047 MGZ

Transcript

047 MGZ
Il
Magazine
ANNO
5, N. 47, DICEMBRE 2011
(INCLUSO
NEL GIORNALE DELL’AR-
CHITETTURA. NON VENDIBILE SEPARATAMENTE)
dell’
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA
ARCHITETTURA
I PRIMI CENTO
© THEO DEUTINGER E BARBARA WEINGARTNER
La mappa mondiale del potere in architettura
ADJAYE ■ AISH ■ ANDO ■ ARAVENA ■ ARUP ■ BAAN ■ BALMOND ■ BAN ■ BERGDOLL ■ BOERI ■ BOKOV ■ BOTTA ■ BOUMAN ■ BURDETT ■ CALATRAVA ■ CHANG ■ CHILDS ■ CHIPPERFIELD ■
CLEMENT ■ HAFEZ CONTRACTOR ■ CORREA ■ DERAKHSHANI ■ FARRELL ■ FEHLBAUM ■ FOSTER ■ GHERY TECHNOLOGIES ■ GHERY ■ GLANCEY ■ HADID ■ HARBER ■ HERZOG ■ HERZOG & DE
MEURON ■ HOK ■ HOLL ■ IBELINGS ■ INGELS ■ INGENHOVEN ■ JUN ■ KE ■ KÉRÉ ■ KIMMELMANN ■ KOHN PEDERSEN FOX ASSOCIATES ■ KOOLHAAS ■ LIBESKIND ■ LU ■ LYNN ■ MAYNE ■
MAZZANTI ■ MEHROTRA ■ MEIER ■ MONEO ■ NIEMEYER ■ NOUVEL ■ OBRIST ■ OSAE-ADDO ■ PELLI ■ PERRAULT ■ PIANO ■ ROGERS ■ ROJ ■ RUTTEN ■ SAFDIE ■ SASSEN+SENNETT ■ SCHLAICH
■ SEJIMA ■ SEN KEE YIM ■ SINCLAIR ■ SOBEK ■ SORKIN ■ SPEER ■ SRI PRAKASH ■ STARCK ■ STUDIO MUMBAI ■ TABANLIOGLU ARCHITECTS ■ TCHOBAN ■ TJUPDI (SHANGHAI TONGJI URBAN
PLANNING & DESIGN INSTITUTE) ■ URBZ ■ VAN BERKEL ■ VINOLY ■ VON GERKAN ■ XIAODU ■ YANSONG ■ YEANG ■ WEIWEI ■ WS ATKINS & PARTNERS ■ ZARDINI ■ ZUMTHOR ■ AECOM,
AEDAS, GENSLER, NIKKEN SEKKEI, IBI GROUP, P&T ARCHITECTS AND ENGINEERS, PERKINS & WILL, RMJM, BDP, RSP ARCHITECTS ■ KEO INTERNATIONAL, DEWAN ARCHITECTURE, WOODS BAGOT
I 100 numeri del
«Giornale dell’architettura»
Un giornale serve per sapere.
Sapere serve per capire. Capire serve per agire
2 | IL MAGAZINE DELL’ARCHITETTURA
simo, restituirà un indice davvero suggestivo per autore, e allora l’importanza di questo processo sarà un po’
più misurabile.
La critica. Bertold Brecht scrive che per conoscere bisogna prendere posizione. Il Giornale ha cercato di creare uno spazio in cui le opinioni potessero confrontare la
loro posizione in maniera esplicita. La critica come esercizio di confronto funziona solo se chi critica accetta il
contraddittorio. Troppo spesso la critica è diventata nei
dieci anni di vita del Giornale appartenenza (è certo non
solo per l’architettura). Si è arrivati, in un paradosso certamente involontario, a promuovere da un lato riviste in
cui la veridicità è garantita da protocolli, dall’altra ad
alimentare riviste «d’autore», riconducibili a vere e proprie concezioni del mondo.
L’educazione alla critica è trapassata da Socrate alle più
terrene raccomandazioni sull’educazione universitaria
della Comunità europea. Sapersi conservare terreno di
confronto non significa pretendere un’assurda neutralità. Significa, anche per non prendersi troppo sul serio,
non ridurre il Giornale in un goldoniano campo di baruffe chiozzotte.
I due corollari sono anche i due punti più critici di questi cento numeri. Un Giornale dell’Architettura non
può esistere se, dopo aver dato spazio alle tante culture che fanno dell’Architettura una delle
più meravigliose avventure dell’uomo, non cerca un suo modo di dar spazio al progetto e alla
cultura progettuale: sarebbe rimanere spettatori di un
interminabile En attendant Godot.
Il Giornale ha scelto la strada del «progetto del mese», prima da solo, poi affiancato da progetti coerenti con il tema
del mese e ritenuti degni di menzione. Non potendo competere né con la carta patinata, né con i servizi fotografici
d’autori, il Giornale ha scelto la strada di un racconto diverso del progetto a due voci, tra progettisti e critico e, successivamente, una strada curiosa, la rivisitazione dei progetti scelti, dopo cinque anni, per vederne soprattutto come gli usi potevano aver interpretato quell’opera.
La scelta ha funzionato a intermittenza, molto più quando il progetto era al centro del Giornale. Tuttavia il problema di come ricomporre narrativamente i tanti valori,
saperi e diritti che un progetto e ancor più un’opera mettono in scena, resta la scommessa più aperta. Il progetto
per il Giornale non è, né potrebbe essere, la cornice, è il
quadro dentro il quadro, forse nell’accezione che ne dà
Matisse ne La condizione umana.
Il secondo corollario tocca un nervo dall’inizio scoperto per chi lavora al Giornale: il rapporto con la
cultura delle archistar. Con
gli anni una presa di posizione, al
limite della presa di posizione
ideologica, si è precisata. Volendo parafrasare il titolo di uno
splendido libro di Alberto Asor
Rosa, la questione si è posta come
quella tra archistar e popolo. Per
un Giornale che ha fatto della ricchezza delle componenti di un’architettura, delle sue tecniche e dei
suoi attori il suo core, il corto circuito che si è venuto definendo,
soprattutto dalla metà degli anni
dieci di questo secolo, tra archistar
e popolo, non poteva che porsi come un problema. Senza genera-
Il primo numero
del Giornale
(novembre 2002)
e il primo numero
del Magazine
(settembre 2007)
lizzazioni e senza pregiudizi, smontare quella liaison davvero dangereuse, quando si ponga ovviamente, è stata una
scelta condivisa.
Questi dieci anni hanno visto cambiare profondamente la produzione, il mercato, l’accademia, la
pubblicistica. Gli intrecci tra queste dimensioni dell’architettura sono troppi e troppo complessi per poter essere
semplificati. Il Giornale è uscito in un mondo in cui la riduzione finanziaria dell’immobiliare pareva la panacea di
una nuova ricchezza delle nazioni, la composizione tecnologica del prodotto architettonico accelerava come mai in
millenni precedenti, l’accademia si dibatteva tra spinte avventuriste e conservative: e la percezione di questi cambiamenti non sempre ritornava nella pubblicistica di settore.
L’accento veniva posto sui nuovi linguaggi, sulle forme della comunicazione, sullo strumento (on line o meno).
Forse la partita più affascinante, ancor più di prima, restava e resta quella della formazione dell’opinione pubblica, rispetto a un processo e a un prodotto umano così complesso e ricco di tecnicismi. Certo
il termine formazione genera inquietudini in chi ha navigato per anni a vista, tra un liberalismo da sogno che diventa incubo e un’ideologia di una società solo di servizi,
che proprio nell’architettura avrebbe trovato una sua legittimazione. Certo formazione implica anche responsabilità nel gestire uno strumento tanto delicato quanto un
Giornale aperto e non legittimato da protocolli o da una
scelta, del tutto legittima, di una visione del mondo.
Fare un Giornale che abbiamo accompagnato in tanti,
davvero in tanti, al centesimo numero, è un esercizio di
formazione responsabile di un’opinione pubblica che
fondi il suo partecipare alle vicende, spesso conflittuali,
dell’architettura, con un y in più di conoscenza. Se ci
siamo riusciti non spetta a noi dirlo.
❑ Carlo Olmo
© RIPRODUZIONE RISERVATA
L
e ricorrenze attivano ricordi, spingono a bilanci. I ricordi sono e devono rimanere privati, i bilanci non li possono fare i protagonisti. Cento è
un numero che evoca anniversari ben più illustri e significativi. Cento numeri servono forse a capire se
quelle che erano scommesse hanno prodotto risultati.
La prima scommessa sta nella testata e nelle contraddizioni che si portava dentro: un Giornale che esce una volta al mese… sont fous ces tourinois. Ma Giornale non si
portava dietro solo una scadenza non rispettata. Nasceva (ed è vissuto) con tre espliciti programmi e forse due
corollari, che si sono venuti precisando con gli anni.
La cronaca. Non certo quella inavvicinabile dei quotidiani ma quella raccontata dai tanti, anonimi personaggi che la cronaca, sia pur per un tempo breve, mette in
scena. La cronaca come specchio della ricchezza di notizie che l’architettura genera. La cronaca che sa diventare inchiesta ma anche conservare il compito, meno stimolante, di distinguere informazione da informazione e
di avviare un processo conoscitivo. In cento numeri, in
realtà, il Giornale ha usato ogni strumento: l’inchiesta,
l’intervista, il forum, l’elzeviro, l’opinione sbandierata,
l’obituary, per trasformarsi in giornale quotidiano in alcune specifiche situazioni. Non sempre tutte queste scelte sono state perseguite con egual lucidità. Qualche intervista è rimasta troppo appiattita sul personaggio, non sempre le inchieste sono state qualcosa di più che un collage
d’interessanti opinioni. Soprattutto la notizia breve non
sempre ha dimostrato la sua necessità... di esserci. Ma la
ricerca di una forma di pubblicistica più anglosassone è
stata sempre perseguita con sabauda costanza.
Lo stile. Sono tante le lingue dell’architettura. La polemica (che ha le sue ragioni) contro l’architettese, coglie un frammento del problema. Gli urbanisti, i restauratori, gli ingegneri impiantisti e strutturisti, i valutatori hanno codici linguistici, danno informazioni criptate e parlano a proprie corporazioni. E si potrebbe continuare questa improvvisata geremiade. La scelta di un
Giornale «aperto» ha voluto dire farsi carico di questo
problema, non solo su base nazionale. La divulgazione scientifica, specie nel nostro paese, viene vissuta come un mestiere di… mancati (scienziati, storici, architetti…), con una ben strana idea di cultura e, forse, di
democrazia. Una soddisfazione, non piccola, è che con
gli anni i tanti autori del Giornale hanno capito che
c’era un codice di scrittura e che era possibile conservare ricchezza e complessità d’informazioni, pur di porsi
il problema dello scrivere per un pubblico specifico. Il
Giornale, per i suoi dieci anni che compirà l’anno pros-
Lei non è il Re di Francia
Ma quale potere hanno gli architetti?
“
«I signori della mafia architettonica di New York»
Un tempo si diceva che
La vera natura al ristorante Four Season del Seagram Building,
l’uomo più importante
dell’architettura ameridell’architettura nella foto di Timothy Greenfield Sanders
cana era Philip Johè l’essenza per la copertina di «Vanity Fair» dedicata al
novantesimo compleanno di Philip Johnson nel 1997
nson. Verrebbe senza
del patto tra
dubbio da pensarlo, a
chi detiene
giudicare dal modo in
cui «Vanity Fair» ne fedavvero il potere
steggiava i compleanni
e chi fornisce ai
fotografandolo in mezzo
potenti gli
a una corte in continua
espansione di architetti
strumenti
più giovani per rendere
per affermarlo,
omaggio al Four Seadifenderlo e
sons. Tuttavia trovo discutibile il fatto che uno propagandarlo
dei motivi per cui è stato
tanto difficile realizzare un’architettura degna di nota
a New York possa essere imputato a lui.
E uno dei suoi successori nel ruolo di primo curatore
dell’architettura e del design del Museum of Modern
Art era noto come l’Ayatollah del gusto perché una
mostra al museo bastava a far decollare la carriera di
un architetto. Sarà forse per questo che quasi nessun
architetto vivente ha ottenuto una di quelle retrospettive che, per un po’, costringono il MoMA a interminabili repliche di Mies van der Rohe.
In architettura il potere è soprattutto di chi ha
«Il Magazine dell’Architettura»
le idee. Quando Paolo Portoghesi ha canonizzato il
Postmodernismo con la Biennale di Venezia del 1980
abbinato a «Il Giornale dell’Architettura»
è una testata edita dalla Società editrice
aveva per le mani un’idea straordinariamente potente.
Umberto Allemandi & C. spa
Quando Rem Koolhaas ha cominciato la sua carrie8 via Mancini, 10131 Torino,
ra scrivendo un libro, piuttosto che costruendo, aveva
tel. 011.81 99 111 - fax 011.81 93 090
e-mail: [email protected]
anche lui il potere di un’idea. Lo stesso vale, in modo
assai diverso, per Vittorio Lampugnani, che grazie
Direttore scientifico: Carlo Olmo
Direttore responsabile: Umberto Allemandi
alle capienti tasche della Novartis ha potuto commisCaporedattore: Luca Gibello
sionare a un gruppo straordinariamente coerente di arRedazione: Roberta Chionne, Cristiana Chiorino, Laura Milan
chitetti i campus della casa farmaceutica a Basilea e a
Impaginazione: Rosario Pavia
Pubblicità: 011.81.99.153
Shanghai.
”
❑ Deyan Sudjic
Autore di Architettura e potere, Laterza 2011
© RIPRODUZIONE RISERVATA
U
no dei miei film preferiti è La fonte meravigliosa, il drammone di King Vidor tratto dal romanzo di Ayn Rand in cui Gary Gooper interpreta Howard Roark, un geniale architetto tormentato che ricorda, non troppo alla lontana,
Frank Lloyd Wright, il quale avrebbe preferito far saltare il suo capolavoro con la dinamite piuttosto che vederlo compromesso. Il cattivo di turno è un critico d’architettura, il viscido e perfido Ellsworth Toohey, ritratto come uno che manda i pezzi dalla vasca da bagno, insidia il titolare sottraendogli i rubricisti di punta e istiga le masse contro Roark. Se solo noi critici
avessimo tutto quel potere. Di certo gli architetti non
lo hanno.
Per necessità gli architetti devono avvicinarsi
al potere, ma la realtà della loro situazione fa
sempre sì che di rado lo raggiungano.
La vera natura dell’architettura è l’essenza del patto
tra chi detiene davvero il potere e chi fornisce ai potenti gli strumenti per affermarlo, difenderlo e propagandarlo.
Costruire qualcosa di dimensioni audaci e sensazionali equivale a incapsulare il potere.
L’esercizio di quel potere, però, è un patto tra
il cliente e il progettista. A ciascuno serve l’altro.
Tuttavia si tratta di un patto sbilanciato. Il più delle
volte a comandare è il cliente. Quando Aldo Rossi ha
gettato la spugna rinunciando a disegnare un albergo
per la Disney, pare abbia ricordato a Michael Eisner
di un precedente tentativo da parte di un architetto italiano di costruire a Parigi. «Non la prendo come un’offesa personale e posso sorvolare su tutte le critiche negative mosse al nostro progetto nell’ultimo incontro», ha scritto a Eisner. «Il cavalier Bernini, invitato a Parigi per il progetto del
Louvre, fu tormentato da una schiera di funzionari che non facevano che chiedergli dei cambiamenti. Mi sembra evidente che
io non sono il cavalier Bernini, ma lei non è il re di Francia».
Eppure anche l’idea dei clienti onnipotenti e dispotici è un mito. Loro devono affrontare le banche e i
finanziatori, le autorità preposte alla pianificazione e
gli azionisti.
[email protected]
Stampa: Cast, Moncalieri (To)
IL MAGAZINE DELL’ARCHITETTURA | 3
I 100 che contano
La mappa mondiale del potere 2011
DAVID ADJAYE
Tanzaniano, di origini Ghanesi (45 anni).
Quando il colore della pelle non conta.
Balzato agli onori della cronaca e del
successo per aver saputo interpretare il
ruolo dell’architettura multietnica e
rappresentare le lobby si è anche
bruciato rischiando il fallimento. Ora
risale la china
OLE BOUMAN
Olandese (51 anni). È direttore del Nai,
che è museo, archivio, biblioteca e tutto
quanto si può immaginare per la ricerca
e diffusione dell’architettura. Il centro ha
riaperto quest’anno nella sua veste
ampliata firmata da Jo Coenen, con la
sala dei tesori progettata da Rem
Koolhaas
ROBERT AISH
Statunitense, designer. Il potere digitale:
è stato sviluppatore (in tempi non
sospetti) del software Rucaps e ha creato
GenerativeComponents con la Bentley,
un must per la creazione di forme
geometriche complesse. Attualmente
lavora per Autodesk
RICKY BURDETT
Inglese (55 anni). Ha diretto la Biennale
del 2006, è direttore della London
School of Economics ed è il city
architect più ricercato: come essere
architetto e non sembrarlo
TADAO ANDO
Giapponese (70 anni). Autodidatta,
seduce da Armani a Pinault, maestro nei
dettagli impeccabili con lui il risultato è
assicurato anche nell'ultimo showroom
per Duvetica a Milano
TERRY FARRELL
Inglese (72 anni). Ha spiazzato Rogers
diventando consulente del sindaco di
Londra Boris Johnson e spostando la
barra su un postmodern di
rappresentanza. Tiene le fila del più
grande progetto di rigenerazione urbana
europeo, il Thames Gateway
ROLF FEHLBAUM
Svizzero (70 anni). È a capo della
svizzera Vitra che, accanto ai mobili, è
storica promotrice internazionale
dell’architettura e del design, nel campus
e attraverso grandi mostre nella sua
sede di Weil am Rhein
SANTIAGO CALATRAVA
Spagnolo (60 anni). Sempre alla ribalta,
anche per i suoi clamorosi errori, questo
architetto-scultore è famoso per le sue
infrastrutture bianche dalle forme
organiche. A Venezia però non ha
incantato: il suo ponte è il meno amato
(e il più caro) della città lagunare
THOMAS HERZOG
Tedesco (70 anni). Un pioniere nel
campo dell’architettura bioclimatica e
ecosostenibile, oggi in tempi di
perseverante greenwashing un
riferimento imprescindibile
HERZOG & DE MEURON
Svizzeri. Jacques Herzog e Pierre de
Meuron (entrambi 61 anni). Gli elvetici
«gemelli diversi» non fanno un edificio
uguale all’altro, ma, nonostante la fama
planetaria, il loro sito web ha
debuttato solo quest’anno:
quando la comunicazione
non fa l’archistar
NORMAN FOSTER
Inglese (76 anni). Il Lord dell’architettura
progetta edifici avveniristici ovunque ma
vive in un castello del Seicento in
Svizzera. Tra i suoi committenti, uno dei
figli di Gheddafi e lo sceicco di Abu
Dhabi. L’ultima sua fatica è l’aeroporto
per la Virgin Galactic. Conquisterà
anche lo spazio?
GEHRY TECHNOLOGIES
Società statunitense fondata nel 2002.
Ormai indipendente dallo studio di
Frank Gehry, ha messo in pratica la
trasformazione del software di
progettazione da prodotto da vendere a
servizio da fornire. Dagli oggetti alle
persone
Iwan Baan
Albert S
Cesar Pelli
Ben van Berkel
ARUP
Società di ingegneria fondata nel 1946
da Sir Ove Arup. Il potere di rendere
costruibile ogni più perversa fantasia
architettonica. É la più grande del
mondo con circa 10.000 dipendenti,
presente in ogni maxi progetto, dalle
piattaforme petrolifere ai quartieri
ecosostenibili
IWAN BAAN
Olandese (36 anni), fotografo. Il potere
dell’icona architettonica: come
santificare i progetti e farsi pubblicare
CECIL BALMOND
Sri Lanka (68 anni). Il potere di lasciare
la più grande engineering del mondo
senza cadere in disgrazia e costruire con
il magnate dell’acciaio Lakshmi Mittal il
simbolo di Londra 2012
SHIGERU BAN
Giapponese (54 anni). C’è dove c’è una
catastrofe: promoter del cartone riesce,
come a L’Aquila, a portare il suo
contributo dove serve
BARRY BERGDOLL
Statunitense. È il Philip Johnson chief
curator of Architecture and Design al
MOMA di New York, sempre al top delle
politiche culturali che contano
STEFANO BOERI
Italiano (55 anni). Progettista, urbanista,
docente dagli Stati Uniti alla Russia,
critico e adesso anche assessore alla
cultura di Milano: come andare dalla
Maddalena all’Expo passando per Rcs
ANDREJ BOKOV
Russo (68 anni). Dall’Urss con
nostalgia: figura di grande peso
istituzionale è alla testa di una delle
megastrutture progettuali eredi della
cultura professionale sovietica
Thom Mayne
© STEFANO GOLDBERG PUBLIFOTO
ALEJANDRO ARAVENA
Cileno (44 anni). Salito alla ribalta a 41
anni alla Biennale di Venezia del 2008, è
il bel tenebroso dell’architettura
mondiale. Inserito da «Que pasa» tra le
50 persone più influenti del suo paese
con lo studio Elemental, riesce a far
puntare i riflettori su progetti di forte
impatto sociale
Cameron Sinclair
Renzo Piano
Ken Yeang
Zhang K
Francis Kéré
YUNG HO CHANG
Cinese (55 anni). Tutti vanno in Cina, lui
in tempi non sospetti è stato il primo
cinese ad acquistare potere negli Stati
Uniti come preside del Mit. Oggi trionfa
su entrambe le sponde e si dedica a
progetti umanitari
DAVID CHILDS
Statunitense (70 anni). Se Daniel
Libeskind è la mente di Ground zero,
Childs ne è il braccio. Quando si è
trattato di fare, Larry Silverstein si è
rivolto a lui, che rappresenta Som, il
grande studio americano per
antonomasia
DAVID CHIPPERFIELD
Inglese (58 anni), in lizza per lo Stirling
con Zaha Hadid negli ultimi due anni.
Molte voci lo danno come direttore della
Biennale di Architettura di Venezia 2012
GILLES CLEMENT
Francese (68 anni), agronomo, scrittore,
paesaggista di culto. Le erbacce al
potere: ha coniato la nozione di «Terzo
paesaggio» e messo in discussione
tanto la globalizzazione quanto gli
eccessi della tutela
HAFEEZ CONTRACTOR
Indiano (61 anni). É il prolifico
progettista di molte opere del recente
sviluppo dell’India
CHARLES CORREA
Indiano (81 anni). Fra modernità e
tradizioni locali, è il pioniere
dell’architettura dell’India indipendente
FARROKH DERAKHSHANI
Direttore dell’Aga Khan Award for
Architecture, il premio per eccellenza per
l’architettura dei paesi a religione
mussulmana
MARIO BOTTA
Svizzero (68 anni). In fatto di chiese, lo
ascoltano anche in Vaticano e
quest’anno è ritornato a dirigere
l’Accademia da lui fondata. Il potere di
mantenere il potere
4 | IL MAGAZINE DELL’ARCHITETTURA
Sergej Tchoban
David Adjaye
© STEVEN HELLER
Ai Weiwei
© IAN SMITH
Tabanlioglu Architects
Sheila Sri Prakash
Cecil Balmond
HOK
Società fondata nel 1955. Marchio della
globalizzazione americana. Dalle banche
ai servizi con una divisione specifica per
gli impianti sportivi che sbaraglia ogni
concorrenza
ZHANG KE
Cinese (41 anni). Fondatore di Standard
Architecture, uno degli studi più quotati
della new wawe cinese. Sfodera
reinterpretazione dell’architettura
tradizionale e versatilità inventiva
FRANK O. GHERY
Statunitense, nato in Canada (82 anni).
Ipnotizza il grande pubblico con l’effetto
Bilbao dei suoi edifici accartocciati, ma
per dipanare la matassa della vita ha
bisogno dello psicanalista
STEVEN HOLL
Statunitense (64 anni). Dopo aver
bucato lo schermo con The Sponge per
il Mit, ha contagiato la Cina con i suoi
grattaceli orizzontali: alveari per le
megalopoli asiatiche
JONATHAN GLANCEY
Inglese. Le sue sferzanti critiche dalle
pagine del «Guardian» colpiscono
sempre, raggiungendo il grande
pubblico
HANS IBELINGS
Olandese (48 anni). Grazie a lui la parola
Supermodernism è finita sulla bocca di
tutti. Ha fondato e dirige «A10», la
rivista paneuropea più diffusa in Europa
FRANCIS KÉRÉ
Burkinabé (46) anni. Studia a Berlino
dove crea un’associazione per realizzare
architetture bioclimatiche nel suo paese.
Oggi progetta e insegna in giro per il
mondo e non può mancare in ogni
conferenza politicamente corretta sulla
sostenibilità
ZAHA HADID
Irachena (61 anni). Presenza
ingombrante, dopo un 2010 con il botto
in cui ha rastrellato tutti i premi del
mondo (costruendo anche in Italia con il
Maxxi), nel 2011 irrita l’establishment
inglese accapparandosi per la seconda
volta lo Stirling Prize. Mentre lei gira il
mondo, il socio Patrick Schumacher è
rintanato nello studio a materializzare
visioni oniriche
BJARKE INGELS
Danese (37 anni). La stella nascente
dell’architettura danese (e designertestimonial Audi) racconta i suoi progetti
con i fumetti, vince concorsi a
ripetizione e costruisce anche. Il suo
studio non poteva che chiamarsi Big
David Childs
RODNEY ROY HARBER
Sudafricano (71 anni). Architetto,
urbanista e docente. Come trasmettere i
valori dell’architettura. E per questo
ricevere la medaglia del South African
Institute of Architects, essere membro
della commissione Uia e rappresentare
l’Africa al Consiglio dell’Unesco
CHRISTOPH INGENHOVEN
Tedesco (51 anni). Da Düsseldorf sta
conquistando la Cina. È etichettato come
«modernista freddo», ma i suoi edifici
di alta tecnologia funzionano
JIANG JUN
Cinese (37 anni). Designer e critico,
redattore di «Urban China Magazine» e
docente al moscovita Strelka Institute for
Media, Architecture and Design, ha
fondato lo studio di Guangzhou
Underline Office
Joe Osae-Addo
MICHAEL KIMMELMANN
Statunitense. Quando non conta il nome,
ma il posto che si occupa: da qualche
mese ha sostituito Nicolai Ouroussoff
come critico di architettura del «New
York Times»
DANIEL LIBESKIND
Statunitense, nato in Polonia (65 anni).
Look da cowboy, macina musei uno
dietro l’altro, ma anche se sono tutti
uguali, quello appena inaugurato a
Dresda è la copia esatta del Royal
Ontario Museum di Toronto. Tutti lo
vogliono, come un diamante
KOHN PEDERSEN FOX ASSOCIATES
Studio di architettura statunitense
fondato nel 1976. Quando il marchio
vale più del singolo. Sono la longa
manus dei grandi potentati americani nel
mondo
RONALD LU & PARTNERS
Studio fondato a Hong Kong nel 1976,
tra i decisori dei destini urbanistici delle
città del sud-est asiatico
REM KOOLHAAS
Olandese (67 anni) . Il mai più senza
degli ultimi anni, chi non lo cita è out.
Ogni anno conia il must della stagione,
il fondatore di Oma oggi è conteso da
Miuccia Prada e dal partito comunista
cinese
GREG LYNN
Statunitense (47 anni). Il potere del
parametrico dal complemento di arredo
alle chiese presbiteriane. Premiato alla
Biennale di Architettura di Venezia 2008
THOM MAYNE
Statunitense (67 anni). È un po’ lo Steve
Jobs dell’architettura: imprevedibile,
provocatorio, il fondatore dello studio
Morphosis è un profeta delle nuove
tecnologie
Terry Fa
Ma Yansong
© DANIEL ALLEN
no in architettura
Rocco Sen Kee Yim
Albert Speer
Kazuyo Sejima
Shigeru Ban
LIU XIAODU
Cinese (51 anni). Fondatore, con Meng
Yan (1964) dello studio Urbanus, che
reinterpreta il complesso residenziale
del tulou riadattandolo alla realtà
capitalistica della città globale cinese
Dominique Perrault
Peter Zumthor
© STEFANO GOLDBERG PUBLIFOTO
SHEILA SRI PRAKASH
Indiana (56 anni). Il primo architettodonna di potere in India, la prima a
fondare un suo studio e il primo
architetto indiano invitato al World
Economic Forum
Zhang Ke
Bjarke Ingels
Moshe Safdie
Zaha Hadid
PHILIPPE STARCK
Francese (62 anni). Dallo spremiagrumi
alla città, è il prezzemolo del design
che non disdegna incursioni
nell’interior. Non smette di sfornare un
wc all’anno, ma promuove il design
autoprodotto
STUDIO MUMBAI
Studio di architettura fondato nel 2005.
Il contributo indiano più recente alla
ricerca architettonica internazionale
Massimo Roj
TABANLIOGLU ARCHITECTS
Società di progettazione turca fondata
nel 1990 da Murat Tabanlioglu con la
moglie Melkan Gursel. Spopola nella
zona del Golfo. Eletti architetti dell’anno
dal Middle East Architecture Award
Terry Farrell
Alejandro Aravena
GIANCARLO MAZZANTI
Colombiano (47 anni). Con l’architettura
ha rivoluzionato Medellín, la capitale del
narcotraffico
RAHUL MEHROTRA
Indiano (52 anni). Parlando di città e
urbanizzazione indiana, è il personaggio
di riferimento
RICHARD MEIER
Americano (77 anni), il suo modulo
quadrato bianco ha fatto storia e una
smisurata quantità di epigoni. Dai
rivenditori di automobili lungo le
tangenziali all’Ara Pacis non c’è molta
differenza. Per anni il re di New York e
delle ville vip in Connecticut nel 2010
ha firmato quella per Mr Bean
nell’Oxfordshire
RAFAEL MONEO
Spagnolo (74 anni). Grande potere
teorico. È il signore delle accademie, dal
Prado alla Columbia University
OSCAR NIEMEYER
Brasiliano (104 anni). Il potere di vincere
il tempo: l’architetto carioca celebra
ancora i compleanni con nuovi progetti
JEAN NOUVEL
Francese (66 anni). Total look (ha
disegnato perfino il Borsalino che
indossa!), immagine mediatica studiata e
vincente, ha il potere di sembrare il capo
ma in realtà è un dipendente
HANS ULRICH OBRIST
Svizzero (43 anni). Il potere di
legittimare la fama: se non ti intervista,
non sei nessuno
Jorg Schlaich
Oscar Niemeyer
JOE OSAE-ADDO
Ghanese (47 anni). Dalla pozzolana a
Brad Pitt: l’architetto di Accra, a New
Orleans per la ricostruzione promossa
dall’attore americano, è riuscito a
costruire in Africa un impero su una
tecnica antica
MASSIMO ROJ
Italiano (51 anni). Solo italiano nella lista
dei 100 studi più grandi al mondo per
fatturato nel 2011 (97° posto, con 88
architetti e un fatturato tra i 10 e i 19 milioni
di dollari), con il suo studio milanese
Progetto Cmr ha sfondato anche in Cina
CESAR PELLI
Argentino (84 anni). Il signore dei
grattacieli è a capo di un marchio che
conta più di 80 dipendenti: lo studio
Pelli Clarke Pelli Architects, fondato nel
1977 nel Connecticut
DAVID RUTTEN
Slovacco. Per il giovane rampante, che
lavora per la società di software McNeel,
è lo sviluppatore di Grasshopper, il
sistema di culto per la modellazzione
DOMINIQUE PERRAULT
Francese (58 anni). Emblema della
grandeur francese insieme a Jean
Nouvel, rappresenta la Francia in ogni
biennale che conta (come quella di San
Paolo del Brasile nel 2012)
MOSHE SAFDIE
Canadese, nato ad Haifa (73 anni). Forse
il più potente della lobby ebraica.
Inossidabile, dai fasti dell’Expo ‘67 di
Montreal al Museo dell’Olocausto di
Gerusalemme fino al Marina Bay, hotel 7
stelle di Singapore con piscina di 150
metri sul tetto
RENZO PIANO
Italiano (64 anni). Il Renzo nazionale,
eminenza grigia di Genova, è in Italia
l’architetto per antonomasia: lo
conoscono dalla casalinga di Voghera al
macellaio. Negli Stati Uniti, tutte le
istituzioni museali si affidano a lui
SASKIA SASSEN+RICHARD SENNETT
Statunitensi (64 anni lei, 68 anni lui). I
coniugi sociologi più famosi del mondo:
quando gli architetti parlano di
globalizzazione non possono non citarli
RICHARD ROGERS
Inglese (78 anni). Il progettista delle
case più care del mondo ma profeta del
costruire green (e con buoni agganci
anche nel Chiantishire) voleva dimettersi
da consigliere capo del sindaco di
Londra, ma, quando Ken il Rosso ha
lasciato il passo al conservatore
Johnson, ci ha ripensato e si è
accontentato di un posto da consulente.
Tenere un piede nel sistema dà sempre i
suoi frutti...
JORG SCHLAICH
Tedesco (77 anni). Il signore delle strutture
leggere, con cui ha ricoperto le corti di
rappresentanza di tutta la Germania
KAZUYO SEJIMA
Giapponese (55 anni). Il potere del
silenzio. Schiva, minuta e di poche
parole (e non in inglese) la vincitrice del
Pritzker nel 2010 e direttrice dell’ultima
Biennale di Venezia, mantiene il
controllo. È, con Zaha Hadid, l’altra
faccia del potere al femminile
ROCCO SEN KEE YIM
Cinese (59 anni). Dopo la sede della
City Bank del 1992, il signore di Hong
Kong non ha più smesso di costruire ma
rischia di farsi scippare il ridisegno della
baia di Kowloon
CAMERON SINCLAIR
Inglese (38 anni). Il Gandhi
dell’architettura: grande potere
comunicativo è diventato a suo modo un
archistar: con Architecture for Humanity
riesce a portare gli architetti nelle zone
disastrate del pianeta, risvegliando (per
finta o per davvero) la loro coscienza e
raccogliendo fondi
SERGEJ TCHOBAN
Russo (49 anni). La potenza del falso
storico. È l’immagine dei nuovi russi
rampanti in cerca di status symbol e
uno dei pochi che vuole imporsi anche
all’estero, già da tempo presente in
Germania
TJUPDI (SHANGHAI TONGJI URBAN
PLANNING & DESIGN INSTITUTE)
Istituto di progettazione cinese fondato
nel 1996. Emanazione dell’Università
Tongji di Shangai, impiega 203
urbanisti e fa man bassa di tutti i
concorsi di progettazione urbanistica
della città. Suo il masterplan dell’Expo
Shanghai 2010
URBZ
Giovane gruppo di formazione mista
fondato nel 2009 a Mumbai è attivo sui
temi della città indiana, fra economia,
architettura e sociologia
WERNER SOBEK
Tedesco (53 anni), ingegnere. Porta
avanti con perizia gli insegnamenti e la
filosofia di Frei Otto da Stoccarda al
Cairo passando per San Paolo
BEN VAN BERKEL
Olandese (54 anni). Un altro olandese
volante, dagli Stati Uniti alla Cina.
Cucina l’anello di Moebius in tutte le
salse
MICHAEL SORKIN
Statunitense (63 anni). Critico
newyorchese onnipresente nelle giurie
dei concorsi che contano. Continua a
professare con successo il ritorno del
ruolo sociale dell’architetto
RAFAEL VINOLY
Uruguayano (67 anni). Spazia dagli
Stati Uniti all’Inghilterra fino al
Giappone e ha appena concluso il
nuovo centro britannico d’arte di
Colchester, subito soprannominato la
banana d’oro, per i costi crescenti
ALBERT SPEER
Tedesco (77 anni). È riuscito a
riabilitare il nome di famiglia (il padre
era l’architetto di Hitler) e ha in mano i
masterplan di mezzo mondo, da
Monaco 2018 a Baku, dalla Nigeria alla
Cina, dove dopo il masterplan di
Pechino 2008 sta progettando la città
dell’auto Changchun (120 kmq)
MARK VON GERKAN
Tedesco, nato in Lettonia (76 anni).
Tedesco di ferro, lavora dall’Italia (Fiere
di Rimini e Verona, dove progetta
anche l’ospedale) alla Cina
MA YANSONG
Cinese (36 anni). Nel 2004 fonda lo
studio Mad Architects a Pechino con
Yosuke Hayano e Qun Dan. E dal 2006
piovono riconoscimenti e mostre sul
loro lavoro. Il suo progetto «Floating
Island» per il New York World Trade
Center fa ormai parte del Museo
Nazionale di Arte Cinese
KEN YEANG
Malese (63 anni). Dalla Malesia con
furore, è ancora sulla cresta dell’onda il
primo guru dei grattacieli verdi
AI WEIWEI
Cinese (54 anni), artista e architetto. Il
potere della dissidenza. Mezzo mondo
si è mobilitato per la sua liberazione
piegando le autorità cinesi
WS ATKINS & PARTNERS
Società di progettazione inglese fondata
nel 1938. Non è più tra le prime 10
della classifica di Building Design ma
dopo la vela di Dubai Burj Al-Arab è
diventato il primo gruppo occidentale
attivo nella regione del Golfo dove
impiega oltre 2.000 persone tra cui 213
architetti
MIRKO ZARDINI
Italiano (56 anni). Dal 2005 alla guida
del Centre Canadien d’Architecture di
Montréal, un’istituzione che con grandi
mostre e oculate (e strapagate)
acquisizioni degli archivi dei grandi
architetti del Novecento non sbaglia un
colpo
PETER ZUMTHOR
Svizzero (68 anni). Il potere
dell’intangibilità: l’unico che negandosi
riesce sempre a far parlare di sé.
Dall’eremitaggio dei Grigioni alla
Serpentine di Hyde Park. Sue le prime
terme d’autore: l’architetto che non è
stato a quelle di Vals è out!
AECOM (STATI UNITI), AEDAS
(GRAN BRETAGNA/CINA/STATI
UNITI), GENSLER (STATI UNITI),
NIKKEN SEKKEI (GIAPPONE), IBI
GROUP (CANADA), P&T
ARCHITECTS AND ENGINEERS
(HONG KONG), PERKINS & WILL
(STATI UNITI), RMJM (GRAN
BRETAGNA), BDP (GRAN
BRETAGNA), RSP ARCHITECTS
(SINGAPORE)
Le «favolose» 9 società di
progettazione (che fanno 10 con Foster
and Partners) al top del mondo nel
2010 per numero di architetti
dipendenti e fatturato, secondo la
rivista inglese Building Design
KEO INTERNATIONAL (KUWAIT),
DEWAN ARCHITECTURE (IRAQ,
EMIRATI ARABI), WOODS BAGOT
(AUSTRALIA)
Le tre società non europee più
importanti e influenti nel 2010 secondo
«Middle East Architect»
IL MAGAZINE DELL’ARCHITETTURA | 5