Rosangela Comini a... disposizione della città che ama

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Rosangela Comini a... disposizione della città che ama
La professionalità
al femminile
La nuova presidente della Fondazione ASM di Brescia tra scuola e impegno politico-sociale
Rosangela Comini a... disposizione
della città che ama
Rosangela Comini
I
ncontrare le persone con il sorriso e ascoltarle. Mettersi a disposizione di una città che ama. La
voglia di conoscerla, di capirla, di
provare a migliorarla. Rosangela
Comini sceglie di esserci, a pieno,
fino in fondo. Sceglie di fare. Come
preside, come donna impegnata nel
sociale e nella politica. Due lavori
che s’intrecciano e hanno una spinta
di Roberta Moneta
comune: la voglia e la necessità di
cambiamenti concreti.
Come preside ha costruito un modello di scuola, che prevede l’accoglienza di ragazzi diversamente abili,
di stranieri, che si occupa dei ragazzi
con un sistema educativo a tutto tondo: l’attenzione non si esaurisce con
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le ore scolastiche, ma resta vigile anche fuori dai confini della scuola.
Come “politica” ha contribuito ad
fondare la Consulta per la pace, la
Casa della Memoria, si è occupata
della Casa delle Associazioni, di circoscrizioni e decentramento, delle
donne, si è impegnata per garantire
l’accoglienza agli immigrati, ai portatori di handicap.
Come nasce la passione per l’impegno sociale, per la politica?
Nasce parallelamente al mio lavoro.
Ho sempre cercato di fare la preside
puntando su progetti innovativi. Siamo stati tra i primi a proporre le 150
ore, quando si parlava poco di immigrazione abbiamo iniziato con i corsi di alfabetizzazione per stranieri. E
poi adulti, anziani. Il tempo pieno, i
laboratori fanno parte di un progetto di scuola al passo con i tempi. Il
lavoro nella scuola è un impegno
sociale, ma contemporaneamente
ho sempre agito nell’ambito sociale
e culturale cittadino: con la Cooperativa popolare, con le commissioni
per l’integrazione degli handicappati, con i direttivi sindacali. Il passo
alla politica è stato però molto ragionato: nel 1991 Paolo Corsini, che
con me era stato uno dei fondatori
della Cooperativa popolare di cultura, tentò di trascinarmi. Nonostante
le mie resistenze, i miei dubbi, riuscì
a convincermi e fui eletta. Nel primo mandato come consigliere ebbi
la delega per la pace, la solidarietà
e l’immigrazione. Costituimmo la
Consulta per la Pace; furono gli anni
delle battaglie contro le mine antiuomo. Poi fui presidente del Consiglio comunale, un ruolo nuovo
da inventare. Dal ’99 al 2005 sono
stata assessore alla casa, al decentramento, alla partecipazione, alle pari
opportunità, alla trasparenza, alla
comunicazione. Un ruolo che mi ha
permesso di avere uno sguardo privilegiato su questa città, che io amo
moltissimo.
E cosa ha visto? Com’è Brescia?
Ho potuto guardare angoli nascosti
di questa città. C’è tanta povertà che
non abbiamo voglia di vedere. C’è
tanta ricchezza, ma anche tanta, tanta
povertà. Ciò che mi fa più dispiacere
è che a Brescia si monetizza tutto.
Ogni cosa ormai vale per quanto costa. E’ pericoloso per i giovani.
Come sono i giovani di oggi?
Sembra quasi strano, ma io trovo che
i giovani di oggi, i ragazzi tra i 16
e i 18 anni siano bellissimi. Hanno
molta voglia di fare, ma spesso non
hanno gli strumenti. Dobbiamo stare molto attenti a consegnare loro un
mondo che non soffochi le loro aspirazioni. Si dice: una volta i giovani
avevano speranza nel futuro (anche
troppa, aggiungo io), ma oggi hanno paura del futuro. E’ drammatico,
ma è così. La scuola, in quest’ottica,
diventa estremamente importante,
non solo come luogo del sapere, ma
come luogo della socializzazione,
della ricostruzione di ciò che l’esterno demolisce.
Lei ha sempre dimostrato di avere
molta attenzione per i giovani.
Con la scuola ho potuto affinare
l’attenzione. Mi ritengo una buona
lettrice dei cambiamenti del mondo
giovanile. Davvero ritengo che sia
un periodo molto particolare. Tanto
più se si considera il nuovo volto di
Brescia. La nostra città può essere il
luogo dell’incontro. Ma c’è ancora
una strana distanza tra i nostri ragazzi e i ragazzi immigrati. Non credo si
tratti di razzismo. Forse paura, forse
scarsa curiosità. C’è ancora poco
scambio, ma sono sicura che presto
ci sarà. Come si fa a non essere interessati al ragazzino che ti dice: “con
la nonna parlo l’indi, con il papà
l’urdu, con mio fratello l’inglese,
così non perdo l’abitudine, e con
gli altri l’italiano”. I ragazzi extracomunitari sono portatori di esperienze, di cultura, di storie e anche
di tanta sofferenza.
Ricorda qualcuno in particolare?
Una ragazzina che, invitata a parlare
di sé, disse: “Io non so qual è il mio
nome. Mio padre era un perseguitato
politico. Vivevo in Albania, una notte ci hanno prelevato da casa e ci siamo ritrovati a Vienna. Dopo un po’
di tempo, una notte, ci hanno prelevato e portato a Praga. Una notte mi
hanno prelevato e portato in Italia.
Ero sola. Una brava persona mi ha
aiutato. I miei genitori li ho ritrovati
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dopo un anno. La mia vita è una valigia”. Ascoltare queste esperienze
lascia senza parole. Non si può parlare di loro, se non si ascoltano. E
se si ascoltano, non c’è più molto da
dire. Questi ragazzini vivono l’esperienza dello sradicamento. Vivono
la dimensione del viaggio in modo
tragico: l’adulto sceglie, il bambino
no. E allo shock affettivo si aggiunge quello culturale. Spesso il trauma
porta al mutismo, all’isolamento. La
scuola ha l’obbligo di essere il primo luogo dell’accoglienza e della
socializzazione.
Ma l’integrazione è possibile?
Sono sicura di sì. E’ ovvio che ognuno deve fare la propria parte: loro
devono essere disposti a conoscere
e a capire noi, noi a conoscere e a
capire loro. L’obiettivo dev’essere
mescolare le conoscenze: l’ultima
ondata d’immigrazione è composta
per la maggior parte da persone laureate, colte, che possono essere un
grande arricchimento per la nostra
società. Sono convinta che se c’è
un terreno nel quale l’integrazione
è possibile, è proprio l’Italia. Non è
un caso che l’Italia sia l’unico paese
al mondo, guardato come modello
dagli altri paesi europei, che ha saputo costruire una scuola nella quale
i portatori di handicap sono inseriti
nelle classi con gli altri bambini.
La sua scuola è particolarmente
ammirata per la capacità di trattare
l’handicap…
Abbiamo un altissimo numero di
bambini stranieri e portatori di handicap. Molti provengono da fuori
bacino d’utenza: i genitori sanno che
i bambini vengono gestiti in modo
corretto e c’è un grande passaparola.
Ma la nostra è una scuola particolare
anche per gli orari: resta aperta dalle 7 alle 22, abbiamo 350 stranieri
che frequentano dai corsi di alfabetizzazione ai corsi di computer. Nei
corridoi si incrociano da dieci anni,
bambini, adulti, stranieri, anziani. E’
vissuto in modo tranquillo, positivo.
ROSANGELA COMINI
Una vita all’insegna dell’impegno
R
osa Angela Comini è nata a Roncadelle il 13 novembre
del 1944 in una famiglia bresciana. E’ sposata da più
di trent’anni con Gianbattista Guerrini, geriatra, responsabile sanitario del Servizio Istituti per anziani del Comune di
Brescia.
Laureata a Milano nel 1969, ha vissuto gli anni dell’impegno, del cambiamento.
Ha iniziato a lavorare nella scuola come insegnante di lettere, nel 1979 è stata preside alla scuola di Travagliato, dal
1983 dirige la scuola media Franchi al villaggio Sereno, oggi
è dirigente scolastico di una materna, una elementare e due
scuole medie. Scuole aperte dalle 7 alle 22 che vantano, tempo
pieno, oggi 350 stranieri che frequentano corsi, un’attenzione
particolare al disagio, sia dei diversamente abili che degli immigrati. Per anni ha seguito con il Provveditorato agli Studi il
Gruppo di lavoro per l’integrazione degli handicappati.
E’ stata tra i fondatori della Cooperativa popolare di Cultura, nata a Brescia nel 1972, di cui è stata presidente per anni
fino alla chiusura nel 1982. Sono anni di attività culturali,
del mondo del dissenso cattolico legato alla sinistra extraparlamentare. La Cooperativa apre una libreria, prima in via
Antiche Mura, poi si trasferisce in corso Magenta. Porta a
Brescia edizioni che non era possibile trovare in precedenza,
organizza animazioni per bambini, convegni, dibattiti con lo
scopo di creare una cultura più aperta ai problemi del sud
del mondo, dare una nuova lettura della situazione nazionale e internazionale. Portare una cultura diversa in una città
all’epoca ferma.
Dal 1991 è consigliere comunale del Comune di Brescia con
delega speciale per l’immigrazione, la pace, il volontariato.
In quegli anni con le organizzazioni pacifiste presenti sul territorio fonda la Consulta per la Pace.
Dal 1994 al 1998 è il primo presidente del Consiglio comunale, l’unica eletta dagli elettori: ancora non definita la legge a
riguardo, fu delegato il consigliere con il più alto numero di
voti (i personali più quelli di lista).
Dal 1999 al 2005 è assessore alla casa, al decentramento,
alla partecipazione, alle pari opportunità, alla trasparenza,
alla comunicazione. Con Manlio Milani si occupa di celebrare la memoria nel senso più ampio del termine, la memoria
cittadina con il ricordo dei caduti della Strage di Piazza Loggia e fonda la Casa della Memoria. Nel settembre del 2005
cessa il mandato.
Da aprile del 2006 è presidente della Fondazione ASM di
Brescia.
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Il presente, l’oggi, il concreto. Ma
anche il passato. Lei si è occupata
di celebrare la “Memoria”…
Senza la “Memoria” come si può
progredire? Se si pensa agli immigrati, si deve ricordare l’emigrazione italiana, i disagi, le difficoltà.
L’Italia si deve fare forte della sua
storia. Con Manlio Milani abbiamo pensato e realizzato il progetto
“Casa della memoria”, ma anche
tutte le manifestazioni per le vittime
della Strage di Piazza Loggia nelle
quali per il trentesimo anniversario
siamo riusciti a coinvolgere persino
il Censis.
Come assessore alle pari opportunità il suo impegno ha riguardato anche le donne. Come hanno risposto
le donne bresciane?
Devo dire che questa è una nota dolente: le donne non si fanno sentire
molto. Io sono riuscita con facilità
ad avere un dialogo con le ragazze
a scuola, più difficile è il rapporto
con le donne, si fatica a raggiungerle. Per due motivi, credo: innanzitutto perché mi pare abbiano perso
il gusto di stare insieme, di fare, di
costruire, forse mancano i luoghi o
la voglia, inoltre non sentono come
punto di riferimento le donne che
fanno politica. Brescia è una città un
po’ lamentosa: è più facile sentire
qualcuno che critica, piuttosto che
qualcuno che propone. Io mi aspettavo proposte dalle donne e invece
mi è capitato più volte in radio, in
trasmissioni con microfoni aperti,
di sentirmi dire da donne: “Ma vai
a fare la calza”. Facendo politica le
donne sono capaci di fare battaglie
concrete, ma avrebbero bisogno
di riscontri, di capire se quello che
stanno facendo va nella direzione di
un benessere maggiore. Purtroppo
manca questo tipo di relazione.
E allora quali sono le soddisfazioni?
So di essere una persona cortese e
generosa, di aver fatto politica per
mettermi al servizio e non per avere
potere; sono sicura che le persone
questo lo sentono e lo capiscono. Ho
la consapevolezza di aver acquisito
una buona capacità di lettura della
città, i suoi cambiamenti, i luoghi
della socializzazione e dello stare
insieme, e la presunzione di aver costruito un modello di scuola bello.
Con questo bagaglio ad aprile del
2006 mi sono buttata in questa nuova avventura.
Un’avventura a titolo assolutamente
gratuito: il presidente della Fondazione Asm non percepisce neppure
il gettone di presenza. Le motivazioni devono essere forti. Con quali
prospettive e obbiettivi ha accettato
quest’incarico?
La Fondazione Asm è l’interfaccia
sociale e culturale di un’azienda di
servizi. Ho scelto di partecipare al
progetto con l’idea di mettermi a
disposizione, il ruolo della Fondazione è proprio questo: mettersi a
disposizione di mondi solidali - che
sono moltissimi a Brescia - di essere
il luogo dell’incontro, della promozione, del rilancio e anche, ovviamente, del sostegno economico, con
particolare attenzione ai giovani,
agli immigrati, all’ambiente, agli
anziani, alla città nel suo complesso.
A questo proposito la Fondazione ha
realizzato uno studio su come sarà
Brescia nel 2015 (economia, ambiente, cittadini,…), uno strumento
straordinario di lettura della nostra
città, messo a disposizione delle
istituzioni.
Il lavoro della Fondazione continuerà con ricerche e finanziamenti alle
attività culturali che sono sempre
più frequentate, con l’obiettivo di
dare vita alla città e ai suoi abitanti, promuovere progetti, prevenire e
contenere il disagio.
Mettersi a disposizione della città,
vivere la vita pubblica… Come si
conciliano l’impegno lavorativo e
politico con la vita privata?
Ho la fortuna di essere sposata con
Gianni da più di trent’anni, che condivide con me la necessità di darsi da
fare per il sociale. E’ da sempre interessato alla condizione degli anziani
e il tempo che dedica al suo lavoro
è pari al mio. E’ stato molto faticoso
il periodo di assessorato, avevo preso anche qualche mese d’aspettativa
dal lavoro di preside, ma uscivo di
casa alle sette del mattino e tornavo
a mezzanotte. Ho comunque cercato
di non rinunciare a alcune cose per
ritemprarmi: la partita a tennis, la
passeggiata, la ginnastica due volte
alla settimana. E il pranzo della domenica.
Vive in campagna, verso il lago di
Garda. La sua casa è un rifugio?
E’ molto di più: è la famiglia. Noi
viviamo in una vecchia cascina ristrutturata. Noi, i miei suoceri, i
cognati con i figli. Il pranzo della
domenica è sacro per tutti. I nipoti, ragazzi molto intelligenti, non
rinuncerebbero per nulla al mondo
al pranzo dai nonni. La tavola ogni
domenica è preparata per 18. I miei
suoceri, i “Sandri” (li chiamano così
perché sono Sandro e Sandra), sono
persone eccezionali. Mia suocera negli anni ’40 si è laureata in lettere a
soli 21 anni. Le avevano fatto saltare
un paio di classi di liceo perché era
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troppo brava. Questa famiglia nella
cascina del ’600 è il mio rifugio.
Ognuno vive in assoluta autonomia,
ma c’è grande rispetto, tolleranza. E
la voglia di incontrarsi, di raccontarsi, di stare insieme. Anche a casa
mia mi piace molto cucinare per gli
amici: ho un tavolo per 14 persone.
E le vacanze?
Le ultime da Mosca a San Pietroburgo in battello sul Volga, prima
l’Islanda, il Canada. Adoro i paesi
nordici, ma anche il mare. La vacanza ideale: la Grecia che offre sia il
riposo del mare che la visita culturale. Solo mare… Dopo due giorni
mio marito inizierebbe a scalpitare e
io mi annoierei.
Siamo fatti per muoverci, per continuare a lavorare. E’ il nostro modo
di vivere e da sempre abbiamo imparato a conciliare vita privata e
lavoro. Abbiamo avuto la fortuna
di incontrarci, capirci, rispettarci
e condividere una passione: la curiosità e l’amore per Brescia e per
i bresciani. Io sono profondamente
legata a questa terra, ho qui le mie
radici. Non la lascerei mai.
Roberta Moneta
Collaboratore di Bresciaoggi