Lorenzo Lotto: biografia e percorso artistico di
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Lorenzo Lotto: biografia e percorso artistico di
Lorenzo Lotto: biografia e percorso artistico di Gabriele Barucca La vita e la carriera artistica di Lorenzo Lotto (Venezia, circa 1480 – Loreto, circa 1556) sono singolarmente ben documentate. Ciò non si deve, come per la maggior parte degli artisti del periodo rinascimentale, alle biografie del Vasari (Vite del 1550 e del 1568), che anzi gli riserva un breve profilo marginale, bensì a un corpus considerevole di opere superstiti, spesso firmate e datate nel corso della sua lunga carriera, e a quanto di scritto egli ci ha lasciato. In particolare si tratta della corrispondenza che Lotto intrattenne da Venezia con i governatori della confraternita della Misericordia di Bergamo, in relazione ai disegni per un ciclo di tarsie (1524-1532), il testamento del pittore, redatto nel 1546, e, soprattutto, il Libro di spese diverse, una sorta di registro accurato dei conti che Lotto tenne negli ultimi due decenni della sua esistenza (1538-56), ritrovato nel 1892 presso l’Archivio della Santa Casa di Loreto. Lorenzo Lotto nacque a Venezia in una data imprecisata tra il 1480 e il 1482. Era dunque quasi coetaneo di Giorgione e di Tiziano, i due grandi protagonisti della scena artistica della città lagunare, originari però di località periferiche del vasto dominio veneziano della terraferma, rispettivamente Castelfranco e Pieve di Cadore. La formazione del Lotto si ipotizza sia avvenuta nella città natale forse al seguito di Giovanni Bellini e di Alvise Vivarini, ma figura la prima volta come pittore in alcuni documenti legali trevisani fra il 1503 e il 1506. A Treviso, dove forse doveva già trovarsi dal 1498, Lorenzo Lotto godette della protezione del vescovo locale, Bernardo de’ Rossi. E’ anche grazie a questo potente patronato che il giovane pittore ottenne prestigiose commissioni che gli consentirono di sperimentare tutti i generi pittorici in seguito da lui prediletti lungo il corso dell’intera carriera, nonché di guadagnarsi una consolidata fama tanto da essere definito in un documento del 1506 “pictor celeberrimus”. Di questi anni sono strepitosi ritratti, quadretti con allegorie profane e religiose, monumentali pale d’altare. Tra i primi vanno ricordati il Busto di donna (Giovanna de’ Rossi vedova Malaspina?) a Digione, il Ritratto del vescovo Bernardo de’ Rossi (Napoli, Museo di Capodimonte), il Busto di giovane con lucerna di Vienna. Delle allegorie profane che ebbe modo di realizzare in questo periodo, per un’eletta clientela di umanisti eruditi, vanno menzionate l’Allegoria degli appetiti dell’anima razionale e Laura in Valchiusa (“Sogno di fanciulla”), entrambe a Washington. Tra i dipinti per la devozione privata va citato il San Girolamo nella selva del Louvre. Quanto alle pale d’altare quella di Santa Cristina del Tiveron è databile tra il 1504 e il 1505, mentre quella con l’Apparizione della Vergine ai santi Antonio abate e Ludovico da Tolosa nel duomo di Asolo è datata 1506. Il 17 giugno di quell’anno Lotto è a Recanati per firmare con i domenicani il contratto per la pala d’altare dello loro chiesa. Nell’autunno si trasferisce da Treviso a Recanati, dove nel 1508 firma e data il Polittico di San Domenico (ora nel Museo Civico di Recanati), primo di una serie di capolavori che il Lotto realizzò per le cittadine delle Marche. Da Recanati, favorito forse dall’intermediazione del vescovo della città Teseo De Cuppis, Lotto venne chiamato a Roma per lavorare nel cantiere degli appartamenti papali in Vaticano. L’inserimento a partire dal 1509 del pittore nel contesto romano, dominato da Raffaello, non ebbe l’esito da lui sperato. L’opera del Lotto non piacque a Giulio II, e così il pittore decise di lasciare Roma. Prima di far ritorno a Recanati probabilmente visitò Firenze dove quasi per certo ebbe modo di conoscere Fra Bartolomeo, un artista appartenente a quell’ordine domenicano al quale Lotto fu sempre molto vicino. I riflessi della conoscenza dell’opera del Frate domenicano e, soprattutto, di quella di Raffaello sono evidenti in due grandi pale d’altare databili intorno al 1511-12, la Trasfigurazione di Cristo di Recanati e la Deposizione di Cristo di Jesi, nonché nell’affresco (ora staccato) in San Domenico a Recanati con San Vincenzo Ferrer in gloria. Un nuovo capitolo si apre intanto nella vita dell’inquieto pittore che nei primi mesi del 1513 decise di trasferirsi a Bergamo, allora in territorio veneziano, colà chiamato per realizzare l’imponente Pala Martinengo, destinata alla chiesa domenicana di San Bartolomeo, opera terminata e datata nell’anno 1516. A Bergamo, terra di confine tra la Repubblica di Venezia e il ducato di Milano, Lotto entrò in contatto con una realtà figurativa del tutto nuova, caratterizzata in particolare dalla forte persistenza della tradizione leonardesca. Il periodo trascorso a Bergamo, che va dal 1513 al 1525, fu uno dei più sereni e prolifici dell’esistenza tormentata del pittore veneziano, ammirato e ricercato da committenti pubblici e privati. Ebbe infatti il sostegno di importanti famiglie locali i cui esponenti furono effigiati dal Lotto in memorabili ritratti singoli, doppi ritratti e ritratti integrati entro il più ampio contesto del quadro sacro. Basti ricordare il doppio ritratto del medico Giovanni Agostino della Torre con il figlio Nicolò (Londra, The National Gallery), il ritratto di Lucina Brembate (Bergamo, Accademia Carrara), i doppi ritratti di Messer Marsilio Cassotti e la sua sposa Faustina (Madrid, Museo del Prado) e dei Coniugi dell’Ermitage. Quanto ai ritratti di committenti inclusi nelle composizioni di soggetto sacro vanno citati quello frontale di Niccolò Bonghi, testimone alle Nozze mistiche di santa Caterina (Bergamo, Accademia Carrara) e quello di Elisabetta Rota, ammessa alla contemplazione del Commiato di Cristo dalla Madre, superbo dipinto datato 1521 che si trovava in casa Tassi a Bergamo (ora Berlino, Gemäldegalerie). Lungo il corso del suo soggiorno bergamasco, Lotto licenzia altre pale d’altare per chiese della città e del contado: nel 1521 data sia la Madonna in trono e santi per la chiesa di Santo Spirito, sia la Madonna in trono e santi per la chiesa di San Bernardino in Pignolo, l’anno successivo il Polittico di Ponteranica; di poco successiva è la Trinità per la chiesa di Sant’Alessandro della Croce. Negli stessi anni realizza inoltre numerosi dipinti destinati alla pietà domestica: per esempio, sono datate 1522 la Madonna col Bambino e i santi Giovanni Battista e Caterina (Costa di Mezzate, collezione privata) e la Santa Caterina d’Alessandria, dell’anno seguente è la tavoletta con la Natività (entrambe a Washington, National Gallery of Art). In questo periodo Lotto intraprese anche il ciclo di affreschi più impegnativo della sua carriera: vale a dire quello dell’oratorio Suardi di Trescore, a pochi chilometri da Bergamo, dove realizza un complesso programma iconografico incentrato su episodi della vita di santa Brigida e di santa Barbara, titolari dell’oratorio, e connotato dall’immensa figura del Cristo-Vite. Nello stesso anno 1524, iscritto sugli affreschi di Trescore, Lotto iniziò a lavorare ad un altro prestigioso incarico: la realizzazione dei cartoni per la serie di tarsie per gli stalli del coro di Santa Maria Maggiore a Bergamo, lavoro che lo vide impegnato a lungo dopo la partenza per Venezia avvenuta l’anno successivo. Almeno per sette anni il pittore intrattenne rapporti epistolari con i governatori del Consorzio della Misericordia, committente dell’opera; ci sono pervenute trentanove sue lettere scritte da Venezia che costituiscono una preziosa testimonianza non solo in merito alla conduzione dell’opera e alle scelte iconografiche, ma anche riguardo alla sue vicende personali, al suo carattere ansioso e alla sua personalità tormentata. Come s’è detto, nel 1525 Lotto lasciava Bergamo per tornare a vivere a Venezia, dove, nonostante le esperienze artistiche maturate nel corso degli anni, la sua attività fu essenzialmente confinata all’ambito delle commissioni private. Realizzò ritratti e quadri destinati alla devozione domestica per ricchi collezionisti della società veneziana. Tra questi va ricordato il facoltoso uomo d’affari Andrea Odoni, del quale il Lotto dipinse nel 1527 uno straordinario ritratto, ora nelle collezioni della Casa Reale inglese. L’unico incarico pubblico che Lotto ottenne a Venezia in questo periodo è costituito dalla pala con San Nicola in gloria con i santi Giovanni Battista e Lucia del 1527-29, commissionatagli dalla Scuola dei Mercanti per la chiesa di Santa Maria dei Carmini. Al suo rientro a Venezia Lotto aveva trovato alloggio nel convento domenicano dei Santi Giovanni e Paolo. Qui, secondo quanto stabiliva nel suo testamento del 1546, intendeva essere sepolto con l’abito dell’ordine. In questo convento domenicano, dove si tenevano “publice dispute contra la fede et sacri dogmati”, il pittore entrò certamente in contatto e strinse amicizia con personaggi di cui erano note inflessioni eterodosse, animatori di quel gran fermento religioso seguito alla Riforma luterana presente nella città lagunare. Le amicizie assiduamente coltivate dal Lotto si trovano soprattutto fra i gioiellieri, categoria professionale che a Venezia annoverava tra i propri membri spesso i sospettati o processati dall’Inquisizione. Tra questi vanno citati i fratelli Carpan, in particolare Bartolomeo, effigiato intorno al 1530 nel Triplice ritratto di Vienna. Nel corso degli anni trenta Lorenzo Lotto rinsalda i rapporti con i committenti marchigiani, che non si erano peraltro mai interrotti. Infatti nel 1523, quando ancora risiedeva a Bergamo, si era recato a Jesi per firmare il contratto per la Pala di santa Lucia, di fatto dipinta a Venezia e consegnata a Jesi solo nel 1532. Probabilmente nel 1527 aveva spedito da Venezia a Jesi la tavola datata 1526 con la Madonna e i santi Giuseppe e Girolamo per la chiesa di San Francesco al Monte e il trittico ora smembrato di cui restano i pannelli laterali con l’Annunciazione, destinato alla chiesa dei Minori Conventuali di San Floriano. Nell’estate del 1533 il pittore è nuovamente documentato nelle Marche, impegnato nella decorazione della cappella del Palazzo dei Priori a Jesi (oggi scomparsa). Nella regione adriatica si stabilì fino al 1540 quando alla fine di gennaio tornò a Venezia. Non sappiamo esattamente dove fissò la sua residenza, ma probabilmente nella zona di Jesi e Recanati. In questi anni l’intensa attività del pittore per i committenti marchigiani è segnata dal susseguirsi di straordinari capolavori connotati da geniali invenzioni didascaliche e da una narrazione quasi ingenua, favolosa e insieme di accostante familiarità. Opere che ben si adattano allo spirito dei luoghi, al clima di affetti e di semplicità nei rapporti umani che si respira nella vita sociale. Certo si tratta di ambienti intellettualmente meno sofisticati di quelli veneziani, ma anche meno costrittivi e più disponibili ad accogliere e apprezzare le sperimentazioni lottesche di una pittura non in linea con alcuno dei canoni figurativi dominanti. Nascono così memorabili pale d’altare: la Visitazione di Jesi, la Crocifissione di Monte San Giusto, il San Cristoforo tra i santi Rocco e Sebastiano di Loreto, l’Annunciazione di Recanati, la Pala dell’Alabarda di Ancona e, infine, la Madonna del Rosario di Cingoli. Come s’è detto, alla fine di gennaio del 1540 Lotto rientrò a Venezia; per un certo tempo lo ospitò un cugino, l’avvocato Mario d’Arman; è questo il periodo in cui dipinse la pala con l’Elemosina di sant’Antonino, terminata nel 1542 e collocata su un altare della chiesa dei Santi Giovanni e Paolo. Ma la sua pittura a Venezia risultava ormai superata nel clima nuovo che si respirava dopo le visite dei pittori manieristi fiorentini Francesco Salviati (1539) e Giorgio Vasari (1541-42). Così Lotto in cerca di rinnovata fortuna decise di trasferirsi a Treviso, dove abitò dal 1542 al 1545, ospite nella casa di Giovanni dal Saon. Ma questo nuovo soggiorno trevisano, a differenza di quello giovanile, non fu fortunato. Alla fine del 1545 il pittore tornò a Venezia. Del 1547 è il toccante ritratto di Fra’ Gregorio Belo di Vicenza (New York, The Metropolitan Museum), appartenente all’ultimo periodo della ritrattistica lottesca e commovente manifesto dell’intensa quanto tormentata religiosità del Lotto. Nel 1548 inviò a Mogliano nelle Marche la pala con la Madonna in gloria e santi per la chiesa di Santa Maria di Piazza. L’anno seguente Lotto ottenne l’ordinazione di una grande Assunzione della Vergine per San Francesco alle Scale ad Ancona; così lasciò Venezia per realizzare la pala d’altare sul posto. Forse aveva intenzione di tornare alla fine di questo lavoro nella città natale ma la consapevolezza di un’emarginazione professionale crudelmente sottolineata dai sarcasmi dell’Aretino e, probabilmente, la preoccupazione per l’avvio del primo processo per eresia a carico di Bartolomeo Carpan, suo fraterno amico, lo convinsero a rimanere nelle protettive Marche. Anche qui però la sua parabola professionale volgeva al declino. Nella celebre asta di sedici suoi dipinti, e di trenta cartoni per le tarsie di Bergamo, tenuta nell’agosto del 1550 nella Loggia dei Mercanti di Ancona, rimase quasi tutto invenduto. Nell’agosto del 1552 si stabilì a Loreto intensificando i suoi rapporti con le autorità della basilica della Santa Casa, finché l’8 settembre 1554 fece atto di oblazione perpetua presso la Santa Casa di Loreto. Contestualmente modificava il suo testamento che stabiliva la volontà di essere sepolto a Venezia e s’impegnava a dedicare il resto della sua vita al servizio della Santa Casa. E qui tra il 1556 e il 1557 finì i suoi giorni. Un ultimo capolavoro illumina l’attività estrema del pittore a Loreto. Si tratta della straordinaria e modernissima Presentazione al tempio, del 1556, parte di una serie di tele con storie dell’infanzia di Cristo, in origine poste sopra gli stalli del coro dell’abside della basilica lauretana.