, un po' pensieroso, perché si
sente in colpa... lui somatizza, non dice nulla, però io mi accorgo che... è
meno allegro, meno sereno, e ora questa cosa che dobbiamo partire la
prossima settimana lui già... sta covando quest'ansia...
ML: e quindi nella gestione quotidiana della terapia come hai fatto?
Giovanna: (ride) allora io non so fare le punture, però uno di questi
farmaci è una specie di penna preriempita tipo l'insulina, è una penna
normalissima, tu schiacci il tappetto in alto e esce il liquido,
naturalmente l'ago prima lo devi infilzare nella carne... è un aghetto
piccolissimo, fai conto... la prima volta l'ha fatta lui, la seconda pure, la
terza volta ho detto “no, devo farla io perché devo imparare” ed è
andata bene, ieri però ho cominciato un altro medicinale che si fa
sempre sotto cute ma con le siringhe classiche e devi comunque
infilzarlo... è stato un dramma, perché eravamo qui a Catania, mio
marito non c'era e io l'ho lanciata tre volte facendola rimbalzare
indietro e riempiendomi la pancia di puntini... e mia sorella a quel punto
mi ha detto “togliti, ci penso io..”(ride), guarda se non ci fosse stata lei
avrei chiamato qualcuno del condominio, perché non sapevo come fare
a lanciarla... mi sono puntinata la pancia...
ML: speriamo che unendo i puntini esca un bel disegno...
Giovanna: speriamo, incrociamo le dita!
159
Margherita&Fausto
Margherita: noi siamo venuti qui al centro perché dopo qualche anno
che ci siamo sposati abbiamo provato ad avere un bambino, al primo
tentativo (in maniera naturale) io ho avuto subito la possibilità di
rimanere incinta, quindi, diciamo, io non pensavo di dovermi rivolgere
ad un centro, solo che appena entrata al terzo mese, non si sa per quale
motivo, perché hanno fatto poi delle indagini all'ospedale e non hanno
rilevato niente anche perché il materiale fetale era talmente poco, io ho
perso il bambino e allora ho cercato, e io già allora avevo una
quarantina d'anni, quindi già per me era una cosa strana rimanere
incinta al primo colpo, ho detto “va' be', cose che capitano”, tante mie
cugine, tante mie amiche hanno avuto figli anche a 42, 43 anni, e ho
detto “va' be', vuol dire che la prossima volta andrà meglio” e non sono
più riuscita ad avere bambini per tanti anni invece, non rimanevo più
incinta e allora poi... forse un po' per caso, alcune cose sono un po' come
segni del destino, ho trovato dei giornali dal medico, così, da leggere in
sala d'attesa, è capitato che abbiamo visto un film insieme che trattava
di questi argomenti... quindi, non so, ci siamo guardati in faccia io e mio
marito e abbiamo scelto insieme e ci siamo detti “noi continuiamo a
provare ad avere un bambino”, però eventualmente... e poi ogni mese
c'è l'attesa, vediamo se c'è o non c'è, possiamo vagliare anche questa
possibilità.. e allora, abbiamo deciso di fare questo passo, ci siamo
informati anche con altri medici e ci hanno detto che questo centro è
validissimo, sia come medici sia come biologi, poi siamo venuti qua e ci
hanno detto che ci sono tre tipi di fecondazione: c'è l'inseminazione, c'è
la FIVET e l'ovodonazione... allora l'inseminazione mi hanno detto di
non farla in quanto, diciamo, ci sono delle percentuali che la consigliano
per le donne più giovani che non per quelle che hanno compiuto già
quarant'anni... magari per donne che hanno problemi all'organo
genitale, io ero normale...
ML: come nel caso di gravidanze extrauterine...
Margherita: perfetto, ma io ero normale, tant'è vero che la gravidanza
l'avevo avuta, solo che per motivi che non si è capito...
ML: quindi è un'infertilità inspiegata la vostra...
160
Fausto: diciamo che per l'infertilità non c'è una causa, c'è l'età...
Margherita: noi siamo stati analizzati, stiamo bene, c'è solo l'età... io mi
sono sottoposta a tante indagini, l'isteroscopia ad esempio, tutto
benissimo è andato, mi sono fatta visitare perché ho detto c'è qualcosa
magari che non mi aiuta a portare avanti la gravidanza, tutto ok, l'unica
cosa era questo 40... questo numero che mi portavo dietro e allora tutti i
dottori, compreso il Dottor Guglielmino, mi ha consigliato di tentare la
FIVET, dicendomi “ci sono delle percentuali, diciamo, discrete”, mi ha
detto, anche se non molto alte, perché è chiaro che man mano, siccome
utilizziamo gli ovuli della donna, è chiaro che gli ovuli di una di venti
non sono quelli di una di trenta, e nemmeno come quelli di una di
quaranta... man mano... possiamo provare però... e quindi abbiamo
provato per la prima volta la FIVET però non è andata bene...
ML: in che anno?
Fausto: in realtà, per dirla tutta, noi la FIVET l'abbiamo provata
all'estero perché mia moglie aveva il desiderio che si facesse la diagnosi
preimpianto...
Margherita: ci avevamo detto che la facevano solo fuori...
Fausto: non per malattie genetiche ma, perché è noto, che quando i
gameti hanno una maggiore età ci può essere un maggiore rischio di
alcune malattie... e quindi l'anno scorso, dopo la legge...
Margherita: e quindi noi la FIVET l'abbiamo dovuta fare fuori perché
volevamo fare la PGD che qui ci avevano detto che non si poteva fare...
Siamo stati in Spagna... Ma siamo andati più volte, perché non è che
subito fanno la FIVET, prima fanno tante visite, e poi c'è stato un
trasferimento solo che non è andato molto bene perché evidentemente
era destino, forse la qualità dell'embrione non era quella giusta, io ho
avuto anche dei disturbi, purtroppo lì sono stata male, perché bisogna
stare a riposo completo dopo il trasferimento, e io non ho potuto farlo,
quindi anche questo ha influito, perché ho avuto un blocco vescicale, e
quindi tutta una serie di problemi, mi hanno dovuto mettere il
catetere...
ML: che può portare delle infezioni...
Margherita: le ho avute purtroppo, quindi da settembre ho cercato di
riprovare di nuovo ma non l'ho potuto fare perché ho dovuto levare
161
l'infezione più altri problemi che prima ho dovuto risolvere e poi ho
riprovato di nuovo, un altro tentativo, per vedere se poteva sortire dei
risultati... Ora noi siamo partiti con mio marito da recente...
Fausto: un mese fa...
Margherita: va' be', tanto vale che lo dico, quando la FIVET non è andata
bene, che ci davano delle percentuali tipo un 20-30%, anzi di meno, il
Dottor Guglielmino mi ha detto che le donne della mia età... perché per
fare la FIVET, come lei sa, ho dovuto fare delle punture...
ML: la stimolazione...
Margherita: sia per l'endometrio sia per gli stessi ovuli , diciamo a dare
il meglio di loro, mi ha detto che molte donne alla mia età non
rispondono nemmeno a queste sollecitazioni e invece a me hanno preso
tanti ovuli buoni e invece non sono andati bene ugualmente e...allora il
Dottor Guglielmino ha detto che c'era un'ultima possibilità, perché noi
abbiamo desiderato tanto un bambino, quindi l'ultima possibilità era
l'adozione e, però, l'adozione è una cosa particolare secondo me... Io
faccio la maestra di sostegno, mio marito lo sa, quanto io amo e di come
mi affeziono ai miei alunni, specialmente ai bambini che hanno
difficoltà, per me diventano, non dico figli miei, ma il loro bisogno
d'affetto diventa uno scambio per me, però io so che, la maggior parte
dei bambini che ho avuto, sarà stato un caso, sono bambini adottati..
quindi molte volte vengono da situazioni, anche se non hanno deficit
fisici, ma comunque rimane nella loro infanzia una traccia, sono
bambini che hanno problemi a livello cognitivo, specialmente a livello
affettivo-relazionale, sono bambini che si rifiutano di affezionarsi, di
attaccarsi a una persona, vedono il mondo ostile e quindi è molto
difficile, come posso dire, annientare tutto quello di difficile hanno
vissuto e di rieducare questi bambini... perché specialmente alla mia età,
a 40 anni, l'adozione, mi è stato detto, che non mi davano un bambino
neonato, mi davano un bambino dai 10 anni in su, quindi un bambino
che già è cosciente del proprio vissuto, del suo passato, e quindi ancora
più difficile è lavorare su un bambino che ha queste difficoltà... e io, ho
grande stima per loro, per carità, però è un peso a 40 anni avere la
capacità e l'energia per affrontare queste situazioni e quindi ho detto...
bene... proviamo per l'ultima possibilità, e quindi il dottore ci ha detto di
provare per l'ovodonazione, che forse c'erano maggiori possibilità di
successo... se non va nemmeno con l'ovodonazione allora andiamo con
162
l'adozione... E allora io ho detto va bene, è giusto che uno deve
perseverare nella vita in tutto ciò che desidera fortemente e allora
siamo andati a fare l'ovodonazione... abbiamo fatto questa pratica...
Fausto: proprio recentemente...
ML: sempre in Spagna...
Margherita: si, perché c'eravamo trovati bene... hanno scelto una
donatrice che avesse dei tratti fenotipici più o meno similari ai miei e
poi hanno fatto il tutto... c'è stata ovviamente la donazione del seme di
mio marito, chiaro... com'era stato per la FIVET, diciamo che solo io ho
cambiato... anche perché si tratta di ovuli di ragazze che hanno al
massimo 25 anni, però ripeto non sono delle cose che hanno una
sicurezza di successo, hanno sicuramente più possibilità rispetto a una
donna di 40 anni che la cosa possa risultare positivamente, però in
queste cose...
Fausto: in questo momento, siamo, contenti, diciamo...
Margherita: quasi (ride)... abbiamo fatto il trasferimento e allora, due
giorni fa abbiamo fatto il prelievo... e io sono... in attesa di un bambino...
però devo stare a riposo perché purtroppo ho delle piccole minacce di
aborto... la mia vita è letto- poltrona- letto- poltrona, e quindi
purtroppo, siccome sono passata dall'esperienza del bambino che ho
perso e quindi...questa seconda possibilità non troverà ostacoli né
sacrifici, per carità quindi... io ce la metterò tutta poi speriamo bene...
perché noi siamo riusciti al primo tentativo ad avere questo...
ML: quindi un ottimo risultato...
Margherita: si, io avevo parlato con una dottoressa, che è quasi
un'amica, che mi aveva seguito, con cui mi sono molto consultata, che fa
parte di un altro laboratorio, e mi ha detto che addirittura lei aveva
saputo di sue pazienti, di donne che a 50 anni che avevano fatto
l'ovodonazione che avevano avuto due gemellini e quindi... è una tecnica
di fecondazione in cui danno una percentuale sempre... inferiore al 50%,
poi dipende dall'endometrio, dall'utero, io, ripeto, avevo un utero in una
posizione perfetta, avevo fatto delle cure per fare inspessire
l'endometrio e favorire l'impianto ed era tutto perfetto... quindi diciamo
che è andato tutto bene perché ho trovato un ottimo ovulo ma anche
l'ovulo ha trovato un ottimo ambiente in cui impiantarsi... tutto deve
andare bene...
163
ML: quindi anche lei ha fatto una terapia...
Margherita: si, ho preso degli ormoni, estrogeno e progesterone, e
prima ho fatto delle punture...
Fausto: si, scusa, diciamo in sintesi, che prima bisogna spegnere il suo
sistema riproduttivo perché gli ovuli devono essere introdotti
dall'esterno e poi invece bisogna aiutare a far crescere... si prende
qualcosa di simile alla pillola anticoncezionale...
Margherita: e li devo prendere fino al terzo mese di gravidanza per
aiutare... perché è il periodo più delicato...e quindi...
ML: e quindi è un buon momento...
Margherita:speriamo che vada bene...ripeto, ho delle piccole minacce di
aborto...
ML: hanno fecondato altri ovuli?
Fausto: loro fecondano tutti quelli che possano, poi però non ne
impiantano più di tre, mia moglie ha voluto limitare a due gli embrioni
impiantati, degli altri embrioni si potrebbe fare il congelamento, nel
nostro caso non abbiamo notizie se è stato possibile fare il
congelamento di altri embrioni... abbiamo chiesto notizie ma ancora
non abbiamo ricevuto risposta...
ML: ma il centro non è obbligato a fornire queste informazioni?
Fausto: no, non è obbligatorio... un po' sono stati giorni molto intensi
come può immaginare perché abbiamo ricevuto queste analisi... in linea
di principio uno fa impiantare un certo numero di embrioni il resto li
congela per fare eventualmente qualche altro tentativo...
ML: e quindi non sapete niente...
Fausto: ci hanno detto una cosa che a me è sembrata un po' strana...
cioè, bisogna vedere se questi embrioni crescono e allora si possono
crioconservare...
ML: avete deciso di comune accordo di intraprendere questo percorso?
Margherita: certo, noi tutto quello che facciamo... è una cosa molto
particolare...
164
Fausto: quando noi avevamo inizialmente questi problemi, per me la
fecondazione eterologa rappresentava un problema, non solo se fosse
stato necessario donare il seme, ma anche l'ovulo... cioè io volevo
passare direttamente all'adozione perché mi sembrava di immettere nel
rapporto tra di noi qualcosa di estraneo... e, in realtà, mia moglie poi,
parlando con il dottore Guglielmino, il dottore che chiave ha trovato per
dire “è un figlio totalmente vostro”, il fatto che la gravidanza è
comunque un periodo molto intenso...
Margherita: certo...
Fausto: un periodo molto importante per la donna, poi c'è
eventualmente l'allattamento, cioè ci sono delle cose che comunque nel
corpo della donna avvengono ugualmente e che rendono proprio il
figlio... ecco... quando eravamo a Barcellona mia moglie mi ha detto: “
ma se avesse dovuto essere donato il seme saresti stato disponibile?”; io
ho detto, sinceramente, non lo so, perché se l'uomo non ci mette il seme,
cosa ci mette, ho detto scherzando, soltanto i soldi? (ride)... cioè in
effetti, mentre l'ovulo è donato la donna ci mette l'utero, ma se l'uomo
non ci mette il seme cosa ci mette? Allora sono contento che non si sia
presentata l'eventualità e che la cosa si sia risolta almeno al momento
positivamente... sinceramente io avrei avuto qualche perplessità... poi
magari di fronte al desiderio di avere un figlio sono perplessità che si
superano... però è diversa la cosa...
Margherita: ci diceva il dottore che, anche nell'adozione, quando un
bambino è molto desiderato poi uno con la quotidianità lo dimentica...
uno lo sente come figlio suo...
Fausto: certo...
Margherita: quindi a maggior ragione con l'ovodonazione dove c'è una
gravidanza, ci sono tante cose... poi se uno vuole dire una cosa cattiva, ci
sono tanti modi... figlio tuo, figlio mio... il figlio è della coppia...
non è che questo bambino è più di mio marito che mio, o viceversa se
fosse stato donato il seme, sarebbe stato più mio che di mio marito...
Fausto: però la situazione non è simmetrica... il figlio è sempre della
coppia e sono cose che sicuramente si superano se ci fossero, però la
situazione non è simmetrica tra uomo e donna nella donazione dei
gameti... perché la donna porta avanti la gravidanza, quindi fa proprio...
nutre all'interno del proprio corpo...
165
ML: quindi non avete visto il ricorso alle tecniche come qualcosa di
negativo?
Fausto: diciamo che, come molti medici ci hanno detto, noi abbiamo
fatto la cosa migliore che potevamo fare nelle nostre condizioni...
Margherita: con la nostra età, cioè...
Fausto: che vuol dire con la nostra età... e quindi... io fino a qualche anno
fa mai avrei immaginato di fare cose di questo tipo...
Margherita: nemmeno io... quasi tutti i miei cugini si sono sposati ma
erano molto giovani, io ho una sorella gemella e anche lei ha avuto un
figlio a 25 anni...
ML: è stata una scelta difficile?
Margherita: un po' all'inizio forse si, però poi io dico una cosa... che
quando c'è amore nelle cose... io non pensavo... credevo che la FIVET
fosse una cosa strana... poi sono venuta qua e quando si entra nelle cose
ho visto che c'erano tantissime donne che la facevano e quindi questo...
fa vivere la situazione come accettabile, come normale... ma anche
donne molto più piccole di me, che possibilmente l'avevano provata
molte altre volte, quindi mi accorgo che...tante cose si capiscono di più
quando si entra dentro un problema che quando si ha una visione
dall'esterno... adesso ci sono tantissime donne che fanno la FIVET,
anche perché tantissime donne si sposano grandi, tutto da lì nasce il
discorso, perché ora c'è il lavoro, ci dobbiamo laureare, poi dopo
laureate ci dobbiamo sistemare e... tante cose, dobbiamo trovare la
persona giusta, siamo più esigenti, il mondo è diverso quindi...
ML: e il fatto che siete dovuti andare all'estero come l'avete vissuto?
Fausto: qui si apre un discorso anche politico (ride)...
Margherita: ed economico (ride) anche...
Fausto: ed economico a tutti gli effetti..
Margherita: non tutti se lo possono permettere...
Fausto: non è che noi avremmo potuto fare altri tentativi, perché
diciamo che le nostre riserve...
166
Margherita: ma ci sono quelli che non possono fare nemmeno quello
che abbiamo fatto noi..
Fausto: infatti... noi siamo già al limite... infatti noi diciamo che con i due
tentativi che abbiamo fatto, tra tutto, tra viaggi e tutto, se ne sono andati
10000 euro... quindi non è che abbiamo delle riserve infinite... e in
questo momento siamo contenti perché la cosa è andata bene e...
speriamo che continui.. certo, diciamo che avremmo gradito che anche
in Italia, come in Spagna, in fondo sono due paesi cattolici alla stessa
maniera, soltanto che il Papa sta qui anziché a Madrid o non so dove...
quindi questo aspetto politico è dovuto anche al fatto che
probabilmente si vuole, a livello delle forze politiche dei vari
schieramenti, acquisire il consenso dei cattolici che non è più
fossilizzato nella DC com'era una volta... si vuole acquisire quindi il
consenso dei cattolici attraverso il consenso delle gerarchie... diciamo
che certo se non fossimo partiti saremmo stati più contenti, nella
situazione fa molto... d'altra parte sono anche cose che io capisco, a un
certo livello, perché capisco che chi ha una forte convinzione religiosa
possa dire “queste sono cose un po' al limite”, del resto a un certo punto
un limite ci deve essere, io dico, solo che stabilire questo limite, tra le
cose che si possono fare e quelle che non si possono fare... non è che
tutto quello che è tecnicamente possibile è giusto farlo... però, in fondo,
cosa stiamo facendo di male? Stiamo cercando di mettere al mondo un
bambino, forse, è un desiderio umanissimo, in fondo non c'è tutto
sommato, niente di male... scrupoli di carattere morale non ne abbiamo
avuti, ecco...
ML: e gli embrioni?
Margherita: queste cose sono un po' controverse...
Fausto: queste cose mi sono un po' passate quando ho scoperto che,
tante volte ci sono embrioni fecondati in rapporti naturali che poi non
portano a una gravidanza... cioè ho scoperto che rispetto agli embrioni
fecondati la percentuale delle gravidanze è bassissima, ci sono embrioni
che vengono scartati dalla natura stessa... allora, se si aiuta la natura in
fondo... cioè noi stiamo aiutando la natura... da un certo punto di vista,
poi, da un altro, per chi ha delle credenze religiose molto forti può dire
“ma la natura non avrebbe fatto questo”...
ML: ma non dovrebbe essere una scelta personale?
167
Fausto: questo è ancora un altro discorso: chi ha credenze religiose non
dovrebbe imporle agli altri.. però io penso ancora ad un altro livello,
cioè: qual'è il limite fra le cose giuste e quelle sbagliate?
Margherita: ci sono certe donne che non fanno l'amniocentesi perché...
sono delle forme secondo me di ipocrisia... perché poi magari l'hanno
fatta ma non l'hanno detto, e questo è il paradosso, perché non lo devo
dire perché se poi il bambino è malato che faccio abortisco? Dillo no?
Anzi, secondo me il fatto di utilizzare delle tecniche è una cosa giusta...
la medicina è a sostegno e a favore della prevenzione della salute della
donna... che senso ha che non posso fare la diagnosi preimpianto e poi
però posso fare l'aborto terapeutico? Già al terzo mese, quando davvero
il bambino ha un cuore che batte cioè... se non è legale l'uno non lo è
nemmeno l'altro, non ha alcun significato...
Fausto: ma infatti sono nati da due momenti storici e politici differenti...
quelle sono state leggi approvate trenta anni fa... comunque il discorso è
complicato, perché da una parte c'è la tutela della donna, dell'embrione,
troppe cose... bisogna trovare ovviamente un compromesso giusto...
ovviamente la persona già viva deve essere tutelata prevalentemente,
l'embrione deve essere tutelato ma in maniera subordinata, soprattutto
se può portare ad un essere vivente che è sano...
Margherita: poi, portare avanti una gravidanza e dopo qualche mese
scoprire che il bambino è malato, è un trauma per la donna... cioè io ho
perso un bambino al terzo mese, e non era una gravidanza molto
avanzata, forse perché io lo desideravo moltissimo... cioè io dal primo
giorno in cui ho scoperto di essere incinta mi sentivo già mamma... ci
sono tanti aspetti psicologici... e non è stato per me tanto facile andare
ad abortire... perché già il bambino non c'era più e quindi ho dovuto fare
il raschiamento... sono delle esperienze molto brutte per una donna,
specialmente, ripeto, se viene molto desiderato... perché ci sono molte
persone che invece erano in gravidanza e se ne volevano liberare solo
perché erano fidanzate, oppure perché non lo volevano... Nella stessa
sala c'ero io che piangevo perché lo avevo perso e quelle invece che
dopo l'aborto cantavano, si mettevano il rossetto, cioè aspetti
psicologici completamente diversi... ma la natura quanto è strana, a chi
lo vorrebbe veramente non dà la possibilità... psicologicamente è un
trauma quando hai una gravidanza avanzata e la devi interrompere per
un qualsiasi motivo... è un'esperienza molto forte direi, soprattutto da
un punto di vista psicologico...
168
169
Marialuisa
ML: mi racconti la vostra storia dall'inizio?
M: dall'inizio inizio? ok... mio marito e io ci siamo sposati nel 90 e... ho
fatto delle analisi, diciamo così, prima di sposarci, però a livello di
analisi del sangue... lui ad esempio non ha fatto l'esame dello sperma,
non le ha fatte, perché magari tu non vai a pensare che magari ci può
essere un problema o che ci può essere qualcosa... niente... infatti io ho
preso l'anticoncezionale per sei anni... e quindi dopo sei anni avevamo
deciso di avere un bimbo e invece... diciamo non veniva fuori questo
bimbo (ride)... e niente, allora abbiamo iniziato praticamente a fare tutti
degli accertamenti, delle cose, e il primo dottore dove siamo stati, è
stato il dottore Falcidia qui a Catania, che ci ha dato da fare delle analisi
e ci ha mandato dal dottore D'Agata sempre qua a Catania, che era un
endocrinologo, che ha visto diciamo che poteva esserci qualcosa in mio
marito che non andava... e, niente, infatti poi abbiamo scoperto che c'era
una azoospermia e... i primi tempi è stata un po' dura, perché magari tu
non riesci subito ad accettare.. io, sinceramente... non riesci subito ad
accettare però... a me faceva più male il fatto che mio marito non
riusciva ad accettare questa cosa, non tanto la voglia di avere un figlio,
quella è inutile nasconderla, però... in base al nostro tipo di rapporto, fra
me e lui... cioè come ti posso dire... noi abbiamo un rapporto troppo
forte fra me e lui, nel senso che... ora è 18 anni che siamo sposati e a
volte ci rendiamo conto che facciamo delle cose tipo adolescenti proprio
(ride)... perché, ci viene spontaneo, non è che lo facciamo per... secondo
me, e anche secondo lui, è un rapporto troppo forte... e niente... poi ci
siamo buttati subito in questa avventura e abbiamo iniziato, diciamo, a
vedere con delle cure che doveva fare lui, però non c'è stato verso...
siamo stati due volte a Roma al centro di Antinori e lui ha fatto anche
delle punture, delle cure, però, insomma, nulla da fare... alla fine ci
siamo fermati... e allora abbiamo deciso di viaggiare... (ride),
alternativa... (ride), e abbiamo viaggiato un bel po', siamo stati in
Messico, a Cuba, nel centroamerica, i Caraibi... e ci siamo divertiti...
(ride)... però alla fine ti rendi conto che comunque qualcosa ti manca...
ugualmente... cioè queste sono cose futili, che tu puoi avere e puoi fare
quando ti va... basta che ti raccogli i soldi e poi li fai (ride)... non è che...
allora abbiamo avuto un momento molto lungo di riflessione e ci
170
avevano detto se volevamo provare l'eterologa... in un primo momento
diciamo che io...
ML: questo in che anno scusami?
M: questo... nel 2000... e io non ero d'accordo, non lo so, gli dicevo “ma
no, ma no”... lui in un certo senso è come se in questa cosa voleva la
spinta, voleva... non lo so... però io proprio...
ML: non te la sei sentita...
M: no, non me la sono sentita... allora... cioè non lo so se non me la sono
sentita, oppure volevo provare però mi dispiaceva per lui... diciamo... e
insomma non l'abbiamo fatta... e abbiamo...
ML: continuato a viaggiare?
M: esatto... (ride). Però poi ad un certo momento ci siamo fermati e
abbiamo detto “questo è il momento”, anche perché poi, quando tu
raggiungi anche un'età, giusto, non siamo grandissimi perché io ho 38
anni adesso e lui ne ha 44, però diciamo è un'età in cui “o dentro o
fuori” in questa storia, poi non mi piace che io debba aver superato i 40
anni... perché poi diventa veramente una cosa troppo egoistica... e allora
ci siamo fermati un po'... ci siamo fatti una vacanza (ride)
in cui
abbiamo riflettuto su questa cosa e... è uscito fuori che stiamo provando
per l'eterologa... e la prima volta che abbiamo provato, giustamente...
allora, quando in Italia c'era la legge che si poteva fare non abbiamo mai
provato perché non ci andava (ride)... io e mio marito creiamo sempre
situazioni al contrario (ride), sempre... devo dire però che siamo
d'accordo anche su questo... e niente, quando poi la legge vieta questa
cosa decidiamo di rimetterci di nuovo in gioco per quest'avventura... e
abbiamo provato... io andavo spulciando su internet, sono entrata in un
forum e lì ho cominciato ad avere conversazioni con ragazze della mia
età, anche un po' più grandi e un po' più piccole, anche loro andavano
all'estero per fare l'eterologa e... diciamo che questo forum dove sono
entrata, diciamo che ti fa un attimino... parlare con qualcuno, perché
magari questa è una situazione che tu non ne parli con nessuno, perché
io perlomeno... cioè, noi siamo una coppia che, ti ripeto, ci amiamo, ci
vogliamo bene, però le nostre cose sono giustamente le nostre cose...
cioè noi parliamo moltissimo tra di noi, delle cose nostre, delle cose che
riguardano il lavoro, cioè... riusciamo ad avere un rapporto... cioè noi
diciamo che siamo amici, amanti, compagni... e quindi ci siamo buttati di
171
nuovo in questa cosa, io leggendo sul forum leggevo che c'era gente che
aveva già fatto l'eterologa la prima volta e che la stava rifacendo
“speriamo che posso fare un compagnetto a mio figlio” dicevano alcuni,
“mio marito è molto contento, mio marito è molto sereno”, insomma...
insieme leggevamo queste cose e lui un giorno mi fa “ma scusa, perché
non proviamo? Alla fine è un bimbo comunque nostro... cioè io amo te,
voglio bene te e quindi è un bambino nostro, non è un bambino né tuo...”
e io mi sentivo come se tradissi mio marito, ecco, in un certo senso, e...
lui invece mi ha fatto capire... cioè “se tu lo vuoi, io lo voglio pure, cioè
non ho nessun tipo di problema”... e io a questo punto ho detto
proviamoci, perché è un impegno molto forte, molto importante, non è
una cosa così, una passeggiata... e abbiamo provato a febbraio e noi
stiamo andando n un centro a Barcellona, e ci stiamo trovando molto
bene... la prima volta non è andata bene perché poi, diciamo, si è
aggiunto un altro problema, cioè che io ho un FSH alto, o almeno, in quei
giorni lo avevo a 20 e poi, quando ho rifatto le analisi, non so se dopo la
cura che ho fatto, questo FSH si era abbassato prima a 10, ora ce l'ho a
11/12... quindi abbiamo fatto la prima volta un ciclo corto di cura, di
stimolazione e adesso stiamo provando con un ciclo più lungo, così
come lo chiamano loro... e, niente, è andata male questa cosa... e quando
è andata male ho visto che mio marito... c'è rimasto ancora più male di
me, nel senso che ci teneva... ci sperava...ma anche adesso... ti faccio un
esempio: ieri abbiamo avuto una mattinata carica di cose da fare, io
dovevo fare la puntura alle 9:30 e me l'ero dimenticata... lui è molto
premuroso in questa cosa no, e me l'ha ricordato... anche ieri sera,
prima di andare a letto mi ha detto “allora tu domani vai a Catania” e
io... già me n'ero dimenticata, e lui “Luisa, ma come fai a dimenticarlo?
Tu ti devi concentrare in questa cosa...” Io l'avevo proprio cancellata 'sta
cosa... e lui mi ha mangiata... Comunque adesso stiamo riprovando di
nuovo sempre in questo centro... certo è pesantuccio dover affrontare,
cioè non è che affronti solo la spesa della terapia...
ML: dici il fatto di dover andare all'estero?
M: no, no... il fatto di dover andare fuori non ci da nessun problema, nel
senso che non ci manca la famiglia (ride)... noi stiamo bene da soli... cioè,
siamo molto attaccati alla famiglia, noi lavoriamo tutti insieme in un
supermercato con i miei fratelli... però, voglio dire, io ho sentito parlare
molte coppie che hanno il problema di andare fuori perché la mamma,
non hanno i genitori, non hanno il sostegno della famiglia...
172
ML: non la senti come una mancanza...
M: no... probabilmente quando sei più grande e hai un rapporto così
forte... io sento che la mia famiglia è mio marito... anzi, il fatto che siamo
fuori...
ML: solidifica di più il rapporto?
M: si, ci fa sentire più uniti, più... comunque il problema fondamentale
sono i soldi... perché questa cosa ti distrugge... guarda, quando ancora
c'era la lira non so se in tutto avremmo speso un cinquanta milioni... tra
viaggi, prima a Catania, gli accertamenti che sono tutti a pagamento,
perché la mutua non ti passa niente e comunque dovresti fare una
trafila enorme che non ne vale neanche la pena... e poi quando abbiamo
cominciato ad andare fuori questi viaggi con l'aereo, che oggi non
costano nulla ma una volta... poi dovevi dormire fuori... e le tecniche lì...
perché facevano l'ago aspirato a lui più la cura e poi dovevano togliere i
follicoli a me, cosa che poi non si concludeva in nulla ma che in tutto
veniva a costare sugli otto milioni, o dieci... tu considera questa cosa già
fatta due volte... più tutto il resto...
ML: quindi lui si è sottoposto a tutte queste tecniche...
M: si, guarda, mio marito ha fatto una biopsia testicolare qui a Catania,
dove avevano trovato spermatiti e spermatogoni, per questo noi
all'inizio, diciamo che abbiamo insistito su questa cosa... però diciamo
che qui non c'erano delle tecniche molto approfondite quindi poi siamo
stati a Roma da Antinoiri... e quando lì hanno visto questa biopsia hanno
detto che si poteva tentare qualcosa, perché aveva un SH che rientrava
nella norma e hanno provato con questa cure stimolanti per l'uomo
ecc... e quindi facevano questa cosa ma poi non andava bene...
ML: ma all'adozione non ci avete mai pensato?
M: ma, secondo noi, io parlo sempre al plurale perché abbiamo la stessa
visione... non lo so, per fare qualcosa del genere tu devi essere pronto e
noi in effetti non lo siamo mai stati... ci abbiamo riflettuto molto su
questa cosa... però poi... cioè è una cosa che tu... non è una mancanza,
perché molti dicono che quando non si adotta un bambino e non si
hanno figli è una mancanza di sensibilità... secondo me no... cioè quando
tu fai una determinata cosa tu la devi sentire... noi non l'abbiamo mai
sentita... cioè è una cosa che ti deve venire proprio da dentro... cioè non
173
è un fatto semplice, non è una cosa che vai a comprare un pacco di non
so cosa...
ML: una burocrazia troppo lunga?
M: anche, in Itala soprattutto... è che non l'abbiamo mai...
ML: desiderato veramente?
M: si, esatto... cioè se riusciamo ne vorremmo uno nostro...
ML: e il fatto di doverti sottoporre a tutte queste cure come lo vivi?
M: (ride)... allora, diciamo che le prime volte l'ho vissuta male... poi ti
abitui a tutto e diventa normale... pensi che nella vita ci sono cose molto
peggiori e alla fine hai una persona che ami e che ti vuole bene accanto...
cioè quando accanto hai una persona forte che ti vuole bene
sicuramente non hai... non ti pesa più di tanto ecco... guarda ti dico che
quando è andata male, questa volta a febbraio, praticamente a me la
sera già mi sono venute delle macchie e la mattina quando queste
macchie sono aumentate io mi sono messa a piangere perché è normale
che ci rimani male e quindi ha un attimino di sfogo... però
contemporaneamente tutti e due abbiamo detto “se va male ci
riproviamo”... non è stata una cosa sai del tipo “se va male, basta, non ci
riproviamo più”... anzi, la cosa che ci fa riflettere adesso è che magari
abbiamo fatto troppa pausa... però ci sono state anche molte cose di
mezzo... è morto il papà di mio marito, ha avuto un tumore... anche
perché quando fai queste cose devi essere un attimino tranquillo,
sereno...
ML: e lui ora è tranquillo?
M: si... ma proprio io lo sento... e io non l'avrei fatto se lui non fosse
stato... sai, a volte pensavo, perché ti viene in mente, un dubbio... sto
facendo del male a mio marito... quando sei da sola con te stessa magari
ci pensi che vorresti avere un figlio, perché è inutile nasconderlo, la
voglia di maternità c'è in tutte le donne, è inutile che diciamo “ah, io non
voglio avere figli...”, a volte sento dire gente che ha 40 che è sposata
come me da 18 anni “ah, ancora...”, ma ancora che? Cioè, non ne
vengono e non ne vengono, ma è normale che la voglia c'è e altro che... e
fino a quando io non ho sentito che lui... insomma, io dovevo essere
sicura di questa cosa, se no non l'avrei mai fatto... al momento in cui io
mi sono sentita sicura... ma tutta la sicurezza che io ho non l'ho
174
acquisita perché ho “immaginato” che lui... ma perché in effetti è così...
che ti posso dire, banalmente, quando mi faccio le punture si mette là,
gli dispiace... tutte le attenzioni... anche in quel periodo che sono stata
più a riposo perché aspettavamo il risultato non voleva che andassi a
lavoro... cioè, mille attenzioni...
ML: quindi tu pensi che non è la voglia individuale di maternità o
paternità ma il sentimento reciproco fra due persone che ti fa fare un
passo di questo?
M: si, sicuramente, non tutti possono farlo perché... è forte...
ML: e pensi che possa essere destabilizzante per una coppia?
M: si, per me si... questi problemi quando capitano in situazioni dove ci
sono coppie con problemi... che il Signore non le faccia capitare mai...
perché sono dei problemi che possono portare... allora, possono
succedere due cose: o, in un rapporto come il nostro, ad esempio, che si
è solidificato tantissimo... oppure si rompe, cioè, non c'è una via di
mezzo... e quando si trova vuol dire che allora ognuno ha una vita per
conto suo...
ML: siete cattolici?
M: si
ML: e questa cosa come la vivete?
M: io ne ho parlato anche con il mio prete per esempio...
ML: e lui cosa ti ha detto? Ti ha consigliato?
M: e... non mi ha consigliato... lui mi ha detto che ognuno nella vita fa le
sue scelte e non vuol dire che non si ami Gesù allo stesso modo, che
non...
ML: quindi nessun senso di “peccato”?
M: assolutamente no, io mi confesso, vado in chiesa, prendo la mia
comunione... allora, all'inizio l'ho avuta questa cosa, infatti non sono
andata un periodo a messa... anzi diciamo che questa cosa... io non ero
una gran frequentatrice della chiesa, però di tanto in tanto ci andavo...
poi a un certo momento ho deciso di parlare di questa cosa con il mio
prete e gli ho detto che proprio io non mi sentivo di andare, che, chissà
perché avvertivo questo...
175
ML: disagio?
M: si, disagio... e lui invece mi ha detto che, insomma, sbagliavo, perché
avvicinandomi alla chiesa puoi stare anche meglio... e ti devo dire che io,
diciamo, non sono diventa una...
ML: fervente cattolica...
M: (ride) si, fervente cattolica... però vado...mi fa stare meglio, questo
si...
ML: e in famiglia ne avete parlato o lo avete tenuto per voi?
M: no... credo che sia una cosa “propria”...
ML: e qui da HERA come siete arrivati?
M: (ride) tra i mille viaggi... ne abbiamo sentito parlare... e proprio qui la
prima volta ci hanno proposto l'eterologa... perché quando arrivi qui hai
il colloquio con lo psicologo e lui ce l'aveva proposta... e io ho detto di
no, perché quando si è più giovani si va, come ti posso dire, su una
giostra... forse l'inconsapevolezza... magari se me l'avessero proposta
subito, a Roma, allora forse l'avrei fatta, però a quel tempo salire su
quella giostra mi faceva paura... così ho risposto al dottore e lui mi ha
fatto i complimenti per la metafora... magari già allora lui ce l'aveva
proposto perché ci vedeva come una coppia già forte, che non avrebbe
avuto problemi... però allora non abbiamo provato, non ce la siamo
sentiti... ripeto, sia io che lui abbiamo avuto avere la certezza di fare
questo passo insieme... perché non è una cosa semplicissima, ti devi
scavare proprio all'interno, devi capire... tu in lui e lui in te, per capire
fino a che punto... sono delle prove... dell'amore... e poi capisci... io oggi
capisco che questo passo l'avrei potuto fare prima, però forse non erano
maturi i tempi...
ML: e il fatto che oggi la legge vi obbliga ad andare all'estero?
M: è antipatico... cioè a livello economico più che altro... perché se a me
questa cosa mi costava due lire non me ne fregava nulla... però a livello
economico... t'ammazza! Fai conto che abbiamo speso 3700 solo per la
tecnica, ora ci fanno lo sconto, 3400... (ride) di cui 1725 abbiamo già
fatto il bonifico e... dai, la viviamo anche come una vacanza...
ML: perché “aviti u peri lonnu...” (avete il piede lungo)
176
M: (ride) si... perché infatti questa volta abbiamo deciso che ci fermiamo
fuori dieci giorni... la prima volta solo 4, il tempo della tecnica... perché
proprio ti senti meglio... quando arrivi a casa... stavolta infatti stiamo
dicendo che proprio andiamo via per vacanza... stiamo usando una
tecnica diversa(ride)... perché è abbastanza pesante quando poi tu torni
da una situazione del genere poi tutte le mattine ti telefona, la mamma,
la cognata, ti chiedono come stai, come non stai... tutte le mattine... Non
ti alzare, non ti strapazzare... Tutte le mattine.. Diventa una cosa...
stavolta invece ho deciso di viverla come dicono loro, perché io sono
stata a riposo 15 giorni, dormivo, mangiavo, avevo persino la ragazza
che mi veniva a casa... invece questa volta la voglio vivere proprio...
normale... Comunque vada sarà un successo...
ML: e la prima volta quanti ovociti fecondati ti hanno impiantato?
M: uno, uno solo... io ne avevo prodotti 4, due non andavano bene, due
erano da 8, che è un loro coso per fare una classifica, erano ottimi... solo
che uno non ha fecondato e me ne hanno impiantato uno solo...
ML: tu saresti d'accordo nel donare i tuoi ovociti?
M: si, senza dubbio... io sono d'accordo sulla donazione di tutto: sono
una donatrice di sangue, donerò gli organi... credo sia giusto così...
ML: non hai un legame particolare con i tuoi ovuli?
M: (ride) no... non credo...
ML: nel senso che molte donne li vedono come parte del loro
patrimonio genetico...
M: no, quello magari no... però io sono molto egoista, non so bene come
funziona questa cosa, però prima vedrei se me ne avanzano...
egoisticamente parlando, dopo tanti sacrifici... non so fino a che punto...
ML: li crioconserverai se necessario?
M: si, lì lo fanno... per sei mesi credo, costa 600 euro e dopo un anno li
distruggono... la scelta è tua, dopo nove mesi se non sbaglio devi
decidere... e comunque questo è un centro molto serio... io mi sono
trovata benissimo, soprattutto per la privacy... che io, quando sono
uscita, gli ho detto a Carmelo: “ma siamo sicuri che hanno fatto tutto?”...
perché io non mi sono accorta di niente... tu entri, quando abbiamo fatto
la tecnica... perché c'eravamo già andati prima, abbiamo fatto il
177
colloquio, ti seguono tantissimo, per telefono, via e-mail, c'è la
coordinazione internazionale, tu fai il numero, chiami, gli dici che sei il
497 ad esempio e poi ti richiama l'operatrice della tua lingua e... ti
dicevo che entri in questa saletta, dove sei solo tu con tuo marito, ti
fanno mettere un camice, cuffia pantofole, loro ti conducono in un'altra
stanza, non vedi nessuno nel passaggio, sei in questa stanza
completamente al buio, ti dicono tramite microfono quello che devi fare
e tempo 5 minuti ti ritrovi fuori... cioè, io non ho visto un dottore, non
ho visto nessuno... solo l'anestesista che mi ha messo la flebo e mi sono
risvegliata già nella stanzetta insieme a mio marito...
ML: e il donatore lo avete scelto voi o loro?
M: no loro... hanno voluto una foto di mio marito e basta... speriamo che
stavolta vada bene...
ML: in becco alla cicogna allora...
M: speriamo... molti dicono che volere un figlio a tutti i costi sia una
scelta egoistica, forse è vero... Io però lo capisco di più per una
macchina... Ma un figlio è una scelta d'amore... Mio marito e io diciamo
che forse abbiamo troppo amore... Sentiamo il bisogno di un bimbo per
casa... perché non so... è una specie di complemento... perché noi
abbiamo tutto ma ci sentiamo incompleti... e ora lo desideriamo tanto...
178
Ludovica
Ludovica: io ho 42 anni, mio marito 3 di più, ci siamo sposati nel 2001
in età un po' avanzata quindi, dopo tre anni circa, quattro, abbiamo
deciso di mettere mano per un baby e poi lì ci siamo accorti, facendo
delle indagini che mio marito era affetto da una azoospermia,
probabilmente provocata da un intervento che lui ha fatto quando era
piccolo, in tarda età però diceva l'andrologo, per cui questo intervento
fatto in tarda età ha causato questa sterilità totale, anche facendo una
cura i dottori sostenevano che non avrebbero ricavato alcun risultato
positivo da un punto di vista fertilità per cui, inizialmente ci siamo un
po'... eravamo disorientati, perché lì per lì devi decidere se
intraprendere l'adozione oppure avere un bambino che per metà...
(ride)
ML: geneticamente...
Ludovica: per metà che appartiene alla coppia... dato che mio marito mi
ama parecchio e voleva a tutti i costi una bambina che assomigliasse a
me (ride)... insomma con peculiarità caratteriali, somatiche, abbiamo
deciso di intraprendere l'eterologa... e per l'eterologa, come lei sa, in
Italia è vietata... perché abbiamo il Papa (ride) che decide parecchie
cose quindi...lei sa benissimo, o credo immagini, le difficoltà, perché a
questo punto ti devi rivolgere all'estero, quindi difficoltà di lingue,
difficoltà a livello psicologico, perché devi accettare questa realtà, ti
devi spostare fuori dal tuo paese, devi spendere dei soldi, sempre se... il
tutto va bene. Quindi abbiamo fatto una ricerca su Internet vedendo
quali erano i paesi dove dessero un'assistenza più appropriata al nostro
caso e soprattutto più vicino e anche da un punto di vista economico più
abbordabile. E abbiamo visto che la Spagna, da un punto di vista
economico e poi anche tutti i forum e le mail ci dicevano che sì il
personale era specializzato però certe volte avevano avuto delle
esperienze negative... Comunque abbiamo fatto una ricerca e abbiamo
visto che il posto più vicino, più accessibile era Lugano, in Svizzera, e
quindi ci siamo rivolti alla PROCREA di Lugano. Abbiamo fatto il primo
colloquio e adesso io sono in terapia...
ML: aveva già provato in Italia?
179
Ludovica: no...
ML: quindi avete deciso subito per l'eterologa?
Ludovica: si... perché credo che sia l'unica scappatoia... per avere un
bambino... forse... perché io metto sempre il forse (ride)...
ML: e questa decisione l'avete maturata insieme?
Ludovica: bé... diciamo che sinceramente (ride) l'altra parte, in questo
caso mio marito, ma poteva essere anche una donna, credo, perché c'è
anche la donazione di follicoli...
ML: ovociti...
Ludovica: si tutte queste cose qua, perché poi noi ci siamo aggiornati, da
internet abbiamo estrapolato parecchio materiale da leggere la sera e...
allora all'inizio lui ha avuto una crisi, chiaramente, di... mi diceva di
approvare la decisione di non fare l'adozione di provare con l'eterologa
però dice “io guarderei sempre questo bambino/a come una persona
che non mi appartiene... Chiaramente lì ci sono stati tanti discorsi,
discussioni, a volte anche con i parenti però... un po' velato perché noi
non abbiamo detto la verità, perché lei sa che siamo in un paese
parecchio tradizionalista quindi parecchi genitori non avrebbero
condiviso al 100% questa scelta. Quindi noi velando questa realtà e
ipotizzando in caso di sterilità totale una possibilità di eterologa
cercavamo di strappare (ride) dai parenti un'idea... anche per
confrontarci.. loro avevano più esperienza con i bambini... tutti quanti ci
hanno detto “va' bé non è di chi lo fa, è di chi lo cresce”, il bambino
prende si le caratteristiche somatiche, però il carattere... è come una
pianta, l'interazione tra ambiente e genetica... cioè ha il suo ruolo
l'ambiente... comunque poi lui ha avuto una crisi e io lì ho cercato di
fargli capire.. cioè dicendogli che “se tu avessi scelto una compagna
sposata con figli allora io credo che tu non avresti mai amato questi
bambini perché non li avevi fatti tu”, cioè mi fa capire questa cosa... se è
tuo lo ami se non appartiene a te geneticamente lo rifiuti... forse lui ha
riflettuto parecchio su questa cosa.. perché poi è così... io ho due gatte
stupende, Clara e Camilla, sono sorelle, e hanno cresciuto i cuccioli una
dell'altra... comunque anche io penso che avrei avuto la mia piccola crisi
(ride)... qualcosa l'avrei spesa, detta, pensata... adesso però lui è molto
tranquillo, molto felice anche perché credo che abbia capito che è
180
l'unica possibilità per avere, lui, un bambino ora... e poi chiaramente per
il futuro non lo sappiamo...
ML: avete già avviato le pratiche per l'adozione?
Ludovica: no, al momento ci siamo concentrati sull'eterologa, non
vogliamo poi disperdere energia in tante cose... anche perché lì a
Lugano, il dottore che ci segue, ci diceva che c'era la possibilità di
conservare eventualmente... se non dovesse andare in porto, alla fin
fine, di riprovare perché congeleranno questi follicoli che verranno
prelevati e possono essere nuovamente ri-fecondati e riprovare la
metodica della FIVET e dell'eterologa...
ML: quindi siete al vostro primo tentativo...
Ludovica: io adesso sono pronta, mi daranno la risposta stasera in base
ai valori che otterrò nell'ecografia se partire domani sera o giovedì
sera... per fare pick-up ovociti e poi...
ML: e questo fatto di dover andare fuori come lo avete vissuto?
Ludovica: allora (ride)... chiaramente sono sacrifici enormi, già è un
sacrificio recarsi a un centro della tua città... cioè accettare di concepire
un bambino... con dei metodi che sono al di fuori degli schemi naturali...
io sono la quinta figlia di sei e mia mamma non ha mai avuto problemi,
le mie sorelle neanche e... quindi già è una cosa enorme accettare
questo... quindi recarsi in un centro, rivolgersi, parlare dei tuoi problemi
molto intimi, credo che siano molto intimi (ride), perché devi
condividere il problema della coppia con tanti medici, anche perché non
è sempre lo stesso a seguirti... già quindi è un grande passo condividere
con un centro... e accettare un metodo di fecondazione che è del tutto
innaturale...
ML: perché è “innaturale”?
Ludovica: perché non avviene con fenomeni naturali, anche se io avessi
fatto... com'è che la chiamano...
ML: la fecondazione in vivo?
Ludovica: si quella, anche per me è innaturale... comunque abbiamo
notato che in molte coppie c'è questa difficoltà alla procreazione... è
generazionale sembra... forse nei nostri nipiol, là, com'è che si
chiamavano (ride) hanno messo qualcosa... questo lascia pensare... io ho
181
delle teorie (ride)... quasi segrete... cioè come esiste la guerra
batteriologica, che viene fatta a tua insaputa, esistono delle decisioni
supreme (ride)... che dicono “noi questa generazione dobbiamo indurla
a rivolgersi a una clinica così pagano dei soldi...”
ML: e, a proposito di centri, com'è il rapporto con i medici?
Ludovica: guarda noi abbiamo consultato un altro centro qui a Catania,
perché vedevamo che dopo due anni non andava in porto niente... ogni
mese era un dramma: “oh guarda il ciclo” (ride)... questo centro dove
siamo stati è molto venale, all'avanguardia almeno per quello che ho
potuto vedere io, ma mancava il lato umano... sostituito da quello venale
però (ride)... qui va meglio... questo aspetto umano lo recepisci... il
medico che ti rincuora, ti sta accanto, anche come ti parla, il timbro di
voce non è... all'altro centro ci hanno dato tutta una serie di fogli e ci
hanno detto che dovevamo fare tutta una serie di esami... apaticamente
però, senza invogliarci... già affrontare questa problematica non è... poi
affrontarla così, senza un briciola di umanità e per giunta dovendo
sborsare tanti soldi...
ML: diciamo che te lo devi anche poter permettere..
Ludovica: si guarda noi, escludendo tutte le spese di trasporto, vitto e
'ste cose qua, ci costerà, solo la tecnica, 4400 euro... addirittura io la
preparazione la sto facendo a Catania infatti gliel'ho fatto notare a quelli
di Lugano, quindi io spenderò dei soldi a Catania e non occuperò i
laboratori e le sale lì... e loro mi hanno detto che ugualmente... anzi “se
vuole viene a stare qua un mese, fa le sue terapie, la preparazione, i
dosaggi ormonali”... e il prezzo è sempre quello... in caso di tentativo
successivo toglierebbero solo 400 euro... e poi tu immagina, metti
l'aereo, metti l'hotel... e poi siamo in due quindi tutto è raddoppiato...
chiaramente la tecnica no (ride) perché la farò solo io... anche se qui, al
centro Hera, mi hanno detto almeno due volte... quindi calcola in tutto
10000 euro... un'altra cosa che ti volevo fare notare è che noi molte
informazioni non le abbiamo trovate dentro il centro, ma consultando
Internet... perché lì ci sono le lettere, ci cono le ragazze che rispondono
ai quesiti, ci sono le ragazze che si preparano alla terapia, quindi ti
scrivono tutto... c'è tutta Italia che scrive, tu dai un quesito che so... io
sapevo che questa terapia avrebbe portato degli effetti collaterali, che
fortunatamente non ho avuto, tipo umore ballerino... invece no, invece
ho avuto dei sintomi tipo dolori ai muscoli e mi ha tenuto troppo
182
tranquilla, troppo calma... sono delle punture... e leggevo che appunto
'ste punture le facevano come, non so, l'anticamera della morte (ride)...
bruciano maledettamente, ma hanno l'ago piccolissimo e te le puoi fare
anche da sola... poi però hai gli effetti, man mano che queste dosi si
accumulano nei giorni, ti accorgi che sei stanca, i capezzoli mi fanno un
male cane...
ML: è perché prendi ormoni a palla...
Ludovica: si si, guarda l'estradiolo da 227 si è portato, in due giorni a
628... quindi immagina che sbalzo assurdo...
ML: e questa cosa come la vivi?
Ludovica: ma... guarda io e mio marito ci siamo informati, abbiamo
chiesto ma ancora gli effetti collaterali di questa cosa non si conoscono...
perché la FIVET e tutte 'ste cose che ci sono adesso (ride) che ormai
dobbiamo accettare non si sanno gli effetti collaterali...
ML: e il fatto di viverlo direttamente e maggiormente sul tuo corpo?
Ludovica: guarda io intanto sono contraria alle medicine e, infatti anche
se prendo un'aspirina, mi metto lì con foglietto e vedo il dosaggio, la
composizione e gli effetti collaterali, appena ho letto che dovevo fare
una terapia di 28 giorni di Trimop che è una pillola che devi prendere
tutte le sere, ho letto il fogliettino con gli effetti collaterali ho detto: “va'
bè basta, io qua chiudo!” (ride), perché può portare cisti ovariche, cisti
al seno e tutta una serie di cose... e collegarsi ad internet è bello anche
per questo, perché tu dalle esperienze degli altri poi te ne fai una tu,
però chiaramente in queste situazioni ci devi stare dentro, perché è una
situazione che tu reagisci con il tuo carattere, individualmente, certo gli
altri si, ti danno una guida perché ti dicono “devi fare quello, questo e
quest'altro”, cosa che i centri non fanno perché credo che sia legalmente
punibile, ci sono delle penalità pazzesche, qua dovrebbero chiude tutto
Hera (ride) e continuare a pagare per anni e anni... hanno delle sanzioni
pazzesche... chiaramente loro hanno le mani legate... infatti loro ci
hanno detto “collegatevi ad internet”
ML: quindi ve l'hanno suggerito loro...
Ludovica: sì sì, lì tu hai una guida che ti dice cosa fare passo passo,
prima mi rivolgo a un centro all'estero, poi loro ti fissano un
appuntamento, quindi devi andare lì, infatti noi siamo stati già una volta
183
a Lugano e lì già mi hanno fatto... perché questo dottore che è italiano
tra l'altro mi aveva detto : “signora lei deve tornare, deve tornare
almeno un'altra volta prima del pick-up”, “no senta io tutti 'sti soldi non
ce li ho” (ride)... “e allora lo facciamo adesso”, perché lui ha capito che
stava fuggendo la cliente (ride)... quindi mi ha fatto una visita
ginecologica e ... una preparazione per quello che dovrò fare adesso...
quindi già ci siamo recati lì, abbiamo avuto delle spese... però andarci
già è meglio, perché tu vedi il centro, vedi le persone con cui avrai a che
fare... poi ci sta seguendo un dottore italiano...
ML: quindi non c'è il gap linguistico...
Ludovica: si, ma non è la stessa cosa, lì non sono come qua... noi siciliano
abbiamo dei modi di affabilità di invogliare le persone, di coinvolgerle,
loro sono troppo schematici, il timbro di voce... qui quando le ragazze
mi chiamano al telefono sono gioiose (ride)... poi ti danno la pacca sulla
spalla (ride), lì invece la mano... c'è questa distanza... e come ti dicevo
per concludere l'esperienza te la devi fare tu, poi una volta che ci sei
dentro capisci... non è come viverlo dall'esterno... come ad esempio, se
non avessimo accettato l'eterologa e avremmo proseguito per
l'adozione e ci leggevamo i forum, erano si notizie che tu leggi, le coppie
che si rivolgono all'estero, le terapie, le medicine... ah, procurarsi le
medicine è una cosa pazzesca...
ML: difficile?
Sì sì, ci sono medicine che costano parecchio... ci devi mettere anche
questo, e comunque se non lo vivi non lo capisci che significa...
184
Dottoressa Alecci
Biologa
ML: mi parli un po’ dell’embrione?
R: è qualcosa che noi di solito non vediamo, arriva, se ne va, se ne va da
solo, non s’impianta, tutto questo quando avviene nella normalità delle
cose all’interno del corpo femminile non ha tutte quelle implicazioni
psicologiche che viene ad assumere qui da noi, dove ha una consistenza
fisica, dove è un qualcosa che poi viene ad assumere un significato che
va al di là … cioè diventa una persona, parlano di bambino già quando
c’è … si proprio, hanno spesso le pazienti un atteggiamento affettivo,
parlano di perdita quando no c’è l’impianto, quando tutto questo in
natura non avviene. Ci sono spesso gravidanze dette biochimiche, il
cosiddetto ritardo, poi arriva la mestruazione e uno non ci fa neanche
caso nella routine della nostra vita quotidiana e, senza saperlo, abbiamo
avuto 4, 5, inizi di gravidanze … perché non è che uno, a parte se ha
delle paranoie particolari, si va a fare un test di gravidanza al primo
giorno di ritardo … cioè se non hai un progetto di genitorialità … mentre
qui è tutto diverso, perché tutto viene concentrato sul figlio, sul
progetto di genitorialità, per cui l’embrione che può essere considerato
un qualcosa che esiste ma non sai neanche che c’è, che se ne va da solo e
non s’impianta, e non sai nemmeno di averlo avuto, diventa una realtà
ben precisa, gli danno … cioè parlano già del bambino, cioè se lo
visualizzano già … e infatti quando poi la gravidanza non c’è perché
l’embrione non s’impianta, cioè, vivono un vero e proprio lutto, come se
hanno perso qualcosa, s’inventano che hanno visto qualcosa uscire, una
massa, un grumo di sangue … e lì gioca molto il discorso dell’ignoranza,
nel senso proprio che ignorano, per cui pensano di aver visto qualcosa,
ma in quella fase ovviamente non c’è niente, può essere al massimo un
coagulo, punto e basta, cioè è l’endometrio che si sfalda perché non c’è
la mestruazione … che è una cosa normale ma loro la vivono come un
lutto, perché c’è un grosso investimento emotivo su questa cosa … e
questa è la cosa più difficile da gestire …
ML: per un medico?
185
R: anche per la paziente … per il medico è stressante, perché si deve
vestire di figure diverse: deve essere ginecologo, deve essere anche
psicologo, deve anche essere capace di consolare quindi … ti parlo di
una cosa che succede anche a noi biologhe, che ci chiedono perché,
come mai, cosa è successo, e cerchiamo di spiegare …
ML: è un bisogno di sapere?
R: più che altro è un bisogno di consolazione, bisogno di capire e di
elaborare questo insuccesso, ed è la parte più brutta, dove la paziente in
genere, la coppia, ha bisogno di maggiore sostegno, perché non riesce
proprio a essere razionale, si perde proprio la razionalità, subentrano
diversi momenti … io no ho studiato psicologia ma so che ci sono
diverse fasi … qui ci hanno fatto un corso sulla comunicazione e ci
hanno spiegato proprio come nascono tutti questi meccanismi, come si
alternano tutte queste emozioni e che poi sfociano in tante cose anche
brutte … ci sono quelli che sono più preparati, anche caratterialmente,
ad affrontare questo genere di cose, ci sono coppie che invece … e lì
subentra tutto un discorso di equilibri di coppia … i meccanismi cioè
sono molteplici, e sono allucinanti … allucinanti perché devono dare la
colpa a qualcuno, spesso se la danno fra di loro, oppure la devono dare
al medico, la devono dare alla struttura, la devono dare a qualcuno ‘sta
colpa no? Nella migliore delle ipotesi riescono a metabolizzare tutto e
vanno avanti, infatti io non smetto mai di consigliare alla coppia di fare
un tentativo solo nel momento in cui sono veramente pronti, ma pronti
non fisicamente … perché la storia fisica la superi: mestruazione,
stimolazione e si ricomincia … il discorso è di avere la forza psicologica
di superare la cosa, è molto meglio aspettare un mese in più, due, sei,
età permettendo, piuttosto che fare una cosa in un momento in cui non
sei assolutamente pronta per affrontarla, lì diventa anche deleterio …
alla fine, in dodici anni che faccio ‘sto mestiere, la parte più difficile da
gestire è quella emotiva … perché devi avere la pazienza di ascoltare, la
pazienza di sentirti ripetere la stessa cosa duemila volte, la pazienza di
ripetere le cose duemila volte (ride), cioè fargli entrare nella testa che le
cose vanno perché devono andare in un determinato modo, non ci può
essere nulla a monte di questo, bisogna solo avere la pazienza e la forza
di andare avanti e tentare, quindi … però sicuramente da questo punto
di vista il medico è quello che ha più esperienza perché fanno più
colloqui e più consultazioni, la prima, la seconda, quella pre–tecnica,
quella post–tecnica …
186
ML: e della diagnosi pre-impianto?
R: il discorso della pre-impianto è molto semplice … è vietata…
ML: più che altro il problema, mi è parso di capire, è l’impianto
obbligatorio…
R: a parte che non ha senso perché se lo diagnostichi malato, in teoria,
lo devi trasferire lo stesso, perché non lo puoi eliminare, non lo puoi
nemmeno congelare, cioè non si capisce quello che ci dovresti fare…
perché una volta che l’hai diagnosticato malato non ha poi senso
trasferirlo, cioè viene a cadere il principio stesso della pre-impianto, che
serve per evitare poi l’aborto terapeutico, e quindi trasferire
direttamente o i portatori o i sani, in quel modo tu hai la possibilità di
affrontare un inizio di gravidanza già sapendo che tuttalpiù possa
essere portatore, ma questo da un punto di vista di salute non implica
nulla, ce ne sono tanti portatori, ma puoi evitare la gravidanza se è
malato… e paradossalmente noi che siamo stati i primi in Italia ad avere
la gravidanza dopo un DGP per beta talassemia…
ML: vi è successo di dover trasferire embrioni malati?
R: no, noi non la facciamo più… in queste condizioni… poi c’è il limite
del numero di embrioni che puoi produrre, per fare una pre-imppianto
sicuramente ce ne vogliono molti di più… quindi tu non puoi nemmeno
lavorare in quelle condizioni, sarebbe vietato anche manipolare
l’embrione in quel senso, perché tu per diagnosticarlo devi prelevare il
blastomero, quindi… non puoi avere tutta questa serie di limitazioni
quando esegui una tecnica che ha come fine quello di diagnosticare una
malattia… non ha senso... c’è un’anomalia incredibile dove si sono
basati su presupposti etici e religiosi che sono entrati nel merito di
questioni in cui non c’entravano niente, sarebbe come dire, non so, in
altri termini, che tu ti occupi di cardiologia o non so che e una questione
etica di ti dice “no, è vietato trapiantare il cuore”… perché loro dicono
che non bisogna accanirsi se non si possono avere figli, cioè,
rimettiamoci nelle mani di Dio… ma che discorso è? Allora anche
quando hai problemi di altro tipo ti devi preparare all’inevitabile e
basta…
ML: ma sottoporsi a una tecnica significa accanirsi?
R: ma no, seconde me è legittimo utilizzare le tecniche disponibili per
risolvere un problema allo stesso modo che se tu hai la dermatite te ne
187
vai dal dermatologo e ti fai l’antimicotico… in questo campo invece dove
c’entra la riproduzione, il controllo delle donne, diventa più una
questione religioso-politica che altro e viene strumentalizzato… e da lì
viene fuori ‘sta legge che non c’entra niente con la scienza… perché i
comitati etici ci sono sempre stati, questa diceria che c’era il far west è
stata montata tutta nell’opinione pubblica affinché si avesse
un’opinione negativa nei riguardi della riproduzione assistita… poi è
chiaro che la gente non si espone, le stesse persone che sono coinvolte
poi alla fine non sì interessano e non lottano per i propri diritti, anche
perché poi fanno parte di quella sfera di argomenti e cose di cui non si
parla… e poi è un problema sociale vero e proprio, interessa più del
20% della popolazione cioè non è una nicchia, non è una malattia rara
che riguarda lo zero virgola qualcosa della popolazione, cioè ovunque ti
giri, io ovunque vado incontro pazienti, i parenti, gli amici, cioè è un
problema che riguarda e riguarderà sempre di più la popolazione, per
un discorso ambientale, abitudini di vita… e non la puoi liquidare con
una legge simile e va affrontata secondo me… cioè è chiaro che ci deve
essere un controllo, che ci deve essere un dibattito etico molto ampio
intorno, ma non può essere solo una serie di divieti solo perché
dobbiamo essere timorati di Dio… invece a questo si riduce… e la
persona non ha più la possibilità di scegliere, a questo si riduce… è una
di quelle cose in cui c’è una discussione etica e poi arriva il Papa e ti
dice, ad esempio, che non puoi staccare la macchina, che non puoi fare
una tecnica se non puoi avere figli… è uno di quegli argomenti su cui ti
viene tolto il diritto di scelta, come su tante altre cose… non viene
rispettata la libertà, è un fatto di libertà… perché da una parte c’è il
potere che ti deve controllare dall’altra c’è la libertà della persona, per
cui su alcune cose è più facile combattere, su questi argomenti sembra
impossibile; poi non si capisce perché se io sono nel pieno delle mie
facoltà non posso decidere di mettere fine alle mie sofferenze, per quale
motivo? È un mistero… Però in tutte queste cose è difficile poi trovare la
verità, per questo le leggi dovrebbero essere al di sopra delle differenze
d’opinione, però alla base secondo me ci deve essere la cosa più
sacrosanta, che è la libertà della persona, almeno per me, poi ognuno ha
il suo modo di pensare… E poi quando sento quelli che passano per
luminari della scienza che fanno certe affermazioni mi viene la pelle
d’oca, come fai tu a decidere a decretare di avere un’opinione che vale
più di quella degli altri?
ML: quindi il vostro lavoro è cambiato molto?
188
R: certo, anche se devo dire che noi cerchiamo di portare comunque
avanti il nostro modo di lavorare,, che significa guardare prima di tutto
alle esigenze della coppia, della paziente, di rispettarne la volontà, di
avere uno scambio il più possibile… perché qua si lavora in un altro
modo… e io questa differenza la vedo rispetto ad altri centri… io sono
nata con questo centro…
ML: mi racconteresti questa tua esperienza?
R: guarda, capita raramente nella vita di conoscere persone che lasciano
un segno, no? Cioè alla fine tu conosci tanta gente, però di quante
veramente puoi dire questa persona mi ha cambiato la vita? Alla fine
poche (ride)… Nino è decisamente una di quelle persone che ha lasciato
un segno fortissimo e ha segnato la differenza per quanto mi riguarda,
sia per un modo di pensare, che su tante cose mi riconosco
perfettamente, sia su questa cosa di generosità… sarà una coincidenza
che è di sinistra (ride), io non sapevo neanche di esserlo prima di
conoscerlo (ride)… non mi piacciono le etichette però lo senti subito
quando parli con una persona e condividi il suo modo di pensare… e lui
ha un senso profondo del sociale, dei diritti, della libertà, e io mi sono
trovata subito, figurati che dovevo fare solo il tirocinio post laurea
(ride) e invece, eccomi qua… dal ‘96
ML: da quando è nata HERA praticamente…
R: si, che è nata come un progetto per mettere su la reimpianto nella
clinica ostetrica con il prof. Di Leo al Vittorio. Tutto è cominciato così,
perché lui era stato fuori, poi è tornato e con Sandrine si sono inventati
questa cosa, hanno messo su questo progetto, infatti tutti noi abbiamo
cominciato come volontari, e poi ciascuno, in base anche alle proprie
idee è rimasto o è andato via… perché non è facile, decidere di rimanere
e pensare di non fare nient’altro per me è stato assolutamente naturale,
non mi sarebbe passato nemmeno per l’anticamera del cervello di fare
altro e però non è facile… è quasi come una missione… poi almeno io
l’ho vissuta così… Nino mi ha reclutata così nel corridoio dell’ospedale:
“ci salti su questo treno?”… E io ho detto andiamo, senza alcuna
garanzia, ma a me piace troppo quello che facciamo, vedere la felicità di
una coppia quando ottiene una gravidanza, pensare che stai aiutando
qualcuno ad avere un figlio, che poi è lo scopo della nostra specie, che
poi è la dimensione assolutamente naturale, quale altro scopo potresti
avere? Certo poi noi ci allontaniamo tantissimo da questa visione
189
naturale e ci allontaniamo tantissimo ma poi rimane… è quasi l’aspetto
più animale, se uno ci pensa, del resto, se uno non fa cose grandiose
nella vita l’unica cosa che rimane nel futuro sono i figli… almeno io ho
questa visione molto naturale, i miei principi fondamentali sono
semplici…
ML: e per quanto riguarda la fecondazione eterologa, tu la
consiglieresti?
R: certo, se è necessaria… è la coppia che deve decidere, mica posso dire
io se è giusto o no, perché io sono contraria non la fai, o se io ho
un’informazione non te la do perché non condivido… se vuoi evitare un
figlio malato dalla nascita puoi fare la DGP o l’eterologa, ma questo è la
coppia che lo deve decidere…. Sono soluzioni che devono essere
presentate, solo che in questo momento non sappiamo mai come ci
dobbiamo comportare… perché non la possiamo fare e allo stesso
tempo non potremmo indirizzare verso i centri esteri, non si capisce più
niente di quello che dovresti fare… ma eticamente si può accettare che
io ho un informazione e non te la do perché non voglio nemmeno che tu
faccia la tecnica fuori, la realtà invece è diversa… la verità è che in Italia
hanno fatto dei gemellaggi con i centri esteri, ci stanno mangiando
anche sopra sicuramente… la verità è che in Italia ce ne freghiamo delle
leggi, si può fare qualunque cosa, l’importante è che non si sappia, che la
facciata sia pulita ma tanto ognuno fa quello che gli passa per la testa, in
realtà l’etica non esiste… la verità è che quando hai un problema cerchi
di risolverlo in qualunque modo, ti interessa il risultato… e poi la falsità
e l’ipocrisia dei politici e della chiesa… dov’è l’etica in tutto questo? Gli
interessa solo mangiarsi i soldi e farsi i fatti loro, di tutte queste belle
cose chi se ne occupa? Nessuno…
ML: tu qui ti occupi di crioconservazione, me ne parli un po’…
R: noi qui, quando abbiamo deciso di iniziare il programma di
congelamento, perché all’inizio, considera siamo nati nei primi anni ’90,
non si faceva il congelamento e quando si inizia a lavorare in questo
campo si parte dal primo livello, ti occupi prima delle cose più semplici
e poi man mano vai a migliorare… e il programma di congelamento
nella fa è basilare, la cosa più naturale è cominciare con
la
conservazione del seme che è importantissima per svariati motivi, se il
paziente ha una difficoltà a produrre, se deve affrontare un intervento e
per sicurezza congeli il seme, un ciclo di chemio, si parla qui di
190
autoconservazione. Quando poi nel ’97 c’è stata in Italia la prima
gravidanza da ovociti congelati Nino ha detto che dovevamo mettere su
il sistema, mi ha mandato a Bologna, sono stata lì due settimane nel
gruppo che ha avuto la gravidanza con la Dott.ssa Fabbri, ho imparato la
tecnica e quando sono tornata ho messo su il sistema, abbiamo
comprato le attrezzature e abbiamo cominciato a congelare gli ovociti,
infatti siamo stati in Sicilia i primi ad avere la gravidanza… e lì abbiamo
fatto una scelta ben precisa che era quella di iniziare piuttosto con il
congelamento ovocita rio che nessuno faceva piuttosto che con gli
embrioni, perché Nino aveva un po’ questo sentore (ride), non mi
chiedere come fa ma lui tante cose le sa prima, ha la sfera di cristallo
nella testa… sapeva che ci sarebbero stati dei problemi etici intorno al
congelamento che la gente faceva ormai da tempo, anche perché è una
tecnica molto più facile da eseguire, nel senso che congelando gli
embrioni in termini di risultati di gravidanza i risultati sono migliori
rispetto a quelli che si hanno con gli ovociti, quindi la coppia può avere
un reale vantaggio… perché prima cosa succedeva con gli embrioni “in
più”, ne mettevi a fecondare di più, trasferivi uno, due, tre a seconda
anche dell’età della paziente e la qualità dell’embrione, perché anche lì
non è che li congeli tutti quelli che restano, quelli che hanno una
maggiore chance di impiantarsi, quindi gli embrioni di categoria uno o
di classe A, li congeli o per avere una seconda possibilità o per non fare
di nuovo tutto il ciclo di stimolazione, e la paziente si risparmiava un
mare di casini, di stress, di farmaci e quanto altro e poteva avere più
occasioni di gravidanza con una singola stimolazione… però già
all’inizio abbiamo detto di no, non ci volevamo impelagare in questa
storia del congelamento embrionario, perché poi se ‘sti embrioni non li
trasferiamo che succede? Rimangono nella banca, la coppia che se ne
fa… E se poi perdi le tracce della coppia? Finché si tratta di spermatozoi
o di ovociti, poco male, sono cellule che comunque sono destinate al
nulla, hanno un patrimonio a metà, sono aploidi, non sono niente alla
fine… quando si tratta di embrioni lì il discorso è un po’ diverso perché
già si tratta di materiale potenzialmente individuo, potenzialmente… è
un embrione congelato… poi se tu lo scongeli, lo trasferisci in utero…
fuori dal corpo ha poco senso parlare di vita… perché allora
potenzialmente, se dobbiamo impostarlo sul potenziale non te ne esci
più…
ML: la legge elimina il potenziale, lo da per scontato…
191
R: e infatti entra in un contrasto bestiale con la volontà della madre, che
pensa di valere meno dell’embrione che produce e che è fuori da lei..
cioè l’embrione ha più diritti di te…
ML: ma meno di un feto…
R: brava, lì volevano andare a parare, volevano toccare la legge 194, ma
quello era scontato… già lo abbiamo visto questo film prima che lo
facessero, che avrebbero cercato di intaccare la 194, la chiesa subito ci
ha messo le mani sopra… e noi qui... ad aspettare di vedere come finisce
‘sto film...
192
Dottoressa Andolina
Biologa
ML: mi puoi raccontare la tua esperienza al centro, come sei arrivata, di
cosa ti occupi...
R: io sono arrivata al centro mediante la tesi e anzi quando sono
arrivata qui la mia era la prima tesi che accettavano e dopo un anno di
tesi sono rimasta qui a occuparmi di una tecnica che si fa, l'assisted
touching, ho fatto il tirocinio per un anno e quindi ho cominciato a
lavorare praticamente nel laboratorio di biologia di Patrizia... e
insomma dal 2005 sono qua...
ML: e di cosa ti occupi?
R: allora, all'inizio nel laboratorio di Patrizia facevano le analisi di
endocrinologia e tutte queste cose qua, perché lei erra da sola e ci
voleva un aiuto, dopo di che sono stata sei mesi a Troina dove c'è un
centro specializzato nell'esame del cariotipo per poter imparare e farlo
qui che ancora non si faceva. Ho imparato la tecnica, abbiamo comprato
la strumentazione e adesso stiamo cominciando...
ML: e a che serve il cariotipo?
R: il cariotipo serve per vedere la mappa cromosomica dei pazienti e
per applicare le tecniche di fecondazione è indispensabile perché
permette di comprendere il quadro completo, perché comunque si è
visto che il 20% dell'infertilità deriva da traslocazioni cromosomiche o
delle sindromi particolari che inibiscono la procreazione... e ora da
qualche mese ci siamo divise il lavoro con Patrizia, lei si occupa della
parte endocrinologica e io del seme, faccio le prove diagnostiche e tutte
'ste cose qua...
ML: quindi i pazienti li vedi relativamente...
R: si, diciamo che li vedo quando si fa la raccolta del seme però poi
sempre s'instaura un dialogo... e lavorando ogni giorno qua alla fine ti
abitui anche a dare le brutte notizie, diciamo che devi avere la
delicatezza ma alla fine la butto sulla scientificità, cioè è così... poi
193
naturalmente dipende anche dalla persona che hai di fronte, il
linguaggio cambia a seconda di chi hai di fronte... poi si capisce che io lo
so quando vado a dire certe cose che alle persone veramente le
ammazzi, devi essere delicato, perché quella persona si sente un malato
a tutti gli effetti... però alla fine tu gli dai anche delle soluzioni, perché
alla fine chi viene qua lo sa che comunque potrebbe avere dei
problemi... certo se è un problema di azoospermia non c'è molto da fare,
però già se ci sono degli spermatozoi tu li rincuori, ci sono le tecniche
che ti possono aiutare, le soluzioni ci sono...
ML: per gli uomini è più difficile da accettare?
Per le donne magari ci sono più soluzioni... Nel caso maschile se c'è
l'azoospermia non è che c'è molto da fare, quello è... a me è capitata una
coppia in cui lui era completamente azospermico e aveva fatto anche un
biopsia e un prelievo testicolare e lì ci sono solo due soluzioni o vai
all'estero per un'eterologa o fai un'adozione?
ML: tu la condividi come tecnica l'eterologa?
R: si, decisamente, ma anche l'adozione... Soltanto che è troppo
complicato... Un figlio alla fine te lo cresci tu, o è biologicamente tuo o
non lo è, comunque, se lo cresci tu, è tuo...
ML: e il fatto che la legge abbia vietato alcune tecniche come la vedi?
R: il problema che la legge è brutta, non c'è niente da recuperare, va
contro la Costituzione, i diritti della donna... con il fatto che non puoi
congelare l'embrione e devi fare continuamente stimolazioni ovariche
le donne stanno malissimo... il discorso è soggettivo, io penso che le
persone o la coppia in sé dovrebbero avere la libertà di scegliere, quello
che può essere giusto per me non può esserlo per te... io sono d'accordo
al congelamento embrionario per esempio, o nel fatto che se è malato
venga utilizzato per la ricerca e nient'altro, però questo è il mio
pensiero, non è che tutti la devono pensare come me, però la legge deve
dare la possibilità alla gente di decidere quello che vogliono fare, io non
lo come mi comporterei se mi trovassi nelle condizioni di un paziente,
se alla fine non ti ci ritrovi nelle cose possiamo anche parlare però... poi
è un'altra cosa scegliere e decidere cosa è giusto e cosa è sbagliato, la
legge non ti può imporre... anche perché poi al terzo mese puoi fare
l'aborto, che ha tutto, è formato, e quando ancora è una blastocisti non
me la posso levare perché il concepito ha il diritto alla vita più di un
194
bambino? È assurda già alla base, il concetto di concepito è assurdo e
poi tutto il resto è una conseguenza... la DGP, ad esempio, cioè tu mi dai
la possibilità di abortire sei, setto, otto volte fino a quando non mi viene
il bambino sano e poi non mi dai la possibilità, la prima volta, di fare
una DGP? E se ci sono, come ci sono, quelli che sono contro l'aborto, che
fai? Se io sono contraria all'aborto perché non posso avere la possibilità
di impiantare degli embrioni sani? E poi anche mettere al mondo un
bambino malato è assurdo, oggi...
Il problema è che questa legge
l'hanno fatta persone che non c'entrano niente, che non ne capisce
niente e comunque anche la Chiesa... non si possono sposare, non
possono fare figli e parlano... io adesso sono incinta ma, sono sincera,
non me lo sarei tenuto se avessi scoperto che era malato... e se avessi
saputo di avere una malattia genetica avrei fatto una DGP all'estero,
sicuro...
195
Dottor Biagi
Psicologo
ML: mi parla della dimensione “sociale” delle tecniche di PMA? Come si
lega il corpo individuale a quello sociale?
R: sicuramente negli ultimi 5 anni, da quando c'è stato un ampio
dibattito in seguito alle legge e alla campagna referendaria, il mondo
della procreazione assistita è diventato di dominio pubblico, c'è stata
un'ampia possibilità di poterne parlare e quindi sicuramente anche
l'approccio verso le tecniche se da una parte può esserci tutto un
discorso legato alla proibizione e alla scienza che non ha permesso un
dibattito aperto sulla legge 40, c'è comunque dall'altra parte un
dibattito che ha permesso di rendere accessibile di dare anche una
connotazione istituzionale e legislativa che ha dato un “permesso” a
tutto un mondo, ci sono state coppie che si sono esposte, hanno parlato
delle tecniche come di un qualcosa di possibile per raggiungere una
gravidanza, non più separato dal discorso procreativo come una
dimensione quasi innata, naturale, ma una dimensione in cui questo
tipo di scelta appartiene un po' di più a un ramo scientifico che è quello
della cura di determinate malattie e quindi possibile, non dico in
maniera decisiva, determinante e accettata, però magari le coppie
arrivano con una maggiore determinazione nell'affrontare un'eventuale
tecnica come l'unica possibilità di diventare genitori, e questa
dimensione di accesso alle tecniche ha probabilmente consentito alle
coppie una maggiore consonanza e quindi una minore separazione di
quello che può essere il corpo sociale, ed è possibile recuperare un po'
la scissione tra il corpo individuale e quello sociale mediante la
dimensione affettiva, cioè la possibilità di diventare genitori anche
attraverso le tecniche è a livello sociale maggiormente consentita e
accettata, chiaro che è un dibattito aperto che comunque risente ancora
di alcune ideologie dogmatiche quali quelle cristiano-cattoliche, quindi
questo magari qui in Sicilia può pesare, però probabilmente la storia sta
facendo il suo corso, la scienza sta andando avanti e questo diventa
ormai un approccio più naturale, più possibile. Cosa diversa è invece
sicuramente una tecnica come l'eterologa, lì c'è una maggiore resistenza
e difficoltà magari a fare questo passo in più, cioè è un passaggio molto
196
delicato, mentre per le tecniche tradizionali
sicuramente stiamo
vivendo un'epoca di maggiore consenso, dove l'aspetto del desiderio di
diventare genitori colma quello che può essere anche la separazione tra
la mente e il corpo, no? Cioè un corpo abitato da emozioni, da desideri,
che comunque rappresentano l'unione e il superamento del paradigma
cartesiano...
ML: quindi il desiderio viene a configurarsi come l'unione non solo tra il
la mente e il corpo individuale, ma anche tra questo e quello sociale?
R: si, sicuramente... è chiaro che anche questo avrebbe bisogno di una
riflessione maggiore ed è importante quindi l'apporto di figure
professionali, come quella mia ad esempio, possono sicuramente
accompagnare questa possibilità di mettere insieme le cose anziché
separarle... e forse in un ambito come quello della PMA questa cosa, la
volontà di mettere al mondo un figlio, si fa sempre più scelta chiara,
esplicita anche se è slegata dall'atto sessuale.
ML: e una coppia che cosa chiede, cioè che tasselli gli mancano per
riunire tutti i pezzi?
R: guarda, sicuramente, quello che chiedono è di soddisfare il desiderio
di genitorialità, è chiaro che questo può essere connotato da tanti
aspetti, quindi quando c'è un sano desiderio di maternità o di paternità,
perché spesso si tende a parlare della situazione solo al femminile e lì
spesso il desiderio di maternità può essere intrappolato all'interno di
dinamiche emozionali più intrapsichiche e patologiche, come una
risposta a una parte dell'io più narcisistiche o individualistiche e spesso
in questi casi l'uomo viene messo da parte... e noi cerchiamo, in questi
casi, di dare una valutazione, e questo comunque capita spesso in donne
in età avanzata, questi elementi sono molto evidenti...
ML: e della fecondazione eterologa che mi dice?
R: sicuramente quella l'eterologa necessariamente bisogno di
recuperare un altro momento di elaborazione, rappresenta il frutto
della possibilità di ricevere un gamete che non sia dei componenti della
coppia e stabilisce una relazione all'interno della coppia che può
determinare degli squilibri... ma poi non è nemmeno da sottovalutare il
fatto che noi viviamo in una cultura per cui, proprio da un punto di vista
antropologico, ci sono delle cose che sono permesse e altre che non lo
sono, e così questa nasce e si alimenta proprio con delle regole...
197
ML: però è anche vero che ciascuno di noi fa la cultura, cioè è un
soggetto attivo di trasformazione...
R: si... e qui entra in gioco la possibilità di recuperare la soggetto e
quindi in realtà tutto il dibattito intorno a ciò che è permesso e ciò che
non lo è, rischia di escludere dentro questo processo l'individuo, il
soggetto attivo e pensante, cioè la possibilità che comunque non è
assolutamente pregiudizievole questo tipo di atto se per il soggetto va
bene, cioè se per il soggetto è consono a quello che è l'atto che ha
determinato e che ha portato a una scelta, e quindi la possibilità che
all'interno del proprio io e all'interno della coppia questa cosa diventa
giocata e possibile, cioè il rischio è sempre quello di generalizzare,
mentre su alcuni aspetti etici, che possa essere l'embrione, l'eterologa,
la DGP, l'eutanasia, il testamento biologico, si rischia poi di scegliere per
tutti e non per il soggetto, che possa liberamente scegliere per se, con la
propria storia, le proprie convinzioni, far si che quella opzione diventi
praticabile e possibile, e anche desiderabile. Un po' tutto il dibattito che
oggi c'è da una parte sulla funzione dogmatica dello Stato, o comunque
più pedagogica, orientata a dare indirizzi e un po' quello che invece è il
relativismo, una parola tanto abusata oggi che però ha determinato
grandi scoperte, soprattutto nel campo della medicina, della ricerca, o
anche nella percezione stessa dell'individuo, è messa completamente al
bando, la società contemporanea sta attraversando un po' questo
momento storico e filosofico che sta determinando un orientamento
sempre più regolamentato soprattutto su questi temi che in realtà non
servono a molto... E poi comunque io ritengo che diventare genitori
rappresenti una parte fondamentale dell'individuo, proprio perché lega
a se la sua storia, e quindi la possibilità che questa possa essere
trasmessa e che in qualche modo rappresenta il superamento della
mortalità, perché poi attraverso i figli ci appropriamo della possibilità di
continuare a vivere, e quindi poi all'interno della coppia questo modo
ciclico di far si che la vita continui rappresenta un grande momento di
crescita, non solo culturale, cioè sicuramente da una parte, ma dall'altra
ha anche delle radici ontologiche innate che appartengono agli
individui, e per questo aldilà delle leggi, di quello che può significare la
regola, i centri di fecondazione assistita continuano ad essere popolati
in maniera esponenziale da chi deve risolvere questi tipi di problemi,
poi magari ci sono delle tecniche che meritano sicuramente degli
ulteriori momenti di riflessione però penso che un passaggio sia stato
fatto... la legge 40 ha sicuramente dei presupposti dogmatici molto forti,
198
già riconoscendo dei diritti all'embrione, e quindi di conseguenza tutto
diventa difficilmente smontabile, perché poi sulla questione eugenetica
probabilmente bisogna avere chiaro cosa significa, forse... se da una
parte può significare fare una selezione degli embrioni malati allora lì ti
scontri con una legge dalle maglie molto strette, ma se dall'altra
significa scegliere i tratti somatici del figlio, forse lì davvero si stanno
apportando delle trasformazioni e un miglioramento della razza umana,
quindi cioè diventa sicuramente difficile poterlo dire...
199
Melina D'Antoni
Segretaria
ML: mi puoi raccontare la tua esperienza al centro?
R: intanto io entro come paziente, quindi … da che ero andata da un
medico che mi chiedeva sempre soldi, non ho ottenuto niente, ci sono
stata 8 mesi e me ne sono andata… sono entrata poi al centro, ai tempi
al Vittorio Emanuele dove ho incontrato per la prima volta Nino e da lì
abbiamo iniziato un iter diagnostico, eravamo al Vittorio quindi non ho
mai pagato niente, proprio perché il centro era ancora all’inizio, tutto in
fase di sperimentazione, dove la legge comunque ti diceva la sterilità
non era una malattia quindi… Poi alla fine, dopo qualche mese ho
intrapreso, oltre a essere paziente e continuare le mie terapie, ho
iniziato a stare dentro la struttura come volontaria, sempre come
volontaria, il mio ruolo qua è stato sempre quello. Ho intrapreso questa
strada di volontariato per comunicare con la gente su quella che era la
struttura e tutto, dove ognuno dei primi pazienti dava una quota per
iniziare a comprare proprio i macchinari del centro, e così i primi
pazienti hanno fatto le prime tecniche. Io nel frattempo ho iniziato
anche le mie cure, ho avuto anche il mio risultato, poi sfortunatamente
ho perso la gravidanza, poi dopo tre mesi sono rimasta incinta
naturalmente e comunque ho sempre proseguito a lavorare con il
centro, dove pazienti e medici insieme che, appunto come dicevo,
intanto hanno iniziato insieme… anche le cartelle mediche, eravamo noi
stessi che ci facevamo le fotocopie, magari la tipografi sta che
conoscevamo, la cancelleria… ognuno portava qualcosa da casa, là
avevamo uno spazio, una stanza e un altro camerino dove si faceva il
prelievo ovocita rio, ma anche a livello di pazienti non era alto come lo è
adesso… poi man mano si è cominciato a crescere, la gente veniva, i
pazienti parlavano, e poi c’è stato il fatto che, dal Vittorio Emanuele, per
varie ragioni, ovvie ragioni, hanno cominciato a mandarci via, infatti poi
ci misero anche alla strutture, alle stanze proprio, un giorno siamo
arrivati e abbiamo trovato le stanze con i lucchetti, addirittura c’era
anche una signora che doveva fare un trasferimento embrionario e le
hanno chiuso gli embrioni dentro, a questo livello... e poi alla fine, la
signora tramite l’avvocato è riuscita a fare il trasferimento, lei era
200
l’ultima, di cui poi è rimasta anche incinta.... poi siamo andati alla clinica
Gretter , struttura più grande, naturalmente con tutti i disagi del
trasloco, la gente disorientata... ma lì, secondo me, abbiamo raggiunto
un livello alto di struttura e di qualità, poi ulteriori problemi là, spazi
piccoli e siamo venuti qua in affitto dove il centro penso che funzioni
abbastanza bene...
poi a livello di volontariato noi ci mettevamo
l’anima... e adesso un po’ questa cosa si è persa, ormai siamo in pochi a
essere coinvolti nell’associazione però... non so se hai visto prima quella
signora, anche se non veniva da anni, considera che lei era una paziente,
nemmeno troppo inserita nel volontariato, è venuta qui e... insomma,
pensa a noi come a qualcuno che le ha cambiato la vita... quello che le
persone notano in noi è che siamo a portata di mano, non abbiamo
quello stile che c’è sempre nelle strutture, dove c’è un distacco tra
paziente e operatore.... cosa che dicono tutti è che si trovano a casa loro
a loro agio, nessuno dice “io mi sono sentita trascurata”, perché la gente
dice che negli altri posti si sente trattata come un numero o come un
obiettivo che il medico deve raggiungere, qui aspettano è vero (ride),
ma si sentono tranquilli perché sanno che qui sono in una famiglia, la
parola che usano di più è proprio famiglia...
ML: e adesso l’associazione di cosa si occupa?
R: la legge... noi puntiamo sulla legge, di far camminare un po’, di far
muovere chi sta ai punti alti... ‘sta legge che sta bloccando tutti...
ML: ma tu della tecnica vera propria, dal momento che l’hai vissuta in
prima persona, che ne pensi?
R: io da paziente, ti posso dire che mi sono sposata nel ’91, sono arrivata
al centro nel ’96, quindi erano già passati 5 anni ed ero stata da quel
dottore solo 8 mesi prima, quindi devo dire che non ci ho pensato
subito... anche se devo dire che un figlio l’ho desiderato subito e quindi
ho capito che c’era qualcosa che non andava... ho fatto delle
inseminazioni intrauterine semplici e fin lì mi sono... non ho avuto
nessun problema, sai molti dicono “la stimolazione farà male, chissà nel
tempo”, io ero propensa, certo c’era un po’ di... come ti posso dire, no di
vergogna, perché non mi sono mai vergognata, però non lo dicevo a tutti
che andavo a frequentare un centro di riproduzione assistita, perché più
che altro, ci sono, ancora oggi, dei tabù... nonostante sia da parte mia
che di mio marito dicevamo “sai mamma adesso ci sono tanti centri
che...”, perché passati cinque anni tutti volevano ‘sto nipotino che non
201
arrivava... quindi io la tecnica l’avrei fatta ugualmente, però non a
stressarmi, infatti di inseminazioni io ne potevo fare una ogni mese
mane facevo una l’anno, in modo tale che... ma perché proprio ero io che
avevo questa cosa... cioè, io lo desideravo un figlio, però tutti mi
dicevano che non lo desideravo così tanto perché per tentarci una volta
l’anno... ma forse è perché ero serena, avendo trovato questo centro...
non avevo quell’angoscia... infatti io non ho mai versato una lacrima per
questo, e sono stata otto anni senza figli... poi... per quanto riguarda la
reimpianto sono d’accordissimo, è una cosa stupenda che possano
nascere figli che non hanno problemi, già quando i nostri figli hanno
una febbre siamo alle stelle (ride)... e io lo sto provando anche adesso
che ho tutti e due i bambini malati, quindi mi sento impazzire,
immagino una mamma che suo figlio, già alla nascita, sa che è malato...
quindi condivido e la trovo una cosa giustissima... per quanto riguarda
l’eterologa io ho sempre pensato che, infatti con mio marito lo dicevamo
sempre che se figli non ne avevamo, avremmo preferito l’adozione più
che l’eterologa, così almeno il figlio era uguale per tutti e due... perché in
quel modo mi saprebbe un po’ più di parte... o è tuo, o è mio... invece in
quel modo è di tutti e due allo stesso modo, ma non giudico chi la fa
perché per me è una decisione di coppia, è troppo personale... ho
consigliato anche molte persone, che erano titubanti, che venivano qua
da me in associazione, “ma sai, forse dobbiamo fare...”, ai tempi quando
si faceva, e proprio da persone che già avevano partorito, avevano avuto
figli, avevo sentito dire che poi non te lo ricordi più che hai fatto
un’eterologa... anche perché quando vieni qua con una certa diagnosi sai
già che non c’è altra strada... e avevo persone che ogni mese mi
chiamavano, per il complimese del figlio, per ringraziarmi (ride)...
ML: e dopo la legge com’è cambiato il lavoro al centro?
R: molta gente telefona proprio disperata che non sa più che fare...
anche per quel fatto dei tre embrioni... ma, cambiato non direi, però
sicuramente c’è stato un po’ di calo, non a livello di risultati, ma a livello
di persone, perché naturalmente manca tutta quella fascia di persone
che non fanno né diagnosi né fecondazione eterologa...
ML : e tu della legge che pensi?
R: che è un’assurdità, perché se fosse una legge per tutti dici, va bene,
non si può fare e basta... ma il fatto che si possa andare all’estero e qua
no... quella è una cosa assurda... perché mi metto nei panni di quelle
202
persone che vogliono un figlio a tutti i costi e non hanno la possibilità di
farsi un viaggio in Turchia o in Spagna... io impazzirei all’idea che non
posso avere figli perché non ho il denaro per andare... là impazzirei
proprio, là veramente avrei tutto il rammarico... mica tutti si possono
fare un mutuo, un operaio come lo va a pagare un mutuo? È assurdo che
tu non puoi fare una tecnica e devi spendere tutti questi soldi, lì mi
arrabbio veramente... mi dà molto fastidio...
203
Dottor Galletta
Ginecologo
ML: mi vuole raccontare la sua esperienza qui al centro?
R: io lavoro al centro da circa un anno e mezzo, per quanto riguarda
l’aspetto lavorativo è una bellissima esperienza perché si sta molto a
contatto con persone che hanno un certo tipo particolare di problema e
che devono essere innanzitutto capite e non trattate come dice sempre
Guglielmino come una catena di montaggio, sono delle persone, con
grandissimi problemi, e si vede, stando dall’altra parte, anche la solidità
della coppi, ci sono coppie e coppie... La legge 40 diciamo che ci ha
creato grossissimi problemi perché, non dico che è razzista però... è
riuscita ad allontanare parecchie persone, grazie anche all’intervento
della chiesa, e le ha allontanate anche dalla chiesa, perché molte
persone credenti, chiacchierando anche con noi, hanno capito che
effettivamente è troppo osteggiata la possibilità per una coppia che ha
un problema genetico di riuscire ad ottenere un figlio sano con le
tecniche che oggi sono a nostra disposizione... molte persone si sono
incattivite perché devono andare fuori a spendere una barca di soldi per
una cosa che potevano fare benissimo qui, e hanno capito che c’è anche
un forte inasprimento ad opera, qualcuno dice, anche della chiesa...
qualcuno dice che questa legge è un manifesto teologico proibendo la
diagnosi preimpianto e tutto quello che ne conviene... perché
giustamente la donna si vede violentata, perché ogni trattamento che
noi facciamo, alla fine, è una sorta di violenza per la donna, e quando la
tecnica poi va male, e la devi ripetere 2 ,3, 4, 5 volte, non è il massimo
della vita, quando prima potevano congelarsi gli embrioni ed esaurire
tutto il numero di embrioni congelati, eventualmente poi dopo
ripetevano... ma quando hai tre embrioni, almeno uno lo perdi... infatti
prima della legge 40 c’era una percentuale maggiore nel numero di
gravidanze, oggi sono aumentate le gravidanze trigemine, che sono
gravidanze pericolose con tutto ciò che ne consegue, parti prematuri,
bambini che restano deficitari anche con deficit importanti e oggi che si
parla tanto di costi, vallo ad assister un bambino prematuro di 25
settimane, sono costi altissimi, se poi diventa anche deficitario diventa
un costo a vita...
204
ML: anche perché la riduzione embrionaria non è consentita...
R: ufficialmente no, ufficialmente no...
ML: ma qualcuno la fa...
R: al nord Italia qualcuno la fa...
ML: fatta la legge trovato l’inganno...
R: come in tutte le cose... qualcuno va fuori e da quattro diventano due,
ed è una cosa devastante, cinica, perché tu che prima non ne hai avuti
ora devi decidere quali andare a togliere... c’è stata una persona che ne
aveva 4, due nella stessa sacca... naturalmente quali vai a fermare?
Quelli nella stessa sacca, è più semplice, per ciò vedi che bel giochino
per una mamma andare a decidere... prima niente. Ora ne ho 4, e ora di
4 ne devo togliere due...
ML: ma perché, secondo lei, c’è questo atteggiamento nei confronti delle
biotecnologie?
R: perché probabilmente si ha paura... l’Italia poi è un paese abbastanza
tradizionalista, molto attaccato alle tradizioni... c’è forse la paura del
cambiamento o la paura che qualcuno possa fare lo scienziato pazzo
della situazione e quindi sbizzarrirsi con clonazione e cose varie... si ha
paura dell’esaurito di turno che si metta a giocare un po’ troppo, perché
è simpatico che hanno clonato la pecora, ma come hanno clonato la
pecora possono farlo con qualsiasi altra cosa... ora bisogna vedere la
clonazione a cosa ti serve, perché ci continuano a giocare, se serve
davvero a qualcosa di utile va bene, ma se qualcuno in giro per il mondo
continua a giocarci può essere utilizzata per tante altre cose... E
comunque oggi in Italia si vive un grande paradosso perché con la legge
40 si è rischiato di coinvolgere in maniera importante la legge 194,
secondo me loro hanno voluto inasprire la legge 40 proprio per paura di
toccare la 194, in realtà invece si sono dati la zappa sui piedi perché si è
andati a parlare proprio di 194... perché tu con la legge 40 mi dici che
l’embrione è un essere umano, con i suoi diritti e tutte queste cose, poi
la legge 194 ti dice che invece l’embrione non ha alcun diritto e che
dipende dalla mamma, cioè, è un paradosso... lì mi dici che ha diritto e là
invece non ne ha, che cappero di senso ha?
ML: ma lei non pensa che derivi un po’ anche dalle tecnologie
biomediche che hanno reso visibile questo benedetto embrione?
205
R: si, sicuramente... parentesi, io prima di venire a lavorare qua avevo
un incarico al Cannizzaro e mi occupavo di 194, ma dopo un po' non ho
resistito e me ne sono scappato... la legge 194 è stata, a mio
modestissimo avviso, un fallimento, perché sai, alla ragazza può
capitare un incidente, ma quando veniva la donna di 35 anni, quarta,
quinta, sesto, settima, ottava, interruzione di gravidanza, allora lì c'è un
grosso deficit nella legge, che dovrebbe essere una legge della maternità
responsabile, ma che poi in realtà non è cosi, ci sono coppie che hanno
scambiato
l'interruzione
di
gravidanza
per
una
pillola
anticoncezionale... i metodi anticoncezionali ci sono...
ML: ma non tutti possono contrattare i rapporti...
R: si ma poi i problemi sono i suoi, è lì che la donna deve educare
l'uomo, ma sono veramente poche... e comunque, per tornare alla legge
vera e propria, anche la 194 è stata toccata, pensa che l'articolo sei, che
permetteva l'interruzione di gravidanza per patologia fino a sei mesi,
questo limite è stato abbassato a 22 settimane, perché si diceva che il
bambino nasceva comunque morto, che non è vero, perché oggi ci sono
tecniche di rianimazione natale che permettono anche la sopravvivenza
di un feto di 23, 24 settimane, è molto raro, ma succede, e invece io oggi
ti posso ammazzare quando tu potresti sopravvivere, e per me è un
controsenso... e già quindi una botta alla 194 l'hanno data... certo i limiti
si devono rivedere e soprattutto si devono educare le persone... per
questo ti dico che viviamo dei paradossi, qui gli diamo un'identità
all'embrione là la togliamo e lo strapazziamo... bisognerebbe veramente
cambiare la testa di questi vaticanisti che hanno fatto la legge 40,
perché veramente le limitazioni sono assurde, non posso fecondare più
di tre ovociti, non posso congelare gli embrioni, allora è più giusto che
io faccio fare alla donna più stimolazioni, quindi martirizzo e violento
un corpo di una donna più volte, con i rischi che tutto questo comporta...
ML: mi è sembrato di capire che le donne si sottopongono a questo
“martirio” senza pensarci troppo alla fine, come se fosse il “prezzo” da
pagare per avere un figlio...
R: si, da una parte sono rassegnate però dall'altra sono motivate perché
pur di avere un figlio smuoverebbero le montagne, però è anche vero
che tu, donna, che oggi ti rivolgi alle tecniche, sai che questa è la realtà,
quindi o così o niente, ma quando tu hai vissuto questa esperienza
prima della legge capisci la differenza, proprio poco fa parlavo con una
206
coppia che aveva avuto una gravidanza 6 anni fa, avevamo prelevato 10
ovociti, fecondati otto, crioconservati e impiantati in due momenti
diversi, alla fine hanno portato a una gravidanza, oggi invece non è più
così, ti devi fare il secondo, terzo , ciclo di stimolazione... quindi è
davvero fastidioso...
ML: anche per un medico...
R: si, perché devi stare lì, non a prendere in giro la coppia, però... devi
dire che è la cosa più giusta, anche se non è vero, se no si creerebbero le
folle in piazza a contestare, noi stiamo cercando di portare avanti i
ricorsi ma sicuramente si deve sensibilizzare di più l'opinione pubblica,
almeno per quanto riguarda la DGP e il limite di non poter congelare gli
embrioni, poi per quanto riguarda il discorso etico intorno ai casi in cui
ci si trova davanti a una sterilità completa, o davanti a una meno pausa
precoce, ho sentito spesso parlare qualcuno che diceva “adotti una
cellula”, ma allora perché non adotti un bambino che ce ne sono tanti?
Ma anche lì entri in un meccanismo che è allucinante, perché adottarlo
in Italia è praticamente impossibile, quindi molti vanno ad adottare
direttamente all'estero, noi abbiamo le case famiglie piene di bambini
adottabili ma restano lì perché i procedimenti sono lunghi e
complicatissimi, e allora vedi che veramente viviamo nell'ipocrisia più
completa, perché li dobbiamo tenere lì perché c'è un giro pauroso di
soldi intorno e quindi non te li fanno portare perché se no come
campano? Oppure per adottare all'estero che devi pagare delle vere e
proprie tangenti... e questa cosa mi fa davvero irritare, che su una cosa
così importante ci debbano essere queste speculazioni, ma purtroppo è
sempre stato così, è una cosa che non cambierà mai...
ML: e lei come vive il fatto che comunque i medici, all'interno di questo
contesto, della difficoltà di mettere al mondo un figlio, sono visti e
percepiti come delle divinità?
R: guarda, io penso che essere un buon medico significa innanzitutto
capire chi hai davanti e fare del proprio meglio... da quando lavoro qua,
ho visto molte coppie che venivano da esperienze con altri centri, dove i
medici molto spesso sono commerciati senza etica professionale, e dove
le coppie erano viste solo come dei numeri da cui bisognava ottenere
dei risultati e spillare il maggior numero di soldi possibili, qui devo dire
che queste dimensioni sono eliminate completamente, qui c'è una
grande etica e un rispetto totale della persona, non sono numeri ma
207
hanno una loro dignità, e loro lo dicono, poco tempo fa c'è stata una
coppia di ragazzi troppo duci che avevano fatto un ciclo in un altro
centro, era andato male e sono venuti qua, noi gli avevamo spiegato
qual'era la situazione, loro per forza volevano andare fuori, sono andati,
non sono riusciti e sono tornati qui, siamo entrati in confidenza, noi
abbiamo fatto tutto quello che potevamo, siamo riusciti ad ottenere la
gravidanza, e hanno detto una cosa bellissima, cioè che qui c'è un
trattamento della persona davvero umano, che è il vero rapporto che
deve instaurare il medico, perché puoi essere il megaprofessore di non
so che, però quando si chiude la porta ci deve essere calore, le persone
hanno bisogno di essere capite, ci deve essere quel contatto umano,
perché se no sono pazienti trattati così... e questi ragazzi mi hanno detto
che in Austria erano stati meno freddi dell'altro centro di Catania e qui
invece è tutta un'altra cosa, si tratta di umanizzare i trattamenti, cosa
che invece si è persa nella maggior parte dei casi, dove si alzano le
barriere proprio per non essere intaccati dalle loro vite...
208
Dottor Guglielmino
Ginecologo
ML: mi racconta come nasce HERA?
R: HERA nasce dall'unione e dalla volontà di pazienti e medici di dare
vita a un centro che si potesse occupare di dare una risposta sanitaria
pubblica a un servizio che di fatto veniva offerto solo nel privato. Per
parecchi questa cosa qui, che c’era la partecipazione della gente, è
sembrata... la parola giusta è che si è instaurato un meccanismo di
fastidio nei confronti dell’associazione e del fatto che i pazienti avevano
trovato un sistema per partecipare e quindi alla fine controllare quello
che succedeva negli ospedali e nella clinica ostetrica, per cui gli
operatoti della clinica ostetrica si sono sentiti proprio infastiditi, però
non veniva facile dirlo: “siamo infastiditi da un’associazione di pazienti”,
infatti è stato molto singolare il fatto che il direttore generale e il
direttore sanitario nella delibera di chiusura della struttura, dell’attività
del centro, avevano difficoltà a buttare fuori l’associazione di pazienti,
“com’è possibile che in ospedale c’è un’associazione di pazienti che
vengono buttati fuori da una direzione generale e da una direzione
sanitaria di un ospedale pubblico?”, e lì secondo me c’era, in questa
vicenda in cui ci fu sia la volontà dell’azienda ospedaliera che
dell’università di chiudere l’attività, lì c’era tutta la pressione politica di
chi contemporaneamente nella sanità fa il politico e il medico, con ruoli
dirigenziali sia nell’ambito del politico, cioè deputati, membri di
commissioni del parlamento, sia nell’ambito medico, specialmente
nell’infertilità. Quindi il ruolo nella politica è servito tantissimo nella
pressione nell’azienda ospedaliera e del personale tutto nominato da
istituzioni politiche, e il ruolo nell’università è stato importantissimo
perché faceva pressione sul rettore per bloccare questa cosa qua.
Risultato: ci fu una delibera della direzione sanitaria che chiudeva
l’attività in difficoltà e una delibera dell’università che chiudeva
definitivamente l’attività del centro HERA nel Vittorio Emanuele. Per cui
i pazienti che avevano svolto un ottimo ruolo nel sociale, per cui la
struttura era molto conosciuta, la chiusura del centro è durata per
tantissimo tempo per cui ci furono manifesta zio, venne occupata la
clinica ostetrica, quindi la stampa sia locale che nazionale ne dovettero
209
parlare e resero quest’esperienza ancora più famosa, no? Il giudizio che
ha dato l’infertilità italiana è stato un giudizio di pericolosità di
quest’esperienza, perché un’attività che veniva fatta nella stragrande
maggioranza dei casi nel privato, con una giustificazione della
mancanza dell’attività nella struttura pubblica che la struttura sanitaria
pubblica non è in grado per il tipo di situazioni che vive di poter
realizzare un’attività così complessa e così impegnativa, quindi l’unica
attività organizzata poteva essere trovata nel privato, e invece noi che
eravamo la testimonianza che la struttura pubblica, con la
partecipazione dei cittadini, quindi con il massimo della partecipazione
democratica, poteva avere successo, è stata vista come una cosa
pericolosa nell’equilibrio del privato italiano, per cui da una parte ci
sono stati quelli a cui ha fatto comodo qua e poi il giudizio italiano che
l’ha ritenuta pericolosa, anche perché in quegli anni c’era un governo di
centro-sinistra, per cui potevamo dire: “minchia carusi, bella ‘sta cosa,
perché non cerchiamo di trasportarla in altre realtà?”. E così fu... Alla
fine abbiamo chiuso l’attività dopo anni di lotte, l’associazione HERA
che aveva fatto un ottimo lavoro nel sociale ha fatto questa battaglia
sempre più conosciute, le attrezzature che gestivano il servizio erano
state comprate dai pazienti di HERA a proprie spese, per cui
l’associazione HERA ha rivendicato la proprietà delle attrezzature, la
prese, tutta, mandò un camion, lo caricò e se la portò via, poi cercò un
posto dove poter continuare l’attività. Si andò allora in casa di cura
Gretter dove tutti gli operatori dell’ospedale vennero a lavorare, tutti,
tranne due timorosi che avevano rapporti particolari con l'
establishment della clinica ostetrica, tutti poi abbandonarono
l’università per venire dietro a questa cosa dove c’erano i pazienti, per
cui loro sono stati veramente l’attrazione nei confronti degli operatori.
Si cominciò a lavorare, cambiando la struttura ovviamente, perché
rimase l’associazione dei pazienti, istituendo un’altra forma di
organizzazione non lucrativa che gestiva i rapporti di lavoro degli
operatori, e quindi avevamo una cooperativa che gestiva i lavoratori e
l’associazione dei pazienti che in parte era padrona delle attrezzature
che gestiva un sistema di controllo sulla qualità, il modo di gestire i
rapporti tra medici e pazienti e via dicendo. E così fu e in parte è tutt’ora
perché una volta che il primo impulso di un paziente era quello di avere
un centro sanitario che desse un’assistenza nel mondo della
riproduzione assistita e che desse garanzie di chiarezza, cioè un luogo
dove si poteva discutere con gli operatori di quello che stava
succedendo,dove uno si sentiva aiutato e compreso a diventare
210
genitore, per cui questa cosa qua fu realizzata e nel momento in cui
questa cosa qua fu realizzata, se vuoi l’obbiettivo dell’associazione si
poteva esaurire... però l’associazione ha continuato a trasformarsi nel
tempo e quindi a maturare un processo cominciando a parlare non
solamente più di centro di riproduzione assistita ma di genitorialità,
infatti ha cominciato a fare iniziative sulla difesa della capacità
riproduttiva della donna dopo il cancro, e ha sviluppato le tematiche
legate al mantenimento della capacità riproduttiva attraverso il
congelamento ovocita rio, noi siamo stati tra i primi centri in Italia a
fare il congelamento ovocita rio, la capacità della coppia nonostante
siano portatori di malattie genetiche, perché quando una coppia che ha
malattie genetiche ha fatto due, tre aborti poi alla fine dicono “non ne
vogliamo più sentire” e questi alla fine decidono di non avere più figli
per paura di un nuovo aborto, quindi l’associazione ha allargato i suoi
confini dal mondo dell’infertilità in senso stretto al mondo della
genitorialità, quindi parlando anche alle coppie che i figli teoricamente
li possono avere, come quelli che sono portatori di malattie genetiche
ma che non sono infertili, sviluppando la diagnosi genetica preimpianto,
noi siamo stati i primi in Italia a fare la diagnosi per la talassemia, o
come le donne che hanno il cancro e quindi si devono fare la
chemioterapia e perdono la loro capacità riproduttiva e quindi si
congelavano le uova. Questi sono stati i forti capisaldi che hanno
maturato, come poi abbiamo allargato all’adozione, il servizio di
psicologia che prima era ancora più forte, ce n’erano tre, anche se gli
psicologi sono persone abbastanza strane e poi non fanno mai un cazzo
non so per quale motivo hanno questa tendenza... e quindi
l’impostazione aperta a 360° della genitorialità... fino a quando poi non
è arrivata la legge 40 che bloccò tutti i processi maturativi, cioè da una
parte non ci ha dato più la possibilità di fare la diagnosi genetica
preimpianto nel posto in cui se n’erano fatte di più in tutta Italia,
stavamo allargando dalla talassemia alla fibrosi cistica, e quindi un’altra
malattia genetica, e questa cosa qui fu bloccata sul nascere, si spinse di
più sul congelamento ovocita rio non più finalizzato al mantenimento
della capacità riproduttiva della donna che deve sottoporsi alla
chemioterapia,
ma
per
la
crioconservazione
degli
ovociti
soprannumerari della donna infertile, quindi si è subito ridisegnato in
negativo quello che era un processo di sviluppo e di maturazione
culturale che si stava sviluppando attraverso questa esperienza...
proprio quella della diagnosi genetica preimpianto è stata una cosa che
noi abbiamo considerato veramente assurda perché qui, essendo
211
endemica la malattia genetica, hai anche una grossa percentuale della
popolazione che è portatrice della malattia genetica che è infertile, u
capisti? Perciò, mentre il problema della donna che deve fare la
chemioterapia te lo consente la legge, tu congeli l’ovocita e basta, quella
parte della popolazione infertile che è anche portatrice di malattie
genetiche non trova assistenza, perché la legge dice che se non sei
infertile non puoi fare trattamenti, quindi l’80% dei portatori di
malattie genetiche vengono esclusi, però il numero di pazienti che sono
infertili e contemporaneamente portatori di malattie genetiche si
mettono davanti al dilemma: “e ora chi fazzu?, cioè mi faccio la tecnica
così risolvo l’infertilità e se poi il bambino mi viene talassemico chi
fazzu, n’aborto?”, Hai capito? E infatti è successo che qualche coppia
portatrice di malattie genetiche ha fatto la tecnica, ottengono la
gravidanza e gli nasce u picciriddu malatu... U capisti? E chi fai’
ML: è un out/out...
R: l’ho desiderato per anni, riesco ad averlo, ce l’ho e mi veni malatu, mu
tegnu... che è l’obbiettivo del parrino, capisci?
ML: in che senso?
R: è l’obbiettivo del parrino che è riuscito a non farti fare né l’aborto né
la diagnosi genetica...
ML: ma secondo lei perché c’è tutta questa pressione?
R: sono delle concezioni teologiche, il figlio è un dono divino, quindi se il
bambino non viene vuol dire che ci sarà una ragione per cui Dio non ti
vuole fare questo dono, e tu non hai nessun diritto di cercarlo
attraverso tecniche, create dall’uomo... la vita è una cosa sacra e tu non
hai nessun diritto di poterla trattare o manipolare perché è una cosa
che può trattare, creare, distruggere soltanto Dio... quindi tu non puoi
fare una diagnosi genetica che interviene nella selezione, può essere
solo Dio che seleziona e che modifica un corso, e quindi da una parte il
dono divino della vita, quando viene dato, dall’altro appunto la nascita e
la prosecuzione della vita dal concepimento fino alla morte, nel suo
alveo della sacralità, tu sei un essere, sei un uomo, non hai diritto di
toccare ciò che non ti appartiene e che appartiene alla sacralità divina,
che è quella di crearla e di distruggerla...
212
ML: ma, secondo lei, questo non potrebbe essere solo una faccia della
medaglia? In fondo l’embrione è una scoperta proprio dalla
biomedicina?
R: si, ma quando la chiesa dice che il discorso sull’embrione e sul
concepito non è un fatto trattabile, dice questo, cioè è un fatto, è un
assioma, è un fatto di fede, la vita è un dono divino, punto e basta. Per
cui si è deciso un momento in cui poteva cominciare la vita, si è scelta
una parola che proprio è pazzesca, che è il “concepimento della vita”, e
quann’è u concepimento da vita? Quannu chiddu ai quattru di
pomeriggio telefona a chidda e ci rici: “chi fa stasira ni viremu?”. E chidda
rici: “minchia che bello, stasira mi fazzu ‘n picciriddu”. U capisti? (ride).
Pecciò s’appoi chiddu ‘ntappa ca machina, e non succeri nenti (ride),
quello è un assassino... Bestiale!(ride). Che ne pensi?
ML: potrebbe essere ma non mi convince del tutto... secondo me la
biomedicina qualche responsabilità nel modo di percepire i corpi, fatti e
potenziali, ce l’ha...
R: secondo me... la sacralità della vita è una faccia della medaglia, ma
qual è quella dell’altra parte? È la qualità della vita, giusto? Se noi tutte
le cose che noi facciamo e di cui stiamo discutendo non le leggi più
secondo la visione della sacralità della vita ma le leggi con le lenti della
qualità della vita, cambia completamente tutto...
ML: ecco vede che lo dice lei stesso... la qualità della vita è un concetto
che viene dal paradigma biomedico...
R: si ma che senso ha che fai nascere uno malato? Che senso ha per una
coppia accollarsi la nascita di un bambino malato? Che senso ha per una
coppia
farsi la diagnosi genetica preimpianto, vedere che il figlio
malato, essere obbligati a trasferirlo e a 11 settimane fare l’aborto? E
vivere quest’esperienza dell’aborto consapevole? Cioè dal punto di vista
della qualità della vita è tutta un’assurdità, dal punto di vista della
concretezza c’è l’annullamento completo di quello che è il ruolo della
donna da un punto di vista sociale... il fatto è che è un sistema
intelligente per controllare in modo definitivo quella che è la donna,
nella parte che riguarda la sua attività riproduttiva, perché tu cosa le
dici, le dici “tu non conti più nulla”, tu hai gli stessi identici diritti del
concepito e siccome il concepito non può prendere parola ci penso io,
Stato, attraverso una legge, a garantirlo, però il presupposto qual è? Che
voi siete due entità uguali... C’è un superamento concreto in questo di
213
quello che è stato il giudizio della Corte Costituzionale del 1975, che ha
dato la possibilità dell’entrata in vigore della legge sull’aborto del 1978,
in cui c’era una prevalenza nella decisione della donna nei confronti del
nascituro, per cui tu potevi decidere di interrompere la gravidanza per
un motivo che riguardava la tua persona e il tuo equilibrio psicofisico.
Nella legge 40 c’è il superamento di questo e il tentativo di cambiare la
194, perché quando tu affermi ca su a stissa cosa tuttu rui, come fai tu a
prevalere su quell’altro? Come fai tu a dire che quell’embrione può
essere selezionato? Come fai tu a decidere una volta che è portatore di
diritti questo essere congelato? E infatti, non si può toccare l’embrione,
non si può congelare l’embrione, non si può fare ricerca sull’embrione,
non si po fari chiu nenti... perché è diventato un essere come tutti gli
altri... u capisti? Quindi la cosa è abbastanza chiara, semplice,
elementare, e che tempi ca currunu, con l’ipocrisia che c’è, il fatto che la
donna non conti più nulla, che ci sia un arretramento culturale dietro lo
slogan “Dio, padre e famiglia”, insomma se ci saranno delle modifiche
alla legge 40 saranno in senso opposto, dove il ruolo decisionale della
donna sarà sempre più minoritario, sempre più subalterno, infatti è una
legge “straordinaria” perché per la prima volta regola il rapporto tra il
medico e il paziente, decide come dev’essere fatta una terapia, per
legge, cioè “tu t’a pigghiari tri pinnuli”, “no, ma iu naiu bisognu cinqu”,
“tri ti ‘nna pigghiari, tu ricu iu, pi leggi, si tu no fai...!”. Cioè non c’è più...
mancano dei capisaldi... Il consenso informato, nella legge, la donna, nel
momento in cui lo spermatozoo tocca l’ovocita non può più cambiare il
consenso informato, quindi il procedimento sanitario avviene per
legge...
ML: che sarebbe anche un attimino anticostituzionale...
R: certo... “ma iu no vogghiu chiui”, “no, u stissu tilla fari fari!”, c’è la
polizia ginecologica... “pigghiati chidda dà!”...(ride)... u capisti? Cose
assurde, proprio pazzesche... cioè se tu la vedi dal punto di vista del
diritto la legge 40 è una mostruosità in cui vengono lesi il diritto alla
saluto, il diritto all’autodeterminazione dell’individuo, il diritto della
donna di scegliere la sua maternità in maniera responsabile... infatti la
legge 40 è un manifesto teologico...
ML: ma voi ve la aspettavate una legge così?
R: si certo, hanno fatto un’operazione in grande stile, hanno fatto una
cosa bella e intelligente... hanno pagato chi doveva essere pagato per
214
andare in televisione dicendo che voleva clonare gli uomini, se li
portavano in televisione a dire che quello clonava tutti, tutti
scandalizzati di questa cosa qua, quella cretina di Giovanna Melandri
scriveva che bisognava uscire dal far west... cioè c’erano tutta
un’impalcatura che hanno costruito, perciò alla fine è stato detto: “basta
carusi cu ‘stu fattu, non sinni po’ chiui cu sta riproduzione assistita, chisti
chi fanu na ‘sti laboratori... a na fari l’omo bionico, i mostri, vogliono fare
la ricerca... picchì accuminciunu accusì, appoi... finu a quannu suì ddanni i
cieccunu i picciriddi ppi farici l’esperimenti...”. E quindi... una sinistra
completamente inesistente, quel cretino di Rutelli che gli ha votato la
legge a favore... la sinistra ha balbettato davanti a tutto questo... e siamo
qua...
perché cosa dice la religione Cattolica che l'atto riproduttivo è
strettamente connesso con l'atto sessuale, nonostante tutto quello che è
successo negli anni passati le donne, il femminismo, la pillola, gli
anticoncezionali e via dicendo, che hanno cercato di separare l'atto
riproduttivo dall'atto sessuale – perché la pillola li separa e la chiesa è
contro, perché questa separazione non l'accetta – in Italia ovviamente la
Chiesa non ha mai accettato, e non lo accetterà mai, e lo fa pesare, il
fatto che si possa attraverso la riproduzione assistita immaginare,
minimamente, la possibilità che diventi un sistema riproduttivo
alternativo, per alcune donne, quindi deve essere, infatti nelle legge 40
una coppia che viene ad un centro di fecondazione assistita deve avere
il certificato medico che è malata e che non può avere figli e che non può
avere - loro avevano pensato addirittura c'era questa legge in cui
prevedeva che dovevano essere sposati che neanche le coppie di fatto
potevano ricorrere, ma poi dopo questa cosa qua l'hanno accettata
perché era proprio una cosa troppo becera, troppo vergognosa, però
dietro questo fatto qui ci sta, infatti dietro l'eterologa vietata, dietro la
diagnosi genetica preimpianto vietata, ma soprattutto vietata alle
coppie
fertili,
quindi,
ma
dietro
all'idea
della
certificazione
dell'infertilità come presupposto fondamentale per poter accedere ad
un centro di riproduzione assistita ci sta questo patto, solamente chi ha
già sperimentato e non ci riesce ed è stato dichiarato da un certificato
che ha un problema può accedere alla fecondazione assistita.
Le tecniche messe in piedi dopo Luise Brown in Inghilterra nel '78,
quindi la fecondazione in vitro cosa fa, qual'è la grandezza della
fecondazione in vitro, cioè che ha ricreato in vitro quello che in natura
215
succede in un altro modo, dando la possibilità all'uomo di poter avere
un contatto diretto con un processo che altrimenti avveniva in un
processo tutto interno al corpo della donna, con tutti i pro, dalla ricerca
sulle cellule embrionarie, dalla ricerca sulle cellule staminali, alla
possibilità di fare diagnosi delle malattie genetiche, ora tu di colpo tu
cosa fai? Parli non più di persone che hanno problemi d'infertilità, ma
parli di persone che hanno problemi di carattere genetico che possono
avere tutti i figli che vogliono ma che portano, attraverso le regole
mendeliane della trasmissione genetica, che portano disordini nei figli,
addirittura ci sono delle mutazioni genetiche per cui i genitori sono
portatori sani, non hanno cioè la malattia, ma che poi possono avere i
figli, e allora non c'è meglio di utilizzare le tecniche come la DGP per
evitare che ti nascano dei figli malati anche se tu sei un portatore sano,
sai consapevolmente che ti può venire un figlio malato e con queste
tecniche lo eviti, ma queste coppie che sono? Sono coppie fertili quindi
la DGP c'è un avvicinamento della coppia fertile, che accetta quindi di
riprodursi in modo diverso, che è quella della fecondazione in vitro pur
potendosi tranquillamente riprodurre in maniera tradizionale, ma fare
in modo possa passare attraverso una diagnosi e possa essere
selezionato geneticamente secondo la malattia. Quindi quelli, gli inglesi,
ma tutti i paesi del mondo da questo punto di vista che non hanno
questa pesantezza della chiesa e della cultura cattolica che tiene uniti
questi due ambiti del riproduttivo con il rapporto sessuale, quelli che
hanno maturato una separazione intelligente della riproduzione dal
rapporto sessuale, accettano il rapporto sessuale per quello che è e la
riproduzione per quella che è , e quindi anche tutte le possibilità che ci
possono essere anche di cambiare il sistema riproduttivo. Nella stessa
logica ci stanno anche tutte le persone che hanno altre problematiche,
pensa al congelamento, embrionario o ovocitario, non è che è legato alla
coppia infertile, è legato alla donna che scopre di avere un tumore, che
si deve fare la radioterapia o la chemioterapia, vuole mantenere la sua
fertilità, non ha legami non ha niente, e che fa? Si congela le uova...
Quindi c'è attraverso la fecondazione in vitro la possibilità di poter
rispondere a delle esigenze che normalmente non sono legate
all'infertilità, e noi questa cosa la diciamo da più di dieci anni, infatti ore
in tutto il mondo utilizzano il nostro protocollo e si basano sulle nostre
pubblicazioni... E le persone erano entusiaste, e questa cosa che ti dice?
Ti conferma che , aldilà di quello che dice la Chiesa quando poi una
persona ha un problema reale, se ne frega completamente dei dettami
delle gerarchie ecclesiastiche e segue quelli che sono i propri principi,
216
ecco prevale senza dubbio nella cultura della gente del 2008 l'idea della
qualità della vita più che della idea sacralità della vita, che è
prettamente cattolica, che è una discussione chiacchericcia e ipocrita,
che può essere utilizzata solamente davanti per fare bella figura, ma
quando poi si tratta di decidere veramente le cose personali questa
sacralità della vita viene messa di lato e viene sostituita da un pensiero
laico e sacrosanto che è quello della qualità della vita, per cui se tu devi
decidere se devi fare nascere uno malato di beta talassemia o di fibrosi
cistica te ne fotti completamente della sacralità della vita e quindi farlo
nascere a tutti costi perché la vita è un dono divino, ma ci fai bella
diagnosi genetica ed eviti che nasca un bambino malato, per evitare che
soffra lui e che soffrano anche i genitori, per evitare appunto in nome
della qualità della vita di tutti.
Per noi medici c'è un problema di coscienza reale, essendo il mondo
della riproduzione assistita ampiamente privato, il profitto poi alla fine
può prevalere nella scelta, e siccome la riproduzione assistita quando
poi viene fatta secondo tutte le regole e secondo tutti i crismi e con il
massimo della potenzialità riesce ad avere delle percentuali di successo
che è un minimo rispetto a quello dell'insuccesso, anche se fai una cosa
perfetta t'accucchi un 42, 43% di probabilità e un 55% di insuccesso poi
li a scendere hai percentuali sempre più basse una volta che la donna
diventa più grande, una delle cose che noi facciamo tranquillamente è di
dire alla donna che dopo una certa età abbiamo dei marker che ci
studiamo e che verifichiamo durante la fase diagnostica prima di
arrivare ai trattamenti, se i marks danno un dato diagnostico negativo
per quanto riguarda il successo della tecnica noi glielo diciamo
tranquillamente... la donna non è contenta, quando le si dice che non ha
possibilità di andare avanti, primo per un motivo narcisistico, perché ci
sta ricennu ca... è danni, secondo perché capisce che ha superato una
fase della sua vita in modo irreversibile, o in modo cosciente o in modo
incosciente in ogni caso, la reazione, come ti posso dire, è fortemente
negativa, e tante volte mette in crisi il rapporto tra medico e paziente,
perché sei tu che glielo dici e non c'è un modo bello per dirlo, perché
quella è la realtà, nuda e cruda, cioè la perdita di una possibilità rispetto
a una cosa che viene desiderata... lì lo sai cosa viene fuori?lì viene fuori
fortissimamente la differenza tra quelli che sono gli elementi portanti e
costituenti dell'essere umano, cioè la cultura e il gene, il gene fa il suo
corso, ha i suoi tempi e detta le sue regole, la cultura dell'uomo si può
modificare nel tempo come vuole, però alla fine non può intaccare
217
minimamente quelle che sono le regole dei geni e la verità genetica che
è quella determinante, per cui una donna può anche pensare di poter
fare dei figli a 37 38 anni culturalmente, perché è impegnata, perché ha
fatto carriera, perché voleva diventare manager e tutte le cose,, però poi
la natura non le consente più di fare figli, quindi lì si capisce come c'è
una contraddizione fortissima tra queste due entità, cioè la donna
dovrebbe evitare il problema dell'infertilità che è fortemente legato
all'età, cioè tante donne a 40 anni che vengono qua non hanno niente, è
sulu ca anu 40 anni... quindi loro cercano nella riproduzione assistita
questa cosa qua e c'è stata qui in Italia una campagna bugiarda fatta da
alcuni operatori che ha dato l'impressione che le donne potevano
rimanere gravide a qualsiasi età, grazie alle biotecnologie... la mammanonna e tutte 'ste cose qua... e così alcuni hanno pensato :”allora quando
vogliamo”... cioè in questo mondo di plastica, tutto meccanizzato, tutto
organizzato, tutto appresso alla capacità economica che tu t'accatti
zoccu voi c'era anche questa cosa qua, cioè a un certo punto tu, dopo il
successo della carriera, dei soldi e via dicendo potevi tranquillamente
decidere quando diventare madre a qualsiasi età... ma così non è... ti
racconto una cosa: settimana scorsa è venuta qui una coppia di Verona,
lei 44 anni lui 48. Lei aveva fatto un tentativo lì a Verona senza
concludere niente, due o tre anni fa, a 44 anni la probabilità di ottenere
una gravidanza per una donna è veramente rara, lui ricchissimo, dice:
“se la probabilità che mia moglie rimane incinta è bassa però deve fare
tutta la trafila io non voglio che faccia nulla”, lei non vuole fare
l'ovodonazione perché rifiuta l'idea di fare sviluppare dentro di se
un'entità che non le appartiene geneticamente, lui mi ha telefonato e mi
ha detto: “io voglio andare in America, mi prendo una donna, gli metto il
mio seme lei mi fa la gravidanza tranquillamente poi quando lei mi fa il
bambino io me lo porto, l'importante che lui ha i miei gameti e i miei
geni, mia moglie è tranquilla e non deve fare niente... iu m'uccattu... e
per lui il problema era se in America si può fare o meno... neanche i ha
chiesto quanto costa... u capisti? E si capisce che alla fine lo spirito con
cui lo fai non è neanche uno spirito sano, perché io dicevo a lei che era
nelle condizioni di fare l'ovodonazione, almeno si faceva la gravidanza,
il parto e l'allattamento... chidda chi pinsau? “ah, mi fazzu sti tri cosi che
modificano il mio corpo? Ma mi nni staiu futtennu, portamelo
direttamente fatto”... questa visione plastificata viene tante volte
confusa con i problemi reali della gente per cui... diventa un fatto
folkloristico, come quando si dice che i siciliani sono tutti mafiosi... ma
non è un fatto reale, perché poi il 99% della gente che fa fecondazione
218
assistita è gente che ha realmente bisogno, poi ci su 'sti sciamuniti... e poi
se pensi a questi qua che hanno sfruttato la legge... Antinori, che era
quello che durante la campagna referendaria se ne andava in giro per le
televisioni a dire che lui clonava il mondo, si è fatto un centro a Mosca
dove si pagano ventimila euro per fare un'ovodonazione, per cui per
questi qua avere la legge è una manna... loro pigliano 100 donne in tre
mesi, se le portano a Mosca e vedi quanto guadagnano...
219
Dottoressa Maglia
Ginecologa
ML: mi potrebbe parlare della sua esperienza al centro?
R: allora, la mia esperienza al centro risale al 1995, infatti io sono una
degli storici del centro... tutto nasce da un’idea che il Dott. Guglielmino
ha sempre avuto, noi siamo stati colleghi di corso alla scuola di
specializzazione e quindi sai, tra colleghi si parla, anche se lui spesso
non c’era, sai, è sempre stato un tipo particolarmente sui generis, non
c’era perché era spesso all’estero perché ha sempre avuto quest’idea di
fare infertilità... e mi ricordo che alla fine della scuola di
specializzazione, lui poi è stato per diversi anni in giro per l’Inghilterra
e il Belgio, mi disse: “vedrai che quando torno io farò un centro di
fecondazione assistita qui in ospedale”, e io gli dissi: “quando torni
ricordati di me”. Punto. Ed era il 1990. Quindi quando lui è tornato
abbiamo in effetti cominciato a fare quest’esperienza, io mi occupavo
all’epoca di diagnosi prenatale, anche se già al momento della tesi mi
ero interessata all’argomento perché avevo lavorato con una dottoressa
che si cominciava ad occupare delle coppie infertili più però a livello di
endocrinologia. Quindi abbiamo cominciato, Nino, un suo amico
andrologo e io, e all’inizio eravamo tutti “giovani” (ride) medici
volontari, ci siamo andati a ricavare questi spazi, quasi quasi rubandoli
agli altri medici, alle altre attività dell’ospedale, anche perché Nino ai
tempi aveva un rapporto particolare con il primario che, nessuno si è
spiegato mai, come alla fine ci consentisse di fare questa cosa perché,
alla fine, non eravamo nessuno, non eravamo strutturati, eravamo
volontari... però probabilmente lui aveva questo piacere di avere nella
sua clinica una cosa come questa, anche perché penso che all’epoca a
Catania non ci fosse niente se non con Palumbo al Santo Bambino, e
quindi ci diede il permesso e cominciò questa cosa... eravamo volontari
appunto, infatti lavoravamo di pomeriggio quando le attività
dell’ospedale erano finite e insomma... naturalmente sin dall’inizio ci fu
un successo di utenza veramente clamoroso e all’inizio, essendo stata in
città veramente una cosa nuova con centinaia e centinai di pazienti, noi
facevamo di continuo riunioni, attività che coinvolgevano tutti i pazienti
e si è creato sin da subito un rapporto quasi amichevole con i pazienti,
220
poi a un certo punto anche troppo secondo me, quasi fossimo tutti sullo
stesso piano, c’era molta confidenza e anche molta fiducia nei nostri
confronti... Poi io mi sono allontanata, poi cominciai, perché purtroppo
la nostra carriera è molto lunga (ride), a lavorare alle guardie mediche,
in casa di cura e quindi questo impegno che comunque era una cosa che
impegnava veramente tanto, non retribuito e... insomma, uno comincia
anche ad avere un riscontro economico crescendo e quindi mi sono
allontanata però sempre tenendo una sorta di contatto con Nino, non ci
siamo mai persi di vista insomma... nel frattempo poi ci fu tutta la
vicenda del Vittorio Emanuele e poi, visto che comunque la mia
passione all’interno della ginecologia e dell’ostetricia è rimasta questa
insieme alla diagnosi prenatale, ed è un’attività che comunque non si
può svolgere da soli nel proprio studio, si puoi vedere le coppie e fare
alcune terapie, ma in ogni caso devi avere un posto dove appoggiarti
anche per seguire gli aggiornamenti e quindi piano piano mi sono
riavvicinata fino poi ad inserirmi completamente, questa è la mia
storia...
ML: come vive oggi il rapporto con i pazienti?
R: guarda, indipendentemente dalla legge 40, penso che oggi il rapporto
con i pazienti sia migliorato ma non so dire se questo dipende o meno
dalla legge, credo che dipenda anche da una sempre maggiore
consapevolezza del rapporto che si instaura con i pazienti, perché prima
eravamo considerati, io penso, tipo un gruppo di ragazzacci (ride) che sì
erano bravi, perché poi i risultati li abbiamo sempre avuti in termini di
gravidanze anche perché il laboratorio funziona veramente bene, però
erano un po’ così... cioè secondo me davamo quest’impressione, di un
gruppo di ragazzi che organizzava le feste con i bambini, le cene sociali
e tutte queste cose qua, cioè più un gruppo goliardico che un gruppo di
professionisti. Questo all’inizio ha giocato a nostro favore, secondo la
mia opinione, perché eravamo così simpatici e alla mano, per un certo
periodo di transizione questo invece è stato un’ inconveniente,
soprattutto quando si è cominciato a far pagare le tecniche perché
all’inizio siccome noi eravamo volontari le spese che avevamo erano
solo spese di laboratorio, cioè comprare le apparecchiature e il
materiale di consumo, e ci siamo sempre autogestiti con questa sorta di
donazioni che le coppie facevano all’associazione, quindi la cifra che
pagavano queste coppie era davvero irrisoria rispetto al privato puro
che c’era in giro a Catania, poco ma c’era, ma noi avevamo anche coppie
221
che erano state in giro per il mondo e che avevano speso veramente
centinaia di milioni all’epoca... poi naturalmente non si può pensare di
aumentare il personale, le segretarie, le infermieri e quant’altro, e
mandare avanti un centro basandosi sulla forza di tre o quattro
volontari quindi chiaramente da tutto questo si doveva pensare di far
uscire uno stipendio per gli operatori... quindi quando poi cominciarono
ad aumentare i prezzi delle tecniche c’è stato un momento molto brutto
devo dire, che è durato fino a qualche anno fa, in cui il paziente siccome
usciva dei soldi, era come se avesse la pretesa della riuscita. Per cui ci fu
un lungo periodo in cui noi ci trovavamo, nel caso in cui la tecnica non
fosse andata a buon fine, pazienti che venivano a chiederti come mai
con quell’arroganza e con quel tono di sfida o di minaccia ti dicevano “io
ho pagato, tu mi devi dare...” e questa cosa è stata davvero antipatica ed
è durata per molto tempo, non so da cosa dipenda, probabilmente da
questo atteggiamento ormai standardizzato che loro avevano, cioè noi
eravamo un gruppo così, gli chiedevamo più soldi e come minimo
avremmo dovuto garantire... poi Guglielmino con il suo carattere,
perché magari io ho reagito distaccandomi, mentre prima ero quella
sempre sorridente sempre così, anche all’inizio ero la dottoressa
sorridente che metteva a proprio agio che ti tranquillizzava, insomma
l’amica di tutti, poi siccome questa cosa mi ha infastidito ho reagito
cambiando atteggiamento nei confronti dei pazienti e quindi forse tutta
questa simpatia nei confronti dei pazienti non ce l’avevo più e forse non
la trasmettevo più, lui forse ha reagito in maniera abbastanza violenta
nei confronti di coppie che, probabilmente, se lo meritavano (ride)... e
poi questa cosa man mano è cambiata, io mi ritrovo oggi, non
improvvisamente certo, è stato un cambiamento graduale, a fare una
parte che noi chiamiamo post tecnica, cioè quando la coppia fa la
tecnica e non ottiene la gravidanza, noi facciamo dopo la mestruazione
un’ecografia di controllo, non è utilissima da un punto di vista clinico,
però ci serve per rincontrare la coppia, parlarne, e questa cosa era
considerata da me personalmente di una noia mortale (ride) perché
prima io pensavo che fosse uno scontro più che un incontro, dove la
coppia mi veniva a chiedere conto, soddisfazione e ragione di quello che
era successo... poi, siccome nonostante tutto continuo a mantenere, fa
parte della mia indole credo, questa voglia di parlare con le persone,
cercare di capire, di spiegare, non lo so, mi sono ritrovata tante volte nei
panni... infatti io dico che fuori dalla porta dobbiamo scrivere
consulenze psicologiche, non post tecniche, perché poi alla fine,
parlando parlando, mi sono ritrovata ad avere sempre meno scontri,
222
sempre meno atteggiamenti aggressivi da parte dei pazienti, e diventa
un momento professionale gratificante parlare con queste coppie che,
devo dire, non hanno più questo atteggiamento di arroganza, almeno
nei miei confronti...
ML: alla luce della sua esperienza di medico cosa ne pensa della legge?
R: secondo me bisogna distinguere la diagnosi genetica preimpianto
dall’eterologa... la diagnosi genetica preimpianto è chiaro che è un
problema non poterla fare... c’è stata comunque molta confusione
all’inizio tra i pazienti, perché quando si disse appunto che non si
poteva più fare, la gran parte diceva “ma allora non si può vedere se è
malato?”, perché pensavano che si potesse fare una diagnosi genetica di
tutto e quindi c’è stata un po’ di confusione e abbiamo faticato non poco
per far capire che la diagnosi genetica in realtà riguardava in realtà solo
alcune malattie genetiche conosciute e per le quali bisognava ricercare
un determinato gene, le persone in realtà credevano che questa legge
avesse tolto completamente la possibilità se l’embrione era “buono”,
loro dicevano, oppure no... e quindi abbiamo impiegato diverso tempo a
chiarire il tutto, perché c’è stato un momento di panico nelle coppie... è
chiaro poi che la diagnosi genetica di reimpianto è una tecnica a cui ci si
sottopone solo in presenza di un rischio concreto, cioè la coppia di
portatori sani di beta talassemia che hanno il 25% di rischio di avere un
bambino malato anche se fertili la fanno, e prima potevano farla proprio
per evitare poi il trauma dell’aborto, ma la sindrome di down che non è
ereditaria né genetica, in una coppia fertile, non ha senso, si fa
direttamente la diagnosi prenatale se si vuole considerando anche che il
rischio è estremamente basso, non certo il 25%... Per quanto riguarda la
fecondazione eterologa devo dire che a me comunque non piace,
continua a non piacermi, non mi piacciono le persone che si rivolgono
all’estero anche se me lo vengono a chiedere, e io ho mandato tanta
gente in centri esteri perché non mi sento di giudicare del tutto la
donna di 28 anni in meno pausa precoce che decide di ricorrere
all’ovodonazione, mi sento di criticare un po’ di più la quarantaseienne
che va a fare l’ovodonazione dopo svariati tentativi, questo non mi
piace, mi da fastidio, mi sembra un atto di egoismo veramente estremo
perché alla fine si vivono la gravidanza però... poi considerare un
patrimonio genetico di un figlio che non è completamente tuo e allora io
ritengo che sia più valido il discorso dell’adozione... che purtroppo tante
coppie nostre, ma dico tante, rifiutano, perché le coppie infertili
223
diventano egoiste... certe volte vedo queste donne che pur di vivere una
gravidanza sono disposte ad andarsene all’estero, farsi prestare un
ovocita da una perfetta sconosciuta, farlo fecondare con lo spermatozoo
del marito... a me sembra una cosa assurda...
ML: non le sembra che sia un po’ il pensiero imperante questo
riduzionismo biologico...
R: esatto, perché poi alla fine non è un figlio tuo se vogliamo parlare in
termini tecnici... allora tanto vale, adottarlo, almeno per come la penso
io, quello si che è un vero gesto d’amore, di altruismo... sicuramente
molto più nobile dell’andarsi ad accanire... e questo vale anche per
l’accanimento di certe donne che magari un’eterologa non la vanno a
fare ma continuano a fare tentativi su tentativi a 44, 45, 46... abbiamo
avuto veramente casi pietosi di persone che continuano ad insistere
oltre ogni logica e che ogni mese si vanno a fare un prelievo ovocitario,
un ciclo fisiologico e tutte queste cose con uno stress accumulato negli
anni che non so... abbiamo avuto una coppia con una cartella tanta che
forse ha finalmente deciso di smetterla e che ha iniziato nel 1997 e
quindi dieci anni di tentativi, adesso lei ha un 48/49 anni... e io penso
che la colpa sia anche nostra che non riusciamo a dire a queste coppie
basta, non è possibile... e un altro aspetto psicologico che mi disturba
parecchio sono queste donne, perché io la vedo in questo modo: queste
sono coppie in cui l’uomo se ne frega completamente, viene qui per fare
un favore alla moglie, per non sentirla parlare altrimenti rompe le
scatole, l’accompagna e si sottopone a tutti questi esami e poi fa un
sacco di storie, “io ho il lavoro, ho questo ho quello”, cioè poi si vede da
questo che... se una coppia è decisa, è unita, ha questa voglia di fare
questa cosa bisogna prendere gli appuntamenti, che sicuramente sono
tanti, però se uno la vuole fare si organizza...
ML: è una questione di priorità...
R: si brava, esattamente... ma siccome quasi sempre l’uomo è quello che
dice che deve lavorare, che perde il lavoro, che non si possono fare tutti
questi viaggi e la donna è quella che dice mio marito deve lavorare non
mi può accompagnare, e io esco di fuori quando sento queste cose... e
quindi tutti questi sacrifici, dopo tutte queste cose vengono qua, la
donna che tenta disperatamente, anche contro ogni logica, di fare
questo figlio per dare una risposta a lui, molte volte per dare anche una
risposta alla famiglia di lui, per dire almeno sono servita a qualche cosa,
224
a fargli fare un figlio a questo qua che si portano appresso e che quindi
non si sentono realizzate come persone se non riescono a fare questa
cosa qui... e a me ‘sta cosa mi da fastidio, forse perché io figli non ne ho
fatti per scelta e ritengo di essere una persona perfettamente realizzata
come coloro che ne hanno fatti, credo sia una scelta più che un obbligo...
e purtroppo qui diventa più un obbligo, almeno a certi livelli...
ML: è che non sempre si ha la possibilità di scegliere o di decidere sul
proprio corpo...
R: si però non è giusto accanirsi contro ogni logica, oltre ogni limite...
ML: è che poi il limite con la tecnica si elimina...
R: si è vero... perché tu alla fine dici non ci sono riuscita questa volta, ci
riuscirò la prossima... ma, secondo me ci sono quelle coppie che poi a un
certo punto si fermano, che sono le più equilibrate, e che poi
paradossalmente sono quelle che poi ottengono la gravidanza, perché io
ci credo profondamente a una componente psicologica in tutto questo, è
fondamentale, perché alcune cose non sono spiegabili altrimenti perché
non hanno giustificazioni da un punto di vista clinico... io racconto
sempre la storia di una mia carissima amica che dopo tantissimi
tentativi ha adottato una bambina, è stata fortunata perché era
piccolissima, subito dopo ha fatto un’altra tecnica ed è rimasta gravida e
si è trovata con due figli piccoli (ride)... ci credo ciecamente a questa
cosa qua... quindi a me sinceramente la legge 40 vietando l’eterologa mi
ha fatto anche un favore, però la gente se ne va all’estero... e io stessa,
mi trovo un po’ a vivere questa contraddizione, ho mandato delle
coppie in un centro, che poi è stato trovato dai pazienti stessi, e ho
avuto tante gravidanze e quindi alla fine (ride)... loro sembrano
contenti... certo io ho avuto una coppia, lei 45 anni, aveva già un figlio da
una precedente relazione, stava con un ragazzo più giovane... questa qui
pur di dare un figlio a questo suo compagno, e là entra la paura di
perderlo e tutte queste cose qui, si è sottoposta prima a una serie di
tentativi con noi poi è andata all’estero, questa è ipertesa e ha messo a
repentaglio la vita... poi la gravidanza si è fermata perché proprio a
causa dell’ipertensione ha avuto un problema durante la formazione
della placenta, il bambino non è cresciuto più ed è morto da solo, e
quindi io mi domandavo questa cosa... guarda un po’ la gente arriva a
rischiare la vita, ora si è convinta, pur di tenersi un uomo, ad esempio?
Perché lei mi diceva “ah, lui non ha figli”, e lui mi diceva “no, ma lei lo sa,
225
a me non interessa, io voglio stare con lei”... quindi esperienza di
coppie... e dietro le apparenze si nasconde moltissimo, soprattutto
dietro coppie che devono affrontare l’infertilità, e sono veramente
pochissime quelle che si salvano, che riescono a mantenere un
equilibrio e che, aldilà dell’infertilità hanno un rapporto e qualcosa che
li lega...
ML: e lei come vede l’apporto del suo lavoro all’interno di questa
ricerca, perché alla fine queste coppie stanno cercando qualcosa, che sia
un bimbo, che sia dare un senso alla loro esperienza di vita, e che
comunque cercano l’apporto del medico per attribuire un significato...
R: ma... sicuramente è una gratificazione grande... quando però non
diventa dipendenza e non sconfina nella tua vita privata, questo penso
che lo dicono tanti medici, però forse noi in maniera particolare... con
certuni si crea un rapporto... io infatti dico che sono delle adozioni,
soprattutto con ragazze giovani, quelle un po’ più fragili magari... loro
vedono in me, in noi, una sorta di divinità certe volte... naturalmente,
questo da un certo punto di vista è gratificante, dall’altro ti dà tante
responsabilità anche se comunque i limiti della tecnica sono quelli,
anche se quando s’instaura un rapporto intelligente, a parte la
dipendenza psicologica della coppia, questo emerge come un dato di
fatto che si deve capire... quando invece questo non viene capito diventa
antipatico e diventa uno di quei rapporti che uno vorrebbe tagliare al
più presto, quando cioè non si riesce a far comprendere e a trasmettere
qual è l’effettivo limite della tecnica... io sono disponibile ad
accompagnarti in tutto questo percorso ma tu devi capire che c’è un
limite, che io non sono il padre eterno, che io faccio sicuramente tutto
quello che posso e lo faccio nel migliore modo possibile... certe volte in
effetti io mi sento molto carica di responsabilità e quando la tecnica va
male è come se io mi mettessi nelle condizioni di dover dare una
spiegazione, forse dipende anche dal mio carattere... effettivamente è
così, non ci avevo mai riflettuto...
226
Gabriella Tomaselli
Segreteria
ML: mi racconti la tua esperienza al centro?
R: io sono la segretaria del centro medico, conoscevo già l’associazione
perché mia sorella e mio cognato sono stati tra i primi pazienti e
fondatori, insieme al Dottor Guglielminio dell’associazione HERA.
Quando ho avuto la proposta di lavoro dal Dottor Guglielminio sapevo
quindi di non venire a lavorare in un qualsiasi centro medico, ma di
venire a lavorare anche per un’associazione, di pazienti e medici, che è
molto diverso, in cui il rapporto cambia proprio tra medico e paziente,
c’è una compartecipazione...
ML: in che senso ti sembra diverso?
R: perché non si tratta solo di un centro medico in cui si viene soltanto
per fare la visita, in qualche modo si resta in primo luogo legati e poi c’è
l’associazione da portare avanti perché ci si muove per portare avanti la
legge 40, ci si muove per i pazienti che sono costretti ad andare
all’estero, insomma c’è interesse... anche il mio lavoro, non si tratta di
mera meccanica, prendi appuntamenti, fai le cose confezionate e basta...
e comunque a me piace il mio lavoro, forse perché l’ho scelto, mi sono
buttata in quest’avventura...
ML: hai notato cambiamenti nella vita del centro dopo l’entrata in
vigore la legge?
R: diciamo che la legge, ma più che altro le linee guida, hanno posto un
limite alla diagnosi preimpianto e i pazienti che arrivano qui, che
comunque desiderano un figlio e hanno problemi di infertilità, o hanno
problemi di malattie genetiche, io per prima ho una malattia genetica
perché sono celiaca, anche mia figlia lo è, e quindi in qualche modo la
sento moltissimo la problematica... sicuramente non avrei fatto una
diagnosi preimpianto per celiachia perché comunque è una cosa con cui
si può convivere, ma se avessi avuto un problema di talassemia o un
problema veramente importante che comunque ha un’incidenza
rilevante sullo stile di vita, sicuramente avrei seguito la scelta di fare
227
una diagnosi preimpianto e... essendo sin da piccolina malata, da questo
punto di vista, mi fa piacere sapere che c’è qualcuno che s’interessi dei
problemi genetici... e potendomelo permettere sicuramente andrei
all’estero... che poi vai all’estero a fare una cosa che in Italia non è
permessa, ma poi tu ritorni in Italia, ti fai seguire qui da un centro
italiano e tutto il resto... mi sembra un’ipocrisia incredibile... e una
grande ipocrisia è che i centri esteri sono gestiti da medici italiani che
sono i migliori in questo campo, doppia ipocrisia mi sembra... non
comprendo il motivo per cui bisogna far spendere agli italiani tutti
questi soldi per andare all’estero... e poi cosa fai? Non permettere a
questi bambini nati da diagnosi di tornare e crescere in Italia?
ML: ma secondo te, perché ?
R: perché ci sono interessi economici fortissimi, perché ci sono i centri
esteri gestiti da medici italiani che guadagnano il doppio e in Italia
invece il costo della diagnosi è molto più contenuto, forse alla fine è
davvero un problema economico... poi sappiamo anche che ci sono i
problemi etici legati alla chiesa, che chiaramente pone questi vincoli dal
punto di vista etico e morale, che è del tutto discutibile... perché alla fine
permette molto di più... permette che si faccia la diagnosi a 5 mesi e si
possa abortire, quando poi non si permette che prima ancora che
diventi una vita non si possa fare la diagnosi...
ML: ma è lo stato italiano che non te lo permette, non la chiesa...
R: ma noi viviamo in uno stato dove la chiesa ha un peso fondamentale
sul piano politico, sui personaggi politici... la chiesa è totalmente
integrata in Italia, sicuramente in questo momento non c’è nessun
quadro politico che permette di superare quest’ostacolo...
ML: quindi tu non pensi che sia una cosa che proviene anche da una
forma particolare che la nostra società ha acquisito?
R: si... quello anche... è che forse la chiesa ha paura... e i politici poi
secondo me si comportano in maniera ipocrita, perché non è perché
seguono la chiesa, ma è perché con la chiesa hai un elettorato
incredibile e di quello devi tener conto... il problema è che la chiesa ha
paura, appunto, che si possa decidere sul corpo, quando invece per loro
il principio è l’anima non il corpo, come se le due cose non possano
andare di pari passo... cioè guarire il corpo perché questo possa agire
anche sull’anima, come se le due cose fossero distaccate... e invece
228
possono andare benissimo di pari passo... ma è una cose che non va
bene, ma sempre dal punto di vista politico-economico, io di questo ne
sono convinta, se poi la mettiamo sulla morale ci prendiamo in giro, ma
i veri problemi sono di natura politica ed economica... e secondo me la
vera colpa che ha la chiesa e che non riesce a comprendere il progetto
genitoriale, non ne tiene conto...
ML: in che senso, nella procreazione medicalmente assistita o in
generale?
R: si, io questa cosa la penso da sempre... cioè quando ho deciso di avere
dei figli ho pensato a un progetto genitoriale, non ho pensato ad avere
un figlio perché fosse una cosa mia personale, io non vivo le mie figlie
come qualcosa di mio, come un attaccamento corporeo, ma le vivo come
un progetto... spero che crescano e che crescendo riescano ad apportare
qualcosa alla società, certo mi hanno dato tantissimo dal punto di vista
personale... ma non finisce lì, almeno per me, non ha senso... cioè avere
un figlio significa portare avanti un progetto genitoriale, è una cosa più
ampia,a tutti i livelli... ma è una cosa mia, io lo vedo anche nelle coppie
che vengono qui vedono il figlio non solo come qualcosa che è legato a
te e basta, secondo me il progetto di genitorialità si sta allargando, si
sta sviluppando e sta maturando, però, per me progetto genitoriale
significa anche adozione, significa tanto altro, non vuol dire soltanto un
figlio biologico, che il figlio biologico sia importante non c’è dubbio, che
è un’esperienza che tutti hanno diritto di provare non c’è dubbio...
ML: quindi per te è un diritto avere dei figli?
R: certamente, è un diritto... è un diritto perché poi hai dei doveri come
genitore, perché c’è un progetto da portare avanti, è un diritto fino a
quando lo desideri, poi diventa un dovere... ma poi sai, quello dipende
da quanto tu hai costruito culturalmente il tuo progetto genitoriale, e
non c'è un unico modo per realizzarlo, come non c'è un unico modo di
essere genitori, abbiamo tanti modelli ed è giusto scelga quello più
adatto, il discorso è che si dovrebbe essere liberi di scegliere... cioè
bisognerebbe fornire un quadro ampio, perché i quadri si possono solo
ridurre, perché ponendo troppi limiti alla base i limiti possono solo
ridurre, non ampliare...
ML: e delle coppie che incontri qua cosa ne pensi?
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R: guarda, in un anno che lavoro qua, mi sono accorta che le coppie sono
molto più preparate di quello che pensavo, cioè sanno benissimo cosa
vogliono e cosa desiderano, hanno le loro idee, i loro modelli, e a volte
riesci solo a smussare gli angoli, cioè se hanno la voglia di avere un
figlio biologico è difficile fargli cambiare idea, poi solamente presentare
altre prospettive ma se sono di una idea difficilmente... cioè devono
essere culturalmente predisposte all'idea ad esempio dell'adozione,
però le trovo comunque molto preparate, si sanno muovere, sanno le
risposte, poi magari non sono tanto preparate ad accettarle, per questo
è importante avere dentro il centro una figura come quella dello
psicologo, o anche la stessa preparazione degli operatori, perché
dobbiamo essere pronti ad accogliere le loro perplessità, paure, perché
di sapere sanno, poi manca la parte dell'accettazione, che in alcuni è già
avvenuta in altri deve ancora avvenire, e questo diciamo che i medici
sono molto preparati da questo punto di vista, lo fanno tutti in maniera
diversa, ognuno ha un approccio diverso, ed è giusto perché non
possiamo essere tutti uniformi, cioè non esiste una versione univoca...
poi io credo che ognuno debba rispondere per le proprie competenze, è
giusto per una professionalità nei confronti dei pazienti, io anche
difficilmente entro nelle storie dei pazienti, li ascolto ma non mi
intrometto...
230
Dottoressa Tamburino
Genetista
ML: mi può raccontare la sua esperienza al centro... come è arrivata, di
cosa si occupa...
Io sono arrivata qui fondamentalmente per fare dei test genetici e ho
cominciato a fare uno screening di tutti i pazienti del centro per una
determinata malattia genetica che è la fibrosi cistica, un test genetico
che prima non veniva fatto e quindi loro avevano quest'esigenza di
capire come il gene della fibrosi cistica fosse correlato al problema
dell'infertilità; insieme a questo il mio contratto di lavoro prevedeva
anche
che
mi
occupassi
di
DGP,
e
quindi
mi
occupavo
contemporaneamente di fare i test genetici per la fibrosi cistica e anche
di lavorare con la biologa che si occupava di DGP per i talassemici. Io
sono arrivata qui nel 2003 e ho iniziato a lavorare per mettere a punto il
protocollo per poter fare la DGP sui pazienti che erano portatori di
fibrosi cistica, ci ho lavorato praticamente un anno, nel senso che ho
iniziato a mettere appunto il test di screen, ho iniziato a mettere a punto
il protocollo e nel frattempo facevo le diagnosi genetiche e facevo una
ricerca per individuare la correlazione tra fibrosi cistica e infertilità
maschile. Poi è arrivata la legge 40 e sembrava che non andasse in
porto, soprattutto io, che nel frattempo stavo lavorando per mettere a
punto la tecnica specifica per fare la DGP, e dicevo: “vabè l'hanno detto
tante volte, figuriamoci non succederà niente, anche stavolta non
arriveranno a togliere completamente tutte le possibilità ai pazienti e
invece... è successo quello che è successo, la legge è entrata in vigore con
una velocità incredibile per me, non me lo aspettavo per niente... la
legge è entrata in vigore a marzo e qui al centro subito sono cominciate
le lotte... io ho dovuto chiudere tutti i miei quaderni (ride), ho chiuso
tutte le mie ricerche, pensavo solo temporaneamente e invece sono
chiuse da marzo del 2004. I miei quaderni sono qui, alla biblioteca del
centro, pensavo un giorno di poterli riaprire e invece non sono stati mai
riaperti... Nonostante la delusione, soprattutto da parte mia, e
l'incredulità, perché io proprio non ci volevo credere, abbiamo
continuato soprattutto grazie a Guglielmino che ci ha molto spronato a
lottare, ad andare contro questa legge, a iniziare le procedure per quello
231
che poi sarebbe stato il referendum. Lui ci ha molto spronato, sempre...
e ci è servito tanto, perché veramente alcuni ci credevano, altri non ci
volevano credere, è stato veramente un periodo di marasma e alla fine,
ci abbiamo creduto tutti, siamo andati in piazza in strada, dappertutto,
tutti impegnati per informare la gente, parlare con loro, per capire cosa
ne pensavano, quali erano le loro idee, cercare di approfondire dei
concetti che non erano poi così facili da capire, che magari la gente non
conosceva, ed è stato veramente faticoso, il nostro raggio di azione è
stata la città di Catania, non è che abbiamo potuto andare oltre, noi
lavoravamo con la gente di qua e fino all'ultimo ci abbiamo sperato nel
referendum... io mi ricordo che il giorno del referendum io non dormii
tutta la notte, poi andai a votare subito e la mattina successiva mi sono
svegliata prestissimo per vedere i sondaggi... tipo pazza (ride)... ma poi
finì là... grande amarezza e rassegnazione... e abbiamo ricominciato a
lavorare, anche se io non ho potuto lavorare... abbiamo chiuso il
laboratorio della DGP e non ci è entrato più nessuno (ride)... è andato in
disuso... io ho continuato nel mio rapporto di ricerca sulla fibrosi cistica
che è stato molto entusiasmante perché man mano che andava avanti
venivano fuori dei risultati molto interessanti e mi rendevo conto che
era meglio così, che nella vita bisogna andare avanti e fregarsene dei
politici, che la situazione ormai era questa e basta... anzi non sono stata
licenziata (ride)... perché molti biologi hanno perso il posto di lavoro,
soprattutto in Sardegna e a Milano... insomma io ho resistito, siamo
andati avanti, ho messo appunto altri protocolli per fare altri test
genetici per aumentare l'offerta diagnostica del centro e siamo qua...
ML: in nome della tutela dell'embrione... Lei come la vede?
Io sono una biologa, lo vedo dal punto di vista biologico (ride)... nel
senso che conoscendo quali sono le fasi e le caratteristiche di sviluppo
embrionario io dico che non si può parlare di vita... io rispetto chi ha un
punto di vista prettamente cattolico, religioso, che considera già la
prima cellula vita, io lo rispetto, lo posso comprendere ma per me non è
così... per noi qui non è così, altrimenti non avrei lavorato con loro se
non fossi stata d'accordo con certe idee, quindi l'embrione non può
essere chiamato vita, sono cellule in un primo stadio che solo poi in una
fase di differenziazione cellulare, di proliferazione, diventano vita
dentro il corpo di una donna...
ML: lei incontra anche i pazienti?
232
Si, io faccio le consulenze genetiche per quelle coppie che hanno
richiesto specifici test genetici e quindi sono pazienti magari che ancora
non sanno di essere portatori, sono molto aperti, disponibili perché
capiscono che sono delle possibilità per ridurre il rischio di avere dei
bambini affetti da fibrosi cistica o da anomalie del cariotipo, e loro sono
molto disponibili e pronti a fare tutti i test necessari... mi ricordo invece
la disperazione di quella coppia che aveva presentato ricorso al
tribunale di Catania, ricorso che è poi stato rigettato, subito dopo la
legge, perché erano portatori di beta talassemia ed erano obbligati al
trasferimento degli embrioni che avevamo diagnosticato come malati...
che poi anche adesso ci sono quelle coppie che non credono alle
diagnosi genetiche prenatali, che non sono disponibili e che magari
dopo aver scoperto di essere entrambi portatori di fibrosi cistica
scelgono comunque di mettere al mondo dei figli... perché l'importante
è essere coscienti, sapere quello a cui si può andare incontro... del
rischio insomma, però poi le coppie decidono, noi non siamo qui per
dire tu sei bravo o tu non sei bravo se fai determinate scelte, noi siamo
qui per informare i pazienti del rischio ed eventualmente, se loro
vogliono... e noi siamo qui a cercare tutte le alternative possibili, stiamo
mettendo appunto nuovi protocolli per lavorare sugli ovociti ad
esempio perché dobbiamo trovare altre vie perché ma non possiamo
più lavorare sugli embrioni che diciamo era la metodologia considerata
più attendibile, più affidabile dalla letteratura... bisogna andare per altre
vie per forza e quindi ci sono gli scienziati che si stanno scervellando ma
non c'è molto da fare perché le diagnosi pre-concezionali e hanno i loro
limiti e non sono abbastanza affidabili per poter essere applicate senza
una diagnosi generale...
233
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