III DOMENICA DI PASQUA - ANNO A

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III DOMENICA DI PASQUA - ANNO A
III DOMENICA DI PASQUA - ANNO A La condanna a morte di Gesù e la sua crocifissione hanno spento ogni speranza che fosse lui il
liberatore. Ai due discepoli che da Gerusalemme tornano tristi e avviliti a Emmaus non rimane che
il ricordo e il rimpianto, rinnovato dal racconto dei fatti a quel compagno di viaggio –Gesù in
persona- che cammina con loro ma che essi non riconoscono. La fede è messa alla prova. Per questi
due discepoli Gesù Nazareno non poteva essere vivo, avendo subìto la passione e conosciuto la
sepoltura. E’ l’obiezione di sempre: un Messia condannato a morte, un’esistenza segnata dalla
sofferenza e dall’ignominia non sembrano entrare in un disegno divino di Vita e di Bene. Il Gesù
che cammina conversando con due poveri uomini su una strada di terra battuta è l’espressione del
Gesù che cammina a fianco dell’umanità intera per le vie del mondo, anche se l’umanità è distratta,
non ci pensa, parla d’altro e non lo riconosce. Gesù è veramente tra noi ma questo è ancora inutile e
vano perché non ci accorgiamo della sua presenza, perché i nostri occhi sono incapaci di
riconoscerlo. Come possiamo riconoscerlo? Come possiamo accorgerci della sua presenza?
Anzitutto attraverso la Parola di Dio. E’ nell’ascoltare Gesù che spiegava le Scritture che il cuore
dei due discepoli cominciò a riscaldarsi piano piano e ad accoglierlo perché la Parola di Dio
contiene Lui, è carica della sua forza e della sua vita. E’ importante ricercare Gesù nella sua Parola
che è il Vangelo. L’incontro vero però, l’aprirsi gli occhi dei discepoli, il capire, è riservato a un
altro momento più intimo: quello della comunione in cui ci si siede a tavola con Gesù e lui non dà
più solo la sua parola, ma tutto se stesso nascosto in un pezzo di pane. Gesù si riconosce nello
spezzare del pane. Il sacramento illumina la parola e si fa unità e luce; si è fatta l’esperienza di Gesù
e della sua presenza anche se non sempre folgorante. Ai due discepoli di Emmaus mano a mano
che la fede si risveglia porta la gioia che più tardi li fa esclamare: “Non ardeva forse in noi il nostro
cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?” (Lc 24, 32).
L’eucaristia di ogni domenica ci fa fare questa esperienza, eppure dobbiamo riscontrare che i nostri
occhi non sempre si aprono, il nostro cuore non arde, ma anzi rimane pesante. Noi non
riconosciamo il Signore allo spezzare del pane forse perché a nostra volta non spezziamo il nostro
pane con i fratelli. I discepoli di Emmaus non avevano ancora riconosciuto che colui che
camminava con loro era Gesù, eppure lo invitarono a dividere il loro pane, lo ospitarono nella loro
casetta preoccupati per quel forestiero che si trovava in strada mentre stava calando la sera e il
giorno tramontava: “Resta con noi”. Fu questo gesto di ospitalità che dispose il loro cuore a
riconoscerlo. Dovremmo anche noi nella vita sforzarci di spezzare il pane, cioè condividere la gioia,
dare la nostra attenzione e il nostro perdono. E se poi ci capita di incontrare un fratello che è
veramente nel bisogno e che ha fame, dobbiamo condividere con lui anche il pane materiale;
dobbiamo cioè riacquistare l’attenzione verso i bisogni dei poveri. Gesù ha scelto di restare con noi
fino alla fine del mondo e di farsi riconoscere da noi in questi tre ‘luoghi’: nella sua parola, nello
spezzare il pane e nei fratelli.
Sorelle Clarisse S. Micheletto