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Il Giornale dei Grandi Eventi 17 marzo 2005 Anno XI / numero 10 Editoriale Pronti a varare la legge-quadro per i teatri nel Lazio Francesco Storace Presidente della Regione Lazio E ' un piacere per me salutare un appuntamento importante come la prima esecuzione al Teatro dell’Opera di Roma del poema sinfonico di Pietro Mascagni “Rapsodia satanica”, accompagnata dall’altro capolavoro del maestro livornese “Cavalleria rusticana”. Del resto, questa amministrazione regionale ha posto la cultura tra le sue priorità di governo ed in questa direzione ha investito -sia in professionalità che in denari - ottenendo risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Attualmente il Lazio è una Regione che cresce anche sotto il profilo culturale, è una Regione che, ad esempio, ha "inventato" una rassegna come Lazio Estate, la quale dal 2002 ha portato la musica e il teatro in tutto il territorio regionale. Si tratta di una manifestazione in forte espansione, visto che il cartellone della prima edizione contava 300 spettacoli, mentre quello del 2004 è arrivato a 500. Questo è un Segue a pag. 13 Rapsodia satanica e Cavalleria rusticana per una serata Mascagni U na interessante “serata Mascagni” incentrata su due titoli, due atti unici di sicuro successo: Rapsodia Satanica e Cavalleria Rusticana. Ad affiancare la tragica storia di compare Turiddu, questa volta - nella sua prima rappresentazione a Roma dopo il debutto del 1917 - il poema sinfonico Rapsodia Satanica composto da Mascagni come colonna di accompagnamento all’omonimo film muto del 1915 e giudicato unanimemente di grande bellezza. E proprio la pellicola restaurata di questo film, che vede protagonista Lyda Borelli, Rapsodia satanica Le trame PROLOGO - Alba d'Oltrevita, «vestale bianca della morte», invecchia tristemente sola. In una sera d'estate, passando davanti a un vecchio quadro raffigurante Faust e Mefistofele, viene assalita da una sorta di invidioso desiderio. Dalla cornice del quadro esce, prendendo forma umana, lo stesso Mefistofde, che le propone un diabolico patto: Alba potrà tornare ad avere vent'anni, ma dovrà rinunciare per tutta la vita ad amare. In caso contrario il sortilegio svanirà. Segue a pag. 6 prima grande diva italiana, sarà presentata in sala accompagnata dalla musica dell’orchestra guidata da Marcello Panni, che di questa partitura ne ha redatto l’edizione critica. Dopo l’intervallo, ritorna, ad un anno esatto dal suo debutto, l’allestimento di Cavalleria rusticana realizzato su bozzetti di Renato Guttuso proprio per accontentare le grandi richieste di pubblico. Questa volta a cantare saranno Lucia Mazzaria, Alessandra Franceschi, Giuseppe Giacomini, Ambrogio Maestri e Viorica Cortez. Cavalleria rusticana La vicenda si svolge in un paese della Sicilia, il giorno di Pasqua. A sipario chiuso Turiddu canta una serenata alla bella Lola, da lui sempre amata, ma che al ritorno dal servizio militare trova sposata al cameriere Alfio. Pur avendo una relazione con Santuzza, una ragazza del paese, in Turiddu si riaccende la passione, ricambiata da Lola. La mattina di Pasqua Santuzza si reca dalla madre di Turiddu, Lucia, per aprirgli il suo cuore e metterla al corrente delle sue angosce. Infatti Turiddu, benché ab- Segue a pag. 12 Le Repliche Venerdì 18 marzo, 20.30 Domenica 20 marzo, 16.30 Mercoledì 23 marzo, 20.30 Lyda Borelli La prima grande diva italiana A Pag. 2 Rapsodia satanica Pietro Mascagni e il cinema A Pag. 6 e 7 Cavalleria rusticana Da elaborato per concorso a grande successo A pag. 9 2 Rapsodia satanica La protagonista del film “Rapsodia satanica Lyda Borelli, emblema del divismo italiano mo Novecento e già il suo primo film Ma l’amor mio non muore di Mario Caserini (1913), le regalò un enorme successo, tanto da consacrarla Divina. P ersonaggio principale del film muto Rapsodia Satanica con la regia di Nino Oxilia, musicato da Mascagni, è la contessa Alba d’Oltrevita, interpretata da Lyda Borelli, vera protagonista, insieme alla musica, di questa pellicola. Le sono accanto Andrés Habay (Tristano), Ugo Bazzini (Mefisto) e Giovanni Cini (Sergio), ma lei è la sola vera sacerdotessa dell’incipiente divismo che comincerà a trasformare gli attori in personaggi ammirati ed idolatrati in società. Attrice di teatro e diva del nascente cinema muto italiano, Lyda Borelli incarna quel fenomeno di divismo tipico della settima arte, la cinematografia, che fonde i diversi linguaggi artistici, amplificandone la portata sull’immaginario collettivo. Il personaggio Sorella di Alda, interprete pirandelliana di successo, Lyda Borelli (Rivarolo Ligure - Genova, 1884 - Roma, 1959) esordì in teatro nel 1902 con Francesco Pasta e Virginia Reiter, divenendo “prima attrice” nella compagnia di Virgilio Talli ad appena diciotto anni. Interprete di lavori dannunziani, accanto a Emma Gramatica e con Ruggero Ruggeri nel 1909, Iconografia e mito recitò anche sotto la direzione di Flavio Andò ed Ermete Novelli. Divenne ben presto una delle “prime donne” più amate del teatro e quindi del cinema italiano, rappresentando il nuovo modello di bellezza e sensualità femminile. Lyda Borelli è la versione decadente della diafana figura preraffaellita, le cui pose dannunziane da femme fatale e la recitazione basata sull’eccessività del gesto e sull’immediatezza dello sguardo - ora malinconico ora cupo - divennero il nuovo modello delle generazioni a venire, fino a creare una vera e propria moda. La sua recitazione, dalla forte drammaticità, assurse ad emblema del gusto esteriore e decadente del pri- Il G iornale dei G randi Eventi Direttore responsabile Andrea Marini Direzione Redazione ed Amministrazione Via Courmayeur, 79 - 00135 Roma e-mail: [email protected] Editore A. M. Stampa Tipografica Renzo Palozzi Via Vecchia di Grottaferrata, 4 00047 Marino (Roma) Registrazione al Tribunale di Roma n. 277 del 31-5-1995 © Tutto il contenuto del Giornale è coperto da diritto d’autore Kodak Le fotografie sono realizzate in digitale con fotocamera Kodak DC290 La gestualità delle sue mani è stata paragonata alle volute in ferro battuto in stile liberty dei metrò parigini, alcuni primi piani ci ricordano i volti di Klimt, i suoi movimenti, imitano dei gioielli di Lalique e Tiffany, i suoi atteggiamenti ricordano i manifesti di Mucha o le forme più significative dell’Art Nouveau. Tutto il corpo borelliano imita l’arte figurativa: la testa è rovesciata e le palpebre sono calate a metà sugli occhi. I suoi gesti, le inflessioni, gli atteggiamenti divennero moda, costituendo un vero e proprio fenomeno di costume, tanto che in quegli anni borellismo era il termine usato per definire la forte ammirazione delle adolescenti verso di lei, fino a sottoporsi a diete drastiche pur di imitare la sua corporatura esile. La filmografia della Divina non è, tuttavia, cospicua, poiché - diversamente da Francesca Bertini - si eclissò dalle scene all’apice del successo quando, il 19 giugno del 1918, sposò il conte Vittorio Cini (1885 - 1977), imprenditore di successo, poi Ministro delle Comunicazioni e Senatore del Regno. Da lui avrebbe avuto quattro figli, il primo dei quali, Giorgio, unico maschio, scomparve appena trentenne in un incidente aereo, ancora oggi ricordato grazie alla creazione di un due centri studi a lui intitolati: la Fondazione Giorgio Cini nell’isola di San Giorgio Maggiore a Venezia (1951) e l’Istituto di Cultura Casa Giorgio Cini a Ferrara. Il Giornale dei Grandi Eventi La Stagione 2005 5 - 10 aprile 2005 SERATA STRAVINSKIJ OEDIPUS REX (Edipo Re) di Igor Stravinskij UCCELLO DI FUOCO di Igor Stravinskij Direttore: Zotlan Pesko John Ullenhop, Mario Luperi, Michail Ryssov, Barbara Pintor Regia: Luigi Squarzina ALLESTIMENTO DEL TEATRO DELL’OPERA E TEATRO DI RIGA 28 aprile - 11 maggio 2005 TURANDOT di G. Puccini Direttore: Alain Lombard Giovanna Cassolla, Nicola Martinucci, Carla Maria Izzo, Michail Ryssov Regia: Giuliano Montaldo ALLESTIMENTO DEL TEATRO CARLO FELICE DI GENOVA 17 - 25 giugno 2005 THAÏS di Jules Massenet Direttore: Pascal Rophè Amarilli Nizza, MarcoVinco, Claudio Di Segni Regia: Alberto Fassini ALLESTIMENTO DEL TEATRO DELL’OPERA Stagione estiva alle Terme di Caracalla (Due opere ed un balletto) 5 - 6 luglio ROMEO E GIULIETTA balletto su musica di Sergej Prokof’ev Coreografia: Jean-Cristophe Maillot Interpretato dalla Compagnia Les Ballet de Monte-Carlo Dal 9 luglio Direttore: Dal 26 luglio Direttore: MADAMA BUTTERFLY di Giacomo Puccini Donato Renzetti AIDA di Giuseppe Verdi Placido Domingo Dal 10 agosto IL LAGO DEI CIGNI balletto su musica di Pêter Ciaikovskij Coreografia: Galina Samosova ORCHESTRA E CORPO DI BALLO DEL TEATRO DELL’OPERA 22 – 29 settembre LE NOZZE DI FIGARO di Wolfgang Amadeus Mozart Direttore: Gianluigi Gelmetti Anna Rita Taliento, Laura Cherici, Marco Vinco, Laura Polverelli Regia e Scene: Quirino Conti NUOVO ALLESTIMENTO DAS RHEINGOLD (L’Oro del Reno) di Richard Wagner Direttore: Will Humburg Ralf Lukas, Kristian Frantz, Hartmunt Welker, Katia Litting, Hanna Schwarz, Eva Matos Regia, Scene e Costumi: Pier’ Alli ALLESTIMENTO TEATRO ALLA SCALA In lingua originale con sovratitoli 18 – 25 ottobre 23 Novembre – 1 Dicembre LA SONNAMBULA di Vincenzo Bellini Direttore: Bruno Campanella Stefania Bonfadelli, Nina Makarina Dimitri Korchak, Enzo Capuano Regia: Pier Francesco Maestrini Gramsci definì Lyda Borelli «un pezzo di umanità preistorica, primordiale» per la sua potente sensualità, benché la accusasse di non saper «interpretare nessuna creatura diversa da se stessa». Ma le si chiedeva esattamente questo, inserita nei ruoli stereotipati dei drammi d’amore e morte di gusto liberty. Del resto negli anni del primo dopoguerra il pubblico italiano era prostrato in adorazione di dive come lei, ma fu Petrolini il primo a venerarla, scrivendo una canzone ora famosa: «Tutto muore quaggiù! Muore l’istinto, muore il cane, il cavallo ed il cammello… muore la pianta, la radice, il fiore..., ma l’amor mio, ma l’amor mio non muore!». Stefania Soldati Rapsodia satanica e Cavalleria rusticana Il Giornale dei Grandi Eventi 3 Il direttore Marcello Panni parla di questo ritorno di “Cavalleria” con “Rapsodia satanica” Il debutto romano di Rapsodia secondo la recente revisione critica D opo appena un anno torna al Teatro dell’Opera Cavalleria Rusticana, capolavoro di Mascagni del 1890: il titolo è stato riproposto considerate le poche repliche eseguite la passata stagione. Benché l’allestimento sia ancora quello di un anno fa, con scene di Maurizio Varamo tratte da opere di Guttuso, il cast è completamente diverso e vi saranno due debutti nei ruoli di Alfio e di Santuzza: quello del baritono Ambrogio Maestri, per la prima volta al Teatro dell’Opera e quella del soprano Lucia Mazzaria. L’atto unico di Mascagni sarà preceduto dal poema cinematografico-musicale Rapsodia satanica, dello stesso autore: originalissimo lavoro del 1915, è una delle prime colonne sonore per film muto italiano. ~~ La pellicola originale presentata al Teatro dell’Opera, sulle cui immagini suonerà l’orchestra, è stata restaurata dalla Cineteca Nazionale di Bologna che ne ha anche ravvivato e ricomposto le tonalità seppiate. Non è la prima volta in Italia che si trova in Rapsodia Satanica come appropriata ed interessante alternativa alla consueta opera Pagliacci di Leoncavallo, per integrare l’esecuzione di Cavalleria Rusticana. Per Roma, però si tratta della prima volta in assoluto, cui si unirà un’altra importante novità, ovvero la sua esecuzione secondo la revisione critica della partitura a cura del direttore d’orchesra, Marcello Panni, che sarà sul podio. «L’unica copia di riferimento della partitura di Rapsodia - La Locandina ~ ~ Teatro Costanzi, 17 – 23 marzo 2005 RAPSODIA SATANICA Poema cinematografico-musicale in un prologo e due parti Pellicola restaurata dalla Cineteca Comunale di Bologna Musica di Pietro Mascagni EDIZIONE CURCI – REVISIONE CRITICA DI MARCELLO PANNI Maestro concertatore e Direttore d’Orchestra Marcello Panni ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA Prima esecuzione a Roma Regia della pellicola Soggetto Sceneggiatura Nino Oxilia Alfa (Alberto Fassini), Fausto Maria Martini Alfa Personaggi / Interpreti Lyda Borelli Contessa Alba d’Oltrevita Tristano André Habay Mephisto Ugo Bazzini Sergio Alberto Nespoli Produzione: Cines, Roma, 1915 - 35 mm – B/N – 905 mt. (43’) - Completamento 1917 muto Prima rappresentazione musicata: Roma, Teatro Augusteo, 3 luglio 1917 – Direttore Pietro Mascagni spiega il maestro Marcello Panni era rimasta fino ad oggi quella di un oscuro copista che, nel 1961, ricostruì le perdute partiture originali di Mascagni in un lavoro molto impreciso, con errori di armonia e gravi omissioni, come quella del controclarone in si bemolle, uno strumento musicale usato Panni all’epoca so- Il maestro Marcello compositori di balletti russi. prattutto per le musiche di Per fortuna, come la televiStrauss e Mahler, che io ho sione non ha spazzato via il ripristinato per correttezza cinema, così il cinema non ha filologica. oscurato il melodramma. Ennio Morricone ha definito Quando arrivò il sonoro, inRapsodia Satanica la com- sieme alla guerra, fu invece il posizione più bella di Masca- secondo analogo progetto di gni, che voleva con questa Mascagni ad andare in fumo: creazione superare il succes- del Garibaldi, film che Maso ottenuto con il suo capola- scagni avrebbe dovuto musivoro Cavalleria del 1890. care ancora per la casa cineSono infatti venticinque anni matografica Cines, non se ne che separano Cavalleria - la fece più nulla. prima geniale opera di un L’impresa di Rapsodia Sacompositore tutto sommato tanica fu per Mascagni un ancor giovane e “inesperto” - lavoro difficile sotto tutti i da questo poema sinfonico, punti di vista: fin dai primi frutto invece di un lavoro estenuanti accordi contratraffinato, meditato, di un tuali con la Cines: come lo compositore ormai maturo e stesso compositore ricorda aperto a tutti gli echi del nel suo interessante epistolasinfonismo contemporaneo, rio, ci vollero circa dieci ore pensiamo ancora a Ravel, di contrattazioni prima di Mahler e Strauss. addivenire ad un accordo A parte la facilità melodica economico con gli avvocati. che è sempre stata una pecu- Successivamente vi fu il laliarità di Mascagni e che ri- boriosissimo lavoro composimane un tratto comune, i tivo, durante il quale s’impodue lavori sono sostanzial- nevano continue prove e rimente molto distanti. petizioni in collaborazione Già alcuni critici hanno so- con gli operatori cinematostenuto che Mascagni avesse grafici, per raggiungere la presentito il declino dell’ope- perfetta sincronia nella partira lirica, di fronte ai successi tura dell’accompagnamento del cinematografo e che aves- per la pellicola». se voluto, con la soluzione del D. Ci sono maggiori difpoema cinematografico-mu- ficoltà nel dirigere ed sicale, proporre un nuovo eseguire una composiziomodello per garantire il futu- ne musicale che deve sero del melodramma tradizio- guire i ritmi ininterrotti nale, con un’operazione, se di un film? vogliamo, affine a quella dei «La difficoltà di interagire non con cantanti in carne ed ossa, bensì con una proiezione cinematografica che segue inesorabilmente i propri tempi, si avverte nel lavoro di direzione, perché, pur godendo di un minimo margine di libertà, vi sono punti stabiliti in cui la sincronia tra orchestra e azione scenica del film deve essere perfetta. La bacchetta, dunque, non può fare a meno del cronometro! Rapsodia Satanica è strutturata secondo Leitmotive, per cui alcuni critici hanno avvicinato Rapsodia al Tristano di Wagner; in realtà, essa è molto più liberty e francese, con un’eco straussiana fortemente italianizzata. E’ quasi commovente il tentativo di Mascagni, grande creatore di melodie, di arricchire l’armonizzazione in senso più moderno, con cromatismi e ricercatezze armoniche che risultano però un poco ingenue. Mascagni, con l’avventura creativa di Rapsodia, rimase il precursore di altri generi musicali, pensiamo al musical di Broadway. Colpisce che, ancor oggi, diversi compositori contemporanei scrivano musiche per orchestra destinate ad accompagnare film muti». Andrea Cionci Il Giornale dei Grandi Eventi Rapsodia satanica 5 Rapsodia satanica nelle lettere di Mascagni La composizione con una mano al pianoforte ed una attenta sul cronometro «I eri mi fecero vedere una film (sic) intitolata: “La Canzone di Werner”. Ma è una stupidaggine assoluta. Oggi me ne hanno [fatto] vedere due; si tratta sempre di pellicole assolutamente nuove che sono appena in prova. Quelle due di oggi mi sono piaciute anche meno di quella d’ieri. Una è una cosa balorda intitolata: “La rivolta del Tirolo”; l’altra avrebbe qualche elemento buono, ma l’ultima parte (e specialmente la fine) è insulsa e stupidamente vacua. È intitolata: Rapsodia Satanica. Siamo sempre nel campo dei drammi a intreccio, che per la musica non si prestano. Se io accettassi quest’ultimo soggetto, si farebbe subito il contratto; ma io non ho coraggio di accettarlo, perché mi pare di scendere troppo in basso con un simile lavoro….». Scriveva così il 28 aprile 1914 Mascagni alla moglie Lina. Chiuso il capitolo Parisina (l’opera su testo di D’Annunzio era andata in scena l’anno prima non senza contrasti e polemiche, Mascagni era alla disperata ricerca di un nuovo lavoro e aveva ricevuto qualche proposta dalla casa di produzione Cines per una colonna cinematografica. Rapsodia Satanica di Nino Oxilia (1888 - 1917), interpretata da Lyda Borelli (divenuta famosa, nel 1912, con una travolgente interpretazione di “Salomè”), proponeva una versione al femminile del mito faustiano: è la storia della contessa Alba D’Oltrevita che stringe un patto con Mephisto; in cambio della giovinezza perduta rinuncia ad amare. Ma non manterrà la promessa e alla fine morirà vecchia e distrutta dal dolore. Dopo le prime perplessità, Mascagni si decise ad accettare la proposta di Rapsodia satanica e provò dunque l’esperienza, assolutamente nuova, di la- vorare a contatto con la dove c’è il pianoforte ed ho cominciato a trovare qualche macchina da presa. Scriveva il musicista alla tema, come già feci ieri. Se ci moglie il 18 maggio 1914: prendo la mano, credo di fare «… sono andato alla Cines. presto…». Il barone Fassini mi ha pre- E quattro giorni dopo, parato una bella stanzetta parlando del lavoro con il con la proiezione cinemato- cineoperatore, aggiungegrafica. È una stanza picco- va: «Si tratta di farmi ripetela, un po’ corta, ma molto co- re la proiezione centinaia di moda per me, perché da una volte, perché io possa segnare parte ho un tavolinetto con sopra una lampada coperta da un paralume verde che mi permette di prendere tutti gli appunti durante la proiezione e di segnarmi la durata di ogni singola scena. La cinematografia non riesce bene in questa stanzetta, perché non c’è spazio abbastanza e la proiezione riesce tutta tremolante; ma per me va benissimo. Prima di colazione io e Fassini ci siamo dedicati alla prima parte della film: dovevamo vedere quanto durava e dovevamo aggiungere lo spazio per i titoli (che ora non ci so- Mascagni la pianoforte no): tutte le volte che decidevamo di mettere un ti- volta per volta dove sono i tolo, facevamo sospendere la cambiamenti, dove c’è la tale proiezione, tagliare la pelli- scena, la tale altra, dove encola ed aggiungere due metri tra Tizio, dove esce Caio ecc. di pellicola bianca (dove poi ecc... Un lavoro terribile di ci verrà il titolo). Ho fatto co- minuziosa precisione, perché lazione con Fassini nella sua debbo segnare fino al millesistanza e poi ho ricominciato mo minuto di secondo; altriil lavoro con l’operatore. Ma menti non possono dare il i titoli della seconda e della giusto sentimento alla muterza parte non li ho curati sica. Intanto io compongo: oggi: mi sono invece prefisso trovo i temi e li sviluppo; ma di vedere quanto dura tutta poi li debbo tagliare, aggiula film: ho preso il mio bravo stare, ripetere, allungare, cronografo ed ho segnato la ecc. fino a tanto che non abdurata di ciascuna scena: e bia ottenuto la perfezione così ho veduto anche quanti nel far collimare la musica saranno i pezzi di musica oc- con la proiezione…». correnti. Il lavoro è lungo e E il 18 giugno scriveva anmeticoloso... ed anche noioso cora a Lina: «Ieri ho termiper l’operatore, perché ad nato la “Pavana” della Raogni scena bisogna fermare psodia: è riuscita una bella la macchina. Ora posso dirti cosa davvero originale ed che questa film non è affatto orecchiabile. Sono tanto conlunga: neppure un’ora. Con tento: oggi lavoro allo 55 minuti di musica me la “Scherzo” che deve riuscire cavo. Il cronografo mi serve a un capolavoro. Nella mia meraviglia. Sono stato anche stanza, alla Cines, mi hanno nella mia stanza di studio, collocato una macchinetta minuscola da Cinematografo, dove la film viene proiettata sopra un quadro grande come un fazzoletto: la macchinetta va a mano, ma è di grande giovamento per il mio lavoro che va avanti molto bene: lo strumentale spero di farlo a Livorno nel villino nuovo. [...]». Il 22, ulteriore correzione nelle modalità di lavoro: «Oggi abbiamo sistemato la macchinetta in un altro modo, ed ora va proprio bene: mentre leggo la musica, vedo anche la proiezione che rimane proprio sopra il leggio del pianoforte». Successivamente, trasferitosi nella sua villa ad Ardenza, Mascangi continuò il lavoro di adattamento della musica al film utilizzando una macchina fattagli arrivare dalla Cines. Con tutti i problemi che questa operazione comportava. Così scriveva il 3 ottobre 1914 ad Anna Lolli, una ex corista romagnola che fu la sua amante dal 1910 alla morte: «La macchina non va ed io non posso servirmene: colla scorta di quelle cifre del libriccino cerco di adattare la mia musica, lavorando col cronografo. Figurati che un pezzettino di musica che deve durare 14 secondi ho dovuto stanotte ripeterlo più di 150 volte per aggiustarlo. E sempre col cronografo alla mano». Il 18 novembre annunciava soddisfatto alla Lolli: «La Rapsodia si può dire ormai finita: infatti tutto è fatto; ma manca soltanto qualche punto di collegamento e qualche ritocco per tagliare ed aggiungere qualche battuta. È un lavoro lungo e penoso, perché bisogna farlo sulla pellicola che gira: sul cronografo non posso oramai fare più nulla: è necessario che Mimì (il figlio Domenico che lo aiutava nel lavoro facendo da operatore) giri la pellicola e bisogna tornare indietro 20, 30, 50 volte: una cosa terribile per il fatto che bisogna avvolgere nuovamente la pellicola, lavoro che deve essere fatto a mano, mancandoci ogni mezzo meccanico». Nel gennaio 1915, alla Cines, le prime prove di sincrono: «Abbiamo eseguito la musica con la pellicola girata dalla macchina elettrica. Io ne sono molto contento: va alla perfezione. Ti giuro, Lina mia, che non c’è neppure un minuto secondo di differenza da quando me la girava Mimì a Marzo… Aggiungi che era la prima volta che io la suonavo con la macchina elettrica e quindi non ero troppo padrone di me; e poi non potevo vedere bene la proiezione perché suonavo un pianoforte verticale che abbiamo dovuto metterlo [sic] di fianco essendo il davanti più alto della mia testa, ed essendo di fianco, dovevo voltare la testa per guardare la proiezione, mentre non potevo abbandonare con gli occhi la musica, non sapendola a memoria. Eppure, malgrado questo, il sincronismo è riuscito perfetto da cima a fondo. Ciò che non è riuscito è il finale nuovo che bisogna rifare ancora: è un vero peccato che finora non siano stati capaci a trovare un finale come si deve. Con la musica che ci ho messo io, poi, sono tutti convinti che ci vuole una cosa più complessa, più grandiosa». Il lavoro intorno alla Rapsodia si protrasse fino all’estate del 1915, anche perché le modifiche alla parte finale furono laboriose. Il 10 agosto 1915 Mascagni poteva finalmente annunciare alla Lolli: «Stamane sono stato da Tito Ricordi a consegnargli tutta la musica di Rapsodia, compresa anche la riduzione per pianoforte stampata, che ho corretto». Roberto Iovino 6 Rapsodia satanica Il Giornale dei Grandi Eventi Pietro Mascagni e la “Settima Dal soggetto rifiutato di “Garibaldi”, P ietro Mascagni visse per molto tempo a Roma, dove si spense ottantaduenne ne1 1945. E dunque da elogiare l’iniziativa della proiezione proprio nel tempio della lirica romana del raro film dell’epoca “muta”, realizzato nel 1915, ma presentato nel 1917, Rapsodia satanica. Scritto da Fausto Maria Martini, interpretato da Lyda Borelli (contessa Alba d’Oltrevita), Andrea Habay (Tristano ), Ugo Bazzini (Mephisto ), Giovanni Cini (Sergio ), il film fu diretto da Nino Oxilia ed ebbe, eccezionalmente per quei tempi, questa partitura musicale di Pietro Mascagni, eseguita con orchestra. La musica ed il “muto” Va osservato che il cinema “silenzioso” ebbe un suo mondo musicale. Infatti, come già apparve nel Settecento al coreografo dei balletti JeanGeorge Noverre, alla lunga qualsiasi spettacolo muto stanca; ed uguale era stata la sentenza di Sebastiano Arturo Luciani, musicologo e cineasta, a proposito del cinema. Se si afferma, parados- salmente, che il cinema è sempre esistito, rifacendoci all’antico teatro d’ombre, anche il “sonoro” è sempre esistito: i mostratori d’ombre si valsero di tamburi e flauti, in epoca primitiva e nelle tradizionali rappresentazioni d’Oriente (i wajang indonesiani, le ombre cinesi); all’epoca della Rivoluzione francese nelle case aristocratiche lo spettacolo era accompagnato da un clavicembalo; le lanterne magiche fe- Segue Trama “Rapsodia satanica” da pag. 1 PARTE I - Alba, che ha accettato il patto proposto dal demonio e vive la sua seconda giovinezza. Un giorno, però, incontra due fratelli, Tristano e Sergio, che tentano di corteggiarla. Una sera Sergio rivela ad Alba la sua passione, ma la donna lo allontana confessandogli di essere innamorata non di lui, ma del fratello Tristano. Sergio si uccide per la disperazione, mentre Alba, che ha infranto una prima volta il patto col diavolo, comincia rapidamente ad invecchiare con delle rughe che cominciano a segnarle la fronte. cero ricorso a carillons; poi il cinematografo di Lumière e Meliès si v’a1se di pianoforti e orchestrine, ed Edison e i suoi imitatori cercarono di coniugare proiettore ottico e fonografo. Leopoldo Fregoli dava addirittura la propria voce ai personaggi dei suoi filmetti, parlando o cantando dietro lo schermo. Aveva ottenuto dai Lumière un apparecchio da proiezione, che aveva trasformato e chiamato PARTE II: Alba osserva allo specchio il proprio rapido invecchiamento. Fa allora chiudere tutte le porte del suo castello perché non vi possano entrare la vita e il sole. Mefistofele però la tenta, svelandole che Tristano, ogni giorno recandosi alla tomba del fratello, sosta davanti all'abitazione della sua non dimenticata Alba con il desiderio di incontrarla ancora. Alba, incapace di resistere al desiderio d'amore, fa riaprire le porte per accogliere di notte il cavaliere: l’amplesso non sarà tuttavia con Tristano, ma con lo stesso Satana. Al primo bacio la donna riprende le sembianze dell'inizio e, per il suo irrefrenabile desiderio d'amore, giunge inevitabilmente alla morte. Fregoligraph, alla fine dell’Ottocento diventando, anche lui, un pioniere della cinematografia. Dai primi filmetti di pochi minuti si passò ad opere più complesse, cui si volle assicurare la collabo- razione di artisti e scrittori famosi. Furono chiamati, per film di maggiore attrazione, a creare apposite musiche, da eseguire con complessi orchestrali, Camille Saint –Saëns per l’Assassinio del Duca di Guisa ( 1908), Don Giocondo Fino per il Christus di Giulio Antamoro (1916), lldebrando Pizzetti per Cabiria (la “Sinfonia del fuoco”), un film realizzato nel 1914 da Giovanni Pastrone (Piero Fosco) ma firmato da Gabriele D’Annunzio, che però aveva scritto le didascalie ad opera già realizzata. A questi nomi si aggiunsero quelli di Erik Satie, Paul Hindemith, Georges Antheil, Dimitri Sciostakovic. Mascagni ed il cinema Pietro Mascagni fu invitato a scrivere una partitura per Garibaldi, ma non ne fu persuaso Il Giornale dei Grandi Eventi Rapsodia satanica 7 arte” alla sua vita in un film perché il soggetto mancava di sufficienti parti femminili. Accettò invece per Rapsodia satanica e vi si dedicò con impegno anche se fu un’occasione quasi unica, per lui. Poi non tornò al cinema che per qualche intervento musicale come in La canzone del sole di Max Neufeld (1933) ma solo per la parte che si svolge nell’Arena di Verona, mentre musiche ac- cessorie furono firmate da Cesare Andrea Bixio, sostituite nella versione tedesca da Giuseppe Becce. Cavalleria rusticana giunse sugli schermi italiani nel 1939 con la regia di Amleto Palermi, ma utilizzando musiche di folklore; poi nel 1953 con Carmine Gallone e nel 1984 con Franco Zeffirelli. Nel 1952 la vita di Mascagni fu narrata per lo schermo da Gi- acomo Gentilomo in Melodie immortali. Rapsodia satanica Nel soggetto di Rapsodia satanica sopravviveva un po’ del mefistofelismo della letteratura “scapigliata”, del “satanismo” della poesia del Carducci. La musica si rifaceva al solenne decadentismo delle precedenti opere del compositore, con estenuata sensualità ed ostentata crudeltà. La protagonista Alba d’Oltrevita, che vive nel Castello dell’illusione, è alle prese con tentazioni faustiane. Scende da un quadro della sua magione Mefisto a prometterle una nuova giovinezza a patto che rinunci per sempre all’amore. Alba perde la intristita truccatura di vegliarda e torna la giovane e splen- dente Lyda Borelli, dalle mosse flessuose e gli scatti vibranti di vita. Due fratelli se ne innamorano. Alba tenta di sfuggire all’incantesimo di Mefisto, ma, come ha voluto il dèmone, l’amore non sarà che una illusione beffarda. Rapportato ai tempi, il film risulta diretto con molta finezza, e il suo valore estetico va apprezzato. Apparve un’opera audace ed Oxilia ne rivendicò, non a torto, le qualità artistiche, anche per il concorso della “diva” per eccellenza, Lyda Borelli, che con Pina Menichelli, Francesca Bertini, Leda Gys, Hesperia, Soava Gallone, Maria Jacobini ed altre attrici creò la leggenda del “divismo” italiano, tenuto in giusta considerazione nel mondo, tanto da non passar dietro a quello danese, tedesco, nordico o statunitense. Sono da ricordare, della Borelli, anche La donna nuda, Madame Tallien, Carnevalesca, Ma l’amor mio non muore: tutti film che contrassegnarono un’ epoca. I giornali del tempo si occuparono ampiamente di Lyda Borelli, fino a quando non si ritirò a Venezia, ne1 1918, per sposare il Conte Cini. Una volta, nella stampa, venne condotta sulla sua bravura e bellezza una inchiesta, cui parteciparono, con ricordi personali, vari personaggi. Non è fuor di luogo citarne qualcuno. Il celebre capocomico Tornrnaso Salvini disse: «L’apparenza incoraggia. I suoi modi incutono rispetto». Un altro uomo di teatro, Luciano Ramo: «Ho un ricordo fatale e alcoolico. Fu da allora che mi detti all’assenzio. Per dimenticarla». Uno scrittore che desiderò mantenere l’incognito: «Graziosissima, ma le dissi che non ammiravo la sua bellezza, perché le donne sotto i settanta chili non hanno sesso». E uno degli scrittori più celebri e galanti dell’epoca, Guido Da Verona: «Sulla sua bellezza non posso dire in pubblico. Preferisco parlarne con lei. Ma a voce bassa». Mario Verdone 8 Cavalleria rusticana Alessandra Franceschi Il Giornale dei Grandi Eventi Lucia Mazzaria e Virginia Todisco Lola, l’antica amante Santuzza, donna ferita di Turiddu D L Alessandra Franceschi ola avrà la voce del mezzosoprano Alessandra Franceschi: nata a Roma, dove terminati i corsi universitari, ha studiato canto con il soprano Angelica Tuccari. La Franceschi ha al suo attivo numerosi debutti internazionali, dalla Spagna al Canada, dalla Svizzera al Brasile. Il suo repertorio spazia da Lo frate ‘nnamurato di Pergolesi, a La Favola di Orfeo di Casella, senza esclusione della più nota produzione melodrammatica ottocentesca, da Puccini a Verdi, da Donizetti a Bizet. E’ già stata acclamata interprete del personaggio di Lola in Cavalleria rusticana. Al Teatro dell’Opera di Roma ha cantato nella Manon Lescaut e ne La Rondine di Puccini, ma anche nel Magnificat di Vivaldi. Ambrogio Maestri e Silvano Carroli Alfio, il carrettiere di Licodia D ue baritoni daranno voce ad Alfio: Ambrogio Maestri (17, 20 marzo) e Silvano Carroli (18, 23 marzo). Ambrogio Maestri è nato a Pavia nel 1970, dove ha studiato pianoforte e canto, perfezionandosi poi con Umberto Grilli. Fin dal suo eccezionale debutto, avvenuto nel marzo del 2001, nel ruolo di Falstaff alla Scala di Milano con la direzione di Riccardo Muti, è riconosciuto come uno fra i migliori baritoni della sua generazione, soprattutto come interprete verdiano. Ha ricevuto il consenso di notissimi maestri e direttori di teatro (Zubin Mehta, Daniel Oren, Placido Domingo e Renzo Giacchieri) e si è esibito in tutto il mondo (dall’Arena di Verona all’Opera di Washington ed in Giappone). Il baritono Silvano Carroli è tra i più celebri allievi di Mario Del Monaco. Ha debuttato a Venezia nel ruolo di Marcello in La Bohème diretta da Franco Zeffirelli e da quel momento la sua carriera ha raggiunto la fama internazionale. Il suo reper- torio varia da Verdi a Puccini, da Mozart a Rossini, da Donizetti a Wagner, da Bizet a Leoncavallo e da Giordano a Mascagni. Ha debuttato nei maggiori teatri d’opera con Nabucco, Rigoletto, Macbeth, Otello, Silvano Carroli La Fanciulla del West, La Forza del Destino, Un Ballo in maschera, Andrea Chénier, Don Giovanni. Nella scorsa stagione ha cantato all’Opera di Roma in Tosca. Pagina a cura di Stefania Soldati - Foto di Corrado Maria Falsini ue saranno i soprani che si alterneranno nel ruolo di Santuzza: Lucia Mazzaria (17, 23 marzo) e Virginia Todisco (18, 20 marzo). Lucia Mazzaria è nata a Gorizia e, terminati gli studi di canto, si è aggiudicata il primo premio al Concorso Puccini di Lucca ed il secondo al Concorso Internazionale di Rio de Janeiro. Ha debuttato nel 1987 al Teatro La Fenice di Venezia e da allora si è esibita in teatri italiani e stranieri: dal Covent Garden di Londra, al Metropolitan di New York, ma anche in Norvegia e Giappone. A Roma ha cantato nel Macbeth di Verdi alle Terme di Caracalla. Virginia Todisco, nata nel 1970, si è diplomata in canto presso il Conservatorio di Salerno e ha debuttato nel ’98 al Teatro Municipale di Rio De Janiero nel Don Carlo, imponendosi subito sulle scene straniere e poi italiane. E’ stata Virginia Todisco Manon Lescaut al Teatro Massimo di Palermo (‘99) e alla Fenice di Venezia (2001) e nel 2002 ha interpretato il ruolo della protagonista in Aida al Festival di Tiro (Libano), teletrasmesso in tutto il mondo arabo. Ha debuttato in Cavalleria rusticana al Teatro Filarmonico di Verona nel 2000. Giuseppe Giacomini e Lance Ryan Lo spavaldo Turiddu D ue i tenori che daranno la voce a Turiddu: Giuseppe Giacomini (17, 20 marzo) e Lance Ryan (18, 23 marzo). Diplomato con il massimo dei voti all’Istituto Musicale Pollini di Padova, Giuseppe Giacomini ha iniziato la sua esperienza artistica vincendo i concorsi internazionali di Adria, di Vercelli, della Scala di Milano e del S. Carlo di Napoli. Ha debuttato nel 1967 con Madama Butterfly e da allora ha cantato nei maggiori teatri Giuseppe Giacomini d’opera: dal Covent Garden di Londra al Metropolitan di New York, dalla Deutsche Oper di Berlino al Colon di Buenos Aires. Questo tenore drammatico è un eccellente interprete pucciniano, ma viene anche acclamato nei maggiori ruoli verdiani. L’artista vanta prestigiose registrazioni discografiche tra cui l’integrale di Cavalleria Rusticana realizzata nel 1990 per la Philips, in concomitanza con il Centenario della prima rappresentazione al Costanzi di Roma (17 maggio 1890). Il tenore canadese Lance Ryan ha studiato sotto la guida di Carlo Bergonzi, Iris Adami Corradetti e Gianni Raimondi. Ha debuttato in Rigoletto (il Duca), Carmen (Don Josè), Les Contes d’Hoffmann (Hoffmann), Il Trovatore (Manrico), Nabucco (Ismaele), Tosca (Mario Cavaradossi), Die Zauberflöte (Tamino), Le Villi (Roberto). Nel 2002 ha vinto il Concorso Internazionale As.Li.Co. e l’anno successivo ha ottenuto il terzo premio al Concorso Internazionale Ottavio Ziino di Roma. Nello stesso anno ha interpretato il ruolo di Turiddu in Cavalleria Rusticana a Livorno, Lucca e Pisa Il Giornale dei Grandi Eventi Cavalleria rusticana 9 Storia dell’Opera Da elaborato per concorso a grande successo N el luglio 1888 l’editore Sonzogno bandì un concorso per un’opera in un atto, allo scopo di scoprire giovani talenti da lanciare in un momento di crisi per il teatro italiano, alla ricerca di nuovi idoli. Pietro Mascagni, espulso nel 1885 per indisciplina dal Conservatorio di Milano, insegnava allora in una scuola musicale a Cerignola e attendeva con ansia la grande occasione per tentare la via del teatro. Decise dunque di iscriversi. Scelse come soggetto la novella Cavalleria rusticana di Giovanni Verga e ne chiese il libretto all’amico letterato Giovanni Targioni Tozzetti, il quale nell’elaborazione si avvalse della collaborazione di Guido Menasci. Nel febbraio 1890 la commissione giudicatrice proclamò Cavalleria rusticana vincitrice del Concorso accanto a Labilia di Nicola Spinelli e a Rudello di Vincenzo Ferroni. Il 17 maggio 1890 il debutto e il trionfo al Teatro Costanzi di Roma: «…Ricordo solo che, dopo il grande duetto con Turiddu - scrisse la prima Santuzza, Gemma Bellincioni l’ovazione formidabile che ne seguì fu tale che, pure avvezza agli entusiasmi del pubblico, rimasi un momento sbalordita, sentendo come una marea salire intorno a me, nella manifestazione di un enorme trionfo». I caratteri di Cavalleria La novella Cavalleria rusticana era stata pubblicata da Verga nel marzo 1880 nel “Fanfulla della domenica”. Nell’autunno dello stesso anno lo scrittore l’aveva inserita nel volume “Vita dei campi” e nel 1883 ne aveva curato una rielaborazione teatrale che aveva avuto fra gli interpreti Eleonora Duse. Nel ridurre il testo verghiano Targioni Tozzetti e Menasci hanno rispettato scrupolosamen- te il dramma originario, mente quando, a sipario pur con alcune varianti. ancora calato, il Preludio Manca, ad esempio, ogni si interrompe e Turiddu riferimento ai carabinieri intona la Siciliana, pagina che Verga aveva inserito tra le più originali della non senza significato: partitura, che Mascagni l’Arma rappresentava alnon aveva avuto il coraglora la giustizia nazionagio di inviare al Concorle, il potere centrale, so e che fece ascoltare guardato con sospetto direttamente alla comdai siciliani che tenevano missione al momento alla loro autonomia. La della convocazione. struttura generale delL’irregolarità, la vitalità l’opera è a numeri: preluritmica e l’armonia assodio, Siciliana, coro lutamente moderna cond’introduzione, scena e tribuiscono in modo desortita di Alfio, scena e terminante alla resa preghiera, romanza e drammatica del racconto scena (duetto Santuzzascenico-musicale. MoTuriddu, stornello di Lomenti di grande tensione la, ripresa del duetto, sono il disperato racconduetto Santuzza-Alfio), to di Santuzza a mamma intermezzo, scena, coro e Lucia (“Voi lo sapete o brindisi finale. Il mamma”) con quelmeccanismo teatrale è architettato in modo da creare un collegamento stretto fra una scena e la successiva. I singoli episodi, infatti, non si esauriscono in se stessi ma confluiscono l’uno nell’altro. Il dialogo fra Santuzza e mamma Lucia, ad esempio, è interrotto prima dall’arrivo di compar Alfio, poi dalla funzione pasquale. Lo scontro fra Santuzza e Turiddu viene momentaneamente sospeso per l’intrusione di Lola. Il realismo affiora immediata- Pietro Mascagni l’acuto disperato sulle parole “Io son dannata”; l’acceso scontro fra Santuzza e Turiddu, un crescendo passionale nel quale in una prima fase alla veemenza di Turiddu (“Bada Santuzza, schiavo non sono di questa vana tua gelosia”) si contrappone una Santuzza angosciata e ancora quasi implorante (“Battimi, insultami, t’amo e perdono ma è troppo forte l’angoscia mia”) mentre nel finale, dopo l’apparizione di Lola e un estremo tentativo di addolcire l’amato con frasi tenere e arrendevoli, l’ira travolge Santuzza che prorompe in una delle imprecazioni più famose della letteratura operistica: “A te la mala Pasqua spergiuro”; infine, lo scontro, serrato, carico di tensione, fra Turiddu e Alfio che non accettando l’invito a bere da parte del primo, crea i presupposti per il duello mortale. Un’altra pagina merita una segnalazione. È l’incontro finale fra mamma Lucia e Turiddu (“Mamma quel vino è generoso”). Prima dello scontro con Alfio, forse presentendo la morte, Turiddu ha accenti di tenerezza raccomandando alla madre di vegliare su Santuzza. L’originalità di Cavalleria rusticana sta soprattutto nel taglio drammatico: l’atto unico (in un’epoca dominata dalle colossali partiture wagneriane) consente un ritmo narrativo serrato che trascina lo spettatore nel vivo del dramma passionale e non gli concede pause fino al tragico urlo “Hanno ammazzato compare Turiddu”. Turiddu va a morire fuori scena e davanti al pubblico rimangono, abbracciate, Santuzza e mamma Lucia. La conclusione adottata da Mascagni è modernissima: Cavalleria rusticana, opera verista, nel finale contraddice il canone verista della messa in scena sanguinolenta (vedi la fucilazione di Cavaradossi in “Tosca” di Puccini o l’uccisione di Colombina nei “Pagliacci” di Leoncavallo). Quanto all’urlo “Hanno ammazzato compare Turiddu” Toscanini affermò che le parole in un primo tempo erano state musicate dal compositore il quale aveva rinunciato alla musica su suggerimento del direttore Lepoldo Mugnone, dopo le prime prove al Costanzi. In realtà, i librettisti avevano inserito nel finale dell’opera addirittura alcuni versi che Mascagni non musicò: «Scusate amici - scrisse Mascagni a Targioni Tozzetti e Menasci, dando prova di un acuto senso teatrale - ma gli ultimi versi non mi vanno. Mi sembra raffreddino la mirabile conclusione del dramma. Per suscitare commozione negli uditori bastano le parole “Hanno ammazzato compare Turiddu” e nemmeno quelle musicherò. È sufficiente che queste arrivino agli orecchi degli spettatori come avviene nella recita del dramma verghiano». Roberto Iovino 10 Cavalleria rusticana Il Giornale dei Grandi Eventi Dalla novella di Verga, al dramma teatrale, fino all’opera di Mascagni Sentimenti semplici nelle tre versioni di Cavalleria A lcuni detrattori di Mascagni attribuirono la fortuna di Cavalleria Rusticana soprattutto alla importanza del soggetto, tratto dalla omonima novella del grande scrittore verista Giovanni Verga e dalla successiva trascrizione teatrale che l’autore siciliano ne fece per una interprete di grido come Eleonora Duse. La novella è sintetica, agile e drammatica: in quattro pagine Giovanni Verga scolpisce con la sua parlata - nella quale borbotta e ribolle il dialetto siciliano una storia semplice di amore adulterino e di feroce vendetta. I protagonisti hanno una loro nobiltà d’animo, una cavalleria appunto, un pudore di sentimenti ed accenti, ma sono al contempo sottoposti alla schiacciante legge “naturale” del focolare domestico e del senso dell’onore. Contrariamente al Naturalismo di Zola, che vedeva nelle vicende umane solo un intrigo di umori viziosi, di perversioni e deviazioni psicologiche derivate dall’abbrutimento fisico e morale degli uomini, il Verismo verghiano considera anche i sentimenti positivi, il modo elementare e irrinunciabile di essere uomini presente anche nelle fasce della società più soffocate dalla povertà e dal bisogno. Nello scarno racconto il coinvolgimento del narratore è sul piano intellettuale piuttosto che su quello emotivo: Verga è estraneo alla vicenda e tuttavia partecipa con pietosa pacatezza della triste fatalità delle passioni, delle condizioni e dei destini dei protagonisti. Verga è stato definito pittore della morte, intesa non come elemento di discontinuità ma come fenomeno definitivo che tocca tutta l’umana famiglia, una concezione di «vita» che è piuttosto viaggio verso l’annientamento, da analizzarsi nelle sue cause e nella sua evoluzione, con consapevole lucidità. Dal nucleo denso della novella l’autore siciliano sviluppò il dramma teatrale, dilatandola per ben tre atti. Nella trascrizione teatrale, cui Mascagni, Targioni Tozzetti e Menasci fecero riferimento, la novella, oltre ad arricchirsi di nuovi personaggi, di tratti vagamente sentimentalistici e retorici, comporta anche importanti mutamenti nel profondo. Alla fine della novella Turiddu promette ad Alfio: «Vi ammazzerò come un cane per non far piangere la mia vecchiarella» e, cadendo ucciso, scrive Verga, «non poté proferire nemmeno: Ah! Mamma mia!». Nel finale del dramma invece si av- verte tutta l’ampiezza dei mutamenti operati da Verga: Turiddu ammette di fronte allo sfidante di avere un debito di coscienza con Santuzza, e combatterà fino alla morte perché «son’ io che l’ho fatta cadere nel precipizio, e quant’è vero Dio, vi ammazzerò come un cane per non lasciare quella poveretta in mezzo alla strada.» Ancora, nella novella, Lola ha un ruolo centrale: Turiddu, risentito per il fatto che la bella sia andata in sposa al ricco Alfio, borbotta: «Voglio fargliela proprio sotto gli occhi a quella cagnaccia!»; così egli si mette a corteggiare Santa, la figlia di Massaro Cola, quasi unicamente per indispettire e ingelosire la sua antica fiamma. Lola è un’ossessione carnale, Santa quasi un diversivo, un ripiego, la madre, in realtà, è la donna amata dal giovane Turiddu. Invece, per la diva Eleonora Duse, Ver- Eleonora Duse come Santuzza, nel 1884 ga ingigantì il personaggio di Santuzza, te sfogata tra il registro cencreando un grande ruolo trale e quello acuto sono la tragico, quasi «greco». «carne musicale» con la La geniale inventiva melo- quale Mascagni ha rivestito dica di Mascagni, il raffina- con eccezionale capacità di to intreccio delle frasi, gli sintesi il dramma verghiasplendidi momenti stru- no, aprendo una pagina mentali del Preludio e del- nuova nella storia del melol’Intermezzo, la prorom- dramma. Andrea Cionci penza canora continuamen- L’autore della novella e del dramma teatrale Giovanni Verga, padre del Verismo G iovanni Carmelo Verga nacque a Catania, secondo di sei figli, il 2 settembre 1840 al numero 8 di via Sant’Anna da Giovan Battista Verga Catalano e Caterina Di Mauro Barbagallo originaria di Belpasso (paesino a circa 15 Km a ovest di Catania), ed era discendente del ramo cadetto dei baroni di Fontanabianca. Una famiglia appartenente alla nobiltà antica di Vizzini, un grosso borgo che si trova a metà strada sulla via che porta da Catania a Ragusa. Un documento dell’8 settembre 1840 dell’archivio arcivescovile di Catania attesta che la nascita del Verga era stata “rivelata” in quello stesso giorno insieme al battesimo avvenuto nella chiesa dei Santi Apostoli, alla presenza dei due padrini, gli zii don Giuseppe e donna Domenica Verga. Lasciati gli studi di legge per entrare, nel 1861, nella Guardia Nazionale, manifesta fin da giovane un grande interesse per la letteratura, pubblicando a soli 22 anni il romanzo storico “I carbonari della montagna”. Già in quest’opera è visibile l’ardore patriottico dell’autore, e il suo impegno politico per l’annessione della Sicilia al Regno d’Italia; questi si fanno più evidenti con il secondo romanzo, “Sulle lagune” (1863) e con la fondazione del giornale “Roma degli Italiani”. Nel 1865 si trasferisce a Firenze, pubblicando i romanzi “Una peccatrice” (1866) e “Storia di una capinera” (1871), quest’ultimo di grande successo. Si sposta poi a Milano, dove entra in contatto con scrittori del calibro di Arrigo Boito, Giuseppe Giacosa, Federico De Roberto; pubblica i romanzi “Eva” e “Tigre reale” (1874), “Eros” (1875) e la raccolta “Primavera e altri racconti”(1876). In una lettera del 1878 espone il suo progetto di un ciclo di romanzi, il cui comune denominatore sarebbe dovuto essere la teoria evoluzionistica darwiniana e il cui modello i romanzi di Zola, dal titolo “I vinti”. Il Verga ha una concezione dolorosa e tragica della vita. Pensa che tutti gli uomini sono sottoposti a un destino impietoso e crudele che li condanna non solo all’infelicità e al dolore, ma ad una condizione di immobilismo nell’ambiente familiare, sociale ed economico in cui sono venuti a trovarsi nascendo. La visione verghiana del mondo sarebbe la più squallida e desolata di tutta la letteratura italiana se non fosse confortata da tre elementi positivi. Il primo è quel sentimento della grandezza e dell’eroismo che porta il Verga ad assumere verso i “vinti” un atteggiamento misto di pietà e di ammirazione: pietà per le miseria e le sventure che li travagliano, ammirazione per la loro rassegnazione. Secondo elemento positivo è la fede in alcuni valori che sfuggono alla dure leggi del destino e della società: la religione, la famiglia, la casa, la dedizione al lavoro, lo spirito del sacrificio e l’amore nutrito di sentimenti profondi ma fatto di silenzi, sguardi furtivi e di pudore. Il terzo elemento è la saggezza che ci viene dalla coscienza dei nostri limiti e ci porta a sopportare le delusioni. Nel 1880 esce la raccolta di novelle “Vita dei campi”; l’anno successivo il primo romanzo del ciclo dei vinti e il suo capolavoro, “I Malavoglia”; nel 1882 il romanzo “Il marito di Elena”; nel 1883 le raccolte di novelle “Per le vie” e “Novelle rusticane”. Nel 1884 riscrive per il teatro una sua novella contenuta in “Vita dei campi”, la “Cavalleria rusticana”, in scena a Torino con la compagnia di Cesare Rossi (il ruolo di Santuzza affidato ad Eleonora Duse), lavoro che Pietro Mascagni tramuterà in opera lirica nel 1890. L’importanza di quest’opera nella storia del teatro italiano sta nell’aver introdotto sulla scena il foclore locale, l’immediatezza del messaggio. Nel 1888 esce il secondo romanzo del ciclo dei vinti, il “Mastro don Gesualdo”. Raggiunta l’agiatezza economica e la tranquillità sentimentale, dopo alcune relazioni anche adulterine, nel 1894 si ritira a Catania e pubblica ancora una raccolta di novelle, “Don Candeloro”; nel 1903 esce il dramma “Dal tuo al mio”, nel 1911 inizia il terzo romanzo del ciclo, “La duchessa di Leyra”, che però rimane fermo al primo capitolo. Nominato Senatore del Regno nel 1920, muore a Catania il 27 gennaio 1922. Il Giornale dei Grandi Eventi Cavalleria rusticana 11 “Cavalleria” nella critica del tempo Straordinario entusiasmo alla “Prima” L a prima rappresentazione assoluta della “Cavalleria rusticana” fu al 17 maggio 1890, al Teatro Costanzi di Roma alla presenza della Regina Margherita. Interpretiil soprano Gemma Bellincioni nel ruolo di Santuzza, il mezzosoprano Annetta Gulì in quello di Lola, il tenore Roberto Stagno come Turiddu, il baritono Gaudenzio Salassa nei panni di Alfio ed il contralto Federica Casali in quelli di Lucia. La rappresentazione ebbe un successo trionfale e consacrò naturalmente Pietro Mascagni astro nascente dell’infinita schiera dei compositori. Francesco d’Arcais (critico musicale e compositore, componente della Commissione giudicatrice) a proposito del suo ingegno affermava: “In lui si riuniscono qualità che di rado vanno congiunte: Mascagni ha infatti la nota potentemente drammatica, la nota elegiaca, la nota gaia e brillante […]”. L’enorme successo portò d’Arcais ad aggiungere: “Cavalleria rusticana percorrerà un bel cammino e resterà nel nostro repertorio”, contraddicendo l’opinione dell’editore Sonzogno secondo il quale l’opera, pur bella, non era teatrale! Sonzogno era probabilmente l’unico ad avere riserve sul lavoro mascagnano. I giornali furono compatti nell’esaltarlo. Sul “Capitan letteralmente Fracassa”, il impazziti. Urgiorno succeslavano, agitavasivo al debutto no i fazzoletti; si leggeva: nei corridoi la “[…] non un gente si abbracapplauso, non ciava. Abbiamo un grido, ma un un maestro! Viurlo tonante va il nuovo scoppiò in Teamaestro italiatro, e tutti, scatno. Ancora ho tando in piedi, negli orecchi proruppero in queste grida riun’ovazione petute da cento quale di rado si bocche.” era udita da anL’anno sucni e da anni nel cessivo, il 3 Teatro Melogennaio 1891, drammatico “Cavalleria” […]. Sono ancoapprodò alla ra sotto l’imScala e Giopressione di un vanni Battista diletto spirituaNappi su “La le intenso, duraPerseveranza” to circa due ore; il 4 gennaio sono ancora sotscriveva: “[…] to il fascino di La Scala per la Primi interpreti Cavalleria Roberto Stagno (Turiddu) e Gemma Bellincioni (Santuzza) quella musica qualità e quantutta chiarezza e tità di pubblico passione, così soavemente La stessa Gemma Bellin– la cosiddetta tutta Milamelodica.” cioni, Santuzza sulla sceno dei grandi avvenimenti Ancora Francesco d’Arna, intervistata da Alberartistici – offriva ieri sera cais su “L’opinione”, to Gasco su “La tribuna” uno spettacolo veramente sempre il 18 maggio 1890 dichiarò tempo dopo: incantevole. Bisognava riannotava: “Il successo è il “[…] Voi non potete nepmontare alle prime rapprediscorso del giorno. Da pure lontanamente avere sentazioni delle opere di gran tempo non si assisteva un’idea di quel che successe Ponchielli per ricordare a un avvenimento artistico nella sala del Costanzi in un’assemblea così avidadi tanta importanza. Il giuquella serata indimenticamente curiosa ed eccitata dizio del pubblico ha conferbile. Dopo la Siciliana il dal desiderio di forti emomato in modo luminoso le pubblico applaudì, dopo la zioni; quelle che altre asprevisioni della commissioPreghiera acclamò con ensemblee hanno provato alne e di tutte le persone che tusiasmo, dopo il duetto fra l’audizione di un’opera che avevano assistito alle prove. Santuzza e Turiddu diede conta già parecchi trionfi, Nel suo genere, nelle sue in manifestazioni di gioia vittoriosa di pubblici diffiproporzioni, la Cavalleria è delirante. Alla fine dell’odenti e difficili, obbligati a un capolavoro”. pera gli spettatori parevano lasciarsi sedurre e comInfine, Anna Maria Pettigiani su “Cronache d’altri tempi” avrebbe ricordato anni dopo, nel 1957: “Ogni sera, durante il racconto di Santuzza bisognava interrompere tutto per dar modo al pubblico di salutare con un suo grido quell’appassionato impetuoso indicibile “…l’amai” che la Bellincioni sembrava far uscire con un singhiozzo dal più profondo dell’esser suo. A quel punto, invariabilmente, ella doveva arrestarsi e andare a prendere per mano Mascagni ancora sbalordito dalla grandiosità e quasi dalla violenza del proprio successo, per condurlo dinanzi a quel pubblico delirante […]”. Gli autori di Cavalleria Rusticana: Targioni-Tozzetti, Mascagni, Menasci muovere dal dramma in cui vibrano fortemente le passioni umane e soprattutto della musica di Mascagni nella quale si è voluto trovare l’impronta di una vera potenza creatrice […]”. Dopo i trionfi scaligeri, l’opera di Mascagni parte alla conquista dell’Europa. Il 20 marzo 1891 è applaudita allo Staatsoper di Vienna in lingua tedesca. Eduard Hanslick sul “Ans dem Tagebuch eines Musikers“ nel 1892 osservava: “Più che un fatto raro è addirittura un avvenimento straordinario che l’opera d’esordio di un giovane compositore italiano non solo venga salutata in Italia come un capolavoro, ma sia subito rappresentata nei maggiori teatri tedeschi e in lingua germanica. Nella storia della musica “Cavalleria rusticana” di Mascagni è il primo esempio di una così rapida affermazione internazionale. Mascagni è figlio della sua terra e come suo padre spirituale potrà essere indicato soltanto Giuseppe Verdi. Ed è da Verdi che l’opera italiana e Mascagni in specie, hanno ereditato il gusto della tensione appassionata, dei poderosi crescendi, della musica che scuote il sangue. Dal giovane Verdi ha appreso la fervida sensualità; dal vecchio la forma del declamato […]. Fr. Or. 12 Cavalleria rusticana Il Giornale dei Grandi Eventi Un movimento che influenzò ogni forma di pensiero Il Verismo tra letteratura e musica I l Verismo fu un movimento letterario e artistico, sviluppatosi sul finire dell’Ottocento, che propugnava l’estrema aderenza alla verità. In Letteratura In letteratura, sviluppatosi in Italia fra il 1875 e il 1890, pur richiamandosi alla tendenza realistica del romanticismo che fa capo a Manzoni e prendendo forma nell’ambiente fervido di stimoli culturali della scapigliatura lombarda, si ricollega direttamente alle teorie positivistiche e al grande modello del naturalismo francese. Mentre gli scrittori realisti francesi avevano dietro di sé una società matura e consapevole e potevano quindi fare delle loro opere uno strumento di azione rinnovatrice, i nostri scrittori veristi si trovavano dinanzi a masse culturalmente sprovvedute e incapaci di recepire il messaggio sociale a esse rivolto. Di qui la condizione di isolamento dello scrittore verista che assume un atteggiamento più contemplativo che attivo e volge la sua attenzione alle sofferenze delle plebi contadine, ma è incapace di sottrarsi al paternalismo e di additare concrete possibilità di riscatto. Accanto a questa fondamentale differenza tra naturalismo francese e verismo italiano (orientato il primo verso le classi sociali produttive dal proletariato all’alta borghesia, volto il secondo a descrivere il mondo agricolo-provinciale e le plebi contadine) è da rilevare il carattere moderato, meno rigido, con cui fu applicata la teoria zoliana del “romanzo sperimentale” e lo stesso canone dell’impersonalità. Teorizzato da Luigi Capuana, il verismo ebbe in Sicilia il suo massimo rappresentante in Giovanni Verga. In Calabria il verismo si presenta nelle contrapposte versioni del documentarismo socialmente impegnato di Padula e della cronaca pittoresca e folclorica di Misasi. La chiassosa e dolente civiltà partenopea ha i suoi affettuosi interpreti in Matilde Serao e in Salvatore Di Giacomo, mentre la remota civiltà racchiusa nel paesaggio sardo Mascagni Franchetti e Puccini viene evocata, con arte sospesa tra verismo e decadentismo, da Grazia Deledda. In Italia centrale l’allucinato paesaggio dell’Agro Romano ha il suo appassionato cantore in Cesare Pascarella, mentre le zone più selvagge e pittoresche dell’Abruzzo sono sublimate nella sgargiante scenografia delle dannunziane Novelle della Pescara; in Toscana il verismo si attenua nel bozzettismo folcloristico di R. Fucini, o viceversa si irrobustisce nella risentita moralità di M. Pratesi. Nell’Italia settentrionale, infine, la lezione verista si riflette nella Milano di E. De Marchi, con la sua atmosfera grigia e stagnante, e si avverte negli scorci di vita piemontese di Giuseppe Giacosa e negli sfondi di paesaggio veneto di Fogazzaro. Dopo aver nutrito la formazione di Luigi Pirandello, il verismo ha trovato rinnovata fortuna, nel secondo dopoguerra, in coincidenza con la fioritura del neorealismo. Nella Musica Nell’ambito della storiografia musicale si applica il termine verismo a una fase della storia del melodramma tra Ottocento e Novecento illustrata dai nomi di Puccini, Mascagni, Leoncavallo, Giordano e Cilea. Le relazioni con l’omonimo movimento letterario sono tutt’altro che univocamente definite, riscontrandosi nel verismo musicale caratteristiche spe- cifiche e peculiari. Notevoli sono i prestiti dall’esperienza operistica francese (grandopéra e opéra-comique) sia nella scelta dei soggetti, ispirati alla storia o alla realtà quotidiana, sia nella suggestione verso un esotismo di ~~ maniera, estraneo all’esperienza letteraria verista. Se Bizet e Massenet sono da indicare come i modelli più prossimi dei veristi italiani, il prologo dei Pagliacci (1892) di Leoncavallo è da considerarsi come una sorta di manifesto del movimento in Italia. Vero è che questo non ebbe mai, né sul piano dei contenuti (aperti a recuperi tardoromantici e a incrinature dell’originaria matrice naturalistica nella direzione dell’impressionismo, del simbolismo, del decadentismo, ecc.), né su quello dello stile (oscillante tra la fedeltà agli arche- La Locandina ~ ~ Teatro Costanzi, 17 – 23 marzo 2005 CAVALLERIA RUSTICANA Melodramma in un atto Libretto di Giovanni Targioni –Tozzetti e Guido Menasci Musica di Pietro Mascagni EDITORE PROPRIETARIO CASA MUSICALE SONZOGNO DI PIERO OSTALI, MILANO Maestro concertatore e Direttore d’Orchestra Marcello Panni Regia Scene di Riprese da bozzetti di Maestro del coro Costumi Movimenti coreografici Disegno Luci Stefano Vizioli MaurizioVaramo Renato Guttuso Andrea Giorgi Anne Marie Heinreich Alfonso Paganini Bruno Monopoli Personaggi / Interpreti Lucia Mazzaria / Virginia Todisco (18, 20/3) Lola Alessandra Franceschi Turiddu Giuseppe Giacomini / Lance Ryan (18, 23/3) Alfio Ambrogio Maestri / Silvano Carroli (18, 23/3) Mamma Lucia Viorica Cortez Santuzza Allestimento del Teatro dell’Opera ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA tipi del melodramma verdiano e i recuperi di marca francese o addirittura wagneriana) un profilo unitario. Più di un movimento è lecito parlare - per la storia del melodramma italiano - di un’atmosfera “veristica” i cui echi giungono sino alla Turandot (1926) di Puccini, che costituisce anche il più valido tentativo da parte dell’esponente più alto di questa stagione del gusto, di emanciparsi dal vincolo dei suoi schemi. Inoltre, caratteristica del clima culturale italiano posteriore alla I guerra mondiale fu la frattura netta che gli esponenti del rinnovamento musicale italiano appartenenti alla cosiddetta “generazione dell’Ottanta” (Malipiero, Casella, Pizzetti, Respighi) tracciarono tra la propria esperienza culturale e quella del verismo, la quale - anche per questo - rimase un episodio relativamente isolato entro cui andò liquidandosi la grande tradizione del melodramma romantico italiano. Segue Trama “Cavalleria Rusticana” da pag. 1 bia detto di recarsi a Francofonte per comprare il vino, era stato visto di notte in paese. Quando Turiddu arriva, Santuzza lo affronta in un tempestoso colloquio, nel quale l’uomo le rinfaccia di avergli impedito di seguire Lola e la getta a terra, allontanandosi. Santuzza furiosa gli augura la “mala Pasqua” e quindi si reca da Alfio per rivelargli la relazione tra Turiddu e Lola. All’uscita della Messa, durante il brindisi, Alfio rifiuta il vino offertogli da Turiddu e lancia la sfida per un duello. Secondo il rituale i due si abbracciano. Turiddu morde l’orecchio di Alfio e poi, dopo aver affidato Santuzza alla madre nel caso di sua morte, raggiunge Alfio. All’improvviso un grido da dietro la chiesa rivela il drammatico esito del duello, confermato dal grido “Hanno ammazzato compare Turiddu”. Il Cavalleria rusticana 13 Cavalleria, un caso giudiziario Giornale dei Grandi Eventi “C avalleria rusticana” è legata a un caso giudiziario che fece all’epoca notevole scalpore e contrappose Mascagni e Sonzogno a Giovanni Verga. Quando il musicista scelse la novella del padre del Verismo letterario, non chiese alcuna autorizzazione allo scrittore in quanto il concorso era a buste chiuse. Al momento della proclamazione dei titoli vincitori Mascagni, classificato al primo posto, dovette rivolgersi a Verga con urgenza. Gli scrisse dunque il 9 marzo 1890: “Illustrissimo Sig. Cav. Giovanni Verga, mi perdoni la libertà che mi prendo nello scriverle questa mia chiedendole un favore che la sua gentilezza, spero, non vorrà rifiutarmi. Credo che Pietro Mascagni il Sig. Giovanni Salvestri le avrà scritto che io presentai al Concorso Sonzogno un’opera col titolo “Cavalleria rusticana” tolta completamente dal suo noto lavoro; […] Adesso le cose sono precipitate: un telegramma mi chiamò a Roma dove la Commissione del Concorso mi annunziò che la mia opera era risultata la migliore e perciò si sarebbe messa in scena nel prossimo aprile al Teatro Costanzi di Roma. Si figuri la mia sorpresa riuscire primo sopra settantatre concorrenti! La mia commozione fu profonda. Mi vedo aperto un avvenire! Mi attendo da Lei, gentilissimo Signore, una parola che mi conforti maggiormente: attendo il Suo consenso; e sono certo che non vorrà interrompere un sogno dorato a chi vede in questo fatto il principio di una carriera. Il libretto per musica fu scritto dal Prof. Targioni-Tozzetti di Livorno ed è riuscito assai buono, tanto da meritare un voto di lode anche dalla Commissione musicale del Concorso.[…]” Una seconda lettera di Mascagni (in risposta ad un’altra dello scrittore) Segue da pag. 1 modo per far arrivare la cultura anche nei Comuni più piccoli. Ed ora siamo pronti pure a varare una legge quadro sullo spettacolo dal vivo. Parliamo - lo so - di un terreno delicato, in cui le competenze regionali si intrecciano con quelle nazionali. Noi, però, siamo pronti. E abbiamo individuato i punti fermi del provvedimento che vareremo, una volta che sarà fatta chiarezza in modo definitivo sulle competenze. La nostra legge punterà sulla creazione di teatri stabili nei capoluoghi di provincia; sulla ristrutturazione dei teatri stabili già esistenti sul territorio; sulla previsione di piani triennali e annuali, di concerto con gli enti locali, per la programmazione degli eventi; su un tavolo di coordinamento con le altre Regioni, per mantenere alto il dibattito sui temi legati alto spettacolo. Vogliamo continuare, poi, nella politica dei grandi eventi, che proprio pochi giorni fa ci ha portato a inaugurare la Mostra sulla Grande Guerra e che, nel corso di questi anni, ha visto la Regione promotrice e sponsor di numerose mostre di altissimo livello. Vogliamo continuare, in definitiva, sulla strada della valorizzazione di tutto il comparto della cultura e dello spettacolo, che per Roma e per il Lazio hanno un'importanza decisiva, anche dar punto di vista economico. Vogliamo che il “Modello Lazio” non sia un modello solo sotto il profilo economico e sociale, ma anche da quello culturale. Per questo ci muoviamo e ci muoveremo. Ed a tal fine reputo giusto ringraziare tutti coloro che contribuiscono, con il loro straordinario lavoro di alta professionalità e preziosa tradizione, a fare grande il Teatro dell'Opera, vero e proprio fiore all'occhiello della Capitate e di tutta la nostra Regione. Francesco Storace Presidente della Regione Lazio risale al 27 marzo 1890: “…Non può credere…con quanta ansia attendessi quella lettera e come rimasi contento della Sua cortesia e bontà a mio riguardo. Io la ringrazio dal più profondo dell’animo mio; e l’assicuro della mia eterna riconoscenza e devozione. Rimasi però mortificatissimo nel sentire che Lei avrebbe volentieri prestato l’opera Sua, unendo il Suo nome illustre al mio meschino nome. Dio mio, se l’avessi almeno supposto! Quale onore per me, quale orgoglio… In ogni modo le sono riconoscente della Sua risposta. […] In quanto agli interessi, Ella mi mostra, ancora una volta, la sua delicata gentilezza. Io le parlo schiettamente. Oggi mi sarebbe impossibile muovere anche il più piccolo passo. Ma ho tutta la speranza di vendere l’opera dopo la prima rappresentazione; ed allora potremo intenderci, come Ella dice nella Sua lettera. Certo non può credere, illustre Signore, quante emozioni abbia provato in poco tempo il mio animo. Io vivo qua a Cerignola da quattro anni, dimenticato, abbandonato da tutti; e la mia vita è stentata; è vita di privazioni, di miseria. Oggi vedo un avvenire”. Il 7 aprile successivo a Vizzini e il 9 aprile a Cerignola fu firmato il contratto tra Verga e Masca- gni: lo scrittore dava al musicista la facoltà di versificare (o far versificare), ridurre per musica e far rappresentare il suo lavoro drammatico intitolato “Cavalleria rusticana”. Verga veniva riconosciuto come l’autore del libretto. TargioniTozzetti e Menasci semplici locatori d’opera, assimilabili a un traduttore. Dopo il successo, però, l’accordo non fu mantenuto. Verga pretese una maggiore percentuale come autore mentre la Casa Sonzogno non intendeva corrispondergli una somma superiore alle 1.000 lire (circa 7 milioni di lire di oggi, anche se è difficile un reale raffronto con il reale potere d’acquisto della moneta), sostenendo che, dal momento che Giovanni Verga “Cavalleria rusticana” era già stata messa in musica da Stanislao Gastaldon, Verga aveva perso i suoi diritti di proprietà. Stanislao Gastaldon (1861-1939) in effetti aveva musicato “Cavalleria rusticana”: il libretto di Bartocci Fontana era poco fedele al testo e il titolo era stato mutato in “Mala Pasqua”. Fu il tribunale, il 12 marzo 1891, a riconoscere i diritti di Verga. Nel 1893 si giunse ad una transazione: allo scrittore furono assegnate, una tantum, 143.000 lire corrispondenti oggi a circa 1 miliardo di lire, ma molto di più come potere d’acquisto. Francesca Oranges 14 Cavalleria rusticana Il Giornale dei Grandi Eventi Le scene di “Cavalleria rusticana” Tutti i segreti della scenografia nata da un bozzetto di Guttuso L e case, la chiesa, il bar, la piazza che caratterizzano la tradizionale messa in scena verista di Cavalleria rusticana sono questa volta scomparsi dal palcoscenico. Eppure, la cornice siciliana dell’opera si percepisce appena si alza il sipario, grazie alle bianche vestigia doriche, a tutto quel cielo dipinto sul fondale con le montagne in controluce, alle macchie verdi degli alberi, alle tonalità rosse, brune, rosate delle terre, che rendono l’atmosfera decisamente meridionale. E d’altra parte non poteva essere altrimenti, visto che all’origine della scenografia c’è un grande artista siciliano, Renato Guttuso, nato - come è noto - a Bagheria nel 1911. Ma non si tratta di un bozzetto ideato per l’opera mascagnana. Infatti la scena è stata tratta da un lavoro di Guttuso per un allestimento del 1949 al Teatro Massimo di Palermo dell’opera Re Ruggero di Karol Szymanowski, il cui terzo atto si ambientava in un antico anfiteatro della Sicilia (l’idea della trasposizione di un bozzetto teatrale di Guttuso per un allestimento di Cavalleria rusticana non è nuova, ma ha autorevoli precedenti, come l’utilizzo della Sagra del Signore della nave al Massimo di Palermo nel 1974, ndr). La decisione è stata del regista Stefano Vizioli in accordo con la Fondazione Guttuso e realizzata dal direttore di Scenografia del Teatro dell’Opera di Roma, Maurizio Varamo, che ha curato anche le scene del Cordovano, in collaborazione diretta con l’autore Gianni Dessì. L’opera di interpretazione e trasposizione dei segni a china di Guttuso, solo in apparenza semplici e lineari, non sono state un lavoro semplice. Questo perché inizialmente si è dovuta correggere l’inclinazione del disegno originale, che presenta una scena vista dall’alto, portandola al 5% per assecondare la pendenza del palco, e riportare al contempo la visione bidimensionale del disegno a quella tridimensionale di un plastico. Il tutto tenendo presenti gli spazi richiesti dalla regia e necessari ai movimenti dei cantanti ed al passaggio della processione. I segreti della scenografia Una visione moderna, quella di Guttuso, priva degli elementi oleografici e didascalici della messa re, che è stato però rivestito di meteorite, un bicomponente atossico ancora fuori commercio ed usato praticamente in esclusiva, che ha la proprietà di essere di facile applicazione, di consolidare il fragile polistirolo e di permettere la sua protezione e conservazione a lungo termine, oltre che il trasporto nel caso di altri allestimenti. Pochi elementi in scena Sul palco, dominato dalle colonne in polistirolo, pochi elementi, essenziali, proprio come avrebbe voluto Guttuso: le sedie, una ci, ma le foglie che richiamano i cactus, riproposti in scena con foglie di tessuto e tulle, per rendere l’idea dei segni di colore lasciati da Guttuso. Il fondale dipinto con il cielo e le montagne è realizzato con vari strati di tulle che procurano effetti luminosi particolari, mentre per il pavimento è stato utilizzato un bicomponente gommoso, colorato con vernice a spruzzo, che richiama i colori mediterranei del bozzetto. Le quinte e i soffitti, rigorosamente bianchi e costruiti con un bicomponente plastico leggero e spugnoso, Bozzetto di Guttuso per Re Ruggero- Palermo 1949 in scena tradizionale. Una visione moderna quella di Varamo, il quale, pur intendendo perpetuare l’antica arte della scenografia con i suoi segreti e le sue tecniche che da cinquecento anni si tramandano attraverso la tradizione dei mestieri (lo scorso anno ha curato la ripresa dell’antica tradizione delle “scene dipinte” per Il Barbiere di Siviglia al teatro Nazionale, ndr), non rinuncia a sperimentare tecniche nuove. È questo il caso delle costruzioni sceniche di Cavalleria, composte da pezzi di polistirolo, materiale povero e ormai divenuto classico, leggerissimo da trasporta- semplice tavola imbandita per il brindisi ed un ricamo, unico elemento ritenuto sufficiente a caratterizzare la processione. Questo filato siciliano, che le donne terminano in scena, è in realtà costituito da una base di tulle e di tela leggera di 3x3 metri su cui è stato simulato il disegno del ricamo utilizzando cordoni bianchi di vari spessori e colla siliconica. In questo modo è stato realizzato l’ingrandimento in scala di un oggetto che, presentato nelle sue forme reali, non sarebbe stato visibile dalla platea. E poi quegli strani alberi disegnati da Guttuso, con i frutti che sembrano aran- vogliono suggerire l’idea della parte non dipinta della tela di un pittore. Una interpretazione rispettosa del grande Maestro siciliano, quella di Varamo, in memoria di un incontro del 1973, quando Guttuso era impegnato proprio al Teatro dell’Opera in un nuovo allestimento di Carmen: fu quello un momento decisivo per la carriera del futuro direttore del Laboratorio, poiché fu proprio Guttuso a visionare i disegni a china dell’allievo diciottenne ed a suggerirgli di proseguire su quel percorso ancora incerto. In ricordo di quei giorni, Varamo ha cercato di lavorare pro- prio come faceva Guttuso, cercando i consigli da chi nel Teatro lavorò con lui, riprendendo gli appunti che l’artista stendeva durante le fasi di realizzazione, ma anche isolandosi di fronte alla scena e lasciandosi suggestionare dai ricordi e dalla forza dell’arte del Maestro. Per la realizzazione delle scene di Cavalleria rusticana e del Cordovano sono stati impiegati ventidue giorni lavorativi e uno staff di ventitre persone altamente qualificate. Si è lavorato negli oltre ottocento metri quadrati del Laboratorio di scenografia del Teatro dell’Opera, in quel magico spazio che è l’ex pastificio Pantanella di Via dei Cerchi. Un allestimento tutto sommato economico, “fatto in casa”, secondo le buone tradizioni, adattato alle esigenze degli spazi del Laboratorio ed acustiche del Costanzi. Una realizzazione che ha sfruttato le risorse proprie del Teatro dell’Opera e che rimarrà nel suo repertorio. Infatti, dopo le repliche, le scene saranno trasportate nei magazzini del Teatro dell’Opera alla Romanina e forse in seguito trasferite nei nuovi laboratori in costruzione sulla Prenestina, in attesa di essere affittate ad altri teatri o di tornare tra qualche anno sul palcoscenico del Costanzi. Ma questi sono progetti. Per adesso tutto si concentra in quei brevi segni di china, nei colori mediterranei, in pochi oggetti essenziali e simbolici, che riprendono il bozzetto storico. Le luci elaborate da Bruno Monopoli, light designer del Teatro, faranno il resto, cercando di emozionare e coinvolgere gli spettatori in questa nuova proposta scenografica che, come scriveva Guttuso nel 1960, «si deve vedere», perché «una scenografia che non si fa notare è sempre una brutta scenografia». Elena Cagiano Il Giornale dei Grandi Eventi Cavalleria rusticana 15 Anche il soggetto della pellicola di Walter Ruttmann ispirato al dramma di Verga Le analogie tra “Cavalleria” ed il film pirandelliano “Acciaio” U na curiosità “cine- sizione. Ad aggravare il matografica” lega suo fastidio, contribuì il la Cavalleria Rusti- fatto che il ruolo di profemminile cana di Mascagni, ispirata tagonista alla novella di Giovanni venne affidato a Isa Pola, Verga, allo scrittore Luigi invece che alla moglie di Pirandello, l’attrice Marta Pirandello. Su Pirandello e il cinema Abba. si è scritto non poco. Ne Le analogie nella trama parlarono Enrico Roma, Francesco Pasinetti, Renato Gialli e Corrado Al- Nel soggetto di questa varo, Arnilldo Frateili, in pellicola, stesa da PiranComoedia, Almanacco Let- dello, è evidente la pretrario Bompiani (dedicato senza di Verga, e più para Pirandello), Cinema, Fo- ticolarmente di Cavalleria togrammi, per non citare rusticana. Pirandello aveche pochi articoli e note va capito la natura realissull’argomento. Mentre tica del cinema, e la ricrimandiamo per una in- chezza delle fonti d’ispiformazione sul tema ai razione del realismo nartitoli citati, non mancher- rativo, che potevano gioemo di prospettare uno vare al film nazionale, spunto filologico sul più purché gli uomini di cinimportante film pirandel- ema ne avessero saputo liano, Acciaio, realizzato estrarre il senso più italdal noto documentarista iano. Attraverso le espetedesco Walter Ruttmann rienze di Bracco, Di Gianel 1933 su esplicita richi- como, Verga, Capuana, esta di Mussolini, con era facile comporre un musiche composte da Gi- mondo poetico cinean Francesco Malipiero. matografico nostro, atteIl film - con interpreti nendosi alle tradizioni reprincipali Piero Pastore gionali letterarie e dram(Mario Vellini), Isa Pola matiche, e film come (Gina), Vittorio Bellaccini Sperduti nel buio e Assunta (Pietro Ricci), Alfredo Polveroni (Giuseppe Ricci), Olga Capri (Emma Ricci) - narra di due operai delle acciaierie di Terni innamorati della stessa donna. Uno dei due muore in un incidente e i colleghi sospettano che sia invece stato ucciso dal rivale in amore. L’originaria trama di Pirandello dal racconto “Giuoca, Pietro!” - più incentrata sul tema della passione e dell’amore viene convertita dagli sceneggiatori Emilio Cecchi, Stefano Landi, Walter Ruttmann e Mario Soldati a val- Luigi Pirandello orizzare l’opera dell’uo- Spina ne erano splendida mo nuovo, la fabbrica, testimonianza. Pirandeltanto che Pirandello, s’in- lo, in un momento in cui fastidì e rifiutò la sotto- da più parti -nel Paese - si scrizione della traspo- credeva nella possibilità di una ascesa del film, of- chio». E la didascalia : fri a Walter Ruttmann un “Due carabinieri in tenusoggetto di palese ispi- ta escono dalla caserma e razione verghiana e di si allontanano per il viale facile trasferimento nel realismo cinematografico. In Acciaio, come nella novella e poi dramma in un atto Cavalleria rusticana, c’è un soldato, Mario, che torna dal reggimento alla propria città: è un bersagliere. «I bersaglieri, sapete bene, son come il miele per le donne... con quelle piume», leggete in Cavalleria rusticana dove Turiddu, che ha finito il servizio, porta ancora il berretto rosso da bersagliere. E Pirandello dà a Ruttmann un soldato che torna dal reggimento, e che porta, anch’esso, Isa Pola, protagonista di "Acciaio" un cappello col pidella chiesa “. I caraumetto. «Ci sono tanti che hanno il binieri sono altrettante berretto da bersagliere. ..», chiazze di colore in Acdice Gnà Nunzia in Cav- ciaio, per Pirandello e alleria rusticana. Il berret- Ruttmann. E li vedete apto rosso non è staccato parire al parco dei diverdal dramma. Han- timenti, la sera che preno riconosciuto cede la sfida dei due opTuriddu, quando erai degli altiforni. Dopo usciva dalla cam- no; dopo il delitto i caraera di Lola, perché binieri, se li volete aveva il berretto vedere, la impettita coprosso dei pia di carabinieri, simbobersaglieri. Alfio lo dell’ordine (e come non vede che il parte d’un paesaggio italberretto: «Vostro iano !) li avete ne La bella figlio Turiddu è an- addormentata di Chiarini e cora qui. L ‘ho visto in Gelosia di Poggioli da stamattina. Non ha (rispettivamente il berretto rosso dei Rosso di San Secondo e bersaglieri?». In Ac- Luigi Capuana) . ciaio il cappello piLa sfida nell’altoforno umato del protagonista è più descrittivo che drammati- La sfida dei due operai co, ma conserva avviene, nel film, neldichiaratamente l’altoforno, senza i coltell’impronta già con- li dei due siciliani. Gli feritagli dal Verga. avversari, per l’amore Le lucerne dei d’una donna, si lanciano carabinieri sono un sbarre incandescenti con altro motivo di Cavalleria. testardo rancore rusti«I miei interessi », dice Al- cano. C’è una pertinace fio all’inizio dell’atto, «me decisione nei muscoli facli guardo io, da me, senza ciali dell’operaio che vinbisogno di quelli col pennac- cerà; una oscura appren- sione di sventura nello sguardo dell’altro. Ricordate il morso all’orecchio di Turiddu ad Alfio. Significa “all’ultimo sangue”. Infatti, anche qui, il duello sarà. mortale. Con un urlo l’operaio colpito dalla sbarra incandescente si abbatte al suolo. Non manca che il fatidico: «Hanno ucciso compare Turiddu !... »! Ma l’altoforno risuona ugualmente d’un grido angosciato. Acciaio (1933) è il primo importante fonofilm italiano. Il lavoro e i giuochi, le arie popolari e il duello rusticano, vi acquistano, per il suono, in espressività; eppure Pirandello, che fu tanta parte di questo film, era stato, in Italia, il negatore più autorevole del suono e della parola nel cinema. Si veda quel che scriveva quattro anni avanti nella Naci6n di Buenos Ayres (7 luglio 1929) a proposito di Il dramma, e il cinematografo parlato (riportato anche da Cinema, vecchia serie, numero 81, 1939): «Il cinema dovrebbe trasformarsi in pura visione. Non c’è assurdo maggiore degli esperimenti che si fanno in tema di cinema parlato». Gli stessi concetti Pirandello svolse, più estesamente, il 16 giugno 1929 nel Corriere della Sera di Milano, in un articolo intitolato “Se il film parlato abolirà il teatro” nel quale pur ammetteva un uso che il cinema poteva fare del suono,servendosi di Bach e Beethoven, o di tutte le grandi risorse del folklore musicale: come, appunto, ha saputo trarne partito Walt Disney. Mario Verdone