editoriale - eGroupWare @ StarSystem IT

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EDITORIALE
Importanti, anzi necessarie
“La testa e il cuore di questa associazione sono declinati al femminile”. “Senza le
donne la politica è più povera”.
Non lo diciamo noi. Lo hanno detto e scritto, rispettivamente, il Segretario
generale, Vincenzo Menna, e Antonio Nanni, coordinatore dell’Ufficio studi.
Il riconoscimento altrui, anzi il riconoscimento dell’altro-per-eccellenza della
differenza di genere, non vale come supporto o come conferma. Esso indica
piuttosto, in un contesto organizzativo e associativo complesso quale il nostro,
un’evidenza che non ha bisogno di “gridare” le sue ragioni, ma solo di
dimostrarne concretamente, nella pratica quotidiana la consistenza e la creatività.
Anche nel confronto o nel conflitto, qualora esso sia capace di produrre
cooperazione e valore aggiunto nel perseguire obiettivi comuni.
Il “doppio sguardo”, maschile e femminile, che assai volentieri ospitiamo sulla
nostra “Sirena” e anche negli incontri del Coordinamento nazionale, è per noi una
scelta ed un’intenzionalità politica, in forza della quale ci dichiariamo soggetti di
interlocuzione che pienamente si riconoscono e sono riconosciuti nella nostra
associazione. Ciò non vuol dire che non resta altro, anzi molto da fare affinché le
ACLI più femminili annunciate a Bruxelles siano pienamente realizzate. Vuol dire
però che per procedere fruttuosamente in questo cammino, occorre riconoscere la
strada percorsa, voltarsi indietro per spingerci più avanti.
Ripartendo dalla coscienza di noi stesse. E’ per questo che guardiamo con grande
interesse e senso di responsabilità il percorso formativo del progetto “Oltre il tetto
di cristallo”. Le difficoltà che incontriamo in questo vero e proprio laboratorio
interassociativo, le differenze che veniamo scoprendo nella differenza – in tre
organismi così diversi per storia, modelli e codici, quali il Cif, la Cisl e le Acli, e
tuttavia uniti da idealità affini e valori condivisi- ci spingono a riflettere, a
proporre, a ri-progettare continuamente, in vista dell’assunzione da parte
femminile di ruoli decisionali e apicali. In essi, più che altrove, siamo messe alla
prova. E con noi viene saggiato il codice culturale dominante, le sue opacità, la
sua resistenza al cambiamento, di cui le donne sono portatrici, anche al di là
delle loro intenzioni.
Avremo modo di continuare a raccontare questo percorso a tutte, perché quello
che apprendiamo sia patrimonio comune, non solo delle partecipanti. Ma
soprattutto ci auguriamo che, in vista della Conferenza organizzativa e in questo
particolare momento della nostra vita associativa, spalancato sul futuro,
l’esperienza e la sapienza delle donne (un sapere maturato nella vita e nella sua
complessità quotidiana) siano visibilmente portatrici di fiducia e di condivisione.
Maria Grazia Fasoli
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PRIMO PIANO: UN AGURIO DI RILIEVO
La testa e il cuore di questa associazione sono declinati al femminile.
Vincenzo Menna
In questo testo riportiamo una breve trascrizione dell’intervento di Vincenzo
Menna tenuto nell’incontro del Coordinamento Donne il 17 dicembre.
Condividendone le riflessioni, ci auguriamo che l’apprezzamento espresso per il
percorso sinora svolto sia di buon auspicio per le nostre prossime attività.
Il 17 dicembre in un clima sereno che preannunciava e sospendeva le
preparazioni natalizie, si è svolto l’ultimo appuntamento del 2005 del
Coordinamento Donne, un incontro in cui abbiamo avuto il piacere e l’onore di
ascoltare il Segretario generale delle Acli, Vincenzo Menna.
Le sue parole, ricche di elogi per il lavoro svolto dalle donne delle Acli, hanno
sottolineato come questo impegno, non riducibile ad un ordinario contributo
femminile necessario ad una Associazione che si rivolge a uomini e donne, deve
essere concepito nei termini di un valore in più, espresso nella fatica e nella
creatività che le donne, dalla dirigenza ai livelli locali, spendono e continuano a
spendere nei diversi campi e che Vincenzo Menna con un’espressione felice e per
noi gratificante, ha chiamato dono e grazia.
Non vi ruberò molto tempo, perché nel programma
della giornata odierna avete molti temi da
affrontare. Vorrei suggerire alcune riflessioni che
sono legate alla fase che il nostro movimento sta
vivendo.
Abbiamo avuto un dono, c’è stata offerta una grazia
che probabilmente soltanto in questa ultima fase
riusciamo ad avvertire, ed è stato l’apporto vostro,
di alcune di voi, nella costruzione di un gruppo
dirigente che ha espresso in questi due anni dal
congresso di Torino, un’associazione viva, ricca, forte
di idee, consistente sia sul nostro territorio che al
livello nazionale.
C’è stato offerto un dono importante.
Non è casuale, anche se ritengo che non si potesse prevedere in tutta la sua
compiutezza: alcune di voi presidiano oggi nel gruppo dirigente quello che
rappresenta la vera ricchezza della nostra associazione. Sono donne che
presidiano, orientano, e lo fanno bene, il nostro pensiero e la nostra ricerca. La
vostra coordinatrice, Maria Grazia Fasoli, alla quale mi lega un’antica amicizia
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risalente ai tempi della Presidenza di Giovanni Bianchi, è responsabile anche
dell’Ufficio Studi; è ancora una donna che segue con intelligenza e sobrietà la
radice stessa della nostra vita associativa: Paola Vacchina, con la sua
responsabilità della Vita Cristiana; Vittoria Boni, una donna che ha cura del
nostro futuro, pensando e organizzando la nostra formazione con una
straordinaria capacità di lavoro che a volte impressiona anche me, e
notoriamente io sono una persona che le ore di lavoro neppure le conta per sè;
Lidia Borzì, una donna che in questi anni ha introdotto una grande capacità di
innovazione nei nostri percorsi aggregativi e da qualche anno a questa parte ha
innestato un filone di attività importante come quello della progettazione; Soana
Tortora, una donna che ha il ruolo di più alta garanzia della nostra Associazione
in quanto presiede il Consiglio nazionale.
La testa e il cuore di questa associazione sono declinati al femminile.
Se oggi, in questi ultimi mesi della presidenza di Luigi Bobba, possiamo dire di
avere un bagaglio di idee, una sterminata ricchezza di quadri dirigenti dal centro
e in periferia, se possiamo dire, come abbiamo detto in occasione del
sessantennale, che abbiamo una quarta fedeltà, oltre le tre storiche di Penazzato,
che è quella del futuro, ciò è dipeso e dipende molto dal lavoro che le donne
hanno fatto nel gruppo dirigente delle Acli.
Non è un apprezzamento natalizio! Chi in questi mesi e in questi anni ha lavorato
con me, sa che non concedo e non faccio sconti nemmeno a me stesso, ai miei
compagni di strada. Queste ACLI così ricche di presenze femminili qualificate
potranno forse un giorno in coerenza con questo processo culturale e associativo,
sperimentare la possibilità di avere una donna come presidente nazionale o forse
come segretario generale.
Vedete bene, il mio ruolo è quasi quello di un allenatore dentro una squadra,
sono quello che cerca di mettere ordine alle geometrie, a volte confuse, di una
squadra fatta di tanti campioni. Uno scudetto, però, non si vince se è bravo solo
l’allenatore e non ha i giocatori da mettere in campo, anzi è molto più facile
vincere uno scudetto avendo un allenatore scarso e i giocatori che sono ben
coordinati tra di loro.
Vi dico brave e dico che forse questo, care Maria Grazia, Vittoria, Paola, Lidia,
dovrebbe essere un tema che anche con coraggio dovete proporre alla riflessione
del 2006, in un momento in cui la nostra associazione si appresta ad avere un
naturale cambio di gruppo dirigente.
Vi è noto che il 2006 rappresenterà la conclusione di una grande presidenza come
quella di Luigi Bobba.
Assumetene con forza questa consapevolezza, perché questo fa il bene delle Acli.
Se si è fatto tanto bene alle Acli a Via Marcora, allora può essere un modello che
può produrre i suoi frutti anche sul territorio.
C’è un altro elemento di grande soddisfazione, ripeto soprattutto per il
sottoscritto che non ha grandi occasioni per poter divertirsi e passa le giornate ad
occuparsi, come direbbe il nostro vecchio presidente Giovanni Bianchi, di sala
macchine.
Questo elemento è dato dal fatto che le donne hanno rappresentato al congresso
di Torino e negli anni e nei mesi successivi, un fenomeno interessante di fluidità
dei gruppi dirigenti locali, se non nelle responsabilità formalizzate, in quelle reali,
in quelle sostanziali, in quelle che contano.
Io non so se Paola Vacchina sia in condizione di dirci quante ragazze sono passate
in tre anni da noi, ma se azzardassimo un dato che va dalle quattromila alle
cinquemila, non saremmo lontano dal dire il vero.
Credete, un segno lo hanno lasciato le cinquemila persone che attraversano le
Acli, e speriamo che una quantità, un numero significativo di esse, siano rimaste
nelle Acli, e speriamo che anche un numero significativo, benché non siano
rimaste a svolgere un qualche ruolo nelle Acli, ne conservino un buon ricordo.
Questo non è un fatto irrilevante.
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Le donne, le ragazze del servizio civile, le abbiamo viste, le ho viste, toniche.
Scusate il termine, ma una delle più belle esperienze che ho fatto nella mia vita è
quello di essere stato team menager di 2 squadre femminili di pallamano e viverci
io e un allenatore un po’ schizzato, è stata un’esperienza formativa
importantissima.
Nelle realtà in cui abbiamo registrato qualche crisi, come è stato ad esempio per i
ragazzi che abbiamo dovuto commissariare, le persone che vedevate lì, erano le
ragazze del servizio civile, sicuramente spaventate dal fatto che c’era una
confusione organizzativa, ma loro erano lì a tenere in piedi un’associazione che
avevano appena conosciuto.
Io sono contento che sia una donna, Paola, ad avere assunto negli ultimi due anni
questa responsabilità, perché ne sta curando con amorevole attenzione una per
una, forse anche personalmente, queste ragazze.
Vedete, all’inizio sul servizio civile c’è stato un atteggiamento po’ paradossale,
avevamo i dirigenti delle Acli, adulti e maschi, una sorta di “introduttori” delle
ragazze, che avevano spesso un rapporto asettico e burocratico.
Io ho visto ora i presidenti provinciali, che si lamentavano di non riuscire ad
aggregare le ragazze ed i ragazzi, di non avere quadri nuovi, essere così
straordinariamente trasformati.
Anche questo è un segno al femminile, che è un dono che le Acli con il congresso
di Torino hanno ricevuto, ed è bene che questa consapevolezza, questo dato, sia
maggiormente espresso da voi.
Non siate timide nel rivendicare quelli che sono, consentitemelo il termine, meriti
associativi, (proprio perché siete donne ed è già di per sé difficile
riconoscervelo), soprattutto quando questi sono evidenti.
Scusatemi se faccio sempre ragionamenti che tradiscono il mio ruolo di segretario
generale.
Non è casuale e non è mai capitato nella storia delle Acli, che al congresso di
Torino le vostre rappresentanti siano state quelle tra i presenti ad avere un
risultato congressuale così importante.
Questo è il vero segno di una qualità del lavoro che avete svolto e che state
svolgendo in questi mesi.
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SPECIALE:
DOPPIO SGUARDO
Antonio Nanni
(Centro Studi Acli)
LA DIFFERENZA DI GENERE
Intervista a cura di Simona Lattarulo
1. Sappiamo che sei un esperto del tema delle differenze, del pluralismo
culturale, delle vicende di una società aperta alle differenze. Pensi che sia
decisivo la differenza di genere rispetto alle altre differenze, in qualche
modo fondativa?
Da sempre sono convinto che all’inizio c’è l’Altro, il volto dell’altro, anche se mi
rendo conto che nella quotidianità un po’ tutti (me compreso) sono abituati a
partire dall’io, dall’identità. Ciò che infatti dimentichiamo con estrema naturalezza
è un fatto inequivocabile: ciascuno di noi, prima ancora di imparare a dire “io”,
quand’era piccolo ha detto sicuramente “mamma”.
Cioè, all’inizio c’è il volto dell’altro, il riconoscere l’altro, e poi c’è la presa di
coscienza della distinzione tra l’altro (mamma) e il sé.
Questa semplice rimozione della “differenza” a me sembra importante e fondativa
perché spazza via tante stupidaggini e mette in evidenza il primato della
relazione.
Occupandomi della cultura della differenza, scrivendo libri sulla convivialità delle
differenze e sull’interculturalità o, come sto facendo oggi, sulla compresenza dei
simboli, ho sottolineato che la differenza “originaria”, primordiale, quella che
viene prima di tutte le altre differenze, è la differenza di genere. Infatti, prima di
essere diverso da altri per etnia, cultura, religione, ecc. io sono semplicemente
diverso da Paola, mia moglie. Ho uno sguardo diverso da lei, un punto di vista,
una lettura della realtà, una narrazione, una memoria, un sistema di attese e
desideri al maschile che non coincidono affatto con queste stesse realtà al
femminile. Siamo la stessa cosa ma totalmente differente ed è bene che questa
“distanza” preservi la nostra diversa identità piuttosto che degenerare nella
“fusione” dei due.
Non vorrei apparire inutilmente prolisso e suggerirei invece la lettura di quei
pensatori (maschi e femmine) che – almeno a me – hanno dato tanto sulla
“differenza”: Levinas, Irigaray, De Certau, Kristeva, I. Mancini, Hillesum, E. Stein,
ecc.
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2. Al di là delle disquisizioni sulle quote sì, quote no, cosa pensi
dell’importanza di una maggiore presenza femminile, questo esserci nei
ruoli decisionali?
Il tema della presenza delle donne in politica non può essere circoscritto al
problema delle “quote rosa”. Capisco che le quote sono solo un espediente per
stimolare un processo virtuoso, ma il vero cambiamento deve essere “ordinario”
senza il bisogno di fare ricorso a “forzature” ed espedienti.
Il problema andrebbe impostato non come una competizione tra gli uomini e le
donne ma come un fatto di ricchezza o povertà della politica. Senza le donne la
politica è più povera, con le donne la politica è più ricca di umanità, di
rappresentanza e di competenze. Se le donne non sono presenti in politica è
l’intera società a perdere, non le donne. Pertanto è interesse di tutti promuovere
l’impegno di più donne in politica. Esse porterebbero un allargamento di orizzonti,
una maggiore sensibilità per la “cura” delle relazioni.
La donna più dei maschi trascina con sé il riferimento al “vissuto”, alla corporeità,
e questo renderebbe la politica “più incarnata”.
La donna sa essere più sensibile alla “pluralità degli interessi” perché essa vive
sempre al crocevia delle relazioni: con i figli, con il marito, con gli anziani.
La vicenda delle quote rosa dovrebbe farci aprire gli occhi su una realtà
inconfutabile: nella politica non esiste il “vuoto”, non c’è il “neutro”. Se oggi i
maschi occupano quasi tutto lo spazio per scansarli occorrerà una forte spinta
come avveniva nella scenetta delle Sorelle Bandiera mentre cantavano (nello
spettacolo di Renzo Arbore) la canzoncina “fatti più in là…”! La spinta è inevitabile
per la nota legge fisica sulla impenetrabilità dei corpi!
3. Nella rappresentanza politica è più importante
interessi, gli obiettivi o appunto lo stesso genere?
condividere
gli
Risponderei che per me la gerarchia delle priorità vede prima gli obiettivi, poi gli
interessi e poi ancora il genere. Ma forse questa è una tipica risposta da maschio,
magari un po’ idealista e romantico. L’espressione “condividere lo stesso genere”
per me come maschio non ha senso. Quando in me sorge il problema del
“genere” è perché mi sto già schierando dalla parte delle donne. Mi è capitato più
di una volta di scegliere a ragion veduta un candidato donna.
Tra gli obiettivi e gli interessi, poi, non c’è partita. Sono di gran lunga gli obiettivi
(questione sociale, pace, vita, welfare, democrazia, coesione sociale…) a
prevalere.
4. Per te, poter essere rappresentato da una donna è una possibilità
nuova, uno spiazzamento, o un rilancio delle questioni condivise?
È una possibilità nuova perché più carica di futuro e di imprevedibilità. Ma questo
non significa cadere nell’ingenuità. So bene che anche le donne possono
manifestare gli stessi difetti dei maschi, in politica come nella vita quotidiana.
Anzi, più le donne scimmiottano gli uomini, più diminuiscono le speranze di un
mondo diverso. Il nemico più grande della “differenza di genere” è infatti
l’omologazione. Per essere assertiva ogni identità (maschile o femminile) ha
sempre bisogno di resistenza e di progettualità, di collocarsi in trincea e di
avventurarsi negli avamposti, di decolonizzare il proprio immaginario e di osare il
futuro, reinventandosi giorno dopo giorno come avviene nel gioco senza tempo di
un bambino.
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“QUESTIONE FEMMINILE”
Le donne tra famiglia, lavoro e ricerca di Dio
intervista a Maria Grazia Fasoli
rilasciata il 25 novembre 2005
di Elena Grazini
Esiste oggi una cultura delle pari opportunità?
Esiste indubbiamente una sensibilità più diffusa rispetto ai temi che riguardano le pari
opportunità. In termini assoluti una cultura praticata delle pari opportunità è ancora
lontana da una sua implementazione. Ci sono degli ostacoli di natura profonda, che
richiedono tempi lunghi per essere pienamente superati. In termini relativi però, cioè se
consideriamo il cammino fatto dalle donne negli ultimi 20-25 anni, dobbiamo valutare
positivamente il percorso di questa cultura.
Quali sono gli elementi che la inducono a guardare con ottimismo al cammino
compiuto dalle donne nell'ultimo quarto di secolo?
Ne indicherei due. Il primo riguarda la crescita della soggettività femminile, intesa come
autostima e consapevolezza delle donne del proprio valore. Invece, in termini di contesto,
direi che il femminile nella società si è diffuso, c'è stata una valorizzazione degli elementi
di cura nelle relazioni, che non è più soltanto un patrimonio delle donne ma anche della
cultura, ad esempio del mondo del lavoro. In questo senso la società si è
“femminilizzata”.
Eppure l'accesso alle donne a certi ambiti lavorativi è piuttosto limitato. Qual è il
settore meno “femminilizzato”?
Sicuramente quello che in termini tecnici si chiama la rappresentanza, cioè il settore della
politica strettamente intesa. Basti pensare che a un 52% circa di elettorato femminile
corrisponde una presenza in Parlamento del 9,8%. In generale laddove ci sono poteri
decisionali la presenza femminile decresce. Questo dato mi sembra abbastanza
inquietante perché il potere di decidere è importante.
Come invertire questa tendenza ?
Anzitutto è indispensabile che le donne si attrezzino a esercitare ruoli di responsabilità. Da
questo punto di vista quella che in senso molto ampio si chiama formazione rimane lo
strumento prioritario. Nel mese di novembre si è svolto il seminario di lancio di un
progetto di formazione ai ruoli di vertice che Cif (Centro Italiano Femminile), che è il
capofila, Acli e Cisl stanno avviando con una formula abbastanza inedita di collaborazione
tra queste tre associazioni.
In secondo luogo sono fondamentali politiche di conciliazione tra le esigenze di cura
familiari e le esigenze di un impegno professionale, sociale o politico. Credo che non si
debba costringere le donne a dover scegliere tra un impegno professionale, nel sociale o
nella politica, e il mondo degli affetti che rimane giustamente importante ed è bene che
sia così.
Ci sono allo stato attuale politiche efficaci di sostegno alla donna nella ricerca di
questo equilibrio?
Attualmente sono assolutamente scarse le politiche di sostegno alla famiglia. Diciamo che
quando né dal punto di vista fiscale né dal punto di vista del welfare, né da quello del
reddito o dei servizi si considera la famiglia come un soggetto da privilegiare si penalizza
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immediatamente la donna, perché spesso i problemi familiari ricadono sulle spalle delle
donne.
Per quanto riguarda le politiche di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro qualche
tentativo è stato fatto, anche se bisogna riconoscere che molto spesso il part-time, per
fare un esempio classico della flessibilità, da un lato favorisce la presenza femminile del
lavoro in termini di conciliazione con la famiglia ma dall'altro altro è penalizzante per la
carriera.
Personalmente guardo con molta attenzione a forme di lavoro più flessibile, e quindi più
compatibili con le esigenze familiari. Mi sembra una strada interessante, purché sia
percorsa anche dagli uomini.
In suo recente articolo in occasione del referendum sulla fecondazione assistita,
nel quale si è schierata con il Comitato Scienza e Vita, si legge: «In tante
argomentazioni che sono state avanzate a nome delle donne nel dibattito
referendario attorno alla fecondazione assistita ho ravvisato più la scienza
onnipotente che la scienza del limite». Qual è il rischio di una scienza
onnipotente?
Il rischio di una scienza onnipotente non è nuovo nella nostra civiltà. La novità è che la
sfida di questi ultimi anni riguarda l'onnipotenza della scienza applicata alla vita umana, in
modo particolare al corpo e alla sua, per così dire, riproducibilità tecnica. Ci troviamo di
fronte a una svolta antropologica di portata inaudita, di cui non siamo tutti consapevoli.
Questa è stata la mia preoccupazione durante la sfida referendaria. Ritengo che
specialmente applicata alla vita umana una scienza onnipotente, ma in modo particolare
una tecnologia onnipotente (bisogna distinguere tra scienza come ricerca, nei confronti
della quale non abbiamo alcuna forma di preclusione, e le applicazioni operative, ovvero
la tecnica), possa portare ad una totale disumanizzazione.
Nello stesso intervento parla del rischio di «una forma di interiorizzazione del
pensiero maschile» da parte delle donne.
La scienza onnipotente e la tecnologia, che è il suo braccio operativo, sottraendo la vita
agli eventi naturali e facendola diventare un oggetto di decisione, sono un tipico prodotto
del pensiero maschile come pensiero del dominio e della manipolazione. Io credo invece
che un sentire materno appartenga al corpo femminile, anche a coloro che non hanno
figli. Credo che appartenga alle donne una scienza del limite, del fare posto all'altro, che
va spesa in termini di riserva di umanità.
In diverse pubblicazioni lei ha affrontato la questione del divino nella sfera
femminile. Si può parlare di una via femminile al divino?
L'esperienza del divino ha a che fare con la ricerca che noi facciamo di una dimensione
che ci trascende e ci supera. Si tratta di un percorso che, radicandosi nelle profondità
dell'essere umano, non può non essere segnato dall'essere donna o dall’essere uomo.
Ancora diverso è il discorso della fede. In questo caso la fede rivelata ci coglie nella nostra
diversità. Questo Dio che parla agli uomini e alle donne viene ascoltato dagli uomini e
dalle donne in un modo differente. Anche in questo senso la fede si colora del nostro
essere uomini e del nostro essere donne.
Donna e cristianesimo: cosa si profila all’orizzonte?
Innanzitutto ritengo che noi donne siamo chiamate a essere sempre di più soggetti attivi
di una fede comunitaria e del popolo di Dio, cosa che è stata additata in modo particolare
dal Concilio Vaticano II. Inoltre mi sembra che in una società, come oramai siamo
convinti sia la nostra, post-secolare, e quindi in un ritorno della domanda e della sfera
religiosa, noi donne, con la nostra ricerca di fede e con il nostro intellectus fidei, ossia con
la nostra capacità di fede riflessa, possiamo costituire un elemento di coscienza per
evitare che la ricerca o il bisogno di religiosità possa avere delle derive.
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NOTIZIE DAI TERRITORI
Chi dice donna
di Milena Di Camillo
Il 14 dicembre è stato
presentato il libro della
giornalista Milena Di Camillo
Erano
presenti
l’autrice
musicista Raffaella Mori
e
la
Ha condotto:
Martina Cecco
Coordinamento donne Acli
“Chi dice donna…” è più di un libro, è una raccolta, la raccolta di
tante storie di donne, che hanno accettato di parlare di sé accettando
un’intervista… e fin qua è cosa che accade; ma quando ad essere
intervistata è una persona “normale”, allora le cose cambiano: le
storie di queste 55 donne trentine toccano direttamente o
indirettamente l’esperienza del presente, coinvolgono le realtà
esistenti, e parlano di qualcosa che si può toccare, c’è, qui ed ora.
Non sono solo delle storie, però, ma anche delle idee, delle speranze, dei progetti
e delle situazioni possibili.
Il libro è nato da un’idea che la sua autrice ha maturato per
interpretare l’otto Marzo, nel ventunesimo secolo; l’autrice, Milena
di Camillo, giovane giornalista del nuovo quotidiano “Trentino”, ci ha
confidato che le donne intervistate, inizialmente, non avrebbero mai
pensato di avere così tanto da raccontare, e invece…
di Martina Cecco
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Due appuntamenti da non perdere:
CHARLES DE FOUCAULD e MADELEINE DELBREL
Coordinamento donne delle Acli di Bergamo
Il 2006 inizia il suo corso con due importanti incontri organizzati dal coordinamento donne
Acli di Bergamo: il primo, si è tenuto il 6 febbraio, incentrato sull'approfondimento di due
figure cardine del pensiero cristiano: Charles De Foucauld e Madeleine Debrel.
Il secondo si terrà il 13 marzo e verterà sull'approfondimento della lettera che Benedetto
XVI, quando ancora era cardinale, fece pervenire ai Vescovi della Chiesa cattolica sul
tema della "collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo". La sede
degli incontri è la Comunità del Paradiso, Via Cattaneo 7, Bergamo.
Info: ACLI Bergamo 035.210284 [email protected]
LUNEDÌ 6 FEBBRAIO 2006
Paola Vacchina, Responsabile nazionale Vita Cristiana
Daniele Rocchetti, Presidenza provinciale ACLI
Il tema della relazione tra uomo e donna, rivisitato nella ricchezza delle possibilità e
non solo nella durezza delle problematicità, ci aiuta a cercare l’incontro come
occasione di rinascita continua.
I due testimoni, messi l’uno di fronte all’altro, parlano alla modernità con un
linguaggio semplice e immediato. L’esperienza del deserto, assunto a paradigma
delle angosce e delle fatiche degli uomini e delle donne che soffrono, cercano,
amano, diviene, nel fecondo incontro con queste due figure significative, un
passaggio obbligato per ogni scelta di vera prossimità e di vera libertà.
Lunedì 13 marzo 2006
“Lettera ai vescovi della chiesa cattolica sulla collaborazione dell’uomo e
della donna nella Chiesa e nel mondo”
di sua Emin. Cardinale Joseph Ratzinger, oggi Papa Benedetto XVI
Teresa Piccolini, co-responsabile Gruppo Promozione Donna Milano
Mons. Lino Casati, Docente di Teologia
Diventa un’ulteriore occasione di riflettere sulle vocazioni e sulle responsabilità degli
uomini e delle donne del nostro tempo, desiderosi di essere sale e lievito nel mondo,
questa lettera di Papa Ratzinger ai Vescovi e al popolo di Dio. L’accento è posto sulla
collaborazione e, quindi, sulle risorse dei legami, che, in tanta frammentazione e
precarietà, provocano il futuro con alleanze che tengono e promesse che durano.
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La notte di S. Silvestro…
Alessia Ferreri
Responsabile provinciale del Coordinamento donne di Lecce
I nonni sono coloro che vengono da lontano e vanno per primi, ad
indagare oltre la vita; sono i vecchi da rispettare per essere
rispettati da vecchi; sono il passato che vive nel presente ed i
bambini sono il presente che vedrà il futuro”. (M. R. Parsi)
Un esempio lodevole e ripetibile di rispetto e cura per gli anziani è
stato l’incontro realizzato dal Coordinamento Donne delle Acli di
Lecce con il Comune di Lecce, un’iniziativa di solidarietà ed
animazione sociale per anziani.
Per la notte di S. Silvestro è stata organizzata una grande festa
con gli anziani soli del territorio, sono stati coinvolti tutti coloro
che hanno voluto vivere un’esperienza speciale di solidarietà in
una notte che si passa in famiglia e/o tra amici.
Il luogo che ha ospitato l’evento è la Fondazione “Don Gaetano Quarta” (Lecce) alla quale
gli anziani sono stati accompagnati grazie ad un servizio di trasporto casa-luogo del
veglione attivato da un gruppo di volontari delle Acli.
E ancora da LECCE…….
Il coordinamento donne Lecce dà avvio ad
una serie di attività creative:
Laboratori
e percorsi d’autore
Teatro, corsi enogastronomici, taglio e
cucito, scrittura creativa, laboratori di
terracotta e tante altre attività per il
2006.
Per informazioni e iscrizioni.
Tel. 0832-331231
tel. 393-7957813
[email protected]
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La giornata della memoria
27 gennaio 2006
Il 27 gennaio 1945 i soldati dell'Armata Rossa abbattevano i
cancelli di Auschwitz e liberavano i 7600 prigionieri
sopravvissuti allo sterminio nazista.
Ricordiamo quel giorno con la voce di
Etty Hillesum (1914 – 1943)
Nata nel 1914 in Olanda da una famiglia della borghesia intellettuale
ebraica, Etty Hillesum muore ad Auschwitz nel novembre del 1943. Ragazza brillante, intensa, con
la passione della letteratura e della filosofia, si laurea in giurisprudenza e si iscrive quindi alla
facoltà di lingue slave; quando intraprende lo studio della psicologia, divampa la seconda guerra
mondiale e con essa la persecuzione del popolo ebraico.
Durante gli ultimi due anni della sua vita, scrive un diario personale: undici quaderni fittamente
ricoperti da una scrittura minuta e quasi indecifrabile, che abbracciano tutto il 1941 e il 1942, anni
di guerra e di oppressione per l’Olanda, ma per Etty un periodo di crescita e, paradossalmente, di
liberazione individuale. nasce come percorso di autoanalisi, in cui all'inizio troviamo la sua vita
quotidiana, le sue frequentazioni, una certa disinvoltura sentimentale, le sue grandi passioni
letterarie per i russi e per Rilke...un normale diario di un'intellettuale che man mano, intrecciandosi
ai tremendi fatti di quell'epoca, si trasforma in un percorso interiore profondissimo e attento, un
itinerario di 'difesa dello spirito' dalla barbarie nazista. Per lei si trattava di proteggere l'anima, e
non i corpi, non le vite quotidiane. Seguendo quindi un proprio itinerario, Etty matura una
sensibilità religiosa che da’ ai suoi scritti una grande dimensione spirituale. La parola “Dio” compare
anche nelle prime pagine del diario, usata però quasi inconsapevolmente, come spesso accade nel
linguaggio quotidiano.
A poco a poco però Etti va verso un dialogo molto più intenso con il divino, che percepisce intimo a
se stessa: “Quella parte di me, la più profonda e la più ricca in cui riposo, è ciò che io chiamo Dio”.
Nel 1942, lavorando come dattilografa presso una sezione del Consiglio Ebraico, avrebbe la
possibilità di aver salva la vita, invece sceglie di non sottrarsi al destino del suo popolo e nella prima
grande retata ad Amsterdam si avvia al campo di sterminio con gli altri ebrei prigionieri: è infatti
convinta che l’unico modo per render giustizia alla vita sia quello di non abbandonare delle persone
in pericolo e di usare la propria forza interiore per portare luce nella vita altrui. I sopravvissuti del
campo hanno confermato che Etty fu fino all’ultimo una persona “luminosa”. Al momento della sua
partenza definitiva per il campo di sterminio Etty chiede ad un’amica olandese di nascondere i suoi
quaderni e di farli avere ad uno scrittore di sua conoscenza, a guerra finita.
…Ho spezzato il mio corpo come fosse pane e l'ho distribuito agli uomini. Perché no?
Erano così affamati e da tanto tempo. E ancora: L'unica cosa che possiamo salvare di
questi tempi, e anche l'unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi,
mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri
uomini. Si , mio Dio!
diario 1941-1943
..io credo che dalla vita si possa ricavare qualcosa di positivo in tutte le circostanze, ma che si
abbia il diritto di affermarlo solo se personalmente non si sfugge alle circostanze peggiori…
lettere 1942-1943
“La miseria che c’è qui è veramente terribile, eppure, alla sera tardi, quando il giorno si è inabissato
dietro di noi, mi capita spesso di camminare di buon passo lungo il filo spinato, e allora dal mio
cuore si innalza sempre una voce – non ci posso far niente, è così, è di una forza elementare – e
questa forza dice: La vita è una cosa splendida e grande, più tardi dovremo costruire un mondo
completamente nuovo. A ogni nuovo crimine o orrore dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore
e di bontà che avremo conquistato in noi stessi. Possiamo soffrire ma non dobbiamo soccombere. E
se sopravvivremo intatti a questo tempo, corpo e anima, ma soprattutto anima, senza amarezza,
senza odio allora avremo anche il diritto di dire la nostra parola a guerra finita. Forse io sono una
donna ambiziosa: vorrei dire anch’io una piccola parolina.”
Diario 1941-1943
13
OLTRE IL TETTO DI CRISTALLO
Percorsi di alta formazione nei luoghi
di rappresentanza
I MODULO: La partecipazione
13-14-15 GENNAIO
Nelle giornate del 13-14-15 gennaio si è svolto il primo incontro di formazione del
progetto “Oltre il tetto di cristallo”. Le 60 beneficiarie del corso, pervenute da varie
regioni d’Italia, sono state accolte nell’hotel Villa Aurelia, un’imponente e sontuosa
struttura che si affaccia sul viale Leone XIII, un luogo simbolico che congiunge seguendo
una linea immaginaria, il verde di Villa Doria Phampili e il bianco della cupola di S. Pietro.
“Prendere e darsi parola. Partecipazione nelle associazioni e prospettiva di genere”, il
titolo del primo appuntamento, è una questione che ben introduce il corso di formazione,
annunciando il percorso che il CIF, le ACLI e la CISL seguiteranno insieme, fino a
concludersi nel mese di giugno, con l’ultimo incontro.
Nella I giornata si è inaugurato il corso con la presentazione di “Oltre il tetto di cristallo”:
la responsabile dell’Area Progetti, nonché membro del direttivo del Coordinamento Donne
Acli, Lidia Borzì, ha descritto il progetto, raccontando la sua genesi, dalle motivazioni, agli
obiettivi, alla scommessa “alta” giocata nel lavoro sinergico delle tre associazioni. Dopo
una breve esposizione dei contenuti del modulo svolta dalla responsabile della formazione
Cisl, Barbara Cerutti, si sono presentati i componenti dello staff organizzativo e
scientifico, tra i quali una notazione speciale per Antonella Melai, segreteria insostituibile
del Coordinamento Donne Acli, che ha seguito, con perizia tecnica, tutte le pratiche
organizzative, garantendo il proseguimento dei lavori. Le partecipanti hanno potuto sin da
subito, confrontarsi nei lavori di gruppo misto, guidati dai tutor Simona Lattarulo, Vivian
Marotta (Cisl), e Achille Tagliaferri, (Coordinatore della formazione Acli), mentre nel
pomeriggio, di nuovo in plenaria, hanno ascoltato la storia delle tre associazioni,
raccontata Maria Grazia Fasoli per le ACLI, Annamaria Parente per la CISL e Fiorenza
Taricone per il CIF. La singolarità delle tre organizzazione è emersa nelle narrazioni, una
ricchezza nella diversità che ben si armonizza con la volontà espressa in questo corso di
operare cambiamenti nella e per la partecipazione femminile. Lo sguardo attento di
Renata Natili (responsabile CIF) filtrava l’umore e la concentrazione delle corsiste,
dimostratesi interessate e partecipi.
La seconda giornata è stata intensa e articolata: lavori di gruppo con restituzione in
plenaria guidata da Vittoria Boni (Responsabile della formazione ACLI), seguita dagli
interventi: la relazione della Prof. Gioia Di Cristofaro Longo (Università La Sapienza) con il
titolo “Dalla discriminazione all’orgoglio di appartenenza di genere:elementi per un
percorso” e le testimonianze nel pomeriggio di Andrea Olivero (Vicepresidente Acli) e la
scrittrice Anna Vinci, particolarmente gradite dalle corsiste.
Il sabato è iniziato con un raggio di sole nella stanza che ha illuminato un tavolo cosparso
di gerbere, l’omaggio floreale, corredato di una lettera di Achille Tagliaferri che ha voluto,
con questo dono, augurare alle corsiste un cammino in ascesa dentro di sé.
L’ultima relazione dal titolo “Sistemi elettorali ed equilibrio della rappresentanza”è stata
tenuta dal Prof. Stefano Ceccanti a cui ha seguito un dibattito animato e partecipato. La
mattinata si è conclusa, con la compilazione dei moduli per il monitoraggio e la
valutazione, in una atmosfera di amichevole simpatia, il migliore auspicio per i prossimi
incontri.
Simona Lattarulo
14
IL TETTO DI CRISTALLO
Una viaggiatrice d’oltre manica: Aphra Behn
Nel 1663 circa, Aphra Behn, allora giovane ventenne, salpò per il Suriname. Quando
arrivò in questa colonia del nord dell' America Latina, vi trovò un piccolo insediamento
inglese lì da 20 anni, servito da una larga popolazione di schiavi che lavoravano nelle
piantagioni di zucchero.
Questa popolazione esotica e la loro terra stupirono e deliziarono la giovane donna.
"Questi paesi, in tutto e per tutto, sono così diversi da noi che producono inconcepibili
meraviglie", così scrisse in Oroonoko, il principe in catene (1668), un racconto romanzato
del suo viaggio, narrato 20 anni dopo il suo ritorno. Non sappiamo perché Aphra decise di
fare questo azzardato viaggio in Suriname. Nei suoi scritti lasciava credere di aver
accompagnato la famiglia, ma poteva anche trattarsi di una finzione per nascondere
l'inseguimento di un amante reprobo.
Altre donne si erano già avventurate lontano da casa. Attorno al 381 una badessa di
nome Egeria compì tre anni di pellegrinaggio dalla Francia in Egitto e in Terra Santa,
usando la Bibbia come guida di viaggio. "Niente poteva riportala indietro, neanche la
fatica di viaggiare per il mondo, né la piena dei mari e dei fiumi………" scrisse un monaco
del 17° secolo, che commentò il "diario" che Egeria scrisse per la sorella. Questi appunti
di viaggio sono il primo libro di viaggi mai scritto da una donna.
All'epoca in cui Margerie Kempe, la moglie di un mercante di Norfolk e madre di 14 figli,
lasciò la famiglia e salpò per Gerusalemme nel 1413 il pellegrinaggio era così ben
organizzato che non c'era più bisogno della Bibbia per le direzioni da prendere. Libri dal
titolo "Informazioni per i pellegrini" e "Descrizione della Terra Santa", erano comuni e
fornivano consigli su dove stare e cosa vedere. Il racconto delle sue pellegrinazioni in
"The Book of Mangerie Kempe", è il primo libro di viaggi in inglese a noi noto.
Aphra Behn potrebbe non aver conosciuto queste donne pioniere. Gli scritti della badessa
Egeria, Il Pellegrinaggio di Santa Silvia di Acquitania in Terra Santa non vennero riscoperti
prima del 1884 e Il Libro di Margerie Kempe - fino al 1930. Se la scrittrice del 17° secolo
avesse saputo delle altre donne viaggiatrici, avrebbe avvertito qualche connessione o
simpatia per loro? Avrebbe visto se stessa come un anello in una lunga, seppur
intermittente, catena di donne che si avventurano all'estero?
I dettagli della vita di Aphra Behn sono incerti. Sembra aver soggiornato in Sud-America
nel 1663-4 con la madre, le sorelle e un parente, che chiamava padre, che era stato
nominato luogotenente- generale del Suriname.
Questi probabilmente morì in mare, ma le donne della famiglia continuarono a vivere in
Suriname per qualche tempo. Nel 1688 Aphra Behn, pubblicò il romanzo Oroonoko, storia
di un eroe, potente principe africano schiavizzato. Aphra rivendicava di essere stata
testimone oculare della storia. Il romanzo è straordinario non solo per la biografia della
sua autrice, ma anche perché la schiavitù era all'epoca inequivocabilmente accettata.
Al ritorno in Inghilterra, Aphra sposò Mr. Behn, un mercante londinese, e nel 1667 si recò
ad Anversa come spia di Carlo II°. Si ritrovò ad Anversa senza denaro e sul punto di esser
messa in carcere quando non riuscì a ripagare i fondi che aveva preso in prestito per
ritornare in Inghilterra. Tornò poi a scrivere nella speranza di guadagnarsi da vivere. Fu la
principale scrittrice della sua epoca ed è ricordata non solo per il romanzo basato sulla
sua vita esotica ma anche per numerose commedie. E' sepolta nell'Abbazia di
Westminster.
Tratto da www.url.it/donnestoria
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Lady Mary Pierrpont: lettere dalla Turchia
Lady Mary Pierrepont era una bimba vivace.
Definì il suo giorno più bello quando, all'età
di 8 anni, il padre la iscrisse al prestigioso
KIT CAT CLUB, riservato ai maschi.
Proibitole dal padre di sposare l'uomo da lei
scelto, scappò da casa ed ebbe un
matrimonio privato. Il marito, Edward
Wortley
Montagu,
venne
eletto
ambasciatore presso la corte turca nel
1716.
La coppia arrivò in Turchia con il figlioletto nel maggio del 1717. Un ritratto di Lady Mary
venne dipinto a Costantinopoli, che fa da sfondo. Lady Mary è ritratta in abbigliamento
turco, con il figlio e con due servitori, uno dei quali suona il liuto, mentre l'altro sembra
tenere una lettera.
Il paese e le sue genti affascinavano la donna. Le lettere di Lady Mary erano ricche di
argomenti. Vent' anni dopo tornò in Europa e si stabilì a Venezia per molti anni, lasciando
il marito, cosa che scatenò scandalo. Tornò in Inghilterra poco prima di morire. Le sue
lettere dalla Turchia si occupavano di tutto, dal vestiario alla vita dell'harem, la musica, i
bagni turchi e la sorte delle donne musulmane.
Lady Montagu era particolarmente interessata alla vaccinazione dei bambini contro il
vaiolo, avendo lei stesa sofferto della malattia che le aveva rovinato l'aspetto. Suo figlio
Edward fu il primo inglese ad essere vaccinato. Più tardi anche la figlia Mary, nata in
Turchia nel 1718, fu vaccinata e al suo ritorno in Inghilterra, Lady Montague persuase
Caroline, la moglie del principe del Galles, successivamente Giorgio II, a vaccinare il figlio.
Le lettere di Lady Montagu hanno una storia interessante. Ella ne affidò le copie ad un
sacerdote amico. Un giorno due uomini gli fecero visita e chiesero di vederle.
Approfittando di un momento di distrazione del sacerdote, i due se ne andarono con le
lettere, che furono restituite il giorno dopo con delle scuse. Durante la notte erano state
fatte delle copie, il che condusse ad una pubblicazione non autorizzata. La famiglia, che
aveva sperato di farle scomparire, rimase gravemente turbata.
Tratto da www.url.it/donnestoria
Scuola di scrittura creativa
Sono aperte le iscrizioni alla SCUOLA DI SCRITTURA DEL GIARDINO DEI CILIEGI
CORSO DI SCRITTURA CREATIVA con Monica Sarsini
CORSO DI TECNICHE NARRATIVE con Enzo Fileno Carabba
da Lunedì 23 Gennaio rispettivamente 17.30-19.30 e 20.30-22.30
SEMINARIO INTENSIVO DI POESIA E RECITAZIONE IN VERSI con Rosaria Lo Russo
Sabato 28 e Domenica 29 Gennaio 2006
INFO E ISCRIZIONI:
Il Giardino dei Ciliegi - Via dell’Agnolo 5, Firenze
cell. 349 0723190 (dopo 15.30) 055 2001063 - email: [email protected]
16
Ada Byron, una passione “matematica”
Ada Byron rappresenta una figura storica di riferimento per
tutte le donne che si occupano di nuove tecnologie. In bilico tra
scienza e poesia. La sua storia significa prendere
consapevolezza di quale sia stato il rapporto delle donne con i
calcolatori. Fondamentali i suoi contributi allo sviluppo dei
concetti basilari del calcolo moderno: il suo visionario progetto è
ormai riconosciuto come il primo programma della storia
dell’informatica.
Ada Augusta Byron, nasce in Inghilterra nel 1815, unica figlia
legittima del poeta romantico George Byron. Dopo la nascita di
Ada la madre si separò dal marito e, per paura che la figlia
potesse manifestare le medesime inclinazioni del poeta, si
impegnò a darle un’educazione scientifica.
Il destino che le poteva riservare la società del suo tempo
l’avrebbe costretta nel ruolo di madre, ricamatrice, gentildonna, ed invece Ada si applicò
con passione alla matematica e al calcolo. Giovinetta, dichiarò di aspirare ad una "scienza
poetica" e tutto il suo pensiero analitico fu intriso di immaginazione e metafore.
Sarà proprio la sua capacità di intuire e vedere più in là dei sui contemporanei a portarla,
a metà degli anni’ 30, ad entusiasmarsi per le ricerche di un matematico di Cambridge,
Charles Babbage, che lavorava da anni alla progettazione dell’Analytical Engine,
un’enorme struttura composta da ben 25 mila parti, precursore dei calcolatori del XX
secolo.
Babbage, lavorando a questo progetto, presentò gli sviluppi in un seminario a Torino,
nell’autunno del 1841. Un italiano, Menabrea, scrisse un riassunto di ciò che Babbage
aveva descritto che pubblicò in una relazione, in francese, insieme ad alcune sue
valutazioni.
Ada, nel 1843, sposata con il conte di Lovelace e madre di tre bambini, tradusse in un
articolo in lingua inglese la relazione di Menabrea apportando le sue personali e, al tempo,
visionarie considerazioni. Nel suo articolo Ada sviluppò nuove implementazioni alla
progettazione dalla macchina analitica di Babbage tra cui la possibilità di calcolare formule
algebriche mediante l’uso di schede perforate e un piano di calcolo per i numeri di
Bernoulli (ora considerato il primo "programma di Lovelace").
Tra i suoi commenti vi era anche la previsione che una tale macchina potesse essere usata
per comporre musica complessa, per produrre grafica e utilizzata sia per usi pratici che
scientifici. Dopo aver contribuito agli studi sulla progettazione della macchina analitica la
sua vita fu tormentata dalla malattia, ma di lei è rimasto un incredibile epistolario
scientifico. Bisogna aspettare la seconda metà del Novecento per vedere riconosciuta
l’opera di Ada Bryron.
Nel 1979, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha onorato il ricordo di Ada
Augusta Byron Lovelace battezzando "ADA" un linguaggio di programmazione
per grandi sistemi di calcolo particolarmente innovativo.
La forza trasgressiva di questo personaggio sta nel suo appassionarsi allo studio di
materie riservate, per il suo tempo, agli uomini e di unire discipline considerate ancora
oggi antitetiche: la letteratura e la tecnica. Questa sua operazione di arricchimento della
tecnologia con aspetti legati al linguaggio poetico e metaforico è riprova della
straordinaria capacità femminile di "tenere insieme", rompere gli schemi imposti,
affermare il proprio pensiero e la propria soggettività.
Conoscere la sua storia significa prendere consapevolezza di quale sia stato il rapporto
delle donne con i calcolatori e scoprire come la realtà che ci viene presentata dimentichi,
più o meno volutamente, personaggi che possono intaccare pregiudizi e stravolgere l’idea
che oggi abbiamo della tecnologia. E’ una scoperta che porta sconcerto, stimola l’impegno,
rendendo il mondo della tecnologia una sfida per noi tutte.
Tratto da www.universitadelledonne.it
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Concorso nazionale di scrittura per le donne
Tradizioni e traduzioni
Storie di quartiere, di città, di mondi per conoscersi e capirsi fra donne di culture diverse.
Premio San Vitale: VII edizione
Il Concorso è rivolto alle donne, perché descrivano con poesie, racconti e brevi pièces
teatrali, eventi vissuti, ascoltati o immaginati che riguardino i rapporti e le storie fra
donne di tradizioni culturali diverse.
Il Concorso è diviso in tre sezioni: poesia, teatro, narrativa. Ogni concorrente dovrà
presentare un elaborato inedito indicando la sezione a cui desidera partecipare e
rispondente ai seguenti criteri:
-
POESIA – da un minimo di uno a un massimo di dieci testi poetici, che non
superino, complessivamente, le 12 cartelle (una cartella 30 righe, una riga max.
60 battute).
TEATRO – un testo teatrale di durata non superiore ai 30 minuti (circa 3000
parole).
NARRATIVA – un racconto breve di lunghezza massima di 12 cartelle (una cartella
30 righe, una riga 60 battute).
Ciascun testo, indipendentemente dalla sezione, potrà:
- essere scritto in italiano, in dialetto, o in altre lingue, ma accompagnato dalla traduzione
in italiano. La traduzione, che deve essere firmata da una donna, concorrerà
automaticamente al relativo premio speciale;
- il testo dovrà essere presentato sia su carta (non manoscritto) in 3 copie, sia su floppydisc o cd;
- pervenire entro le ore 12 del 31 marzo 2006 in busta chiusa recante all’esterno la
dicitura: Partecipazione al Concorso di Scrittura “TRADIZIONI E TRADUZIONI” e
all’interno un foglio con nome, cognome indirizzo e-mail e recapito telefonico della
concorrente (dati che verranno trattati secondo la legge sulla privacy), a:
U.R.P. Quartiere San Vitale, vicolo Bolognetti 2, 40125 Bologna.
La Giuria, composta da cinque esperte, impegnate nella ricerca letteraria, teatrale e
sociale con particolare riguardo ai temi femminili, il 29 aprile 2006 premierà con una
targa ricordo i 3 testi vincitori, e nominerà i 20 da pubblicare in un volume che verrà
presentato e messo a disposizione nelle biblioteche dei capoluoghi delle province italiane.
I testi vincitori verranno presentati o rappresentati dal “Gruppo di Lettura San Vitale” in
Letture e Spettacoli con accompagnamento musicale, in manifestazioni pubbliche
promosse dalla Provincia o da altri enti su tutto il territorio nazionale.
Il concorso è promosso da:
Regione Emila-Romagna - Provincia di Bologna - Comune di Bologna , Cultura e Rapporti
con l’Università / Scuola, Formazione e Politiche delle Differenze - Gruppo di Lettura
Quartiere San Vitale
In collaborazione con:
ORLANDO – Associazione di Donne
Tavola delle Donne Contro la Violenza
Per info: 051 346015/ 339 2048416 – www.gruppodiletturasanvitale.it
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ITALIA: Maschile, femminile e… scrittura creativa
La Biblioteca del Comune di Sommacampagna, Verona, organizza un laboratorio per chi
ama cimentarsi nell’arte dello scrivere condotto dalla giornalista Maria Marullo che dal ’97
si occupa quasi esclusivamente di scrittura creativa. Il titolo del laboratorio è “Il tema
degli opposti. Il dualismo. La notte e il giorno, il sole e la luna, l’Oriente e l’Occidente, il
cuore e la ragione”.
E, infine, il maschile e il femminile che è in ognuno di noi”. Il laboratorio è aperto a tutti.
Sarà possibile apprendere alcune regole di base della scrittura creativa, attraverso stimoli
e arricchimenti per continuare a coltivare il piacere del leggere e dello scrivere, entrambi
fonti di nutrimento personale e culturale.
Il laboratorio accennerà ad aspetti teorici per dar maggior spazio alla pratica e permetterà
di entrare in contatto con la propria voce interiore, lasciando scoprire la valenza della
scrittura come mezzo espressivo.
Il Femminile nella Storia dell’Occidente
Prosegue l'iniziativa “Il Femminile nella Storia dell’Occidente”, ciclo quattro incontri e uno
spettacolo teatrale su origine e sviluppo del pensiero femminile, organizzati dal Centro
documentazione donna presso la propria sede in via Canaletto 88 a Modena.
Sabato 28 gennaio 2006 si è svolta la conferenza dal titolo:
Maria signora delle genti – Il Femminile che salva.
Relatrice Nadia Lucchesi, scrittrice e filosofa e autrice del libro "Frutto del ventre, frutto
della mente. Maria Madre del cristianesimo" Tufani editore
Introduce Alessandra De Perini, esperta di Storia delle donne, dell'Associazione "Le
Vicine di casa" di Mestre
Il secondo appuntamento:
DALLE AMAZZONI ALLE STREGHE- IL DISAGIO FEMMINILE E LE RISPOSTE
ISTITUZIONALI DEL PREDOMINIO POLITICO MASCHILE
si terrà il giorno 4 febbraio 2006 alle ore 17.30 sempre presso la sede del Centro
documentazione donna in via Canaletto 88 a Moden
L’iniziativa “Il femminile nella storia dell’Occidente” è stata realizzata in collaborazione
con Rossana Roberti e Milena Nicolini del Gruppo Poesia Casa delle Donne di Modena.
Per informazioni:
Segreteria organizzativa Centro documentazione donna
Via Canaletto 88 41100 Modena
info: tel 059 – 451036; fax 059 – 451612; e-mail [email protected]
Presentazione del libro Vedove in Africa
In collaborazione con il Ministero per i beni e le attività culturali, la Comunità cristiana di
base di Oregina di Genova, ha presentato il libro “Vedove in Africa: libertà a carissimo
prezzo” frutto di una lunga ricerca di Femmis. Sono intervenute Fiorella Capasso,
presidente della Comunità Laici Missionari Cattolici, Peppino Coscione, coordinatore della
Comunità di base e con letture di Piera Filippine.
L’incontro si è svolto nella sala III della Biblioteca dell’Università di Genova.
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LO SCAFFALE
Federica Sossi
Storie migranti. Viaggio tra i nuovi confini
DeriveApprodi, 2005
€ 11,50 - pp.163
Storie migranti è un libro di racconti, ma è soprattutto un percorso che l'autrice ci
invita a fare cercando alcune delle trame più significative del nostro presente,
solitamente nascoste e non ascoltate.
Un viaggio, da est a sud, che inizia a Belgrado, tra le esistenze precarie dei tanti
rifugiati che la abitano, e si conclude in Sicilia. Lampedusa, l'isola degli arrivi;
Vittoria, il lavoro nelle serre tra ritmi infernali; Agrigento e altre città dei
richiedenti asilo; Portopalo e il più grande naufragio del Mediterraneo dalla fine
della Seconda guerra mondiale; l'eco della Libia e dei suoi campi di detenzione
nelle voci di chi è arrivato in Italia.
Alla fine di ogni racconto, una nota informativa rinvia al contesto in cui esso si
inserisce: le guerre dell'ex Jugoslavia, le normative sull'immigrazione, le leggi sui
richiedenti asilo, le deportazioni.
La storia delle migrazioni è storia di soggetti in movimento, i quali, per così dire,
fanno migrare o rendono migrante la storia. È dunque una pluralità composita e
irriducibile a unità di tante storie migranti, portate da donne e uomini diversi.
E quando la storia diventa plurale, la descrizione "una narrazione che si serve di
immagini, inseguendo l'impossibile compito di ridonarcela" è anche uno dei modi
più densi per riflettere su di essa.
Federica Sossi insegna Estetica all'Università di Bergamo. Tra i suoi libri: Nel
crepaccio del tempo. Testimoniare la Shoah e Autobiografie negate. Immigrati nei
Lager del presente, resoconto delle interviste svolte all'interno dei Centri di
detenzione.
20
Diotima
La magica forza del negativo
Liguori, 2005
€ 13,50 - pp.201
Ciò che si propone il libro è questo: dalla tendenza ad ignorare o a colmare o
ad esorcizzare il negativo, passare invece a pensare il lavoro che il negativo
riesce a fare, come sciogliere legami non liberi, sgombrare la mente da
costruzioni inutili, alleggerire la volontà da fardelli insensati.
Ci ha orientato una domanda: come possiamo impedire che il negativo che
c’è nelle nostre vite “vada a male”, si traduca cioè in qualcosa di
irrimediabilmente deteriore? Questa domanda viene declinata nel testo in
modi diversi.
Quando il negativo si lascia introdurre nel discorso, vuol dire che, poco o
tanto, è uscito dalla sua assoluta negatività e non pretende di trionfare da
solo. Allora, ha smesso di distruggere e sta al gioco del simbolico, fra
presenza e assenza.
Diotima
E’ una comunità filosofica femminile, nata presso l’Università di Verona nel 1984:
le donne che ne fanno parte, alcune interne altre esterne alle istituzioni
accademiche, sono accomunate dall’amore per la filosofia e dalla fedeltà a se
stesse. Diotima ha già pubblicato, presso la Tartaruga di Milano, Il pensiero della
differenza sessuale (1987), Mettere al mondo il mondo (1990), Il cielo stellato
dentro di noi (1992) e, presso Liguori, Oltre l’uguaglianza. Le radici femminili
dell’autorità (1995), La sapienza di partire da sé (1996), Il profumo della maestra
(1999).
21
Madri sole: sfide politiche e genitorialità alla
prova
Franca Bimbi (a cura di)
prefazione di Savino Pezzotta,
presentazione di Annamaria Parente
Edizioni Lavoro 2005
Le donne sole con figli costituiscono oggi un nuovo gruppo sociale,
particolarmente esposto ai processi di impoverimento e al limite della
marginalizzazione. Questo è quanto è emerso da un'indagine che ha spinto - circa
due anni fa - il Coordinamento nazionale donne della Cisl a occuparsi delle madri
sole.
La percezione delle donne impegnate nel sindacato unita alla riflessione su queste
tematiche di esperti ed esperte hanno dato luogo a una serie di iniziative nel
corso delle quali sono state affrontate diverse tematiche, strettamente legate ai
problemi della madri sole: povertà, lavoro di cura, sostegno alle madri lavoratrici,
scarsità di servizi alla persona, rigidità del mercato del lavoro, politiche fiscali
inadeguate, ruolo delle famiglie di origine, sistema di welfare.
Il volume, che riporta e illustra i risultati della ricerca, delinea - anche attraverso
interviste dirette - i problemi che una madre sola si trova oggi a dover affrontare
e costituisce una valida base per elaborare possibili risposte.
Il volume raccoglie contributi di Linda Laura Sabbadini, Simonetta
Simoni, Antonella Spanò, Rossana Trifiletti, Alessandro Pratesi,
Francesca Zajczyk.
.
l
22
35mmNEWS
SENZA DESTINO
Di
Lajos Koltai
Una storia scritta dal premio Nobel 2002, l’ungherese
Imre Kertèz, e portata al cinema da un premio Oscar più
volte mancato, Lajos Koltai.
Le musiche sono di Ennio Morricone, altro grande del
cinema
finora
ancora
escluso
dalle
statuette
dell’Academy.
Il manifesto è firmato da Oliviero Toscani, il maestro
delle campagne pubblicitarie provocatorie. Il film, poi, è
uscito nelle sale con Medusa in un venerdì molto
speciale.
Ci sono tutte le premesse per andare Senza destino, il
primo film da regista di Koltai, direttore della fotografia
di grandi pellicole, da Mephisto di Istvan Szabo a La
Leggenda del pianista sull’oceano di Giuseppe Tornatore, tratto dal romanzo "Essere
senza destino" (Feltrinelli).
Nel manifesto di Toscani il volto emaciato di un ragazzino è semi-coperto, imprigionato e
quasi marchiato da una grande svastica nera. Il ragazzino è l’attore Marcell Nagy che
interpreta Gyuri Koves, un giovane ebreo ungherese che nelle prime scene del film assiste
da spettatore incredulo e impotente alla partenza del padre verso l’Arbeitsdienst, il campo
di lavoro forzato. Alla domanda, perché agli ebrei venga riservato un simile trattamento,
Gyuri rifiuta la risposta religiosa dei suoi anziani vicini di casa, "questo è il volere di Dio".
Perché tutto questo dovrebbe avere un "senso"? Poco dopo anche lui sarà strappato via
dalla famiglia e dagli affetti, trascinato da Budapest ad Auschwitz e poi a Buchenwald.
Quella del piccolo Gyuri è la storia vera di Imre Kertèz, deportato nei campi di sterminio
nemmeno quindicenne. Pubblicato in Ungheria nel 1975, il romanzo è stato concepito e
scritto in dieci lunghi anni.
Fedele nell’impianto narrativo, il film, la più grande produzione ungherese di tutti i tempi
realizzata in coproduzione con altri paesi europei, come tanti altri racconti sulla Shoah
ripercorre il veloce e umiliante processo di disumanizzazione cui sono stati costretti gli
ebrei deportati, dal viaggio stipati nei treni come bestiame al lavoro massacrante nei
campi, fino alla solidarietà ma spesso anche alla lotta tra poveri per un preziosissimo
pezzo di pane.
Lo sguardo è quello curioso di Gyuri, un ragazzino vitale e ottimista, che riesce a trovare
anche nell’orrore dei campi di concentramento qualcosa, pochissimo, di buono. Tanto che,
una volta libero e di ritorno a casa nell’indifferenza e nella superficialità generale della
gente, riesce a dire, citando letteralmente il romanzo di Kertèz, che "persino là, accanto
ai camini, nell'intervallo tra i tormenti c'era qualcosa che assomigliava alla felicità. Tutti
mi chiedono sempre dei mali, degli 'orrori': sebbene per me, forse, proprio questa sia
l'esperienza più memorabile. Sì, è di questo, della felicità dei campi di concentramento
che dovrei parlare loro, la prossima volta che me lo chiederanno".
Recensione di Paolo Menzione
23
LA BACHECA
La giornata mondiale dell’acqua
Il 22 Marzo si festeggia non solo la Giornata Mondiale dell'Acqua, proclamata
dall'Assemblea delle Nazioni Unite nel lontano 1993, ma soprattutto il coronamento del
progetto “L'acqua è preziosa, risparmiala", realizzato da Istituto Oikos e finanziato con
400.000 euro da Fondazione Cariplo e Provincia di Varese.
Secondo i dati diffusi dal Presidente di Istituto Oikos Rossella Rossi, oltre 800.000
cittadini di 141 comuni della provincia di Varese sono stati sensibilizzati sul tema del
risparmio idrico attraverso un'efficace campagna pubblicitaria, curata dall’agenzia di
Oreste Borri, e il coinvolgimento degli enti territoriali.
I veri protagonisti sono gli oltre 10.000 studenti di scuole elementari e medie che hanno
aderito al progetto. Il 22 marzo presenteranno le loro campagne presso le postazioni
allestite da Istituto Oikos nelle piazze di Varese, Busto Arsizio e Gallarate, e inviteranno
gli adulti ad assumere comportamenti più responsabili nei confronti dell'acqua. I lavori più
belli saranno premiati con dei computer. Si segnalano eventi minori negli altri comuni
coinvolti.
Il sito ufficiale del progetto è
www.acquapreziosa.va.it
Istituto Oikos è una ONG di cooperazione internazionale che opera dal 1996 in Europa e
Africa per favorire la conservazione e la gestione sostenibile delle risorse naturali come
strumento di sviluppo sotenibile. www.istituto-oikos.org
Nasce la BANCA DEL CIOCCOLATO
Una banca per il sorriso e per la serenità. Addirittura, nel caso in cui ci si riuscisse, per il
buonumore. Da portare soprattutto tra i più indifesi per antonomasia: i bambini, ma
anche gli anziani negli ospizi, i disabili e i poveri. E' tanto scarna quanto nobile a livello
sociale la finalità della 'Banca del Cioccolato', progetto che ha visto la luce ufficialmente il
21 gennaio a Rimini, nell'ambito del 'Sigep', il Salone internazionale della pasticceria,
gelateria e della panificazione artigianali. Con l'aiuto di numerosi supporter, tifosi da
sempre del cioccolato, e di aziende di prim'ordine.
Il promotore principale dell'iniziativa si chiama Davide Ferrero (nessun legame con
l'omonima industria dolciaria), presidente di 'Chococlub', associazione degli amanti del
cioccolato, con base a Cuneo, attiva dal 1998 e supportata ad oggi da oltre 12 mila soci di
tutte le regioni italiane. ''Noi amiamo il cioccolato e il nostro umore migliora sensibilmente
ogni volta che mangiamo un buon cioccolatino. Preso atto di questo abbiamo avuto l'idea
di portare questo sorriso anche a chi finora non conosce le gioie del 'Cibo degli dei', o a
chi magari, per le ragioni più disparate, non ha mai pensato di gustarlo''. Del resto,
spiega, c'e' una base scientifica.
''Non a caso il cioccolato contiene feniletilamina, con marcate capacità antidepressive, e
teobromina, derivante dal nome latino dell'albero del cacao, in grado di facilitare la
produzione di endorfine, le quali diminuiscono la sensibilità al dolore, stimolando allo
stesso tempo una sensazione di benessere, quasi di euforia. Noi - spiega ancora Ferrero apprezziamo ormai da tempo il cioccolato, sia sotto il profilo culturale che goliardico. Ci
da' serenità, e dispiace che questa stessa sensazione non possa essere portata anche ad
altri, magari più bisognosi di noi''.
Una soluzione, viene specificato, e' venuta dalla presa d'atto della forte eccedenza
presente in questo settore, soprattutto da parte dei piccoli produttori artigianali, o anche
dagli errori delle imprese piu' grandi, ad esempio nel packaging. Quantità di prodotto che,
sommate, danno vita a una scorta significativa, che può essere distribuita ai più bisognosi;
attività che finora - sottolineano gli addetti ai lavori - e' stata fatta il più delle volte
nell'ombra. Le strade che prenderanno le scorte di cioccolato, anche se in questa prima
fase, sono state già individuate. Ad esempio l'Ospedale pediatrico di Cuneo (consegnato a
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medici interni che provvederanno a distribuirlo ai bimbi, soprattutto tra quelli in uscita), o
anche presso 'La piccola casa della divina provvidenza', meglio conosciuta come
'Cottolengo', ad Alba, sempre in provincia di Cuneo. Ma non solo: ad esempio, informano
altri associati all'iniziativa, molti pasticcieri liguri si stanno organizzando per far confluire i
prodotti all'Ospedale Gaslini di Genova.
Chococlub sarà accompagnato in questa avventura da Rimini Fiera, insieme al comune di
Diano d'Alba (in provincia di Cuneo, che ha avuto il merito per primo di mettere a
disposizione un locale per lo stoccaggio delle merci), e la Hymer, che ha contribuito con un
camper per la promozione dell'iniziativa. Ad accompagnarli anche produttori di prima fila
come ad esempio la Icam di Lecco, o la svizzera Lindt, disponibili a fornire prodotti, anche
non eccedenti; ma anche una ventina di agguerriti artigiani, attivi soprattutto in Liguria,
Piemonte, Valle d'Aosta e Lombardia, in attesa di trovare anche imprenditori generosi in
altre regioni dello Stivale. E i cioccolatieri della Confartigianato, promette il loro presidente
Silvio Bessone, non faranno mancare il loro sostegno. ''Noi - spiega - non siamo nuovi ad
iniziative di impegno sociale. E anche in questa occasione il cioccolato, amato da sempre,
da tutti e in ogni parte del mondo, si trasformera' in un prezioso alimento della solidarietà.
Sarà un'opportunità in più - sottolinea - per dare un valore speciale alla qualità dei nostri
prodotti''.
Da www.ansa.it
La maestra di sci più anziana di Italia: 86 anni
A ottantasei anni ha ancora la voglia e la forza di alzarsi all'alba, vestirsi pesante e
raggiungere le piste per insegnare ai più piccoli a sciare. Una passione nata da
giovanissima e sempre viva in Dorina Gaspard, classe 1919, originaria di Valtournenche e
ormai da anni residente a Milano con la famiglia, riconosciuta da tutti come la maestra di
sci "più anziana di Italia".
"Per il momento non ho nessuna intenzione di ritirarmi - spiega l' arzilla maestra - anche
perché la pensione non me la danno e quindi non ne vale la pena". A febbraio salirà a
Cervinia per fare alcune ore di lezioni, "ma solo ai miei clienti affezionati - spiega - che mi
chiedono di insegnare ai figli i rudimenti dello sci".
Dorina Gaspard è diventata maestra di sci nel 1933 e ha avuto come insegnante Leo
Gasperl, ovvero il principale animatore dello sci ai piedi della Grande Becca dagli anni '40
in poi. ''Grazie a Gasperl e ad altri personaggi di quell' epoca - continua Dorina Gaspard ho potuto imparare questa professione che mi ha dato grandi soddisfazioni.
Sia dal punto di vista professionale, sia da quello sentimentale, dato che nel 1948 al
Plateau Rosà ho conosciuto mio marito. E per tutti questi anni sono sempre rimasta fedele
a Cervinia, a parte qualche viaggio con i clienti nelle altre grandi stazioni sciistiche
europee come Saint Moritz". Gli inizi della carriera sono stati i più difficili, ma anche i più
belli. "Avevamo una grande passione per lo sci - osserva la maestra - ma facevamo una
vita terribile. Non c' erano auto o corriere, si partiva la mattina a piedi da Valtournenche
per salire fino al Breuil, e alla sera si scendeva con gli sci lungo la strada. Per scaldarmi,
mi fermavo a casa di mia sorella a metà percorso per fare un bagno bollente".
"Erano anni speciali - aggiunge - e, anche se c' erano meno clienti, l' ambiente era
cordiale, si andava tutti d' accordo". Fin dall' inizio della carriera Dorina Gaspard si è
'specializzata' nei bambini, "ma - sottolinea con un punta di orgoglio - ho sempre fatto
tutto, dalle discese sul Plateau Rosà fino al fuoripista". A quattro generazioni di una
famiglia di Milano (i Missaglia, che gestiscono un noto negozio di argento, cristalli e
porcellane in centro) ha fatto calzare sci e scarponi: all' ultima erede, di quattro anni, l'
'iniziazione' allo sci è avvenuta solo pochi mesi fa. Poi ha insegnato le tecniche della
discesa a tanti vip, come Gina Lollobrigida, il Principe Umberto, il Conte Rossi, mentre con
l'attore Carlo Pedersoli (in arte Bud Spender) è stato necessario un lungo stage nel
campetto per fargli apprendere i trucchi dello sci.
"E' un lavoro che mi è sempre piaciuto - prosegue Dorina Gaspard - e che ho svolto con
passione e professionalità, senza mai rubare i soldi ai clienti. Per questo arrivavo agli
appuntamenti con un anticipo di 15 minuti, ovvero il tempo di raggiungere le piste con gli
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impianti". "Negli anni '60 - ricorda ancora - avevamo tanti clienti, c' era un altro
ambiente, adesso i clienti 'buoni' sono stati persi, c' è più turismo di massa, ma va bene
così".
Da agosto Dorina Gaspard non fa più parte della scuola di sci del Cervino (che in estate l'
ha premiata e festeggiata per i 64 anni di attività): "Mi sono sentita trattata male da
colleghi più giovani - spiega - e mi è dispiaciuto molto lasciare la scuola. Ora sono una
maestra 'autonoma', lavoro solo con i miei clienti di fiducia". Per lei è arrivato il momento
di tirare fuori gli sci dalla cantina e di cominciare la sciolinatura: "Adesso non vedo l' ora
di tornare sulle piste - conclude - e di fare una bella discesa, magari fino a Zermatt. Lo
sa, lassù è bellissimo...".
Stop alla caccia alle balene
Smettere immediatamente di cacciare le balene. E' la richiesta che e' stata consegnata ai
ministri degli Esteri e della Pesca del Giappone da Italia, Argentina, Australia, Austria,
Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Lussemburgo, Messico, Nuova Zelanda,
Portogallo, Spagna e Svezia.
La protesta formale dei 17 Paesi riguarda l'aumento sconsiderato delle balene cacciate dal
Giappone che ne caccia piu' ora che nei 31 anni precedenti la moratoria, in vigore dal
1986. I governi fanno notare anche come il Giappone non abbia rispettato gli inviti a non
aumentare il numero di balene cacciate rivoltogli dalla Commissione Baleniera
Internazionale.
''E' importante che dopo le nostre azioni numerosi governi chiedano al Giappone di
fermare la caccia illegale alle balene nel Santuario dell'Oceano meridionale. Questa e' solo
la punta dell'iceberg della distruzione di un ecosistema. Un respiro su due che facciamo lo
dobbiamo agli oceani che danno al pianeta meta' dell'ossigeno'' afferma Donatella Massai,
direttore generale di Greenpeace.
Con il lungo viaggio della nave di Greenpeace, ''Esperanza'', che durera' 14 mesi e
tocchera' i mari dei 5 continenti, l'associazione chiede l'istituzione di una rete di aree
marine protette con una superficie pari al 40% degli Oceani. Il costo sarebbe di 12
miliardi di dollari l'anno, piu' o meno quanto si spende in profumi in Europa e Stati Uniti
nello stesso periodo.
Le navi di Greenpeace, ''Esperanza'' (con a bordo l'attivista italiana Caterina Nitto) e
''Arctic Sunrise'' continuano in queste ore ad opporsi alle baleniere giapponesi nelle acque
del Mar Antartico.
Premio impresa ambiente
Si è conclusa a dicembre la valutazione delle 88 candidature pervenute ad AeT-Ambiente
e Territorio, che ha curato la segreteria organizzativa del Premio Impresa Ambiente,
promosso dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, Ministero delle Attività
Produttive, Unioncamere e Camera di Commercio di Roma, e nato con l'obiettivo di
valorizzare l'impegno e promuovere le realtà italiane, private e pubbliche, che abbiano
contribuito concretamente a migliorare il rapporto con il loro contesto fisico e sociale
ottenendone un vantaggio anche imprenditoriale.
La Giuria, composta da autorevoli esperti del settore ed esponenti del sistema produttivo
e della ricerca, dopo un'attenta valutazione dei progetti presentati, ha selezionato i
vincitori di questa prima edizione.
Per la categoria Migliore Gestione, si aggiudica il premio la Sotral spa, di Torino,
selezionata dalla giuria per la capacità di evolversi da società di trasporto in un gruppo di
organizzazione della logistica connessa alla grande ristorazione, con spiccata propensione
verso lo sviluppo sostenibile delle proprie attività.
In questa categoria una menzione speciale è andata anche a Rime 1 srl di Roma, che ha
saputo, seguendo un preciso percorso di qualificazione e certificazione ambientale,
trasformarsi in pochi anni in uno dei principali centri di riciclaggio dei rifiuti edili, con una
riduzione fino al 90% dei conferimenti in discarica, e Asja Ambiente Italia spa di Rivoli
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(TO), candidata per il sistema di gestione integrato qualità/ambiente nella produzione di
energia elettrica esclusivamente da fonti rinnovabili.
Vincitrice per la categoria Miglior Prodotto è l'azienda Ecotoys srl di Cermenate (CO),
produttrice di giocattoli completamente biodegradabili, realizzati utilizzando un nuovo
materiale a base di amido di mais e coloranti di tipo alimentare. Premiata anche la scelta
dell'azienda di destinare un'aliquota del ricavato delle vendite ad una Associazione che
opera a tutela dell'ambiente.
Nella stessa categoria una menzione speciale, per il buon livello di innovazione tecnicocommerciale e la forte possibilità di sviluppo, è andata a General Beverage srl di
Pontremoli (MS), ideatrice di un sistema di distribuzione a consumo libero di bevande - da
utilizzarsi in grandi mense aziendali, scolastiche, universitarie e sanitarie - capace di
garantire un significativo abbattimento della produzione dei rifiuti, in particolare degli
imballaggi.
Tratto da www.vita.it
Legge per i disabili
“Il provvedimento approvato ieri sera (17 gennaio) e' di grande rilievo sociale ed assicura
ai disabili nuove difese contro ogni tipo di discriminazione". Così il ministro per le Pari
Opportunità, Stefania Prestigiacomo, ha commentato l'approvazione in via definitiva della
Commissione Giustizia del Senato in sede legislativa del disegno di legge governativo sulle
"Misure di tutela giudiziaria per i disabili vittime di discriminazioni" presentato proprio
dalla Prestigiacomo. "La legge - ha spiegato il ministro - si inserisce nel percorso avviato
in questi anni con altri provvedimenti e che punta a creare una efficace rete di tutele per i
soggetti svantaggiati della società. La nuova normativa garantisce alle persone disabili la
piena parità di trattamento in ogni settore della vita sociale, garantendo a coloro che
vengono discriminati, per motivi di handicap, quella particolare tutela finora prerogativa
solo di chi e' stato discriminato, per gli stessi motivi, nel mondo del lavoro. La procedura ha proseguito - che sarà possibile attuare in casi di discriminazione e' celere e snella.
Infatti, accanto alle forme di tutela ordinarie i disabili o le associazioni legittimate ad agire
potranno attivare la procedura prevista all'articolo 44 del Testo Unico sull'immigrazione e,
beneficiando degli effetti della cosiddetta 'prova presuntiva'. Sarà così possibile ottenere,
con una decisione della magistratura, il risarcimento del danno anche non patrimoniale e
la eliminazione degli effetti della discriminazione".
QUANTESTORIE, festival del libro per bambini
Sta per partire la seconda edizione di QUANTESTORIE, festival del libro per bambini e
ragazzi da 0 a 13 anni. Quest'anno si terrà dal 6 al 12 marzo in due diverse sedi: a Milano
e Sesto San Giovanni dove avranno luogo, all'interno della cornice del festival, la mostra
del “Giornalino della Domenica” di VAMBA e un'installazione di “Libri d'arte per bambini
provenienti dai musei di tutto il mondo”. L'organizzazione è a cura di Associazione
culturale Nautilus.
Proseguirà la collaborazione con AMREF a proposito di un progetto nato lo scorso anno:
nella prima edizione del festival era stato pubblicato un libretto dal prezzo di 1 euro, ‘Tu
leggi?', per la raccolta di fondi destinati alla costruzione di un'aula in Kenya. Un modo per
stabilire un legame ideale tra i bimbi del nostro paese e quelli africani. Ebbene il progetto
è andato oltre le aspettative e - grazie al finanziamento di Quantestorie - oltre all'aula si
sta proseguendo con la costruzione dell'intera scuola. Quest'anno quindi sarà proposto al
pubblico un secondo libro, con l'intento di portare a termine i lavori.
Quantestorie è un vero e proprio festival letterario pensato per i più piccoli, con un fitto
programma di eventi e incontri con autori e illustratori, e diverse iniziative culturali di cui
trovi anticipazione di seguito. Ogni appuntamento è a ingresso libero e gratuito per tutta
la settimana. Tutto il programma sarà presto online nel sito: www.quantestorie.org
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Partitura: Simone Weil
Questo scritto è un estratto della relazione tenuta dal Prof. Ivo Zizzola in
occasione di un convegno di studio organizzato dalle Acli di Bergamo il 1 Aprile
2005.
Ho sempre ritenuto un incontro che, a suo tempo, ebbi con
una giovane Simone Weil un incontro importante per la
formazione di sé, come donne e come uomini, ma anche
come persone di fede. Simone Weil è stata una donna
molto particolare del ‘900, radicatissima nel suo tempo e
con una incredibile percezione dell’eterno nel tempo e di
come questo incontro, tra tempo storico ed eterno, si
dovesse giocare nelle scelte delle persone. Dunque, una
donna molto radicata nel suo tempo e comunque capace di
suscitare un intenso interesse nei giovani di oggi.
Simone Weil è morta nel ‘43 e le mie studentesse che la
studiano oggi, la incontrano come una delle presenze più
forti, interessanti e più inquietanti e - cosa che mi
sorprende molto - assai più vicina di tante figure più
recenti e contemporanee.
E’ riuscita a segnare il tempo portando dentro una capacità
di ascolto dell’assoluto che entra nel tempo in un modo
tutto particolare e questo è proprio di grandi anime.
Questo però ci impedisce di presentare il suo pensiero, perché non è possibile fare ciò se
non parlando della sua vita. Tra l’altro, il pensiero di Simone Weil spesso si contraddice
nell’arco della sua intensa breve vita; essa non ha sostenuto stesse cose in tempi diversi:
è stata radicalmente pacifista, ma sotto la pressione della forza del nazismo ha criticato il
suo pacifismo, senza negare il suo grande desiderio di pace.
E’ stata militante nelle formazioni sindacali dell’estrema sinistra francese, ma dopo un
viaggio in Germania e dopo una conoscenza ravvicinata del regime comunista sovietico, si
è allontanata ed ha pesantemente criticato la condotta dei partiti comunisti occidentali e
l’esperienza comunista del socialismo realizzato, arrivando a cogliere alcuni punti critici
profondi nello stesso marxismo, sostenendo che l’alienazione a cui porta il regime di
fabbrica non è legata alla proprietà dei mezzi di produzione, ma è legata proprio al
sistema fabbrica, al tipo di umanità che il sistema della fabbrica fordista degli anni ‘30
imponeva: un sistema profondamente disumanizzante, che impedisce di pensare. Un
modo di lavorare che ti porta via 10-12 ore al giorno, durante le quali tu non devi
pensare, non devi avere relazioni con altri.
Simone Weil dice che questo sistema, Marx non è stato capace di elaborarlo e ha spostato
il problema sulla proprietà, ma pur cambiando la proprietà, questa contraddizione resta.
Come fare a umanizzare una relazione tra gli uomini che diventa una relazione tra
macchine, che diventa pura relazione di utilità, di efficienza e necessità soltanto e non più
libertà? Questo è un problema antropologico profondo, bisogna inventare un lavoro
diverso da un lato e, dall’altro, bisogna essere capaci di costruire relazioni tra le donne e
gli uomini che sappiano tenere dentro la sofferenza della fatica e della prova, per farne
una occasione di contatto con l’assoluto, di liberazione, da una vita che sia concentrata
soltanto sul tempo presente.
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E’ questo un richiamo ad inserire una dimensione spirituale, ad accettare la grazia dentro
la necessità, non però per sfuggirle, ma per viverla come il luogo della redenzione
attraverso la fatica, la prova, l’oppressione.
Certo, l’ideologia marxista ha messo in evidenza una delle categorie più importanti che
anticipava per certi versi la riflessione di alienazione che noi troviamo nella Centesimus
Annus di Giovanni Paolo II°: questo Papa tanto critico verso i regimi comunisti, non ha
problemi a recuperare la categoria del giovane Marx come categoria che ci aiuta ad
analizzare cosa succede nell’umano dentro questo modo di lavorare, di fare l’esperienza centrale per l’uomo - del lavoro, l’esperienza della trasformazione e della coordinazione
del mondo perché esso sia abitabile per tutti in modo giusto. (…)
Muore nel ‘43, lei che era nata nel 1909, attraversando tutto il secolo, scrivendo molto più
di quanto hanno scritto longevi filosofi e scrittori del ‘900, senza pause almeno due ore al
giorno: per lei è un obbligo per l’anima, il suo nutrimento, serve a mettere a punto i
pensieri, a partecipare alle vicende del mondo.
Da giovane laureata, ospiterà nella sua casa Lev Trockij per tre giorni e due notti e
discuterà continuamente con lui, lo contesterà punto per punto sul progetto che stava
cercando di realizzare, ma anche sulla sua posizione critica rispetto a Lenin e poi a Stalin.
Trockij la contesterà per il suo disaccordo su tutto, chiedendole se, per caso, non facesse
parte dell’esercito della salvezza, troncando così ogni rapporto.
Simon Weil piano piano riprenderà a pensare attorno al tema dell’oppressione sociale e
della libertà, in modo molto attento e radicale; lascerà la partecipazione politica diretta,
ma la passione per la politica si manterrà sempre, rifletterà sul perché delle crisi delle
democrazie europee, sul motivo per cui i totalitarismi che ospitano il razzismo sono nati
nel cuore delle democrazie in Europa e sul come ciò sia stato possibile, da quale esercizio
di libertà, da quale bisogno di totalità sono nati - da dentro le democrazie - i totalitarismi
nazista, fascista e franchista, tutti col segno del razzismo, dell’annientamento totale di
una parte.
Tutto questo non rende certo meno intollerabile il totalitarismo stalinista, però segna una
differenza di cultura, sono due deliri diversi, bisogna comunque ricordare che uno è nato
dalla democrazia, dal cuore della politica liberale e democratica e fa tener conto delle
responsabilità delle religioni e gliela assegna, non solo per non avere promosso una
responsabilità che facesse da barriera, ma addirittura per avere cooperato a creare una
visione di perfezione nel tempo troppo piena, che ha potuto essere secolarizzata nel
desiderio della purezza totale nel tempo.
Guai, se non si salvaguarda lo scarto tra tempo ed eterno, se quella di Dio non è
radicalmente una attesa, ma è un possesso: le religioni nel possesso di Dio appoggiano il
totalitarismo, negano quel necessario dramma che è dell’esperienza della fede, che è
quella della distanza da Dio, che si riesce a sopportare quando si coglie di essere amato e
si soffre quando si risponde a questa iniziativa.
In un testo di Simone Weil “Attesa di Dio” c’è una riflessione struggente sul Padre Nostro
e poi un altro libro di frammenti “L’ombra e la grazia” in cui si coglie la dimensione della
grazia che si dà dentro l’ombra: non puoi pensare di uscire dall’ombra della tua vita e di
lì, da solo, conquistare la grazia. No, è la grazia che viene a trovarti, lì dove sei.
Simone Weil vive negli anni del personalismo, dell’esistenzialismo, con Sartre da una parte
e con Mounier, filosofo cattolico e il suo personalismo religioso dall’altra; eppure in questi
anni essa prende una distanza netta da questi pensieri, anche quelli positivi sulle persone
e dice che in ogni essere umano c’è qualcosa di sacro, ma non è la persona, neppure la
persona umana, è Lui, nella sua singolarità, semplicemente, in questo corpo che ha una
storia, anni di vita.
Purtroppo, contro l’oppressione non c’è una via di mezzo, non c’è zona grigia possibile: o
per la pace o per la guerra, o per la giustizia o per l’ingiustizia, o per il rispetto o contro il
rispetto, o nell’aridità o in attesa dell’assoluto. I gesti allora diventano gesti che portano
sempre una traccia simbolica: Simone Weil elaborerà una riflessione sull’azione; nel ‘900
l’azione è di tipo politico, l’azione che trasforma, l’azione rivoluzionaria; l’Action francaise,
movimento politico di destra è il mito dell’azione nei totalitarismi, nelle ideologie così
come è il mito dell’azione a ritrovarsi nel capitalismo fordista.
Simone Weil dice che è l’azione che non cerca il fine ad esprimere l’uomo, l’azione che si
sospende, l’azione non agente, l’azione che si fa cura e indicazione di una traccia,
ospitalità di una chiamata alla verità e all’assoluto. Un’azione che non cerca l’efficacia, se
non nel suo rivelare cosa di umano si sta giocando qui, in questo momento. E cosa si sta
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giocando di umano oggi, sul fronte della guerra? L’eccezionalità di Simone Weil è in
questa sua capacità (e solo di altre donne del ‘900 e rarissima negli uomini) di essere
all’interno dei grandi conflitti e delle contraddizioni del loro secolo, con la loro presenza,
esposte alla sofferenza. Il loro pensiero non ha provato a fare ordine nel mondo,
astraendosi, ma è stato un pensiero recettivo, come forse una sorta di ciotola che
provasse a tenere dentro la vita, soprattutto quando la vita era la vita dei vinti, di chi
soffriva, in una ricerca dei luoghi dove la vita era più difficile, provata, contraddetta e
schiacciata. Lì, dove devi andare a cercare cosa resta dell’umano, della storia possibile, il
tuo pensiero è forzato a farsi sguardo e forma di salvaguardia: in francese sguardo si dice
“regard”, che significa anche riguardo, cura, accoglienza, capacità di preservare.
Il pensiero come sguardo che non si cura troppo delle coerenze logiche interne, che però
ha bisogno di fare riferimento a dei pensieri forti proprio perché si sospende nel giudizio e
sa che gioca una responsabilità fortissima. Pensare “in presenza” a partire dal cuore,
senza idealizzare, senza ridurre la realtà a concetti è un pensiero che allora è stato
capace di svelare le miserie della modernità, le culture della forza, della totalità; le culture
della religione, contro le esperienze della fede. “Cuori pensanti. Hanna Arendt, Simone
Weil, Edith Stein, Maria Zambrano” (ed, tre Lune, Mantova, 1998) è un libro che raccoglie
una serie di saggi su queste figure: vi sono stati cuori pensanti, ma proprio per questo i
pensieri non erano relativi, erano duri, forti, perché erano richiami alla responsabilità.
Quando Simone Weil lavorerà alla Renault, nel ‘34-35, scriverà un diario (“La condizione
operaia” con la post-fazione di Gian Carlo Gaeta che merita di essere letto): uno scritto
tormentato, pesante con momenti lirici bellissimi in cui dice che, in fondo, la fabbrica non
riesce a negare del tutto l’uomo che è in gioco nelle vicende di uomini e donne che sono
operai lì dentro, perché basta a non avvelenare del tutto che noi ci scambiamo un
sorriso, uno sguardo di attenzione, che può diventare pericoloso, perché lei stessa si è
ustionata il braccio, non prestando attenzione a quanto stava facendo, per guardare il
viso di un compagno di lavoro.
Simone Weil pensa che si dovrebbe riuscire ad inventare una modalità per cui questi
semplici atti non siano negati, ma diventino il modo di lavorare, così come si dovrebbe
inventare un altro modo di usare i beni, di rapportarsi tra noi e questo è il massimo di
partecipazione tra noi dentro la guerra, dentro il conflitto sociale, dentro la politica.
Simone Weil è stata in primo piano: si schiera con il Fronte Popolare, soprattutto con le
sue componenti umanistiche, quali Leon Blum, grande umanista, capo del Governo che
ascolta, che incontra le persone. Questi “cuori pensanti” hanno sempre pensato le forme
di una responsabilità verso il mondo e sono sempre stati mossi da una passione per
capire: hanno sempre sostenuto e visitati i luoghi della sofferenza, per leggere il mondo e
da lì hanno scelto dove stare, perché era giusto starvi, ma anche perché solo da lì si
poteva capire cosa si giocava dell’uomo e il rapporto che c’è tra l’ombra e la grazia, tra la
forza subita e il riscatto e la redenzione.
Simone Weil è stata tra le pensatrici quella che, più di tutte le altre, ha pensato da sola:
ha pensato con la sua testa, da dentro la sua vita così ricca di relazioni, di incontri, di
passione. Va a combattere in Spagna durante la guerra civile, lei pacifista va a
combattere nella colonna degli anarchici, quella meno segnata dall’ideologia, in cui la
passione era immediata, il bisogno di giustizia tale e quale. Pur avendo sempre
condannato la guerra, va al fronte, e questo è contraddittorio, comunque ci va e spara,
salvo poi essere rispedita in Francia dopo aver messo un piede in una bacinella di olio
bollente.
Simone Weil dice che quando il male e la pressione della forza si scatenano, tu non puoi
restarne fuori e anticipa una riflessione che svilupperà più tardi e che si trova nei
quaderni dell’ultimo periodo di Marsiglia. Quando scoprirà di essere ebrea (come succede
a tanti ebrei europei durante la persecuzione nazista) rifiuterà le proprie radice ebraiche,
le viene comunque tolto l’insegnamento e, con la famiglia, fugge nella Repubblica di
Petain di Vichy, poi a Marsiglia, da dove partirà per New York sempre con la famiglia. E’
questo uno dei momenti più importanti della sua breve vita: studia tantissimo, si avvicina
ulteriormente al cristianesimo, decide di non farsi battezzare.
A un amico domenicano (volumetto “Lettere a un religioso”) spiega che lei non potrà mai
farsi battezzare, perché se lo facesse varcherebbe una soglia e si impedirebbe di
incontrare -su quella soglia - tantissima parte dell’umanità. Lei invece si sentiva chiamata
a restare sulla soglia da Cristo, perché non la separi il gesto della appartenenza religiosa
al resto dell’umanità disorientata che fa fatica a cercare la verità.
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Dunque rifiuta il battesimo e, dopo aver studiata tutta la filosofia greca, studia la
Bhagavadgita, il pensiero orientale e trova lì la spiegazione delle scelte che aveva fatto
qualche anno prima, partecipando alla guerra di Spagna. Cita il racconto di Argiuna, per
cercare di capire il senso della capacità di ospitare l’eterno nel tempo, solo entrando nel
tempo e nelle sue contraddizioni e subendone la pressione, compreso il dominio della
forza. Argina grande sovrano indiano buono, giusto, che viene sfidato alla guerra dal
sovrano del regno vicino. Argiuna non vuole la guerra che sa portatrice di desolazione e
morte, ma dopo essersi consultato con Krishna, scenderà in guerra, cercando l’azione non
agente, evitando lo sterminio del nemico e paradossalmente cercando la pace, soffrendo
di ogni morto nemico. Qqesto per Argiuna è l’unico modo giusto di fare la guerra.
Per Simone Weil occorre lasciare libero gioco alle proprie facoltà di azione e di sofferenza.
La virtù come azione è la capacità di vivere l’azione così, cioè un’azione che non ti separi
dagli altri uomini e dalle altre donne, ma che serbi il desiderio di verità e di assoluto che è
nel cuore di ogni uomo e che noi serbiamo soltanto gli uni grazie agli altri. E’ per questo
che le azioni sono importanti, non possiamo preservare questo ognuno per conto suo, è
un agire secondo perfezione - come dice lei - e non secondo le regole, le logiche del
mondo, le razionalità.
C’è un tema assai importante che possiamo considerare, il tema dell’attenzione, dove noi
cogliamo, nella necessità la libertà, nella pressione della forza lo spazio della perfezione
dell’eterno; lo cogliamo nello spazio che riusciamo a fare attivando la facoltà di
attenzione. Quando Simone Weil parla di “attenzione” non vuol dire concentrazione su
qualcosa, non è un movimento che porta a lasciar perdere tutto concentrandosi su una
cosa: si sceglie già quando ci si concentra. L’attenzione invece è quel movimento che
permette di essere del tutto recettivo, per ciò che sta dicendo la vita, per ciò che sta
gemendo o fremendo della vita in quella situazione. Per cogliere ciò che geme nella vita,
ci si deve annullare e per quanto è possibile, fare silenzio, abbandonare le proprie
intenzioni, la propria sensibilità che cerca e desidera e deve desiderare l’assolutamente
altro e non i propri desideri; ci si deve esporre quasi in una sorta di nudità, di ritrazione
che ricorda - dice Simone Weil - quell’atto di de-creazione che ha permesso la vita.
L’attenzione è quella facoltà che rende capaci di sguardo, di non attaccamento, di non
possesso: attenzione è fedeltà, anche a se stessi nel cogliere in sé la chiamata all’azione
perfetta, la chiamata all’assoluto, al gratuito, al dono, che Simone Weil non chiama mai
dono, ma chiama capacità di una trasparenza che ci può arrivare grazie a quel Dio che si
attende e che spesso si fa attendere.
Se si è capaci di attenzione il mondo entra nell’anima con la sua bellezza ed entra nel
corpo con la sofferenza. Bellezza e bellezza sono affratellate - bisognerebbe dire
assorellate - nel corpo e nell’anima e, se questo mondo si accogli così, è proprio quel
mondo permesso dall’atto di amore di creazione e de-creazione di Dio.
Essere capaci di attenzione alla vita come è, non negando la durezza, l’ambivalenza, la
violenza, la sofferenza, la mortalità, ma assumendoli e cogliendoli come strada che
permette di guadagnare anche l’altro, compresa quella bellezza che si svela tutte le volte
che si riesce a compiere un atto di giustizia, il riconoscimento dell’altro, la contemplazione
della bellezza dell’altro.
E’ l’ultimo grande lascito di Simone Weil quando, fuggita con la famiglia da Marsiglia, va a
New York e studia tantissimo, anche il folclore americano, va nelle chiese battiste dove si
cantano gli spirituals, tanto che il fratello arriva a dire che se Simone avesse potuto, si
sarebbe fatta nera, per condividere fino in fondo quello che i neri stanno vivendo prima di
Luther King e di Kennedy, ovvero un razzismo spietato, reso ancora più spietato da una
situazione di guerra e di povertà.
Simone Weil coltiva comunque l’esigenza di tornare in Europa ed essere sul fronte della
sofferenza e fa di tutto per arrivarci: conosceva Schuman che partecipava al Governo
francese in esilio con de Gaulle a Londra, gli scrive finché lo convince a ospitarla a Londra
e saluta i genitori come fosse l’ultima volta che li vede (e sarà proprio così) e collabora con
il governo francese in esilio.
Schuman conosce bene il suo valore, non la mette a fare l’impiegata e, tanto meno, la
farà paracadutare come infermiera in prima linea; Simone Weil ha comunque già deciso pur con un fisico già molto provato - di non mangiare un grammo di più di cibo di quello
delle razioni dei soldati al fronte ed essendo lei molto malata, quella scelta aumentava il
peso delle patologie che già portava. Lavora giorno e notte mangiando pochissimo e
scrive ciò che verrà raccolto ne “La prima radice”, le prime riflessioni sulle Costituzioni.
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“Le Costituzioni delle democrazie non hanno retto la sfida del totalitarismo prima e, di
sicuro, quelle che lo hanno retto, non hanno retto la sfida della guerra; c’è qualcosa che
non funziona: quelle costituzioni affermavano i diritti dell’individuo, dobbiamo costruire
delle Costituzioni cambiando i preamboli, dove i preamboli sanciscano le obbligazioni
verso l’altro uomo.”
Dobbiamo fondare delle convivenze non centrate sui diritti dei singoli e dei gruppi, ma
centrate sulle obbligazioni verso gli altri; il diritto non esiste, se non come riconoscimento
di altri per sè. Io posso aver obbligato un altro a riconoscerlo per me, posso avere fatto
un contratto utilitaristico perché sia conveniente che io rispetto il tuo diritto e, in cambio,
tu rispetti il mio, ma questo non è più sufficiente, bisogna costruire un sistema dei diritti
che parta dalle obbligazioni.
Simone Weil intuisce (siamo nel 1943) quello che sarà il destino di un mondo sempre più
interdipendente, chiamato nella necessità di costruire un diritto l’uno dell’altro, l’uno per
l’altro e non un diritto di singoli e di gruppi; solo su un diritto al plurale, un diritto
relazionale, regge l’estrema vicinanza, la tentazione della violenza della distruzione, la
degenerazione delle competizioni, gli utilitarismi.
Dobbiamo tornare a radicare la convivenza da sradicati, perché da sradicati possiamo
radicarla non tanto su tradizioni o radici del passato, dobbiamo radicarla in ciò che
auspichiamo l’uno per l’altro, in una sorta di impegno nel futuro possibile e forse non ci
distruggeremo, l’umanità sarà ancora preservata. Una umanità della com-passione, una
umanità che torna ad essere comune famiglia umana, al di là dei radicamenti che si
scagliano gli uni e gli altri, ma ri-leggendoli in un radicamento più originario ancora:
siamo affidati gli uni agli altri, siamo chiamati alla verità del nostro essere, siamo tutti figli
e figlie nella necessità di legarci.
Sergio Quinzio, commentando queste pagine, sottolinea questa incredibile capacità
profetica: da un lato la grande radice ebraica nella pietà e nella compassione. Infatti non
c’è nulla di più ebraico nel richiamo all’affratellamento compassionevole, pietoso nella
capacità di soffrire per le vittime degli altri e non solo per le proprie. Nello stesso tempo
nulla di più cristiano di questa capacità di affidamento tra simili e quindi, implicitamente,
alla chiamata, alla buona promessa di un uguale padre. Da soli non si avrebbe radici
sufficienti, non ci sarebbe capacità di attesa sufficiente, da soli può darsi che il male
prevalga, ma se figli dello stesso padre, la fiducia è possibile. Bisogna però essere capaci
- nei gesti - di ospitare l’assoluto, di essere attenti, di cercare la verità. (…)
Noi scopriamo il sacro che c’è in noi se avvertiamo uno sguardo sulla nostra vita, spesso è
uno sguardo d’altri, o uno sguardo che viene da una situazione o dal modo in cui si sta
attraversando una prova: ti viene così svelato che sei abitato dalla grazia e questo non lo
puoi cogliere da te stesso e nemmeno attraverso un messaggio. E un incontro che te lo fa
cogliere, non una dottrina e in questo la differenza del cristianesimo, che Simone Weil
sottolineava. Diceva un suo amico prete marsigliese di non avere incontrato nessuno più
legato a Cristo di Simone Weil e, pur soffrendo per il rifiuto di lei al battesimo, era
comunque pacificato (..)
Il radicalismo di Simone Weil non cerca la costruzione dell’esperienza esemplare più
giusta di altre, ma sta profondamente dentro le contraddizioni del tempo presente. Per lei
il valore della politica è quello di essere l’attività che ti obbliga - più di altri - a calarti nelle
necessità e nelle contraddizioni, che è poi la condizione per sentire fino in fondo la
condizione umana nella sua ambiguità, ma anche nella sua bellezza.
La politica, che è una delle passioni di Simone Weil, nei suoi trentaquattro anni è
quell’attività che non ti fa prendere le distanze dalla contraddizione e quella non è la sua
negatività, questa è la sua positività, proprio perché non ti fa prendere le distanze dalla
contraddizione dei gesti. (..)
Il tempo presente, le donne e gli uomini hanno bisogno di noi ora, scrive Simone Weil, non
si può attendere il tempo opportuno; è questo il tempo opportuno, è il tempo delle grandi
contraddizioni dentro le grandi contraddizioni, però dobbiamo essere come l’acqua; l’acqua
incredibilmente capace di piegarsi dentro tutte le fessure della realtà e di farsi plasmare
da essa.
Quando io penso alla storia delle ACLI e penso sempre alle facce di donne e uomini delle
ACLI e alla incredibile fortuna di aver attraversato questa storia, la penso proprio perché
ha dentro questo radicalismo della ferialità e ha dentro le storie delle mani dei minatori di
cui parla Simone Weil, che sono le facce di tutti i circoli, delle zone, della formazione
professionale, di tutta la fatica che si è fatta; fare pienamente e solo questi gesti fedeli di
non separazione e, allo stesso tempo, cercare lì dentro l’attesa di libertà e di giustizia e
anzi, vederla già lì, è propria delle ACLI, è specifica delle ACLI e non di altri movimenti.
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In questo mi sembra che Simone Weil possa essere fecondamente incontrata davvero.
Simone Weil, incontrando Trockij, gli chiedeva se avesse mai lavorato in fabbrica e, alla
risposta negativa (lui aveva studiato), lei lo invitava a farlo, se voleva capire qualcosa
degli operai. Sembra una banalità, ma nell’avventura profonda di quei corpi sofferti, di
quegli affetti, di quelle psicologie, cosa capirai mai, se non fai la stessa esperienza?
Ricordo compagni della mia generazione che lavoravano e andavano all’università, ricordo
i preti operai, ricordo questo bisogno di materialità che era la fedeltà provata sul proprio
corpo, non raccontata dai sociologi, non studiata, ma vissuta in prima persona.
Partitura è uno spazio nuovo che viene riservato alla creatività.
Uno spartito musicale nel quale vorremmo far vibrare quell’armonico
connubio di pensiero e sentimento che da sempre le donne hanno
saputo comporre realizzando opere artistiche di cui tutti e tutte oggi
possiamo felicemente goderne.
Racconteremo di scrittrici, poetesse, filosofe che abbiamo amato, letto
e riletto. Ma vorremmo lasciare aperto lo spazio anche alla libera
creatività che scorre in noi e che a volte si tramuta in scritti, racconti e
poesie composte forse in modo casuale e spesso lasciate cadere nel
cassetto, ma che dal silenzio potrebbero emergere e vibrare in tutta la
loro originalità e…stupirci.
Questa scelta che ci auguriamo possa avere rispondenza è un’occasione
che vogliamo mettere a disposizione per le donne del coordinamento e
per chi abbia desiderio di donarci un suo scritto.
Simona Lattarulo
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