la sindrome finnica, bouvard e pecuchet

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la sindrome finnica, bouvard e pecuchet
LA SINDROME FINNICA, BOUVARD E PECUCHET “Matematica e geografia, addio!La Finlandia cancella le materie “: così titolava in questi giorni il Corriere Della Sera.
Da anni la Finlandia è diventata il Sol dell’avvenir, la formula sacra, anzi magica e mistica, un vero e proprio mantra,
della sedicente cultura italiana.
Essendo l’Italia il paese dell’ideologia per eccellenza si è subito scatenata la discussione tra proisti e contristi. Con una
certa percentuale di simaisti. I primi subito tuffati nell’esterofilia acritica che nulla ha a che vedere con la conoscenza
del diverso (d’altra parte siamo il Paese che riteneva accettabile la clitoridectomia in nome del rispetto delle culture
altre). I secondi invece sono partiti lancia in resta ricordando che senza conoscenze elementari non ci sono competenze
e i più colti hanno citato Cartesio “il tutto è uguale alla somma delle parti”. I simaisti quelli che hanno sempre ragione
obbiettano che è tutto bello ma che la Finlandia ha solo 6 milioni di abitanti, ha strutture adeguate e moderne e può
permettersi di sperimentare. Un po’ come il Costarica che non ha l’esercito.
Non tutte le scuole italiane cadono a pezzi, non tutti i professori sono vagabondi, non tutti i Presidi tirano a campare,
non tutti i Dirigenti del Miur sono solo dei burocrati, non tutti gli studenti vogliono essere parcheggiati, non tutti i
genitori rinunciano alle loro responsabilità.
E, soprattutto, le scuole sono autonome.
Allora vediamo cosa l’esperienza Finlandia può insegnare. Occorre ribadire quanto più volte detto e quanto è alla base
della Mission dell’Istituto. Se il Meucci è cresciuto quantitativamente e qualitativamente negli ultimi 3 anni fino a
raggiungere i riflettori nazionali è sia per la qualità dei docenti e del personale sia per la dotazione delle strutture, ma
anche per la strategia didattico-educativa. Strategia che ha saputo approfittare dei nuovi scenari creati dalla Riforma
riconoscendo in essa i presupposti culturali ed epistemologici che soli aprono porte verso un’offerta formativa di
qualità.
Proverò a ripercorrerli.
1)Scienza e cultura. E’ ormai acquisito a livello mondiale che la cultura e la scienza sono in progress, non –come si è
pensato fino a 30 anni fa- statiche e definite una volta per tutte. Da questo deriva in campo scolastico una conseguenza
decisiva: è più importante IMPARARE A IMPARARE che imparare nozioni (compresi teoremi importantissimi);
2)Teoria e pratica. Ancora la scienza (la biologia da Maturana e Varela, le neuroscienze da Damasio e Ramachadran) ha
dimostrato che agire è conoscere e conoscere è agire. Conseguenza scolastica: LEARNING BY DOING. Teoria e
pratica non sono separati e a nulla serve appropriarsi della teoria per POI metterla in pratica. Non funziona. Questo
funzionava quando il sistema di riferimento era semplice,
3)Complessità. Già negli anni ’90 il Ministero indicava tra le strategie didattiche quella di “educare alla complessità”. In
generale tutti si rendono conto che le relazioni ormai sono relazioni complesse caratterizzate da reti, interconnessioni,
hub. Lo vediamo nei rapporti personali e lo dicono i Premi Nobel. Conseguenza scolastica: LE DISCIPLINE hanno
senso solo se riusciamo a collegarle tra di loro, in una RETE DI CONOSCENZE che si contaminano. Matematica e
letteratura non sono legate per la bellezza di entrambe, ma perché” la metafora è elemento costitutivo dell’acquisizione
scientifica” (Santa Fe Institute)
E’ chiaro che se si parte da queste premesse non sono molte le strategie su cui operare e come sempre, una volta
individuata la strategia, si aprono alla sperimentazione e alla creatività numerose strade. Vediamo di sintetizzare quanto
sopra: creare una rete di conoscenze da attivare attraverso il learning by doing con l’obbiettivo di imparare ad imparare.
Traduciamo tutto questo in un linguaggio più accessibile ai docenti e agli studenti.
Il cosiddetto programma non esiste più: si tratta di creare progetti di didattica laboratoriale che attivino una rete di
conoscenze su cui gli studenti operano per acquisire un metodo che li aiuti ad orientarsi in contesti diversi e oggi in
rapido cambiamento.
Non solo, ma per un Istituto Tecnico come noi siamo, risulta determinante far sì che il learning by doing da un lato sia
metodologia dominante dentro la scuola e dall’altro si sposti fuori con attività nelle aziende, come stiamo facendo
soprattutto con l’apprendistato presso Enel.
Questo lo possiamo fare, e il Meucci cerca di farlo, già oggi, senza bisogno di ulteriori interventi ministeriali e senza
bisogno di scimmiottare né la Finlandia né la Germania. Ciò di cui la scuola ha bisogno è un salto epistemologico che
sappia trasformare la scuola da centro sociale e noioso ritrovo in qualcosa all’altezza delle sfide internazionali di oggi.
E’ facile scaricare l’inadeguatezza del sistema sulle abitudini oziose degli adolescenti e sulla misera politica scolastica
dei governi, ma questo è il contesto con cui fare i conti: gli studenti sanno mostrare entusiasmo e competenze, ogni
volta che viene loro proposto qualcosa di nuovo e interessante, mentre la scelta di fare il docente è –appunto- una scelta.
Certo, quando vediamo enormi manifesti in cui uomini politici importanti scrivono di essere dalla parte di chi “Pretende
il lavoro”, si capisce il ritardo culturale in cui ci troviamo. In un sistema statico, di grosse imprese, come è stato fino ai
primi anni ’90 era giusto chiedere lavoro, perché questo dipendeva dalle scelte della Fiat, della Pirelli, delle Ferrovie,
della SIP, dell’Enel ecc. Sistema monopolistico e protezionista. Oggi non è più così. Il lavoro si crea e i nuovi orizzonti
parlano di società della conoscenza e dell’informazione. Ed è qui che la scuola può svolgere un ruolo decisivo.
La liberalizzazione legata alla globalizzazione ha portato nuove speranze a milioni di persone una volta escluse,
Brasiliani Peruviani Cileni Messicani Turchi Indiani, Cinesi, Indonesiani Marocchini Sudafricani e tanti altri.
La Rivoluzione Informatica ha trasformato le competenze necessarie: prima era l’impresa che decideva ciò di cui aveva
bisogno, mentre oggi ciò che conta è il capitale umano che ogni individuo rappresenta. Una volta bastava avere un
bagaglio limitato di conoscenze che restavano sostanzialmente valide nell’arco della vita lavorativa, oggi invece esse
cambiano rapidamente e in modo tale che risulta impossibile farsene carico. Per questo risulta più importante il metodo
rispetto al contenuto. Non solo, ma le discipline non sono più separate, organizzate in un’isola autosufficiente: lo
vediamo in medicina come in meccanica, dall’elettricista e dall’idraulico.
La scuola ha cessato di essere l’unica sorgente nella formazione di questo capitale umano, e se vogliamo darle un senso
dobbiamo aiutarla a costruire percorsi che sappiano motivare i ragazzi e attivarli. A nulla vale il lamento, la
recriminazione, il cavillo, la prepotenza. Occorre rimboccarsi le maniche e creare percorsi, tenendo conto certo dei
vincoli di legge, ma sapendo anche approfittare delle possibilità che il nostro sistema ci offre.
Ma occorre quel salto epistemologico di cui parlavo. Troppi professori stanno attaccati al loro programma, scandito in
modo perfettamente sequenziale, e vi stanno attaccati come Linus con la sua coperta, convinti che senza quelle
conoscenze il mondo crollerebbe. Ma l’unica cosa che crollerebbe forse è solo il loro mondo. Gli studenti escono con un
diploma ma con crescenti lacune: chi ha fatto gli esami di stato lo sa bene. E questo succede anche nelle migliori scuole.
Non si tratta più di cercare espedienti, inventarsi trucchi, abbassare le pretese, interrogare 100 volte fino a che non viene
raggiunta la sufficienza. Non si tratta di essere più buoni o più esigenti, ma di essere diversi. Non si tratta né di essere
carismatici né di fare i giocolieri né di laurearsi in psicologia. Le competenze non si raggiungono con una sommatoria
di conoscenze. Ed è ciò che la Finlandia insegna. Già molti libri di testo si sono adeguati proponendo esercizi basati su
contesti reali, ma molti docenti non se ne sono accorti come pure ancora quei libri presentano gli esercizi come
applicazione della teoria: siamo sempre lì, prima la teoria e poi la pratica. Nemmeno fossimo in un Liceo. Insomma la
Finlandia ha trasformato in legge quanto da decenni viene teorizzato, anche in Italia: gli studenti saranno critici, creativi
e curiosi solo se altrettanto saranno i loro insegnanti.