IL GOVERNO E LA COMPOSIZIONE DEI CONFLITTI NELL

Transcript

IL GOVERNO E LA COMPOSIZIONE DEI CONFLITTI NELL
IL GOVERNO E LA COMPOSIZIONE DEI CONFLITTI
NELL’ORDINAMENTO INTERSINDACALE
(versione provvisoria)
Enrico Raimondi, Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara
1. Premessa. 2. Una distinzione preliminare. 3. Delimitazione del campo di indagine. 4. La nuova concezione del conflitto collettivo. 5. Il rischio
della «mortificazione giudiziale dell’autonomia collettiva». 6. Le clausole di tregua come strumento di governo del conflitto. 7. Le procedure di
risoluzione delle controversie. 8. Le previsioni contenute nei ccnl dopo l’A.Q. del 2009. 9. Il Protocollo del 31 maggio 2013. 10. Considerazioni
conclusive.
1. In questi ultimi dieci anni, il nostro sistema di relazioni industriali ha vissuto
una nuova stagione, caratterizzata dalla “rottura” dell’unità sindacale con la
sottoscrizione di accordi separati e dalla sua ricomposizione mediante la
sottoscrizione dell’Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011 e del successivo
Protocollo di intesa del 31 maggio 2013 sulla rappresentatività. Le ragioni che hanno
portato al superamento delle regole contenute nel Protocollo del 1993 sono
molteplici, così come le novità (e i problemi) che, a partire dall’accordo quadro
separato del 2009, sono state introdotte nell’ordinamento intersindacale. Non è
possibile, ovviamente, analizzare in modo approfondito tali aspetti ed in particolare
l’influenza esercitata in materia dalla vicenda Fiat1. Non c’è dubbio che lo shock di
Pomigliano ha indotto le organizzazioni sindacali a ritrovare una unità d’azione su
nuovi principi e regole, che dimostrano un profondo mutamento di prospettiva nei
confronti del conflitto collettivo.
La riflessione che si intende compiere in questa sede muove le proprie premesse
dalla considerazione che la definizione di regole condivise, motivata da varie ragioni
1
Essa, in particolare, ha riproposto con forza il problema dell’esigibilità degli accordi aziendali che,
nel sistema giuridico privatistico, non può essere garantita in caso di dissenso di una delle
organizzazioni sindacali. Si rinvia, comunque, a V. Bavaro, Rappresentanza dei lavoratori e
contrattazione collettiva oggi, in www.dirittisocialiecittadinanza.org, febbraio 2011. Tra gli esiti della
vicenda Fiat si ricorda la nota sentenza del 23 luglio 2013, che ha dichiarato la parziale illegittimità
costituzionale dell’art. 19 st. lav. nella parte in cui esclude la possibilità di costituire una r.s.a. ai
sindacati che abbiano partecipato alle trattative per la conclusione di contratto collettivo, ma che non li
abbiano sottoscritti.
1
connesse al momento storico che stiamo attraversando2, non garantisce, di per sé, la
“tenuta” del sistema che le parti intendono costruire3. Di questo ne sono consapevoli
gli stessi soggetti collettivi, che hanno espressamente previsto clausole di tregua
sindacale e procedure di composizione delle controversie che dovessero sorgere a
causa della violazione di quanto pattuito. Le parti firmatarie, dunque, hanno sentito
l’esigenza di prevedere un apparato rimediale che, al fine di rendere vincolanti gli
accordi sottoscritti, impegna a prevenire il conflitto collettivo mediante l’assunzione
di un obbligo di astensione da azioni unilaterali e di governarlo attraverso procedure
compositive interne all’ordinamento intersindacale.
Per le ragioni che saranno illustrate, questa scelta, è sicuramente importante. La
riflessione che si impone è se, dal punto di vista giuridico, gli strumenti di governo e
di composizione del conflitto che verranno introdotti dall’autonomia collettiva
possono essere ritenuti idonei a garantire il rispetto delle regole intersindacali, così
come volute dalle parti. La storia delle nostre relazioni industriali, infatti, dimostra
che il funzionamento delle clausole e delle procedure prefigurate dalle associazioni
sindacali è sempre subordinato alla effettiva volontà dei soggetti collettivi di
rispettare il loro contenuto. Ecco perché, probabilmente, in assenza di una legge sul
contratto collettivo nel settore privato, gli ambiziosi obiettivi delle organizzazioni
sindacali potrebbero essere compromessi. In considerazione degli interessi in gioco, é
quindi auspicabile una normativa che valorizzi e sostenga le procedure di governo e
di composizione delle controversie che dovessero sorgere tra soggetti collettivi. Del
resto, il nostro ordinamento ha già sperimentato, nel settore dei servizi pubblici
essenziali, l’intervento regolativo della legge. Ed, infatti, le organizzazioni sindacali,
con il Protocollo del 2013, sembrano ispirarsi proprio a quel modello, che, tuttavia,
caratterizza un particolare settore produttivo del tutto differente da quello del settore
2
Cfr. P. Alleva, Ragioni politico-giuridiche del superamento del sistema contrattuale di fatto, in
R.G.L., 2011, p. 727 ss. ed, in particolare, p. 736.
3
Lo rileva, tra gli altri, L. Bellardi, L’attuazione dell’accordo quadro: pluralità dei sistemi
contrattuali ed eterogenesi dei fini, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 2010, p. 393 e, con altre parole, F.
Carinci, Una dichiarazione d’intenti: l’Accordo quadro 22 gennaio 2009 sulla riforma degli assetti
contrattuali, WP C.S.D.L.E. «Massimo D’Antona» - IT – 86/2009, p. 11.
2
privato ed è funzionale al perseguimento di obiettivi differenti da quelli posti dalle
organizzazioni sindacali in tale ambito4.
2. A questo punto, è necessaria una precisazione preliminare. L’oggetto delle
riflessioni contenute in questo intervento è rappresentato dalle clausole contenute
negli accordi interconfederali finalizzate ad introdurre meccanismi di governo e di
composizione del conflitto e previsioni circa le modalità di risoluzione delle
controversie che dovessero sorgere sull’interpretazione e l’applicazione delle regole
che disciplinano i rapporti tra i soggetti collettivi. Dal punto di vista funzionale, le
clausole in esame devono essere tenute concettualmente distinte. Le prime si
propongono di evitare che il conflitto possa condurre ad una contrapposizione che
impedisce il regolare svolgimento delle trattative; le seconde, per utilizzare una
categoria tradizionale, attengono alle controversie giuridiche5 che hanno per oggetto
la violazione di determinati diritti che le organizzazioni collettive possano vantare in
virtù della parte obbligatoria del contratto collettivo6.
Ciò consente di non affrontare l’ulteriore problematica, da sempre indagata da
parte della dottrina7, relativa al potere conciliativo dei sindacati in ordine alle
4
Il tema verrà affrontato, seppur succintamente, al successivo § 9.
Sulla distinzione tra conflitti su diritti, che danno adito a controversie giuridiche, e conflitti su
interessi, che danno luogo a controversie economiche, si rinvia a L. Corazza, Il nuovo conflitto
collettivo. Clausole di tregua, conciliazione ed arbitrato nel declino dello sciopero, 2012, Milano,
Franco Angeli, pp. 37-38, anche per i riferimenti bibliografici lì contenuti.
6
In tema, cfr. G. Ghezzi, La responsabilità contrattuale delle associazioni sindacali, Milano,
Giuffré, 1963; G. Giugni, La funzione giuridica del contratto collettivo, Relazione tenuta al III
Convegno nazionale di diritto del lavoro sul tema «Il contratto collettivo di lavoro», Pescara-Teramo, 14 giugno 1967, ora in Id., Lavoro legge contratto, Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 151 ss.; M. Persiani,
Saggio sull’autonomia privata collettiva, Padova, Cedam, 1972; R. Bortone, Il contratto collettivo tra
funzione normativa e funzione obbligatoria, Bari, Cacucci, 1992; P. Tosi, Contratto collettivo e
autonomia sindacale. Nuova edizione riveduta ed aggiornata, Utet, Torino, 2003.
7
G. Giugni, La conciliazione collettiva dei conflitti giuridici di lavoro, in Il diritto dell’economia,
1959, pp. 832 ss. ora in Id., Lavoro legge contratti, 1989, Bologna, Il Mulino, p. 45 ss.; M. Grandi,
L’arbitrato irrituale nel diritto del lavoro, Milano, Giuffré, 1963; Id., La composizione stragiudiziale
delle controversie di lavoro nel diritto italiano, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 2000, pp. 367 ss.; V.
Leccese, Autonomia collettiva e composizione dei conflitti, in Dir. Rel. Ind., 1994, p. 149 ss.
5
3
controversie giuridiche che attengono ai rapporti di lavoro, ma che, per la loro
dimensione e rilevanza, investono anche l’interesse collettivo8.
3. L’indagine, quindi, si concentrerà sulle disposizioni collettive che riguardano
l’amministrazione del contratto collettivo9 ed il loro nesso con le clausole di tregua
sindacale. Queste tematiche non sono affatto nuove10. Rispetto al passato, tuttavia,
l’attuale sistema di relazioni industriali affida a queste tecniche uno spazio di
operatività maggiore, dal momento che esse, insieme a strumenti di regolazione del
conflitto più tradizionali, hanno il compito di contribuire all’effettivo funzionamento
della contrattazione collettiva11. Non a caso, le parti hanno dichiarato “l’esigenza di
avere un sistema di relazioni sindacali e contrattuali regolato e quindi in grado di
dare certezze riguardo ai soggetti, ai tempi ed ai contenuti della contrattazione
collettiva attraverso l’attuazione ed il rispetto delle regole”12. Per raggiungere questo
obiettivo, le parti hanno pattuito specifiche clausole di pace sindacale ed hanno
deciso di introdurre procedure di composizione del conflitto in sede conciliativa od
8
I due piani, in realtà, tendono sovente a confondersi tra di loro (cfr. P. Lambertucci, Le procedure
di raffreddamento del conflitto collettivo con particolare riferimento alla disciplina contenuta nel
Protocollo del 23 luglio 1993, in R.G.L., 1997, p. 383, che auspicava uno “specifico intervento
legislativo sulla disciplina della conciliazione e dell’arbitrato in materia obbligatoria”.
9
Cfr. G. Giugni, Introduzione allo studio dell’autonomia collettiva, Milano, Giuffré, 1960; L.
Nogler, L’amministrazione del contratto collettivo, in Zoli C., a cura di, Le fonti. Il diritto sindacale.
Tomo I Torino, Utet, 2003, p. 474 definisce l’amministrazione del contratto collettivo “quel complesso
di attività, che si svolgono successivamente alla fase di conclusione del contratto collettivo, che
consistono nella interpretazione dell’accordo collettivo nonché nella composizione delle liti che
scaturiscono dall’accordo collettivo stesso”. Cr. P. Lambertucci, Contrattazione collettiva, in Diritto del
lavoro. Dizionari del diritto privato promossi da Nicolino Irti, a cura di, P. Lambertucci, Milano,
Giuffré, 2010, pp. 111-112.
10
Vedi la ricostruzione offerta, tra gli altri, da C. Zoli, Gli obblighi a trattare nel sistema dei
rapporti collettivi, Padova, Cedam, 1992, pp. 185- 187 e 315-316.
11
Come è stato osservato da M. Napoli, La riforma degli assetti contrattuali nelle intese tre le parti
sociali, in Lavoro diritti valori, Torino, Giappichelli, 2010, p. 143, “si può dire che si passa da un
sistema delle regole al governo del sistema”, che rappresenta “una prospettiva che va al di là
dell’amministrazione del singolo contratto collettivo”.
12
Accordo interconfederale del 15 aprile 2009. Nell’accordo successivo, del 28 giugno 2011, si
legge, analogamente, che “è essenziale un sistema di relazioni sindacali e contrattuali regolato e quindi
in grado di dare certezze non solo riguardo ai soggetti, ai livelli, a tempi e ai contenuti della
contrattazione collettiva, ma anche sull’affidabilità ed il rispetto delle regole stabilite”. Tali previsioni
aumentano il grado di istituzionalizzane della struttura sindacale, nell’accezione utilizzata da G. P.
Cella, T. Treu, Relazioni industriali e contrattazione collettiva, Bologna, Il Mulino, 2009, p. 28.
4
arbitrale. In tal modo le organizzazioni collettive si sono volute dotare di uno
“strumento di chiusura del sistema”13, in quanto le clausole richiamate tendono ad
“assicurare l’effettiva applicazione del nuovo sistema contrattuale”14.
4. L’esperienza sindacale italiana, invero, conosce da sempre clausole di questo
tipo, così come ha tentato, in alcuni settori, di “procedimentalizzare” il conflitto.
Rispetto al passato, tuttavia, le previsioni contenute negli ultimi accordi dimostrano
un mutato atteggiamento rispetto al ricorso all’azione diretta. Lo sciopero, infatti, se
percepito come fisiologico in determinati momenti delle relazioni industriali, viene
oggi visto dalle stesse organizzazioni sindacali come uno strumento da evitare una
volta stabilito il contenuto dell’accordo15.
I sindacati, da questo punto di vista, hanno fatto proprie le esigenze di
competitività delle imprese, consapevoli che nell’attuale contesto economico
l’astensione collettiva dei lavoratori può determinare danni superiori rispetto al
passato16. Infatti, in un mercato aperto, di dimensioni internazionali, opera una
elevata quantità di soggetti capaci di produrre lo stesso bene o servizio che determina
una sostanziale fungibilità dei produttori. La possibilità, quindi, di rivolgersi ad un
ampia platea di imprese attribuisce ai committenti un maggior potere sulla
determinazione dei prezzi dei beni o dei servizi richiesti e consente inoltre di esigere
il corretto adempimento delle obbligazioni assunte dalle imprese fornitrici, con
riferimento sia alle scadenze nella consegna sia alla qualità del prodotto promesso. Le
stesse ragioni appena richiamate, inoltre, incidono necessariamente sulla stessa
organizzazione del lavoro, che, funzionale ad una produzione just in time che deve
13
D. Pace, Gli strumenti di conciliazione e arbitrato delle controversie collettive, Quaderno di
Federmeccanica n. 3 del 2009, p. 45.
14
L. Corazza, Il nuovo conflitto collettivo. Clausole di tregua, conciliazione ed arbitrato nel declino
dello sciopero, 2012, Milano, Franco Angeli, p. 47.
15
Di questa opinione sembra essere E. M. Mastinu, La regolamentazione contrattuale del conflitto
sindacale, in R.G.L., 2013, 2, p. 381.
16
Soprattutto in un periodo di recessione economica come quello che si sta attraversando. Non si
concorda, dunque, con quanto sostenuto da R. Bortone, Aspetti problematici del diritto di sciopero in
Italia, Relazione tenuta l’11 giugno 2012 a Belo Horizonte in occasione del I Congresso Internacional
de Direito e Processo do Tabalho, dattiloscritto.
5
rispettare tempi di produzione imposti dai committenti, non permette di sospendere il
processo produttivo, se non in periodi programmati o nei casi di mancanza di
commesse. Sembra, dunque, che nella concreta dinamica delle relazioni sindacali, le
confederazioni maggiormente rappresentative hanno
voluto individuare un
“bilanciamento” della libertà di sciopero con le libertà economiche17 e di attribuire
alle ragioni dell’impresa un valore inedito rispetto alla tradizione sindacale italiana18.
Peraltro, il tentativo di conciliare il diritto di autotutela collettiva con le libertà
economiche caratterizza la stessa azione dell’Unione Europea19. Lo strumento
principale per perseguire tale risultato, chiaramente “in situazioni transnazionali o a
carattere stransnazionale”, è stato individuato nel ricorso a soluzioni extragiudiziali
del conflitto regolamentate dalla stesse parti sociali europee20.
5. La scelta compiuta dalle organizzazioni sindacali, dunque, è opportuna per
molte ragioni e contribuisce certamente a colmare una lacuna del precedente assetto
delle relazioni industriali21.
In linea generale, affidare ai soggetti stipulanti l’esito interpretativo ed applicativo
delle clausole da essi formulate risponde all’esigenza di rendere le disposizioni
17
Il richiamo alle esigenze di competitività e di produttività contenuto in tutti gli accordi è un
indicatore di tale volontà.
18
F. De Falco, Diritto di sciopero e interesse dell’impresa, Napoli, Jovene editore, 2003, pp. 67 ss.
osserva come la dottrina abbia avviato una riflessione finalizzata alla “rivalutazione del valore-impresa e
tutela della produttività aziendale” attraverso una riappropriazione di un interesse alla salvaguardia del
dato organizzativo giuridicamente rilevante in caso di sciopero. Sulle origini di questa dottrina cfr. V.
Bavaro, L’aziendalizzazione nell’ordine giuridico-politico del lavoro, in Lav. Dir., 2013, p. 223.
19
Cfr. la «Proposta di regolamento del Consiglio sull’esercizio del diritto di promuovere azioni
collettive nel quadro della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi – COM (2012) 130
def.». Per inciso, non è detto che la proposta possa risolvere i numerosi problemi aperti dalla Corte di
Giustizia nei casi Viking e Laval, su cui si è sviluppato un ampio ed articolato dibattito che non è
possibile analizzare compiutamente. Si rinvia, comunque, a G. Orlandini, La proposta di regolamento
Monti II ed il diritto di sciopero nell’Europa post-Lisbona, dattiloscritto. Più in generale cfr. U.
Carabelli, Europa dei mercati e conflitto sociale, Bari, Cacucci, 2009.
20
Come ricorda L. Corazza, Il nuovo conflitto collettivo … op. cit., p. 144 e S. Sciarra, Un confronto
a distanza: il diritto di sciopero nell’ordinamento globale, in Politica del Diritto, 2012, pp. 225-226.
21
Segnalata anche dalle conclusioni nel rapporto del 23 dicembre 1997 di chiusura dei lavori della
Commissione per la verifica del Protocollo del 23 luglio 1993. Lo stesso G. Giugni, La lunga marcia
della concertazione, Bologna, Il Mulino, 2003, p. 88, ricorda come tra i punti qualificanti del rapporto
“erano la chiara individuazione delle conseguenze derivanti dal mancato rispetto delle clausole relative
agli assetti contrattuali e la definizione di una disciplina dei rapporti di regolazione”.
6
contrattuali più facilmente adattabili ad una realtà in continua evoluzione. In
sostanza, la definizione delle controversie sulla interpretazione e l’applicazione dei
contratti collettivi contribuisce a rafforzare la democrazia industriale, mediante la
realizzazione di “un sistema che si autogoverna, che si adatta, che si rivela
democratico non solo nella costruzione delle norme, ma anche nella loro
applicazione”22.
L’introduzione di strumenti di conciliazione ed arbitrato risponde anche alla
opportunità di sottrarre questo tipo di controversie alla giurisdizione statuale; non
tanto per i limiti del nostro sistema processuale23, che non consentirebbero una rapida
definizione di tale tipo di controversie24, ma per un’altra ragione. La concezione
privatistica dei contratti collettivi, infatti, rischia di indurre la giurisprudenza ad
interpretazioni che possono condurre ad esiti contrastanti con la volontà di tutte le
organizzazioni sindacali, anche se contrapposte in un eventuale giudizio. Ne è un
esempio una recente sentenza del Tribunale di Roma. Il giudice civile, in
quest’occasione, è stato chiamato a pronunciarsi sulla domanda proposta dalla Fiom
che aveva lamentato la violazione dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011
da parte delle altre organizzazioni sindacali, che l’avevano esclusa dalla fase di
trattativa per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di categoria. Il Giudice ha
rigettato la domanda proposta per una serie di motivazioni che non è possibile
analizzare singolarmente25. La decisione in esame, che si fonda su argomenti
22
T. Treu, Intervento al Convegno tenuto il 22 settembre 2009 in occasione del Premio Roberto
Biglieri su “Gli strumenti di conciliazione e arbitrato delle controversie collettive”.
23
L. Corazza, Il nuovo conflitto collettivo … op. cit., p. 141; G. Vardaro, Contrattazione collettiva e
sistema giuridico, Napoli, Jovene Editore, 1984, p. 36.
24
La lite, infatti, potrebbe essere celermente definita perché trattabile con il rito sommario di
cognizione di cui all’art. 702-bis c.p.c.
25
Il Tribunale di Roma, con la pronuncia del 13 maggio 2013, ha sostenuto che “si può invero
affermare al riguardo che gli Accordi Interconfederali, sicuramente impegnativi per i sottoscrittori,
contengono l’indicazione degli indirizzi politici e comportamentali nell’ambito dell’ordinamento
sindacale, rivolti alle parti stipulanti i futuri contratti collettivi nazionali ed aziendali, ma, proprio per la
natura privatistica dell’ambito in cui operano e stante la ricordata autonomia contrattuale equiordinata e
paritetica, non assumono alcun rilievo pubblicistico, né assurgono a parametri di invalidità e/o di
efficacia dei contratti collettivi o aziendali (ugualmente contratti di diritto privato) poi stipulati. Dunque,
l’eventuale violazione delle regole, contenute negli Accordi Interconfederali, da parte delle associazioni
di categoria, può comportare conseguenze a livello endoassociativo, se ed in quanto previsto dei singoli
7
discutibili26, dimostra, comunque, come l’utilizzazione degli schemi civilistici
nell’interpretazione delle norme che presiedono l’attività contrattuale dei soggetti
collettivi può determinare una “mortificazione giudiziale dell’autonomia collettiva”27.
Si tratta, quindi, di verificare se le previsioni contenute negli accordi
interconfederali possano evitare questo rischio ed, in particolare, se esse possono
essere ritenute sufficienti per garantire un apparato rimediale capace di “far rispettare
i patti”.
6. Nell’accordo del 15 aprile 2009 è stato introdotto l’obbligo di astenersi da
azioni dirette durante il periodo delle trattative per il rinnovo del contratto collettivo e
la sua violazione attribuisce all’altra parte “il diritto di chiedere la revoca o la
sospensione dell’azione messa in atto”.
La tecnica rimediale utilizzata dalle parti é di tipo inibitorio28 e non prevede
alcuna sanzione espressa nel caso della violazione della clausola di tregua. Si tratta,
allora, di verificare quali sono le strade percorribili per rendere esigile l’impegno di
statuti, ma sicuramente va esclusa una qualche conseguenza a livello civilistico sull’efficacia o validità
della contrattazione di livello inferiore”. Secondo V. Speziale, Il nuovo assetto della contrattazione
collettiva dopo il Protocollo di intesa del 31 maggio 2013, p. 2, in www.ildiariodellavoro.org, “questa
sentenza dimostra che mancano regole normative certe in materia e come l’applicazione delle intese
generali stipulate dalle Confederazioni sindacali si fondi soprattutto sul consenso politico delle
organizzazioni”. La sentenza conferma, comunque, “l’estraneità del diritto giudiziario alla logica
complessiva della contrattazione e specialmente alla valutazione dei rapporti che discendono dalla
«parete obbligatoria» del contratto collettivo: i quali si dovrebbero considerare, a stretto rigore,
«inconoscibili» della giustizia statuale” (P. Tosi, Contratto collettivo … op. cit., p. 47). G. Vardaro,
Contrattazione collettiva … op. cit., p. 37, già ammoniva che “il giudice dello stato non è, insomma, in
grado, così come esso è, di realizzare nei confronti del contratto collettivo quella funzione di
pacificazione sociale, attraverso il diritto, che svolge nei confronti delle altre tipologie contrattuali”.
26
In base ai vincoli statutari tra federazioni di categorie e confederazioni, infatti, la decisione del
giudice avrebbe potuto essere senz’altro differente, come osserva V. Speziale, Il nuovo assetto della
contrattazione collettiva … op. cit., p. 2, in www.ildiariodelavoro.org.
27
G. Giugni, La conciliazione collettiva dei conflitti giuridici di lavoro, in Il diritto dell’economia,
1959, pp. 832 ss. ora in Id., Lavoro legge contratti, 1989, Bologna, Il Mulino, p. 46. Sul tema del mutuo
riconoscimento degli ordinamenti, statuale e sindacale, la bibliografia sull’argomento è naturalmente
amplissima. Cfr., almeno, G. Giugni, Introduzione allo studio dell’autonomia collettiva, Milano,
Giuffré, 1960; A. Cessari, L’interpretazione dei contratti collettivi, Milano, Giuffré, 1963, G. Vardaro,
Contrattazione collettiva … op. cit.
28
A. Federici, La responsabilità contrattuale del sindacato nel nuovo sistema di relazioni
industriali, intervento al convegno “I giovani giuslavoristi e gli studi di diritto del lavoro”, Bari, 11-12
novembre 2011. Sulla nozione di azione inibitoria, cfr. A. Frignani, voce Inibitoria (azione), In
Enciclopedia del diritto, Milano, Giuffré, 1971, pp. 559 ss.
8
astenersi da azioni dirette. La prima è quella ordinaria di carattere risarcitorio che,
tuttavia, non può svolgere alcuna funzione preventiva, se non quella, invero molto
debole, di deterrenza. L’altra azione, per rendere “giustiziabile” la violazione
dell’obbligazione di “non fare” prevista dall’accordo, esperibile prima che l’azione
collettiva sia messa concretamente in atto ovvero prima che essa termini, è
rappresentata dalla richiesta al giudice di ordinare la cessazione immediata
dell’attività illecita ovvero di sospenderla fino al termine previsto per lo svolgimento
delle trattative di rinnovo. In questo caso, la parte potrà richiedere, ai sensi dell’art.
614-bis c.p.c., una penale per il ritardo nell’esecuzione del provvedimento ovvero per
ogni violazione od inosservanza successiva29.
Non c’è dubbio che la clausola in esame potrebbe avere una maggior forza
dissuasiva se la sua violazione potesse legittimare l’applicazione di sanzioni
disciplinari ai lavoratori. In questo caso, la clausola di tregua sindacale avrebbe una
efficacia di tipo normativo, al pari delle altre disposizioni collettive che concorrono a
regolamentare i rapporti individuali di lavoro30. Ciò significherebbe, quindi,
ammettere che i soggetti sindacali possano disporre di un diritto, quello di sciopero,
la cui titolarità è ritenuta, dalla maggior parte della dottrina, individuale31. Senza
poter entrare nel merito di questo aspetto, che da sempre è al centro della discussione
lavoristica, è opportuno precisare che il problema della titolarità, individuale o
collettiva, del diritto e l’eventuale previsione di clausole collettive che ne
condizionino l’esercizio, attiene logicamente ad un piano differente da quello della
29
Per una recente ricostruzione generale in tema si rinvia a G. Cannati, Bisogni, rimedi e tecniche di
tutela del prestatore di lavoro, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 2012, p. 129 ss.
30
Tesi sostenuta da L. Corazza, Il nuovo conflitto collettivo … op. cit., pp. 105 e segg. e, con
argomenti differenti, anche da F. Corso, Contratto collettivo e organizzazione del sistema sindacale,
Napoli, Jovene editore, 2003, che esclude l’esistenza di un dovere implicito di esecuzione e di influenza
scaturenti dal contratto collettivo (pp. 111-123) e ravvisa la possibilità, a determinate condizioni, di
attribuire alle clausole di tregua un’efficacia normativa (pp. 139-143). In senso contrario, però, cfr. E.
M. Mastinu, La regolamentazione contrattuale … op. cit., pp. 383-387.
31
Tesi non condivisa da G. Pino, Conflitto e autonomia collettiva. Contributo allo studio della
regolamentazione contrattuale del diritto di sciopero, Giappichelli, Torino, 2005; A. Zoppoli, La
titolarità sindacale del diritto di sciopero, Jovene, Napoli, 2006. Sulle posizioni di queste autori, cfr. R.
Romei, Esiste davvero la titolarità collettiva del diritto di sciopero?, WP C.S.D.L.E. «Massimo
D’Antona». IT-75/2008.
9
qualificazione giuridica delle clausole di tregua. In sostanza, l’efficacia normativa
delle clausole di tregua non può essere negata a priori in ragione dell’affermata
titolarità individuale del diritto di sciopero. Del resto, dal momento che l’esercizio
del diritto è necessariamente collettivo, non si può escludere la possibilità che,
mediante l’adesione al sindacato, il lavoratore possa conferire alla propria
organizzazione il potere di concordare sia determinate modalità con cui dovrà
avvenire l’astensione collettiva ovvero anche di pattuire un obbligo di astensione
dall’azione diretta in determinati periodi. Il problema, poi, dell’eventuale validità di
tali previsioni, se esse, cioè, si pongano in contrasto con norme imperative di legge o
di principi costituzionali va affrontato in momento successivo. In sostanza, il giudizio
di liceità o meno di un negozio non può condizionare l’attività interpretativa
finalizzata alla sua corretta qualificazione giuridica.
Per valutare, quindi, se le clausole di tregua introdotte nell’Accordo
Interconfederale hanno efficacia normativa o meramente obbligatoria è necessario
indagare qual é stata la volontà delle organizzazioni collettive. Da questo punto di
vista, è possibile affermare che, almeno con riferimento all’accordo del 28 giugno
2011, sono gli stessi soggetti collettivi che hanno, per così dire, messo fine al
dibattito riapertosi dopo gli accordi Fiat32. Essi, infatti, con estrema chiarezza, hanno
sentito l’esigenza di specificare che eventuali clausole di tregua previste dai contratti
aziendali, peraltro dotati di efficacia generalizzata, “hanno effetto vincolante
esclusivamente per tutte le rappresentanze sindacali dei lavoratori ed Associazioni
sindacali firmatarie del presente accordo interconfederale operanti all’interno
dell’azienda e non per i singoli lavoratori”33. In pratica, sono proprio i soggetti
collettivi che hanno voluto attribuire alle clausole di tregua un’efficacia
32
Per una ricostruzione del dibattito cfr. R. De Luca Tamajo, Accordo di Pomigliano e criticità del
sistema di relazioni industriali italiane, in Riv. It. Dir. Lav., I, 2010, pp. 797 ss.; P. Chieco, Accordi
FIAT, clausola di pace sindacale e limiti al diritto di sciopero, WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona” .
IT – 117/2011; L. Nogler, Ripensare il diritto di sciopero?, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 2012, pp. 315
ss.; R. Romei, Ripensare il diritto di sciopero?, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 2012, pp. 331 ss.; L.
Corazza, Il nuovo conflitto collettivo … op. cit.
33
Cfr. G. Santoro Passarelli, La responsabilità delle organizzazioni sindacali, in A.D.L., 2013, pp.
20 ss.
10
esclusivamente obbligatoria. Essi, quindi, hanno pattuito un obbligo di pace
esplicito34, rafforzato dall’ulteriore obbligo di attivare procedure compositive
dell’eventuale conflitto. L’effettivo rispetto di questa clausola é rimesso al dovere di
influenza che le associazioni si sono assunte. Tuttavia, questa situazione non implica
che l’obbligo per i sindacati di astenersi dal favorire o promuovere, dal favorire o
promuovere azioni dirette costituisce una mera clausola di stile. Seppur deboli, le
tecniche di tutela sopra richiamate, infatti, possono contribuire a garantire
quell’esigibilità degli impegni assunti, che rappresenta l’obiettivo principale che si
sono posti i soggetti collettivi. Non è molto, ma non è neanche poco.
D'altra parte, anche le clausole di tregua con efficacia obbligatoria potrebbero
svolgere una funzione importante a livello aziendale. S'immagini, ad esempio, il caso
di un'impresa che applichi un C.C.N.L. contenente un obbligo di pace esplicito. Uno
sciopero organizzato dai sindacati aziendali vincolati al rispetto del contratto
nazionale e che violi la clausola consentirebbe al datore di lavoro di agire con
un'azione di risarcimento danni nei confronti delle associazioni sindacali. Si
tratterebbe, infatti, di un inadempimento contrattuale che ha determinato pregiudizi di
facile individuazione35.
7. In realtà, almeno negli accordi del 2009, emerge la preoccupazione di dotare il
sistema intersindacale di procedure che possano prevenire il conflitto che dovesse
sorgere con riferimento alle regole stabilite per il secondo livello di contrattazione 36.
Le parti, infatti, non hanno previsto procedure conciliative od arbitrali per la
risoluzione di una controversia che dovesse sorgere in materia di rinnovo contrattuale
al livello nazionale. L’ambito di applicazione degli strumenti di conciliazione di
arbitrato, da introdurre in base all’A.Q. del gennaio 2009, è infatti individuabile alla
34
In questo senso, F. Carinci, L’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011: armistizio o pace?,
WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”. IT – 125/2011, p. 21e P. Tosi, Gli assetti contrattuali fra
tradizione e innovazione, in A.D.L., 2013, p. 543.
35
Essi, infatti, sarebbero coincidenti con le quantità di produzioni perse calcolate ai prezzi di
mercato.
36
A conferma di quanto ha osservato L. Bellardi, L’attuazione dell’accordo quadro … op. cit., pp.
388 e 393.
11
luce del successivo Accordo di attuazione del 15 aprile 2009 ed è limitato ad
“eventuali controversie che dovessero insorgere nella applicazione delle clausole
tutte così come definite nel presente punto 3”. In sostanza, le controversie che
potranno essere decise in sede conciliativa od arbitrale sono quelle che dovessero
sorgere con riferimento alle disposizioni contrattuali che disciplinano il secondo
livello di contrattazione, compreso il livello aziendale37. Tra queste anche il caso in
cui vi sia stata la violazione dell’obbligo di non assumere iniziative unilaterali, né di
procedere ad azioni dirette “durante i due mesi successivi alla data di presentazione
delle proposte di rinnovo per il mese successivo la scadenza dell’accordo”.
In queste ipotesi, l’accordo, inoltre, adotta un modello specifico di composizione
delle controversie collettive. C’è una prima fase conciliativa, che dovrà essere
disciplinata tra le organizzazioni di rappresentanza, prima in sede territoriale e poi a
livello nazionale; in caso di insuccesso della conciliazione, le parti sono tenute ad
adire un collegio arbitrale, “secondo modalità e procedure stabilite nel contratto
collettivo nazionale di lavoro di categoria o con specifico accordo interconfederale”.
Le parti, inoltre, hanno espressamente previsto che il collegio arbitrale, qualora
dovesse assumere provvedimenti, dovrà fare riferimento alle “norme di legge vigenti
in materia di responsabilità riguardanti esclusivamente i comportamenti posti in
essere da organizzazioni di rappresentanza”. A parte la poca chiarezza del
significato del rinvio per l’individuazione dei provvedimenti che potrà assumere il
collegio arbitrale, la procedura descritta non è certamente idonea a prevenire il
conflitto. La conciliazione, così come l’arbitrato, si pongono necessariamente in un
momento successivo all’apertura del conflitto. Per ovvie ragioni, inoltre, sembra
37
Ad esempio, potrebbe sorgere una controversia tra le parti sull’interpretazione ovvero
sull’applicazione dei criteri adottati per collegare gli aumenti salariali al raggiungimento degli obiettivi
concordati per l’aumento della competitività delle imprese di un settore produttivo; potrebbero esservi
contestazioni sull’esatta determinazione delle materie delegate alla contrattazione di secondo livello;
potrebbe, inoltre, essere oggetto di interpretazioni contrastanti l’applicazione degli indicatori assunti a
livello territoriale per la misurazione e la valutazione economica della produttività e degli altri elementi
di competitività del settore, ai fini della contrattazione dell’ammontare del premio variabile; allo stesso
modo, potranno sorgere controversie durante la fase di rinnovo dell’accordo di secondo livello, qualora
non siano rispettati i tempi previsti dalla clausola 3. 5.
12
difficile immaginare che chi ha promosso uno sciopero od altro tipo di azione possa
poi sottoporsi al giudizio di un organo terzo, come un collegio arbitrale.
8. L’esperienza immediatamente successiva alla sottoscrizione degli accordi
interconfederali del 2009, tuttavia, dimostra che i settori produttivi in cui le
organizzazioni sindacali hanno predisposto un apparato rimediale per garantire
l’esigibilità dei accordi assunti sono pochi.
In quasi tutti, invece, compaiono procedure conciliative per la risoluzione di
controversie giuridiche, plurime o collettive, che attengono alla regolamentazione dei
rapporti di lavoro. Le previsioni dei contratti collettivi, da questo punto di vista, si
pongono in linea di continuità con la tradizione sindacale italiana dalla quale emerge
una “fenomenologia polimorfa delle tecniche di prevenzione e composizione del
conflitto che, attraverso l’analisi della loro struttura, difficilmente possono essere
ricondotte ad unità”38. Ad esempio, alcuni testi prevedono, laconicamente, che le
controversie sull’interpretazione e l’applicazione del contratto dovranno essere
sottoposte alle organizzazioni sindacali stipulanti per il tentativo di conciliazione39,
nazionali o territoriali a seconda del livello del conflitto40. In alcuni settori, è prevista
la necessità di procedere ad un esame congiunto per tentare la conciliazione della
lite41. Altri accordi42, invece, distinguono le controversie interpretative da quelle
collettive-applicative; le prime devono essere definite dalle associazioni nazionali,
mentre le seconde da quelle territoriali, in un termine di quindici giorni entro cui
“non si darà corso ad azioni sindacali”. Altri contratti collettivi, invece, prevedono
38
V. Bavaro, Le procedure di raffreddamento e conciliazione nei servizi pubblici essenziali, in M.
Ricci. a cura di, Sciopero e servizi pubblici essenziali, Torino, Giappichelli, 2001, p. 123 ss.. Cfr. anche
L. Bellardi, Le procedure di composizione dei conflitti nella recente esperienza contrattuale italiana e
nella riforma della l. 146/1990, in M. D’Onghia – M. Ricci, a cura di, Lo sciopero nei servizi pubblici
essenziali, Milano, Giuffré, 2005.
39
C.C.N.L. degli agenti e rappresentanti di commercio del 10 marzo 2010; C.C.N.L. agricolturacooperative del 3 agosto 2010.
40
C.C.N.L. del settore delle calzature, aziende industriali, del 14 giugno 2010.
41
C.C.N.L. cemento-aziende industriali del 20 marzo 2013.
42
C.C.N.L. del settore abbigliamento-confezioni del 9 luglio 2010; nell’C.C.N.L. del settore tessileaziende industriali del 2 settembre 2010.
13
procedure molto più complesse43, con l’istituzione di commissioni paritetiche
nazionali che hanno il compito di tentare la conciliazione quando sia insorta una
controversia tra i soggetti collettivi44.
Le previsioni contenute nel ccnl, in sostanza, non corrispondono né al modello
procedimentale prefigurato dagli accordi interconfederali (procedure di conciliazione
ed arbitrato), né prevedono un sistema sanzionatorio in grado di rendere effettivi gli
impegni contrattuali assunti.
9. Ciò probabilmente spiega il cambio di rotta impresso con il Protocollo sulla
rappresentanza del 31 maggio 201345. Anche questo accordo opera un collegamento
tra l’obbligo di tregua e procedure sindacali di risoluzione delle controversie e
prevede che i contratti collettivi “dovranno definire clausole e/o procedure di
raffreddamento finalizzate a garantire, per tutte le parti, l’esigibilità degli impegni
assunti e le conseguenze di eventuali inadempimenti” …. oltre a “concordare
modalità di definizione di eventuali controversie” che dovessero sorgere in relazione
all’applicazione concreta dei principi stabiliti dall’accordo.
Il Protocollo, intanto, prevede che sia oggi un obbligo quello che prima costituiva
una facoltà. Esso, inoltre, estende le controversie che possono essere decise secondo
tali procedure a tutti gli obblighi assunti dalle organizzazioni sindacali e, dunque,
anche quelli che non riguardano le regole sui livelli contrattuali. In terzo luogo, le
procedure che saranno individuate dai contratti di categoria riguardano tutte le parti
che, in ragione della loro adesione al sistema delineato dal Protocollo, sono tenute ad
applicare il contratto collettivo, a prescindere dalla loro sottoscrizione.
Il modello a cui le parti sociali hanno fatto riferimento, infine, sembra essere
quello adottato dalla legge sull’esercizio di sciopero nei servizi pubblici essenziali.
43
C.C.N.L. chimica-aziende industriali del 22 settembre 2012.
C.C.N.L. per i collaboratori familiari e confermata nel rinnovo del 21 maggio 2013; C.C.N.L. del
settore alimentare-aziende industriali del 27 ottobre 2012; C.C.N.L. del settore turismo-Confesercenti
del 4 marzo 2010.
45
Su cui v.di i commenti di A. Maresca, Il contratto collettivo nazionale di categoria dopo il
Protocollo d’intesa 31 maggio 2013, in Riv. It. Dir. Lav., 2013, pp. 707 ss. e di A. Viscomi, Prime note
sul Protocollo 31 maggio 2013, in Riv. It. Dir. Lav., 2013, pp. 749 ss.
44
14
Sebbene si dovranno attendere le scelte che saranno compiute dalla contrattazione di
categoria, si può dubitare che il sistema predisposto dalla legge n. 146 del 1990 sia
quello auspicabile46. Nell’ambito dei servizi pubblici essenziali, infatti, la legge è
intervenuta non tanto in funzione preventiva del conflitto, quanto per incidere sulle
concrete modalità di esercizio del diritto di sciopero, al fine di tutelare diritti di pari
rilevanza costituzionale47. Ciò ha giustificato l’introduzione di un soggetto terzo, la
Commissione di garanzia, con funzioni sostitutive e poteri di precettazione in caso di
violazione delle regole48. In base al Protocollo, invece, la procedura compositiva è
vista come alternativa allo sciopero e, dunque, non incide, ammesso che tale
possibilità possa essere ritenuta legittima, sulle modalità del suo esercizio. L’accordo,
infatti, è finalizzato ad impedire che il conflitto collettivo sfoci nell’astensione
collettiva od a iniziative unilaterali del datore e che esso, invece, sia mantenuto
all’interno di procedure di raffreddamento, le cui modalità dovranno essere definite
dalla contrattazione collettiva futura.
I contratti collettivi, inoltre, dovranno individuare le procedure per la definizione
delle controversie che dovessero sorgere in relazione all’inadempimento od
all’inesatto adempimento dell’obbligo assunto dalle parti49 e che si aggiungeranno o
si sostituiranno a quelle di diritto comune.
10. Allo stato, non solo non è possibile compiere previsioni su quali discipline
saranno introdotte dall’autonomia collettiva, ma non è possibile neppure avere
certezza se le previsioni contenute negli accordi esaminati e nel Protocollo ultimo
saranno rispettate in sede di contrattazione di categoria. E’ vero che, a tale proposito,
i sindacati hanno assunto l’impegno di indurre le loro strutture ad attenersi a quanto
46
Di questa opinione è A. Maresca, Il ccnl dopo il … op. cit., p. 745.
Sul punto non è possibile non rinviare alle condivise osservazioni di M. Grandi, Sciopero,
prevenzione del conflitto e servizi pubblici essenziali, in Riv. it. dir. lav., 1999, pp. 257 ss.
48
Su tali aspetti, cfr. M. Ricci, La Commissione di garanzia: profili generali, in M. Ricci, (a cura di)
Sciopero e servizi pubblici essenziali. Commento alla legge n. 146/1990, modificata e integrata dalla
legge n. 83/2000, Giappichelli, Torino, 2001 pp. 227 ss., e, nel medesimo commentario, M. D’Onghia, I
poteri della Commissione di garanzia, pp. 255 ss.
49
V.di, sul punto, ancora A. Maresca, Il ccnl dopo il … op. cit., p. 745.
47
15
concordato, ma è anche vero che, come dimostra la decisione assunta dal Tribunale di
Roma prima ricordata, l’eventuale inerzia delle organizzazioni nazionali e/o
territoriali difficilmente potrà comportare conseguenze giuridiche circa la validità dei
contratti che verranno sottoscritti dai livelli inferiori a quello confederale. L’effettivo
funzionamento di procedure di raffreddamento del conflitto, così come dell’intero
sistema di relazioni industriali, dipenderà, ancora una volta, dalle scelte che
concretamente
compieranno
le
organizzazioni
sindacali,
che
risentono,
inevitabilmente, della cultura sindacale di cui ciascuna categoria è portatrice.
A questo punto, sarebbe auspicabile una riflessione circa l’opportunità di un
intervento legislativo che regoli il contratto collettivo del settore privato. Il
legislatore, infatti, nel pieno rispetto dell’autonomia sindacale, potrebbe introdurre,
da un lato, disposizioni che attribuiscano una sorta di competenza esclusiva delle
confederazioni a decidere sulle controversie in esame, dall’altro, norme finalizzate a
premiare l’“affidabilità” dei soggetti collettivi. In tal modo, la legge, che dovrebbe
intervenire in una logica di supplenza all’inerzia sindacale, potrebbe contribuire a far
conseguire quell’interesse, comune alle organizzazioni sindacali ed alle autorità
politiche, nazionali ed europei, di avere un sistema di relazioni industriali in grado di
garantire un equilibrio, funzionale alla competitività del sistema produttivo, tra
autotutela collettiva e ragioni dell’impresa.
16