Catechisti nella città n. 77
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Catechisti nella città n. 77
U F F I C I O CAT E C H I S T I C O E S E R V I Z I O P E R I L C AT E C U M E N AT O D E L L A D I O C E S I D I R O M A FOGLIO Catechisti nella Città D I C O L L E G A M E N T O T R A I C AT E C H I S T I D I ROMA 77 Gennaio - Marzo 2010 - Periodico trimestrale a carattere religioso - Anno X - Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 2 DCB - Roma Alla ricerca dell’iniziazione perduta. A 10 anni dalla seconda nota CEI sull’iniziazione cristiana: un approfondimento teologico. di Paolo Tomatis Presentiamo sulla rivista Catechisti nella città la relazione tenuta da don Paolo Tomatis, direttore dell’Ufficio liturgico diocesano di Torino e membro della Consulta dell’Ufficio Liturgico Nazionale, nel corso del Seminario di studi sul catecumenato “A 10 anni dalla seconda nota sull’Iniziazione Cristiana”, organizzato dall’Ufficio catechistico nazionale in Roma, Villa Aurelia, 7-8 settembre 2009. A 10 anni dalla promulgazione della seconda nota pastorale del Consiglio episcopale permanente della CEI sull’IC dei fanciulli e dei ragazzi dai 7 ai 14 anni, l’impressione iniziale è quella di un discorso più bisognoso di una effettiva declinazione pratica, che non di un ulteriore approfondimento teorico. Mai come in questo campo il cammino verso un nuovo modello sacramentale e pastorale passa attraverso la passione e il realismo degli esploratori (coloro che testimoniano in itinere che “si può fare”), piuttosto che attraverso la teoria pur necessaria dei cartografi che tracciano le rotte senza percorrerle (coloro che affermano “si deve fare”). E tuttavia, là dove a muoversi non è più soltanto la singola comunità, ma l’intera Chiesa locale, come evidenziano le sperimentazioni diocesane recensite nel presente seminario, abbiamo la possibilità nuova di verificare concretamente – nel rapporto tra la teoria e la prassi – quelli che sono i punti fermi da ritenere acquisiti, i principi eventualmente ancora bisognosi di approfondimento, i nodi da sciogliere e i collegamenti necessari perché un elemento dell’IC non prevalga a scapito dell’insieme. Al di là del giudizio di merito circa l’effettiva possibilità nel nostro contesto pastorale e culturale di dare una decisa ispirazione di tipo catecumenale agli itinerari di iniziazione cristiana (d’ora in poi IC) dei fanciulli e dei ragazzi, la seconda nota ha certamente contribuito a riferire in modo più esplicito tali itinerari all’impianto di fondo dell’ini- Angelo Biancini, Storie di San Luca, Parrocchia San Luca evangelista, Roma INDICE L’iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi in Italia - Alla ricerca dell’iniziazione perduta. A 10 anni dalla seconda nota CEI sull’iniziazione cristiana: un approfondimento teologico, di Paolo Tomatis Riflessioni sulla pastorale battesimale - Pastorale battesimale in Italia: situazione, prospettive, opportunità, di Fabio Narcisi - Comunicare la fede ai bambini. Pastorale battesimale ed educazione religiosa in famiglia: una presentazione del volume di Fabio Narcisi, di Andrea Lonardo - L’educazione religiosa dei bambini fino ai tre anni. La proposta della parrocchia della Trasfigurazione in Roma Il vangelo di Luca - Il vangelo di Luca nell’altorilievo di Angelo Biancini, per la facciata della parrocchia di San Luca evangelista in Roma, di Giampiero Arabia Appuntamenti - Gli stages estivi di formazione dei catechisti dai 25 anni in su e degli aspiranti catechisti dai 16 ai 25 anni - La festa dei cresimandi 1 L’iniziazione cristiana ziazione cristiana (IC), colta nelle sue dimensioni fondamentali, quali emergono dall’ordo rituale degli adulti (RICA): - la globalità di un cammino organico, integrale, graduale ed esperienziale, che inserisce la celebrazione dei sacramenti in una iniziazione complessiva alla vita cristiana; - l’ecclesialità del cammino e l’importanza della comunità quale soggetto e contesto dell’IC; - il coinvolgimento personale ed effettivo dei soggetti, nell’attenzione antropologica alla loro storia personale e sociale; - il primato dell’iniziativa di Dio (che si traduce nel primato della Parola e nella decisività della celebrazione sacramentale); - l’unitarietà dei tre sacramenti, intorno al principio eucaristico, fons et culmen della vita sacramentale. Se su questi punti difficilmente si può essere in disaccordo, l’effettiva messa in pratica di tali principi, insieme alla sottolineatura di un elemento sull’altro, possono essere all’origine di modelli diversi di iniziazione e di catechesi, che suppongono e sostengono modelli diversi di Fig. 1. Gesù nel tempio con i dottori della Legge (Lc 2,41-52) Chiesa. Rispetto alla griglia di interpretazione proposta per la lettura delle esperienze in corso1, mi soffermo in modo particolare su quattro punti: l’unitarietà dei sacramenti dell’IC; il rapporto tra IC e modello di comunità e di Chiesa; il modello di IC da promuovere; la dimensione celebrativa e mistagogica. 1. L’ORDINAMENTO EUCARISTICO DELL’IC Il primo punto sul quale è utile fare il punto riguarda l’unitarietà dei tre sacramenti dell’IC, intorno al fondamento e al riferimento eucaristico. A distanza di 10 anni come valutare la titubanza con cui il principio dell’unità da una parte è proposto con forza (2,18,19), dall’altra è “spuntato” nella possibilità della forma tradizionale (55)? Pazienza verso la storia recente (solo centenaria, ma intanto quasi secolare, e ancora ben radicata nell’immaginario iniziatico della religione civile), oppure mancanza di coraggio? Flessibilità pastorale o saggezza teologica di chi non intende decidere una volta per tutte e per sempre la natura dei singoli sacramenti, in modo particolare della Confermazione? Intanto il fatto che da qualche parte vi siano teologie della Confermazione non semplicemente funzionali al principio pedagogico della distensione temporale, ma plausibili dal punto di vista teologico22, è invito ad una certa cautela nell’affermare: “Tutto sbagliato”, a proposito dell’ordine consueto (B-E-C), come se la recente storia della prassi dell’IC - e l’attuale disposizione canonica e catechistica della CEI - fosse il frutto di un malinteso, da dimenticare in fretta. Una certa flessibilità è inoltre utile per due motivi fondamentali: - per “non strappare”, dando origine a cambiamenti improvvisi e improvvisati: l’apertura ad una varietà di percorsi possibili, corrispondente all’attuale varietà delle situazioni personali, familiari e soprattutto sociali, può essere segno non soltanto di pazienza (verso genitori svogliati, parroci pigri e catechisti disorientati…), ma di saggezza, che riconosce il guadagno di sperimentare con qualcuno, per poi proporre a tutti; - per non attribuire alla sola celebrazione unitaria un peso decisivo, che può avere solo se colta nell’insieme di un nuovo modello complessivo; non basta ritrovare l’ordine tradizionale, perché il modello dell’IC si realizzi. Detto ciò, possiamo contare su alcuni segnali che incoraggiano verso una accoglienza sempre più condivisa e convinta del guadagno proveniente dalla prospettiva unitaria, per la comprensione e la celebrazione dei singoli sacramenti. Il modo con cui ad esempio Sacramentum Caritatis 17 rilegge il Battesimo e la Confermazione in riferimento al Mistero eucaristico è in questo senso oltremodo significativo: “Se davvero l’eucaristia è fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa, ne consegue innanzi tutto che il cammino di IC ha come suo punto di riferimento la possibilità di accedere a tale sacramento […] Non bisogna mai dimenticare, infatti, che veniamo battezzati e cresimati in ordine all’eucaristia”. “Veniamo battezzati e cresimati in ordine all’eucaristia”: la decisione con cui la tradizione latina occidentale ha da sempre custodito la celebrazione unitaria per gli adulti, insieme alla sicurezza con cui la tradizione ortodossa ha da un certo punto della storia in poi conferito i tre sacramenti dell’IC agli infanti, invitano a concentrare, anziché diluire; a cercare l’optimum (che struttura l’intero cammino attorno al cuore dell’Eucaristia domenicale), anziché accontentarsi del bonum; ad essere più coraggiosi e decisi, almeno per quel che riguarda i fanciulli e i ragazzi che domandano di ricevere il battesimo3. È evidente come tale scelta debba far parte di un tutto coerente, perché non appaia come il vino nuovo versato negli otri vecchi di una pastorale inadeguata. La storia dei sacramenti ci ricorda a questo proposito come le pratiche sacramentali mutino nel riferimento diretto e concreto al mutare dei modelli ecclesiali, prima che dei modelli teologici4. Nel nostro caso specifico, la questione dell’ordine dei tre sacramenti dell’IC, e della giusta collocazione del sacramen- _________________________________________________ 1 Primo annuncio (1); coinvolgimento delle famiglie (2); unità e ordine dei sacramenti (3); dimensione celebrativa (4); inserimento nella comunità (5); mistagogia (6). 2 In tal senso vanno le riflessioni che sottolineano l’effusione speciale dello Spirito, nel rapporto tra Pasqua e Pentecoste (Chauvet), e la novità della vita cristiana, in rapporto alle situazioni decisive e alle dimensioni fondamentali dell’esistenza antropologica, all’interno di un modello sacramentale che sottolinea con vigore il significato del sacramento come “illuminazione dell’umano” (Bourgeois, Lafont). 3 L’effettiva introduzione di un libro ufficiale dei catecumeni/dei candidati al battesimo nei nostri uffici parrocchiali (prevista al numero 42 della seconda nota CEI, ma accolta con un certo scetticismo), sarebbe, dal punto di vista simbolico, molto più efficace di tanti documenti, nella misura in cui obbliga le comunità cristiane a “registrare” l’avvenuto cambiamento di mentalità: dal ritenere la situazione del fanciullo non ancora battezzato come una mancanza a cui rimediare al più presto, al considerare lo statuto catecumenale come una delle modalità di appartenenza al Chiesa. 4 È il caso, ad esempio, del profilo individuale o comunitario del sacramento della penitenza, che ha subito un forte mutamento di senso a partire dall’incontro con la forma monastica dell’esperienza cristiana. È il caso dello stesso battesimo dei bambini, che ha spostato considerevolmente l’asse del significato teologico dalla novità di vita nell’orizzonte della conversione, alla garanzia di salvezza nell’orizzonte dell’affiliazione. 2 L’iniziazione cristiana to della penitenza, è risolta nel riferimento essenziale alla civitas christiana, a quel modello ecclesiale che dando per scontata l’appartenenza alla fede e alla Chiesa sottolinea le dimensioni più personali del valore della “prima comunione” nel percorso di crescita del fanciullo. Nell’immaginario civile e religioso, il battesimo è cosa riguardante i bambini; l’Eucaristia nel percorso di IC è confusa (e lo sarà ancora per un po’ di tempo) con la “prima comunione”. Quanto all’eucaristia domenicale nel cammino ordinario degli iniziati, conosciamo la fatica di modellare la coscienza e la forma pratica di un’effettiva comunità eucaristica (vale a dire un certo modo di percepire il senso della celebrazione eucaristica, di vivere la domenica e l’anno liturgico…), così che la “coppa della sintesi” mostri il volto di una comunità di iniziati. Per iniziare alla fede eucaristica, occorre insomma una effettiva “comunità eucaristica”: la cosa non appare affatto scontata. Un circolo virtuoso incoraggia i nostri sforzi, perché una Chiesa di iniziati sappia iniziare, e perché generando nuovi figli la Chiesa possa realmente rigenerare se stessa5. L’invito ad una proposta più coraggiosa relativa all’ordine dei sacramenti deve pertanto accompagnarsi ad una progressiva riscoperta dell’identità eucaristica della comunità cristiana, senza la quale il perfezionamento iniziatico domenicale scade a buona abitudine, la prima comunione rimane irrimediabilmente l’ultima, e la confessione una questione privata. La Veglia Pasquale, punto di riferimento essenziale per l’IC di ogni età, costituisce in questo senso il luogo simbolico-sacramentale per eccellenza nel quale emerge l’evidenza dell’identità eucaristica della Chiesa6. Proprio la ricchezza e la complessità della Veglia pasquale, che non ammette improvvisazioni né cadute di stile, ci ricorda che la questione pastorale dell’IC non è anzitutto una questione di catechesi o di strategie educative, ma di identità ecclesiale7. 2. IC DEI FANCIULLI E MODELLO DI CHIESA In questa prospettiva, possiamo rileggere la seconda nota CEI (e le sperimentazioni dell’IC dei ragazzi avviate in questi anni) in relazione all’identità del soggetto ecclesiale che sta all’origine del processo iniziatico e alla dimensione ecclesiale e comunitaria dell’esperienza della fede. Chi è la Chiesa che concretamente inizia alla fede? Come si percepisce nei confronti di un mondo sempre più estraneo alla fede confessata, celebrata e vissuta, ma ancora ancorata ai suoi riti e alle sue istituzioni? L’intentio del numero 7 della nota - l’esigenza di non dare i sacramenti in modo indiscriminato) - non va sottovalutata, ma neppure sovradeterminata: va piuttosto considerata molto attentamente, nella misura in cui rischia di metterci dalla parte di chi è a posto e deve mettere un po’ di ordine e di serietà nel campo dei sacramenti (magari facendo un po’ di giustizia: siamo mica una stazione di servizio del sacro!). Così facendo, “la conversione spirituale” è per gli altri: a noi solo spetta al limite la “conversione pastorale”, per una proposta di fede più seria e impegnativa. In realtà, la prospettiva missionaria dell’IC è kairos, segno dello Spirito che soffia in ogni tempo, che invita la comunità a rigenerarsi, generando “in un certo modo”. L’impressione generale è che nella Nota CEI la dimensione ecclesiale dell’IC sia ancora troppo presupposta, data per scontata (26): si parla dell’inserimento nel gruppo (27), delle figure ministeriali implicate (28), del coinvolgimento della famiglia (29)8, della comunità tutta chiamata ad intervenire e a partecipare al lavoro iniziatico, senza troppo soffermarsi sulla dimensione problematica di tale presenza e di tale partecipazione. La pratica di questi anni ci sta insegnando ad essere meno preoccupati della risposta dei fanciulli e delle famiglie e più del profilo e dello stile realmente comunitario della proposta! Di fronte al compito che spetta alla comunità cristiana, viene da chiedersi: dove è la comunità? E quali caratteristiche deve avere per aprirsi ad una mentalità di tipo catecumenale? Il valore ecclesiogenetico dei sacramenti dell’IC è tale dove la “comunità” – qui concretamente intesa come il nucleo dei credenti battezzati che partecipano attivamente alla vita della comunità - si lascia continuamente rigenerare dal modello globale, organico dell’iniziazione. La capacità di iniziare alla fede i fanciulli e i ragazzi suppone una comunità parrocchiale in grado di offrire - prima e dentro i necessari cammini - un volto e una personalità, uno stile e un carattere definiti: - una comunità capace di accogliere le persone all’insegna della gratuità (in un Fig. 2. La tempesta sedata (Lc 8,22-25) _________________________________________________ 5 Cf. CEI, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, 8. 6 Cf. CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direttorio generale per la catechesi (1997), 91. 7 Le stesse difficoltà che talvolta si incontrano nell’ospitare, all’interno della Veglia pasquale, in modo indiscriminato, nuove famiglie coinvolte nei percorsi dell’IC, confermano della necessità di un’effettiva iniziazione dei fanciulli e delle loro famiglie allo stile complessivo della comunità, di cui la liturgia è simbolo e sacramento. 8 A proposito del riferimento familiare, è interessante il fatto che il CJC, pur ribadendo il diritto-dovere di educare alla fede da parte dei genitori (226), non preveda in modo esplicito la situazione particolare del fanciullo che necessita del consenso del genitore, quando non di un accompagnamento concreto, assimilando di fatto troppo in fretta la condizione del bambino giunto all’età di ragione alla condizione dell’adulto. All’assenza di una specifica riflessione sul fanciullo quale soggetto dell’IC, corrisponde una certa fatica nel considerare la pluralità di situazioni familiari nelle quali prende corpo il cammino dell’IC. Da una parte, si può contare sempre meno su famiglie “cristiane”; dall’altra, si tratta di rimotivarne l’impegno, riconoscendo e promuovendo in esse possibilità-capacità diverse, da mettere a disposizione (da cui scaturiscono differenti proposte di impegno), così da renderle soggetti attivi di formazione anche religiosa. In ogni caso, è avvertita la necessità di coinvolgere, senza “scaricare” su di loro ciò che non possono fare e dare (no alla catechesi privatizzata nel santuario familiare: la catechesi è un fatto ecclesiale), né dare per scontato, tenendo comunque sempre conto che l’educazione umana e cristiana dei fanciulli passa in ogni caso sempre dalla mediazione familiare. Cf. G. ROUTHIER, Le rôle de la famille dans la formation chrétienne, in Lumen Vitae 4 (2005), 451-460. 3 L’iniziazione cristiana Da più parti, nelle sperimentazioni diocesane, ci si accorge che il vero problema dell’IC dei nostri ragazzi non è tanto quello di “convincere”, “motivare” genitori e ragazzi a fare un percorso nuovo, più affascinante e impegnativo: il vero problema è quello di aver fatto noi per primi questo percorso, per condividerlo in modo credibile con altri. Fig. 3. Da qui la necessità di reiniziare le nostre comunità ai fondamentali della fede vissuta, celebrata, confessata, testimoniata. Perché questo accada, è necessario che la comunità sia anzitutto costituita da un “cuore pulsante”, vale a dire da un nucleo minimo di “iniziati” ad un senso di identità e appartenenza tanto forte quanto aperto, capace di sostenere la tensione tra la folla (il carattere popolare del cattolicesimo italiano) e i discepoli (il carattere esigente dell’Evangelo) che è tipica del compito missionario che ci attende. I viaggi di Paolo contesto sociale nel quale generalmente le relazioni sono strettamente funzionali) e della libertà (in un contesto culturale pluralistico e tendenzialmente anti-istituzionale); - una comunità appassionata del Vangelo, che sa “narrare” la propria esperienza di fede con parole al contempo universali (la fede della Chiesa) e singolari (la fede come esperienza viva), in un contesto nel quale il primato dell’esperienza individuale rischia di implodere su se stesso; - una comunità “mistagogica” e liturgica, capace di pregare, celebrare e di affascinare al Vangelo come Mistero (in un contesto culturale aperto al versante “mistico” della fede); - una comunità capace di fare “festa”, di offrire una “casa” e di stare sulla “strada”, cioè di vivere nel mondo, senza rinunciare alla propria identità (in un contesto culturale che soffre l’anonimato e l’isolamento e che ha sete di relazioni significative); - una comunità “esperta in umanità”, e dunque in grado di accompagnare ed evangelizzare i luoghi effettivi della vita, nelle sue tappe e nelle sue situazioni fondamentali (in un contesto culturale disorientato sul versante educativo dei valori)9. È una tensione che può essere attraversata in modo fecondo solo sullo sfondo di un modello di Chiesa, che dia forma ad uno specifico stile ecclesiale. Il Concilio Vaticano II ci ha consegnato a questo proposito l’immagine di una Chiesa che si definisce “sacramento” di comunione (“segno e strumento dell’unione intima con Dio e dell’unità con tutto il genere umano”: Lumen Gentium 1), nel riferimento congiunto al Mistero di Dio (Sacrosanctum Concilium) e alla storia degli uomini (Lumen Gentium), in un atteggiamento di ascolto, di rispetto della dignità dell’altro (Dignitatis Humanae), di incarnazione e dialogo attento con le istanze del mondo dal quale essa si riceve (Gaudium et Spes). Da queste direttrici provengono indicazioni preziose per una Chiesa che si pone di fronte alle istanze pluraliste, secolariste e soggettivistiche della società, in modo non “debole” e scoraggiato, né “forte” e settario, ma “umile”, nel custodire “gelosamente” la perla preziosa del Vangelo, e nell’offrirLa al contempo con generosità, gratuità e libertà10. Non rappresenta forse l’Eucaristia la figura perfetta di tale umiltà? Non costituisce l’Eucaristia il grande sacramento dell’umiltà di Dio e della Chiesa, dove coincidono massima disponibilità (le porte sempre aperte, senza biglietti di ingresso) e massimo impegno (accesso generoso ma serio, non indiscriminato, alla comunione)? Solo il volto di una Chiesa “umile” impedisce all’itinerario catecumenale di cadere nella trappola del “rigorismo” (di volta in volta morale o dogmatico o comunitario) di fronte ad un mondo sempre più lontano, così da accogliere realmente l’altro, che si avvicina per mille motivi diversi, nella sua capacità di provocare un modo nuovo di dirsi e di proporsi: «ogni epoca ed ogni cultura costituiscono una occasione perché la Chiesa si “ridica”, in fedeltà a se stessa e a ciò che essa è, in modo nuovo ed inedito, in un modo, cioè, che la porti a riscoprire di se stessa qualcosa che solo quella cultura e quella epoca le consentono di riscoprire»11. Il riferimento alla terra (humus) dell’humilitas esprime un tratto fondamentale dell’economia salvifica, che si concentra e si riassume nel Figlio di Dio che si fa uomo e si china su quell’essere impastato di terra che è l’uomo, lasciandosi definire dalla relazione con Lui e definendo lo stile della Chiesa. Al proposito, afferma la costituzione conciliare Lumen gentium: «E come Cristo ha compiuto la sua opera di redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la chiesa è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza. Gesù Cristo “sussistendo nella natura di Dio… spogliò se stesso, prendendo la natura di un servo” (Fil 2,6-7) e per noi “da ricco che egli era si fece povero” (2 Cor 8,9): così anche la chiesa, quantunque per la sua missione abbia bisogno di mezzi umani, non è costituita per cercare la gloria della terra, bensì per far conoscere, anche col suo esempio, l’umiltà e l’abnegazione» (Lumen gentium, 8)12. Dalla forma umile del Verbo è l’invito per la Chiesa a lasciarsi abitare dal soffio dello Spirito di Cristo (protagonista dell’IC, secondo la nota 2, 22-23), che spinge ad un movimento insieme sintetico-comunionale (ad intra: “vi ricorderà ogni cosa, vi guiderà alla verità tutta intera”; da qui la cura attenta per quei _________________________________________________ 9 Cf. P. BACQ, Quelle figure d’Église pour une catéchèse inculturée?, in Lumen Vitae 2 (1999), 125-134. 10 Per una rilettura del mistero della Chiesa nella prospettiva dell’umiltà, cf. R. REPOLE, Il pensiero umile. In ascolto della Rivelazione, Città Nuova, 2007. 11 Cf. R. REPOLE, Umiltà della Chiesa, Qiqaion (di prossima pubblicazione). 12 Cf. G. RUGGIERI, Evangelizzazione e stili ecclesiali: Lumen gentium 8,3 in ASSOCIAZIONE TEOLOGICA ITALIANA, Annuncio del Vangelo, forma ecclesiae, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2005, 225-256. 4 L’iniziazione cristiana luoghi e quelle esperienze nelle quali tutti possono e devono entrare) ed estatico-missionario (ad extra: lo Spirito è il Signore che dà la vita, la suscita, aprendo nuove strade…; da qui la ricerca di quei passi che ciascuno può e deve fare per uscire da sé e far crescere la propria fede), in uno sguardo di “realistica fiducia” verso tutte le epoche e tutte le situazioni in cui la Chiesa si troverà a vivere, proprio perché si ha la certezza che, nello Spirito, Cristo è per tutti. La consapevolezza di un aiuto non solo da offrire al mondo, ma anche da ricevere, ascoltando e imparando (cf. Gaudium et spes, 44), spinge la comunità a mettersi in un vero atteggiamento di ascolto e dialogo con i bambini e con gli adulti che si avvicinano alla fede. Un tale stile, ovviamente, non si improvvisa ed è frutto di tenace e appassionata dedizione, oltre che di investimento concreto, ben prima e al di là dei percorsi di IC: solo a questa condizione l’opera dell’iniziazione, dell’evangelizzazione, può risultare trasparente nella sua natura testimoniale, e realmente condivisa nelle diverse figure che intervengono nel cammino di formazione13. La domanda che sorge è perciò la seguente: come lavorare per questa opera di iniziazione reciproca ad uno stile di Chiesa e ad una passione evangelica? Come far sì che l’ingresso nell’esperienza cristiana sia “un bagno di vita ecclesiale” 14? L’approfondimento della categoria di iniziazione può a questo proposito offrirci alcuni stimoli. 3. IL MODELLO INIZIATICO DELLA FEDE E LA PROPOSTA DI UNA PASTORALE ESTETICA E POIETICA DELLA “GENERAZIONE” Come è risaputo, la progressiva affermazione della categoria di IC quale figura sintetica del processo attraverso cui si diventa cristiani non è avvenuta senza oscillazioni semantiche, che rinviano a loro volta a differenti modelli interpretativi: - la nozione patristico-misterica dell’iniziazione attraverso i sacramenti, che pone al centro l’atto rituale costitutivo dell’identità cristiana; - la nozione pedagogico-formativa dell’iniziazione ai sacramenti, che pone al centro il processo del divenire cristiano, colto nella globalità dei suoi elementi; - la nozione antropologico-culturale di iniziazione, che invita a cogliere tale processo nel quadro dei riti di passaggio15. L’importanza di valorizzare e integrare gli elementi portanti dei tre modelli è fuori discussione: l’iniziazione cristiana è in questo senso essenzialmente “atto sacramentale”, all’interno di un processo globale disteso nel tempo, che intercetta le dinamiche esistenziali più profonde dell’umano. L’impressione è in questi anni si sia prestata molta attenzione all’integrazione dei due primi profili (quello più liturgico e catechetico), che non all’integrazione del terzo, che ricorda all’IC le condizioni perché la vita sia davvero iniziata. La condizione indispensabile è questa: che la vita sia toccata, illuminata, assunta, purificata ed elevata nel “tocco di Dio”. sito, il documento appare gioco forza più preoccupato di precisare i passi, le tappe e le dimensioni di cui tenere conto per un “vissuto cristiano integrale” (catechesi, vita, preghiera, rito, comunità, Parola…), piuttosto che di declinare quella grammatica della fede che passa attraverso i luoghi della vita (la lezione del Convegno ecclesiale di Verona), perché il vissuto cristiano sia davvero integrale. L’IC è un cammino che tocca la vita e culmina nel tocco di Dio: la via poietica ed estetica dell’IC chiede di essere Il modello iniziatico della fede e della proposta evangelizzatrice, in questo quadro, non è tanto chiamato a complicare l’itinerario della fede attraverso tappe ancora troppo estrinseche alla vita concreta delle persone (le tabelle riassuntive dei movimenti e degli obiettivi dei progetti pastorali hanno talvolta qualcosa di sospetto…), quanto a semplificare il cammino della fede nella stretta relazione con la vita, con l’umano da assumere ed illuminare, nella varietà delle sue figure. In tal senso, occorre vigilare sul pericolo che la logica catecumenale sia percepita più come una “gabbia” che rinchiude, che non una “finestra” che si apre su un paesaggio attraente e tutto da esplorare. L’invito è, a questo proposito, di declinare la categoria complessiva di iniziazione (che rimanda al tema della “generazione”) in chiave pratica ed esperienziale, più precisamente estetica e poietica, perché tutta la vita possa entrare nel Mistero della salvezza. A questo propo- Fig. 4. San Paolo _________________________________________________ 13 Su questo fondamento, ha senso l’invito a non settorializzare e delegare troppo la pastorale dell’IC: la logica ministeriale dell’iniziazione chiede di intrecciare l’impegno competente e generoso di alcuni (catechisti, animatori del gruppo catecumenale) con la presenza di molti (tali dovrebbero essere!), che costituiscono la comunità dei discepoli, sotto la presidenza attenta e fiduciosa di uno (il pastore della comunità) e a nome di tutta la Chiesa. L’intreccio di queste figure (alcuni – molti – uno – tutti) è essenziale perché chi si avvicina alla Chiesa in occasione del cammino di IC incontri davvero i volti della comunità, riconoscendo in essa una dimora abitabile e desiderabile. Oggi più che mai, la pastorale dell’IC è chiamata ad essere insieme pastorale familiare e giovanile, ma pure caritativa e sociale, là dove si tratta di manifestare che il dono della vita nuova del Vangelo passa attraverso i gesti della cura, dell’accoglienza e dell’educazione di un nuovo figlio e fratello più piccolo. 14 Così è definita l’azione catechetica della comunità cristiana nel Texte national pour l’orientation de la catéchèse en France dei vescovi francesi, Bayard – Fleurus - Mame Cerf, Paris 2007, 1.5. 15 Cf. P. CASPANI, La pertinenza teologica della nozione di iniziazione cristiana, Glossa, Milano 1999, 11-101. 5 L’iniziazione cristiana declinata nelle diverse figure del vivere (e in modo particolare della vita del fanciullo e del ragazzo: il gioco, l’apprendimento, lo sviluppo della coscienza e della capacità relazionale…) che prendono la forma del legame con Cristo, nella misura in cui “imparano” la grammatica e la sintassi della fede nel proprio corpo, attraverso la ginnastica spirituale di quei gesti che danno alla vita la forma della fede. Fig. 5. Due Angeli la espressione della seconda nota CEI al numero 15 – una “liturgia della vita”. Nella misura in cui la fede è un lavoro dei cinque sensi (e con essi degli affetti, della memoria e della volontà...), essa è chiamata a rivisitare, ritrovare e approfondire quei luoghi, quei gesti originari che sono capaci di prefigurare, di configurare e rifigurare la vita, e che rimandano in modo variegato alla figura del rito: - ritualità che sospendono e interrompono la sensibilità, nelle diverse figure dell’ascesi ordinaria e straordinaria: svegliarsi e andare a dormire; mangiare e digiunare; parlare e fare silenzio; muoversi e stare fermi…; - riti che integrano la sensibilità in una forma di vita (quella della fede vissuta nella comunità) che dà forma alla fede: dal grande rito della Messa ai piccoli riti della preghiera e dell’ascesi quotidiana (dallo stare a tavola, al fare i compiti, fino all’utilizzo dei media); - riti che trasfigurano la vita, nel contatto con Dio che accende di luce i sensi: dall’esperienza del gioco alla festa familiare e comunitaria, al cui cuore è ancora una volta la celebrazione del Mistero che ne custodisce il fondamento. In questa via globale, che rilegge la prospettiva catecumenale in chiave “mistagogica” (intendendo qui in modo più generale la mistagogia come l’arte di condurre al Mistero) e che valorizza il corpo e il nesso con l’antropologico, si può applicare in modo più deciso il paradigma della “generazione” alla situazione esistenziale dei fanciulli e dei ragazzi17. Cosa vuol dire per un fanciullo e un ragazzo che vive la stagione della crescita essere generati alla nuova vita battesimale? Come fare emergere il teologico della vita nuova nell’antropologico dell’esistenza del fanciullo e del ragazzo? L’attenzione riflessiva ad istruire la corrispondenza tra le due dimensioni si è soffermata in questi decenni maggiormente sul nesso che intercorre tra il lieto evento della nascita e dell’accoglienza della vita e la Buona Novella dell’Evangelo: lo stesso lavoro appare promettente e urgente per la situazione – pur variegata – del fanciullo e del ragazzo, così che il riferimento alla soggettualità e al protagonismo dei soggetti sia effettivo (e non solo accennato, come al numero 37)18. Carenza non soltanto pedagogica, ma pure e più in profondità teologica: non si tratta di una semplice strategia per interessare al Vangelo (conoscere il “recipiente” per saperlo riempire), ma dell’effettivo compito di evangelizzare, illuminare la vita. Il tema dell’educazione è insomma al cuore dell’IC del fanciullo e del ragazzo (e, viceversa, il tema dell’iniziazione è al cuore dell’educazione). Ascesi, rito, festa, sotto l’architesto della Parola, e nel contesto della relazione comunitaria: può essere questo un sentiero percorribile per garantire consistenza e semplificazione al cammino iniziatico, colto nelle sue tappe e nelle sue dimensioni fondamentali16. La fede come modo di mangiare, risvegliarsi e andare a dormire, giocare e fare le vacanze, vivere la domenica e il tempo del lavoro…: la fede, come – secondo la bel- 4. IC E IMPORTANZA DELLA DIMENSIONE LITURGICO-SIMBOLICA L’attenzione portata sull’importanza della dimensione simbolico-rituale ci conduce ad un’ultima sottolineatura relativa alla dimensione mistagogica e liturgica dell’IC. La categoria mistagogica è qui utilizzata come metodo e come logica complessiva, più che come tappa specifica. La mistagogia è coestensiva all’intero percorso, nella misura in cui il _________________________________________________ 16 Per un approfondimento, cf. W. FÜRST (ed.), Pastoralästhetik: die Kunst der Wahrnehmung und Gestaltung in Glaube und Kirche, Herder, Freiburg 2002; P TOMATIS, Accende lumen sensibus. La liturgia e i sensi del corpo, Edizioni Liturgiche Vincenziane, Roma 2010. 17 Cf. P. BACQ - C. THEOBALD, Une nouvelle chance pour l’Évangile. Vers une pastorale d’engendrement, Lumen Vitae – Novalis – Éditions de l’Atelier, Bruxelles – Montréal – Paris 2004. 18 Se il fanciullo può già essere assimilato all’adulto per la sua capacità di trattenere e di comprendere, e di appropriarsi personalmente del dono della fede, il suo essere non ancora grande fa invece leva sulla dipendenza, nel segno della fiducia e di un fondamentale disinteresse di sé (“di me si occupano gli altri”): in questo senso la fanciullezza è figura di una vita buona, continuamente ricevuta e acconsentita. Più in generale, il dono della rigenerazione iniziatica fa leva sul dono di un’altra vita, che non si riceve più dai genitori, ma da Dio Padre e dalla Chiesa Madre, anche se tale generazione passa misteriosamente attraverso i gesti di amore, di perdono, di preghiera, di sacrificio dei genitori. Così l’essere continuamente generati alla vita per un ragazzo passa attraverso l’essere iniziati progressivamente all’amore che fa vivere. Sul nesso tra l’antropologico e il teologico (l’acqua, il sangue, lo Spirito) nei luoghi teologici del figlio, del bambino (che dice sì, nell’apertura della coscienza e nell’affidamento) e del ragazzo (nel divenire adulto…), cf. R. GUARDINI, Le età della vita. Loro significato educativo e morale, Vita e Pensiero, Milano 1986, 17-26; G. ANGELINI, Educare si deve ma si può?, Vita e Pensiero, Milano 2002; H.U. VON BALTHASAR, Se non diventerete come questo bambino. Quattro meditazioni cristologiche, Piemme, Casale Monferrato 1992. 6 L’iniziazione cristiana cammino iniziatico è teso a condurre all’interno del mistero della fede: - “mistagogia della vita”, nel senso in cui Rahner utilizza questa espressione19, per indicare il coinvolgimento e l’illuminazione dell’umano; - mistagogia rituale, intesa come la capacità della celebrazione liturgica di offrire a tutti (a chi è dentro, a chi si affaccia, a chi è piccolo, a chi è grande…) un ambiente di vita e di crescita spirituale. In entrambe le accezioni, si tratta di porre in evidenza il carattere simbolico e sintetico dell’atto e del gesto rituale, dal punto di vista semantico (di ciò che esprime a proposito del senso della vita) e pragmatico (di ciò che opera e attua, esprimendo). La capacità del rito di permettere l’accesso ad un livello più profondo e al contempo accessibile di esperienza e di comunicazione della fede (pragmatica, affettiva e simbolica…) è chiamata ovviamente a misurarsi con tutti i rischi che la ritualità di ogni tempo corre (una concentrazione liturgica che si fa riduzione) e che in particolare la ritualità del nostro tempo è chiamata ad attraversare. Tra i principali: - quello di uno scadimento del rito a linguaggio pedagogico della fede (in un’epoca ancora segnata dal morbo razionalistico), per cui il rito è continuamente da inventare, da rianimare e da modificare; - quello di uno scadimento del rito a epifania dell’io (in un’epoca di narcisismo), anziché epifania di Dio: la sfida delle celebrazioni liturgico-sacramentali è quella di poter realmente significare e realizzare il “tocco” del dito di Dio, più che l’insaziabile protagonismo dei bambini e delle loro famiglie; - quello di un deficit cerimoniale e mistagogico, per cui non siamo educati al senso delle forme e delle forze che provengono dal rito; - quello di una forma rituale ancora incerta, a causa della riforma ancora in cammino, che non può contare su una forma rituale sufficientemente condivisa e persuasiva20. In questo quadro, che rinvia ancora una volta al problema di fondo di come le nostre comunità celebrano, si può fare qualche osservazione sui riti che più direttamente costellano e accompagnano il cammino dell’IC: in particolare, i riti delle consegne rischiano di essere troppi e troppo estrinsechi, costruiti un po’ a tavolino, attorno al fulcro traditioredditio, correndo il rischio di lasciare in ombra il primato dell’iniziativa divina21. L’attenzione ad una certa discrezione va unita alla cura perché tali consegne siano reali e non fittizie: come il mondo degli scouts – per fare un esempio - ci insegna, una tradizione non si improvvisa ed è frutto di sedimentazioni plurime, perché un rito sia accolto e percepito come un rito ecclesiale, e non solo una trovata delle catechiste. Più in generale, la prospettiva mistagogica invita a progettare una iniziazione liturgica complessiva alla grammatica della preghiera: - come corpo, capace di stare davanti a Dio, insieme agli altri, presso se stessi; - come parola, capace di invocare, lodare, condividere, tacere; - come spazio (della casa, della chiesa); - come tempo (della domenica, dall’anno liturgico, del ritmo quotidiano); - come gesto, capace di abitare in modo naturale le dinamiche del rito. La lezione guardiniana relativa all’atto liturgico (“Occorre reimparare l’atto”) e ad una formazione liturgica che non sia solo alla liturgia, ma più in profondità attraverso la liturgia e secondo lo stile della liturgia, non cessa di stimolare una pastorale catechetica attenta a valorizzare il corpo non solo come luogo espressivo, ma pure e più in profondità come luogo impressivo della fede; a non ridurre il tempo liturgico ad occasione o a contenuto di catechesi, ma a valorizzarlo come forma di vita e itinerario dinamico22. Fig. 6. Maria e il Bambino 5. CONCLUSIONE Se l’esploratore aspetta di essere pronto, non partirà mai; ma se parte con l’illusione ingenua di possedere tra le mani la mappa giusta soltanto perché dettagliata, non è detto che giunga a destinazione. Fuor di metafora, se una Chiesa aspetta che tutti siano d’accordo per partire con nuovi itinera- _________________________________________________ 19 Per “mistagogia della vita” Rahner intende l’arte di condurre dentro il vissuto umano per scoprirne l’apertura al Vangelo, gli appelli alla grazia, la presenza operante dello Spirito. Cf. K. RAHNER, Sulla teologia del culto divino, in: IDEM, Nuovi saggi 8, San Paolo, Cinisello Balsamo 1982, 282. 20 Si noti la differenza con il mondo dei cristiani ortodossi, dove la liturgia è fonte primaria della catechesi dei fanciulli: una liturgia per certi versi più distante dal linguaggio dei bambini e da certe ansie “partecipative”; per altri versi più accogliente, nella misura in cui può appoggiarsi su un patrimonio condiviso di inni liturgici, di icone, di segni, che introducono mistagogicamente e sinestesicamente nei grandi contenuti della fede della Chiesa. Cf. al proposito i lavori dell’Associazione “Catéchèse orthodoxe”, pubblicati nell’omonima Collana pubblicata a Parigi dalle edizioni Du Cerf. 21 Un occhio alla tradizione ci ricorda che a parte la consegna del Credo e del Pater, si parla di una consegna (porrectio, non traditio, di un libro datur, non traditur) dei Vangeli (diversa dalla consegna dalla Bibbia): non del credo lungo, del catechismo, tanto meno della domenica. Si tratta sempre di qualcosa da imparare effettivamente a memoria (e senza scrivere), “par coeur”. Quanto alla ritualità, è da sottolineare nella chiesa antica il fatto che la redditio avvenisse alla fine, immediatamente prima dei sacramenti dell’IC, accompagnato dall’effata, in modo discreto e riservato, a ricordare che la vera e propria riconsegna si dà nel credo battesimale. Cf. O. SARDA, La «traditio / redditio symboli» dans le catéchuménat d’hier et d’aujourd’hui, in Lumen Vitae 1 (2009), 37-47. 22 Cf. P. TOMATIS, Un corpo da educare, in Rivista di pastorale liturgica 1 (2009), 35-40; SERVICE NATIONAL DE LA CATECHESE ET DU CATECHUMENAT, Des temps de catéchèse communautaires pour l’année liturgique, Bayard, Paris 2006. 7 L’iniziazione cristiana Avviare una pastorale dell’IC nel segno di ciò che incomincia e di ciò che avanza: l’istruzione di Gesù ai discepoli dal cuore indurito (“Non intendete, non capite ancora?… Non ricordate, quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?”: Mc 8, 14-21) vale per la Chiesa di oggi, chiamata ad accompagnare il necessario lavoro di riforma delle strutture dell’IC con un’attenzione estrema a ciò che, nell’organizzazione della Chiesa, porta il segno di Dio e di suoi doni, e a ciò che, al contrario, lo offusca e lo impedisce. E il segno della venuta di Dio, osserva ancora Dagens, è quello di un “cammino aperto”, simile a quello dei discepoli di Emmaus, con tappe significative, che mettono alla prova anzitutto colei che accompagna e che inizia: la Chiesa madre, chiamata a ritrovare i sentieri di una “pastorale degli inizi” non per ritrovare l’antico splendore cattolico di un tempo che non c’è più, ma per costituire «la permanente realizzazione del vangelo, che mescola inestricabilmente le strade della carità a quelle della fede. Questa è l’iniziazione cristiana nella sua profondità e nella verità!»25. Fig. 7. L’arresto di Gesù (Lc 22,47-53) ri di IC, non partirà mai; se però pretende che tutti, in un lampo, siano disponibili a fare tutto e subito, non ha capito in che tempi viviamo: è finito il tempo della “grande armata”, che si muoveva al grido di un solo comando. Vale al proposito richiamare alla memoria il monito che padre Congar rivolgeva nel lontano 1954, circa la necessità di operare per una vera riforma della Chiesa23: le riforme delle strutture e delle istituzioni devono essere al servizio della sua vita. Solo se sostenuti da un ascolto attento della realtà pastorale, solo se animati da uno slancio vitale complessivo e condiviso, “si può” osare quello che “si deve” osare nei percorsi dell’IC. Perciò, a 10 anni di distanza dalla sua pubblicazione, la seconda nota conserva il suo valore programmatico; non va riscritta, va semplicemente riletta insieme a quella che idealmente può essere considerata la “quarta” nota CEI sull’IC, più precisamente sulla “reiniziazione” delle nostre comunità: Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia (2004). Tutto ciò nella fiduciosa consapevolezza di cui parla il vescovo di Angoulême, Claude Dagens: Quali che siano le riforme strutturali che mettiamo in atto, sappiamo di essere sostenuti da uno slancio comune, o piuttosto dalla certezza di vivere il mistero e la missione della Chiesa sotto il segno di ciò che incomincia e di ciò che avanza, e non soltanto di ciò che sopravvive o di ciò che dovrebbe essere mantenuto a ogni costo24. Fig. 8. La condanna a morte di Gesù _________________________________________________ 23 Cf. Y. CONGAR, Vraie et fausse réforme dans l’Eglise, Cerf, Paris 1968. 24 C. DAGENS, Libera e presente. La Chiesa nella società secolarizzata, Edizioni Dehoniane, Bologna 2009, 70. 25 C. DAGENS, Libera e presente, 69-85 qui 74. 8 Pastorale battesimale Pastorale battesimale in Italia: situazione, prospettive, opportunità di Fabio Narcisi In questo articolo Fabio Narcisi, catechista della parrocchia della Trasfigurazione in Roma, giornalista ed autore del volume “Comunicare la fede ai bambini. Pastorale battesimale ed educazione religiosa in famiglia”, presenta una riflessione sull’importanza della pastorale battesimale. 1. Nel nostro paese per un tempo molto lungo il cammino dell’iniziazione cristiana dei bambini, avviato con il battesimo, proseguiva verso gli altri due sacramenti (cresima ed eucaristia), senza soluzione di continuità. Era infatti l’ambiente esterno, familiare e sociale, a trasmettere la visione cristiana della vita e la grammatica fondamentale del vivere cristiano (pregare, celebrare…). Il cristianesimo prima veniva vissuto e celebrato, poi lo si “imparava” al catechismo. La parrocchia non aveva il compito di iniziare all’esperienza cristiana, ma quello di sviluppare in maniera organica e di coltivare un’iniziazione già avvenuta, almeno per quanto riguarda la sostanza del vivere cristiano. Negli ultimi decenni questa situazione si è venuta progressivamente modificando sotto la spinta della secolarizzazione. L’educazione religiosa nella fascia pre-scolare (0-6 anni) ha perso consistenza fino a subire, in molti casi, una vera e propria eclisse. Lo si vede in maniera chiara nelle parrocchie quando i bambini, di solito in terza elementare, iniziano la catechesi per la prima comunione. Ebbene, ogni anno tra loro cresce il numero di quelli che non sanno fare il segno della croce, non conoscono preghiere fondamentali come il Padre Nostro e l’Ave Maria, non hanno mai sentito parlare di personaggi ed episodi fondamentali del Vangelo, in chiesa provano un senso di estraneità… Si tratta di segni piuttosto chiari di una tendenza alla scristianizzazione, e al tempo stesso di come si vada interrompendo, o fortemente attenuando, la comunicazione della fede in famiglia da una generazione all’altra; una comunicazione che proprio nella vita domestica ha sempre avuto il suo centro motore. 2. Da tempo i vescovi italiani hanno avvertito la preoccupante situazione che si andava determinando. Almeno dal 2001, quando con il documento “Comunicare la fede in un mondo che cambia”, sottolinearono la necessità di una “conversione pastorale”. Qualcosa da allora si è messo in moto: sono sorte alcune esperienze interessanti, hanno preso il via sperimentazioni significative. Il tutto però ancora confinato in aree ristrette del paese, senza produrre un cambiamento reale e diffuso a livello di diocesi e di parrocchie. Nella grande maggioranza dei casi la pastorale 9 battesimale si conclude con la celebrazione del sacramento, lasciando un vuoto nei lunghi anni che seguono; anni importanti per le giovani famiglie e soprattutto per i bambini nell’età in cui il “potenziale religioso” è particolarmente vivo. Nei loro confronti quasi mai vengono messi in atto degli interventi pastorali ad hoc. 3. Le carenze esistenti sono evidenti anche attraverso una rapida ricognizione su alcuni punti essenziali della pastorale in questo campo. * La catechesi battesimale e la preparazione al battesimo dei genitori continuano in larga misura ad essere svolte dai parroci (una valutazione assai vicina alla realtà parla di un 70% dei casi), senza valorizzare le esperienze e il particolare il carisma in proposito dei laici i cui vissuti, come padri e come madri, creano i migliori presupposti per l’accoglienza delle famiglie e per porre le basi di un rapporto che prosegua nel tempo. * Ancora pochissime diocesi offrono alle parrocchie indirizzi e sostegni per una pastorale che, partendo dal battesimo, crei un ponte verso gli altri sacramenti dell’iniziazione cristiana. Molto rari sono, solo per fare un esempio, i corsi per i catechisti impegnati in tale ambito, sebbene il loro compito richiederebbe conoscenze significative in campo biblico, teologico e liturgico, come pure a livello antropologico e della comunicazione. Alcuni operatori pastorali, presenti nel settore da tempo e con competenza, sottolineano infine l’importanza di un pieno coinvolgimento del vescovo locale nei progetti portati avanti: quando esso manca le iniziative incontrano difficoltà a decollare e a produrre frutti importanti. * Un altro elemento di debolezza si riscontra nella celebrazione del sacramento. Al di là della cura con cui viene preparata e della solennità con cui viene vissuta (fattori della massima importanza), essa spesso finisce con l’assumere il carattere di un rito “privato”, mancando la presenza e l’accoglienza della comunità in un momento della vita del bambino che lo apre alla grazia e alla vita di fede, e che ha sempre una dimensione ecclesiale. Quest’assenza rischia di ripercuotersi nel successivo cammino post-battesimale: una comunità che in tale evento non si fa visibile, con cordialità e simpatia, mostra poi difficoltà a trasmettere il senso di un percorso da fare insieme alle famiglie; può anzi dare l’impressione che tutto per ora si fermi lì, alla celebrazione del sacramento, senza un seguito reale. 4. Nel frattempo l’avanzare della secolarizzazione comincia a riguardare anche la tradizionale propensione delle famiglie italiane a battezzare i figli. È in atto una lenta ma progressiva erosione nel numero dei battesimi celebrati ed è da considerarsi anche il notevole numero di bambini nati in Italia da genitori stranieri (in crescita: oggi rappresentano oltre il 10% del totale). Resta comunque il fatto che una parte rilevante delle famiglie italiane continua a bussare alla porta delle parrocchie per chiedere il battesimo dei figli. Famiglie che si avvicinano alla Chiesa in un momento della vita in qualche modo straordinario: la nascita di un figlio (spesso il primo e unico), evento oggi raro che cambia nel profondo la vita della coppia e pone madri e padri di fronte al mistero della vita. Ciò può tradursi in una importante opportunità di evangelizzazione. Ma perché l’occasione possa essere colta, occorre un investimento pastorale ben maggiore di quello messo in atto fino ad oggi, quando assai raramente si va al di là della celebrazione del battesimo. Subito dopo il battesimo, la parrocchia scompare dall’orizzonte delle famiglie, e ciò proprio quando esse ne avrebbero maggiormente bisogno: per trovare un punto di riferimento nel cammino personale dei genitori (problematico per diversi aspetti), una comunità cui rapportarsi e un sostegno all’educazione religiosa dei figli negli anni che seguono, così importanti perché la fede metta radici. 5. Se rispetto a tale opportunità il quadro complessivo delineato non appare certo incoraggiante, va però rilevato un aspetto positivo cui guardare con attenzione: le sperimentazioni condotte negli ultimi dieci anni in alcune diocesi e parrocchie. Non sono molte, ma hanno acquistando spessore e fanno emergere percorsi pastorali cui è possibile far riferimento con profitto. Osservando da vicino queste esperienze, si possono cogliere alcune interessanti linee di fondo. Pastorale battesimale * La catechesi battesimale è solo il momento iniziale di un percorso pastorale molto più ampio, proiettato a completare l’iniziazione cristiana del bambino; * Alla base c’è la creazione di un gruppo di catechisti del battesimo che accolgono con simpatia e poi seguono le famiglie nel successivo accompagnamento. Per questi catechisti è importante una proposta formativa iniziale; * La celebrazione del battesimo è un momento solenne e pieno di gioia, vissuto con la partecipazione della comunità; * La parte più importante (e impegnativa) è l’accompagnamento delle famiglie dopo il battesimo. I risultati di maggiore interesse vengono da proposte capaci di coinvolgere le stesse famiglie in maniera “leggera” (senza cioè richiedere troppi impegni), ma che al tempo stesso puntano a costruire nel tempo legami solidi. In questa prospettiva una buona soluzione si dimostra quella di incontri con bambini e genitori ritmati dai tempi forti dell’anno liturgico e dalle grandi feste cristiane (specie Natale e Pasqua, ma anche Pentecoste). Feste ancora sentite che le famiglie hanno piacere di preparare insieme, incontrandosi in parrocchia e coinvolgendo i bambini. Tali incontri favoriscono la nascita di una prima rete di relazioni su cui poi è possibile innestare successive iniziative per favorire l’integrazione nella comunità. * Questi percorsi, man mano che procedono, tendono a differenziare gli interventi per le famiglie con bambini nella fascia 03 anni e in quella successiva 3-6. La cosa riguarda in particolare l’educazione religiosa in famiglia, che inizia subito, con la na- Fig. 9. Il padre misericordioso ed il figliol prodigo (Lc 15,11-31) scita stessa del piccolo. Circa gli strumenti utilizzati in questo campo, il catechismo della Cei per l’età prescolare (“Lasciate che i bambini vengano a me”), malgrado sia stato realizzato quasi venti anni fa, sembra mantenere una sua validità di fondo. In molti casi si avverte però l’esigenza di renderlo più attivo e di integrarlo attraverso incontri con i genitori e schede che forniscano specifici riferimenti alle fasi di sviluppo del bambino. * Un’indicazione comune a tali esperienze riguarda la prospettiva temporale che è di medio-lungo termine. In questo campo non esistono infatti precedenti, abitudini, tradizioni cui far riferimento. Diocesi, parrocchie e famiglie si muovono in un terreno nuovo e di ciò va tenuto conto. Le diocesi debbono proporre indirizzi, suggerire programmi e creare strumenti per realizzarli (specie a livello formativo), e nel contempo avviare sperimentazioni dirette su cui poi realizzare opportune messe a punto. A loro volta le parrocchie sono chiamate a mettere in atto iniziative pastorali nuove verso le famiglie giovani e i bambini in età prescolare; altro loro compito è quello di dar vita a équipe di catechisti capaci di accogliere e preparare i genitori al battesimo dei figli, e poi di guidare il successivo accompagnamento. Infine le famiglie dovranno progressivamente scoprire un cammino che può accompagnarli in anni importanti della loro vita; un cammino che può ridare smalto alla fede dei genitori e sostenerli in un compito fondamentale come l’educazione religiosa dei figli. Da tutto ciò emerge che i risultati di un progetto di pastorale battesimale possono non essere immediati. Servono tempo, pazienza, perseveranza, e anche una buona dose di tenacia. rito come tanti altri, una tradizione di cui hanno perso le impronte originarie e i veri significati. E la prassi attuale - in cui l’evento-battesimo si esaurisce in una breve catechesi, una celebrazione più o meno solenne e la festa che segue - finisce con il confermare questa visione. 6. Un’ultima considerazione ci riporta al discorso del calo dei battesimi. In precedenza abbiamo visto come oggi in Italia, sebbene la grande maggioranza delle famiglie continui a battezzare i figli, vadano emergendo i segni di una lenta ma costante erosione; tendenza che in un prossimo futuro potrebbe subire una notevole accelerazione (come accaduto in altri paesi di tradizione cattolica) In tale contesto le cose possono cambiare solo quando dalle famiglie e dall’ambiente esterno proverranno racconti che finalmente parlano di catechesi battesimali svolte nelle case, di celebrazioni in cui si avverte il calore e l’accoglienza della comunità; e poi, a seguire, di incontri in parrocchia per preparare insieme Natale e Pasqua (anche con i bambini piccolissimi), di segni ricevuti in parrocchia da vivere quindi in casa, di consigli per l’educazione religiosa, di appuntamenti per ritrovarsi piacevolmente con altre famiglie e in cui riscoprire in maniera semplice la dimensione religiosa della vita… È anche in tale prospettiva che il rinnovamento della pastorale battesimale assume un particolare rilievo. A ben vedere fenomeni di questo tipo quasi sempre sono anticipati da una perdita di interesse e di considerazione verso realtà in precedenza viste come significative, se non fondanti. Ciò accade soprattutto quando un numero crescente di persone non riesce più a cogliere i valori e i vissuti di cui tali realtà sono portatrici. Dobbiamo chiederci se da qualche tempo ciò non riguardi anche il battesimo dei bambini; se cioè oggi per molti genitori questo sacramento non rappresenti che un Siamo però certi che padri e madri, forse inconsapevolmente, non si aspettino di più? Per essi la nascita di un figlio costituisce un evento straordinario che li pone di fronte al Mistero e cambia nel profondo la loro vita. Ciò, più spesso di quanto si creda, si traduce in una disponibilità (forse labile, eppure reale) a ritrovare il filo di un discorso religioso, una visione della vita più vicina al Vangelo. Ma perché ciò accada e prenda forma occorrono una proposta e insieme una comunità che indichi un cammino possibile, a misura delle famiglie di oggi, capace di coinvolgere genitori e bambini, di favorire occasioni di incontro e di scambio, di far sentire vicino e amico il Signore. Oggi del battesimo gran parte di tali famiglie hanno un’immagine che viene loro dalla tradizione personale, da ciò che vedono o sentono attraverso parenti e amici, e più in generale dall’ambiente in cui vivono: racconti di celebrazioni e di feste che non vanno al di là di consolidati rituali sociali. Questa rappresentazione per tanti genitori (che forse conservano la fede ma non la praticano più da tempo), sarà sempre meno sufficiente per orientarli - quando viene il momento - a chiedere il battesimo per i figli. La tendenza al soggettivismo e a rendere marginali i vissuti religiosi faranno il resto, spingendo ancor più in questa direzione. Insomma, tra i frutti positivi che possono scaturire da una rinnovata pastorale battesimale c’è da mettere in evidenza anche questo: un ambiente capace di mantenere viva la tradizione del battesimo come evento che apre alla vita cristiana e alla sua dimensione comunitaria; che faccia scoprire la Chiesa e al tempo stesso la famiglia come piccola Chiesa domestica. 10 Pastorale battesimale Presentazione al libro di Fabio Narcisi, Comunicare la fede ai bambini. Pastorale battesimale ed educazione religiosa in famiglia di mons. Andrea Lonardo Presentiamo l’introduzione, scritta da mons. Andrea Lonardo, direttore dell’Ufficio catechistico della diocesi di Roma, al volume di Fabio Narcisi, Comunicare la fede ai bambini. Pastorale battesimale ed educazione religiosa in famiglia, Edizioni Paoline, Milano, 2009. Il figlio – afferma Fabio Narcisi nel suo bel volume - «mette i genitori di fronte al mistero della vita e pone loro alcuni interrogativi (impliciti o espliciti che siano). Quell’“esserino” così fragile, così perfetto e pieno di energie, che ora è nelle nostre braccia, da dove viene?». La generazione di un bambino è uno dei gesti più alti compiuti da un adulto. Infatti, essere cristiani “maturi” vuol dire essere persone cariche di relazioni ed, in particolare, di quelle costitutive dell’affettività e della fecondità, poiché ognuno trova la propria identità non semplicemente facendo riferimento a se stesso, ma piuttosto scoprendo a chi dona la vita. In particolare l’esperienza del matrimonio e della generazione caratterizzano l’esistenza del laico. Ed è proprio per questo che la pastorale battesimale si inserisce di diritto nel grande ambito della catechesi degli adulti. La chiesa di Roma, proprio in questa direzione, ha indicato la via da seguire: «La famiglia sia considerata soggetto portante delle iniziative di catechesi degli adulti, così da favorirne la crescita spirituale ed ecclesiale ed il compito missionario» (Libro del Sinodo della Diocesi di Roma, p. 132). Senza una concreta attenzione alla famiglia, alle sue ricchezze ed alle sue problematiche, il riferimento all’adulto diverrebbe necessariamente astratto ed evanescente. Questo volume vuole mostrare come per pastorale battesimale non sia da intendersi semplicemente la preparazione al battesimo, ma anche tutto il cammino che segue, nel quale la famiglia stessa deve essere sostenuta per essere la prima educatrice alla fede del figlio che ha generato. L’Autore, citando un testo estremamente sintetico e significativo, afferma: «Prima della profonda trasformazione avvenuta (e ancora in atto)... era l’ambiente stesso (familiare e sociale) a tra- 11 smettere la visione cristiana della vita e la grammatica fondamentale dei diversi momenti dell’esperienza cristiana... Prima si viveva e celebrava il cristianesimo, poi lo si “imparava” al catechismo; la parrocchia perciò non aveva il compito di iniziare all’esperienza cristiana, ma quello di sviluppare e coltivare un’iniziazione già avvenuta, almeno per quanto riguarda la sostanza del vivere cristiano». Passaggio centrale dell’esperienza proposta dalla parrocchia della Trasfi- I gurazione è quello di un coinvolgimento pieno della comunità parrocchiale nella catechesi battesimale e di un investimento formativo in questa direzione. La maturazione di un gruppo di catechisti che hanno vissuto in prima persona, come famiglie, l’educazione cristiana dei loro bambini rende possibile la proposta di essa ai nuovi genitori. Annota Fabio Narcisi che proprio «la mancanza di corsi formativi per catechisti del battesimo è un dato che mette in evidenza i ritardi esistenti nella pastorale battesimale». C om u n Fabio N arcisi i c are l a fe d e ai bam bini Pastora ed educ le battesimale azione religios in fami a glia cd allega to Pastorale battesimale Contemporaneamente, grande rilievo è dato, nel volume, al giorno del Signore ed all’anno liturgico con le sue grandi feste, perché non solo il battesimo sia celebrato la domenica con la partecipazione dell’intera comunità, ma anche i successivi incontri proposti ai genitori dei bambini da 0 a 7 anni li aiutino a preparare con i figli i grandi momenti dell’itinerario liturgico proposto dalla chiesa ogni anno. Ma l’impegno della comunità cristiana nella pastorale battesimale non deve, secondo la saggia proposta che viene qui presentata, sostituirsi al compito proprio della famiglia. Il fine è, invece, di farle riscoprire la sua vocazione educatrice della dimensione religiosa del bambino, perché il piccolo la possa maturare innanzitutto nell’ambito delle relazioni familiari che costituiscono il principale punto di riferimento della sua vita. Particolarmente significativa si rivela qui la scelta della parrocchia della Trasfigurazione di scandire le tappe della crescita con la proposta dei principali segni cristiani tramite sussidi scritti inviati alle famiglie (il volume li fornisce nel CD allegato): questi brevi testi sono stati pensati perché i genitori possano riappropriarsi dei gesti e delle parole nati nella tradizione della chiesa per introdurre i piccoli alla preghiera ed alla prima conoscenza ed esperienza della fede. È il parroco stesso della Trasfigurazione, mons. Battista Pansa, a scrivere in questo volume le belle pagine sui bambini nella Sacra Scrittura. Egli sottolinea, fra l’altro, come il Nuovo Testamento, che vede agli inizi la chiamata degli apostoli, mostri già al suo interno, seguendo in questo la migliore tradizione ebraica, l’educazione alla fede dei figli. È emblematica, ad esempio, la figura di Timoteo educato sin da bambino nella conoscenza delle Scritture (cfr. 2 Tim 3,15), grazie alla fede della nonna e della madre (cfr. 2 Tim 1,5). Ed è evidente che il battesimo dei picco- li e la loro educazione cristiana già dalla generazione apostolica non hanno solo il valore di una testimonianza storica. Ben di più, essi sono espressione del primato della grazia, del dono di Dio che precede e permette il successivo cammino. Non è esagerato affermare che proprio il trascurare il valore del battesimo dei piccoli e della trasmissione della fede alle nuove generazioni porterebbe con sé, inevitabilmente, alla perdita della stessa identità cristiana basata non sulle opere dell’uomo, bensì sul dono di Dio. Contro questo rischio, più volte il volume ritorna sullo splendido tema della maternità della Chiesa che, in ogni epoca, genera alla fede i suoi figli. In questa prospettiva l’esperienza della parrocchia della Trasfigurazione valorizza la riscoperta della costitutiva dimensione religiosa del bambino, messa in luce da Maria Montessori e sviluppata da Sofia Cavalletti che, con la catechesi del Buon pastore, ha dato seguito Fig. 10. L’indemoniato di Gerasa alle intuizioni montessoriane. Emerge così la rinnovata importanza di una catechesi che riconosca quanto i primi anni di vita siano decisivi nella formazione della personalità e della fede, cioè di una proposta della fede che faccia pienamente sua la tensione educativa, come afferma sapientemente il Documento di base sul rinnovamento della catechesi in Italia: «Ogni età dell’uomo ha il suo proprio significato in se stessa e la sua propria funzione per il raggiungimento della maturità [...] Errori o inadempienze, verificatesi a una certa età, hanno talora conseguenze molto rilevanti per la personalità dell’uomo e del cristiano. Così pure una sana educazione umana e cristiana consente a ciascuno di vivere sempre come figlio di Dio [...] Pertanto in ogni arco di età i cristiani devono potersi accostare a tutto il messaggio rivelato, secondo forme e prospettive appropriate» (DB 134). Il tema decisivo dell’educazione, che la diocesi di Roma ha fatto suo in questi anni, emerge qui come questione determinante e di interesse comune, data la rilevanza che esso ha per il futuro stesso del nostro Paese. Merita infine rilevare che il libro nasce da una parrocchia, segno della vitalità che essa conserva nel contesto odierno. Nasce dall’esperienza di una parrocchia che ha sperimentato più volte nei nuovi genitori «una soddisfazione, e spesso una gioia, che sembrano scaturire dall’aver trovato una risposta “alta” a un evento, la nascita di un figlio, che ha cambiato nel profondo la loro vita». Al contempo è testimone di una comunità che ha accettato di riflettere sull’esperienza, di elaborarla e confrontarla alla luce della teologia della Chiesa, del nuovo contesto sociale ed, insieme, delle problematiche pastorali che emergono in materia nelle differenti nazioni europee, con un occhio anche alla tradizione ortodossa o protestante. Ed, ancora una volta, il “mistero” cristiano accoglie ed illumina la storia che siamo chiamati a vivere. (Lc 8,26-39) 12 Pastorale battesimale L’educazione religiosa dei bambini fino ai tre anni. La proposta della parrocchia della Trasfigurazione in Roma Per gentile concessione delle Edizioni Paoline, mettiamo a disposizione sulla rivista Catechisti nella città la prima scheda preparata dall’équipe dei catechisti del battesimo e delle famiglie con bambini fino ai tre anni della parrocchia della Trasfigurazione, di cui è parroco mons. Battista Pansa. La scheda che motiva l’intero cammino è offerta alle famiglie in occasione del battesimo dei bambini. Dieci schede successive sono state preparate per essere inviate alle famiglie man mano che il bambino cresce: -Prima scheda: “Il segno della croce” -Seconda scheda: “Come parlare di Dio al bambino nel primo anno di vita” -Terza scheda: “L’immagine della Madonna col Bambino” -Quarta scheda (“I gesti della preghiera”), ai dodici mesi -Quinta scheda (“La prima visita in chiesa”), ai diciotto mesi -Sesta scheda (“La benedizione della tavola domestica”), ai ventidue mesi -Settima scheda (“Le prime forme di preghiera ”), ai due anni -Ottava scheda (“I primi libri che parlano di Dio e di Gesù”, ai due anni e quattro mesi -Nona scheda (“Premesse all’educazione morale”, ai due anni e mezzo -Decima scheda (“Presentazione di Gesù Buon Pastore), ai due anni e nove mesi) -Undicesima scheda (“Il bambino rivive il suo battesimo”, ai tre anni Due ulteriori schede sono state preparate in relazione ai tempi liturgici: -“Il Natale dopo il primo anno di vita” -“Vivere la Pasqua con i bambini” Quando comincia l’educazione religiosa? Fra pochi giorni il vostro bambino (la vostra bambina) riceverà il battesimo. Come abbiamo visto nella catechesi battesimale, questo sacramento significa una nuova nascita nel segno di Cristo. Il piccolo diventa figlio della Luce, tralcio della vera Vite, pecorella del Buon Pastore, del cui gregge (la Chiesa) entra a far parte. Considerata l’età, egli non ha alcuna coscienza di ciò che in quel momento avviene in lui. Per questo il battesimo è celebrato soltanto sull’impegno dei genitori a educarlo cristianamente (con il sostegno della comunità e la vicinanza di padrini e madrine). È un impegno importante che padre e madre non debbono mai dimenticare. Ma quando iniziare a metterlo in pratica? Quando comincia l’educazione religiosa dei bambini? Per rispondere partiremo da un piccolo aneddoto. Una donna si rivolge a un saggio, la cui fama era diffusa nel luogo in cui abitava. Vuol sapere da lui quando è opportuno iniziare a educare religiosamente sua figlia. Il saggio domanda l’età della bambina e, quando viene a sapere che ha 5 anni, dice alla madre: «Presto, corri a casa, sei in ritardo di cinque anni». È proprio così. L’educazione religiosa comincia fin dalla culla (sono anzi i primi anni i più importanti). Bisogna, infatti, uscire dall’idea che essa nei primi anni di vita significhi trasmissione di valori e idee di fondo. Tutto questo avverrà molto più avanti, quando il bambino avrà acquisito capacità che oggi non possiede. L’educazione religiosa deve invece entrare a far parte di quella fitta rete di rapporti che fin dal primo giorno di vita si stabilisce tra madre (soprattutto), padre e bambino, attraverso la quale il piccolo struttura pian piano la sua personalità, impara a conoscere il mondo, entra nella vita. È nei primi tre anni – come le scienze psicologiche hanno da tempo accertato – che ciò avviene. Al termine di questa stagione il bambino avrà acquisito i caratteri fondamentali del suo modo di essere, di relazionarsi con la realtà, i caratteri su cui costruirà il suo futuro di uomo e di donna. Ecco perché è importante che nel lavoro straordinario, anche se oscuro, che i genitori compiono durante questi anni, abbia una parte di rilievo la componente religiosa. 13 Alla scoperta del mondo e della sua dimensione trascendente Il discorso si inserisce nella progressiva conoscenza del mondo e delle cose che il bambino fa guidato dai genitori nei primissimi anni della sua vita. È attraverso di loro che egli dà un nome alle cose e ne comprende la funzione; che arriva a capire ciò che è buono e ciò che è cattivo (o pericoloso), ciò che è bello e ciò che è brutto. È attraverso mamma e papà che pian piano acquisisce la scansione del tempo (del giorno e della notte, delle stagioni…), che entra nei ritmi della vita (mangiare, dormire, tempi della pulizia personale, giocare, osservare…), che impara a comunicare, a comportarsi, a entrare in rapporto con gli altri. Insomma, tutta la realtà prende corpo, si struttura nella mente del piccolo sotto la guida quotidiana e determinante dei genitori (altre figure familiari ed extrafamiliari hanno per ora un ruolo secondario). In questo compito così fondamentale si deve collocare l’educazione religiosa. È necessario che i genitori aiutino il bambino a capire che la realtà non si esaurisce in ciò che vediamo e tocchiamo con mano, ma che ha anche una dimensione trascendente, ultraterrena: misteriosa, non percepibile con i sensi, ma profondamente vera. Che c’è un Dio che ci ama, che ci è vicino, che ci accompagna lungo le strade della vita. È un cammino graduale che prosegue nei Pastorale battesimale mesi e negli anni che verranno, in cui un rilievo sempre maggiore avrà la figura di nostro Signore, di Gesù Buon Pastore. La crescita del religioso nel bambino È bene che di tanto in tanto i genitori si interroghino su come procede, in rapporto alle fasi di sviluppo attraversate, questa progressiva scoperta da parte del bambino del religioso che ci circonda e che è in noi. Così come – giustamente – si osservano con attenzione le fasi della crescita fisica, psichica e mentale (peso, altezza, dentizione, movimenti, acquisizione del linguaggio, capacità di interagire…), è importante non dimenticare la crescita religiosa nel bambino. Certo, è un campo delicato. Qui non ci sono parametri da verificare, tabelle con cui confrontarsi. Sappiamo che nel bambino agisce la grazia battesimale che fa sì che il Signore gli sia sempre vicino. E questa consapevolezza ci trasmette una grande fiducia. C’è invece da prendere in esame i nostri comportamenti. Sappiamo che il bambino ha una naturale predisposizione religiosa. Essa, però, ha bisogno di essere sostenuta e guidata, altrimenti rischia di rimanere allo stato potenziale. Allora è opportuno domandarsi se al bambino si fornisce in questo campo il cibo di cui ha bisogno in termini di gesti, segni, parole, esempi capaci di coinvolgerlo: sostanzialmente gli stessi con i quali la fede è stata trasmessa a noi dalle generazioni che ci hanno preceduto. Il discorso è complesso e richiede sempre sobrietà, delicatezza, empatia nei confronti del piccolo, in modo che il messaggio sia trasmesso nella misura giusta per lui e per la fase di sviluppo che sta vivendo. Fatte tali precisazioni, si deve dire che questo piccolo esa- me è utile e può dare buoni frutti. L’occasione giusta potrebbe essere quella di un compleanno del bambino, quando si è portati a guardare i cambiamenti intervenuti in lui nell’anno trascorso. Ma di occasioni possono essercene tante altre che emergono dai diversi vissuti familiari. La ricettività del bambino rispetto all’ambiente circostante Ma come agire nella pratica quotidiana? Come comportarsi? Come trasmettere concretamente la fede ai propri figli? Prima di entrare in questo discorso sono necessarie alcune premesse. Anzitutto si deve tenere conto di un fatto fondamentale: i bambini fin dai primi giorni di vita sono estremamente ricettivi nei confronti del mondo circostante. E hanno una particolare sensibilità nel recepire le comunicazioni, i messaggi che coinvolgono la sfera sensitiva e affettiva. Proprio attraverso la vicinanza costante della madre, i suoi sguardi, le sue coccole, le sue parole affettuose, gli incoraggiamenti, la comunione intensa che stabilisce con lei, il bambino acquisisce un senso di sicurezza e inizia così ad avere fiducia nei confronti del mondo. Ed è all’interno di questa comunicazione (in cui ha un ruolo importante anche il padre) che deve trovare posto la parte religiosa dell’educazione. Sarà su queste basi che il piccolo, crescendo, arriverà a costruire la sua fede personale. La fiducia, fondamentale per lo sviluppo della fede Coloro che hanno cercato di capire come nasce, su quali basi poggia l’esperienza religiosa, hanno messo in evidenza l’importanza proprio dei primissimi periodi della vita umana. Così il famoso psicologo e pediatra inglese Walter Winnicott, interpellato sul tema dell’evangelizzazione in famiglia, rispondeva sottolineando la rilevanza decisiva del modo in cui il bambino appena nato è tenuto in braccio e guardato dalla sua mamma. Si tratta di una comunicazione forte, originaria, che non passa attraverso parole e pensieri, ma attraverso l’atteggiamento con cui appunto la madre tiene in braccio il proprio bambino, lo guarda, gli sorride e l’accarezza. Insomma, la madre parla efficacemente di Dio a suo figlio anzitutto guardandolo in maniera affettuosa, sorridendogli, facendolo sentire, attraverso il proprio corpo, incondizionatamente accettato e benvoluto: gli occhi di sua madre e tutto il suo volto sono il primo specchio del bambino. Egli non pensa e non parla (ancora). Ma sente, percepisce, prova emozioni e per questa via comunica con il mondo esterno, specie con i suoi genitori. Si tratta di una relazione primaria basata su affetti e sensazioni fisiche e corporee di grande importanza per la vita successiva del piccolo (e poi dell’adulto), anche in riferimento all’esperienza religiosa. Infatti, in questo stadio preconcettuale e preverbale, il bambino forma inconsciamente una disposizione verso il mondo. Prende corpo in lui una fiducia di base su cui poi si potrà fondare il successivo sviluppo della fede. In questa fase, dunque, la madre è chiamata a esprimere gesti e comportamenti corporei sinceri, di affetto genuino e di vicinanza che manifestino accoglienza e riconoscimento. Così il piccolo, scoprendo nella madre il primo «altro» che l’accoglie e gli dà fiducia, entra in qualche modo nella dimensione del sacro e si prepara a scoprire in Dio il definitivo «Altro», le «braccia eterne» di Dio. Fig. 11. Il giovane ricco La memoria implicita (Lc 18,18-23) Queste considerazioni trovano un’ulteriore conferma in una recente scoperta delle neuroscienze sulla memoria. Oltre alla memo- 14 Pastorale battesimale ria che conosciamo, quella esplicita che con il passare del tempo viene dimenticata per via naturale, o rimossa (ma con la possibilità di essere rievocata dal campo dei ricordi o di riemergere dall’inconscio), esiste una memoria implicita, che si accumula nei primi due anni di vita, quando non è ancora maturo l’ippocampo (la parte del cervello che influenza i processi di memorizzazione), indispensabile per la memoria esplicita. La memoria implicita ha una caratteristica importante: non può essere rievocata, né verbalizzata (ecco perché non ricordiamo nulla di quell’età lontana); ma neanche eliminata, spazzata via. Le esperienze ad essa collegate non sono ricordabili, ma non vanno perdute. Sono anzi parti attive della psiche che influenzano la vita affettiva, emozionale e cognitiva della persona. Ecco perché è importante il clima di accoglienza e di fiducia, ma anche di spinta alla progressiva autonomia, che il piccolo deve avvertire intorno a sé in questa primissima parte della sua vita. Se poi in tale ambito il bambino vivrà in maniera serena e significativa le sue prime esperienze religiose, è assai probabile che porti con sé un patrimonio che potrà orientarlo positivamente in questo campo negli anni e nelle stagioni che verranno. L’importanza di parlare al bambino Una cosa è molto importante, anche al di là della formazione religiosa (ma sottesa ad essa): il fatto di parlare al bambino. Parlare ai piccoli fin dai primi giorni di vita è – come tante ricerche dimostrano – un’abitudine preziosa per la loro crescita. Le mamme, la cui voce è riconosciuta precocemente dal neonato, hanno in questo campo una naturale predisposizione che deve però essere rinforzata mettendo da parte l’idea che «il bambino tanto non capisce», un’idea che porta a ridurre al minimo la comunicazione. In realtà il bambino capisce molto più di quanto noi immaginiamo perché, prima ancora di afferrare la grammatica del linguaggio, egli percepisce la comunicazione che – come abbiamo visto – gli arriva per via emotiva e affettiva. Come ha detto una grande esperta di psicologia della prima infanzia: «Il bambino comprende ciò che gli diciamo se ci rivolgiamo a lui come a un adulto, iniziandolo al linguaggio parlato, evitando di parlargli come a un bebé, o con lo stesso tono che si usa con gli animali domestici». I contenuti di questa comunicazione sono anzitutto quelli legati alla vita. Così bisogna mettere il piccolo al corrente di tutto ciò che lo riguarda, di ciò che si fa e si farà per lui nell’immediato («Adesso ti cambio il pannolino») o in un prossimo futuro. Ma anche di altri fatti della vita familiare. Se, ad esempio, il padre deve assentarsi qualche giorno per lavoro, è bene che prima di partire lo comunichi al figlio (anche se di pochi mesi): «Starò lontano qualche giorno per lavoro, ma anche da fuori io penserò a te. E quando torno giocheremo tanto insieme». Altrettanto importanti saranno le cose che gli dirà la madre al momento dei primi distacchi, come quando andrà all’asilo nido o sarà affidato a una baby sitter e avrà bisogno di essere avvertito e rassicurato sulla breve separazione che sta per affrontare. Questa abitudine a parlare al bambino diventa preziosa nell’educazione religiosa, specie nel primo anno e mezzo-due di vita, quando il piccolo non comunica ancora con la parola e sono invece i gesti a indicare la sua crescente consapevolezza del mondo che lo circonda. E la cosa proseguirà anche un po’ oltre. È invece dopo i 3 anni che l’adulto dovrà diventare più sobrio ed essenziale nella comunicazione parlata in campo religioso. Da quel momento troppe parole rischieranno di non aiutare più il bambino: egli comincia, infatti, ad aver bisogno di suoi spazi personali dove far risuonare la parola del Maestro interiore (lo Spirito che parla nel cuore dell’uomo). 15 Il desiderio dei genitori di trasmettere la fede Un’altra premessa importante è avere coscienza che l’amore di cui avvolgiamo il bambino (essenziale per lui come il cibo), acquista una ricchezza particolare se gli diamo una prospettiva e un sentimento religioso. Nostro figlio è un dono del Signore. Con il battesimo egli è entrato in Fig. 12. un’esistenza che Il bue, simbolo di S. Luca non avrà fine. Noi vogliamo dargli il meglio della vita. Per questo desideriamo che nel suo cuore trovino posto sentimenti, valori e una visione del mondo che hanno il proprio fondamento nel Vangelo. Occorre essere mossi dal desiderio di trasmettergli un patrimonio così importante, tesoro su cui potrà contare sempre. Senza tale predisposizione, i gesti e le parole rivolti al bambino rischierebbero di essere vuoti, un po’ artificiali. La familiarità del bambino con Dio Ma soprattutto è necessario tener conto della connaturale familiarità del bambino con Dio. Fra loro si avverte come un filo diretto: «Dio e il bambino se la intendono», ha detto con espressione felice una pedagogista montessoriana. Tenendo conto di questa familiarità possiamo capire meglio le parole di Gesù: «Se non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18,3). In effetti coloro che hanno osservato a lungo e da vicino i bambini nei primi anni di vita, hanno colto in loro un vivo senso di trascendenza. La relazione con Dio appare come un’esigenza vitale: quella di ricevere amore e di darlo. Il bambino sembra trovare in Dio quel bisogno di amore pieno di cui è alla ricerca. Egli ha bisogno di un amore globale, infinito, che nessun essere umano (neanche la madre e il padre) è in grado di dargli e che può trovare soltanto in Dio. Aiutare il bambino a sperimentare nella sua vita la presenza di Dio significa dunque aiutarlo a formare la sua persona secondo le sue esigenze più profonde. Il genitore, insomma, deve essere consapevole del grande potenziale religioso del bambino: Dio è più vicino a suo figlio di quanto egli non immagini. Rituali familiari Come abbiamo visto, il bambino, fin da piccolissimo, è molto attento, attraverso la via dei sensi e delle emozioni, a ciò che accade intorno a lui. A tale proposito importante è l’ordine dell’ambiente circostante. Vedere ogni cosa al suo posto gli trasmette stabilità e lo tranquillizza. Allo stesso modo assume un rilievo significativo la ripetizione di certi atti fatta con regolarità e secondo una certa sequenza (cambio e pulizia sul fasciatoio, poppata…): lo aiuta a entrare nella dimensione del tempo. Pastorale battesimale Lungo questa linea troviamo i rituali che attraversano la giornata e più in generale il tempo della famiglia. Ogni giorno il bambino fa esperienze nuove, che registra e poi rielabora. Ma ha anche bisogno di piccoli riti, cioè di pause abitudinarie, di comportamenti che, ripetendosi sempre allo stesso modo, diventano per lui facilmente prevedibili e attesi. Un rituale è costituito, ad esempio, dalle coccole, dai sorrisi e dalle chiacchierate della mamma mentre lo cambia. Un altro è il ritorno a casa del padre che lo prende fra le braccia, gli sorride e gli parla. C’è poi il rituale del risveglio al mattino quando la mamma gli dice: «Buongiorno, tesoro», lo prende dolcemente in braccio, lo mette nel fasciatoio e intanto gli parla con tono calmo spiegandogli che cosa accadrà: «Adesso togliamo il pannolino e puliamo il sederino». Il bambino si abitua alla voce della madre, è tranquillo e soddisfatto. A mano a mano che il piccolo cresce, questo rituale subirà variazioni e adattamenti, ma è bene mantenga intatta la sua struttura di fondo che potremmo definire il «rituale del buon risveglio». Ci sono, poi, i rituali del mangiare, della sera quando si va a letto… re, coglierà il gesto come qualcosa di importante, che in questi momenti della giornata gli è trasmesso con amore dai genitori. A mano a mano che egli cresce, questi rituali acquisteranno maggiore spessore, pur mantenendo sempre le loro caratteristiche di brevità, sobrietà e intensità. Poi ci sono i rituali che riguardano – come osservato sopra – intervalli più lunghi: la domenica, ma soprattutto Natale, Pasqua, Pentecoste, la festa di compleanno… Occasioni forti, che è importante trovino momenti religiosi da vivere in famiglia, magari recuperando alcune belle tradizioni vissute quando si era bambini. A tale proposito sono diverse le opportunità per vivere piccole liturgie familiari. Basta pensare alle quattro domeniche di Avvento con la «corona» da collocare al centro della tavola accendendo ogni volta una candelina; oppure alla notte di Natale, quando si mette il Bambinello sulla mangiatoia… Ma una cosa è soprattutto importante: che il bambino veda, almeno in certe occasioni, i propri genitori pregare, aprirsi con fiducia al trascendente, a un Dio che ci ama e guida i nostri passi. Concludiamo questa parte con il brano di una lettera di don Andrea Santoro, il prete assassinato in Turchia nel 2006 (da giovane è stato per diversi anni vice-parroco alla Trasfigurazione di Roma). Partecipando alla catechesi battesimale di una famiglia turca, don Andrea era rimasto molto colpito nel vedere l’intera famiglia raccolta in preghiera in maniera intensa e profonda. Ricordando quella scena scrive: «Ero commosso. Ho pensato a quelle volte che anche da noi ho visto famiglie pregare e riunirsi con fede… Ho pensato anche alle tante case e famiglie dove c’è tutto, ma si stenta a vedere Dio o un segno che parli di lui. Ci sono case dove si respira la presenza di Dio e case dove regna pesante il silenzio di Dio». Parole che fanno riflettere. Passando a tempi più distanziati fra loro, abbiamo i rituali della domenica, quelli legati alle feste di compleanno, di onomastico, di anniversario delle nozze, a Natale e Pasqua… Il riferimento a queste due grandi feste cristiane riporta il nostro discorso all’educazione religiosa, dove il rituale trova una propria, significativa collocazione diventando piccolo rituale religioso e in alcuni casi vera e propria piccola liturgia familiare. Intendiamo riferirci a quei segni, a quei gesti, a quelle parole con cui la comunità familiare in alcuni momenti si rivolge al suo Dio, al suo Signore, entra in contatto con lui in maniera misteriosa ma reale. Tutto si svolge con la semplicità e il coinvolgimento affettivo dei rituali domestici di cui abbiamo parlato, ma anche con la percezione di un’apertura al divino che dà un senso profondo alla nostra esistenza. Le schede con i consigli ai genitori Oltre ai rituali e alle piccole liturgie familiari, altre cose rientrano nell’educazione religiosa nella prima infanzia. C’è la valorizzazione dell’immagine della Madonna con il Bambino, ci sono i gesti della preghiera (mani unite, braccia allargate…), le prime visite in chiesa per scoprire quest’ambiente così particolare. Poi, quando il bambino avrà imparato a parlare, ecco le preghiere della tradizione cristiana da apprendere pian piano, e soprattutto le preghiere spontanee di lode al Signore verso cui il piccolo dimostra una particolare predisposizione. C’è ancora da vivere con lui le grandi feste cristiane come Natale e Pasqua. Giungerà, inoltre, il momento di presentare la figura di Gesù… Piccoli rituali religiosi in famiglia Ma quali sono e come possono essere vissuti questi momenti? In famiglia i rituali religiosi devono essere semplici, brevi ma anche intensi. Anzitutto debbono inserirsi nei ritmi della vita, a cominciare da quelli quotidiani. Fin dai primi mesi è bello tracciare un segno di croce sulla fronte del piccolo, sia al risveglio della mattina sia la sera prima di metterlo a letto, accompagnato con una benedizione. Poi, a partire dallo svezzamento, sarà opportuno fare un analogo segno prima del pasto principale. Il bambino, che è un grande osservato- Fig. 13. San Luca 16 Pastorale battesimale Ma come trasmettere al piccolo questi segni, queste tradizioni, come proporli in maniera adeguata alla sua età? Come suscitare il suo interesse? Quali momenti trovare, che parole usare? Su tutti questi aspetti la parrocchia continuerà ad essere vicino a voi genitori con l’invio di apposite schede (in forma di opuscoli, simili a quello che avete fra le mani), a mano a mano che il bambino crescendo acquisisce nuove capacità. I suggerimenti che vi si trovano sono stati sperimentati da un gruppo di lavoro di madri e padri sorto per approfondire il discorso sull’educazione religiosa nella prima infanzia. La prima scheda («Il segno della croce») si trova nella seconda parte di questo libretto. Le altre vi saranno inviate per posta. L’elenco completo delle schede è riportato a p. 8. Una nuova serie di schede è in preparazione per gli anni che seguono, dai 3 ai 6. C’è infine da sottolineare che le schede indirettamente serviranno anche a voi genitori per favorire la vostra crescita religiosa, per riprendere o portare avanti il vostro personale cammino di fede. È chiaro, infatti, che mettere in pratica i suggerimenti proposti significa – necessariamente – interiorizzarne i contenuti, far propri i gesti, i segni e le cose da proporre poi ai bambini. Ma anche tornare un po’ ad essere bambini nella dimensione di cui parla Gesù: «Soltanto a chi è come i bambini appartiene il regno di Dio». per ulteriori riflessioni e approfondimenti. Alcune provengono dalla Bibbia, dalla parola di Dio; altre dalla psicologia dello sviluppo nei primi anni di vita (perché il messaggio religioso è strettamente connesso alla dimensione umana della persona). La dimensione comunitaria Brani del Vangelo sull’amore di Gesù per i bambini Finora abbiamo parlato di rituali e di segni religiosi da vivere all’interno della famiglia. C’è però da considerare un’altra dimensione importante, quella della comunità. Questa dimensione naturalmente acquisterà un rilievo sempre maggiore a mano a mano che il bambino cresce. Ma è bene che egli fin d’ora cominci a individuarla e a viverla insieme con i suoi genitori. Senza considerare per ora la messa della domenica, che richiede un discorso a parte (ne parleremo in una delle prossime schede), durante l’anno la parrocchia organizza alcuni incontri specie per preparare le grandi feste religiose dell’anno: Natale, Pasqua, Pentecoste. Poi, all’inizio dell’anno (quando la Chiesa ricorda il Battesimo di Gesù) e a ottobre, dopo il periodo estivo. Diverse volte Gesù nei Vangeli manifesta particolare attenzione e amore verso i bambini. Sono passaggi brevi ma penetranti, ricchi di significato. Ecco i principali: «Lasciate che i bambini vengano a me… a chi è come loro, infatti, appartiene il regno di Dio» (cfr. Mc 10,13-16; Mt 19,13-15; Lc 18,15-17). «Chi è il più grande? (…) E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse…» (cfr. Mc 9,3337; Mt 18,1-5; Lc 9,46-48). «Ti rendo lode, Padre (…) perché hai rivelato queste cose ai piccoli» (Mt 11,25). Dai Salmi Ci sono alcuni Salmi la cui lettura ci parla in termini poetici e al tempo stesso profondi della vicinanza di Dio al bambino. Ne segnaliamo in particolare tre. Il salmo 23 (22), detto del Buon Pastore. È quello letto insieme con i catechisti e che vi ha fatto capire i significati profondi del battesimo, specialmente il rapporto forte che si stabilisce tra Gesù Buon Pastore e il bambino (la nuova pecorella del suo gregge). È bello di tanto in tanto a rileggerlo per riflettere sulla ricchezza dei suoi messaggi. Il salmo 130 (131). È uno dei salmi più brevi. Pochi versetti ma molto intensi che descrivono la straordinaria capacità di affidarsi dei bambini: un modello per la fede degli adulti. Il salmo 138 (139). La vicinanza amorosa di Dio per l’uomo è descritta in questo salmo con un linguaggio poetico di grande fascino, a partire dall’inizio stesso della vita («Sei tu che hai creato le mie viscere e mi ha intessuto nel seno di mia madre…»). Questi incontri sono articolati in due parti. Nella prima – che si svolge in chiesa – si vive insieme una breve liturgia (quindici-venti minuti) fatta di canti, di rivisitazione di un segno battesimale in rapporto alla festività vicina (la luce a Natale, l’acqua a Pasqua, i doni dello Spirito Santo a Pentecoste…), della lettura di una pagina del Vangelo, della recita del Padre nostro. La seconda parte è dedicata a una riunione di amicizia nei locali della parrocchia: si fa merenda insieme, ci si conosce meglio fra genitori, ci si aggiorna sulle cose accadute, si ha la possibilità di vedere e acquistare libri… Il tutto aiuta i piccoli a familiarizzare con l’ambiente chiesa, con alcuni segni e gesti della fede, con la figura del parroco; ad ascoltare e poi a cantare canzoni della tradizione religiosa, alla recita comune del Padre nostro, a scoprire progressivamente la propria comunità parrocchiale. Per riflettere, approfondire, saperne di più Questa introduzione all’educazione religiosa dei bambini piccoli non esaurisce naturalmente le tante cose che ci sarebbero da dire sull’argomento. Indichiamo qui di seguito qualche pista 17 Fig. 14. Elementi simbolici: l’Agnello, la croce, il pesce e una gorgone. San Luca nell’arte Il vangelo di Luca nell’altorilievo di Angelo Biancini per la facciata della parrocchia di San Luca evangelista in Roma di Giampiero Arabia Con questo articolo don Giampiero Arabia, parroco di Nostra Signora del Suffragio e Sant’Agostino di Canterbury ed artista, commenta l’altorilievo realizzato nel 1963 da Angelo Biancini per la parrocchia di San Luca Evangelista in Roma. Le diverse immagini cui l’articolo si riferisce sono disposte nelle pagine di questa rivista. L’altorilievo realizzato da Angelo Biancini per il prospetto della chiesa di San Luca Evangelista in Roma, è un’opera in tecnica mista, che misura circa cm. 415 in larghezza e cm. 500 in altezza. La scultura è un opera polimaterica realizzata in conglomerato cementizio aggettante rispetto al prospetto frontale del complesso parrocchiale di san Luca. Collocata sopra il portale d’accesso è sorretta da due mensole ancorate ai pilastri centrali della struttura portante. Si tratta di una scultura in tecnica mista con elementi modellati in argilla smaltata ed elementi armati in cemento a vista. Biancini fu un esponente di spicco della scuola di ceramica di Faenza realizzando opere per numerose chiese in Italia e all’estero. Per la chiesa di san Luca ha prodotto altre opere, tutte in ceramica smaltata: una via crucis, collocata all’interno dell’aula liturgica, un’annunciazione posta sulla parete destra entrando in chiesa, una formella rappresentante la crocifissione, collocata nella sacrestia superiore ed una seconda formella con l’iconografia di San Luca che ritrae la Vergine Maria, conservata nel salone del centro anziani della parrocchia. Il pannello decorativo presenta otto scene, poste liberamente sulla superficie dell’opera, che si alternano ad elementi figurativi e simbolici: due angeli, il bue simbolo di Luca, la Vergine con il Bambino e due figure dalle dimensioni più ampie rispetto a quelle delle singole scene. Le scene bibliche rappresentate sono, partendo dall’angolo sinistro e ruotando in senso antiorario: 1) Gesù nel Tempio, 2) la tempesta sedata, 3) i viaggi di Paolo, 4) l’arresto di Gesù, 5) la condanna a morte di Gesù, 6) il figliol prodigo, 7) l’indemoniato di Gerasa, 8) il giovane ricco. Le figure isolate sono: al centro in alto Maria e il Bambino; in basso a sinistra San Paolo che annuncia il Vangelo; a destra San Luca seduto. I due angeli alludono alle due annunciazioni, quella di Giovanni e quella di Gesù. La prima è raffigurata dall’angelo con il corpo rivolto verso sinistra, la seconda dall’angelo direttamente rivolto alla vergine e al Bambino. ro maestro; come è noto, la patristica utilizza questo simbolo per alludere all’albero della vita, alla croce, dalla quale Cristo libera ogni uomo dalla schiavitù del peccato. Sull’angolo di destra in alto è posto il simbolo di Luca, il bue, mentre alcuni elementi decorativi tipici del Biancini sono utilizzati dall’autore per organizzare lo spazio e bilanciare la struttura compositiva degli elementi figurativi: in basso l’agnello immolato, il pesce, la croce e una maschera greco-romana. Fig. 3. I viaggi di Paolo Fig. 1. Gesù nel tempio con i dottori della Legge (Lc 2,41-52) Singolare la soluzione compositiva dello scultore: Gesù è innalzato su di una colonna che porta i suoi piedi all’altezza della testa dei “dottori” che si ritrovano, quindi, a dover sollevare il capo per ascoltare e vedere il fanciullo Gesù. Interessante notare le strutture geometriche e architettoniche poste nell’ambientazione della scena. Alludono alle architetture di matrice greca (il timpano) e di matrice romana (la cupola); il riferimento iconografico può essere allargato fino a farlo coincidere con i due “polmoni” della chiesa, quello orientale e quello latino. Gesù è posto al centro a significare il medesimo annuncio proclamato e vissuto in tutto il mondo. Il riferimento è emblematico perché Luca, di matrice ellenistica, fa ricerche accurate (Lc 1,3) per dare valore e solidità alla fede di ogni Teofilo, di ogni “amico di Dio”. Fig. 2. La tempesta sedata (Lc 8,22-25) Una grande barca occupa l’intera superficie della scena. Viene evidenziata la sproporzione tra la figura di Cristo e quelle degli apostoli. La tempesta è in atto e le onde sembrano giocare con la struttura della barca tutta posta in balia delle acque, incontrollabile e in grave pericolo. Gli apostoli tutti si ritrovano in atteggiamento di supplica mentre Gesù, in bilico sul bordo della barca, domina il vento ed esprime sicurezza, richiamando i discepoli ad una fede più esigente e convinta. Biancini si spinge oltre il racconto e lo legge all’interno di altre categorie simboliche: Gesù è al centro della scena ma è anche al centro della vela. È trasformato così in albe- Luca è debitore della predicazione di Paolo e a lui dedica gran parte del suo secondo libro. L’autore degli Atti degli Apostoli riferisce dei molti viaggi di Paolo e delle lunghe navigazioni. Molto ricco di dettagli è il racconto dell’ultimo viaggio di Paolo diretto a Roma a cui fanno riferimento gli ultimi due capitoli (At 27-28). Negli Atti, si parla di numerose barche, di provenienza diversa, e di porti di numerose città, il cui simbolo è il faro. La scena è strettamente collegata alla figura di Paolo che domina tutta la parte sinistra dell’intera struttura compositiva. Fig. 4. San Paolo Fig. 5. Due Angeli La figura di Paolo è realizzata in maiolica smaltata, così come gli angeli posti lungo lo stesso asse. Il suo sguardo è centrato sulla figura di Gesù posto in braccio a Maria. Il suo braccio sinistro indica chiaramente quale sia il fondamento e il centro della sua predicazione e della sua vita. Sembra di poter rileggere, in questa figura ieratica e al tempo stesso possente come una colonna, tutta la sua passione per il Signore, il suo coraggio e il suo vigore testimoniati in ogni sua vicenda personale, che conosciamo attraverso le sue lettere. Il libro posto sotto il suo braccio destro allude proprio ai suoi scritti e a tutta la Parola di Dio da lui amata e testimoniata fino al martirio. I due angeli invece si riferiscono alle annunciazioni di Giovanni (Lc 1, 5-25) e di Gesù (Lc 1,26-38). Interessante notare come l’autore abbia voluto ricordare il diverso ruolo di Giovanni e di Gesù attraverso la postura degli angeli coinvolti in questo annuncio di salvezza. Il primo, in alto, è come se guardasse al passato. Giovanni, infatti, appartiene ancora al profetismo veterotestamentario pur esultando nel grembo della madre all’incontro con Maria (Lc 1,44), contemplando personalmente il volto di Cristo nel fiume Giordano e affermando che di Gesù non è degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali (Lc 3, 16). Il secondo angelo è, invece, direttamente collegato al- 18 San Luca nell’arte la Vergine e sembra che continui il canto di lode a Dio: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2,14) Fig. 6. Maria e Il Bambino La figura di Maria è posta in trono. È la regina degli uomini; infatti, oltre all’aura di luce, porta una corona molto alta che sovrasta la linea di demarcazione superiore della composizione plastica. Si tratta di una “odigitria” (“colei che indica la strada”) – è ritratta cioè in una postura iconografica di matrice bizantina che sottolinea la tenerezza da parte della Madre e del bambino ma, al contempo, la chiarezza del loro ruolo nell’ambito della storia della salvezza. È il Cristo che è la via, la verità e la vita; è lui solo che ha portato nel mondo la salvezza, è lui che ha redento l’umanità dal peccato e dalla morte. Fig. 7. L’arresto di Gesù (Lc 22,47-53) La scena è caotica. Forse, volutamente, l’autore non ha inserito alcuni tasselli in fase di montaggio previo alla colata di cemento, attorno alle teste dei due soldati posti sul lato destro della scena. Il risultato è quello di un’opera non finita che accentua il pathos e la drammaticità della scena. Di Gesù è visibile solo la testa. Insieme a lui sono altri due apostoli che si piegano verso il centro della composizione per comprendere meglio cosa stia accadendo. Le spade e i bastoni sono un chiaro riferimento al testo evangelico “siete usciti con spade e bastoni come contro un brigante” (Lc 22,52). Fig. 8. La condanna a morte di Gesù Gesù è legato. Non ha più nessuna dignità. La figura che fronteggia il Cristo è volutamente generica; il suo atteggiamento rivela uno che interroga (e in tal senso potrebbe essere Pilato Lc 23,3 o Erode Lc 23,9). Potrebbe essere semplicemente anche uno che deride e schernisce (Lc 22,63). La genericità della figura potrebbe essere una scelta voluta dell’autore per sottolineare i tanti atteggiamenti di contrasto, più o meno espliciti, di molti uomini, motivati talvolta da esplicite ideologie, che puntano il dito su Cristo considerato causa non di libertà ma di schiavitù ed oppressione. In tal senso la morte di Dio diventerebbe la vera emancipazione dell’uomo. Verrebbe così indicata la cultura nella quale siamo collocati e dinanzi alla quale il cristiano è chiamato a motivare profondamente la sua fede, a dare ragione della speranza che lo abita. È ridotta all’essenziale, tutto è condensato il questo eterno abbraccio che nulla potrà più disturbare. Anche i lineamenti dei volti sono semplicemente accennati. Ciò che viene fissato nell’opera è la dinamicità di un incontro. Biancini realizzerà numerosi pannelli con la scena del “figlio prodigo” ma sostanzialmente resterà vincolato a questa intuizione plastica. Anche nel 1975, in occasione del Giubileo, realizzò una formella per Paolo VI (oggi conservata nei Musei Vaticani) con lo stesso tema. Anche in essa, pur inserendo pochi altri elementi, si ritrova la stessa composizione, lo stesso abbraccio e, potremmo dire, lo stesso perdono e la misericordia di Dio. Fig. 10. L’indemoniato di Gerasa (Lc 8,26-39) Gesù è il liberatore di ogni schiavitù. L’indemoniato geraseno è legato con catene ed è costretto a vivere nei sepolcri (Lc 8,29). Gesù si piega su di lui, con il suo braccio lo libera mentre l’indemoniato è posto su di un sepolcro in attesa di ritrovare la sua dignità smarrita. Fig. 11. Il giovane ricco (Lc 18,18-23) L’idea dell’autore è decisamente significativa. Ad un notabile che chiede cosa fare per avere la vita eterna Gesù propone la fedeltà ai comandamenti. Ma aggiunge l’esigenza della condivisione delle proprie ricchezze con i più poveri e, soprattutto, la sequela. Il tale, triste, non comprende, a causa delle sue molte ricchezze. A differenza degli altri sinottici che riferiscono che il notabile se ne ritornò solo, poiché aveva molte ricchezze, Luca annota solo il suo triste umore ed il giudizio di Gesù in merito a chi ha tante ricchezze. Le parole di Gesù suscitano la reazione dei discepoli che vogliono capire. La scena esprime tutta la tensione che i personaggi coinvolti mettono in atto. Il puntare il dito sottolinea la facilità di giudizio a cui si tende, quando i nostri schemi vengono puntualmente messi in discussione. Fig. 9. Il padre misericordioso ed il figliol prodigo (Lc 15,11-31) Fig. 12. Il bue, simbolo di S. Luca La parabola è raccontata attraverso l’abbraccio misericordioso del padre al figlio. La tradizione lega il simbolo del bue a 19 Luca. Il suo vangelo inizia con la figura di Zaccaria che riceve, davanti all’altare del Tempio di Gerusalemme, l’annuncio della nascita del figlio. Il bue era un’animale che veniva offerto in particolari sacrifici. Questa interpretazione risale a sant’Ireneo che, nell’indicare il valore simbolico dei quattro esseri di Ap 4,7, richiama i quattro evangelisti e le caratteristiche dei singoli vangeli. Fig. 13. San Luca Luca è ritratta in una figura profondamente mistica. La tradizione lo vuole medico, in ogni caso uno che non si accontenta del chiacchiericcio o delle prime cose che ascolta. Ha bisogno di solide motivazioni per lasciarsi coinvolgere da quello che ascolta. Fa ricerche accurate (Lc 1,3), interroga i testimoni dei fatti narrati (Lc 1,2) e medita ogni cosa per assaporarne tutta la profondità e la bellezza. È il sapiente presbitero che conserva e trasmette con i suoi scritti tutto il suo amore per Dio. È il Teofilo che scrive per tutti i Teofili di ogni tempo. Fig. 14. Elementi simbolici: l’Agnello, la croce, il pesce e una gorgone. Questi elementi sono concepiti dentro una cornice che allude ad una modanatura di un tempio pagano. È la base da cui proviene Luca; egli muove dal suo paganesimo per affermare che l’annuncio di Cristo è per tutti. Ma il nuovo culto ha ormai sostituto gli antichi ed è ormai incentrato sull’eucarestia, rappresentata dal pesce, dalla croce, dall’agnello. Angelo Biancini, Storie di San Luca, Parrocchia San Luca evangelista, Roma Appuntamenti 2010 Lo stage di formazione 2009 degli aspiranti catechisti dai 16 ai 25 anni Itinerari di formazione e spiritualità Giornata di spiritualità dei catechisti Sabato 5 giugno 2010, pellegrinaggio a piedi in Roma. Esercizi spirituali per i collaboratori pastorali organizzati dalla diocesi 25-29 giugno 2010. Viaggio di studio in Terra Santa 21-29 luglio 2010. Incontri di preparazione, venerdì 14 e 21 maggio, dalle 20,30 alle 22,00, presso la casa Bonus Pastor in Via Aurelia, 208. Corso sulla storia della Chiesa di Roma (III anno): dal V secolo all’alto medioevo Sabato 13 marzo 2010 – ore 9.45-12.30. S. Saba: la crisi iconoclasta. Sabato 8 maggio 2010 – ore 9.45-12.30. SS. Quattro Coronati: Sant’Agostino d’Ippona. Gli incontri si terranno il sabato mattina, con appuntamento alle 9.45 nei diversi luoghi. La partecipazione è libera. Festa dei cresimandi: “Radici che portano frutto come alberi lungo corsi d’acqua” Sabato 15 maggio 2010, ore 15.30-19.00, si svolgerà la festa dei cresimandi 2010 che avrà per tema “Radici che portano frutto come alberi lungo corsi d’acqua: l’ascolto della Parola di Dio è la sorgente di cui si serve lo Spirito Santo per nutrire le radici buone della nostra vita”. Sul sito www.ucroma.it sono disponibili un power-point e due schede per la preparazione del tema della festa nei gruppi. Stages estivi di formazione catechisti Lo stage di formazione per catechisti sopra i 25 anni si terrà, quest’anno, presso la foresteria del monastero di S. Scolastica a Subiaco, dal 3 al 5 settembre (venerdì-domenica). Lo stage di formazione per aspiranti catechisti dai 16 ai 25 anni si terrà presso la parrocchia Gesù Divin Maestro, dal 30 agosto all’1 settembre, come l’anno scorso nella forma di un campo estivo in autogestione. Rivista “Catechisti nella città” e newsletter Lo stage di formazione per catechisti 2009 Il Sito www.ucroma.it I nuovi appuntamenti, così come documenti ufficiali, articoli di approfondimento e sussidi, vengono messi a disposizione on-line sul sito dell’Ufficio catechistico e Servizio per il catecumenato www.ucroma.it. È possibile ricevere la rivista “Catechisti nella città”, espressione dell’Ufficio catechistico di Roma, facendone richiesta alla segreteria dell’Ufficio stesso. È possibile iscriversi alla newsletter dell’Ufficio catechistico, disponibile sul sito www.ucroma.it. Catechisti nella Città 77 Strumento di lavoro per la FORMAZIONE PERMANENTE e IL COLLEGAMENTO dei CATECHISTI ROMANI a cura dell’Ufficio Catechistico e Servizio per il Catecumenato della Diocesi di Roma Piazza S. Giovanni in Laterano, 6 - 00184 ROMA - Tel. 06.69886301 - C.C. Postale n. 30214001 Direttore Responsabile: Angelo Zema • Editore: Diocesi di Roma Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 138 del 11.4.94 Amministrazione: Piazza S. Giovanni in Laterano, 6 FOTOCOMPOSIZIONE E STAMPA: Tipolitografia Trullo s.r.l. 00148 Roma - Via delle Idrovore della Magliana, 173 - Tel. 06.65.35.677 r.a. - Fax 06.65.35.976 Finito di stampare nel mese di Marzo 2010 20