A colori MoCa (im)Press
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Contattaci [email protected] s s e r P a M oC 16 Febbraio 20 (im) Visita il nostro sito internet www.mocapress.org Per costruire bisogna abbattere Ha proprio ragione Michela Murgia quando dice che siamo ancora sotto la cappa di una famiglia patriarcale e di una società che stenta a decostruire pregiudizi. Certo la legge dice altro, infatti parifica il ruolo dell’uomo e della donna nella famiglia, e nella società in genere, ma cosa accade nella realtà sociale? Accade che in due giorni tre donne sono letteralmente massacrate dai loro compagni, mentre la famiglia, quella sana, giusta, naturale, tradizionale scende in piazza per difendersi contro un mostro a due teste: unione civile e stepchild adoption. Cosa vuol dire difendere la normalità, quella determinata dalla consuetudine? Mantenere in vita stereotipi e pregiudizi, in molti casi. Lo dimostrano da un lato la violenza che molte donne subiscono nel quotidiano da parte dei loro compagni o anche dei loro figli e dall’altro la necessità di continuare a etichettare qualsiasi azione o fatto straordinario compiuto da una donna non per quello che esso è in sé ma per l’appartenenza ad un genere. Viene prima cioè l’essere donna e poi il suo ruolo o la sua funzione o la sua impresa. La società continua a mantenere viva, anche attraverso procedimenti educativi meccanici, quasi inconsci, l’idea della superiorità maschile. Quando si tenta di decostruire tale struttura allora si innesca un meccanismo di difesa. La decostruzione è pericolosa, mina il tessuto sociale, per cui bisogna osteggiarla. Guai alla scuola che intenda insegnare ai suoi alunni le differenze di genere! L’ultima riforma della scuola ci aveva provato inserendo (forse uni- co elemento da salvare di una delle peggiori riforme scolastiche!) nella art. 1 il comma 16 “Il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei princìpi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dall’articolo 5, comma 2, del decreto-legge 14 agosto 2013…” Apriti cielo! L’educazione alle differenze di genere è stata trasformata da famiglie “normali” e da una certa stampa in un altro terribile mostro: il gender! A scuola, secondo costoro, si sarebbero insegnate, tra l’altro, masturbazione e pratiche sessuali. Cari signori, è tanto difficile da capire la lingua italiana? Quando vi indignate di fronte alle notizie di violenze familiari, pensate al comma 16 dell’art.1. La violenza non si risolve solo con una legge che introduca il reato di femminicidio, ma anche e soprattutto attraverso la formazione culturale delle persone. La famiglia e la scuola sono i due principali contesti educativi chiamati ad assumersi tale responsabilità. Sono i primi luoghi frequentati dalla persona ed è lì che essa deve apprendere che ognuno è una persona e non che ognuno o è maschio o è femmina. Smettetela di appellarvi all’assurda idea di temi eticamente sensibili su cui solo la famiglia può intervenire. Smettetela di sbandierare parole straniere dal suono minaccioso. Smettetela di combattere coppie “anormali” che si amano e che amano i loro figli. Traducete il vostro sdegno per la violenza in educazione al rispetto delle differenze. La Redazione [email protected] Sommario Chi siete? A chi ... 2 “Arte perché non…” 2 L’alieno 3 A Giulio 3 L’oltretomba dei... 4 Le occasioni di... 5 Medioevo fatto in... 5 Leggi direttamente dal tuo smartphone le ultime notizie del nostro sito, attraverso questo codice QR Pagina 2 MoCa (im)Press Febbraio 2016 Chi siete? A chi appartenete? Cosa andate cercando? Musica e musicanti… e poesie e leggende e visioni, aggiungerei! Chi ha visto il documentario (anche se la classificazione è un po’ riduttiva) Nel paese dei Coppoloni di Stefano Obino con Vinicio Capossela, tratto o forse meglio ispirato al romanzo omonimo di quest’ultimo, riconosce nel titolo la domanda che ripetutamente viene fatta dallo stesso Capossela quasi a dare un senso al percorso compiuto artisticamente ed umanamente. Cosa sto cercando? Musica e musicanti, perché questo meraviglioso viaggio tra suoni, parole, luoghi della memoria ed antiche tradizioni è in realtà il percorso artistico di un cantautore e non a caso culminerà con l’uscita del nuovo album, Le canzoni della Cupa. Un linguaggio molto forbito, una fotografia realistica e asciutta, canzoni come litanie rendono il documentario non immediatamente fruibile (ma il pubblico, probabilmente, non è lo stesso di Quo vado?!), ma a mio avviso estremamente poetico ed a tratti onirico. Del resto, la bellezza del lavoro di Capossela sta tutta nel suo rendere visionaria un’opera che parte della ruralità a noi più vicina, per innalzarsi a picchi danteschi! Il film è diviso in capitoli ed è ambientato per lo più tra Calitri e Cairano, luoghi che hanno fatto da scenario anche allo Sponz Fest di questa estate e ad un’intervista-racconto allo stesso Capossela fanno da intermezzo scene del concertone estivo per i venticinque anni di carriera ed una sorta di videoclip delle canzoni. Io sono stata letteralmente rapita dalla scena di Capossela che porta sulle spalle una fascina a mo’ di ali ed intona una struggente canzone sul mulo, impersonando magnificamente il viandante solitario! Non piace a tutti questo artista, come del resto accade per le cose complicate. Ma credo sia ormai innegabile che faccia parte di quegli autori destinati a lasciare un segno nella cultura italiana, anche per quella sua capacità di far danzare le parole raccontando di mondi così lontani, eppure così familiari. Il documentario si chiude con una chicca, il video de Il Pumminale, primo singolo estratto dal nuovo album, magistralmente girato da Lech Kowalski, regista di documentari punk, anche lui probabilmente travolto dalla vena creativa e dal fascino di Capossela. E allora si esce inevitabilmente dalla sala intonando “nella notte di luna … nella luce di luna ….” e per un attimo l’incubo del cinema gremito per il Checco nazionale svanisce!! Giuseppina Volpe [email protected] “Arte perché non parli?” Ma forse è meglio di no! Capita che in un giorno di Gennaio, guardando il tg, mi imbatto nella notizia della visita del primo ministro iraniano Rouhani in Italia. E fin qua niente di eclatante. La giornalista si affretta subito a comunicarci che all’ospite iraniano sono stati fatti visitare i Musei Capitolini, ma…con la censura. Statue che rappresentano un nudo vengono coperte ad arte da pannelli, in modo tale da non turbare l’insigne ospite. Ammetto di aver avuto una reazione abbastanza dura e per decenza non riporto gli epiteti utilizzati. Andiamo con calma. Ho un rapporto con l’arte ormai quasi ventennale e da sempre il mio approccio con essa è stato tranquillo. Non ho mai guardato ai nudi con malizia, anche quando erano tempi di tempeste ormonali adolescenziali. Per me, o meglio per tutti quelli che si accostano alla scultura, un nudo è solo ed esclusivamente una manifestazione di arte e non un oggetto pornografico da non esibire. La nostra cultura e le nostre radici sono etrusche, greche, romane, quindi risalgono ad una società dove la bellezza era un valore essenziale. E la massima espressione del bello avveniva proprio attraverso l’arte che, fortunatamente, era ben lontana da tabù e leziosità odierne. Una cosa è certa: con la storia delle nudità scultoree coperte per non dispiacere al primo ministro iraniano Rouhani, abbiamo fatto, in giro per il mondo, una figura molto misera. Siamo stati visti come una banda di ruffiani che all’uopo sono sempre pronti a compiacere chi ci interessa (leggasi interessi monetari!) in modo un po’ servile. Insomma ci siamo fatti ridere dietro. Il web si è sbizzarrito con una satira estremamente pungente. Chi ha avuto quest’idea doveva necessariamente essere deriso. Ovviamente nessuno ne sa niente e, come in una partita di calcio, i nostri fantastici fuoriclasse (premier, ministro dei beni culturali, responsabili dei Musei Capitolini) si passano la palla in un rimpallo di responsabilità, tanto alla fine ce ne dimenticheremo e non conosceremo mai il responsabile. A prescindere dalle responsabilità (che onestamente neanche mi interessano più di tanto!) un fatto resta inconfutabile: siamo stati proprio ridicoli! Tutto sommato però è in linea col nostro spirito, come non ricordare la visita di Gheddafi a Roma qualche anno fa? Chiese ed ottenne l'allestimento della sua tenda beduina a Villa Pamphili attorniato da amazzoni e cavalli berberi. E Berlusconi che gli fece pure il baciamano? Se è vero che gli interessi economici muovono tutto e, nel caso di Teheran sono necessari, perché non organizzare la visita di Rouhani in modo più accorto, evitando “incidenti” come questo? A che serve altrimenti la diplomazia? Laura Bonavitacola [email protected] Pagina 3 MoCa (im)Press Febbraio 2016 L'alieno Sono trascorsi un po' di anni. Era, come capita spesso a noi precari, il solito incarico in qualche Scuola in qualche paese remoto. Quel giorno di diverso c'era solo la permanenza pomeridiana per i Consigli di classe, cosa tediosa in quanto costringe a sostare dopo il termine delle lezioni in lande desolate, in paesi negletti. Il tragitto prevede un lungo viaggio nel nulla, a farti compagnia da un certo punto in poi ci sono solo le pale eoliche che si stagliano come giganti ai tuoi lati dimenando le loro braccia. In uno scenario post-apocalittico un visitatore alieno avrebbe potuto interpretarle come statue erette a divinità di una civiltà scomparsa: dèi a cui si innalzavano statue da venerare, che in cambio dello scempio del panorama concedevano un po' di elettricità. Mi immedesimai nell'alieno. Uno dei pochi punti di riferimento nel lungo tragitto era un bar: il tempo di un caffè, di sorbirmi un avventore che elencava le virtù della squadra di calcio dell'Avellino che si contrapponeva al barista che teneva per il Napoli (credo che la vertenza fosse “Chi rappresenta meglio la 'terronità' tra i tifosi dell'una e dell'altra squadra?”) e mi alienai. Pagai in fretta, non avevo voglia di essere elevato a giudice di quella dotta querela. Giunsi a Scuola, un plesso di buon valore, personale preparato e cortese. Lo svolgimento delle lezioni fu tranquillo. Il problema adesso era perdere tempo. Allo scopo di procacciarmi il pranzo mi recai in un modesto bar. Davanti a questo sostavano giovani umani; quello che sembrava essere il maschio alfa esponeva i suoi concetti: 33 cl di filosofia spiccia, estratti da una bottiglia di birra danese. Opposi a quello strazio il sempre utile cinismo tabagista, quella coltre di fumo che noi alieni usiamo per isolarci, ma quello scudo non mi impedì di percepire che il soggetto voleva recarsi al Nord. Altra inalazione di nicotina e pensai: “A Nord di cosa? Non esiste un Nord dall'essere un tamarro...”. Rifugiatomi nella mia auto, ormai eletta mia navicella spaziale, ebbi a consumare una pizzetta buona nel gusto ma gommosa nella consistenza e un tramezzino al tonno, ma da cui il tonno evidentemente aveva deciso di scappare via. ”Cibo umanoide” riflettei tra me e me. Giunse l'ora dei consigli di classe, lo stato d'animo di tutti era “sbrighiamoci”; faceva eccezione un docente di diritto che disquisiva sulla necessità di firmare foglio per foglio ogni documento redatto. Il suo registro sembrava un faldone di una qualche procura, ma non ebbe ad insistere più di tanto nel merito: non voleva fare l'alieno. Così potei intraprendere il viaggio verso il pianeta d'origine, la luce del giorno era scomparsa, i giganti con le braccia roteanti non erano più visibili. Durante il viaggio mi venivano in mente le parole di “Space Oddity” del compianto Bowie: “…perché sto seduto in un barattolo di latta, lontano sopra il mondo, il pianeta Terra è blu e non c'è niente che io possa fare”; caro David, se non c'è niente che possa fare Ziggy Stardust, figuriamoci cosa posso far io, un alieno di second'ordine. Adamo Gambone Inviaci un tuo articolo, lo pubblicheremo! A Giulio Caro Giulio, non riesco a pensare parole che, in tale tragica circostanza, non suonino retoriche. Eppure, pur non conoscendoti, sento che il mio saluto e quello degli amici con cui mi dedico a questa piccola pubblicazione ti sia dovuto. Anzi, non solo un saluto, ma anche la promessa che continueremo a parlare di te, della tua intelligenza, delle tue passioni, della tua curiosità da intellettuale e continueremo a tener viva l’attenzione sulla tua vita stroncata in modo inumano più che disumano perché tutto non sia liquidato rapidamente con pseudo-ricostruzioni in nome della armonia fra gli stati. Tu eri uno di noi: un giovane studioso, interessato alla realtà, mosso dalla volontà di offrire il tuo contributo al mondo, schierato dalla parte dei diritti. Ma tu eri anche più di noi. Non ti sei accontentato né di Fiumicello né del Friuli né dell’Italia, hai deciso di realizzare te stesso laddove meglio potevi farlo. Non hai avuto paura e ne avresti avuto tutto il diritto. La tua sete di conoscenza e il tuo amore per la verità hanno avuto la meglio. Noi per scelta o per comodo o per costrizione siamo rimasti qui, con i nostri articoli possiamo urtare la sensibilità di qualcuno, ma continuiamo, nel nostro piccolo, a dire la nostra, di certo senza il tuo stesso coraggio e perché no, senza la tua stessa ambizione. E uso quest’ultimo termine nel suo significato più nobile, ossia quello di aspirare a qualcosa di migliore, che, nel tuo caso, immagino potesse essere, quello di studiare e conoscere una realtà per denunciarne i soprusi e le nefandezze. Questa è l’eredità che ci hai lasciato e che noi cercheremo di fare nostra, per essere nel nostro piccolo, un po’ di te. Grazie Giulio Marialuisa Giannone [email protected] Pagina 4 MoCa (im)Press Febbraio 2016 La Narrativa… a cura di Luigi Capone L’oltretomba dei gratta e vinci Non riuscivo a stare fermo, con un gesto nevrotico ossessivo avevo iniziato a grattarmi così forte sulle braccia che mi ero procurato delle lesioni, le più vistose vicino alle vene del polso. Bruciavano. Dovevo spostarmi verso qualsiasi posto, purché fosse ancora più spopolato e buio di questo; il serbatoio della mia auto era quasi pieno ed era un’ottima occasione da sfruttare. Così mi svegliai, mi misi in macchina e iniziai a percorrere una delle strade più tortuose e buie delle vallate intorno, semiricoperta di brina che rischiavi di ammazzarti ad ogni curva. Dopo molti tornanti mi fermai ad un bar per bere con calma un caffè e chiesi anche un gratta e vinci; la faccia stupita del gestore si bloccò un attimo e poi proferì due parole: “non più”. Certo era strano, in un paese in cui ci sono più slot machine che abitanti, dove si vive di gioco d’azzardo, di scommesse e di bollette SNAI, non trovare un gratta e vinci. Il sole era freddo e creava un’atmosfera bluastra. Mi rimisi in cammino e tra una canzone dei Pixies e l’altra, tra un tornante e l’altro, dopo mille elettrodotti giunsi al bivio di Melito: a sinistra il passato, a destra il futuro. Da una parte il centro storico dall’altra la zona nuova, presumibilmente a parecchi chilometri di distanza. Raggiunsi per primo il centro storico, completamente abbandonato. La prima cosa che notai non fu l’architettura decadente (o meglio ciò che ne rimaneva) ma dei cumuli di cartacce che con ogni probabilità erano profilattici: quale miglior posto per le coppiette senza dimora per appartarsi. Ma avvicinandomi mi accorsi che si trattava di gratta e vinci, ammucchiati ai lati del lastricato della via principale. Ne osservai almeno una ventina, erano tutti perdenti. Il sole era freddo e creava un’atmosfera bluastra. Complessivamente la città era formata da soli due edifici: i ruderi di un castello e di una chiesa col tetto scoperto e col campanile svuotato della campana che si ergevano pochi metri sopra a un fiume morto. Sembrava un’arteria che aveva smesso di pulsare, quel liquido pareva sangue raggrumato dal colore blu scuro. Salii sul ponte tremolante e scricchiolante, mi sporsi per guardarlo meglio. Non sfiorai seriamente il pensiero di buttarmi di sotto ma in quel momento nessuno sapeva che ero lì e nessuno mi avrebbe trovato: bastava soltanto nascondere per bene la macchina o darle fuoco. Nessuno avrebbe notato nemmeno il fumo perché a qualche chilometro di distanza dei contadini bruciavano massicciamente sterpaglie producendo un fitto miasma. Decisi di proseguire lungo il lastricato che mi portava fino alla chiesa, sulla mia destra i ruderi del castello cambiavano forma a ogni mio passo. Il sole era freddo e creava un’atmosfera bluastra. Era l’ultimo sole, di lì a poco non sarebbe rimasto nulla e ogni cosa sarebbe stata avvolta nel buio di una notte senza luna. La chiesa, completamente svuotata e sventrata, era avvolta dalla vegetazione che se la stava riprendendo. Appena misi il primo piede dentro ruppi la quiete di uno stormo di piccioni, accovacciati in mezzo alle travi marce del soffitto. Tutto iniziò a scricchiolare, avanzai ancora di qualche passo, oltrepassando la cantoria a balcone quasi crollata e rimasi per qualche minuto fermo in mezzo ai calcinacci a sentire l’odore che c’era lì dentro e a fissare dei fasci di luce che attraversavano la pol- vere. Ben presto iniziò a mancarmi il respiro, mi accasciai per un attimo a terra, mi bruciavano ancora le ferite sulle vene fatte accidentalmente. Uscii fuori che l’ombra aveva ormai investito quasi a pieno tutta la struttura e andai in cerca di un bar nella zona nuova e abitata del paese. Qualcuno pareva essersi accorto che ero lì come per uno strano movimento dell’aria, arrivò un furgone bianco, mi passò davanti due volte e rimasi fermo sulla strada in attesa che si fermasse. Non si fermò. La sentinella locale aveva intuito la presenza ingombrante di qualcuno ma gli bastava avermi visto per annotarselo. Passai in mezzo ad inspiegabili cantieri e alle glaciali forme geometriche dell’abitato passando per una chiesa cubica fino a raggiungere un bar accogliente e moderno, che poco sembrava avere a che fare con tutto il contesto. Il sole era freddo e creava un’atmosfera bluastra. Il bar non vendeva gratta e vinci. Bevvi un liquore. Anche lì dentro la luce passava attraverso le finestre allo stesso modo e mi gustai l’amaro in mezzo a quei fasci luminosi. Tornai con la mente per un attimo al bivio e poi al primo bar in cui ero stato durante la giornata. Erano tutti perdenti quei biglietti, erano quelli giocati da me fino a quel momento. Stavano lì come cadaveri davanti ai miei occhi e non riuscivo a togliermeli davanti, così uscii fuori e scattai qualche “foto-ricordo”. Il villaggio nuovo era in fermento, c’era scalpitio di cantieri in ogni dove, c’era un’attività perdurante che era quella delle costruzioni, si continuava a costruire, si tentavano anche forme nuove e più graffianti. Le abitazioni erano fatte apposta per scappare fuori immediatamente. [email protected] “La presente pubblicazione non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene pubblicata senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n°62 del 7-3-2001” MoCa (im)Press Febbraio 2016 Pagina 5 Le occasioni per questa terra Erroneamente si crede che la nostra terra non abbia più chances né occasioni. Non è così e praticamente non lo sarà mai finché esisterà ancora qualcuno che crede nelle proprie radici, nella propria gente, nei propri paesaggi, nelle proprie storie, scegliendo di non andare via, scegliendo di restare. Ragionare partendo da questo presupposto ci riavvicina ad un modo di vivere cosciente, perché nulla è più dannoso per questa terra che lasciarsi andare e credere che sia tutto inutile: la verità è che ogni azione, compiuta con il cuore per l’Irpinia, lascia il segno e fa la differenza. Le occasioni ci passano accanto, a volte sono anche importanti ma non ci facciamo caso. A Salerno, lo scorso 30 gennaio, si è svolto un incontro di lavoro per la formazione di un’associazione che possa accedere a fondi europei con un interessante progetto chiamato Longobard Ways across Europe. A parte l’Ass. Info Irpinia, Prata di Principato Ultra ed il sindaco di Grottaminarda in rappresentanza dei comuni della Valle Ufita non ho visto altre partecipazioni, eppure abbiamo paesi che già dal nome attuale dimostrano un legame indissolubile con la storia longobarda: Torella dei Lombardi, Guardia Lombardi, Sant’Angelo dei Lombardi, ma ce ne sono tanti altri. Su questa traccia sarebbe possibile realizzare molteplici progetti di ristrutturazione, recupero e valorizzazione dei nostri borghi, senza il problema ormai imperante della carenza di fondi. La criticità concreta però è la poca conoscenza o considerazione di queste occasioni. Lo sviluppo sostenibile per la nostra terra, ormai è finalmente chiaro, passa esclusivamente attraverso la valorizzazione culturale, ambientale ed enogastronomica: ovvero turistica ed agroalimentare. Sono quelli i nostri binari ed è da lì che bisogna partire. Se vogliamo però incrementare e stabilizzare il flusso turistico allora dobbiamo essere all’interno di tutti i circuiti nazionali ed internazionali che ci consentano di mostrare noi stessi al mondo, altrimenti riesce difficile imporsi. Poi, ne ho convincimento grazie alle testimonianze raccolte in prima persona, sarà l’Irpinia stessa a fare la differenza perché quando si viene nelle nostre zone, si resta affascinati e non le si dimenticano più: troppo ricche di verde, vino eccellente, persone accoglienti, borghi incantevoli, paesaggi emozionanti. Ci sono tutte le caratteristiche che un tecnico indicherebbe come gli aspetti fondamentali per ambire ad uno sviluppo turistico. I problemi pure ci sono, è innegabile, alcuni pesanti, però esistono anche le occasioni ed è grazie a loro che si possono risolvere i nostri disagi: ciò che conta è non smettere di rincorrere il sogno di vedere questa terra sorridere, insieme a tutti noi che l’amiamo. Coraggio! Presidente Ass. Info Irpinia Francesco Celli Medioevo fatto in casa Il Giubileo straordinario, tirato fuori dal cilindro da Bergoglio, sembra essersi inceppato, per ora. I motivi possono esser tanti e la loro disamina, francamente, è poco interessante. Più interessante, invece, è stata l’idea di sfoderare l’artiglieria pesante per ravvivare il flusso di pellegrini paganti, ben al di sotto delle attese. I necrofori giubilari hanno dato via al tour per le salme di Padre Pio e Padre Mandic, nel tentativo ecumenico di ramazzare consensi nel Nord e nel Sud del paese. Il frate confessore padovano è in realtà stato eclissato dalla super star del Gargano, che di fatto gli ha rubato la scena. E che scena! Frotte di persone si sono riversate per le strade per seguire il feretro scenico di Padre Pio nella sua cavalcata epica verso Roma. Una scenografia degna del nostro Dante Ferretti ha accompagnato una salma di 50 anni, imbalsamata ed in ostensione in un doppio vetro antiproiettile (paura di pistolettate contro un morto?) verso la Città Eterna, dove frotte di pellegrini hanno potuto rendergli i loro omaggi. Lo spettacolo indegno di frotte di disperati che strofinavano effetti personali sulla teca (antiproiettile, ricordiamolo) in attesa di miracoli, grazie e modificazioni dell’Universo è stato, ovviamente, trasmesso e ritrasmesso, a reti unificate, da Mamma Rai. A Rai Uno, poi, camminavano tre metri sopra il cielo da settimane: inchieste (farlocche), testimonianze aberranti, fiumi di parole e tanto tanto paternalismo. Fino a culminare nella diretta tv del trasferimento da Foggia a Roma del santo beneventano. Un momento cult anche per la rete più bigotta dell’offerta pubblica. Dopo aver passato mesi ad inorridire per le bestialità e l’arretratezza che dominano certe lande desolate dominate dall’Islam più radicale e fondamentalista, dopo il compiacimento per essere più civilizzati ed evoluti di trogloditi che tagliano teste e violentano la dignità umana sistematicamente, ecco che arriva il lato oscuro nostrano. La superstizione atavica che eleviamo di rango, che abbelliamo con astruse teologie, e beceramente sfruttiamo per fare business. Un tuffo nel Medioevo tutto nostrano. Che però facciamo sembrare meno Medioevo di quello altrui: perché, diciamo, è “fede popolare”, “devozione”. Quando in realtà è superstizione. Nuda e cruda. E della peggior specie pure: perché viviamo, nominalmente, nel “primo mondo” e potremmo affrancarci da certi retaggi primitivi. E invece li celebriamo in diretta tv. Luigino Capone [email protected] offerte| assistenza| disponibilità| affidabilità Via Verteglia 70/72 Montella (AV) 08271810297 e-mail [email protected] www.bgstore.it