Diapositiva 1
Transcript
Diapositiva 1
La figura di Clodia viene descritta sia da Catullo che da Cicerone, ma queste non sono fonti molto attendibili perché il primo, in alcuni carmina, ha l’atteggiamento tipico dell’innamorato deluso e, a volte la elogia, altre invece la diffama. Il secondo invece, per far assolvere il suo assistito dall‘accusa di furto e di tentato omicidio, fa di tutto per invalidare le parole di Clodia screditandone la sua figura. Con l’intento d’intrattenere piacevolmente i compagni, Eumolpo racconta la storia della matrona di Efeso, un exemplum di levitas femminile. Appena morto il marito la donna non sapeva capacitarsi della grande perdita subita, e fedele al consorte anche dopo la morte, continuava costantemente a vegliare, piangere e digiunare nel sepolcro del marito così che tutta la città non faceva che lodare la sua pudicizia, fedeltà e castità. Il destino volle che nei pressi del sepolcro vennero giustiziati due ladroni e il soldato che faceva da guardia ai due corpi appesi sulle croci, incuriosito da una flebile luce che si intravedeva nel sepolcro, scese le scale e incontrò la donna in lacrime davanti al corpo del marito. La pudicizia e la castità della donna furono tentate dall’avvenente soldato, i due non impiegarono troppo tempo a conoscersi e a colmare l’astinenza della povera donna. Durante i loro incontri notturni ci fu chi, però, allentata la sorveglianza, approfittò per prendere il corpo di un ladrone. Scoperto il misfatto il soldato voleva uccidersi piuttosto di affrontare un simile disonore. Tuttavia l’astuzia della donna gli suggerì di caricare sulla croce il corpo del compianto marito e di fuggire insieme a lei. Così da pudica e casta la donna divenne vogliosa e sacrilega e la mattina seguente la gente di Efeso non riusciva a spiegarsi come aveva fatto il morto ad arrampicarsi sulla croce. Il significato del racconto è decisamente una critica al buoncostume apparente di molte di donne, una critica alla leggerezza del genere femminile, ma il tono non è pesantemente moralistico anche se non possiamo più parlare del sermo vulgaris che caratterizza i passi precedenti. Il tono si fa più alto, si intrecciano al racconto le citazioni virgiliane che implicitamente assimilano la matrona a Didone, tentata dall’amore per Enea, ma la malizia e l’ironia dell’autore venano il racconto divertendo il lettore. La castità e la pudicizia della matrona continuano ad essere rilevate con crescente ironia, fino al sarcastico elogio che le viene tributato nel momento in cui, con perfetta disinvoltura, all’impudicizia aggiunge il sacrilegio. Cicerone, famoso sia nel mondo antico che in quello moderno per la sua fama di grande avvocato, vinse la maggior parte delle sue cause; tra cui, la più nota, la “Pro Celio”. In questa egli prende le difese del giovane Celio contro Clodia, donna di origine nobile alla quale, come altre donne aristocratiche al tempo di Cesare, era concessa una discreta libertà: poteva mantenere il suo patrimonio e permettersi di studiare per formarsi una cultura. L’avvocato aveva un pretesto in più per vincere la causa perché la donna era la sorella di Clodio, che per motivi politici, era il nemico giurato di Cicerone. 30. Sunt autem duo crimina, auri et veneni; in quibus una atque eadem persona versatur. Aurum sumptum a Clodia, venenum quaesitum quod Clodiae daretur, ut dicitur. [...] 31. Video auctorem, video fontem, video certum nomen et caput. Auro opus fuit; sumpsit a Clodia, sumpsit sine teste, habuit, quamdiu voluit. Maximum video signum cuiusdam egregiae familiaritatis. Necare eandem voluit; quaesivit venenum, magnum rusus odium [...] 32. Nunc agam modice nec longius progrediar quam me mea fides et causa ipsa coget. Neque enim muliebres umquam inimicitias mihi gerendas putavi. 30. Due son dunque i capi d’accusa: l’oro e il veleno. Per l’uno e per l’altro è in gioco la stessa persona: l’oro si dice preso a prestito da Clodia, il veleno procurato per essere propinato a Clodia. [...] 31. Vedo un nome e una persona. Aveva egli bisogno dell’oro: se lo fece prestare da Clodia, prestare senza testimoni, e se lo tenne quanto tempo volle: prova evidente di una strettissima intimità. Ma poi la volle uccidere; si procurò il veleno, prova evidente di un grande odio. [...] 32. Non andrò oltre quel che esigono il mio dovere e le necessità della causa. Non è mai stato nei miei desideri di crearmi inimicizie femminili. Clodia ha dato del denaro a Celio, che adesso la donna pretende, ma il prestito non è stato registrato su nessun pezzo cartaceo, da qui si deduce che i due erano intimi. Dalla separazione dei due nasce un grande odio, fino ad arrivare al tentativo di Celio di uccidere Clodia con del veleno. Ma Cicerone non si sofferma sull’accusa e incentra tutta la faccenda sulla persona di Clodia. Egli però non è antifemminista, infatti sarebbe contento di svincolare la donna e che ritirasse le accuse, se non lo trattenesse l’odio per il fratello. 33. Exsistat igitur ex hac ipsa familia aliquis ac potissimum Caecus ille [...]Qui profecto, si exstiterit, sic aget ac sic loquetur: "Mulier, quid tibi cum Caelio, quid cum alieno? Cur aut tam familiaris huic fuisti, ut aurum commodares, aut tam inimica, ut venenum timeres? [...] 34. Non denique modo te Q. Metelli matrimonium tenuisse sciebas, clarissimi ac fortissimi viri patriaeque amantissimi [...] Cum ex amplissimo genere in familiam clarissimam nupsisses, cur tibi Caelius tam coniunctus fuit? [...] Quid igitur fuit nisi quaedam temeritas ac libido? [...] ne progenies quidem mea, Q. illa Claudia, aemulam domesticae laudis in gloria muliebri esse admonebat, non virgo illa Vestalis Claudia. 33. Venga dunque qualcuno della sua stessa famiglia, per esempio Appio Claudio Cieco. [...] S’egli dunque risusciterà la tratterà e le parlerà così: “O donna, che hai tu in comune con Celio, con questo estraneo? Come mai tu gli sei stata, o così intima da prestargli i tuoi ori, o così nemica da temerne il veleno? [...] 34. Non sapevi almeno di essere stata moglie di Quinto Metello, uomo eccellente e intrepido, amantissimo della patria. [...] Tu di così nobile famiglia, e entrata in così nobile famiglia con il matrimonio, come hai potuto confonderti con un Celio? [...] Che altro ti spinse, allora, se non una sfacciata libidine? [...] Come non ti suggerì quella di una mia discendente, Quinta Claudia, di farti emula di domestica lode nell’onore femminile.; o quella della vergine Claudia. La strategia di Cicerone è quella di far passare Clodia come una testimone non attendibile, e la denigra rivelando il suo lato di donna di facili costumi. Ella, adulta e matura, è spinta da una forte libidine per un giovanotto che non ha niente a che fare con lei. Proprio su questa strada Cicerone prosegue la sua requisitoria per distruggere l'attendibilità di Clodia, coinvolgendo il celebre uomo politico, Appio Claudio Cieco, che le si sarebbe rivolto con disprezzo dicendole di non aver onorato la sua illustre famiglia. Da testimone dell'accusa che era, Clodia passa quindi ad accusata. 47. [...] frequentissima celebritate et clarissima luce laetetur. 48. Verum si quis est, qui etiam meretriciis amoribus interdictum iuventuti putet, est ille quidem valde severus – negare non possum –. [...] mulierem nullam nominabo; tantum in medio relinquam. 49. Si quae non nupta mulier domum suam patefecerit omnium cupiditati palamque sese in meretricia vita collocarit, virorum alienissimorum conviviis uti instituerit. [...]ut non solum meretrix, sed etiam proterva meretrix procaxque videatur. 47. [...] compiaciuta dell’affollarsi della gente e della piena luce intorno alle sue sconce manovre. 48. Se v’è qualcuno che consideri negato ai giovani perfino l’amoreggiare con una prostituta, egli sarebbe, non posso negarlo, austero. [...] ma non farò il nome di nessuna donna: lasciamo pur la cosa in sospeso. 49. Ma se una donna, che non abbia marito, apra la casa propria alle brame di tutti, si metta a fare apertamente una vita da meretrice, usi banchettare con uomini a lei affatto estranei, [...] in modo tale da manifestarsi, non soltanto prostituta, ma prostituta sfrontata e procace. L’ennesima colpa di cui Clodia viene accusata, è che, oltre ad essere una donna vedova a cui non manca di certo il piacere di divertirsi, non si faceva lo scrupolo di tenere la cosa nascosta, anzi il suo diletto era proprio esibire i suoi inganni. La donna non cambia il suo modo di comportarsi né in città, né in villa, né tanto meno in mezzo alla folla di Baja, località marina della Campania alla moda per gli aristocratici di Roma nella quale passavano l’estate. Anche il suo apparire riflette ciò che è: il modo di camminare, di acconciarsi, della compagnia, della libertà di linguaggio, dei baci e degli abbracci sulle spiagge, a bordo e a cena; queste sono tutte espressioni della sua personalità. E come potrebbe un giovane resistere a tali tentazioni? Non potrebbe considerarsi adultero proprio perché, indotto da una donna, diventa vittima. Un ragazzo ha dunque tutti i diritti a compiere svaghi innocenti, mentre una signora non potrebbe mai permetterselo. 50. Ea si tu non es, sicut ego malo, quid est, quod obiciant Caelio? Sin eam te volunt esse, quid est, cur nos crimen hoc, si tu contemnis, pertimescamus? Quare nobis da viam rationemque defensionis. Aut enim pudor tuus defendet nihil a M. Caelio petulantius esse factum, aut impudentia et huic et ceteris magnam ad se defendendum facultatem dabit. 50. Se tu non sei quella donna, come io voglio pensare, di che accusano dunque Celio? Se vogliono che tu lo sia, perché dovremmo noi temere di un’accusa, che tu per prima condanni? Dacci dunque tu stessa la via e il modo della difesa: poiché, o nel tuo pudore tu escluderai che Marco Celio si sia comportato con te in modo sconveniente, oppure la tua spudoratezza darà a lui e a tutti gli altri l’arma migliore per difendersi. “Ea si tu non es, sicut ego malo”, questa è una frase in cui l’astuzia e l’ingegnosità di Cicerone è ancora una volta l’arma vincente per il suo trionfo. L’avvocato raggirando i giudici raggiunge il suo obbiettivo: guastare la figura di Clodia, farla passare per una poco di buono e mettere così tutte le carte in tavola a favore di Celio. Femina: > foemia, “femmina” (*DHE) . Puella: “ragazza”. Virgo: “vergine”. Ancilla: serva vilica. Hera: “padrona di casa”. Domina:dominus (domus);gr. Damao sansc. Damjami “domare”, “comandare”. Mulier: “donna”. Uxor: “moglie”, “essere abituato” (*EUK) Coniux: “compagna di giogo”, “coniuge” (cum iugum). Consors: “consorte”. “compagna di sorte”, Sponsa: “fidanzata”, “sposa”, > p.pf. spondeo “prometto”, gr. spendo “offro una libagione”, “consacro con un accordo”. Matrona: >mater, comporta un’idea accessoria di nobiltà e di dignità, donna che s’è unita in matrimonio con un uomo, per tutto il tempo che il matrimonio dura, anche in mancanza di figli: il nome verrebbe dal titolo di “madre” pur senza averlo effettivamente conseguito ma nella speranza e con l’auspicio di conseguirlo. Matrimonium: >mater. Nuptiae: >v. nubo (alicui),es,nupsi,nuptum,ere ( “coprire”,”velarsi”, prendere il velo per qualcuno ), con riferimento alla sposa che andava in corteo ala casa dello sposo coperta di un velo rosso: nubes è la “nuvola”, così detta perché copre il cielo. Dotalis: dotale, che riguarda la dote, che si porta in dote. Univira: donna che si è sposata una sola volta (unus + vir) Mater familias: appellativo riservato alla donna che è in potestà e possesso del marito o di chi ha la potestà e il possesso del marito, dato che essa è entrata non solo nel matrimonio ma anche nell’ambito familiare del marito e nella condizione di sua erede. Pietas: > v. piare ( “placare con sacrifici”, “espiare” ), virtù del rispetto, che la matrona doveva nutrire verso gli dei e verso i parenti. Castitas: virtù della purezza, che dalla sfera religiosa si estendeva a quella morale per indicare ogni comportamento esente da colpa. Fides: > v. greco péitho ( “persuado” ) e s. pistis ( “fede” ), nel rapporto di coppia indica la “lealtà” che quindi, a maggior ragione tra i coniugi, assume il carattere della virtù della fedeltà. Foedus: > v. greco péitho ( “persuado” ) e s. pistis (“fede” ), s. “patto”, nello specifico il “patto d’amore”. Fidus: > v. greco péitho ( “persuado” ) e s. pistis ( “fede”), agg. “affidabile”, “fedele”, da cui l’italiano “fidanzato” e derivanti. Lanificium: tradizionale funzione della matrona, consistente nell’occuparsi della filatura e tessitura della lana per i vestiti dell’intera famiglia. Incestus : agg. , s. incestum , “incesto” Adulterium: > agg. alter e v. altero, adultero (“altero”, “corrompo”), “tradimento”. Moechia: > greco moichéia (da una radice che significa “orinare” e indica il disprezzo nutrito verso questa funzione fisiologica, equivalente di adulterium), valore massimamente dispregiativo, in riferimento ad una donna . Stuprum: in origine indicò genericamente “disordine” e “vergogna”, poi fu collegato specificamente ad atti sessuali disonorevoli, ma senza implicare necessariamente la violenza sessuale come nel derivante italiano “stupro”. Scortum: donna che si unisce a molti uomini (diminutivo scherzoso scortillum), la parola (da cui l’italiano “scorza”) significa propriamente “cuoio”, “pelle” per indicare la prostituta, e richiamare il francese volgare peau (“pelle”), che ha lo stesso significato. Meretrix: “meretrice”, > mereo (“guadagno”), quindi “colei che guadagna denaro (attraverso rapporti amorosi)”. Prostituta: > p. pf. di prostituo (“prostituisco”) Lupa: “prostituta” di professione o, si direbbe, per vocazione. Donna nell’antichità: tgo.it; alalba.it; lyricsmania.it; Virgilio Eneide w. 5-6-9 Orazio Odi, I 5,5-8; Giovenale, Satira VI 286-293 Le leggi: Storia del diritto romano; vari siti internet Donne Perdute: Sallustio “De Catilina coniuratione 24”; Cornelio Tacito “Annales XI 12-26-31; XII,3-6; XIII, 45; XIV,8; Cicerone “Pro Caelio”; Petronio, Satyricon, 111-112 Donne Virtuose: E. Cantarella, passato prossimo pag 53; Ovidio, Fasti Liber Li; Livio, Ab Urbe Condita libro I par. 57-59; Joerg Breu il vecchio, il suicidio di Lucrezia 1475. Realizzato dalla Classe 3°l d Catullo, Clodia e Lesbia: Bernardi Giulia, Franceschelli Elisa, Melaranci Ilaria, Tiraferri Federica Pro Caelio (Cicerone): Nastasi Sara, Pizzicannella Silvia La donna di Efeso: Chepkasova Olga, Cignarella Michela Il Lessico: Cignarella Michela Regia: Cantello Ilaria, Placidi Arianna, Saviano Marta