L`ANELLO DELLA SPOSA

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L`ANELLO DELLA SPOSA
L’EUCARISTIA:
CELEBRAZIONE DELLE NOZZE
DI CRISTO CON LA CHIESA
prima parte
Premessa
e
Ufficio per l’Introito
ABBREVIAZIONI:
- SC
Sacrosanctum Concilium
- DV
Dei Verbum
- IGMR Instituio Generalis Missalis Romani, del 1975.
In italiano la titolazione è: Ordinamento Generale del Messale Romano, e la sua
ultima versione è dell’anno 2000.
In queste dispense si cita utilizzando la sigla IGMR o anche la dicitura Principi
e Norme. I numeri che seguono si riferiscono all’edizione del 1975. Tra parentesi
quadrata, invece, sono riportati i numeri di quella rivista e aggiornata dell’anno
2000.
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Le attuali dispense si rifanno liberamente al testo di CRISPINO VALENZIANO L’anello della sposa, edito da Qiqajon e, ormai,
esaurito alla stampa.
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PREMESSA
Presentiamo qui il tentativo di approfondire il significato e il senso delle parti dell’eucaristia,
attraverso una lettura particolare e certamente interessante che vede l’eucaristia interpretata
attraverso l’immagine di un anello.
Cristo lascia alla sua Chiesa una dote, un regalo, un dono costituito da due gemme preziose: la sua
Parola e del suo Corpo e Sangue per la remissione dei peccati. È la dote del suo fidanzamento e del
suo sposalizio con la Chiesa. Nozze che avvengono nel mistero della passione, morte e
risurrezione di Cristo.
La chiesa con i tre chiodi della croce di Cristo, forgia un anello per incastonare queste due gemme
preziosissime. Un anello composto da tre cerchi che sono i tre Uffici (ufficio d’introito, ufficio di
offertorio, ufficio di comunione). I legami che tengono insieme le due gemme con i tre uffici sono
il simbolo della fede (credo) e la preghiera del Signore (Padre nostro).
L’anello si presta all’idea cara ai Padri della Chiesa circa la nuzialità del mistero eucaristico:
l’anello lavorato nella crocifissione è la gioia della Chiesa tutta ed è la dote lasciata dal Cristo alla
sua Chiesa: la celebrazione dell’eucaristia del corpo e sangue per la remissione dei peccati.
L’estetica e la poietica dell’eucaristia
Per noi cristiani l’accondiscendenza del nostro Dio è diventata nuzialità, alleanza nuziale,
reciprocità intimissima: l’unigenito Figlio di Dio volendoci partecipi della sua divinità ha assunto
la nostra natura per farci divini.
L’anello è l’immagine e la logica che usiamo per spiegare il collegamento tra la celebrazione delle
nozze di Cristo e il rito dell’eucaristia.
Questa nuzialità tra Cristo e la Chiesa è un insieme di estetica (cose che si percepiscono
sensibilmente) e poietica (cose che si agiscono, che si fanno, alle quali si partecipa dandole e
ricevendole).
Attraverso questo percepire e fare, la Chiesa è presa dalla bellezza del suo Signore.
La mistagogia (la catechesi mistagogica) è, appunto, far gustare la bellezza di queste nozze
(dell’eucaristia) attraverso la percezione delle cose belle che la compongono e l’agire le varie
azioni con profondità di senso.
L’azione liturgica usa una pluralità di codici linguistici: codici uditivi, visivi, verbali, musicali,
pittorici, plastici, gestuali, prossemici, olfattivi, gustativi… (pur se non tutti sempre e dovunque
proposti o percepiti).
Sacrosanctum Concilium (SC) ha spostato l’accento dal dire al fare, dal concetto all’azione. La
liturgia per il Vaticano II è azione, esercizio effettivo, è come il verbo rispetto al sostantivo in una
lingua! Il sostantivo è statico sino a che l’azione non lo trasformi in qualcosa di dinamico.
La riforma generale del Messale (contenuta per la Chiesa Italica nell’Ordinamento Generale del
Messale Romano [IGMR: Institutio Generalis Missalis Romani] ha ridefinito i sintagmi (gli insiemi,
i gruppi) dell’introito, dell’offertorio e della comunione.
Proponiamo, per il nostro approfondimento, un modulo rituale che non corrisponde alle divisioni
in parti della messa conosciute, ma che, ugualmente, si basa su quanto pervenutoci dalla storia e
dal Vaticano II (SC 56): l’atto di culto unico costituito dalla liturgia della parola e dalla liturgia
eucaristica. Entrambe sono la mensa e della parola di Dio e del corpo di Cristo.
È importante vedere le due parti della messa a partire dal culto unico. Partire dall’unicità
costitutiva per arrivare poi alle varie divisioni di tipo linguistico.
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IGMR 24-57: [46-90] (tra parentesi quadrata i numeri del nuovo Ordinamento del Messale
dell’anno 2000)
A) riti di introduzione (24-32)[46-54]:
introito (25-26)[47-48]; saluto all’altare e al popolo radunato (27-28)[49-50]; atto
penitenziale (29)[51]; Kyrie eleison (30)[52]; Gloria in excelsis (31)[53]; orazione conclusiva
dei riti di introduzione (o ‘colletta’) (32)[54];
B) liturgia della parola (33-47)[55-71]:
letture bibliche (34-35)[57-60]; canti tra le letture (36-40) [sostituiti da: salmo responsoriale
[61]; acclamazione del vangelo [62-64]; omelia (41-42)[65-66]; professione di fede (43-44)
[67-68]; preghiera universale (45-47)[69-71];
C) liturgia eucaristica (48-56)[72-89]:
preparazione dei doni (49-53)[73-76]; [orazione sulle offerte [77]]; la preghiera eucaristica
(54-55)[79-78] suddivisa in: a) azione di grazie, b) acclamazione, c) epiclesi, d) racconto
dell’istituzione, e) anamnesi, f) offerta, g) intercessioni, h) dossologia finale; riti di comunione
(56)[80] suddivisi in: a) preghiera del Signore (Padre nostro), b) rito della pace, c) frazione del
pane, d) immixtio, e) Agnus Dei, f) preparazione personale del sacerdote, g) ostensione, h) …,
i) canto di comunione, l) il silenzio e/o canto di lode, m) orazione dopo la comunione;
D) riti di conclusione (57)[90]:
saluto e la benedizione, il congedo (57)[90]
In questo schema la preghiera universale (45-46)[69-71] fa parte della liturgia della parola
(B) e la preparazione dei doni (49-53)[73-76] e i riti di comunione (56)[80] sono semplici
suddivisioni della liturgia eucaristica (C).
Lo schema dei nostri moduli sarà:
(prospetto diacronico: dall’inizio alla fine)
A) ufficio dell’introito (= riti di introduzione, 24-32)[46-54] ;
B) proclamazione della parola di Dio (= liturgia della parola (34-42)[55-66] con la congiunzione
che è la professione di fede (43-44)[67-68]);
C) ufficio dell’offertorio (= la preparazione dei doni (49-53)[72-77]).
D) azione eucaristica del canone (= la preghiera eucaristica (54-55)[78-79] con la sua
congiunzione che è la preghiera del Signore (56a)[81]);
E) ufficio della comunione (= riti di comunione (56b-k)[80-89]);
F) benedizione e congedo (= riti di conclusione (57)[90]).
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(prospetto sincronico: i tre uffici visti in parallelo/affiancati)
A
B
C
D
E
liturgia per l’introito del Signore
misericordioso:
liturgia per l’offertorio della carità dei
fedeli
liturgia per la comunione dell’Agnello
immolato
l’ufficio dell’introito
l’ufficio dell’offertorio
l’ufficio della comunione
la processione d’ingresso e il suo canto
la litania della carità dei fedeli
la litania dell’Agnello immolato e la frazione
del pane
il saluto dell’altare e dell’assemblea
[il bacio della pace]
l’ostensione dell’eucaristia
la litania del Signore misericordioso
la processione dei doni e il suo canto
la processione di comunione e il suo canto
la grande dossologia
l’incensazione
il silenzio
l’orazione della colletta
l’orazione sulle offerte
l’orazione dopo la comunione
F
Missa Est: la benedizione; il congedo
Lo specchietto evidenzia le varie connessioni tra le parti (anche se risultano taciuti certi elementi:
atto penitenziale, lavanda della mani, immixtio. Si tratta di sub-sintagmi (sottoparti) che
precedono o seguono).
Si può notare che la preghiera universale fa parte della liturgia della parola (B) e che il segno di
pace è spostato da E in C (come nel Rito Ambrosiano; a motivo di un equilibrio linguistico dei tre
moduli).
Ci sono altre eccezioni: l’anticipo della processione nel modulo A (rispetto agli altri due moduli), e
la litania dell’Agnello che è accompagnata dal gesto della frazione del pane (a differenza delle
altre due litanie che non hanno gestualità concomitanti).
L’organizzazione dei vari segni presenti nei tre moduli
I tre moduli sono delle unità, dei gruppi che si organizzano intorno a una litania, un movimento
processionale collegato ad un canto e un’orazione. Gli altri elementi qua e là inseriti (saluto e
grande dossologia, abbraccio della pace e incensazione, ostensione dell’eucaristia e silenzio) sono
segni che accompagnano gli elementi principali, e devono essere agiti con semiologiche pertinenti
e specifiche (cioè: ciascun segno, pur essendo simile ad un altro, in realtà parla, esprime, dice un
senso diverso, parla un altro linguaggio. Es: l’uso dell’incenso per la processione di ingresso non è
l’uso dell’incenso per la processione dei doni!)
LA LITANIA
Significa: invocare supplicando. La litania, piuttosto che l’evocazione, privilegia l’invocazione ad
oltranza; essa è come una supplica insistita a partire dalla promessa di Cristo: ‘chiedete e vi sarà
dato…’ (Mt 7,7).
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Nella liturgia, la caratteristica insistenza litanica della brevità dell’invito e della risposta risponde
all’insegnamento del Maestro che il Padre sa che cosa abbiamo bisogno ancora prima che glielo
chiediamo (Mt 6,7-8), mentre non sappiamo nemmeno che cosa sia conveniente domandare (Rm
8,26).
Noi latini la chiamiamo litania; i greci la chiamano ekténès, assiduità, perseveranza, alacrità,
fervore; supplica; ma, in ogni modo, esprime il senso dell’atteggiamento delle persone,
l’atteggiamento di preghiera ardente (non l’indicazione di cosa si supplica).
LA PROCESSIONE
Tutti i movimenti che classifichiamo come ‘processione’ devono essere classificati con le debite
sfumature, poiché le tre processioni hanno ciascuna una propria specificità nel modulo proprio
dove sono situate.
Processione è muoversi insieme, rapportati in un certo modo gli uni agli altri, muoversi in un
tempo e spazio propri di una comunità. Attraverso il suo incedere, la processione dà un senso
diverso a un tempo consueto e ad uno spazio definito: la processione, nell’atto di essere agita
riforma simbolicamente il tempo e lo spazio: li fa essere diversi dal consueto, li fa passare
dall’usualità alla festa.
Il fatto che il canto accompagni la processione, non fa che aumentare questa riforma simbolica
del tempo e dello spazio che la comunità sta abitando.
L’ORAZIONE
È il culmine di ognuno dei tre moduli, uffici.
Usualmente, l’orazione ‘aggettiva’ Dio, cioè gli attribuisce delle caratteristiche, delle qualità, degli
attributi, degli aggettivi.
La Chiesa d’occidente, normalmente, aggettiva con: ‘onnipotente ed eterno’, cioè una traduzioneperifrasi del greco ‘pantokrator’. Ma non è semplice esplicare la pregnanza di questo termine che
è trascrivibile ma intraducibile. Potrebbe essere: tu che tutto contieni in te invisibilmente e per la
salvezza degli uomini visibilmente manifesti i segni della tua potenza.
Onnipotente ed eterno dice dunque la potenza divina che tutto crea e ‘contiene’; dice la vita
divina e i doni che Dio ne fa, la storia che la riflette nel tempo e nello spazio.
Tale aggettivazione dà struttura all’orazione, la determina fin dall’inizio. L’aggettivazione che
precede porta al cuore dell’orazione. È il respiro e il ritmo di chi prega. È la e-vocazione che
‘chiama Dio da’, dal passato-presente delle sue meraviglie e lo situa davanti alla nostra vita. È la
in-vocazione che ‘chiama Dio in’, nel presente-futuro della nostra indigenza e situa la nostra vita
davanti a Lui.
E provocando, attraverso molte forme, una proporzione tra l’evocato e l’invocato, l’orazione vive
così la fede come fondamento di tutto ciò che speriamo e prova di ciò che supera il tempo e lo
spazio.
L’atteggiamento del sacerdote che eleva al Signore la preghiera della Chiesa volto a oriente è
evocativo. Il gesto dell’alzarsi delle mani allargando le braccia è invocativo.
In questo atteggiamento del presbitero non deve sfuggire l’interazione tra il sacerdozio regale dei
fedeli e il sacerdozio ministeriale, per cui la celebrazione dell’eucaristia è azione di tutta la Chiesa.
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LITURGIA PER L’INTROITO
DEL SIGNORE MISERICORDIOSO
1)
L’ufficio dell’introito
L’introito è il modulo per esordire, introdurre, preparare. È come un prologo. Un prologo a
catena, nel senso che l’introito è un insieme di vari sintagmi che, uno dopo l’altro, non fanno che
introdurre alla celebrazione, ciascuno con il suo linguaggio particolare.
Il modulo dell’introito va compreso ben oltre i testi letterari che lo compongono, utilizzando e non
dimenticando tutti i linguaggi simbolici che lo costituiscono (soprattutto la processione).
La causa principale per cui questo modulo è poco compreso, passa inosservato e ha poco sapore è
dovuta alla non consapevolezza che esso si centra sulla venuta del Cristo; venuta, che tutto il
modulo vuole significare. Pertanto, ai riti di ingresso non si può applicare una simbolica qualsiasi,
ma si tratta di avere come referente simbolico l’incarnazione del Verbo. È questa che il modulo
vuole celebrare!
Siccardo da Cremona dice (vescovo di Cremona nel 1188):
‘L’ufficio che inizia con l’ingresso e finisce alle letture si chiama introito perché fa memoria della
venuta di Cristo nella carne, della sua convivenza corporea in terra sino a che ascese alla destra
del Padre...’.
L’introito è l’avvertenza che il Creatore e la Luce delle creature, viene nella carne a convivere
corporalmente in terra. Questo è il criterio per ogni comportamento che l’assemblea tutta tiene
nei riti di introito, dallo stare in piedi all’accoglierlo nella gioia e nel canto.
Tutto l’introito sottolinea il legarsi del Cristo con la sua sposa, la Chiesa. È a partire da questa
globalità che i subsintagmi introitali e le varie figure in essi presenti devono essere interpretati/e.
L’introito ci pone per intero nel circolo della presenza di Cristo e delle sue presenze. In questo
senso l’introito è anticipazione di una qualità propria a tutta la liturgia eucaristica.
L’introito ci pone nei tratti comuni a tutta la celebrazione come ‘assemblea’, come comunità,
comunione, unione di cuori e di intenti... Tale unità bene si manifesta con le risposte e le
acclamazioni, i segni e le gestualità del sacerdozio regale del popolo. Tratti linguistici che hanno
la loro completezza teologica nella dottrina paolina sul convenire dell’assemblea: pur essendo
molti siamo un corpo solo perché partecipiamo all’unico pane (1Cor 10,17).
Nella celebrazione eucaristica la sinassi (: l’assemblea) è la sposa nell’esercizio della sua nuzialità
con lo sposo.
Guglielmo di Saint-Thierry commenta nella sua ‘Expositio super Cantica Canticorum’:
‘Cristo, lo sposo, ha dato questo bacio alla Chiesa, alla sposa, quando Verbo fattosi carne tanto le è
venuto vicino da congiungersi a lei, tanto le si è congiunto da unirsi a lei, tanto che Dio è
divenuto uomo e l’uomo è diventato Dio... La sposa arde di desiderio al compiacersi del bacio
dello sposo, alla pienezza della sua soavità, di cui il Signore, pregando il Padre per i suoi discepoli
dice: Come tu sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola (Gv 17,21). Cosa significa
‘una cosa sola’ se non che lei, avendo ricevuto dalla sua pienezza e grazia su grazia (Gv 1,16), la
grazia dell’amore sulla grazia della fede, anela a quella pienezza stessa, la pienezza dello Spirito
santo, che è l’unità e l’amore del Padre e del Figlio, e in lui alla gioia che nessuno le potrà togliere
(Gv 16,23)?
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I riti di introito, celebrando l’incarnazione di Dio, e perciò la divinizzazione dell’uomo, anticipano
il peso, il senso e le dimensioni della sacramentalità che sarà presente in tutta la celebrazione.
Il popolo radunato dalla misericordia di Dio diventa esso stesso rappresentazione di alcuni
significati interessanti:
a) un primo tratto particolarmente espressivo ed ‘estetico’ (cioè: percepito direttamente mediante i
sensi corporei [e anche quelli spirituali]) è la ‘ministerialità’ propria di ciascuno all’interno del
medesimo popolo:
IGMR 58 [92]: ‘nella sinassi ciascuno ha il diritto e il dovere di arrecare la sua partecipazione nel
modo che è proprio alla sua diversità di ordine e di ufficio (SC 14.26). Pertanto, tutti, ministri
(ordinati) e fedeli (non ordinati) adempiendo il proprio ufficio compiano tutto e solo ciò che
spetta a ciascuno (SC 28). Così che la disposizione stessa della celebrazione manifesti la Chiesa
costituita nei suoi diversi ordini e ministeri’.
b) un secondo tratto è la ‘preparazione’ del rito della celebrazione. È un tratto di tipo poietico,
cioè riguarda il fare, l’agire. L’Ordinamento del Messale recita:
IGMR 73 [111]: ‘La preparazione di ogni celebrazione si faccia di comune intesa tra tutti coloro
che sono coinvolti e nella organizzazione pastorale e nella musica, con la conduzione del rettore
della chiesa sentendo i fedeli su ciò che gli spetta direttamente… Nel preparare la celebrazione il
sacerdote si attenga al bene spirituale dell’assemblea piuttosto che alle sue preferenze. E ricordi
che le scelte sono da farsi insieme ai ministri e con chi compie qualsiasi cosa nella celebrazione,
compresi i fedeli tutti riguardo a ciò che gli spetta più direttamente’.
Una tale preparazione è possibile realizzarla solo in un’assemblea che sia veramente soggetto
della liturgia, dove, cioè, vi sia un’effettiva visibilità e presenza delle persone con i loro carismi,
dove vi sia un’effettiva e reale comunitarietà delle loro azioni, dove vi sia visibilità dell’unica
azione a cui essi partecipano e che essi pongono. Una tale ‘preparazione’ dice che non vi sono
azioni di alcuni soltanto, ma che esse sono azioni di tutti: l’azione di uno è l’azione di tutto il
popolo di Dio.
c) un terzo tratto è quello che potremmo chiamare la ‘localizzazione’. È un aspetto sia estetico sia
poietico. Cioè: il radunarsi, il convenire insieme in un luogo preciso di persone è immagine e
figura che richiede:
- da un lato, di uno spazio che permetta a tali persone di agire in verità come popolo di Dio e non
come un insieme giustapposto di persone singole (questo è poietica); e
- dall’altro, di uno spazio particolare dove l’assemblea che si è riunita possa esprimersi
visibilmente come popolo di Dio, come Chiesa radunata per l’adorazione al Padre (questo è
estetica).
La ‘localizzazione’ del popolo di Dio riunito in assemblea liturgica può essere considerata da due
punti di vista:
a) quello che va dall’assemblea all’edificio
Tutto questo significa che i criteri per la costruzione di una chiesa-edificio devono sempre partire
dall’evidenza di un popolo che si raduna in esso in assemblea liturgica. Dato che il convenire
insieme dei credenti qui ed ora, (cioè in uno spazio e in un tempo), contiene già in sé precisi
elementi simbolici (che poi dovranno emergere nell’azione celebrativa), esige che la costruzione
architettonica risponda con coerenza a tutta questa simbolica e, d’altro canto, che sia funzionale
all’esercizio dei vari riti che si opereranno.
Il popolo riunito (cioè, ‘localizzato’ in uno spazio e in un tempo), attraverso la sua organizzazione
ministeriale, attraverso il suo articolarsi e il suo ordinarsi nelle diverse azioni, (parti dell’unica
celebrazione), rappresenta il criterio e funge da indicatore simbolico per effettuare la corretta
costruzione architettonica della chiesa così che possa compiersi la retta esecuzione del compito di
ciascuno.
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Vi è un’unità tra l’ordinamento ministeriale dell’assemblea nella celebrazione, e il complesso
architettonico della chiesa-edificio. Questo aspetto non è né elementare, né scontato!
b) quello che va dall’edificio all’assemblea
In questa prospettiva si gioca l’equilibrio delicato tra la funzione rituale (il compiere il rito) e la
struttura simbolica (il senso profondo dei riti), nel quale trova qualità o meno l’arte liturgica.
Alterare l’equilibrio tra questi due poli, (la costruzione dell’edificio e il significato simbolico),
significa mutilare ciò che nasce per essere immagine di altro.
Ogni opera d’arte, infatti, (una chiesa, un altare, una casula, un calice, un movimento o un
profumo, un canto o un’icona, un’unità linguistica liturgica) hanno lo scopo primario di essere
immagine, rappresentazione di altro. Questo ne determina la poietica, cioè la loro costruzione, la
loro confezione (: le cose devono essere costruite per essere immagini di altro).
Per quanto riguarda l’edificio ecclesiale rispetto all’assemblea eucaristica troviamo tre principi di
equilibrio; l’edificio deve essere:
- ‘conveniente’, così da potervi eseguire la santa azione e ottenervi la partecipazione attiva dei
fedeli (ciò serve per simboleggiare adeguatamente le realtà trascendenti)
- ‘adeguatamente ordinato’ per permettere a tutti la retta esecuzione dell’ufficio di ciascuno (ciò
serve a far si che il popolo radunato sia reale figura della Chiesa sposa del suo Signore)
- ‘promotore della pietà’ (ciò serve per manifestare la santità dei misteri che si celebrano).
L’edificio ecclesiale, pertanto, secondo i ‘Principi e Norme’, ha la complessa funzione:
- di far ‘abitare’ l’assemblea santa di Dio, in modo che sia partecipe e attiva, e progredisca nella
pietà
- di simbolizzare il mistero che essa celebra
- di far sì che l’assemblea che lo celebra diventi un segno.
Tale funzione impone alla chiesa-edificio, sia di permettere che ogni rito celebrato dalla comunità
che in essa si riunisce, venga fatto con agilità e fluidità; sia che venga rispettato l’aspetto teandrico
del rito (vale a dire: vero sia per l’uomo [la chiesa deve essere percepita e vissuta come una casa
da abitare] sia per Dio [la chiesa deve essere un luogo che favorisce la percezione della presenza
di Dio e del suo mistero]).
___________
(a questo proposito si può vedere quanto indicato da IGMR: 253 e 257 [288 e 294])
Capitolo V
DISPOSIZIONE E ARREDAMENTO DELLE CHIESE
PER LA CELEBRAZIONE EUCARISTICA
I. PRINCIPI GENERALI
288. Per la celebrazione dell'Eucaristia, il popolo di Dio si riunisce di solito nella chiesa oppure, se questa
manca o è insufficiente, in un altro luogo decoroso che sia tuttavia degno di un così grande mistero. Quindi
le chiese, o gli altri luoghi, siano adatte alla celebrazione delle azioni sacre e all'attiva partecipazione dei
fedeli. Inoltre i luoghi sacri e le cose che servono al culto siano davvero degni, belli, segni e simboli delle
realtà celesti.
289. Pertanto la Chiesa non cessa di fare appello al nobile servizio delle arti e ammette le forme artistiche di
tutti i popoli e di tutti i paesi. Anzi, come si sforza di conservare le opere d'arte e i tesori che i secoli passati
hanno trasmesso e, per quanto è possibile, cerca di adattarli alle nuove esigenze, cerca pure di promuovere
nuove forme corrispondenti all'indole di ogni epoca. Perciò nella formazione degli artisti come pure nella
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scelta delle opere da ammettere nella chiesa, si ricerchino gli autentici valori dell' arte, che alimentino la fede
e la devozione e corrispondano alla verità del loro significato e al fine cui sono destinate.
290. Tutte le chiese siano dedicate o almeno benedette. Le chiese cattedrali e parrocchiali siano dedicate con
rito solenne.
291. Tutti coloro che sono interessati alla costruzione, alla ristrutturazione e all'adeguamento delle chiese,
consultino la Commissione diocesana di Liturgia e Arte sacra. Il Vescovo diocesano, poi, si serva del
consiglio e dell' aiuto della stessa Commissione quando si tratta di dare norme in questa materia o di
approvare progetti di nuove chiese o di definire questioni di una certa importanza.
292. L'arredamento della chiesa si ispiri a una nobile semplicità, piuttosto che al fasto. Nella scelta degli
elementi per l'arredamento, si curi la verità delle cose e si tenda all'educazione dei fedeli e alla dignità di
tutto il luogo sacro.
293. Una conveniente disposizione della chiesa e dei suoi accessori, che rispondano opportunamente alle
esigenze del nostro tempo, richiede che non si curino solo le cose più direttamente pertinenti alla
celebrazione delle azioni sacre, ma che si preveda anche ciò che contribuisce alla comodità dei fedeli e che
abitualmente si trova nei luoghi dove il popolo si raduna.
294. Il popolo di Dio, che si raduna per la Messa, ha una struttura organica e gerarchica, che si esprime nei
vari compiti e nel diverso comportamento secondo le singole parti della celebrazione. Pertanto è necessario
che la disposizione generale del luogo sacro sia tale da presentare in certo modo l'immagine dell' assemblea
riunita, consentire l'ordinata e organica partecipazione di tutti e favorire il regolare svolgimento dei compiti
di ciascuno. I fedeli e la schola avranno un posto che renda più facile la loro partecipazione attiva. Il sacerdote
celebrante, il diacono e gli altri ministri prenderanno posto nel presbiterio. Lì si preparino le sedi dei
concelebranti; se però il loro numero è grande, si dispongano le loro sedi in altra parte della chiesa, ma
vicino all'altare. Queste disposizioni servono a esprimere la struttura gerarchica e la diversità dei compiti,
ma devono anche assicurare una più profonda e organica unità, attraverso la quale si manifesti chiaramente
l'unità di tutto il popolo santo. La natura e la bellezza del luogo e di tutta la suppellettile devono poi favorire
la pietà e manifestare la santità dei misteri che vengono celebrati.
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2)
La processione d’ingresso e il suo canto
Nei ‘Principi e Norme’ solo al cap IV si parla dell’ordinamento del movimento processionale
(IGMR 120 [163]).
‘Radunato il popolo, mentre il sacerdote entra con i ministri, si inizia il canto di ingresso’ (IGMR
25 [47]); e ‘radunato il popolo, il sacerdote e i ministri vestiti dei sacri paramenti si recano
processionalmente all’altare in questo ordine: a) ministro con il turibolo fumigante, se si usa
l’incenso; b) i ministri che, secondo l’opportunità, recano i candelieri con i ceri accesi, e tra loro,
se del caso, un ministro con la croce; c) gli accoliti e gli altri ministri; d) il lettore, che può portare
l’evangeliario; e) il sacerdote celebrante’ (IGMR 82 [120]); con l’aggiunta ‘durante la processione
all’altare si esegue il canto di ingresso’ (IGMR 83 [121]).
Si coglie l’insistenza sul popolo radunato; e a ragione. Infatti, la processione d’ingresso celebra la
venuta del Figlio di Dio tra la sua gente (cfr. Gv 1,11ss.).
L’assemblea partecipa alla processione d’ingresso non venendo ma accogliendo; perciò la
processione è formata soltanto dal sacerdote (segno del Cristo sommo sacerdote), accompagnato
soltanto da tutti i ministri (che nella celebrazione gli forniranno i ministeri significativi
dell’esercizio sacerdotale). La partecipazione attiva di coloro che abitano la casa del Signore
consiste proprio nel farsi attraversare dal Cristo che viene.
Nell’ingresso, dunque gli occhi di chi entra dalla porta della chiesa e ‘attraversa’ l’assemblea sono
rivolti verso l’altare; e gli occhi di tutti nell’assemblea sono fissi al Salvatore. È per questo che il
presbitero presidente ‘durante la celebrazione dell’eucaristia deve con dignità e umiltà servire Dio
e il popolo, e nel suo atteggiarsi e proferire le parole divine, insinuare ai fedeli la presenza viva
del Cristo’ [IGMR 60; (93)]. Ciò richiede che il celebrante celi la sua soggettività (devota o altra),
con umiltà e dignità perché tutti vedano il Salvatore e non lui!!
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Si procede dalla porta (della chiesa) all’altare (nell’abside), attraversando l’assemblea. Cristo
stesso è porta delle pecore e altare. Porta per entrare verso il gregge in modo da essere ascoltati
dalle pecore; e porta da cui entrano ed escono le pecore, e trovano pascolo. L’altare è segno della
roccia del Cristo.
La processione, perciò, è simbolica per il fatto stesso di essere funzionale, cioè di servire per
passare da un luogo ad un altro.
La processione non potrebbe supplirsi con l’uscita da una sacrestia situata, purtroppo di
frequente, nell’area immediata del presbiterio. Essa deve muoversi da – a; deve muoversi
direzionalmente dalla soglia cristica della chiesa (la porta) al termine cristico della mensa
(l’altare): luogo a cui il popolo di Dio è convocato a partecipare.
Il movimento d’ingresso manifesta l’unione del Cristo con il popolo di Dio, e ha lo scopo di un
qualsiasi movimento del genere, cioè la tensione direzionale per pervenire dove non si è e si deve
essere, e per acquisire ciò che non si ha e si può avere.
La processione d’ingresso usa però certi segni esplicativi di Cristo che i ‘Principi e Norme’
classificano come eventuali. Però tale classificazione comporta la libertà di usare di quei segni
non inutili, non l'inutilità nel loro eventuale uso! Se essi poi, non significano, non è certo per
mancanza di un loro senso, ma forse, per una loro impercettibilità da parte dell’assemblea (ad
esempio i profumi). Le cose sensibili sono per noi e significano a noi; le cose dentro e fuori della
chiesa sono percepibili dalla nostra sensibilità e dalla nostra intelligenza.
- Interessante e importante insieme è l’uso del profumo nella processione: il buon odore di Cristo.
- L’illuminazione che accompagna il corteo - i candelieri con i ceri accesi - sono l’aspetto
evangelico della luce del Cristo e dei suoi.
- Un altro elemento della simbiosi ed unità tra Gesù e i suoi è l’accompagnare l’ingresso con
l’evangeliario al cui seguito procedono il sacerdote e gli altri ministri.
L’evangeliario è segno cristico per eccellenza. Con esso si farà, per la liturgia della parola, la
processione all’ambone. Pure in essa la presenza eminente che l’evangeliario apporta
nell’assemblea è celebrata come nella processione che lo reca all’altare.
Nei Padri la convinzione comune è che l’evangeliario fa iconicamente presente il Cristo. Se è vero
che in ‘Principi e Norme’ si classifica ‘eventuale’ l’impiego dell’evangeliario, la realtà è però che vi
si descrive di un lettore che lo può portare – non è così invece nella processione all’ambone in cui
è riservato al diacono (IGMR 131; 94; [133; 75]) – cioè, non deve essere necessariamente il
ministro proprio del vangelo a recarlo nella processione d’ingresso, il che equivale ad anteporre il
valore dell’usare l’evangeliario alla riserva dell’uso del diacono.
La presenza iconica di Cristo nell’evangeliario significa principalmente misericordia. DV afferma:
‘Nella santa Scrittura – ed eminentemente nel vangelo quadriforme – si manifesta l’ammirabile
condiscendenza (synkatábasis) dell’eterna sapienza affinché apprendiamo l’ineffabile benignità di
Dio e quale adattamento egli abbia usato, provvidente e sollecito verso la nostra natura umana’
(DV 13).
- La croce nel suo significato simbolico è, tradizionalmente, rassomigliata all’evangeliario. Nella
liturgia eucaristica, come l’evangeliario significa, oltre l’iconicità del libro, anche la presenza del
Cristo grazie alla sua parola; così la croce significa, oltre l’iconicità del segno, la presenza del
Cristo grazie al suo sacrificio.
Perciò, l’uso o meno, nella processione d’ingresso, della croce astile è da subordinare soltanto alla
situazione dell’altare: se esso abbia o no stabilmente la croce secondo l’indicazione dei ‘Principi e
Norme’ (IGMR 270; [308]). È, infatti, ugualmente privo di senso che la croce non ci sia o che sia
raddoppiata. Ma comunque, non si privi la processione d’ingresso dell’evangeliario e del suo
senso.
11
- Per il canto di ingresso del nostro rito i ‘Principi e Norme’ spiegano: ‘scopo di questo canto è
d’aprire la celebrazione, aiutare l’unione dei fedeli radunati, e portare la loro attenzione sul
mistero del tempo liturgico o della festa, mentre s’accompagna la processione del sacerdote e dei
ministri… È cantato alternativamente dalla schola dei cantori e dal popolo, ovvero da un cantore
e dal popolo, o anche tutto dal popolo, o dalla sola schola’ (IGMR 25-26; [47-48]).
Queste indicazioni dicono tutto circa la sua funzione e il suo scopo (: a cosa serve). Ma è solo la
sua concreta e appropriata esecuzione che può esplicitare, accompagnandosi al movimento di
processione, tutta la forza e l’aiuto che esso può dare all’unione dei fedeli riuniti.
Il canto di ingresso, infondendo una dinamica corale, produce l’unione dell’assemblea eucaristica.
L’insieme di cuori concordi che lo cantano costituisce un coro che va ben oltre la funzionalità
musicale (ben oltre lo scopo di esprimere nella musica emozioni particolari); ma permette che
l’armonia vera nasca dalla carità di tale assemblea eucaristica, piuttosto che dalla musica in sé.
Quando l’evoluzione artistica nel corso del tempo ha, in vario modo, affidato a soli o pochi
cantori esperti tale esecuzione musicale, questo ha sempre più incrementato il diletto dell’ascolto
passivo, infrangendo così la struttura del coinvolgimento totale dell’assemblea.
Il coinvolgimento antifonale, invece, è adattissimo al sacrificio della lode; è preparatorio e
introduttivo della celebrazione misterica del corpo e sangue di Cristo.
Antifona viene dal greco (antiphoné: ‘voce reciproca’, ‘voce di fronte’). Si dice dei due cori che
cantano l’uno in risposta all’altro. Modo antifonico di cantare è alternarsi di ascolto e di
intervento, è intonarsi su un versetto (antifona) che dice il senso di tutto ciò che è cantato.
I ‘Principi e Norme’ riguardo all’esecuzione del canto d’ingresso prevedono, pastoralmente, tutta
una serie di eventualità: che sia cantato alternativamente dal popolo e dalla schola; da un cantore
e dal popolo; tutto dal popolo; o persino dalla sola schola. E, addirittura (negando la sua funzione
musicale, ma salvaguardando almeno la funzione spirituale) che si legga la sola antifona. Ma
purtroppo, del minimo salvaguardato pastoralmente, si può fare un minimalismo sistematico e
ripetuto, dimenticando la serie di tutte le eventualità che, invece, devono, progressivamente,
realizzarsi!
L’ottimale della tradizione per il canto d’ingresso è una forma di canto salmico antifonico nel
quale l’antifona, intonata dal cantore o dal coro, sia ripresa dall’assemblea ad ogni versetto.
3)
Il saluto dell’altare e dell’assemblea
Va subito detto che l’unità (linguistica) dei saluti dell’altare e dell’assemblea può sfuggire se si
dimentica la relazione simbolica tra l’altare e l’assemblea e se si dimentica la bivalenza del saluto
riducendola alla sola percezione ottativa / augurale e dimenticando la valenza indicativa e di
compiacimento.
E, inoltre, non deve sfuggire l’unità del rito liturgico del saluto con tutto l’ufficio dell’introito.
‘Giunti..., il sacerdote e i ministri salutano l’altare. In segno di venerazione il sacerdote e il
diacono lo baciano’ (IGMR 27; [49]).
‘Secondo l’uso tramandato nella liturgia, la venerazione dell’altare e del libro si compie
baciandoli; tuttavia, se il segno del bacio non risponde adeguatamente alle tradizioni culturali di
qualche regione, spetta alla conferenza episcopale, informata la sede apostolica, di sostituirlo con
altro segno’ (IGMR 232; [273]).
‘Quindi (finito il canto di ingresso) il sacerdote significa alla comunità radunata la presenza del
Signore, salutandola. Con il saluto, infatti, e con la risposta del popolo al saluto, si manifesta il
mistero della Chiesa radunata’ (IGMR 28 [50]).
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È il gioco dei segni e del significare: segno del venerare, segno del baciare, segno del salutare; per
significare la presenza del Signore e per significare il mistero della Chiesa radunata; è il gioco
linguistico di rappresentare il messaggio, esprimerlo, manifestarlo così da comunicarlo. Cosicché,
se un segno non risponde adeguatamente, lo si deve sostituire con altro segno: si sostituisce, cioè,
un elemento linguistico, ma non si deve rinunciare all’adeguazione del linguaggio!!
I ‘Principi e Norme’ legano il saluto all’introito; leggono, infatti, il saluto come atto terminale della
processione e come atto comune di tutti i partecipanti al movimento processionale:
‘Giunti all’altare, il sacerdote e i ministri fanno la debita venerazione, inchinandosi
profondamente… La croce eventualmente portata in processione si colloca presso l’altare o in un
posto opportuno, i candelabri portati dai ministri si collocano presso l’altare o sopra la credenza,
il libro dei vangeli si depone sull’altare’ (IGMR 84; [122-123])
Il procedere della processione e tutti i segni esplicativi della processione pervengono al loro
termine naturale con il saluto del sacerdote e di tutti i ministri che hanno partecipato al
movimento. Questo termine avviene con un segno di venerazione (saluto) all’altare distinto dal
bacio che all’altare daranno soltanto il sacerdote e il diacono (altrimenti, soltanto essi due
saluterebbero l’altare e non invece, anche tutti i partecipanti al movimento processionale!).
Inoltre, i ‘Principi e Norme’, legano il segno del salutare (: inchino) al segno del venerare (:
baciare): ‘giunti all’altare, il sacerdote e i ministri salutano l’altare / fanno la debita venerazione ’
[IGMR 49].
E legano, poi, il segno del venerare a quello del baciare e dell’inchinarsi profondamente: ‘la
venerazione dell’altare e del libro dei vangeli si compie baciandoli / fanno la debita venerazione
inchinandosi profondamente’ [IGMR 122].
Il referente del saluto dell’altare è la ‘presenza’ (di Cristo). L’inchinarsi profondamente all’altare e
il bacio dell’altare, ne sono epifania; sono l’epifania terminale della processione d’ingresso e del
suo senso. Salutando l’altare non gli rivolgiamo un augurio, bensì, pronunciamo il
compiacimento della presenza che esso iconizza in mezzo a noi.
È certamente vero che i fedeli sono anch’essi altare (vedi Ignazio di Antiochia), ma ciò che a noi
interessa è che l’altare della chiesa è edificato dal Cristo ‘pietra viva’ con le ‘pietre vive’ che sono i
cristiani (1Pt 2,4.5). Secondo l’uso tradizionale e il simbolismo, la mensa dell’altare dev’essere di
pietra (IGMR 263 [301]).
Quindi, il saluto/venerazione dell’altare manifesta la presenza del Christus totus (: Capo e Corpo);
saluto manifestato mediante il segno della venerazione con l’inchino, ma ottimizzato mediante il
bacio. E il bacio è segno di unione reciproca, unione di identificazione tra chi bacia e chi è
baciato, a indicare un tutt’uno tra il Capo e il Corpo tutto (ministri e assemblea)
Sia con il saluto del sacerdote all’assemblea e dell’assemblea al sacerdote, sia con il saluto
all’altare, si manifesta il mistero della Chiesa. I due saluti sono un tutt’uno.
Ciò che il sacerdote dice nel salutare (‘il Signore sia con voi’) è da intendere nel senso che, avendo
Dio con noi, noi non siamo abbandonati da lui. È per questo che l’assemblea, ricevuta tale parola
di salvezza dal sacerdote, prega e risponde al saluto del sacerdote dicendo ‘e con il tuo spirito’.
Essa non trova niente di meglio da augurare al sacerdote di ciò che egli le augura, cioè che lo
stesso Signore che si degna essere con la Chiesa, si degni di essere con lo spirito del sacerdote, e si
adempia in entrambi la promessa della benignità del Signore che, salendo al cielo, disse ai suoi
discepoli: io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo (Mt 28,20).
Con questa interpretazione, il saluto appare linguisticamente organico a tutto l’ufficio
dell’introito. Il saluto all’assemblea ha una doppia valenza: è augurio ed è compiacimento di una
presenza.
Per il saluto, non è tanto la coniugazione verbale all’indicativo o al congiuntivo (‘il Signore è con
voi / il Signore sia con voi’) che conta, quanto il contenuto del ‘saluto’:
‘Il Signore è con voi’ insiste sul senso della presenza del Signore nella sinassi; presenza che la
13
processione e il canto hanno celebrato: in questo senso, il saluto è motivo di compiacimento e di
congratulazione.
‘Il Signore sia con voi’ accentua, invece, che non si dimentica che l’assemblea stessa ha
permanentemente da divenire ciò che già è, facendo riferimento al suo impegno e alla
misericordia del Signore: in questo senso, il saluto è motivo di augurio e di preghiera.
Il sacerdote augura che, avendo Dio tra noi (compiacimento per il nostro presente) non siamo
abbandonati da lui (preghiera per il nostro divenire). Da 1Cor 3,17 emerge l’ambivalenza del
saluto: la Chiesa, cioè il popolo tutto che è (indicativo) il tempio di Dio, ha (indicativo) il Signore
che abita in mezzo ad essa; e il Signore la illumina, la regge, la protegge, così che egli sia
(ottativo) il suo Dio ed essa divenga (ottativo) il suo popolo, come suo tempio.
I ‘Principi e Norme’ aggiungono che ‘salutato il popolo, il sacerdote o un altro ministro idoneo
può introdurre i fedeli, con brevissime parole, alla messa del giorno’ (IGMR 29; 86; [50; 124]). È
da apprezzare la raccomandazione: ‘con brevissime parole’ (IGMR 29 e 86 [50 e 124]; 47 [71];
68a [105b]; 123 [166]; 139 [184]) perché mai si deve soffocare la celebrazione con abusate e
usatissime parole il più delle volte oziose.
Ma, la norma per l’uso del Messale, dà un’ultima indicazione sul sintagma del saluto. Infatti,
l’eventuale brevissima introduzione dei fedeli alla messa del giorno, prosegue e finisce il
medesimo scopo assegnato al canto di ingresso, cioè: portare l’attenzione dei fedeli radunati sul
mistero del tempo liturgico o della festa (IGMR 26 [47]); Queste parole del ministro, non oziose,
inutili o vane, bensì fruttuose, pensate e volute, sono il saluto rituale che prosegue e diventa un
saluto spontaneo. Nasce da questo l’importanza che non siano oziose, ma ben calibrate.
4)
La litania del Signore misericordioso
Nicolas Cabasilas (laico e scrittore mistico e teologico della Chiesa bizantina di Tessalonica [13221391 circa]) commenta così l’implorazione litanica ricollegandosi al dar lode a Dio:
‘chi implora il Signore (Kyrie eleison) è uno che rende grazie e confessa il Signore. Infatti, questa
è l’implorazione di misericordia di chiunque non avendo una qualsiasi ragione di difesa della
propria causa o di giustificazione della propria condotta rivolge questa parola a chi fa la giustizia,
affidandosi alla clemenza di lui e non al diritto di sé. È implorazione di uno che dà testimonianza
della benignità di chi fa giustizia [di Dio], e dà testimonianza della povertà di chi implora’.
Riconoscere la propria povertà è confessare il Signore; rivolgersi alla sua misericordia è
rendimento di grazie. ‘Eleison’ dice sia rendimento di grazie (per la sua benignità) sia confessione
(della propria povertà).
IGMR 30 [52] dice che: 'ogni acclamazione, secondo l'uso, si raddoppia; né è escluso che, secondo
l'indole delle diverse lingue e dell'arte musicale o le circostanze, si ripeta un maggior numero di
volte anche intercalando un breve tropo'.
Ecco cos’è la litania del Signore misericordioso: l'insistente testimonianza della nostra povertà
sulla sua benignità; implorazione sia del Signore della misericordia, sia della misericordia del
Signore. La confessione della nostra povertà e il ringraziamento per la sua benignità, grazie alla
litania, vengono protratti senza sosta.
La formula litanica Kyrie Eleison, indipendente da motivazioni e intenzioni (come invece è usata
nel modulo offertoriale, dove dipende dalle richieste universali dei fedeli) è un invito a rivolgerci
insistentemente a Dio soltanto con quest’ultima e definitiva parola che chiede misericordia; ed è
anche conversione dal superfluo a ciò che veramente conta (una conversione che parte dalla
consapevolezza della nostra povertà davanti alla benignità di Dio).
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Il verbo eleéo significa: ho compassione, mi metto con te in stato di reciproca comunanza, di
simpatia. Il latino traduce misereor: mettersi con l'altro in stato di reciproca comunanza nel
sentire.
Kyrie eleison, pertanto. è l’implorazione di questa compassione; è l’insistenza perché si realizzi
nella celebrazione che facciamo, quello stato di miseri-cordia, di sim-patia di Dio noi nostri
confronti, (simpatia in cui il Signore si è già messo attraverso l'assunzione della nostra carne).
La litania del modulo introitale è cristologica perché diciamo Kyrie, ma specifichiamo Christe.
Eventuali tropi che vengono aggiunti sono altrettante aggettivazioni del Kyrie / Christe, dicono
ulteriori qualità del nostro Signore, e non diminuiscono o diluiscono l’intensità dell'eleison.
L'attuale messale fornisce in modo esemplificativo una dozzina di schemi, diversi anche per i vari
tempi liturgici, tutti rivolti al Cristo anche se richiamano le persone del Padre o dello Spirito.
La litania introitale è confessione a voce alta della misericordia di Dio e lode a Dio e rendimento
di grazie per la distruzione della morte.
5)
La grande dossologia
Il Gloria è una dossologia complessa. Un inno in prosa che la Chiesa si è composta in assonanza ai
canti biblici dell'AT e del NT. Esso sta nel modulo introitale quale momento apice.
In esso vi sono agganci alla gioia, alla lode, al rendimento di grazie, alla confessione implorante
del modulo introitale.
IGMR 31 e 87 [53 e 126]) descrive l'uso del Gloria. La tendenza è sempre stata quella del canto
alternato, ma l'uso della composizione musicale lo ha sempre delegato troppo spesso ai cantoriartisti.
Con la grande dossologia del Gloria, la Chiesa radunata in Spirito santo glorifica e supplica Dio
Padre e l'Agnello.
Vi sono varie recensioni di questo testo innologico. Quella che la nostra liturgia utilizza è una
recensione monastica del IX secolo presente nel Codice del Salterio dell'abate Wolfcoz di san
Gallo. La versione latina più antica di questo inno è quella che si rifà al monastero di Bangor
(Irlanda, ± 500).
Per la migliore decodificazione del senso pieno del testo, mettiamo in sinossi quella che
utilizziamo attualmente e quella latina più antica.
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GLORIA IN EXCELSIS
RECENSIONE MONASTICA DEL IX SECOLO
PRESENTE NEL CODICE DEL SALTERIO DELL'ABATE
WOLFCOZ DI SAN GALLO
È la versione a cui si rifà il Messale attuale
RECENSIONE A PARTIRE
- DALLA VERSIONE LATINA PIÙ ANTICA DEL GLORIA DEL
MONASTERO DI BANGOR (± 500)
È la versione a cui ci rifacciamo per il nostro
commento
Gloria a Dio nell'alto dei cieli
e pace in terra agli uomini di buona volontà.
Gloria a Dio nell'alto dei cieli
e pace in terra agli uomini che egli ama.
Noi ti lodiamo, ti benediciamo,
ti adoriamo, ti glorifichiamo,
Noi ti lodiamo, ti benediciamo,
ti adoriamo, ti glorifichiamo,
ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa,
Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente.
Signore, Figlio unigenito, Gesù Cristo,
ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa Signore,
Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente, Signore,
Figlio unigenito, Gesù Cristo
e Spirito santo
Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del Padre;
tu che togli i peccati del mondo,
abbi pietà di noi;
tu che togli i peccati del mondo,
accogli la nostra supplica;
tu che siedi alla destra del Padre,
abbi pietà di noi.
Kyrie, Dio, Agnello di Dio, Figlio del Padre
tu che togli i peccati del mondo,
eléeson hemas
tu che togli i peccati del mondo,
accogli la nostra supplica
tu che siedi alla destra del Padre,
eléeson hemas.
Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo
l'Altissimo:
Gesù Cristo, con lo Spirito Santo
nella gloria di Dio Padre.
Perché tu il solo Santo, tu il solo Signore
Gesù Cristo
con lo Spirito santo
per la gloria di Dio Padre.
Amen.
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- Il primo verso del Gloria è l'intonazione dell'inno, è la parola degli angeli per la nascita del
Redentore. Intonazione di gioia e di lode a Dio a motivo della venuta in mezzo al suo popolo del
Salvatore.
Medesima esplosione di gioia nelle parole seguenti a motivo del regno che Dio dona agli uomini
con la venuta del Salvatore. Il bonae voluntatis, gli uomini di buona volontà, proprio della
traduzione della Vulgata, non è del senso del vangelo di Luca (: …’agli uomini che egli ama’ /
‘agli uomini della benevolenza di Dio’…). Il Gloria dice all'indicativo ciò che il saluto aveva detto
all'ottativo.
Il mistero dell'incarnazione (: ‘gloria a Dio nell’alto dei cieli’) e il mistero della Chiesa (: ‘e in terra
agli uomini di buona volontà’) sono cantati con esclamazione, con gioia ed esultanza,
dall’assemblea eucaristica, per la meraviglia della venuta del nostro Salvatore. Venuta che si sta
celebrando con l'introito.
- Il secondo verso del Gloria è una ridondanza della lode e della benedizione sempre a motivo
della gloria, cioè a motivo della manifestazione di Dio agli uomini dall'alto dei cieli. La
benedizione e l'adorazione presenti nel Gloria sono cantate in relazione alla venuta misericordiosa
del Signore; siamo infatti nel modulo di ingresso.
- Il terzo verso del Gloria è ancora la lode ma stavolta precisata come ringraziamento: la lode
diventa un ringraziamento per la gloria, cioè per la sua manifestazione: 'ti rendiamo grazie per la
tua gloria immensa Signore, Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente, Signore, Figlio unigenito,
Gesù Cristo [e Spirito santo]'.
Questo ringraziamento, innanzitutto, è indirizzato alla Trinità. Infatti tutte le recensioni del testo,
eccetto soltanto la recensione che usiamo noi, menziona tutte e Tre le Persone. Si dice del Padre
che è pantocratore (onnipotente), dello Spirito che è santo, del Figlio che è unigenito (chiamato
così per celebrarne l'unicità dell'opera di salvezza).
Il ringraziamento per la gloria immensa è sia a motivo dell'opera effettuata dalla manifestazione
di Dio e dalla sua misericordia (legate alla sua prima venuta nella carne); sia allo scopo di
ottenere ancora la sua manifestazione e la sua misericordia nella parusia (alla sua venuta alla fine
dei tempi).
- Il quarto verso è una confessione supplicante della misericordia di Dio:
'Signore, Dio, Agnello di Dio, Figlio del Padre
tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi
tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica
tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi.'
È una supplica litanica attraverso l'implorazione 'abbi pietà'. Il vocativo 'Signore' è aggettivato
come 'Agnello' (richiamo del sangue versato per noi) e come 'Figlio' che siede alla destra del Padre
(richiamo alla signoria definitiva di Cristo presso il Padre).
[Il tropo 'tu che togli i peccati del mondo' riferisce questa litania alla litania del modulo di
comunione: 'Agnello di Dio che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi'].
- Il quinto verso è una dossologia trinitaria costruita avendo come referente il Cristo:
l'attribuzione della santità e della signoria è soltanto al Cristo e con lui allo Spirito per la gloria del
Padre che ha mandato il suo Figlio e lo Spirito per la nostra rigenerazione. [L'inciso 'tu solo
l'Altissimo' sta soltanto in redazioni tardive e probabilmente antiereticali].
Questa chiusura dossologica del Gloria dice che esso è sintesi innologica dell'introito: il Padre
manda a noi il suo Figlio e lo Spirito per rigenerarci.
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6)
L'orazione della colletta
Colletta (da colligere) è raccogliere insieme, riunire, congiungere in uno, trattenere riuniti, unire
in affetto, congiungere in. La colletta è la parte conclusiva di tutto il modulo di introito.
Quale che sia la sua origine ed evoluzione storica, il senso che le è proprio emerge anche al di là
delle parole precise che essa, di volta in volta, usa per pregare. Tale senso può essere riassunto
nella preghiera del rito bizantino che recita: 'Tu che ci hai donato la grazia di pregare insieme
riunendo le nostre voci; tu che ci hai promesso di esaudire le suppliche anche di due o tre riuniti
nel tuo nome; tu stesso ascolta ora le richieste dei tuoi servi a loro bene, e concedi nell'era
presente la conoscenza della tua verità e nell'era a venire la vita eterna'.
I Principi e norme precisano:
'Il sacerdote invita il popolo a pregare a mani giunte: Preghiamo. E tutti, insieme col sacerdote,
stanno un po' in silenzio per coscientizzare il fatto di stare al cospetto di Dio e per discernere
nell'animo i propri voti. Quindi il sacerdote, con le braccia allargate, pronuncia l'orazione detta
colletta. Con essa si esprime il carattere della celebrazione e mediante le parole pronunciate dal
sacerdote si indirizza la preghiera (di tutti) a Dio Padre per Cristo nello Spirito santo. Il popolo
unendosi alla preghiera e ad essa assentendo fa propria l'orazione acclamando: Amen! Nella
messa si dice una sola orazione (colletta); e ciò vale anche per l'orazione sulle offerte e per
l'orazione dopo la comunione' (IGMR 32 e 88 [54 e 127]).
Il sacerdote pronuncia questa orazione che ‘riunisce’, proprio quando la connessione dei fedeli in
assemblea c'è già in forza dell'ufficio di introito che qui si conclude. Questo vuol dire che essa
chiude il modulo di introito proprio apportando un ulteriore maggiorazione di aggregazione e di
unità del popolo già riunito.
Essa esprime la conclusione attraverso un compendio, attraverso un’evidente brevità. Tale brevità
richiede da tutti la coscienza di essere già in unità (un’unità operata dai riti di introito), e
richiede, nel silenzio che la precede, la coscienza di stare al cospetto di Dio ora, qui con gli altri
dell'assemblea.
Non si tratta soltanto di un raccoglimento di devozione, ma di un momento in cui coscientizzare
la responsabilità di ciascuno di essere assemblea riunita, di essere un tutt’uno. Sarebbe un
raccoglimento di devozione se il testo della preghiera fosse già stato proclamato (si sosterebbe su
di esso in devozione, meditazione e considerazione); ma non essendo ancora proposte le parole
della preghiera, il silenzio funziona come tempo di consapevolezza dell’essere riuniti in unum (e
tale riunione in unum richiede la responsabilità di ciascuno!)
Perciò, in tale silenzio (purtroppo spessissimo disatteso dai presbiteri), ciascuno discerne
nell'animo i propri voti, non formulando le richieste singolari del proprio cuore ma sentendosi in
comune preghiera con tutti gli altri come se si fosse uno, disposti a chiedere ciò che serve al bene
dell’uno, non dei singoli!
Per cui, nell'orazione colletta il sacerdote indirizza con verità la preghiera liturgica di tutti solo se
la preghiera rituale ri-assume in realtà i voti di ognuno. E questo richiede sia l'attenzione della
Chiesa nel proporre al sacerdote (attraverso il Messale) parole veramente riassuntive dell'animo
delle proprie comunità cristiane, sia l'attenzione di tutti nel discernere voti realmente riassumibili nella preghiera che la Chiesa indirizza a Dio Padre per Cristo nello Spirito santo.
In altre parole:
vi è un duplice aspetto:
- la preghiera deve essere capace di riassumere il cuore, le intenzioni di tutta la Chiesa
- i fedeli devono dimostrare capacità e attenzione nel produrre intenzioni veramente ri-assumibili
e non isolate o singolari.
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Creare questo duplice movimento è veramente un atto di sapienza! Si chiede, infatti, di andare
oltre la frammentarietà delle preghiere e delle richieste personali, individuali, esclusive e private.
È questo il grande mistero della preghiera liturgica: in bocca alla Sposa (alla Chiesa) non devono
stare le sue parole, ma quelle che lo Spirito suggerisce a chi lo possiede, affinché non si pensi e
non si parli se non come pensa e parla lo Sposo.
Questa preghiera liturgica è veramente un punto cruciale dove si manifesta la vera natura della
vita cristiana ed ecclesiale: la Chiesa che celebra non è semplice insieme di singoli giustapposti,
ma una riunione di tanti che diventano un uno. Educare alla preghiera liturgica vuol dire educare
a questa preghiera in connettività. [Ciò potrebbe aiutare ad evitare l’uso di ritualizzare e
presentare intenzioni e invocazioni del tutto private e singolari che invadono non poco la
celebrazione eucaristica. Pastoralmente hanno il problema di essere parziali e necessitano
pertanto, di approfondimento e di globalità.]
La colletta, dunque, ci raduna dalla dispersione del frammentarismo delle richieste, all'unità della
preghiera liturgica; e raduna l’assemblea eucaristica dall'individualismo alla comunione
dell’unico popolo.
L’orazione colletta è costruita su un movimento di evocazione e di invocazione. Si evoca un’azione
di Dio nel passato e si invoca, a partire da essa, la sua azione per il presente e il futuro. Questo
doppio movimento si basa sulla fedeltà alle promesse che il Padre mantiene realizzandole in Gesù
Cristo. Evocazione e invocazione sono tradotte nella dinamica: fecisti/fac; tu che hai fatto/ora fa
che.
Per cui, la colletta insegna che le preghiere diventano plausibili soltanto se sono composte e
pregate nell’ottica di una fedeltà divina che mai verrà meno. Pertanto, per imparare a discernere
quali intenzioni, desideri e voti possano e debbano essere manifestati nella preghiera, è necessario
che i fedeli si adeguino a questa intelligenza e sapienza: Dio mantiene la sua fedeltà per mille
generazioni.
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