editoriale - eGroupWare @ StarSystem IT
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EDITORIALE Importanti, anzi necessarie “La testa e il cuore di questa associazione sono declinati al femminile”. “Senza le donne la politica è più povera”. Non lo diciamo noi. Lo hanno detto e scritto, rispettivamente, il Segretario generale, Vincenzo Menna, e Antonio Nanni, coordinatore dell’Ufficio studi. Il riconoscimento altrui, anzi il riconoscimento dell’altro-per-eccellenza della differenza di genere, non vale come supporto o come conferma. Esso indica piuttosto, in un contesto organizzativo e associativo complesso quale il nostro, un’evidenza che non ha bisogno di “gridare” le sue ragioni, ma solo di dimostrarne concretamente, nella pratica quotidiana la consistenza e la creatività. Anche nel confronto o nel conflitto, qualora esso sia capace di produrre cooperazione e valore aggiunto nel perseguire obiettivi comuni. Il “doppio sguardo”, maschile e femminile, che assai volentieri ospitiamo sulla nostra “Sirena” e anche negli incontri del Coordinamento nazionale, è per noi una scelta ed un’intenzionalità politica, in forza della quale ci dichiariamo soggetti di interlocuzione che pienamente si riconoscono e sono riconosciuti nella nostra associazione. Ciò non vuol dire che non resta altro, anzi molto da fare affinché le ACLI più femminili annunciate a Bruxelles siano pienamente realizzate. Vuol dire però che per procedere fruttuosamente in questo cammino, occorre riconoscere la strada percorsa, voltarsi indietro per spingerci più avanti. Ripartendo dalla coscienza di noi stesse. E’ per questo che guardiamo con grande interesse e senso di responsabilità il percorso formativo del progetto “Oltre il tetto di cristallo”. Le difficoltà che incontriamo in questo vero e proprio laboratorio interassociativo, le differenze che veniamo scoprendo nella differenza – in tre organismi così diversi per storia, modelli e codici, quali il Cif, la Cisl e le Acli, e tuttavia uniti da idealità affini e valori condivisi- ci spingono a riflettere, a proporre, a ri-progettare continuamente, in vista dell’assunzione da parte femminile di ruoli decisionali e apicali. In essi, più che altrove, siamo messe alla prova. E con noi viene saggiato il codice culturale dominante, le sue opacità, la sua resistenza al cambiamento, di cui le donne sono portatrici, anche al di là delle loro intenzioni. Avremo modo di continuare a raccontare questo percorso a tutte, perché quello che apprendiamo sia patrimonio comune, non solo delle partecipanti. Ma soprattutto ci auguriamo che, in vista della Conferenza organizzativa e in questo particolare momento della nostra vita associativa, spalancato sul futuro, l’esperienza e la sapienza delle donne (un sapere maturato nella vita e nella sua complessità quotidiana) siano visibilmente portatrici di fiducia e di condivisione. Maria Grazia Fasoli 2 PRIMO PIANO: UN AGURIO DI RILIEVO La testa e il cuore di questa associazione sono declinati al femminile. Vincenzo Menna In questo testo riportiamo una breve trascrizione dell’intervento di Vincenzo Menna tenuto nell’incontro del Coordinamento Donne il 17 dicembre. Condividendone le riflessioni, ci auguriamo che l’apprezzamento espresso per il percorso sinora svolto sia di buon auspicio per le nostre prossime attività. Il 17 dicembre in un clima sereno che preannunciava e sospendeva le preparazioni natalizie, si è svolto l’ultimo appuntamento del 2005 del Coordinamento Donne, un incontro in cui abbiamo avuto il piacere e l’onore di ascoltare il Segretario generale delle Acli, Vincenzo Menna. Le sue parole, ricche di elogi per il lavoro svolto dalle donne delle Acli, hanno sottolineato come questo impegno, non riducibile ad un ordinario contributo femminile necessario ad una Associazione che si rivolge a uomini e donne, deve essere concepito nei termini di un valore in più, espresso nella fatica e nella creatività che le donne, dalla dirigenza ai livelli locali, spendono e continuano a spendere nei diversi campi e che Vincenzo Menna con un’espressione felice e per noi gratificante, ha chiamato dono e grazia. Non vi ruberò molto tempo, perché nel programma della giornata odierna avete molti temi da affrontare. Vorrei suggerire alcune riflessioni che sono legate alla fase che il nostro movimento sta vivendo. Abbiamo avuto un dono, c’è stata offerta una grazia che probabilmente soltanto in questa ultima fase riusciamo ad avvertire, ed è stato l’apporto vostro, di alcune di voi, nella costruzione di un gruppo dirigente che ha espresso in questi due anni dal congresso di Torino, un’associazione viva, ricca, forte di idee, consistente sia sul nostro territorio che al livello nazionale. C’è stato offerto un dono importante. Non è casuale, anche se ritengo che non si potesse prevedere in tutta la sua compiutezza: alcune di voi presidiano oggi nel gruppo dirigente quello che rappresenta la vera ricchezza della nostra associazione. Sono donne che presidiano, orientano, e lo fanno bene, il nostro pensiero e la nostra ricerca. La vostra coordinatrice, Maria Grazia Fasoli, alla quale mi lega un’antica amicizia 3 risalente ai tempi della Presidenza di Giovanni Bianchi, è responsabile anche dell’Ufficio Studi; è ancora una donna che segue con intelligenza e sobrietà la radice stessa della nostra vita associativa: Paola Vacchina, con la sua responsabilità della Vita Cristiana; Vittoria Boni, una donna che ha cura del nostro futuro, pensando e organizzando la nostra formazione con una straordinaria capacità di lavoro che a volte impressiona anche me, e notoriamente io sono una persona che le ore di lavoro neppure le conta per sè; Lidia Borzì, una donna che in questi anni ha introdotto una grande capacità di innovazione nei nostri percorsi aggregativi e da qualche anno a questa parte ha innestato un filone di attività importante come quello della progettazione; Soana Tortora, una donna che ha il ruolo di più alta garanzia della nostra Associazione in quanto presiede il Consiglio nazionale. La testa e il cuore di questa associazione sono declinati al femminile. Se oggi, in questi ultimi mesi della presidenza di Luigi Bobba, possiamo dire di avere un bagaglio di idee, una sterminata ricchezza di quadri dirigenti dal centro e in periferia, se possiamo dire, come abbiamo detto in occasione del sessantennale, che abbiamo una quarta fedeltà, oltre le tre storiche di Penazzato, che è quella del futuro, ciò è dipeso e dipende molto dal lavoro che le donne hanno fatto nel gruppo dirigente delle Acli. Non è un apprezzamento natalizio! Chi in questi mesi e in questi anni ha lavorato con me, sa che non concedo e non faccio sconti nemmeno a me stesso, ai miei compagni di strada. Queste ACLI così ricche di presenze femminili qualificate potranno forse un giorno in coerenza con questo processo culturale e associativo, sperimentare la possibilità di avere una donna come presidente nazionale o forse come segretario generale. Vedete bene, il mio ruolo è quasi quello di un allenatore dentro una squadra, sono quello che cerca di mettere ordine alle geometrie, a volte confuse, di una squadra fatta di tanti campioni. Uno scudetto, però, non si vince se è bravo solo l’allenatore e non ha i giocatori da mettere in campo, anzi è molto più facile vincere uno scudetto avendo un allenatore scarso e i giocatori che sono ben coordinati tra di loro. Vi dico brave e dico che forse questo, care Maria Grazia, Vittoria, Paola, Lidia, dovrebbe essere un tema che anche con coraggio dovete proporre alla riflessione del 2006, in un momento in cui la nostra associazione si appresta ad avere un naturale cambio di gruppo dirigente. Vi è noto che il 2006 rappresenterà la conclusione di una grande presidenza come quella di Luigi Bobba. Assumetene con forza questa consapevolezza, perché questo fa il bene delle Acli. Se si è fatto tanto bene alle Acli a Via Marcora, allora può essere un modello che può produrre i suoi frutti anche sul territorio. C’è un altro elemento di grande soddisfazione, ripeto soprattutto per il sottoscritto che non ha grandi occasioni per poter divertirsi e passa le giornate ad occuparsi, come direbbe il nostro vecchio presidente Giovanni Bianchi, di sala macchine. Questo elemento è dato dal fatto che le donne hanno rappresentato al congresso di Torino e negli anni e nei mesi successivi, un fenomeno interessante di fluidità dei gruppi dirigenti locali, se non nelle responsabilità formalizzate, in quelle reali, in quelle sostanziali, in quelle che contano. Io non so se Paola Vacchina sia in condizione di dirci quante ragazze sono passate in tre anni da noi, ma se azzardassimo un dato che va dalle quattromila alle cinquemila, non saremmo lontano dal dire il vero. Credete, un segno lo hanno lasciato le cinquemila persone che attraversano le Acli, e speriamo che una quantità, un numero significativo di esse, siano rimaste nelle Acli, e speriamo che anche un numero significativo, benché non siano rimaste a svolgere un qualche ruolo nelle Acli, ne conservino un buon ricordo. Questo non è un fatto irrilevante. 4 Le donne, le ragazze del servizio civile, le abbiamo viste, le ho viste, toniche. Scusate il termine, ma una delle più belle esperienze che ho fatto nella mia vita è quello di essere stato team menager di 2 squadre femminili di pallamano e viverci io e un allenatore un po’ schizzato, è stata un’esperienza formativa importantissima. Nelle realtà in cui abbiamo registrato qualche crisi, come è stato ad esempio per i ragazzi che abbiamo dovuto commissariare, le persone che vedevate lì, erano le ragazze del servizio civile, sicuramente spaventate dal fatto che c’era una confusione organizzativa, ma loro erano lì a tenere in piedi un’associazione che avevano appena conosciuto. Io sono contento che sia una donna, Paola, ad avere assunto negli ultimi due anni questa responsabilità, perché ne sta curando con amorevole attenzione una per una, forse anche personalmente, queste ragazze. Vedete, all’inizio sul servizio civile c’è stato un atteggiamento po’ paradossale, avevamo i dirigenti delle Acli, adulti e maschi, una sorta di “introduttori” delle ragazze, che avevano spesso un rapporto asettico e burocratico. Io ho visto ora i presidenti provinciali, che si lamentavano di non riuscire ad aggregare le ragazze ed i ragazzi, di non avere quadri nuovi, essere così straordinariamente trasformati. Anche questo è un segno al femminile, che è un dono che le Acli con il congresso di Torino hanno ricevuto, ed è bene che questa consapevolezza, questo dato, sia maggiormente espresso da voi. Non siate timide nel rivendicare quelli che sono, consentitemelo il termine, meriti associativi, (proprio perché siete donne ed è già di per sé difficile riconoscervelo), soprattutto quando questi sono evidenti. Scusatemi se faccio sempre ragionamenti che tradiscono il mio ruolo di segretario generale. Non è casuale e non è mai capitato nella storia delle Acli, che al congresso di Torino le vostre rappresentanti siano state quelle tra i presenti ad avere un risultato congressuale così importante. Questo è il vero segno di una qualità del lavoro che avete svolto e che state svolgendo in questi mesi. 5 SPECIALE: DOPPIO SGUARDO Antonio Nanni (Centro Studi Acli) LA DIFFERENZA DI GENERE Intervista a cura di Simona Lattarulo 1. Sappiamo che sei un esperto del tema delle differenze, del pluralismo culturale, delle vicende di una società aperta alle differenze. Pensi che sia decisivo la differenza di genere rispetto alle altre differenze, in qualche modo fondativa? Da sempre sono convinto che all’inizio c’è l’Altro, il volto dell’altro, anche se mi rendo conto che nella quotidianità un po’ tutti (me compreso) sono abituati a partire dall’io, dall’identità. Ciò che infatti dimentichiamo con estrema naturalezza è un fatto inequivocabile: ciascuno di noi, prima ancora di imparare a dire “io”, quand’era piccolo ha detto sicuramente “mamma”. Cioè, all’inizio c’è il volto dell’altro, il riconoscere l’altro, e poi c’è la presa di coscienza della distinzione tra l’altro (mamma) e il sé. Questa semplice rimozione della “differenza” a me sembra importante e fondativa perché spazza via tante stupidaggini e mette in evidenza il primato della relazione. Occupandomi della cultura della differenza, scrivendo libri sulla convivialità delle differenze e sull’interculturalità o, come sto facendo oggi, sulla compresenza dei simboli, ho sottolineato che la differenza “originaria”, primordiale, quella che viene prima di tutte le altre differenze, è la differenza di genere. Infatti, prima di essere diverso da altri per etnia, cultura, religione, ecc. io sono semplicemente diverso da Paola, mia moglie. Ho uno sguardo diverso da lei, un punto di vista, una lettura della realtà, una narrazione, una memoria, un sistema di attese e desideri al maschile che non coincidono affatto con queste stesse realtà al femminile. Siamo la stessa cosa ma totalmente differente ed è bene che questa “distanza” preservi la nostra diversa identità piuttosto che degenerare nella “fusione” dei due. Non vorrei apparire inutilmente prolisso e suggerirei invece la lettura di quei pensatori (maschi e femmine) che – almeno a me – hanno dato tanto sulla “differenza”: Levinas, Irigaray, De Certau, Kristeva, I. Mancini, Hillesum, E. Stein, ecc. 6 2. Al di là delle disquisizioni sulle quote sì, quote no, cosa pensi dell’importanza di una maggiore presenza femminile, questo esserci nei ruoli decisionali? Il tema della presenza delle donne in politica non può essere circoscritto al problema delle “quote rosa”. Capisco che le quote sono solo un espediente per stimolare un processo virtuoso, ma il vero cambiamento deve essere “ordinario” senza il bisogno di fare ricorso a “forzature” ed espedienti. Il problema andrebbe impostato non come una competizione tra gli uomini e le donne ma come un fatto di ricchezza o povertà della politica. Senza le donne la politica è più povera, con le donne la politica è più ricca di umanità, di rappresentanza e di competenze. Se le donne non sono presenti in politica è l’intera società a perdere, non le donne. Pertanto è interesse di tutti promuovere l’impegno di più donne in politica. Esse porterebbero un allargamento di orizzonti, una maggiore sensibilità per la “cura” delle relazioni. La donna più dei maschi trascina con sé il riferimento al “vissuto”, alla corporeità, e questo renderebbe la politica “più incarnata”. La donna sa essere più sensibile alla “pluralità degli interessi” perché essa vive sempre al crocevia delle relazioni: con i figli, con il marito, con gli anziani. La vicenda delle quote rosa dovrebbe farci aprire gli occhi su una realtà inconfutabile: nella politica non esiste il “vuoto”, non c’è il “neutro”. Se oggi i maschi occupano quasi tutto lo spazio per scansarli occorrerà una forte spinta come avveniva nella scenetta delle Sorelle Bandiera mentre cantavano (nello spettacolo di Renzo Arbore) la canzoncina “fatti più in là…”! La spinta è inevitabile per la nota legge fisica sulla impenetrabilità dei corpi! 3. Nella rappresentanza politica è più importante interessi, gli obiettivi o appunto lo stesso genere? condividere gli Risponderei che per me la gerarchia delle priorità vede prima gli obiettivi, poi gli interessi e poi ancora il genere. Ma forse questa è una tipica risposta da maschio, magari un po’ idealista e romantico. L’espressione “condividere lo stesso genere” per me come maschio non ha senso. Quando in me sorge il problema del “genere” è perché mi sto già schierando dalla parte delle donne. Mi è capitato più di una volta di scegliere a ragion veduta un candidato donna. Tra gli obiettivi e gli interessi, poi, non c’è partita. Sono di gran lunga gli obiettivi (questione sociale, pace, vita, welfare, democrazia, coesione sociale…) a prevalere. 4. Per te, poter essere rappresentato da una donna è una possibilità nuova, uno spiazzamento, o un rilancio delle questioni condivise? È una possibilità nuova perché più carica di futuro e di imprevedibilità. Ma questo non significa cadere nell’ingenuità. So bene che anche le donne possono manifestare gli stessi difetti dei maschi, in politica come nella vita quotidiana. Anzi, più le donne scimmiottano gli uomini, più diminuiscono le speranze di un mondo diverso. Il nemico più grande della “differenza di genere” è infatti l’omologazione. Per essere assertiva ogni identità (maschile o femminile) ha sempre bisogno di resistenza e di progettualità, di collocarsi in trincea e di avventurarsi negli avamposti, di decolonizzare il proprio immaginario e di osare il futuro, reinventandosi giorno dopo giorno come avviene nel gioco senza tempo di un bambino. 7 “QUESTIONE FEMMINILE” Le donne tra famiglia, lavoro e ricerca di Dio intervista a Maria Grazia Fasoli rilasciata il 25 novembre 2005 di Elena Grazini Esiste oggi una cultura delle pari opportunità? Esiste indubbiamente una sensibilità più diffusa rispetto ai temi che riguardano le pari opportunità. In termini assoluti una cultura praticata delle pari opportunità è ancora lontana da una sua implementazione. Ci sono degli ostacoli di natura profonda, che richiedono tempi lunghi per essere pienamente superati. In termini relativi però, cioè se consideriamo il cammino fatto dalle donne negli ultimi 20-25 anni, dobbiamo valutare positivamente il percorso di questa cultura. Quali sono gli elementi che la inducono a guardare con ottimismo al cammino compiuto dalle donne nell'ultimo quarto di secolo? Ne indicherei due. Il primo riguarda la crescita della soggettività femminile, intesa come autostima e consapevolezza delle donne del proprio valore. Invece, in termini di contesto, direi che il femminile nella società si è diffuso, c'è stata una valorizzazione degli elementi di cura nelle relazioni, che non è più soltanto un patrimonio delle donne ma anche della cultura, ad esempio del mondo del lavoro. In questo senso la società si è “femminilizzata”. Eppure l'accesso alle donne a certi ambiti lavorativi è piuttosto limitato. Qual è il settore meno “femminilizzato”? Sicuramente quello che in termini tecnici si chiama la rappresentanza, cioè il settore della politica strettamente intesa. Basti pensare che a un 52% circa di elettorato femminile corrisponde una presenza in Parlamento del 9,8%. In generale laddove ci sono poteri decisionali la presenza femminile decresce. Questo dato mi sembra abbastanza inquietante perché il potere di decidere è importante. Come invertire questa tendenza ? Anzitutto è indispensabile che le donne si attrezzino a esercitare ruoli di responsabilità. Da questo punto di vista quella che in senso molto ampio si chiama formazione rimane lo strumento prioritario. Nel mese di novembre si è svolto il seminario di lancio di un progetto di formazione ai ruoli di vertice che Cif (Centro Italiano Femminile), che è il capofila, Acli e Cisl stanno avviando con una formula abbastanza inedita di collaborazione tra queste tre associazioni. In secondo luogo sono fondamentali politiche di conciliazione tra le esigenze di cura familiari e le esigenze di un impegno professionale, sociale o politico. Credo che non si debba costringere le donne a dover scegliere tra un impegno professionale, nel sociale o nella politica, e il mondo degli affetti che rimane giustamente importante ed è bene che sia così. Ci sono allo stato attuale politiche efficaci di sostegno alla donna nella ricerca di questo equilibrio? Attualmente sono assolutamente scarse le politiche di sostegno alla famiglia. Diciamo che quando né dal punto di vista fiscale né dal punto di vista del welfare, né da quello del reddito o dei servizi si considera la famiglia come un soggetto da privilegiare si penalizza 8 immediatamente la donna, perché spesso i problemi familiari ricadono sulle spalle delle donne. Per quanto riguarda le politiche di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro qualche tentativo è stato fatto, anche se bisogna riconoscere che molto spesso il part-time, per fare un esempio classico della flessibilità, da un lato favorisce la presenza femminile del lavoro in termini di conciliazione con la famiglia ma dall'altro altro è penalizzante per la carriera. Personalmente guardo con molta attenzione a forme di lavoro più flessibile, e quindi più compatibili con le esigenze familiari. Mi sembra una strada interessante, purché sia percorsa anche dagli uomini. In suo recente articolo in occasione del referendum sulla fecondazione assistita, nel quale si è schierata con il Comitato Scienza e Vita, si legge: «In tante argomentazioni che sono state avanzate a nome delle donne nel dibattito referendario attorno alla fecondazione assistita ho ravvisato più la scienza onnipotente che la scienza del limite». Qual è il rischio di una scienza onnipotente? Il rischio di una scienza onnipotente non è nuovo nella nostra civiltà. La novità è che la sfida di questi ultimi anni riguarda l'onnipotenza della scienza applicata alla vita umana, in modo particolare al corpo e alla sua, per così dire, riproducibilità tecnica. Ci troviamo di fronte a una svolta antropologica di portata inaudita, di cui non siamo tutti consapevoli. Questa è stata la mia preoccupazione durante la sfida referendaria. Ritengo che specialmente applicata alla vita umana una scienza onnipotente, ma in modo particolare una tecnologia onnipotente (bisogna distinguere tra scienza come ricerca, nei confronti della quale non abbiamo alcuna forma di preclusione, e le applicazioni operative, ovvero la tecnica), possa portare ad una totale disumanizzazione. Nello stesso intervento parla del rischio di «una forma di interiorizzazione del pensiero maschile» da parte delle donne. La scienza onnipotente e la tecnologia, che è il suo braccio operativo, sottraendo la vita agli eventi naturali e facendola diventare un oggetto di decisione, sono un tipico prodotto del pensiero maschile come pensiero del dominio e della manipolazione. Io credo invece che un sentire materno appartenga al corpo femminile, anche a coloro che non hanno figli. Credo che appartenga alle donne una scienza del limite, del fare posto all'altro, che va spesa in termini di riserva di umanità. In diverse pubblicazioni lei ha affrontato la questione del divino nella sfera femminile. Si può parlare di una via femminile al divino? L'esperienza del divino ha a che fare con la ricerca che noi facciamo di una dimensione che ci trascende e ci supera. Si tratta di un percorso che, radicandosi nelle profondità dell'essere umano, non può non essere segnato dall'essere donna o dall’essere uomo. Ancora diverso è il discorso della fede. In questo caso la fede rivelata ci coglie nella nostra diversità. Questo Dio che parla agli uomini e alle donne viene ascoltato dagli uomini e dalle donne in un modo differente. Anche in questo senso la fede si colora del nostro essere uomini e del nostro essere donne. Donna e cristianesimo: cosa si profila all’orizzonte? Innanzitutto ritengo che noi donne siamo chiamate a essere sempre di più soggetti attivi di una fede comunitaria e del popolo di Dio, cosa che è stata additata in modo particolare dal Concilio Vaticano II. Inoltre mi sembra che in una società, come oramai siamo convinti sia la nostra, post-secolare, e quindi in un ritorno della domanda e della sfera religiosa, noi donne, con la nostra ricerca di fede e con il nostro intellectus fidei, ossia con la nostra capacità di fede riflessa, possiamo costituire un elemento di coscienza per evitare che la ricerca o il bisogno di religiosità possa avere delle derive. 9 NOTIZIE DAI TERRITORI Chi dice donna di Milena Di Camillo Il 14 dicembre è stato presentato il libro della giornalista Milena Di Camillo Erano presenti l’autrice musicista Raffaella Mori e la Ha condotto: Martina Cecco Coordinamento donne Acli “Chi dice donna…” è più di un libro, è una raccolta, la raccolta di tante storie di donne, che hanno accettato di parlare di sé accettando un’intervista… e fin qua è cosa che accade; ma quando ad essere intervistata è una persona “normale”, allora le cose cambiano: le storie di queste 55 donne trentine toccano direttamente o indirettamente l’esperienza del presente, coinvolgono le realtà esistenti, e parlano di qualcosa che si può toccare, c’è, qui ed ora. Non sono solo delle storie, però, ma anche delle idee, delle speranze, dei progetti e delle situazioni possibili. Il libro è nato da un’idea che la sua autrice ha maturato per interpretare l’otto Marzo, nel ventunesimo secolo; l’autrice, Milena di Camillo, giovane giornalista del nuovo quotidiano “Trentino”, ci ha confidato che le donne intervistate, inizialmente, non avrebbero mai pensato di avere così tanto da raccontare, e invece… di Martina Cecco 10 Due appuntamenti da non perdere: CHARLES DE FOUCAULD e MADELEINE DELBREL Coordinamento donne delle Acli di Bergamo Il 2006 inizia il suo corso con due importanti incontri organizzati dal coordinamento donne Acli di Bergamo: il primo, si è tenuto il 6 febbraio, incentrato sull'approfondimento di due figure cardine del pensiero cristiano: Charles De Foucauld e Madeleine Debrel. Il secondo si terrà il 13 marzo e verterà sull'approfondimento della lettera che Benedetto XVI, quando ancora era cardinale, fece pervenire ai Vescovi della Chiesa cattolica sul tema della "collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo". La sede degli incontri è la Comunità del Paradiso, Via Cattaneo 7, Bergamo. Info: ACLI Bergamo 035.210284 [email protected] LUNEDÌ 6 FEBBRAIO 2006 Paola Vacchina, Responsabile nazionale Vita Cristiana Daniele Rocchetti, Presidenza provinciale ACLI Il tema della relazione tra uomo e donna, rivisitato nella ricchezza delle possibilità e non solo nella durezza delle problematicità, ci aiuta a cercare l’incontro come occasione di rinascita continua. I due testimoni, messi l’uno di fronte all’altro, parlano alla modernità con un linguaggio semplice e immediato. L’esperienza del deserto, assunto a paradigma delle angosce e delle fatiche degli uomini e delle donne che soffrono, cercano, amano, diviene, nel fecondo incontro con queste due figure significative, un passaggio obbligato per ogni scelta di vera prossimità e di vera libertà. Lunedì 13 marzo 2006 “Lettera ai vescovi della chiesa cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo” di sua Emin. Cardinale Joseph Ratzinger, oggi Papa Benedetto XVI Teresa Piccolini, co-responsabile Gruppo Promozione Donna Milano Mons. Lino Casati, Docente di Teologia Diventa un’ulteriore occasione di riflettere sulle vocazioni e sulle responsabilità degli uomini e delle donne del nostro tempo, desiderosi di essere sale e lievito nel mondo, questa lettera di Papa Ratzinger ai Vescovi e al popolo di Dio. L’accento è posto sulla collaborazione e, quindi, sulle risorse dei legami, che, in tanta frammentazione e precarietà, provocano il futuro con alleanze che tengono e promesse che durano. 11 La notte di S. Silvestro… Alessia Ferreri Responsabile provinciale del Coordinamento donne di Lecce I nonni sono coloro che vengono da lontano e vanno per primi, ad indagare oltre la vita; sono i vecchi da rispettare per essere rispettati da vecchi; sono il passato che vive nel presente ed i bambini sono il presente che vedrà il futuro”. (M. R. Parsi) Un esempio lodevole e ripetibile di rispetto e cura per gli anziani è stato l’incontro realizzato dal Coordinamento Donne delle Acli di Lecce con il Comune di Lecce, un’iniziativa di solidarietà ed animazione sociale per anziani. Per la notte di S. Silvestro è stata organizzata una grande festa con gli anziani soli del territorio, sono stati coinvolti tutti coloro che hanno voluto vivere un’esperienza speciale di solidarietà in una notte che si passa in famiglia e/o tra amici. Il luogo che ha ospitato l’evento è la Fondazione “Don Gaetano Quarta” (Lecce) alla quale gli anziani sono stati accompagnati grazie ad un servizio di trasporto casa-luogo del veglione attivato da un gruppo di volontari delle Acli. E ancora da LECCE……. Il coordinamento donne Lecce dà avvio ad una serie di attività creative: Laboratori e percorsi d’autore Teatro, corsi enogastronomici, taglio e cucito, scrittura creativa, laboratori di terracotta e tante altre attività per il 2006. Per informazioni e iscrizioni. Tel. 0832-331231 tel. 393-7957813 [email protected] 12 La giornata della memoria 27 gennaio 2006 Il 27 gennaio 1945 i soldati dell'Armata Rossa abbattevano i cancelli di Auschwitz e liberavano i 7600 prigionieri sopravvissuti allo sterminio nazista. Ricordiamo quel giorno con la voce di Etty Hillesum (1914 – 1943) Nata nel 1914 in Olanda da una famiglia della borghesia intellettuale ebraica, Etty Hillesum muore ad Auschwitz nel novembre del 1943. Ragazza brillante, intensa, con la passione della letteratura e della filosofia, si laurea in giurisprudenza e si iscrive quindi alla facoltà di lingue slave; quando intraprende lo studio della psicologia, divampa la seconda guerra mondiale e con essa la persecuzione del popolo ebraico. Durante gli ultimi due anni della sua vita, scrive un diario personale: undici quaderni fittamente ricoperti da una scrittura minuta e quasi indecifrabile, che abbracciano tutto il 1941 e il 1942, anni di guerra e di oppressione per l’Olanda, ma per Etty un periodo di crescita e, paradossalmente, di liberazione individuale. nasce come percorso di autoanalisi, in cui all'inizio troviamo la sua vita quotidiana, le sue frequentazioni, una certa disinvoltura sentimentale, le sue grandi passioni letterarie per i russi e per Rilke...un normale diario di un'intellettuale che man mano, intrecciandosi ai tremendi fatti di quell'epoca, si trasforma in un percorso interiore profondissimo e attento, un itinerario di 'difesa dello spirito' dalla barbarie nazista. Per lei si trattava di proteggere l'anima, e non i corpi, non le vite quotidiane. Seguendo quindi un proprio itinerario, Etty matura una sensibilità religiosa che da’ ai suoi scritti una grande dimensione spirituale. La parola “Dio” compare anche nelle prime pagine del diario, usata però quasi inconsapevolmente, come spesso accade nel linguaggio quotidiano. A poco a poco però Etti va verso un dialogo molto più intenso con il divino, che percepisce intimo a se stessa: “Quella parte di me, la più profonda e la più ricca in cui riposo, è ciò che io chiamo Dio”. Nel 1942, lavorando come dattilografa presso una sezione del Consiglio Ebraico, avrebbe la possibilità di aver salva la vita, invece sceglie di non sottrarsi al destino del suo popolo e nella prima grande retata ad Amsterdam si avvia al campo di sterminio con gli altri ebrei prigionieri: è infatti convinta che l’unico modo per render giustizia alla vita sia quello di non abbandonare delle persone in pericolo e di usare la propria forza interiore per portare luce nella vita altrui. I sopravvissuti del campo hanno confermato che Etty fu fino all’ultimo una persona “luminosa”. Al momento della sua partenza definitiva per il campo di sterminio Etty chiede ad un’amica olandese di nascondere i suoi quaderni e di farli avere ad uno scrittore di sua conoscenza, a guerra finita. …Ho spezzato il mio corpo come fosse pane e l'ho distribuito agli uomini. Perché no? Erano così affamati e da tanto tempo. E ancora: L'unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l'unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini. Si , mio Dio! diario 1941-1943 ..io credo che dalla vita si possa ricavare qualcosa di positivo in tutte le circostanze, ma che si abbia il diritto di affermarlo solo se personalmente non si sfugge alle circostanze peggiori… lettere 1942-1943 “La miseria che c’è qui è veramente terribile, eppure, alla sera tardi, quando il giorno si è inabissato dietro di noi, mi capita spesso di camminare di buon passo lungo il filo spinato, e allora dal mio cuore si innalza sempre una voce – non ci posso far niente, è così, è di una forza elementare – e questa forza dice: La vita è una cosa splendida e grande, più tardi dovremo costruire un mondo completamente nuovo. A ogni nuovo crimine o orrore dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore e di bontà che avremo conquistato in noi stessi. Possiamo soffrire ma non dobbiamo soccombere. E se sopravvivremo intatti a questo tempo, corpo e anima, ma soprattutto anima, senza amarezza, senza odio allora avremo anche il diritto di dire la nostra parola a guerra finita. Forse io sono una donna ambiziosa: vorrei dire anch’io una piccola parolina.” Diario 1941-1943 13 OLTRE IL TETTO DI CRISTALLO Percorsi di alta formazione nei luoghi di rappresentanza I MODULO: La partecipazione 13-14-15 GENNAIO Nelle giornate del 13-14-15 gennaio si è svolto il primo incontro di formazione del progetto “Oltre il tetto di cristallo”. Le 60 beneficiarie del corso, pervenute da varie regioni d’Italia, sono state accolte nell’hotel Villa Aurelia, un’imponente e sontuosa struttura che si affaccia sul viale Leone XIII, un luogo simbolico che congiunge seguendo una linea immaginaria, il verde di Villa Doria Phampili e il bianco della cupola di S. Pietro. “Prendere e darsi parola. Partecipazione nelle associazioni e prospettiva di genere”, il titolo del primo appuntamento, è una questione che ben introduce il corso di formazione, annunciando il percorso che il CIF, le ACLI e la CISL seguiteranno insieme, fino a concludersi nel mese di giugno, con l’ultimo incontro. Nella I giornata si è inaugurato il corso con la presentazione di “Oltre il tetto di cristallo”: la responsabile dell’Area Progetti, nonché membro del direttivo del Coordinamento Donne Acli, Lidia Borzì, ha descritto il progetto, raccontando la sua genesi, dalle motivazioni, agli obiettivi, alla scommessa “alta” giocata nel lavoro sinergico delle tre associazioni. Dopo una breve esposizione dei contenuti del modulo svolta dalla responsabile della formazione Cisl, Barbara Cerutti, si sono presentati i componenti dello staff organizzativo e scientifico, tra i quali una notazione speciale per Antonella Melai, segreteria insostituibile del Coordinamento Donne Acli, che ha seguito, con perizia tecnica, tutte le pratiche organizzative, garantendo il proseguimento dei lavori. Le partecipanti hanno potuto sin da subito, confrontarsi nei lavori di gruppo misto, guidati dai tutor Simona Lattarulo, Vivian Marotta (Cisl), e Achille Tagliaferri, (Coordinatore della formazione Acli), mentre nel pomeriggio, di nuovo in plenaria, hanno ascoltato la storia delle tre associazioni, raccontata Maria Grazia Fasoli per le ACLI, Annamaria Parente per la CISL e Fiorenza Taricone per il CIF. La singolarità delle tre organizzazione è emersa nelle narrazioni, una ricchezza nella diversità che ben si armonizza con la volontà espressa in questo corso di operare cambiamenti nella e per la partecipazione femminile. Lo sguardo attento di Renata Natili (responsabile CIF) filtrava l’umore e la concentrazione delle corsiste, dimostratesi interessate e partecipi. La seconda giornata è stata intensa e articolata: lavori di gruppo con restituzione in plenaria guidata da Vittoria Boni (Responsabile della formazione ACLI), seguita dagli interventi: la relazione della Prof. Gioia Di Cristofaro Longo (Università La Sapienza) con il titolo “Dalla discriminazione all’orgoglio di appartenenza di genere:elementi per un percorso” e le testimonianze nel pomeriggio di Andrea Olivero (Vicepresidente Acli) e la scrittrice Anna Vinci, particolarmente gradite dalle corsiste. Il sabato è iniziato con un raggio di sole nella stanza che ha illuminato un tavolo cosparso di gerbere, l’omaggio floreale, corredato di una lettera di Achille Tagliaferri che ha voluto, con questo dono, augurare alle corsiste un cammino in ascesa dentro di sé. L’ultima relazione dal titolo “Sistemi elettorali ed equilibrio della rappresentanza”è stata tenuta dal Prof. Stefano Ceccanti a cui ha seguito un dibattito animato e partecipato. La mattinata si è conclusa, con la compilazione dei moduli per il monitoraggio e la valutazione, in una atmosfera di amichevole simpatia, il migliore auspicio per i prossimi incontri. Simona Lattarulo 14 IL TETTO DI CRISTALLO Una viaggiatrice d’oltre manica: Aphra Behn Nel 1663 circa, Aphra Behn, allora giovane ventenne, salpò per il Suriname. Quando arrivò in questa colonia del nord dell' America Latina, vi trovò un piccolo insediamento inglese lì da 20 anni, servito da una larga popolazione di schiavi che lavoravano nelle piantagioni di zucchero. Questa popolazione esotica e la loro terra stupirono e deliziarono la giovane donna. "Questi paesi, in tutto e per tutto, sono così diversi da noi che producono inconcepibili meraviglie", così scrisse in Oroonoko, il principe in catene (1668), un racconto romanzato del suo viaggio, narrato 20 anni dopo il suo ritorno. Non sappiamo perché Aphra decise di fare questo azzardato viaggio in Suriname. Nei suoi scritti lasciava credere di aver accompagnato la famiglia, ma poteva anche trattarsi di una finzione per nascondere l'inseguimento di un amante reprobo. Altre donne si erano già avventurate lontano da casa. Attorno al 381 una badessa di nome Egeria compì tre anni di pellegrinaggio dalla Francia in Egitto e in Terra Santa, usando la Bibbia come guida di viaggio. "Niente poteva riportala indietro, neanche la fatica di viaggiare per il mondo, né la piena dei mari e dei fiumi………" scrisse un monaco del 17° secolo, che commentò il "diario" che Egeria scrisse per la sorella. Questi appunti di viaggio sono il primo libro di viaggi mai scritto da una donna. All'epoca in cui Margerie Kempe, la moglie di un mercante di Norfolk e madre di 14 figli, lasciò la famiglia e salpò per Gerusalemme nel 1413 il pellegrinaggio era così ben organizzato che non c'era più bisogno della Bibbia per le direzioni da prendere. Libri dal titolo "Informazioni per i pellegrini" e "Descrizione della Terra Santa", erano comuni e fornivano consigli su dove stare e cosa vedere. Il racconto delle sue pellegrinazioni in "The Book of Mangerie Kempe", è il primo libro di viaggi in inglese a noi noto. Aphra Behn potrebbe non aver conosciuto queste donne pioniere. Gli scritti della badessa Egeria, Il Pellegrinaggio di Santa Silvia di Acquitania in Terra Santa non vennero riscoperti prima del 1884 e Il Libro di Margerie Kempe - fino al 1930. Se la scrittrice del 17° secolo avesse saputo delle altre donne viaggiatrici, avrebbe avvertito qualche connessione o simpatia per loro? Avrebbe visto se stessa come un anello in una lunga, seppur intermittente, catena di donne che si avventurano all'estero? I dettagli della vita di Aphra Behn sono incerti. Sembra aver soggiornato in Sud-America nel 1663-4 con la madre, le sorelle e un parente, che chiamava padre, che era stato nominato luogotenente- generale del Suriname. Questi probabilmente morì in mare, ma le donne della famiglia continuarono a vivere in Suriname per qualche tempo. Nel 1688 Aphra Behn, pubblicò il romanzo Oroonoko, storia di un eroe, potente principe africano schiavizzato. Aphra rivendicava di essere stata testimone oculare della storia. Il romanzo è straordinario non solo per la biografia della sua autrice, ma anche perché la schiavitù era all'epoca inequivocabilmente accettata. Al ritorno in Inghilterra, Aphra sposò Mr. Behn, un mercante londinese, e nel 1667 si recò ad Anversa come spia di Carlo II°. Si ritrovò ad Anversa senza denaro e sul punto di esser messa in carcere quando non riuscì a ripagare i fondi che aveva preso in prestito per ritornare in Inghilterra. Tornò poi a scrivere nella speranza di guadagnarsi da vivere. Fu la principale scrittrice della sua epoca ed è ricordata non solo per il romanzo basato sulla sua vita esotica ma anche per numerose commedie. E' sepolta nell'Abbazia di Westminster. Tratto da www.url.it/donnestoria 15 Lady Mary Pierrpont: lettere dalla Turchia Lady Mary Pierrepont era una bimba vivace. Definì il suo giorno più bello quando, all'età di 8 anni, il padre la iscrisse al prestigioso KIT CAT CLUB, riservato ai maschi. Proibitole dal padre di sposare l'uomo da lei scelto, scappò da casa ed ebbe un matrimonio privato. Il marito, Edward Wortley Montagu, venne eletto ambasciatore presso la corte turca nel 1716. La coppia arrivò in Turchia con il figlioletto nel maggio del 1717. Un ritratto di Lady Mary venne dipinto a Costantinopoli, che fa da sfondo. Lady Mary è ritratta in abbigliamento turco, con il figlio e con due servitori, uno dei quali suona il liuto, mentre l'altro sembra tenere una lettera. Il paese e le sue genti affascinavano la donna. Le lettere di Lady Mary erano ricche di argomenti. Vent' anni dopo tornò in Europa e si stabilì a Venezia per molti anni, lasciando il marito, cosa che scatenò scandalo. Tornò in Inghilterra poco prima di morire. Le sue lettere dalla Turchia si occupavano di tutto, dal vestiario alla vita dell'harem, la musica, i bagni turchi e la sorte delle donne musulmane. Lady Montagu era particolarmente interessata alla vaccinazione dei bambini contro il vaiolo, avendo lei stesa sofferto della malattia che le aveva rovinato l'aspetto. Suo figlio Edward fu il primo inglese ad essere vaccinato. Più tardi anche la figlia Mary, nata in Turchia nel 1718, fu vaccinata e al suo ritorno in Inghilterra, Lady Montague persuase Caroline, la moglie del principe del Galles, successivamente Giorgio II, a vaccinare il figlio. Le lettere di Lady Montagu hanno una storia interessante. Ella ne affidò le copie ad un sacerdote amico. Un giorno due uomini gli fecero visita e chiesero di vederle. Approfittando di un momento di distrazione del sacerdote, i due se ne andarono con le lettere, che furono restituite il giorno dopo con delle scuse. Durante la notte erano state fatte delle copie, il che condusse ad una pubblicazione non autorizzata. La famiglia, che aveva sperato di farle scomparire, rimase gravemente turbata. Tratto da www.url.it/donnestoria Scuola di scrittura creativa Sono aperte le iscrizioni alla SCUOLA DI SCRITTURA DEL GIARDINO DEI CILIEGI CORSO DI SCRITTURA CREATIVA con Monica Sarsini CORSO DI TECNICHE NARRATIVE con Enzo Fileno Carabba da Lunedì 23 Gennaio rispettivamente 17.30-19.30 e 20.30-22.30 SEMINARIO INTENSIVO DI POESIA E RECITAZIONE IN VERSI con Rosaria Lo Russo Sabato 28 e Domenica 29 Gennaio 2006 INFO E ISCRIZIONI: Il Giardino dei Ciliegi - Via dell’Agnolo 5, Firenze cell. 349 0723190 (dopo 15.30) 055 2001063 - email: [email protected] 16 Ada Byron, una passione “matematica” Ada Byron rappresenta una figura storica di riferimento per tutte le donne che si occupano di nuove tecnologie. In bilico tra scienza e poesia. La sua storia significa prendere consapevolezza di quale sia stato il rapporto delle donne con i calcolatori. Fondamentali i suoi contributi allo sviluppo dei concetti basilari del calcolo moderno: il suo visionario progetto è ormai riconosciuto come il primo programma della storia dell’informatica. Ada Augusta Byron, nasce in Inghilterra nel 1815, unica figlia legittima del poeta romantico George Byron. Dopo la nascita di Ada la madre si separò dal marito e, per paura che la figlia potesse manifestare le medesime inclinazioni del poeta, si impegnò a darle un’educazione scientifica. Il destino che le poteva riservare la società del suo tempo l’avrebbe costretta nel ruolo di madre, ricamatrice, gentildonna, ed invece Ada si applicò con passione alla matematica e al calcolo. Giovinetta, dichiarò di aspirare ad una "scienza poetica" e tutto il suo pensiero analitico fu intriso di immaginazione e metafore. Sarà proprio la sua capacità di intuire e vedere più in là dei sui contemporanei a portarla, a metà degli anni’ 30, ad entusiasmarsi per le ricerche di un matematico di Cambridge, Charles Babbage, che lavorava da anni alla progettazione dell’Analytical Engine, un’enorme struttura composta da ben 25 mila parti, precursore dei calcolatori del XX secolo. Babbage, lavorando a questo progetto, presentò gli sviluppi in un seminario a Torino, nell’autunno del 1841. Un italiano, Menabrea, scrisse un riassunto di ciò che Babbage aveva descritto che pubblicò in una relazione, in francese, insieme ad alcune sue valutazioni. Ada, nel 1843, sposata con il conte di Lovelace e madre di tre bambini, tradusse in un articolo in lingua inglese la relazione di Menabrea apportando le sue personali e, al tempo, visionarie considerazioni. Nel suo articolo Ada sviluppò nuove implementazioni alla progettazione dalla macchina analitica di Babbage tra cui la possibilità di calcolare formule algebriche mediante l’uso di schede perforate e un piano di calcolo per i numeri di Bernoulli (ora considerato il primo "programma di Lovelace"). Tra i suoi commenti vi era anche la previsione che una tale macchina potesse essere usata per comporre musica complessa, per produrre grafica e utilizzata sia per usi pratici che scientifici. Dopo aver contribuito agli studi sulla progettazione della macchina analitica la sua vita fu tormentata dalla malattia, ma di lei è rimasto un incredibile epistolario scientifico. Bisogna aspettare la seconda metà del Novecento per vedere riconosciuta l’opera di Ada Bryron. Nel 1979, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha onorato il ricordo di Ada Augusta Byron Lovelace battezzando "ADA" un linguaggio di programmazione per grandi sistemi di calcolo particolarmente innovativo. La forza trasgressiva di questo personaggio sta nel suo appassionarsi allo studio di materie riservate, per il suo tempo, agli uomini e di unire discipline considerate ancora oggi antitetiche: la letteratura e la tecnica. Questa sua operazione di arricchimento della tecnologia con aspetti legati al linguaggio poetico e metaforico è riprova della straordinaria capacità femminile di "tenere insieme", rompere gli schemi imposti, affermare il proprio pensiero e la propria soggettività. Conoscere la sua storia significa prendere consapevolezza di quale sia stato il rapporto delle donne con i calcolatori e scoprire come la realtà che ci viene presentata dimentichi, più o meno volutamente, personaggi che possono intaccare pregiudizi e stravolgere l’idea che oggi abbiamo della tecnologia. E’ una scoperta che porta sconcerto, stimola l’impegno, rendendo il mondo della tecnologia una sfida per noi tutte. Tratto da www.universitadelledonne.it 17 Concorso nazionale di scrittura per le donne Tradizioni e traduzioni Storie di quartiere, di città, di mondi per conoscersi e capirsi fra donne di culture diverse. Premio San Vitale: VII edizione Il Concorso è rivolto alle donne, perché descrivano con poesie, racconti e brevi pièces teatrali, eventi vissuti, ascoltati o immaginati che riguardino i rapporti e le storie fra donne di tradizioni culturali diverse. Il Concorso è diviso in tre sezioni: poesia, teatro, narrativa. Ogni concorrente dovrà presentare un elaborato inedito indicando la sezione a cui desidera partecipare e rispondente ai seguenti criteri: - POESIA – da un minimo di uno a un massimo di dieci testi poetici, che non superino, complessivamente, le 12 cartelle (una cartella 30 righe, una riga max. 60 battute). TEATRO – un testo teatrale di durata non superiore ai 30 minuti (circa 3000 parole). NARRATIVA – un racconto breve di lunghezza massima di 12 cartelle (una cartella 30 righe, una riga 60 battute). Ciascun testo, indipendentemente dalla sezione, potrà: - essere scritto in italiano, in dialetto, o in altre lingue, ma accompagnato dalla traduzione in italiano. La traduzione, che deve essere firmata da una donna, concorrerà automaticamente al relativo premio speciale; - il testo dovrà essere presentato sia su carta (non manoscritto) in 3 copie, sia su floppydisc o cd; - pervenire entro le ore 12 del 31 marzo 2006 in busta chiusa recante all’esterno la dicitura: Partecipazione al Concorso di Scrittura “TRADIZIONI E TRADUZIONI” e all’interno un foglio con nome, cognome indirizzo e-mail e recapito telefonico della concorrente (dati che verranno trattati secondo la legge sulla privacy), a: U.R.P. Quartiere San Vitale, vicolo Bolognetti 2, 40125 Bologna. La Giuria, composta da cinque esperte, impegnate nella ricerca letteraria, teatrale e sociale con particolare riguardo ai temi femminili, il 29 aprile 2006 premierà con una targa ricordo i 3 testi vincitori, e nominerà i 20 da pubblicare in un volume che verrà presentato e messo a disposizione nelle biblioteche dei capoluoghi delle province italiane. I testi vincitori verranno presentati o rappresentati dal “Gruppo di Lettura San Vitale” in Letture e Spettacoli con accompagnamento musicale, in manifestazioni pubbliche promosse dalla Provincia o da altri enti su tutto il territorio nazionale. Il concorso è promosso da: Regione Emila-Romagna - Provincia di Bologna - Comune di Bologna , Cultura e Rapporti con l’Università / Scuola, Formazione e Politiche delle Differenze - Gruppo di Lettura Quartiere San Vitale In collaborazione con: ORLANDO – Associazione di Donne Tavola delle Donne Contro la Violenza Per info: 051 346015/ 339 2048416 – www.gruppodiletturasanvitale.it 18 ITALIA: Maschile, femminile e… scrittura creativa La Biblioteca del Comune di Sommacampagna, Verona, organizza un laboratorio per chi ama cimentarsi nell’arte dello scrivere condotto dalla giornalista Maria Marullo che dal ’97 si occupa quasi esclusivamente di scrittura creativa. Il titolo del laboratorio è “Il tema degli opposti. Il dualismo. La notte e il giorno, il sole e la luna, l’Oriente e l’Occidente, il cuore e la ragione”. E, infine, il maschile e il femminile che è in ognuno di noi”. Il laboratorio è aperto a tutti. Sarà possibile apprendere alcune regole di base della scrittura creativa, attraverso stimoli e arricchimenti per continuare a coltivare il piacere del leggere e dello scrivere, entrambi fonti di nutrimento personale e culturale. Il laboratorio accennerà ad aspetti teorici per dar maggior spazio alla pratica e permetterà di entrare in contatto con la propria voce interiore, lasciando scoprire la valenza della scrittura come mezzo espressivo. Il Femminile nella Storia dell’Occidente Prosegue l'iniziativa “Il Femminile nella Storia dell’Occidente”, ciclo quattro incontri e uno spettacolo teatrale su origine e sviluppo del pensiero femminile, organizzati dal Centro documentazione donna presso la propria sede in via Canaletto 88 a Modena. Sabato 28 gennaio 2006 si è svolta la conferenza dal titolo: Maria signora delle genti – Il Femminile che salva. Relatrice Nadia Lucchesi, scrittrice e filosofa e autrice del libro "Frutto del ventre, frutto della mente. Maria Madre del cristianesimo" Tufani editore Introduce Alessandra De Perini, esperta di Storia delle donne, dell'Associazione "Le Vicine di casa" di Mestre Il secondo appuntamento: DALLE AMAZZONI ALLE STREGHE- IL DISAGIO FEMMINILE E LE RISPOSTE ISTITUZIONALI DEL PREDOMINIO POLITICO MASCHILE si terrà il giorno 4 febbraio 2006 alle ore 17.30 sempre presso la sede del Centro documentazione donna in via Canaletto 88 a Moden L’iniziativa “Il femminile nella storia dell’Occidente” è stata realizzata in collaborazione con Rossana Roberti e Milena Nicolini del Gruppo Poesia Casa delle Donne di Modena. Per informazioni: Segreteria organizzativa Centro documentazione donna Via Canaletto 88 41100 Modena info: tel 059 – 451036; fax 059 – 451612; e-mail [email protected] Presentazione del libro Vedove in Africa In collaborazione con il Ministero per i beni e le attività culturali, la Comunità cristiana di base di Oregina di Genova, ha presentato il libro “Vedove in Africa: libertà a carissimo prezzo” frutto di una lunga ricerca di Femmis. Sono intervenute Fiorella Capasso, presidente della Comunità Laici Missionari Cattolici, Peppino Coscione, coordinatore della Comunità di base e con letture di Piera Filippine. L’incontro si è svolto nella sala III della Biblioteca dell’Università di Genova. 19 LO SCAFFALE Federica Sossi Storie migranti. Viaggio tra i nuovi confini DeriveApprodi, 2005 € 11,50 - pp.163 Storie migranti è un libro di racconti, ma è soprattutto un percorso che l'autrice ci invita a fare cercando alcune delle trame più significative del nostro presente, solitamente nascoste e non ascoltate. Un viaggio, da est a sud, che inizia a Belgrado, tra le esistenze precarie dei tanti rifugiati che la abitano, e si conclude in Sicilia. Lampedusa, l'isola degli arrivi; Vittoria, il lavoro nelle serre tra ritmi infernali; Agrigento e altre città dei richiedenti asilo; Portopalo e il più grande naufragio del Mediterraneo dalla fine della Seconda guerra mondiale; l'eco della Libia e dei suoi campi di detenzione nelle voci di chi è arrivato in Italia. Alla fine di ogni racconto, una nota informativa rinvia al contesto in cui esso si inserisce: le guerre dell'ex Jugoslavia, le normative sull'immigrazione, le leggi sui richiedenti asilo, le deportazioni. La storia delle migrazioni è storia di soggetti in movimento, i quali, per così dire, fanno migrare o rendono migrante la storia. È dunque una pluralità composita e irriducibile a unità di tante storie migranti, portate da donne e uomini diversi. E quando la storia diventa plurale, la descrizione "una narrazione che si serve di immagini, inseguendo l'impossibile compito di ridonarcela" è anche uno dei modi più densi per riflettere su di essa. Federica Sossi insegna Estetica all'Università di Bergamo. Tra i suoi libri: Nel crepaccio del tempo. Testimoniare la Shoah e Autobiografie negate. Immigrati nei Lager del presente, resoconto delle interviste svolte all'interno dei Centri di detenzione. 20 Diotima La magica forza del negativo Liguori, 2005 € 13,50 - pp.201 Ciò che si propone il libro è questo: dalla tendenza ad ignorare o a colmare o ad esorcizzare il negativo, passare invece a pensare il lavoro che il negativo riesce a fare, come sciogliere legami non liberi, sgombrare la mente da costruzioni inutili, alleggerire la volontà da fardelli insensati. Ci ha orientato una domanda: come possiamo impedire che il negativo che c’è nelle nostre vite “vada a male”, si traduca cioè in qualcosa di irrimediabilmente deteriore? Questa domanda viene declinata nel testo in modi diversi. Quando il negativo si lascia introdurre nel discorso, vuol dire che, poco o tanto, è uscito dalla sua assoluta negatività e non pretende di trionfare da solo. Allora, ha smesso di distruggere e sta al gioco del simbolico, fra presenza e assenza. Diotima E’ una comunità filosofica femminile, nata presso l’Università di Verona nel 1984: le donne che ne fanno parte, alcune interne altre esterne alle istituzioni accademiche, sono accomunate dall’amore per la filosofia e dalla fedeltà a se stesse. Diotima ha già pubblicato, presso la Tartaruga di Milano, Il pensiero della differenza sessuale (1987), Mettere al mondo il mondo (1990), Il cielo stellato dentro di noi (1992) e, presso Liguori, Oltre l’uguaglianza. Le radici femminili dell’autorità (1995), La sapienza di partire da sé (1996), Il profumo della maestra (1999). 21 Madri sole: sfide politiche e genitorialità alla prova Franca Bimbi (a cura di) prefazione di Savino Pezzotta, presentazione di Annamaria Parente Edizioni Lavoro 2005 Le donne sole con figli costituiscono oggi un nuovo gruppo sociale, particolarmente esposto ai processi di impoverimento e al limite della marginalizzazione. Questo è quanto è emerso da un'indagine che ha spinto - circa due anni fa - il Coordinamento nazionale donne della Cisl a occuparsi delle madri sole. La percezione delle donne impegnate nel sindacato unita alla riflessione su queste tematiche di esperti ed esperte hanno dato luogo a una serie di iniziative nel corso delle quali sono state affrontate diverse tematiche, strettamente legate ai problemi della madri sole: povertà, lavoro di cura, sostegno alle madri lavoratrici, scarsità di servizi alla persona, rigidità del mercato del lavoro, politiche fiscali inadeguate, ruolo delle famiglie di origine, sistema di welfare. Il volume, che riporta e illustra i risultati della ricerca, delinea - anche attraverso interviste dirette - i problemi che una madre sola si trova oggi a dover affrontare e costituisce una valida base per elaborare possibili risposte. Il volume raccoglie contributi di Linda Laura Sabbadini, Simonetta Simoni, Antonella Spanò, Rossana Trifiletti, Alessandro Pratesi, Francesca Zajczyk. . l 22 35mmNEWS SENZA DESTINO Di Lajos Koltai Una storia scritta dal premio Nobel 2002, l’ungherese Imre Kertèz, e portata al cinema da un premio Oscar più volte mancato, Lajos Koltai. Le musiche sono di Ennio Morricone, altro grande del cinema finora ancora escluso dalle statuette dell’Academy. Il manifesto è firmato da Oliviero Toscani, il maestro delle campagne pubblicitarie provocatorie. Il film, poi, è uscito nelle sale con Medusa in un venerdì molto speciale. Ci sono tutte le premesse per andare Senza destino, il primo film da regista di Koltai, direttore della fotografia di grandi pellicole, da Mephisto di Istvan Szabo a La Leggenda del pianista sull’oceano di Giuseppe Tornatore, tratto dal romanzo "Essere senza destino" (Feltrinelli). Nel manifesto di Toscani il volto emaciato di un ragazzino è semi-coperto, imprigionato e quasi marchiato da una grande svastica nera. Il ragazzino è l’attore Marcell Nagy che interpreta Gyuri Koves, un giovane ebreo ungherese che nelle prime scene del film assiste da spettatore incredulo e impotente alla partenza del padre verso l’Arbeitsdienst, il campo di lavoro forzato. Alla domanda, perché agli ebrei venga riservato un simile trattamento, Gyuri rifiuta la risposta religiosa dei suoi anziani vicini di casa, "questo è il volere di Dio". Perché tutto questo dovrebbe avere un "senso"? Poco dopo anche lui sarà strappato via dalla famiglia e dagli affetti, trascinato da Budapest ad Auschwitz e poi a Buchenwald. Quella del piccolo Gyuri è la storia vera di Imre Kertèz, deportato nei campi di sterminio nemmeno quindicenne. Pubblicato in Ungheria nel 1975, il romanzo è stato concepito e scritto in dieci lunghi anni. Fedele nell’impianto narrativo, il film, la più grande produzione ungherese di tutti i tempi realizzata in coproduzione con altri paesi europei, come tanti altri racconti sulla Shoah ripercorre il veloce e umiliante processo di disumanizzazione cui sono stati costretti gli ebrei deportati, dal viaggio stipati nei treni come bestiame al lavoro massacrante nei campi, fino alla solidarietà ma spesso anche alla lotta tra poveri per un preziosissimo pezzo di pane. Lo sguardo è quello curioso di Gyuri, un ragazzino vitale e ottimista, che riesce a trovare anche nell’orrore dei campi di concentramento qualcosa, pochissimo, di buono. Tanto che, una volta libero e di ritorno a casa nell’indifferenza e nella superficialità generale della gente, riesce a dire, citando letteralmente il romanzo di Kertèz, che "persino là, accanto ai camini, nell'intervallo tra i tormenti c'era qualcosa che assomigliava alla felicità. Tutti mi chiedono sempre dei mali, degli 'orrori': sebbene per me, forse, proprio questa sia l'esperienza più memorabile. Sì, è di questo, della felicità dei campi di concentramento che dovrei parlare loro, la prossima volta che me lo chiederanno". Recensione di Paolo Menzione 23 LA BACHECA La giornata mondiale dell’acqua Il 22 Marzo si festeggia non solo la Giornata Mondiale dell'Acqua, proclamata dall'Assemblea delle Nazioni Unite nel lontano 1993, ma soprattutto il coronamento del progetto “L'acqua è preziosa, risparmiala", realizzato da Istituto Oikos e finanziato con 400.000 euro da Fondazione Cariplo e Provincia di Varese. Secondo i dati diffusi dal Presidente di Istituto Oikos Rossella Rossi, oltre 800.000 cittadini di 141 comuni della provincia di Varese sono stati sensibilizzati sul tema del risparmio idrico attraverso un'efficace campagna pubblicitaria, curata dall’agenzia di Oreste Borri, e il coinvolgimento degli enti territoriali. I veri protagonisti sono gli oltre 10.000 studenti di scuole elementari e medie che hanno aderito al progetto. Il 22 marzo presenteranno le loro campagne presso le postazioni allestite da Istituto Oikos nelle piazze di Varese, Busto Arsizio e Gallarate, e inviteranno gli adulti ad assumere comportamenti più responsabili nei confronti dell'acqua. I lavori più belli saranno premiati con dei computer. Si segnalano eventi minori negli altri comuni coinvolti. Il sito ufficiale del progetto è www.acquapreziosa.va.it Istituto Oikos è una ONG di cooperazione internazionale che opera dal 1996 in Europa e Africa per favorire la conservazione e la gestione sostenibile delle risorse naturali come strumento di sviluppo sotenibile. www.istituto-oikos.org Nasce la BANCA DEL CIOCCOLATO Una banca per il sorriso e per la serenità. Addirittura, nel caso in cui ci si riuscisse, per il buonumore. Da portare soprattutto tra i più indifesi per antonomasia: i bambini, ma anche gli anziani negli ospizi, i disabili e i poveri. E' tanto scarna quanto nobile a livello sociale la finalità della 'Banca del Cioccolato', progetto che ha visto la luce ufficialmente il 21 gennaio a Rimini, nell'ambito del 'Sigep', il Salone internazionale della pasticceria, gelateria e della panificazione artigianali. Con l'aiuto di numerosi supporter, tifosi da sempre del cioccolato, e di aziende di prim'ordine. Il promotore principale dell'iniziativa si chiama Davide Ferrero (nessun legame con l'omonima industria dolciaria), presidente di 'Chococlub', associazione degli amanti del cioccolato, con base a Cuneo, attiva dal 1998 e supportata ad oggi da oltre 12 mila soci di tutte le regioni italiane. ''Noi amiamo il cioccolato e il nostro umore migliora sensibilmente ogni volta che mangiamo un buon cioccolatino. Preso atto di questo abbiamo avuto l'idea di portare questo sorriso anche a chi finora non conosce le gioie del 'Cibo degli dei', o a chi magari, per le ragioni più disparate, non ha mai pensato di gustarlo''. Del resto, spiega, c'e' una base scientifica. ''Non a caso il cioccolato contiene feniletilamina, con marcate capacità antidepressive, e teobromina, derivante dal nome latino dell'albero del cacao, in grado di facilitare la produzione di endorfine, le quali diminuiscono la sensibilità al dolore, stimolando allo stesso tempo una sensazione di benessere, quasi di euforia. Noi - spiega ancora Ferrero apprezziamo ormai da tempo il cioccolato, sia sotto il profilo culturale che goliardico. Ci da' serenità, e dispiace che questa stessa sensazione non possa essere portata anche ad altri, magari più bisognosi di noi''. Una soluzione, viene specificato, e' venuta dalla presa d'atto della forte eccedenza presente in questo settore, soprattutto da parte dei piccoli produttori artigianali, o anche dagli errori delle imprese piu' grandi, ad esempio nel packaging. Quantità di prodotto che, sommate, danno vita a una scorta significativa, che può essere distribuita ai più bisognosi; attività che finora - sottolineano gli addetti ai lavori - e' stata fatta il più delle volte nell'ombra. Le strade che prenderanno le scorte di cioccolato, anche se in questa prima fase, sono state già individuate. Ad esempio l'Ospedale pediatrico di Cuneo (consegnato a 24 medici interni che provvederanno a distribuirlo ai bimbi, soprattutto tra quelli in uscita), o anche presso 'La piccola casa della divina provvidenza', meglio conosciuta come 'Cottolengo', ad Alba, sempre in provincia di Cuneo. Ma non solo: ad esempio, informano altri associati all'iniziativa, molti pasticcieri liguri si stanno organizzando per far confluire i prodotti all'Ospedale Gaslini di Genova. Chococlub sarà accompagnato in questa avventura da Rimini Fiera, insieme al comune di Diano d'Alba (in provincia di Cuneo, che ha avuto il merito per primo di mettere a disposizione un locale per lo stoccaggio delle merci), e la Hymer, che ha contribuito con un camper per la promozione dell'iniziativa. Ad accompagnarli anche produttori di prima fila come ad esempio la Icam di Lecco, o la svizzera Lindt, disponibili a fornire prodotti, anche non eccedenti; ma anche una ventina di agguerriti artigiani, attivi soprattutto in Liguria, Piemonte, Valle d'Aosta e Lombardia, in attesa di trovare anche imprenditori generosi in altre regioni dello Stivale. E i cioccolatieri della Confartigianato, promette il loro presidente Silvio Bessone, non faranno mancare il loro sostegno. ''Noi - spiega - non siamo nuovi ad iniziative di impegno sociale. E anche in questa occasione il cioccolato, amato da sempre, da tutti e in ogni parte del mondo, si trasformera' in un prezioso alimento della solidarietà. Sarà un'opportunità in più - sottolinea - per dare un valore speciale alla qualità dei nostri prodotti''. Da www.ansa.it La maestra di sci più anziana di Italia: 86 anni A ottantasei anni ha ancora la voglia e la forza di alzarsi all'alba, vestirsi pesante e raggiungere le piste per insegnare ai più piccoli a sciare. Una passione nata da giovanissima e sempre viva in Dorina Gaspard, classe 1919, originaria di Valtournenche e ormai da anni residente a Milano con la famiglia, riconosciuta da tutti come la maestra di sci "più anziana di Italia". "Per il momento non ho nessuna intenzione di ritirarmi - spiega l' arzilla maestra - anche perché la pensione non me la danno e quindi non ne vale la pena". A febbraio salirà a Cervinia per fare alcune ore di lezioni, "ma solo ai miei clienti affezionati - spiega - che mi chiedono di insegnare ai figli i rudimenti dello sci". Dorina Gaspard è diventata maestra di sci nel 1933 e ha avuto come insegnante Leo Gasperl, ovvero il principale animatore dello sci ai piedi della Grande Becca dagli anni '40 in poi. ''Grazie a Gasperl e ad altri personaggi di quell' epoca - continua Dorina Gaspard ho potuto imparare questa professione che mi ha dato grandi soddisfazioni. Sia dal punto di vista professionale, sia da quello sentimentale, dato che nel 1948 al Plateau Rosà ho conosciuto mio marito. E per tutti questi anni sono sempre rimasta fedele a Cervinia, a parte qualche viaggio con i clienti nelle altre grandi stazioni sciistiche europee come Saint Moritz". Gli inizi della carriera sono stati i più difficili, ma anche i più belli. "Avevamo una grande passione per lo sci - osserva la maestra - ma facevamo una vita terribile. Non c' erano auto o corriere, si partiva la mattina a piedi da Valtournenche per salire fino al Breuil, e alla sera si scendeva con gli sci lungo la strada. Per scaldarmi, mi fermavo a casa di mia sorella a metà percorso per fare un bagno bollente". "Erano anni speciali - aggiunge - e, anche se c' erano meno clienti, l' ambiente era cordiale, si andava tutti d' accordo". Fin dall' inizio della carriera Dorina Gaspard si è 'specializzata' nei bambini, "ma - sottolinea con un punta di orgoglio - ho sempre fatto tutto, dalle discese sul Plateau Rosà fino al fuoripista". A quattro generazioni di una famiglia di Milano (i Missaglia, che gestiscono un noto negozio di argento, cristalli e porcellane in centro) ha fatto calzare sci e scarponi: all' ultima erede, di quattro anni, l' 'iniziazione' allo sci è avvenuta solo pochi mesi fa. Poi ha insegnato le tecniche della discesa a tanti vip, come Gina Lollobrigida, il Principe Umberto, il Conte Rossi, mentre con l'attore Carlo Pedersoli (in arte Bud Spender) è stato necessario un lungo stage nel campetto per fargli apprendere i trucchi dello sci. "E' un lavoro che mi è sempre piaciuto - prosegue Dorina Gaspard - e che ho svolto con passione e professionalità, senza mai rubare i soldi ai clienti. Per questo arrivavo agli appuntamenti con un anticipo di 15 minuti, ovvero il tempo di raggiungere le piste con gli 25 impianti". "Negli anni '60 - ricorda ancora - avevamo tanti clienti, c' era un altro ambiente, adesso i clienti 'buoni' sono stati persi, c' è più turismo di massa, ma va bene così". Da agosto Dorina Gaspard non fa più parte della scuola di sci del Cervino (che in estate l' ha premiata e festeggiata per i 64 anni di attività): "Mi sono sentita trattata male da colleghi più giovani - spiega - e mi è dispiaciuto molto lasciare la scuola. Ora sono una maestra 'autonoma', lavoro solo con i miei clienti di fiducia". Per lei è arrivato il momento di tirare fuori gli sci dalla cantina e di cominciare la sciolinatura: "Adesso non vedo l' ora di tornare sulle piste - conclude - e di fare una bella discesa, magari fino a Zermatt. Lo sa, lassù è bellissimo...". Stop alla caccia alle balene Smettere immediatamente di cacciare le balene. E' la richiesta che e' stata consegnata ai ministri degli Esteri e della Pesca del Giappone da Italia, Argentina, Australia, Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Lussemburgo, Messico, Nuova Zelanda, Portogallo, Spagna e Svezia. La protesta formale dei 17 Paesi riguarda l'aumento sconsiderato delle balene cacciate dal Giappone che ne caccia piu' ora che nei 31 anni precedenti la moratoria, in vigore dal 1986. I governi fanno notare anche come il Giappone non abbia rispettato gli inviti a non aumentare il numero di balene cacciate rivoltogli dalla Commissione Baleniera Internazionale. ''E' importante che dopo le nostre azioni numerosi governi chiedano al Giappone di fermare la caccia illegale alle balene nel Santuario dell'Oceano meridionale. Questa e' solo la punta dell'iceberg della distruzione di un ecosistema. Un respiro su due che facciamo lo dobbiamo agli oceani che danno al pianeta meta' dell'ossigeno'' afferma Donatella Massai, direttore generale di Greenpeace. Con il lungo viaggio della nave di Greenpeace, ''Esperanza'', che durera' 14 mesi e tocchera' i mari dei 5 continenti, l'associazione chiede l'istituzione di una rete di aree marine protette con una superficie pari al 40% degli Oceani. Il costo sarebbe di 12 miliardi di dollari l'anno, piu' o meno quanto si spende in profumi in Europa e Stati Uniti nello stesso periodo. Le navi di Greenpeace, ''Esperanza'' (con a bordo l'attivista italiana Caterina Nitto) e ''Arctic Sunrise'' continuano in queste ore ad opporsi alle baleniere giapponesi nelle acque del Mar Antartico. Premio impresa ambiente Si è conclusa a dicembre la valutazione delle 88 candidature pervenute ad AeT-Ambiente e Territorio, che ha curato la segreteria organizzativa del Premio Impresa Ambiente, promosso dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, Ministero delle Attività Produttive, Unioncamere e Camera di Commercio di Roma, e nato con l'obiettivo di valorizzare l'impegno e promuovere le realtà italiane, private e pubbliche, che abbiano contribuito concretamente a migliorare il rapporto con il loro contesto fisico e sociale ottenendone un vantaggio anche imprenditoriale. La Giuria, composta da autorevoli esperti del settore ed esponenti del sistema produttivo e della ricerca, dopo un'attenta valutazione dei progetti presentati, ha selezionato i vincitori di questa prima edizione. Per la categoria Migliore Gestione, si aggiudica il premio la Sotral spa, di Torino, selezionata dalla giuria per la capacità di evolversi da società di trasporto in un gruppo di organizzazione della logistica connessa alla grande ristorazione, con spiccata propensione verso lo sviluppo sostenibile delle proprie attività. In questa categoria una menzione speciale è andata anche a Rime 1 srl di Roma, che ha saputo, seguendo un preciso percorso di qualificazione e certificazione ambientale, trasformarsi in pochi anni in uno dei principali centri di riciclaggio dei rifiuti edili, con una riduzione fino al 90% dei conferimenti in discarica, e Asja Ambiente Italia spa di Rivoli 26 (TO), candidata per il sistema di gestione integrato qualità/ambiente nella produzione di energia elettrica esclusivamente da fonti rinnovabili. Vincitrice per la categoria Miglior Prodotto è l'azienda Ecotoys srl di Cermenate (CO), produttrice di giocattoli completamente biodegradabili, realizzati utilizzando un nuovo materiale a base di amido di mais e coloranti di tipo alimentare. Premiata anche la scelta dell'azienda di destinare un'aliquota del ricavato delle vendite ad una Associazione che opera a tutela dell'ambiente. Nella stessa categoria una menzione speciale, per il buon livello di innovazione tecnicocommerciale e la forte possibilità di sviluppo, è andata a General Beverage srl di Pontremoli (MS), ideatrice di un sistema di distribuzione a consumo libero di bevande - da utilizzarsi in grandi mense aziendali, scolastiche, universitarie e sanitarie - capace di garantire un significativo abbattimento della produzione dei rifiuti, in particolare degli imballaggi. Tratto da www.vita.it Legge per i disabili “Il provvedimento approvato ieri sera (17 gennaio) e' di grande rilievo sociale ed assicura ai disabili nuove difese contro ogni tipo di discriminazione". Così il ministro per le Pari Opportunità, Stefania Prestigiacomo, ha commentato l'approvazione in via definitiva della Commissione Giustizia del Senato in sede legislativa del disegno di legge governativo sulle "Misure di tutela giudiziaria per i disabili vittime di discriminazioni" presentato proprio dalla Prestigiacomo. "La legge - ha spiegato il ministro - si inserisce nel percorso avviato in questi anni con altri provvedimenti e che punta a creare una efficace rete di tutele per i soggetti svantaggiati della società. La nuova normativa garantisce alle persone disabili la piena parità di trattamento in ogni settore della vita sociale, garantendo a coloro che vengono discriminati, per motivi di handicap, quella particolare tutela finora prerogativa solo di chi e' stato discriminato, per gli stessi motivi, nel mondo del lavoro. La procedura ha proseguito - che sarà possibile attuare in casi di discriminazione e' celere e snella. Infatti, accanto alle forme di tutela ordinarie i disabili o le associazioni legittimate ad agire potranno attivare la procedura prevista all'articolo 44 del Testo Unico sull'immigrazione e, beneficiando degli effetti della cosiddetta 'prova presuntiva'. Sarà così possibile ottenere, con una decisione della magistratura, il risarcimento del danno anche non patrimoniale e la eliminazione degli effetti della discriminazione". QUANTESTORIE, festival del libro per bambini Sta per partire la seconda edizione di QUANTESTORIE, festival del libro per bambini e ragazzi da 0 a 13 anni. Quest'anno si terrà dal 6 al 12 marzo in due diverse sedi: a Milano e Sesto San Giovanni dove avranno luogo, all'interno della cornice del festival, la mostra del “Giornalino della Domenica” di VAMBA e un'installazione di “Libri d'arte per bambini provenienti dai musei di tutto il mondo”. L'organizzazione è a cura di Associazione culturale Nautilus. Proseguirà la collaborazione con AMREF a proposito di un progetto nato lo scorso anno: nella prima edizione del festival era stato pubblicato un libretto dal prezzo di 1 euro, ‘Tu leggi?', per la raccolta di fondi destinati alla costruzione di un'aula in Kenya. Un modo per stabilire un legame ideale tra i bimbi del nostro paese e quelli africani. Ebbene il progetto è andato oltre le aspettative e - grazie al finanziamento di Quantestorie - oltre all'aula si sta proseguendo con la costruzione dell'intera scuola. Quest'anno quindi sarà proposto al pubblico un secondo libro, con l'intento di portare a termine i lavori. Quantestorie è un vero e proprio festival letterario pensato per i più piccoli, con un fitto programma di eventi e incontri con autori e illustratori, e diverse iniziative culturali di cui trovi anticipazione di seguito. Ogni appuntamento è a ingresso libero e gratuito per tutta la settimana. Tutto il programma sarà presto online nel sito: www.quantestorie.org 27 Partitura: Simone Weil Questo scritto è un estratto della relazione tenuta dal Prof. Ivo Zizzola in occasione di un convegno di studio organizzato dalle Acli di Bergamo il 1 Aprile 2005. Ho sempre ritenuto un incontro che, a suo tempo, ebbi con una giovane Simone Weil un incontro importante per la formazione di sé, come donne e come uomini, ma anche come persone di fede. Simone Weil è stata una donna molto particolare del ‘900, radicatissima nel suo tempo e con una incredibile percezione dell’eterno nel tempo e di come questo incontro, tra tempo storico ed eterno, si dovesse giocare nelle scelte delle persone. Dunque, una donna molto radicata nel suo tempo e comunque capace di suscitare un intenso interesse nei giovani di oggi. Simone Weil è morta nel ‘43 e le mie studentesse che la studiano oggi, la incontrano come una delle presenze più forti, interessanti e più inquietanti e - cosa che mi sorprende molto - assai più vicina di tante figure più recenti e contemporanee. E’ riuscita a segnare il tempo portando dentro una capacità di ascolto dell’assoluto che entra nel tempo in un modo tutto particolare e questo è proprio di grandi anime. Questo però ci impedisce di presentare il suo pensiero, perché non è possibile fare ciò se non parlando della sua vita. Tra l’altro, il pensiero di Simone Weil spesso si contraddice nell’arco della sua intensa breve vita; essa non ha sostenuto stesse cose in tempi diversi: è stata radicalmente pacifista, ma sotto la pressione della forza del nazismo ha criticato il suo pacifismo, senza negare il suo grande desiderio di pace. E’ stata militante nelle formazioni sindacali dell’estrema sinistra francese, ma dopo un viaggio in Germania e dopo una conoscenza ravvicinata del regime comunista sovietico, si è allontanata ed ha pesantemente criticato la condotta dei partiti comunisti occidentali e l’esperienza comunista del socialismo realizzato, arrivando a cogliere alcuni punti critici profondi nello stesso marxismo, sostenendo che l’alienazione a cui porta il regime di fabbrica non è legata alla proprietà dei mezzi di produzione, ma è legata proprio al sistema fabbrica, al tipo di umanità che il sistema della fabbrica fordista degli anni ‘30 imponeva: un sistema profondamente disumanizzante, che impedisce di pensare. Un modo di lavorare che ti porta via 10-12 ore al giorno, durante le quali tu non devi pensare, non devi avere relazioni con altri. Simone Weil dice che questo sistema, Marx non è stato capace di elaborarlo e ha spostato il problema sulla proprietà, ma pur cambiando la proprietà, questa contraddizione resta. Come fare a umanizzare una relazione tra gli uomini che diventa una relazione tra macchine, che diventa pura relazione di utilità, di efficienza e necessità soltanto e non più libertà? Questo è un problema antropologico profondo, bisogna inventare un lavoro diverso da un lato e, dall’altro, bisogna essere capaci di costruire relazioni tra le donne e gli uomini che sappiano tenere dentro la sofferenza della fatica e della prova, per farne una occasione di contatto con l’assoluto, di liberazione, da una vita che sia concentrata soltanto sul tempo presente. 28 E’ questo un richiamo ad inserire una dimensione spirituale, ad accettare la grazia dentro la necessità, non però per sfuggirle, ma per viverla come il luogo della redenzione attraverso la fatica, la prova, l’oppressione. Certo, l’ideologia marxista ha messo in evidenza una delle categorie più importanti che anticipava per certi versi la riflessione di alienazione che noi troviamo nella Centesimus Annus di Giovanni Paolo II°: questo Papa tanto critico verso i regimi comunisti, non ha problemi a recuperare la categoria del giovane Marx come categoria che ci aiuta ad analizzare cosa succede nell’umano dentro questo modo di lavorare, di fare l’esperienza centrale per l’uomo - del lavoro, l’esperienza della trasformazione e della coordinazione del mondo perché esso sia abitabile per tutti in modo giusto. (…) Muore nel ‘43, lei che era nata nel 1909, attraversando tutto il secolo, scrivendo molto più di quanto hanno scritto longevi filosofi e scrittori del ‘900, senza pause almeno due ore al giorno: per lei è un obbligo per l’anima, il suo nutrimento, serve a mettere a punto i pensieri, a partecipare alle vicende del mondo. Da giovane laureata, ospiterà nella sua casa Lev Trockij per tre giorni e due notti e discuterà continuamente con lui, lo contesterà punto per punto sul progetto che stava cercando di realizzare, ma anche sulla sua posizione critica rispetto a Lenin e poi a Stalin. Trockij la contesterà per il suo disaccordo su tutto, chiedendole se, per caso, non facesse parte dell’esercito della salvezza, troncando così ogni rapporto. Simon Weil piano piano riprenderà a pensare attorno al tema dell’oppressione sociale e della libertà, in modo molto attento e radicale; lascerà la partecipazione politica diretta, ma la passione per la politica si manterrà sempre, rifletterà sul perché delle crisi delle democrazie europee, sul motivo per cui i totalitarismi che ospitano il razzismo sono nati nel cuore delle democrazie in Europa e sul come ciò sia stato possibile, da quale esercizio di libertà, da quale bisogno di totalità sono nati - da dentro le democrazie - i totalitarismi nazista, fascista e franchista, tutti col segno del razzismo, dell’annientamento totale di una parte. Tutto questo non rende certo meno intollerabile il totalitarismo stalinista, però segna una differenza di cultura, sono due deliri diversi, bisogna comunque ricordare che uno è nato dalla democrazia, dal cuore della politica liberale e democratica e fa tener conto delle responsabilità delle religioni e gliela assegna, non solo per non avere promosso una responsabilità che facesse da barriera, ma addirittura per avere cooperato a creare una visione di perfezione nel tempo troppo piena, che ha potuto essere secolarizzata nel desiderio della purezza totale nel tempo. Guai, se non si salvaguarda lo scarto tra tempo ed eterno, se quella di Dio non è radicalmente una attesa, ma è un possesso: le religioni nel possesso di Dio appoggiano il totalitarismo, negano quel necessario dramma che è dell’esperienza della fede, che è quella della distanza da Dio, che si riesce a sopportare quando si coglie di essere amato e si soffre quando si risponde a questa iniziativa. In un testo di Simone Weil “Attesa di Dio” c’è una riflessione struggente sul Padre Nostro e poi un altro libro di frammenti “L’ombra e la grazia” in cui si coglie la dimensione della grazia che si dà dentro l’ombra: non puoi pensare di uscire dall’ombra della tua vita e di lì, da solo, conquistare la grazia. No, è la grazia che viene a trovarti, lì dove sei. Simone Weil vive negli anni del personalismo, dell’esistenzialismo, con Sartre da una parte e con Mounier, filosofo cattolico e il suo personalismo religioso dall’altra; eppure in questi anni essa prende una distanza netta da questi pensieri, anche quelli positivi sulle persone e dice che in ogni essere umano c’è qualcosa di sacro, ma non è la persona, neppure la persona umana, è Lui, nella sua singolarità, semplicemente, in questo corpo che ha una storia, anni di vita. Purtroppo, contro l’oppressione non c’è una via di mezzo, non c’è zona grigia possibile: o per la pace o per la guerra, o per la giustizia o per l’ingiustizia, o per il rispetto o contro il rispetto, o nell’aridità o in attesa dell’assoluto. I gesti allora diventano gesti che portano sempre una traccia simbolica: Simone Weil elaborerà una riflessione sull’azione; nel ‘900 l’azione è di tipo politico, l’azione che trasforma, l’azione rivoluzionaria; l’Action francaise, movimento politico di destra è il mito dell’azione nei totalitarismi, nelle ideologie così come è il mito dell’azione a ritrovarsi nel capitalismo fordista. Simone Weil dice che è l’azione che non cerca il fine ad esprimere l’uomo, l’azione che si sospende, l’azione non agente, l’azione che si fa cura e indicazione di una traccia, ospitalità di una chiamata alla verità e all’assoluto. Un’azione che non cerca l’efficacia, se non nel suo rivelare cosa di umano si sta giocando qui, in questo momento. E cosa si sta 29 giocando di umano oggi, sul fronte della guerra? L’eccezionalità di Simone Weil è in questa sua capacità (e solo di altre donne del ‘900 e rarissima negli uomini) di essere all’interno dei grandi conflitti e delle contraddizioni del loro secolo, con la loro presenza, esposte alla sofferenza. Il loro pensiero non ha provato a fare ordine nel mondo, astraendosi, ma è stato un pensiero recettivo, come forse una sorta di ciotola che provasse a tenere dentro la vita, soprattutto quando la vita era la vita dei vinti, di chi soffriva, in una ricerca dei luoghi dove la vita era più difficile, provata, contraddetta e schiacciata. Lì, dove devi andare a cercare cosa resta dell’umano, della storia possibile, il tuo pensiero è forzato a farsi sguardo e forma di salvaguardia: in francese sguardo si dice “regard”, che significa anche riguardo, cura, accoglienza, capacità di preservare. Il pensiero come sguardo che non si cura troppo delle coerenze logiche interne, che però ha bisogno di fare riferimento a dei pensieri forti proprio perché si sospende nel giudizio e sa che gioca una responsabilità fortissima. Pensare “in presenza” a partire dal cuore, senza idealizzare, senza ridurre la realtà a concetti è un pensiero che allora è stato capace di svelare le miserie della modernità, le culture della forza, della totalità; le culture della religione, contro le esperienze della fede. “Cuori pensanti. Hanna Arendt, Simone Weil, Edith Stein, Maria Zambrano” (ed, tre Lune, Mantova, 1998) è un libro che raccoglie una serie di saggi su queste figure: vi sono stati cuori pensanti, ma proprio per questo i pensieri non erano relativi, erano duri, forti, perché erano richiami alla responsabilità. Quando Simone Weil lavorerà alla Renault, nel ‘34-35, scriverà un diario (“La condizione operaia” con la post-fazione di Gian Carlo Gaeta che merita di essere letto): uno scritto tormentato, pesante con momenti lirici bellissimi in cui dice che, in fondo, la fabbrica non riesce a negare del tutto l’uomo che è in gioco nelle vicende di uomini e donne che sono operai lì dentro, perché basta a non avvelenare del tutto che noi ci scambiamo un sorriso, uno sguardo di attenzione, che può diventare pericoloso, perché lei stessa si è ustionata il braccio, non prestando attenzione a quanto stava facendo, per guardare il viso di un compagno di lavoro. Simone Weil pensa che si dovrebbe riuscire ad inventare una modalità per cui questi semplici atti non siano negati, ma diventino il modo di lavorare, così come si dovrebbe inventare un altro modo di usare i beni, di rapportarsi tra noi e questo è il massimo di partecipazione tra noi dentro la guerra, dentro il conflitto sociale, dentro la politica. Simone Weil è stata in primo piano: si schiera con il Fronte Popolare, soprattutto con le sue componenti umanistiche, quali Leon Blum, grande umanista, capo del Governo che ascolta, che incontra le persone. Questi “cuori pensanti” hanno sempre pensato le forme di una responsabilità verso il mondo e sono sempre stati mossi da una passione per capire: hanno sempre sostenuto e visitati i luoghi della sofferenza, per leggere il mondo e da lì hanno scelto dove stare, perché era giusto starvi, ma anche perché solo da lì si poteva capire cosa si giocava dell’uomo e il rapporto che c’è tra l’ombra e la grazia, tra la forza subita e il riscatto e la redenzione. Simone Weil è stata tra le pensatrici quella che, più di tutte le altre, ha pensato da sola: ha pensato con la sua testa, da dentro la sua vita così ricca di relazioni, di incontri, di passione. Va a combattere in Spagna durante la guerra civile, lei pacifista va a combattere nella colonna degli anarchici, quella meno segnata dall’ideologia, in cui la passione era immediata, il bisogno di giustizia tale e quale. Pur avendo sempre condannato la guerra, va al fronte, e questo è contraddittorio, comunque ci va e spara, salvo poi essere rispedita in Francia dopo aver messo un piede in una bacinella di olio bollente. Simone Weil dice che quando il male e la pressione della forza si scatenano, tu non puoi restarne fuori e anticipa una riflessione che svilupperà più tardi e che si trova nei quaderni dell’ultimo periodo di Marsiglia. Quando scoprirà di essere ebrea (come succede a tanti ebrei europei durante la persecuzione nazista) rifiuterà le proprie radice ebraiche, le viene comunque tolto l’insegnamento e, con la famiglia, fugge nella Repubblica di Petain di Vichy, poi a Marsiglia, da dove partirà per New York sempre con la famiglia. E’ questo uno dei momenti più importanti della sua breve vita: studia tantissimo, si avvicina ulteriormente al cristianesimo, decide di non farsi battezzare. A un amico domenicano (volumetto “Lettere a un religioso”) spiega che lei non potrà mai farsi battezzare, perché se lo facesse varcherebbe una soglia e si impedirebbe di incontrare -su quella soglia - tantissima parte dell’umanità. Lei invece si sentiva chiamata a restare sulla soglia da Cristo, perché non la separi il gesto della appartenenza religiosa al resto dell’umanità disorientata che fa fatica a cercare la verità. 30 Dunque rifiuta il battesimo e, dopo aver studiata tutta la filosofia greca, studia la Bhagavadgita, il pensiero orientale e trova lì la spiegazione delle scelte che aveva fatto qualche anno prima, partecipando alla guerra di Spagna. Cita il racconto di Argiuna, per cercare di capire il senso della capacità di ospitare l’eterno nel tempo, solo entrando nel tempo e nelle sue contraddizioni e subendone la pressione, compreso il dominio della forza. Argina grande sovrano indiano buono, giusto, che viene sfidato alla guerra dal sovrano del regno vicino. Argiuna non vuole la guerra che sa portatrice di desolazione e morte, ma dopo essersi consultato con Krishna, scenderà in guerra, cercando l’azione non agente, evitando lo sterminio del nemico e paradossalmente cercando la pace, soffrendo di ogni morto nemico. Qqesto per Argiuna è l’unico modo giusto di fare la guerra. Per Simone Weil occorre lasciare libero gioco alle proprie facoltà di azione e di sofferenza. La virtù come azione è la capacità di vivere l’azione così, cioè un’azione che non ti separi dagli altri uomini e dalle altre donne, ma che serbi il desiderio di verità e di assoluto che è nel cuore di ogni uomo e che noi serbiamo soltanto gli uni grazie agli altri. E’ per questo che le azioni sono importanti, non possiamo preservare questo ognuno per conto suo, è un agire secondo perfezione - come dice lei - e non secondo le regole, le logiche del mondo, le razionalità. C’è un tema assai importante che possiamo considerare, il tema dell’attenzione, dove noi cogliamo, nella necessità la libertà, nella pressione della forza lo spazio della perfezione dell’eterno; lo cogliamo nello spazio che riusciamo a fare attivando la facoltà di attenzione. Quando Simone Weil parla di “attenzione” non vuol dire concentrazione su qualcosa, non è un movimento che porta a lasciar perdere tutto concentrandosi su una cosa: si sceglie già quando ci si concentra. L’attenzione invece è quel movimento che permette di essere del tutto recettivo, per ciò che sta dicendo la vita, per ciò che sta gemendo o fremendo della vita in quella situazione. Per cogliere ciò che geme nella vita, ci si deve annullare e per quanto è possibile, fare silenzio, abbandonare le proprie intenzioni, la propria sensibilità che cerca e desidera e deve desiderare l’assolutamente altro e non i propri desideri; ci si deve esporre quasi in una sorta di nudità, di ritrazione che ricorda - dice Simone Weil - quell’atto di de-creazione che ha permesso la vita. L’attenzione è quella facoltà che rende capaci di sguardo, di non attaccamento, di non possesso: attenzione è fedeltà, anche a se stessi nel cogliere in sé la chiamata all’azione perfetta, la chiamata all’assoluto, al gratuito, al dono, che Simone Weil non chiama mai dono, ma chiama capacità di una trasparenza che ci può arrivare grazie a quel Dio che si attende e che spesso si fa attendere. Se si è capaci di attenzione il mondo entra nell’anima con la sua bellezza ed entra nel corpo con la sofferenza. Bellezza e bellezza sono affratellate - bisognerebbe dire assorellate - nel corpo e nell’anima e, se questo mondo si accogli così, è proprio quel mondo permesso dall’atto di amore di creazione e de-creazione di Dio. Essere capaci di attenzione alla vita come è, non negando la durezza, l’ambivalenza, la violenza, la sofferenza, la mortalità, ma assumendoli e cogliendoli come strada che permette di guadagnare anche l’altro, compresa quella bellezza che si svela tutte le volte che si riesce a compiere un atto di giustizia, il riconoscimento dell’altro, la contemplazione della bellezza dell’altro. E’ l’ultimo grande lascito di Simone Weil quando, fuggita con la famiglia da Marsiglia, va a New York e studia tantissimo, anche il folclore americano, va nelle chiese battiste dove si cantano gli spirituals, tanto che il fratello arriva a dire che se Simone avesse potuto, si sarebbe fatta nera, per condividere fino in fondo quello che i neri stanno vivendo prima di Luther King e di Kennedy, ovvero un razzismo spietato, reso ancora più spietato da una situazione di guerra e di povertà. Simone Weil coltiva comunque l’esigenza di tornare in Europa ed essere sul fronte della sofferenza e fa di tutto per arrivarci: conosceva Schuman che partecipava al Governo francese in esilio con de Gaulle a Londra, gli scrive finché lo convince a ospitarla a Londra e saluta i genitori come fosse l’ultima volta che li vede (e sarà proprio così) e collabora con il governo francese in esilio. Schuman conosce bene il suo valore, non la mette a fare l’impiegata e, tanto meno, la farà paracadutare come infermiera in prima linea; Simone Weil ha comunque già deciso pur con un fisico già molto provato - di non mangiare un grammo di più di cibo di quello delle razioni dei soldati al fronte ed essendo lei molto malata, quella scelta aumentava il peso delle patologie che già portava. Lavora giorno e notte mangiando pochissimo e scrive ciò che verrà raccolto ne “La prima radice”, le prime riflessioni sulle Costituzioni. 31 “Le Costituzioni delle democrazie non hanno retto la sfida del totalitarismo prima e, di sicuro, quelle che lo hanno retto, non hanno retto la sfida della guerra; c’è qualcosa che non funziona: quelle costituzioni affermavano i diritti dell’individuo, dobbiamo costruire delle Costituzioni cambiando i preamboli, dove i preamboli sanciscano le obbligazioni verso l’altro uomo.” Dobbiamo fondare delle convivenze non centrate sui diritti dei singoli e dei gruppi, ma centrate sulle obbligazioni verso gli altri; il diritto non esiste, se non come riconoscimento di altri per sè. Io posso aver obbligato un altro a riconoscerlo per me, posso avere fatto un contratto utilitaristico perché sia conveniente che io rispetto il tuo diritto e, in cambio, tu rispetti il mio, ma questo non è più sufficiente, bisogna costruire un sistema dei diritti che parta dalle obbligazioni. Simone Weil intuisce (siamo nel 1943) quello che sarà il destino di un mondo sempre più interdipendente, chiamato nella necessità di costruire un diritto l’uno dell’altro, l’uno per l’altro e non un diritto di singoli e di gruppi; solo su un diritto al plurale, un diritto relazionale, regge l’estrema vicinanza, la tentazione della violenza della distruzione, la degenerazione delle competizioni, gli utilitarismi. Dobbiamo tornare a radicare la convivenza da sradicati, perché da sradicati possiamo radicarla non tanto su tradizioni o radici del passato, dobbiamo radicarla in ciò che auspichiamo l’uno per l’altro, in una sorta di impegno nel futuro possibile e forse non ci distruggeremo, l’umanità sarà ancora preservata. Una umanità della com-passione, una umanità che torna ad essere comune famiglia umana, al di là dei radicamenti che si scagliano gli uni e gli altri, ma ri-leggendoli in un radicamento più originario ancora: siamo affidati gli uni agli altri, siamo chiamati alla verità del nostro essere, siamo tutti figli e figlie nella necessità di legarci. Sergio Quinzio, commentando queste pagine, sottolinea questa incredibile capacità profetica: da un lato la grande radice ebraica nella pietà e nella compassione. Infatti non c’è nulla di più ebraico nel richiamo all’affratellamento compassionevole, pietoso nella capacità di soffrire per le vittime degli altri e non solo per le proprie. Nello stesso tempo nulla di più cristiano di questa capacità di affidamento tra simili e quindi, implicitamente, alla chiamata, alla buona promessa di un uguale padre. Da soli non si avrebbe radici sufficienti, non ci sarebbe capacità di attesa sufficiente, da soli può darsi che il male prevalga, ma se figli dello stesso padre, la fiducia è possibile. Bisogna però essere capaci - nei gesti - di ospitare l’assoluto, di essere attenti, di cercare la verità. (…) Noi scopriamo il sacro che c’è in noi se avvertiamo uno sguardo sulla nostra vita, spesso è uno sguardo d’altri, o uno sguardo che viene da una situazione o dal modo in cui si sta attraversando una prova: ti viene così svelato che sei abitato dalla grazia e questo non lo puoi cogliere da te stesso e nemmeno attraverso un messaggio. E un incontro che te lo fa cogliere, non una dottrina e in questo la differenza del cristianesimo, che Simone Weil sottolineava. Diceva un suo amico prete marsigliese di non avere incontrato nessuno più legato a Cristo di Simone Weil e, pur soffrendo per il rifiuto di lei al battesimo, era comunque pacificato (..) Il radicalismo di Simone Weil non cerca la costruzione dell’esperienza esemplare più giusta di altre, ma sta profondamente dentro le contraddizioni del tempo presente. Per lei il valore della politica è quello di essere l’attività che ti obbliga - più di altri - a calarti nelle necessità e nelle contraddizioni, che è poi la condizione per sentire fino in fondo la condizione umana nella sua ambiguità, ma anche nella sua bellezza. La politica, che è una delle passioni di Simone Weil, nei suoi trentaquattro anni è quell’attività che non ti fa prendere le distanze dalla contraddizione e quella non è la sua negatività, questa è la sua positività, proprio perché non ti fa prendere le distanze dalla contraddizione dei gesti. (..) Il tempo presente, le donne e gli uomini hanno bisogno di noi ora, scrive Simone Weil, non si può attendere il tempo opportuno; è questo il tempo opportuno, è il tempo delle grandi contraddizioni dentro le grandi contraddizioni, però dobbiamo essere come l’acqua; l’acqua incredibilmente capace di piegarsi dentro tutte le fessure della realtà e di farsi plasmare da essa. Quando io penso alla storia delle ACLI e penso sempre alle facce di donne e uomini delle ACLI e alla incredibile fortuna di aver attraversato questa storia, la penso proprio perché ha dentro questo radicalismo della ferialità e ha dentro le storie delle mani dei minatori di cui parla Simone Weil, che sono le facce di tutti i circoli, delle zone, della formazione professionale, di tutta la fatica che si è fatta; fare pienamente e solo questi gesti fedeli di non separazione e, allo stesso tempo, cercare lì dentro l’attesa di libertà e di giustizia e anzi, vederla già lì, è propria delle ACLI, è specifica delle ACLI e non di altri movimenti. 32 In questo mi sembra che Simone Weil possa essere fecondamente incontrata davvero. Simone Weil, incontrando Trockij, gli chiedeva se avesse mai lavorato in fabbrica e, alla risposta negativa (lui aveva studiato), lei lo invitava a farlo, se voleva capire qualcosa degli operai. Sembra una banalità, ma nell’avventura profonda di quei corpi sofferti, di quegli affetti, di quelle psicologie, cosa capirai mai, se non fai la stessa esperienza? Ricordo compagni della mia generazione che lavoravano e andavano all’università, ricordo i preti operai, ricordo questo bisogno di materialità che era la fedeltà provata sul proprio corpo, non raccontata dai sociologi, non studiata, ma vissuta in prima persona. Partitura è uno spazio nuovo che viene riservato alla creatività. Uno spartito musicale nel quale vorremmo far vibrare quell’armonico connubio di pensiero e sentimento che da sempre le donne hanno saputo comporre realizzando opere artistiche di cui tutti e tutte oggi possiamo felicemente goderne. Racconteremo di scrittrici, poetesse, filosofe che abbiamo amato, letto e riletto. Ma vorremmo lasciare aperto lo spazio anche alla libera creatività che scorre in noi e che a volte si tramuta in scritti, racconti e poesie composte forse in modo casuale e spesso lasciate cadere nel cassetto, ma che dal silenzio potrebbero emergere e vibrare in tutta la loro originalità e…stupirci. Questa scelta che ci auguriamo possa avere rispondenza è un’occasione che vogliamo mettere a disposizione per le donne del coordinamento e per chi abbia desiderio di donarci un suo scritto. Simona Lattarulo 33