047 MGZ
Transcript
047 MGZ
Il Magazine ANNO 5, N. 47, DICEMBRE 2011 (INCLUSO NEL GIORNALE DELL’AR- CHITETTURA. NON VENDIBILE SEPARATAMENTE) dell’ IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA ARCHITETTURA I PRIMI CENTO © THEO DEUTINGER E BARBARA WEINGARTNER La mappa mondiale del potere in architettura ADJAYE ■ AISH ■ ANDO ■ ARAVENA ■ ARUP ■ BAAN ■ BALMOND ■ BAN ■ BERGDOLL ■ BOERI ■ BOKOV ■ BOTTA ■ BOUMAN ■ BURDETT ■ CALATRAVA ■ CHANG ■ CHILDS ■ CHIPPERFIELD ■ CLEMENT ■ HAFEZ CONTRACTOR ■ CORREA ■ DERAKHSHANI ■ FARRELL ■ FEHLBAUM ■ FOSTER ■ GHERY TECHNOLOGIES ■ GHERY ■ GLANCEY ■ HADID ■ HARBER ■ HERZOG ■ HERZOG & DE MEURON ■ HOK ■ HOLL ■ IBELINGS ■ INGELS ■ INGENHOVEN ■ JUN ■ KE ■ KÉRÉ ■ KIMMELMANN ■ KOHN PEDERSEN FOX ASSOCIATES ■ KOOLHAAS ■ LIBESKIND ■ LU ■ LYNN ■ MAYNE ■ MAZZANTI ■ MEHROTRA ■ MEIER ■ MONEO ■ NIEMEYER ■ NOUVEL ■ OBRIST ■ OSAE-ADDO ■ PELLI ■ PERRAULT ■ PIANO ■ ROGERS ■ ROJ ■ RUTTEN ■ SAFDIE ■ SASSEN+SENNETT ■ SCHLAICH ■ SEJIMA ■ SEN KEE YIM ■ SINCLAIR ■ SOBEK ■ SORKIN ■ SPEER ■ SRI PRAKASH ■ STARCK ■ STUDIO MUMBAI ■ TABANLIOGLU ARCHITECTS ■ TCHOBAN ■ TJUPDI (SHANGHAI TONGJI URBAN PLANNING & DESIGN INSTITUTE) ■ URBZ ■ VAN BERKEL ■ VINOLY ■ VON GERKAN ■ XIAODU ■ YANSONG ■ YEANG ■ WEIWEI ■ WS ATKINS & PARTNERS ■ ZARDINI ■ ZUMTHOR ■ AECOM, AEDAS, GENSLER, NIKKEN SEKKEI, IBI GROUP, P&T ARCHITECTS AND ENGINEERS, PERKINS & WILL, RMJM, BDP, RSP ARCHITECTS ■ KEO INTERNATIONAL, DEWAN ARCHITECTURE, WOODS BAGOT I 100 numeri del «Giornale dell’architettura» Un giornale serve per sapere. Sapere serve per capire. Capire serve per agire 2 | IL MAGAZINE DELL’ARCHITETTURA simo, restituirà un indice davvero suggestivo per autore, e allora l’importanza di questo processo sarà un po’ più misurabile. La critica. Bertold Brecht scrive che per conoscere bisogna prendere posizione. Il Giornale ha cercato di creare uno spazio in cui le opinioni potessero confrontare la loro posizione in maniera esplicita. La critica come esercizio di confronto funziona solo se chi critica accetta il contraddittorio. Troppo spesso la critica è diventata nei dieci anni di vita del Giornale appartenenza (è certo non solo per l’architettura). Si è arrivati, in un paradosso certamente involontario, a promuovere da un lato riviste in cui la veridicità è garantita da protocolli, dall’altra ad alimentare riviste «d’autore», riconducibili a vere e proprie concezioni del mondo. L’educazione alla critica è trapassata da Socrate alle più terrene raccomandazioni sull’educazione universitaria della Comunità europea. Sapersi conservare terreno di confronto non significa pretendere un’assurda neutralità. Significa, anche per non prendersi troppo sul serio, non ridurre il Giornale in un goldoniano campo di baruffe chiozzotte. I due corollari sono anche i due punti più critici di questi cento numeri. Un Giornale dell’Architettura non può esistere se, dopo aver dato spazio alle tante culture che fanno dell’Architettura una delle più meravigliose avventure dell’uomo, non cerca un suo modo di dar spazio al progetto e alla cultura progettuale: sarebbe rimanere spettatori di un interminabile En attendant Godot. Il Giornale ha scelto la strada del «progetto del mese», prima da solo, poi affiancato da progetti coerenti con il tema del mese e ritenuti degni di menzione. Non potendo competere né con la carta patinata, né con i servizi fotografici d’autori, il Giornale ha scelto la strada di un racconto diverso del progetto a due voci, tra progettisti e critico e, successivamente, una strada curiosa, la rivisitazione dei progetti scelti, dopo cinque anni, per vederne soprattutto come gli usi potevano aver interpretato quell’opera. La scelta ha funzionato a intermittenza, molto più quando il progetto era al centro del Giornale. Tuttavia il problema di come ricomporre narrativamente i tanti valori, saperi e diritti che un progetto e ancor più un’opera mettono in scena, resta la scommessa più aperta. Il progetto per il Giornale non è, né potrebbe essere, la cornice, è il quadro dentro il quadro, forse nell’accezione che ne dà Matisse ne La condizione umana. Il secondo corollario tocca un nervo dall’inizio scoperto per chi lavora al Giornale: il rapporto con la cultura delle archistar. Con gli anni una presa di posizione, al limite della presa di posizione ideologica, si è precisata. Volendo parafrasare il titolo di uno splendido libro di Alberto Asor Rosa, la questione si è posta come quella tra archistar e popolo. Per un Giornale che ha fatto della ricchezza delle componenti di un’architettura, delle sue tecniche e dei suoi attori il suo core, il corto circuito che si è venuto definendo, soprattutto dalla metà degli anni dieci di questo secolo, tra archistar e popolo, non poteva che porsi come un problema. Senza genera- Il primo numero del Giornale (novembre 2002) e il primo numero del Magazine (settembre 2007) lizzazioni e senza pregiudizi, smontare quella liaison davvero dangereuse, quando si ponga ovviamente, è stata una scelta condivisa. Questi dieci anni hanno visto cambiare profondamente la produzione, il mercato, l’accademia, la pubblicistica. Gli intrecci tra queste dimensioni dell’architettura sono troppi e troppo complessi per poter essere semplificati. Il Giornale è uscito in un mondo in cui la riduzione finanziaria dell’immobiliare pareva la panacea di una nuova ricchezza delle nazioni, la composizione tecnologica del prodotto architettonico accelerava come mai in millenni precedenti, l’accademia si dibatteva tra spinte avventuriste e conservative: e la percezione di questi cambiamenti non sempre ritornava nella pubblicistica di settore. L’accento veniva posto sui nuovi linguaggi, sulle forme della comunicazione, sullo strumento (on line o meno). Forse la partita più affascinante, ancor più di prima, restava e resta quella della formazione dell’opinione pubblica, rispetto a un processo e a un prodotto umano così complesso e ricco di tecnicismi. Certo il termine formazione genera inquietudini in chi ha navigato per anni a vista, tra un liberalismo da sogno che diventa incubo e un’ideologia di una società solo di servizi, che proprio nell’architettura avrebbe trovato una sua legittimazione. Certo formazione implica anche responsabilità nel gestire uno strumento tanto delicato quanto un Giornale aperto e non legittimato da protocolli o da una scelta, del tutto legittima, di una visione del mondo. Fare un Giornale che abbiamo accompagnato in tanti, davvero in tanti, al centesimo numero, è un esercizio di formazione responsabile di un’opinione pubblica che fondi il suo partecipare alle vicende, spesso conflittuali, dell’architettura, con un y in più di conoscenza. Se ci siamo riusciti non spetta a noi dirlo. ❑ Carlo Olmo © RIPRODUZIONE RISERVATA L e ricorrenze attivano ricordi, spingono a bilanci. I ricordi sono e devono rimanere privati, i bilanci non li possono fare i protagonisti. Cento è un numero che evoca anniversari ben più illustri e significativi. Cento numeri servono forse a capire se quelle che erano scommesse hanno prodotto risultati. La prima scommessa sta nella testata e nelle contraddizioni che si portava dentro: un Giornale che esce una volta al mese… sont fous ces tourinois. Ma Giornale non si portava dietro solo una scadenza non rispettata. Nasceva (ed è vissuto) con tre espliciti programmi e forse due corollari, che si sono venuti precisando con gli anni. La cronaca. Non certo quella inavvicinabile dei quotidiani ma quella raccontata dai tanti, anonimi personaggi che la cronaca, sia pur per un tempo breve, mette in scena. La cronaca come specchio della ricchezza di notizie che l’architettura genera. La cronaca che sa diventare inchiesta ma anche conservare il compito, meno stimolante, di distinguere informazione da informazione e di avviare un processo conoscitivo. In cento numeri, in realtà, il Giornale ha usato ogni strumento: l’inchiesta, l’intervista, il forum, l’elzeviro, l’opinione sbandierata, l’obituary, per trasformarsi in giornale quotidiano in alcune specifiche situazioni. Non sempre tutte queste scelte sono state perseguite con egual lucidità. Qualche intervista è rimasta troppo appiattita sul personaggio, non sempre le inchieste sono state qualcosa di più che un collage d’interessanti opinioni. Soprattutto la notizia breve non sempre ha dimostrato la sua necessità... di esserci. Ma la ricerca di una forma di pubblicistica più anglosassone è stata sempre perseguita con sabauda costanza. Lo stile. Sono tante le lingue dell’architettura. La polemica (che ha le sue ragioni) contro l’architettese, coglie un frammento del problema. Gli urbanisti, i restauratori, gli ingegneri impiantisti e strutturisti, i valutatori hanno codici linguistici, danno informazioni criptate e parlano a proprie corporazioni. E si potrebbe continuare questa improvvisata geremiade. La scelta di un Giornale «aperto» ha voluto dire farsi carico di questo problema, non solo su base nazionale. La divulgazione scientifica, specie nel nostro paese, viene vissuta come un mestiere di… mancati (scienziati, storici, architetti…), con una ben strana idea di cultura e, forse, di democrazia. Una soddisfazione, non piccola, è che con gli anni i tanti autori del Giornale hanno capito che c’era un codice di scrittura e che era possibile conservare ricchezza e complessità d’informazioni, pur di porsi il problema dello scrivere per un pubblico specifico. Il Giornale, per i suoi dieci anni che compirà l’anno pros- Lei non è il Re di Francia Ma quale potere hanno gli architetti? “ «I signori della mafia architettonica di New York» Un tempo si diceva che La vera natura al ristorante Four Season del Seagram Building, l’uomo più importante dell’architettura ameridell’architettura nella foto di Timothy Greenfield Sanders cana era Philip Johè l’essenza per la copertina di «Vanity Fair» dedicata al novantesimo compleanno di Philip Johnson nel 1997 nson. Verrebbe senza del patto tra dubbio da pensarlo, a chi detiene giudicare dal modo in cui «Vanity Fair» ne fedavvero il potere steggiava i compleanni e chi fornisce ai fotografandolo in mezzo potenti gli a una corte in continua espansione di architetti strumenti più giovani per rendere per affermarlo, omaggio al Four Seadifenderlo e sons. Tuttavia trovo discutibile il fatto che uno propagandarlo dei motivi per cui è stato tanto difficile realizzare un’architettura degna di nota a New York possa essere imputato a lui. E uno dei suoi successori nel ruolo di primo curatore dell’architettura e del design del Museum of Modern Art era noto come l’Ayatollah del gusto perché una mostra al museo bastava a far decollare la carriera di un architetto. Sarà forse per questo che quasi nessun architetto vivente ha ottenuto una di quelle retrospettive che, per un po’, costringono il MoMA a interminabili repliche di Mies van der Rohe. In architettura il potere è soprattutto di chi ha «Il Magazine dell’Architettura» le idee. Quando Paolo Portoghesi ha canonizzato il Postmodernismo con la Biennale di Venezia del 1980 abbinato a «Il Giornale dell’Architettura» è una testata edita dalla Società editrice aveva per le mani un’idea straordinariamente potente. Umberto Allemandi & C. spa Quando Rem Koolhaas ha cominciato la sua carrie8 via Mancini, 10131 Torino, ra scrivendo un libro, piuttosto che costruendo, aveva tel. 011.81 99 111 - fax 011.81 93 090 e-mail: [email protected] anche lui il potere di un’idea. Lo stesso vale, in modo assai diverso, per Vittorio Lampugnani, che grazie Direttore scientifico: Carlo Olmo Direttore responsabile: Umberto Allemandi alle capienti tasche della Novartis ha potuto commisCaporedattore: Luca Gibello sionare a un gruppo straordinariamente coerente di arRedazione: Roberta Chionne, Cristiana Chiorino, Laura Milan chitetti i campus della casa farmaceutica a Basilea e a Impaginazione: Rosario Pavia Pubblicità: 011.81.99.153 Shanghai. ” ❑ Deyan Sudjic Autore di Architettura e potere, Laterza 2011 © RIPRODUZIONE RISERVATA U no dei miei film preferiti è La fonte meravigliosa, il drammone di King Vidor tratto dal romanzo di Ayn Rand in cui Gary Gooper interpreta Howard Roark, un geniale architetto tormentato che ricorda, non troppo alla lontana, Frank Lloyd Wright, il quale avrebbe preferito far saltare il suo capolavoro con la dinamite piuttosto che vederlo compromesso. Il cattivo di turno è un critico d’architettura, il viscido e perfido Ellsworth Toohey, ritratto come uno che manda i pezzi dalla vasca da bagno, insidia il titolare sottraendogli i rubricisti di punta e istiga le masse contro Roark. Se solo noi critici avessimo tutto quel potere. Di certo gli architetti non lo hanno. Per necessità gli architetti devono avvicinarsi al potere, ma la realtà della loro situazione fa sempre sì che di rado lo raggiungano. La vera natura dell’architettura è l’essenza del patto tra chi detiene davvero il potere e chi fornisce ai potenti gli strumenti per affermarlo, difenderlo e propagandarlo. Costruire qualcosa di dimensioni audaci e sensazionali equivale a incapsulare il potere. L’esercizio di quel potere, però, è un patto tra il cliente e il progettista. A ciascuno serve l’altro. Tuttavia si tratta di un patto sbilanciato. Il più delle volte a comandare è il cliente. Quando Aldo Rossi ha gettato la spugna rinunciando a disegnare un albergo per la Disney, pare abbia ricordato a Michael Eisner di un precedente tentativo da parte di un architetto italiano di costruire a Parigi. «Non la prendo come un’offesa personale e posso sorvolare su tutte le critiche negative mosse al nostro progetto nell’ultimo incontro», ha scritto a Eisner. «Il cavalier Bernini, invitato a Parigi per il progetto del Louvre, fu tormentato da una schiera di funzionari che non facevano che chiedergli dei cambiamenti. Mi sembra evidente che io non sono il cavalier Bernini, ma lei non è il re di Francia». Eppure anche l’idea dei clienti onnipotenti e dispotici è un mito. Loro devono affrontare le banche e i finanziatori, le autorità preposte alla pianificazione e gli azionisti. [email protected] Stampa: Cast, Moncalieri (To) IL MAGAZINE DELL’ARCHITETTURA | 3 I 100 che contano La mappa mondiale del potere 2011 DAVID ADJAYE Tanzaniano, di origini Ghanesi (45 anni). Quando il colore della pelle non conta. Balzato agli onori della cronaca e del successo per aver saputo interpretare il ruolo dell’architettura multietnica e rappresentare le lobby si è anche bruciato rischiando il fallimento. Ora risale la china OLE BOUMAN Olandese (51 anni). È direttore del Nai, che è museo, archivio, biblioteca e tutto quanto si può immaginare per la ricerca e diffusione dell’architettura. Il centro ha riaperto quest’anno nella sua veste ampliata firmata da Jo Coenen, con la sala dei tesori progettata da Rem Koolhaas ROBERT AISH Statunitense, designer. Il potere digitale: è stato sviluppatore (in tempi non sospetti) del software Rucaps e ha creato GenerativeComponents con la Bentley, un must per la creazione di forme geometriche complesse. Attualmente lavora per Autodesk RICKY BURDETT Inglese (55 anni). Ha diretto la Biennale del 2006, è direttore della London School of Economics ed è il city architect più ricercato: come essere architetto e non sembrarlo TADAO ANDO Giapponese (70 anni). Autodidatta, seduce da Armani a Pinault, maestro nei dettagli impeccabili con lui il risultato è assicurato anche nell'ultimo showroom per Duvetica a Milano TERRY FARRELL Inglese (72 anni). Ha spiazzato Rogers diventando consulente del sindaco di Londra Boris Johnson e spostando la barra su un postmodern di rappresentanza. Tiene le fila del più grande progetto di rigenerazione urbana europeo, il Thames Gateway ROLF FEHLBAUM Svizzero (70 anni). È a capo della svizzera Vitra che, accanto ai mobili, è storica promotrice internazionale dell’architettura e del design, nel campus e attraverso grandi mostre nella sua sede di Weil am Rhein SANTIAGO CALATRAVA Spagnolo (60 anni). Sempre alla ribalta, anche per i suoi clamorosi errori, questo architetto-scultore è famoso per le sue infrastrutture bianche dalle forme organiche. A Venezia però non ha incantato: il suo ponte è il meno amato (e il più caro) della città lagunare THOMAS HERZOG Tedesco (70 anni). Un pioniere nel campo dell’architettura bioclimatica e ecosostenibile, oggi in tempi di perseverante greenwashing un riferimento imprescindibile HERZOG & DE MEURON Svizzeri. Jacques Herzog e Pierre de Meuron (entrambi 61 anni). Gli elvetici «gemelli diversi» non fanno un edificio uguale all’altro, ma, nonostante la fama planetaria, il loro sito web ha debuttato solo quest’anno: quando la comunicazione non fa l’archistar NORMAN FOSTER Inglese (76 anni). Il Lord dell’architettura progetta edifici avveniristici ovunque ma vive in un castello del Seicento in Svizzera. Tra i suoi committenti, uno dei figli di Gheddafi e lo sceicco di Abu Dhabi. L’ultima sua fatica è l’aeroporto per la Virgin Galactic. Conquisterà anche lo spazio? GEHRY TECHNOLOGIES Società statunitense fondata nel 2002. Ormai indipendente dallo studio di Frank Gehry, ha messo in pratica la trasformazione del software di progettazione da prodotto da vendere a servizio da fornire. Dagli oggetti alle persone Iwan Baan Albert S Cesar Pelli Ben van Berkel ARUP Società di ingegneria fondata nel 1946 da Sir Ove Arup. Il potere di rendere costruibile ogni più perversa fantasia architettonica. É la più grande del mondo con circa 10.000 dipendenti, presente in ogni maxi progetto, dalle piattaforme petrolifere ai quartieri ecosostenibili IWAN BAAN Olandese (36 anni), fotografo. Il potere dell’icona architettonica: come santificare i progetti e farsi pubblicare CECIL BALMOND Sri Lanka (68 anni). Il potere di lasciare la più grande engineering del mondo senza cadere in disgrazia e costruire con il magnate dell’acciaio Lakshmi Mittal il simbolo di Londra 2012 SHIGERU BAN Giapponese (54 anni). C’è dove c’è una catastrofe: promoter del cartone riesce, come a L’Aquila, a portare il suo contributo dove serve BARRY BERGDOLL Statunitense. È il Philip Johnson chief curator of Architecture and Design al MOMA di New York, sempre al top delle politiche culturali che contano STEFANO BOERI Italiano (55 anni). Progettista, urbanista, docente dagli Stati Uniti alla Russia, critico e adesso anche assessore alla cultura di Milano: come andare dalla Maddalena all’Expo passando per Rcs ANDREJ BOKOV Russo (68 anni). Dall’Urss con nostalgia: figura di grande peso istituzionale è alla testa di una delle megastrutture progettuali eredi della cultura professionale sovietica Thom Mayne © STEFANO GOLDBERG PUBLIFOTO ALEJANDRO ARAVENA Cileno (44 anni). Salito alla ribalta a 41 anni alla Biennale di Venezia del 2008, è il bel tenebroso dell’architettura mondiale. Inserito da «Que pasa» tra le 50 persone più influenti del suo paese con lo studio Elemental, riesce a far puntare i riflettori su progetti di forte impatto sociale Cameron Sinclair Renzo Piano Ken Yeang Zhang K Francis Kéré YUNG HO CHANG Cinese (55 anni). Tutti vanno in Cina, lui in tempi non sospetti è stato il primo cinese ad acquistare potere negli Stati Uniti come preside del Mit. Oggi trionfa su entrambe le sponde e si dedica a progetti umanitari DAVID CHILDS Statunitense (70 anni). Se Daniel Libeskind è la mente di Ground zero, Childs ne è il braccio. Quando si è trattato di fare, Larry Silverstein si è rivolto a lui, che rappresenta Som, il grande studio americano per antonomasia DAVID CHIPPERFIELD Inglese (58 anni), in lizza per lo Stirling con Zaha Hadid negli ultimi due anni. Molte voci lo danno come direttore della Biennale di Architettura di Venezia 2012 GILLES CLEMENT Francese (68 anni), agronomo, scrittore, paesaggista di culto. Le erbacce al potere: ha coniato la nozione di «Terzo paesaggio» e messo in discussione tanto la globalizzazione quanto gli eccessi della tutela HAFEEZ CONTRACTOR Indiano (61 anni). É il prolifico progettista di molte opere del recente sviluppo dell’India CHARLES CORREA Indiano (81 anni). Fra modernità e tradizioni locali, è il pioniere dell’architettura dell’India indipendente FARROKH DERAKHSHANI Direttore dell’Aga Khan Award for Architecture, il premio per eccellenza per l’architettura dei paesi a religione mussulmana MARIO BOTTA Svizzero (68 anni). In fatto di chiese, lo ascoltano anche in Vaticano e quest’anno è ritornato a dirigere l’Accademia da lui fondata. Il potere di mantenere il potere 4 | IL MAGAZINE DELL’ARCHITETTURA Sergej Tchoban David Adjaye © STEVEN HELLER Ai Weiwei © IAN SMITH Tabanlioglu Architects Sheila Sri Prakash Cecil Balmond HOK Società fondata nel 1955. Marchio della globalizzazione americana. Dalle banche ai servizi con una divisione specifica per gli impianti sportivi che sbaraglia ogni concorrenza ZHANG KE Cinese (41 anni). Fondatore di Standard Architecture, uno degli studi più quotati della new wawe cinese. Sfodera reinterpretazione dell’architettura tradizionale e versatilità inventiva FRANK O. GHERY Statunitense, nato in Canada (82 anni). Ipnotizza il grande pubblico con l’effetto Bilbao dei suoi edifici accartocciati, ma per dipanare la matassa della vita ha bisogno dello psicanalista STEVEN HOLL Statunitense (64 anni). Dopo aver bucato lo schermo con The Sponge per il Mit, ha contagiato la Cina con i suoi grattaceli orizzontali: alveari per le megalopoli asiatiche JONATHAN GLANCEY Inglese. Le sue sferzanti critiche dalle pagine del «Guardian» colpiscono sempre, raggiungendo il grande pubblico HANS IBELINGS Olandese (48 anni). Grazie a lui la parola Supermodernism è finita sulla bocca di tutti. Ha fondato e dirige «A10», la rivista paneuropea più diffusa in Europa FRANCIS KÉRÉ Burkinabé (46) anni. Studia a Berlino dove crea un’associazione per realizzare architetture bioclimatiche nel suo paese. Oggi progetta e insegna in giro per il mondo e non può mancare in ogni conferenza politicamente corretta sulla sostenibilità ZAHA HADID Irachena (61 anni). Presenza ingombrante, dopo un 2010 con il botto in cui ha rastrellato tutti i premi del mondo (costruendo anche in Italia con il Maxxi), nel 2011 irrita l’establishment inglese accapparandosi per la seconda volta lo Stirling Prize. Mentre lei gira il mondo, il socio Patrick Schumacher è rintanato nello studio a materializzare visioni oniriche BJARKE INGELS Danese (37 anni). La stella nascente dell’architettura danese (e designertestimonial Audi) racconta i suoi progetti con i fumetti, vince concorsi a ripetizione e costruisce anche. Il suo studio non poteva che chiamarsi Big David Childs RODNEY ROY HARBER Sudafricano (71 anni). Architetto, urbanista e docente. Come trasmettere i valori dell’architettura. E per questo ricevere la medaglia del South African Institute of Architects, essere membro della commissione Uia e rappresentare l’Africa al Consiglio dell’Unesco CHRISTOPH INGENHOVEN Tedesco (51 anni). Da Düsseldorf sta conquistando la Cina. È etichettato come «modernista freddo», ma i suoi edifici di alta tecnologia funzionano JIANG JUN Cinese (37 anni). Designer e critico, redattore di «Urban China Magazine» e docente al moscovita Strelka Institute for Media, Architecture and Design, ha fondato lo studio di Guangzhou Underline Office Joe Osae-Addo MICHAEL KIMMELMANN Statunitense. Quando non conta il nome, ma il posto che si occupa: da qualche mese ha sostituito Nicolai Ouroussoff come critico di architettura del «New York Times» DANIEL LIBESKIND Statunitense, nato in Polonia (65 anni). Look da cowboy, macina musei uno dietro l’altro, ma anche se sono tutti uguali, quello appena inaugurato a Dresda è la copia esatta del Royal Ontario Museum di Toronto. Tutti lo vogliono, come un diamante KOHN PEDERSEN FOX ASSOCIATES Studio di architettura statunitense fondato nel 1976. Quando il marchio vale più del singolo. Sono la longa manus dei grandi potentati americani nel mondo RONALD LU & PARTNERS Studio fondato a Hong Kong nel 1976, tra i decisori dei destini urbanistici delle città del sud-est asiatico REM KOOLHAAS Olandese (67 anni) . Il mai più senza degli ultimi anni, chi non lo cita è out. Ogni anno conia il must della stagione, il fondatore di Oma oggi è conteso da Miuccia Prada e dal partito comunista cinese GREG LYNN Statunitense (47 anni). Il potere del parametrico dal complemento di arredo alle chiese presbiteriane. Premiato alla Biennale di Architettura di Venezia 2008 THOM MAYNE Statunitense (67 anni). È un po’ lo Steve Jobs dell’architettura: imprevedibile, provocatorio, il fondatore dello studio Morphosis è un profeta delle nuove tecnologie Terry Fa Ma Yansong © DANIEL ALLEN no in architettura Rocco Sen Kee Yim Albert Speer Kazuyo Sejima Shigeru Ban LIU XIAODU Cinese (51 anni). Fondatore, con Meng Yan (1964) dello studio Urbanus, che reinterpreta il complesso residenziale del tulou riadattandolo alla realtà capitalistica della città globale cinese Dominique Perrault Peter Zumthor © STEFANO GOLDBERG PUBLIFOTO SHEILA SRI PRAKASH Indiana (56 anni). Il primo architettodonna di potere in India, la prima a fondare un suo studio e il primo architetto indiano invitato al World Economic Forum Zhang Ke Bjarke Ingels Moshe Safdie Zaha Hadid PHILIPPE STARCK Francese (62 anni). Dallo spremiagrumi alla città, è il prezzemolo del design che non disdegna incursioni nell’interior. Non smette di sfornare un wc all’anno, ma promuove il design autoprodotto STUDIO MUMBAI Studio di architettura fondato nel 2005. Il contributo indiano più recente alla ricerca architettonica internazionale Massimo Roj TABANLIOGLU ARCHITECTS Società di progettazione turca fondata nel 1990 da Murat Tabanlioglu con la moglie Melkan Gursel. Spopola nella zona del Golfo. Eletti architetti dell’anno dal Middle East Architecture Award Terry Farrell Alejandro Aravena GIANCARLO MAZZANTI Colombiano (47 anni). Con l’architettura ha rivoluzionato Medellín, la capitale del narcotraffico RAHUL MEHROTRA Indiano (52 anni). Parlando di città e urbanizzazione indiana, è il personaggio di riferimento RICHARD MEIER Americano (77 anni), il suo modulo quadrato bianco ha fatto storia e una smisurata quantità di epigoni. Dai rivenditori di automobili lungo le tangenziali all’Ara Pacis non c’è molta differenza. Per anni il re di New York e delle ville vip in Connecticut nel 2010 ha firmato quella per Mr Bean nell’Oxfordshire RAFAEL MONEO Spagnolo (74 anni). Grande potere teorico. È il signore delle accademie, dal Prado alla Columbia University OSCAR NIEMEYER Brasiliano (104 anni). Il potere di vincere il tempo: l’architetto carioca celebra ancora i compleanni con nuovi progetti JEAN NOUVEL Francese (66 anni). Total look (ha disegnato perfino il Borsalino che indossa!), immagine mediatica studiata e vincente, ha il potere di sembrare il capo ma in realtà è un dipendente HANS ULRICH OBRIST Svizzero (43 anni). Il potere di legittimare la fama: se non ti intervista, non sei nessuno Jorg Schlaich Oscar Niemeyer JOE OSAE-ADDO Ghanese (47 anni). Dalla pozzolana a Brad Pitt: l’architetto di Accra, a New Orleans per la ricostruzione promossa dall’attore americano, è riuscito a costruire in Africa un impero su una tecnica antica MASSIMO ROJ Italiano (51 anni). Solo italiano nella lista dei 100 studi più grandi al mondo per fatturato nel 2011 (97° posto, con 88 architetti e un fatturato tra i 10 e i 19 milioni di dollari), con il suo studio milanese Progetto Cmr ha sfondato anche in Cina CESAR PELLI Argentino (84 anni). Il signore dei grattacieli è a capo di un marchio che conta più di 80 dipendenti: lo studio Pelli Clarke Pelli Architects, fondato nel 1977 nel Connecticut DAVID RUTTEN Slovacco. Per il giovane rampante, che lavora per la società di software McNeel, è lo sviluppatore di Grasshopper, il sistema di culto per la modellazzione DOMINIQUE PERRAULT Francese (58 anni). Emblema della grandeur francese insieme a Jean Nouvel, rappresenta la Francia in ogni biennale che conta (come quella di San Paolo del Brasile nel 2012) MOSHE SAFDIE Canadese, nato ad Haifa (73 anni). Forse il più potente della lobby ebraica. Inossidabile, dai fasti dell’Expo ‘67 di Montreal al Museo dell’Olocausto di Gerusalemme fino al Marina Bay, hotel 7 stelle di Singapore con piscina di 150 metri sul tetto RENZO PIANO Italiano (64 anni). Il Renzo nazionale, eminenza grigia di Genova, è in Italia l’architetto per antonomasia: lo conoscono dalla casalinga di Voghera al macellaio. Negli Stati Uniti, tutte le istituzioni museali si affidano a lui SASKIA SASSEN+RICHARD SENNETT Statunitensi (64 anni lei, 68 anni lui). I coniugi sociologi più famosi del mondo: quando gli architetti parlano di globalizzazione non possono non citarli RICHARD ROGERS Inglese (78 anni). Il progettista delle case più care del mondo ma profeta del costruire green (e con buoni agganci anche nel Chiantishire) voleva dimettersi da consigliere capo del sindaco di Londra, ma, quando Ken il Rosso ha lasciato il passo al conservatore Johnson, ci ha ripensato e si è accontentato di un posto da consulente. Tenere un piede nel sistema dà sempre i suoi frutti... JORG SCHLAICH Tedesco (77 anni). Il signore delle strutture leggere, con cui ha ricoperto le corti di rappresentanza di tutta la Germania KAZUYO SEJIMA Giapponese (55 anni). Il potere del silenzio. Schiva, minuta e di poche parole (e non in inglese) la vincitrice del Pritzker nel 2010 e direttrice dell’ultima Biennale di Venezia, mantiene il controllo. È, con Zaha Hadid, l’altra faccia del potere al femminile ROCCO SEN KEE YIM Cinese (59 anni). Dopo la sede della City Bank del 1992, il signore di Hong Kong non ha più smesso di costruire ma rischia di farsi scippare il ridisegno della baia di Kowloon CAMERON SINCLAIR Inglese (38 anni). Il Gandhi dell’architettura: grande potere comunicativo è diventato a suo modo un archistar: con Architecture for Humanity riesce a portare gli architetti nelle zone disastrate del pianeta, risvegliando (per finta o per davvero) la loro coscienza e raccogliendo fondi SERGEJ TCHOBAN Russo (49 anni). La potenza del falso storico. È l’immagine dei nuovi russi rampanti in cerca di status symbol e uno dei pochi che vuole imporsi anche all’estero, già da tempo presente in Germania TJUPDI (SHANGHAI TONGJI URBAN PLANNING & DESIGN INSTITUTE) Istituto di progettazione cinese fondato nel 1996. Emanazione dell’Università Tongji di Shangai, impiega 203 urbanisti e fa man bassa di tutti i concorsi di progettazione urbanistica della città. Suo il masterplan dell’Expo Shanghai 2010 URBZ Giovane gruppo di formazione mista fondato nel 2009 a Mumbai è attivo sui temi della città indiana, fra economia, architettura e sociologia WERNER SOBEK Tedesco (53 anni), ingegnere. Porta avanti con perizia gli insegnamenti e la filosofia di Frei Otto da Stoccarda al Cairo passando per San Paolo BEN VAN BERKEL Olandese (54 anni). Un altro olandese volante, dagli Stati Uniti alla Cina. Cucina l’anello di Moebius in tutte le salse MICHAEL SORKIN Statunitense (63 anni). Critico newyorchese onnipresente nelle giurie dei concorsi che contano. Continua a professare con successo il ritorno del ruolo sociale dell’architetto RAFAEL VINOLY Uruguayano (67 anni). Spazia dagli Stati Uniti all’Inghilterra fino al Giappone e ha appena concluso il nuovo centro britannico d’arte di Colchester, subito soprannominato la banana d’oro, per i costi crescenti ALBERT SPEER Tedesco (77 anni). È riuscito a riabilitare il nome di famiglia (il padre era l’architetto di Hitler) e ha in mano i masterplan di mezzo mondo, da Monaco 2018 a Baku, dalla Nigeria alla Cina, dove dopo il masterplan di Pechino 2008 sta progettando la città dell’auto Changchun (120 kmq) MARK VON GERKAN Tedesco, nato in Lettonia (76 anni). Tedesco di ferro, lavora dall’Italia (Fiere di Rimini e Verona, dove progetta anche l’ospedale) alla Cina MA YANSONG Cinese (36 anni). Nel 2004 fonda lo studio Mad Architects a Pechino con Yosuke Hayano e Qun Dan. E dal 2006 piovono riconoscimenti e mostre sul loro lavoro. Il suo progetto «Floating Island» per il New York World Trade Center fa ormai parte del Museo Nazionale di Arte Cinese KEN YEANG Malese (63 anni). Dalla Malesia con furore, è ancora sulla cresta dell’onda il primo guru dei grattacieli verdi AI WEIWEI Cinese (54 anni), artista e architetto. Il potere della dissidenza. Mezzo mondo si è mobilitato per la sua liberazione piegando le autorità cinesi WS ATKINS & PARTNERS Società di progettazione inglese fondata nel 1938. Non è più tra le prime 10 della classifica di Building Design ma dopo la vela di Dubai Burj Al-Arab è diventato il primo gruppo occidentale attivo nella regione del Golfo dove impiega oltre 2.000 persone tra cui 213 architetti MIRKO ZARDINI Italiano (56 anni). Dal 2005 alla guida del Centre Canadien d’Architecture di Montréal, un’istituzione che con grandi mostre e oculate (e strapagate) acquisizioni degli archivi dei grandi architetti del Novecento non sbaglia un colpo PETER ZUMTHOR Svizzero (68 anni). Il potere dell’intangibilità: l’unico che negandosi riesce sempre a far parlare di sé. Dall’eremitaggio dei Grigioni alla Serpentine di Hyde Park. Sue le prime terme d’autore: l’architetto che non è stato a quelle di Vals è out! AECOM (STATI UNITI), AEDAS (GRAN BRETAGNA/CINA/STATI UNITI), GENSLER (STATI UNITI), NIKKEN SEKKEI (GIAPPONE), IBI GROUP (CANADA), P&T ARCHITECTS AND ENGINEERS (HONG KONG), PERKINS & WILL (STATI UNITI), RMJM (GRAN BRETAGNA), BDP (GRAN BRETAGNA), RSP ARCHITECTS (SINGAPORE) Le «favolose» 9 società di progettazione (che fanno 10 con Foster and Partners) al top del mondo nel 2010 per numero di architetti dipendenti e fatturato, secondo la rivista inglese Building Design KEO INTERNATIONAL (KUWAIT), DEWAN ARCHITECTURE (IRAQ, EMIRATI ARABI), WOODS BAGOT (AUSTRALIA) Le tre società non europee più importanti e influenti nel 2010 secondo «Middle East Architect» IL MAGAZINE DELL’ARCHITETTURA | 5