La voce del popolo 26-01-17 - Missionarie Francescane del

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La voce del popolo 26-01-17 - Missionarie Francescane del
LA VOCE DEL POPOLO
26 gennaio 2017
CULTURA
[email protected]
Il 28 gennaio alle 11 al
Teatro Grande, Salvatore
Veca e la giustizia,
per le lezioni di filosofia
sulle virtù cardinali
Custodi dei pozzi
della buona notizia
In occasione del tradizionale incontro tra il Vescovo e gli operatori bresciani
della comunicazione, le riflessioni del direttore di Avvenire Marco Tarquinio
Intervista
DI MASSIMO VENTURELLI
“Comunicare speranza e fiducia nel
nostro tempo” è il tema portante
del messaggio che papa Francesco ha steso per la prossima Giornata mondiale delle comunicazioni
sociali. Un compito impegnativo
che chiama direttamente in causa
il ruolo di chi oggi si occupa di informazione e di comunicazione. Uno sguardo a giornali, televisione,
radio e new media e ai modi in cui
questi comunicano rende legittima
una riflessione sul ruolo e sulla figura del comunicatore di oggi. Un
contributo alla riflessione arriva
anche da Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, a Brescia per il tradizione incontro tra il Vescovo e i
giornalisti in occasione della festa
di San Francesco di Sales.
Una prima domanda: cosa significa, oggi, essere giornalista?
Significa, dovrebbe significare,
essere non solo un testimone del
tempo ma anche della realtà che
abbiamo davanti per permettere
la comprensione dei suoi elementi
portanti e significativi, anche se sono sempre di più quelli che ritengono di potere fare a meno di questa
mediazione. D’altra parte, però, è
sempre più evidente che un mondo con un’informazione fatta da
professionisti senza coscienza è un
mondo povero di verità ma ricco di
bufale e di chiacchiericcio.
cora un grande potere. Io sono di
quelli che ancora credono che la
libertà dei giornalisti sia specchio
della libertà di coloro che a noi si
affidano. Se capiremo che questo è
il punto nodale del nostro impegno
ci salveremo come categoria, diversamente ci renderemo presto conto
di essere diventati inutili.
Oggi è sempre più invadente la
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A noi spetta il compito
di custodire i veri canali
di approvvigionamento
delle notizie buone,
salde e verificabili
MARCO TARQUINIO
presenza di social media che
sembrano non avere nessuna
attenzione per responsabilità
vecchie e nuove nel campo della comunicazione. La loro presenza mette in forse il ruolo di
media “tradizionali” come giornali, televisioni e radio?
Credo che per chi fa il mestiere del
giornalista, al di là dello strumento specifico, quello attuale sia un
PAPA FRANCESCO CON I GIORNALISTI
Crede che quella da cronista a
testimone di un’epoca sia una
trasformazione che il giornalismo oggi ha compreso in tutta
la sua importanza?
Siamo nel mezzo di un guado. Ci
sono, in Italia e non solo, tanti giornalisti che hanno la piena coscienza dell’importanza e dell’improrogabilità di questa trasformazione,
ma vi sono anche tante persone
che credono, secondo una retorica molto diffusa, di esercitare an-
Ci sono, in Italia e non solo, tanti giornalisti
che credono, secondo una retorica molto diffusa,
di esercitare ancora un grande potere
tempo di resistenza buona. A noi
spetta un ruolo da custodi attivi
che guardano avanti e non sono a
difesa di un bidone che si va svuotando. Siamo piuttosto i custodi di
una sorgente. In questo tempo a noi
spetta il compito di custodire i veri
canali di approvvigionamento delle notizie buone, salde, verificate.
Dobbiamo essere i custodi dei pozzi di acqua potabile dell’informazione buona, ben fatta, verificabile, di
qualità nell’attraversata di quel deserto popolatissimo in cui viviamo.
Comunicare speranza e fiducia
nel nostro tempo è il compito
che papa Francesco, con il suo messaggio per la giornata del
2017, affida al mondo della comunicazione...
Beh, si tratta del lavoro che sto
portando avanti non solo da quando sono alla direzione di Avvenire,
giornale che da sempre ha questa
ambizione, così come è ambizione
di tutta la stampa di ispirazione cattolica. Un compito che si alimenta
del senso di completezza dell’informazione, che dà spazio a ciò che
di buono accade ogni giorno sulla faccia della terra, anche quando
questo per altre realtà rappresenta
una non notizia, ma che contribuisce veramente a rendere migliore
il mondo. È questo il compito a cui
papa Francesco ci chiama.
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Ci legava una dolce amicizia. Madre Giovanna e don Ferrari
L’ultimo libro di Angelo Onger riprende
l’epistolario tra madre Giovanna Francesca
dello Spirito Santo e don Piero Ferrari
Pubblicazione
DI LUCIANO ZANARDINI
Saremo giudicati sulla base dell’amore. E sulla scorta di quanto abbiamo saputo avvicinarci a tutti gli
uomini riconoscendo in ognuno di
loro il Verbo Incarnato. È questa
la grande eredità spirituale che interroga il lettore davanti alle 365
pagine del libro “Ci legava una dolce amicizia. L’epistolario tra madre
Giovanna Francesca dello Spirito
Santo e don Piero Ferrari”. Madre
Giovanna Francesca dello Spirito
Santo (1888-1984) e don Piero Ferrari (1929-2011) sono due figure
carismatiche e profondamente spirituali. Hanno condiviso la Parola e la vita. La
loro amicizia è stata un sacramento. Si
sono sostenuti a vicenda e, soprattutto,
hanno promosso opere di bene. L’autore, Angelo Onger, presenta in maniera
dettagliata le due biografie e il loro lungo rapporto epistolare. Erano prossimi
l’uno dell’altro, perché condividevano
una fede radicata nell’amore trinitario
e nella missione. Madre Giovanna (al
secolo Luisa Ferrari), di cui è in corso la
causa di canonizzazione, ha saputo leggere il cambiamento. Attingeva al Vangelo, come ha scritto nella prefazione al
volume mons. Monari, contemplava la
Trinità e da questa esperienza raggiun-
geva il desiderio di essere espressione
dell’amore di Dio nel mondo: “È di queste persone che abbiamo un immenso
bisogno oggi: persone che siano contemporaneamente innamorate di Dio
e capaci di accostare il vissuto contemporaneo”. Ha avuto il merito di fondare la Congregazione delle Missionarie
Francescane del Verbo Incarnato. L’Istituto prende nome e auspicio dal Verbo
Incarnato, incarnato nel mondo e nella
storia. La missione è l’amore. Quasi una
profezia dell’Evangelii Gaudium. Nelle
lettere alle Figlie il tema della missione ritorna spesso. “Siccome il Regno di
Dio è aperto a tutti facciamo fulcro del
nostro apostolato la parola del Vangelo: ‘Va’ per le piazze, per le vie della città”. La congregazione è una risposta alla
vocazione. Madre Giovanna ha cercato
di promuovere un nuovo modo di vivere
l’impegno cristiano, nella totale consacrazione a Dio, secondo la spiritualità
francescana e con una forte connotazione missionaria dinamica. Negli anni
Sessanta invocava la necessità di una
profonda conversione spirituale. Per
“restare vicini a Dio”, bisogna sviluppare un rapporto personale e immediato.
Anche don Piero Ferrari coltivava
la medesima passione: era determinato, sottolinea Monari, a vivere il
Vangelo nella radicalità. Non a caso
madre Giovanna aveva individuato
in don Piero la persona più adatta
per il progetto di un ramo maschile
della Congregazione. Non è successo, ma dal loro rapporto spirituale
hanno saputo trarne beneficio entrambi. Nelle loro lettere, raccolte
nell’ultima parte del testo, don Piero la definisce una mistica del XX secolo e arriva a dire che, per lui, “andare da lei significava abbeverarsi
alla fonte”. Nella loro testimonianza
cristiana sapevano coniugare Marta
con Maria. Madre Giovanna e don
Piero sono stati, ha sottolineato nella postfazione madre Fatima Godino (superiora generale delle Missionarie Francescane del Verbo Incarnato), “due amici nell’Amico, che si è
donato tutto, senza limiti”.