IL GOVERNO E LA COMPOSIZIONE DEI CONFLITTI NELL
Transcript
IL GOVERNO E LA COMPOSIZIONE DEI CONFLITTI NELL
IL GOVERNO E LA COMPOSIZIONE DEI CONFLITTI NELL’ORDINAMENTO INTERSINDACALE (versione provvisoria) Enrico Raimondi, Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara 1. Premessa. 2. Una distinzione preliminare. 3. Delimitazione del campo di indagine. 4. La nuova concezione del conflitto collettivo. 5. Il rischio della «mortificazione giudiziale dell’autonomia collettiva». 6. Le clausole di tregua come strumento di governo del conflitto. 7. Le procedure di risoluzione delle controversie. 8. Le previsioni contenute nei ccnl dopo l’A.Q. del 2009. 9. Il Protocollo del 31 maggio 2013. 10. Considerazioni conclusive. 1. In questi ultimi dieci anni, il nostro sistema di relazioni industriali ha vissuto una nuova stagione, caratterizzata dalla “rottura” dell’unità sindacale con la sottoscrizione di accordi separati e dalla sua ricomposizione mediante la sottoscrizione dell’Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011 e del successivo Protocollo di intesa del 31 maggio 2013 sulla rappresentatività. Le ragioni che hanno portato al superamento delle regole contenute nel Protocollo del 1993 sono molteplici, così come le novità (e i problemi) che, a partire dall’accordo quadro separato del 2009, sono state introdotte nell’ordinamento intersindacale. Non è possibile, ovviamente, analizzare in modo approfondito tali aspetti ed in particolare l’influenza esercitata in materia dalla vicenda Fiat1. Non c’è dubbio che lo shock di Pomigliano ha indotto le organizzazioni sindacali a ritrovare una unità d’azione su nuovi principi e regole, che dimostrano un profondo mutamento di prospettiva nei confronti del conflitto collettivo. La riflessione che si intende compiere in questa sede muove le proprie premesse dalla considerazione che la definizione di regole condivise, motivata da varie ragioni 1 Essa, in particolare, ha riproposto con forza il problema dell’esigibilità degli accordi aziendali che, nel sistema giuridico privatistico, non può essere garantita in caso di dissenso di una delle organizzazioni sindacali. Si rinvia, comunque, a V. Bavaro, Rappresentanza dei lavoratori e contrattazione collettiva oggi, in www.dirittisocialiecittadinanza.org, febbraio 2011. Tra gli esiti della vicenda Fiat si ricorda la nota sentenza del 23 luglio 2013, che ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell’art. 19 st. lav. nella parte in cui esclude la possibilità di costituire una r.s.a. ai sindacati che abbiano partecipato alle trattative per la conclusione di contratto collettivo, ma che non li abbiano sottoscritti. 1 connesse al momento storico che stiamo attraversando2, non garantisce, di per sé, la “tenuta” del sistema che le parti intendono costruire3. Di questo ne sono consapevoli gli stessi soggetti collettivi, che hanno espressamente previsto clausole di tregua sindacale e procedure di composizione delle controversie che dovessero sorgere a causa della violazione di quanto pattuito. Le parti firmatarie, dunque, hanno sentito l’esigenza di prevedere un apparato rimediale che, al fine di rendere vincolanti gli accordi sottoscritti, impegna a prevenire il conflitto collettivo mediante l’assunzione di un obbligo di astensione da azioni unilaterali e di governarlo attraverso procedure compositive interne all’ordinamento intersindacale. Per le ragioni che saranno illustrate, questa scelta, è sicuramente importante. La riflessione che si impone è se, dal punto di vista giuridico, gli strumenti di governo e di composizione del conflitto che verranno introdotti dall’autonomia collettiva possono essere ritenuti idonei a garantire il rispetto delle regole intersindacali, così come volute dalle parti. La storia delle nostre relazioni industriali, infatti, dimostra che il funzionamento delle clausole e delle procedure prefigurate dalle associazioni sindacali è sempre subordinato alla effettiva volontà dei soggetti collettivi di rispettare il loro contenuto. Ecco perché, probabilmente, in assenza di una legge sul contratto collettivo nel settore privato, gli ambiziosi obiettivi delle organizzazioni sindacali potrebbero essere compromessi. In considerazione degli interessi in gioco, é quindi auspicabile una normativa che valorizzi e sostenga le procedure di governo e di composizione delle controversie che dovessero sorgere tra soggetti collettivi. Del resto, il nostro ordinamento ha già sperimentato, nel settore dei servizi pubblici essenziali, l’intervento regolativo della legge. Ed, infatti, le organizzazioni sindacali, con il Protocollo del 2013, sembrano ispirarsi proprio a quel modello, che, tuttavia, caratterizza un particolare settore produttivo del tutto differente da quello del settore 2 Cfr. P. Alleva, Ragioni politico-giuridiche del superamento del sistema contrattuale di fatto, in R.G.L., 2011, p. 727 ss. ed, in particolare, p. 736. 3 Lo rileva, tra gli altri, L. Bellardi, L’attuazione dell’accordo quadro: pluralità dei sistemi contrattuali ed eterogenesi dei fini, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 2010, p. 393 e, con altre parole, F. Carinci, Una dichiarazione d’intenti: l’Accordo quadro 22 gennaio 2009 sulla riforma degli assetti contrattuali, WP C.S.D.L.E. «Massimo D’Antona» - IT – 86/2009, p. 11. 2 privato ed è funzionale al perseguimento di obiettivi differenti da quelli posti dalle organizzazioni sindacali in tale ambito4. 2. A questo punto, è necessaria una precisazione preliminare. L’oggetto delle riflessioni contenute in questo intervento è rappresentato dalle clausole contenute negli accordi interconfederali finalizzate ad introdurre meccanismi di governo e di composizione del conflitto e previsioni circa le modalità di risoluzione delle controversie che dovessero sorgere sull’interpretazione e l’applicazione delle regole che disciplinano i rapporti tra i soggetti collettivi. Dal punto di vista funzionale, le clausole in esame devono essere tenute concettualmente distinte. Le prime si propongono di evitare che il conflitto possa condurre ad una contrapposizione che impedisce il regolare svolgimento delle trattative; le seconde, per utilizzare una categoria tradizionale, attengono alle controversie giuridiche5 che hanno per oggetto la violazione di determinati diritti che le organizzazioni collettive possano vantare in virtù della parte obbligatoria del contratto collettivo6. Ciò consente di non affrontare l’ulteriore problematica, da sempre indagata da parte della dottrina7, relativa al potere conciliativo dei sindacati in ordine alle 4 Il tema verrà affrontato, seppur succintamente, al successivo § 9. Sulla distinzione tra conflitti su diritti, che danno adito a controversie giuridiche, e conflitti su interessi, che danno luogo a controversie economiche, si rinvia a L. Corazza, Il nuovo conflitto collettivo. Clausole di tregua, conciliazione ed arbitrato nel declino dello sciopero, 2012, Milano, Franco Angeli, pp. 37-38, anche per i riferimenti bibliografici lì contenuti. 6 In tema, cfr. G. Ghezzi, La responsabilità contrattuale delle associazioni sindacali, Milano, Giuffré, 1963; G. Giugni, La funzione giuridica del contratto collettivo, Relazione tenuta al III Convegno nazionale di diritto del lavoro sul tema «Il contratto collettivo di lavoro», Pescara-Teramo, 14 giugno 1967, ora in Id., Lavoro legge contratto, Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 151 ss.; M. Persiani, Saggio sull’autonomia privata collettiva, Padova, Cedam, 1972; R. Bortone, Il contratto collettivo tra funzione normativa e funzione obbligatoria, Bari, Cacucci, 1992; P. Tosi, Contratto collettivo e autonomia sindacale. Nuova edizione riveduta ed aggiornata, Utet, Torino, 2003. 7 G. Giugni, La conciliazione collettiva dei conflitti giuridici di lavoro, in Il diritto dell’economia, 1959, pp. 832 ss. ora in Id., Lavoro legge contratti, 1989, Bologna, Il Mulino, p. 45 ss.; M. Grandi, L’arbitrato irrituale nel diritto del lavoro, Milano, Giuffré, 1963; Id., La composizione stragiudiziale delle controversie di lavoro nel diritto italiano, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 2000, pp. 367 ss.; V. Leccese, Autonomia collettiva e composizione dei conflitti, in Dir. Rel. Ind., 1994, p. 149 ss. 5 3 controversie giuridiche che attengono ai rapporti di lavoro, ma che, per la loro dimensione e rilevanza, investono anche l’interesse collettivo8. 3. L’indagine, quindi, si concentrerà sulle disposizioni collettive che riguardano l’amministrazione del contratto collettivo9 ed il loro nesso con le clausole di tregua sindacale. Queste tematiche non sono affatto nuove10. Rispetto al passato, tuttavia, l’attuale sistema di relazioni industriali affida a queste tecniche uno spazio di operatività maggiore, dal momento che esse, insieme a strumenti di regolazione del conflitto più tradizionali, hanno il compito di contribuire all’effettivo funzionamento della contrattazione collettiva11. Non a caso, le parti hanno dichiarato “l’esigenza di avere un sistema di relazioni sindacali e contrattuali regolato e quindi in grado di dare certezze riguardo ai soggetti, ai tempi ed ai contenuti della contrattazione collettiva attraverso l’attuazione ed il rispetto delle regole”12. Per raggiungere questo obiettivo, le parti hanno pattuito specifiche clausole di pace sindacale ed hanno deciso di introdurre procedure di composizione del conflitto in sede conciliativa od 8 I due piani, in realtà, tendono sovente a confondersi tra di loro (cfr. P. Lambertucci, Le procedure di raffreddamento del conflitto collettivo con particolare riferimento alla disciplina contenuta nel Protocollo del 23 luglio 1993, in R.G.L., 1997, p. 383, che auspicava uno “specifico intervento legislativo sulla disciplina della conciliazione e dell’arbitrato in materia obbligatoria”. 9 Cfr. G. Giugni, Introduzione allo studio dell’autonomia collettiva, Milano, Giuffré, 1960; L. Nogler, L’amministrazione del contratto collettivo, in Zoli C., a cura di, Le fonti. Il diritto sindacale. Tomo I Torino, Utet, 2003, p. 474 definisce l’amministrazione del contratto collettivo “quel complesso di attività, che si svolgono successivamente alla fase di conclusione del contratto collettivo, che consistono nella interpretazione dell’accordo collettivo nonché nella composizione delle liti che scaturiscono dall’accordo collettivo stesso”. Cr. P. Lambertucci, Contrattazione collettiva, in Diritto del lavoro. Dizionari del diritto privato promossi da Nicolino Irti, a cura di, P. Lambertucci, Milano, Giuffré, 2010, pp. 111-112. 10 Vedi la ricostruzione offerta, tra gli altri, da C. Zoli, Gli obblighi a trattare nel sistema dei rapporti collettivi, Padova, Cedam, 1992, pp. 185- 187 e 315-316. 11 Come è stato osservato da M. Napoli, La riforma degli assetti contrattuali nelle intese tre le parti sociali, in Lavoro diritti valori, Torino, Giappichelli, 2010, p. 143, “si può dire che si passa da un sistema delle regole al governo del sistema”, che rappresenta “una prospettiva che va al di là dell’amministrazione del singolo contratto collettivo”. 12 Accordo interconfederale del 15 aprile 2009. Nell’accordo successivo, del 28 giugno 2011, si legge, analogamente, che “è essenziale un sistema di relazioni sindacali e contrattuali regolato e quindi in grado di dare certezze non solo riguardo ai soggetti, ai livelli, a tempi e ai contenuti della contrattazione collettiva, ma anche sull’affidabilità ed il rispetto delle regole stabilite”. Tali previsioni aumentano il grado di istituzionalizzane della struttura sindacale, nell’accezione utilizzata da G. P. Cella, T. Treu, Relazioni industriali e contrattazione collettiva, Bologna, Il Mulino, 2009, p. 28. 4 arbitrale. In tal modo le organizzazioni collettive si sono volute dotare di uno “strumento di chiusura del sistema”13, in quanto le clausole richiamate tendono ad “assicurare l’effettiva applicazione del nuovo sistema contrattuale”14. 4. L’esperienza sindacale italiana, invero, conosce da sempre clausole di questo tipo, così come ha tentato, in alcuni settori, di “procedimentalizzare” il conflitto. Rispetto al passato, tuttavia, le previsioni contenute negli ultimi accordi dimostrano un mutato atteggiamento rispetto al ricorso all’azione diretta. Lo sciopero, infatti, se percepito come fisiologico in determinati momenti delle relazioni industriali, viene oggi visto dalle stesse organizzazioni sindacali come uno strumento da evitare una volta stabilito il contenuto dell’accordo15. I sindacati, da questo punto di vista, hanno fatto proprie le esigenze di competitività delle imprese, consapevoli che nell’attuale contesto economico l’astensione collettiva dei lavoratori può determinare danni superiori rispetto al passato16. Infatti, in un mercato aperto, di dimensioni internazionali, opera una elevata quantità di soggetti capaci di produrre lo stesso bene o servizio che determina una sostanziale fungibilità dei produttori. La possibilità, quindi, di rivolgersi ad un ampia platea di imprese attribuisce ai committenti un maggior potere sulla determinazione dei prezzi dei beni o dei servizi richiesti e consente inoltre di esigere il corretto adempimento delle obbligazioni assunte dalle imprese fornitrici, con riferimento sia alle scadenze nella consegna sia alla qualità del prodotto promesso. Le stesse ragioni appena richiamate, inoltre, incidono necessariamente sulla stessa organizzazione del lavoro, che, funzionale ad una produzione just in time che deve 13 D. Pace, Gli strumenti di conciliazione e arbitrato delle controversie collettive, Quaderno di Federmeccanica n. 3 del 2009, p. 45. 14 L. Corazza, Il nuovo conflitto collettivo. Clausole di tregua, conciliazione ed arbitrato nel declino dello sciopero, 2012, Milano, Franco Angeli, p. 47. 15 Di questa opinione sembra essere E. M. Mastinu, La regolamentazione contrattuale del conflitto sindacale, in R.G.L., 2013, 2, p. 381. 16 Soprattutto in un periodo di recessione economica come quello che si sta attraversando. Non si concorda, dunque, con quanto sostenuto da R. Bortone, Aspetti problematici del diritto di sciopero in Italia, Relazione tenuta l’11 giugno 2012 a Belo Horizonte in occasione del I Congresso Internacional de Direito e Processo do Tabalho, dattiloscritto. 5 rispettare tempi di produzione imposti dai committenti, non permette di sospendere il processo produttivo, se non in periodi programmati o nei casi di mancanza di commesse. Sembra, dunque, che nella concreta dinamica delle relazioni sindacali, le confederazioni maggiormente rappresentative hanno voluto individuare un “bilanciamento” della libertà di sciopero con le libertà economiche17 e di attribuire alle ragioni dell’impresa un valore inedito rispetto alla tradizione sindacale italiana18. Peraltro, il tentativo di conciliare il diritto di autotutela collettiva con le libertà economiche caratterizza la stessa azione dell’Unione Europea19. Lo strumento principale per perseguire tale risultato, chiaramente “in situazioni transnazionali o a carattere stransnazionale”, è stato individuato nel ricorso a soluzioni extragiudiziali del conflitto regolamentate dalla stesse parti sociali europee20. 5. La scelta compiuta dalle organizzazioni sindacali, dunque, è opportuna per molte ragioni e contribuisce certamente a colmare una lacuna del precedente assetto delle relazioni industriali21. In linea generale, affidare ai soggetti stipulanti l’esito interpretativo ed applicativo delle clausole da essi formulate risponde all’esigenza di rendere le disposizioni 17 Il richiamo alle esigenze di competitività e di produttività contenuto in tutti gli accordi è un indicatore di tale volontà. 18 F. De Falco, Diritto di sciopero e interesse dell’impresa, Napoli, Jovene editore, 2003, pp. 67 ss. osserva come la dottrina abbia avviato una riflessione finalizzata alla “rivalutazione del valore-impresa e tutela della produttività aziendale” attraverso una riappropriazione di un interesse alla salvaguardia del dato organizzativo giuridicamente rilevante in caso di sciopero. Sulle origini di questa dottrina cfr. V. Bavaro, L’aziendalizzazione nell’ordine giuridico-politico del lavoro, in Lav. Dir., 2013, p. 223. 19 Cfr. la «Proposta di regolamento del Consiglio sull’esercizio del diritto di promuovere azioni collettive nel quadro della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi – COM (2012) 130 def.». Per inciso, non è detto che la proposta possa risolvere i numerosi problemi aperti dalla Corte di Giustizia nei casi Viking e Laval, su cui si è sviluppato un ampio ed articolato dibattito che non è possibile analizzare compiutamente. Si rinvia, comunque, a G. Orlandini, La proposta di regolamento Monti II ed il diritto di sciopero nell’Europa post-Lisbona, dattiloscritto. Più in generale cfr. U. Carabelli, Europa dei mercati e conflitto sociale, Bari, Cacucci, 2009. 20 Come ricorda L. Corazza, Il nuovo conflitto collettivo … op. cit., p. 144 e S. Sciarra, Un confronto a distanza: il diritto di sciopero nell’ordinamento globale, in Politica del Diritto, 2012, pp. 225-226. 21 Segnalata anche dalle conclusioni nel rapporto del 23 dicembre 1997 di chiusura dei lavori della Commissione per la verifica del Protocollo del 23 luglio 1993. Lo stesso G. Giugni, La lunga marcia della concertazione, Bologna, Il Mulino, 2003, p. 88, ricorda come tra i punti qualificanti del rapporto “erano la chiara individuazione delle conseguenze derivanti dal mancato rispetto delle clausole relative agli assetti contrattuali e la definizione di una disciplina dei rapporti di regolazione”. 6 contrattuali più facilmente adattabili ad una realtà in continua evoluzione. In sostanza, la definizione delle controversie sulla interpretazione e l’applicazione dei contratti collettivi contribuisce a rafforzare la democrazia industriale, mediante la realizzazione di “un sistema che si autogoverna, che si adatta, che si rivela democratico non solo nella costruzione delle norme, ma anche nella loro applicazione”22. L’introduzione di strumenti di conciliazione ed arbitrato risponde anche alla opportunità di sottrarre questo tipo di controversie alla giurisdizione statuale; non tanto per i limiti del nostro sistema processuale23, che non consentirebbero una rapida definizione di tale tipo di controversie24, ma per un’altra ragione. La concezione privatistica dei contratti collettivi, infatti, rischia di indurre la giurisprudenza ad interpretazioni che possono condurre ad esiti contrastanti con la volontà di tutte le organizzazioni sindacali, anche se contrapposte in un eventuale giudizio. Ne è un esempio una recente sentenza del Tribunale di Roma. Il giudice civile, in quest’occasione, è stato chiamato a pronunciarsi sulla domanda proposta dalla Fiom che aveva lamentato la violazione dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 da parte delle altre organizzazioni sindacali, che l’avevano esclusa dalla fase di trattativa per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di categoria. Il Giudice ha rigettato la domanda proposta per una serie di motivazioni che non è possibile analizzare singolarmente25. La decisione in esame, che si fonda su argomenti 22 T. Treu, Intervento al Convegno tenuto il 22 settembre 2009 in occasione del Premio Roberto Biglieri su “Gli strumenti di conciliazione e arbitrato delle controversie collettive”. 23 L. Corazza, Il nuovo conflitto collettivo … op. cit., p. 141; G. Vardaro, Contrattazione collettiva e sistema giuridico, Napoli, Jovene Editore, 1984, p. 36. 24 La lite, infatti, potrebbe essere celermente definita perché trattabile con il rito sommario di cognizione di cui all’art. 702-bis c.p.c. 25 Il Tribunale di Roma, con la pronuncia del 13 maggio 2013, ha sostenuto che “si può invero affermare al riguardo che gli Accordi Interconfederali, sicuramente impegnativi per i sottoscrittori, contengono l’indicazione degli indirizzi politici e comportamentali nell’ambito dell’ordinamento sindacale, rivolti alle parti stipulanti i futuri contratti collettivi nazionali ed aziendali, ma, proprio per la natura privatistica dell’ambito in cui operano e stante la ricordata autonomia contrattuale equiordinata e paritetica, non assumono alcun rilievo pubblicistico, né assurgono a parametri di invalidità e/o di efficacia dei contratti collettivi o aziendali (ugualmente contratti di diritto privato) poi stipulati. Dunque, l’eventuale violazione delle regole, contenute negli Accordi Interconfederali, da parte delle associazioni di categoria, può comportare conseguenze a livello endoassociativo, se ed in quanto previsto dei singoli 7 discutibili26, dimostra, comunque, come l’utilizzazione degli schemi civilistici nell’interpretazione delle norme che presiedono l’attività contrattuale dei soggetti collettivi può determinare una “mortificazione giudiziale dell’autonomia collettiva”27. Si tratta, quindi, di verificare se le previsioni contenute negli accordi interconfederali possano evitare questo rischio ed, in particolare, se esse possono essere ritenute sufficienti per garantire un apparato rimediale capace di “far rispettare i patti”. 6. Nell’accordo del 15 aprile 2009 è stato introdotto l’obbligo di astenersi da azioni dirette durante il periodo delle trattative per il rinnovo del contratto collettivo e la sua violazione attribuisce all’altra parte “il diritto di chiedere la revoca o la sospensione dell’azione messa in atto”. La tecnica rimediale utilizzata dalle parti é di tipo inibitorio28 e non prevede alcuna sanzione espressa nel caso della violazione della clausola di tregua. Si tratta, allora, di verificare quali sono le strade percorribili per rendere esigile l’impegno di statuti, ma sicuramente va esclusa una qualche conseguenza a livello civilistico sull’efficacia o validità della contrattazione di livello inferiore”. Secondo V. Speziale, Il nuovo assetto della contrattazione collettiva dopo il Protocollo di intesa del 31 maggio 2013, p. 2, in www.ildiariodellavoro.org, “questa sentenza dimostra che mancano regole normative certe in materia e come l’applicazione delle intese generali stipulate dalle Confederazioni sindacali si fondi soprattutto sul consenso politico delle organizzazioni”. La sentenza conferma, comunque, “l’estraneità del diritto giudiziario alla logica complessiva della contrattazione e specialmente alla valutazione dei rapporti che discendono dalla «parete obbligatoria» del contratto collettivo: i quali si dovrebbero considerare, a stretto rigore, «inconoscibili» della giustizia statuale” (P. Tosi, Contratto collettivo … op. cit., p. 47). G. Vardaro, Contrattazione collettiva … op. cit., p. 37, già ammoniva che “il giudice dello stato non è, insomma, in grado, così come esso è, di realizzare nei confronti del contratto collettivo quella funzione di pacificazione sociale, attraverso il diritto, che svolge nei confronti delle altre tipologie contrattuali”. 26 In base ai vincoli statutari tra federazioni di categorie e confederazioni, infatti, la decisione del giudice avrebbe potuto essere senz’altro differente, come osserva V. Speziale, Il nuovo assetto della contrattazione collettiva … op. cit., p. 2, in www.ildiariodelavoro.org. 27 G. Giugni, La conciliazione collettiva dei conflitti giuridici di lavoro, in Il diritto dell’economia, 1959, pp. 832 ss. ora in Id., Lavoro legge contratti, 1989, Bologna, Il Mulino, p. 46. Sul tema del mutuo riconoscimento degli ordinamenti, statuale e sindacale, la bibliografia sull’argomento è naturalmente amplissima. Cfr., almeno, G. Giugni, Introduzione allo studio dell’autonomia collettiva, Milano, Giuffré, 1960; A. Cessari, L’interpretazione dei contratti collettivi, Milano, Giuffré, 1963, G. Vardaro, Contrattazione collettiva … op. cit. 28 A. Federici, La responsabilità contrattuale del sindacato nel nuovo sistema di relazioni industriali, intervento al convegno “I giovani giuslavoristi e gli studi di diritto del lavoro”, Bari, 11-12 novembre 2011. Sulla nozione di azione inibitoria, cfr. A. Frignani, voce Inibitoria (azione), In Enciclopedia del diritto, Milano, Giuffré, 1971, pp. 559 ss. 8 astenersi da azioni dirette. La prima è quella ordinaria di carattere risarcitorio che, tuttavia, non può svolgere alcuna funzione preventiva, se non quella, invero molto debole, di deterrenza. L’altra azione, per rendere “giustiziabile” la violazione dell’obbligazione di “non fare” prevista dall’accordo, esperibile prima che l’azione collettiva sia messa concretamente in atto ovvero prima che essa termini, è rappresentata dalla richiesta al giudice di ordinare la cessazione immediata dell’attività illecita ovvero di sospenderla fino al termine previsto per lo svolgimento delle trattative di rinnovo. In questo caso, la parte potrà richiedere, ai sensi dell’art. 614-bis c.p.c., una penale per il ritardo nell’esecuzione del provvedimento ovvero per ogni violazione od inosservanza successiva29. Non c’è dubbio che la clausola in esame potrebbe avere una maggior forza dissuasiva se la sua violazione potesse legittimare l’applicazione di sanzioni disciplinari ai lavoratori. In questo caso, la clausola di tregua sindacale avrebbe una efficacia di tipo normativo, al pari delle altre disposizioni collettive che concorrono a regolamentare i rapporti individuali di lavoro30. Ciò significherebbe, quindi, ammettere che i soggetti sindacali possano disporre di un diritto, quello di sciopero, la cui titolarità è ritenuta, dalla maggior parte della dottrina, individuale31. Senza poter entrare nel merito di questo aspetto, che da sempre è al centro della discussione lavoristica, è opportuno precisare che il problema della titolarità, individuale o collettiva, del diritto e l’eventuale previsione di clausole collettive che ne condizionino l’esercizio, attiene logicamente ad un piano differente da quello della 29 Per una recente ricostruzione generale in tema si rinvia a G. Cannati, Bisogni, rimedi e tecniche di tutela del prestatore di lavoro, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 2012, p. 129 ss. 30 Tesi sostenuta da L. Corazza, Il nuovo conflitto collettivo … op. cit., pp. 105 e segg. e, con argomenti differenti, anche da F. Corso, Contratto collettivo e organizzazione del sistema sindacale, Napoli, Jovene editore, 2003, che esclude l’esistenza di un dovere implicito di esecuzione e di influenza scaturenti dal contratto collettivo (pp. 111-123) e ravvisa la possibilità, a determinate condizioni, di attribuire alle clausole di tregua un’efficacia normativa (pp. 139-143). In senso contrario, però, cfr. E. M. Mastinu, La regolamentazione contrattuale … op. cit., pp. 383-387. 31 Tesi non condivisa da G. Pino, Conflitto e autonomia collettiva. Contributo allo studio della regolamentazione contrattuale del diritto di sciopero, Giappichelli, Torino, 2005; A. Zoppoli, La titolarità sindacale del diritto di sciopero, Jovene, Napoli, 2006. Sulle posizioni di queste autori, cfr. R. Romei, Esiste davvero la titolarità collettiva del diritto di sciopero?, WP C.S.D.L.E. «Massimo D’Antona». IT-75/2008. 9 qualificazione giuridica delle clausole di tregua. In sostanza, l’efficacia normativa delle clausole di tregua non può essere negata a priori in ragione dell’affermata titolarità individuale del diritto di sciopero. Del resto, dal momento che l’esercizio del diritto è necessariamente collettivo, non si può escludere la possibilità che, mediante l’adesione al sindacato, il lavoratore possa conferire alla propria organizzazione il potere di concordare sia determinate modalità con cui dovrà avvenire l’astensione collettiva ovvero anche di pattuire un obbligo di astensione dall’azione diretta in determinati periodi. Il problema, poi, dell’eventuale validità di tali previsioni, se esse, cioè, si pongano in contrasto con norme imperative di legge o di principi costituzionali va affrontato in momento successivo. In sostanza, il giudizio di liceità o meno di un negozio non può condizionare l’attività interpretativa finalizzata alla sua corretta qualificazione giuridica. Per valutare, quindi, se le clausole di tregua introdotte nell’Accordo Interconfederale hanno efficacia normativa o meramente obbligatoria è necessario indagare qual é stata la volontà delle organizzazioni collettive. Da questo punto di vista, è possibile affermare che, almeno con riferimento all’accordo del 28 giugno 2011, sono gli stessi soggetti collettivi che hanno, per così dire, messo fine al dibattito riapertosi dopo gli accordi Fiat32. Essi, infatti, con estrema chiarezza, hanno sentito l’esigenza di specificare che eventuali clausole di tregua previste dai contratti aziendali, peraltro dotati di efficacia generalizzata, “hanno effetto vincolante esclusivamente per tutte le rappresentanze sindacali dei lavoratori ed Associazioni sindacali firmatarie del presente accordo interconfederale operanti all’interno dell’azienda e non per i singoli lavoratori”33. In pratica, sono proprio i soggetti collettivi che hanno voluto attribuire alle clausole di tregua un’efficacia 32 Per una ricostruzione del dibattito cfr. R. De Luca Tamajo, Accordo di Pomigliano e criticità del sistema di relazioni industriali italiane, in Riv. It. Dir. Lav., I, 2010, pp. 797 ss.; P. Chieco, Accordi FIAT, clausola di pace sindacale e limiti al diritto di sciopero, WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona” . IT – 117/2011; L. Nogler, Ripensare il diritto di sciopero?, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 2012, pp. 315 ss.; R. Romei, Ripensare il diritto di sciopero?, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 2012, pp. 331 ss.; L. Corazza, Il nuovo conflitto collettivo … op. cit. 33 Cfr. G. Santoro Passarelli, La responsabilità delle organizzazioni sindacali, in A.D.L., 2013, pp. 20 ss. 10 esclusivamente obbligatoria. Essi, quindi, hanno pattuito un obbligo di pace esplicito34, rafforzato dall’ulteriore obbligo di attivare procedure compositive dell’eventuale conflitto. L’effettivo rispetto di questa clausola é rimesso al dovere di influenza che le associazioni si sono assunte. Tuttavia, questa situazione non implica che l’obbligo per i sindacati di astenersi dal favorire o promuovere, dal favorire o promuovere azioni dirette costituisce una mera clausola di stile. Seppur deboli, le tecniche di tutela sopra richiamate, infatti, possono contribuire a garantire quell’esigibilità degli impegni assunti, che rappresenta l’obiettivo principale che si sono posti i soggetti collettivi. Non è molto, ma non è neanche poco. D'altra parte, anche le clausole di tregua con efficacia obbligatoria potrebbero svolgere una funzione importante a livello aziendale. S'immagini, ad esempio, il caso di un'impresa che applichi un C.C.N.L. contenente un obbligo di pace esplicito. Uno sciopero organizzato dai sindacati aziendali vincolati al rispetto del contratto nazionale e che violi la clausola consentirebbe al datore di lavoro di agire con un'azione di risarcimento danni nei confronti delle associazioni sindacali. Si tratterebbe, infatti, di un inadempimento contrattuale che ha determinato pregiudizi di facile individuazione35. 7. In realtà, almeno negli accordi del 2009, emerge la preoccupazione di dotare il sistema intersindacale di procedure che possano prevenire il conflitto che dovesse sorgere con riferimento alle regole stabilite per il secondo livello di contrattazione 36. Le parti, infatti, non hanno previsto procedure conciliative od arbitrali per la risoluzione di una controversia che dovesse sorgere in materia di rinnovo contrattuale al livello nazionale. L’ambito di applicazione degli strumenti di conciliazione di arbitrato, da introdurre in base all’A.Q. del gennaio 2009, è infatti individuabile alla 34 In questo senso, F. Carinci, L’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011: armistizio o pace?, WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”. IT – 125/2011, p. 21e P. Tosi, Gli assetti contrattuali fra tradizione e innovazione, in A.D.L., 2013, p. 543. 35 Essi, infatti, sarebbero coincidenti con le quantità di produzioni perse calcolate ai prezzi di mercato. 36 A conferma di quanto ha osservato L. Bellardi, L’attuazione dell’accordo quadro … op. cit., pp. 388 e 393. 11 luce del successivo Accordo di attuazione del 15 aprile 2009 ed è limitato ad “eventuali controversie che dovessero insorgere nella applicazione delle clausole tutte così come definite nel presente punto 3”. In sostanza, le controversie che potranno essere decise in sede conciliativa od arbitrale sono quelle che dovessero sorgere con riferimento alle disposizioni contrattuali che disciplinano il secondo livello di contrattazione, compreso il livello aziendale37. Tra queste anche il caso in cui vi sia stata la violazione dell’obbligo di non assumere iniziative unilaterali, né di procedere ad azioni dirette “durante i due mesi successivi alla data di presentazione delle proposte di rinnovo per il mese successivo la scadenza dell’accordo”. In queste ipotesi, l’accordo, inoltre, adotta un modello specifico di composizione delle controversie collettive. C’è una prima fase conciliativa, che dovrà essere disciplinata tra le organizzazioni di rappresentanza, prima in sede territoriale e poi a livello nazionale; in caso di insuccesso della conciliazione, le parti sono tenute ad adire un collegio arbitrale, “secondo modalità e procedure stabilite nel contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria o con specifico accordo interconfederale”. Le parti, inoltre, hanno espressamente previsto che il collegio arbitrale, qualora dovesse assumere provvedimenti, dovrà fare riferimento alle “norme di legge vigenti in materia di responsabilità riguardanti esclusivamente i comportamenti posti in essere da organizzazioni di rappresentanza”. A parte la poca chiarezza del significato del rinvio per l’individuazione dei provvedimenti che potrà assumere il collegio arbitrale, la procedura descritta non è certamente idonea a prevenire il conflitto. La conciliazione, così come l’arbitrato, si pongono necessariamente in un momento successivo all’apertura del conflitto. Per ovvie ragioni, inoltre, sembra 37 Ad esempio, potrebbe sorgere una controversia tra le parti sull’interpretazione ovvero sull’applicazione dei criteri adottati per collegare gli aumenti salariali al raggiungimento degli obiettivi concordati per l’aumento della competitività delle imprese di un settore produttivo; potrebbero esservi contestazioni sull’esatta determinazione delle materie delegate alla contrattazione di secondo livello; potrebbe, inoltre, essere oggetto di interpretazioni contrastanti l’applicazione degli indicatori assunti a livello territoriale per la misurazione e la valutazione economica della produttività e degli altri elementi di competitività del settore, ai fini della contrattazione dell’ammontare del premio variabile; allo stesso modo, potranno sorgere controversie durante la fase di rinnovo dell’accordo di secondo livello, qualora non siano rispettati i tempi previsti dalla clausola 3. 5. 12 difficile immaginare che chi ha promosso uno sciopero od altro tipo di azione possa poi sottoporsi al giudizio di un organo terzo, come un collegio arbitrale. 8. L’esperienza immediatamente successiva alla sottoscrizione degli accordi interconfederali del 2009, tuttavia, dimostra che i settori produttivi in cui le organizzazioni sindacali hanno predisposto un apparato rimediale per garantire l’esigibilità dei accordi assunti sono pochi. In quasi tutti, invece, compaiono procedure conciliative per la risoluzione di controversie giuridiche, plurime o collettive, che attengono alla regolamentazione dei rapporti di lavoro. Le previsioni dei contratti collettivi, da questo punto di vista, si pongono in linea di continuità con la tradizione sindacale italiana dalla quale emerge una “fenomenologia polimorfa delle tecniche di prevenzione e composizione del conflitto che, attraverso l’analisi della loro struttura, difficilmente possono essere ricondotte ad unità”38. Ad esempio, alcuni testi prevedono, laconicamente, che le controversie sull’interpretazione e l’applicazione del contratto dovranno essere sottoposte alle organizzazioni sindacali stipulanti per il tentativo di conciliazione39, nazionali o territoriali a seconda del livello del conflitto40. In alcuni settori, è prevista la necessità di procedere ad un esame congiunto per tentare la conciliazione della lite41. Altri accordi42, invece, distinguono le controversie interpretative da quelle collettive-applicative; le prime devono essere definite dalle associazioni nazionali, mentre le seconde da quelle territoriali, in un termine di quindici giorni entro cui “non si darà corso ad azioni sindacali”. Altri contratti collettivi, invece, prevedono 38 V. Bavaro, Le procedure di raffreddamento e conciliazione nei servizi pubblici essenziali, in M. Ricci. a cura di, Sciopero e servizi pubblici essenziali, Torino, Giappichelli, 2001, p. 123 ss.. Cfr. anche L. Bellardi, Le procedure di composizione dei conflitti nella recente esperienza contrattuale italiana e nella riforma della l. 146/1990, in M. D’Onghia – M. Ricci, a cura di, Lo sciopero nei servizi pubblici essenziali, Milano, Giuffré, 2005. 39 C.C.N.L. degli agenti e rappresentanti di commercio del 10 marzo 2010; C.C.N.L. agricolturacooperative del 3 agosto 2010. 40 C.C.N.L. del settore delle calzature, aziende industriali, del 14 giugno 2010. 41 C.C.N.L. cemento-aziende industriali del 20 marzo 2013. 42 C.C.N.L. del settore abbigliamento-confezioni del 9 luglio 2010; nell’C.C.N.L. del settore tessileaziende industriali del 2 settembre 2010. 13 procedure molto più complesse43, con l’istituzione di commissioni paritetiche nazionali che hanno il compito di tentare la conciliazione quando sia insorta una controversia tra i soggetti collettivi44. Le previsioni contenute nel ccnl, in sostanza, non corrispondono né al modello procedimentale prefigurato dagli accordi interconfederali (procedure di conciliazione ed arbitrato), né prevedono un sistema sanzionatorio in grado di rendere effettivi gli impegni contrattuali assunti. 9. Ciò probabilmente spiega il cambio di rotta impresso con il Protocollo sulla rappresentanza del 31 maggio 201345. Anche questo accordo opera un collegamento tra l’obbligo di tregua e procedure sindacali di risoluzione delle controversie e prevede che i contratti collettivi “dovranno definire clausole e/o procedure di raffreddamento finalizzate a garantire, per tutte le parti, l’esigibilità degli impegni assunti e le conseguenze di eventuali inadempimenti” …. oltre a “concordare modalità di definizione di eventuali controversie” che dovessero sorgere in relazione all’applicazione concreta dei principi stabiliti dall’accordo. Il Protocollo, intanto, prevede che sia oggi un obbligo quello che prima costituiva una facoltà. Esso, inoltre, estende le controversie che possono essere decise secondo tali procedure a tutti gli obblighi assunti dalle organizzazioni sindacali e, dunque, anche quelli che non riguardano le regole sui livelli contrattuali. In terzo luogo, le procedure che saranno individuate dai contratti di categoria riguardano tutte le parti che, in ragione della loro adesione al sistema delineato dal Protocollo, sono tenute ad applicare il contratto collettivo, a prescindere dalla loro sottoscrizione. Il modello a cui le parti sociali hanno fatto riferimento, infine, sembra essere quello adottato dalla legge sull’esercizio di sciopero nei servizi pubblici essenziali. 43 C.C.N.L. chimica-aziende industriali del 22 settembre 2012. C.C.N.L. per i collaboratori familiari e confermata nel rinnovo del 21 maggio 2013; C.C.N.L. del settore alimentare-aziende industriali del 27 ottobre 2012; C.C.N.L. del settore turismo-Confesercenti del 4 marzo 2010. 45 Su cui v.di i commenti di A. Maresca, Il contratto collettivo nazionale di categoria dopo il Protocollo d’intesa 31 maggio 2013, in Riv. It. Dir. Lav., 2013, pp. 707 ss. e di A. Viscomi, Prime note sul Protocollo 31 maggio 2013, in Riv. It. Dir. Lav., 2013, pp. 749 ss. 44 14 Sebbene si dovranno attendere le scelte che saranno compiute dalla contrattazione di categoria, si può dubitare che il sistema predisposto dalla legge n. 146 del 1990 sia quello auspicabile46. Nell’ambito dei servizi pubblici essenziali, infatti, la legge è intervenuta non tanto in funzione preventiva del conflitto, quanto per incidere sulle concrete modalità di esercizio del diritto di sciopero, al fine di tutelare diritti di pari rilevanza costituzionale47. Ciò ha giustificato l’introduzione di un soggetto terzo, la Commissione di garanzia, con funzioni sostitutive e poteri di precettazione in caso di violazione delle regole48. In base al Protocollo, invece, la procedura compositiva è vista come alternativa allo sciopero e, dunque, non incide, ammesso che tale possibilità possa essere ritenuta legittima, sulle modalità del suo esercizio. L’accordo, infatti, è finalizzato ad impedire che il conflitto collettivo sfoci nell’astensione collettiva od a iniziative unilaterali del datore e che esso, invece, sia mantenuto all’interno di procedure di raffreddamento, le cui modalità dovranno essere definite dalla contrattazione collettiva futura. I contratti collettivi, inoltre, dovranno individuare le procedure per la definizione delle controversie che dovessero sorgere in relazione all’inadempimento od all’inesatto adempimento dell’obbligo assunto dalle parti49 e che si aggiungeranno o si sostituiranno a quelle di diritto comune. 10. Allo stato, non solo non è possibile compiere previsioni su quali discipline saranno introdotte dall’autonomia collettiva, ma non è possibile neppure avere certezza se le previsioni contenute negli accordi esaminati e nel Protocollo ultimo saranno rispettate in sede di contrattazione di categoria. E’ vero che, a tale proposito, i sindacati hanno assunto l’impegno di indurre le loro strutture ad attenersi a quanto 46 Di questa opinione è A. Maresca, Il ccnl dopo il … op. cit., p. 745. Sul punto non è possibile non rinviare alle condivise osservazioni di M. Grandi, Sciopero, prevenzione del conflitto e servizi pubblici essenziali, in Riv. it. dir. lav., 1999, pp. 257 ss. 48 Su tali aspetti, cfr. M. Ricci, La Commissione di garanzia: profili generali, in M. Ricci, (a cura di) Sciopero e servizi pubblici essenziali. Commento alla legge n. 146/1990, modificata e integrata dalla legge n. 83/2000, Giappichelli, Torino, 2001 pp. 227 ss., e, nel medesimo commentario, M. D’Onghia, I poteri della Commissione di garanzia, pp. 255 ss. 49 V.di, sul punto, ancora A. Maresca, Il ccnl dopo il … op. cit., p. 745. 47 15 concordato, ma è anche vero che, come dimostra la decisione assunta dal Tribunale di Roma prima ricordata, l’eventuale inerzia delle organizzazioni nazionali e/o territoriali difficilmente potrà comportare conseguenze giuridiche circa la validità dei contratti che verranno sottoscritti dai livelli inferiori a quello confederale. L’effettivo funzionamento di procedure di raffreddamento del conflitto, così come dell’intero sistema di relazioni industriali, dipenderà, ancora una volta, dalle scelte che concretamente compieranno le organizzazioni sindacali, che risentono, inevitabilmente, della cultura sindacale di cui ciascuna categoria è portatrice. A questo punto, sarebbe auspicabile una riflessione circa l’opportunità di un intervento legislativo che regoli il contratto collettivo del settore privato. Il legislatore, infatti, nel pieno rispetto dell’autonomia sindacale, potrebbe introdurre, da un lato, disposizioni che attribuiscano una sorta di competenza esclusiva delle confederazioni a decidere sulle controversie in esame, dall’altro, norme finalizzate a premiare l’“affidabilità” dei soggetti collettivi. In tal modo, la legge, che dovrebbe intervenire in una logica di supplenza all’inerzia sindacale, potrebbe contribuire a far conseguire quell’interesse, comune alle organizzazioni sindacali ed alle autorità politiche, nazionali ed europei, di avere un sistema di relazioni industriali in grado di garantire un equilibrio, funzionale alla competitività del sistema produttivo, tra autotutela collettiva e ragioni dell’impresa. 16