“Quando Grasso lasciò Wall Street” Luigi Zingales, L´Espresso 14

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“Quando Grasso lasciò Wall Street” Luigi Zingales, L´Espresso 14
“Quando Grasso lasciò Wall Street”
Luigi Zingales, L´Espresso
14 October 2005
IL PRESIDENTE DELLA BORSA DI NEW YORK VENNE MAN MANO SFIDUCIATO DAGLI
AMMINISTRATORI. IL CONSIGLIO SUPERIORE HA ALZATO UN MURO PER DIFENDERE FAZIO.
CONTINUERÀ?
Nel maggio del 2003 il "Wall Street Journal" rivelò il compenso che la Borsa di New York aveva pagato l'anno prima
al suo presidente Richard Grasso: più di 10 milioni di dollari. La notizia di per sé non era così sconvolgente. In
America molti amministratori delegati guadagnano dieci volte tanto.
Ma non cadde inosservata. Innanzitutto la Borsa di New York non è una società qualsiasi. Il suo presidente ha anche
compiti di regolatore. Esiste quindi il serio rischio che i regolati (cioè gli specialisti che operano sul parterre di
borsa) possano comprarsene i favori con lauti compensi. In aggiunta, molti investitori (bruciati dai numerosi
scandali e dal crollo dei listini nei due anni precedenti) erano desiderosi di trovare un capro espiatorio. Per finire,
la Borsa di New York deve molti dei suoi profitti ad alcune regole su come viene effettuato il trading sui titoli, che
le conferiscono un vantaggio competitivo. Questo genera un giusto risentimento nei competitori, desiderosi di
appropriarsi di parte di queste rendite.
La combinazione di questi tre fattori fu sufficiente a non far cadere nel vuoto la notizia. La Security and Exchange
Commission (la Consob locale) richiese ulteriori informazioni. E quando queste furono fornite (rivelando i dettagli
più clamorosi del suo compenso, come il premio di 5 milioni per la performance di Grasso durante la crisi dell'11
settembre), la pressione dei giornali sul Consiglio di Amministrazione della Borsa fu tale che gli stessi consiglieri
che avevano approvato il compenso votarono per le dimissioni di Grasso. I primi a cambiare opinione furono i
consiglieri più esposti alla pubblica opinione: gli amministratori delegati delle maggiori investment bank e quello di
Daimler-Chrysler, che temevano l'impatto del loro comportamento sulle vendite dei loro prodotti e sull'immagine
delle loro imprese. Questo però non bastò a salvare loro la faccia. Dopo le dimissioni di Grasso tutti i consiglieri di
amministrazione furono costretti alle dimissioni e, sarà un caso, ma nel giro di un anno e mezzo due di loro persero
il proprio posto di lavoro: Juergen Schrempp di Daimler-Chrysler e Philip Purcell, amministratore delegato di
Morgan Stanley.
Questa vicenda ha molti punti in comune con lo scandalo che ha colpito i vertici della Banca d'Italia quest'estate.
Come nel caso di Grasso, l'immagine dell'istituzione risulta fortemente indebolita dal comportamento del suo capo.
Come nel caso di Grasso, la rabbia dell'opinione pubblica è aumentata dalle perdite che molti risparmiatori hanno
subito (vedi Cirio e Parmalat). Come nel caso Grasso, potenziali competitori (in questo case le banche estere) non
vedono l'ora di indebolire il regime protezionistico difeso da Fazio. Dobbiamo quindi aspettarci un simile epilogo?
Forse che i membri del Consiglio Superiore della Banca d'Italia cambieranno opinione e costringeranno Fazio alle
dimissioni?
Non c'è da sperarci. A differenza del Consiglio della Borsa di New York, composto da personaggi di primo piano
come l'ex segretario di Stato Madeleine Albright e l'amministratore delegato di Daimler-Chrysler, il Consiglio
Superiore della Banca d'Italia è composto per la maggior parte da tranquilli signorotti di provincia, che tengono
maggiormente al loro rapporto personale con il Governatore che all'opinione pubblica del mondo intero. Solo due
consiglieri vendono prodotti di largo consumo, che potrebbero essere sensibili agli umori del pubblico: Giordano
Zucchi, capo del gruppo tessile Vincenzo Zucchi, e Paolo Laterza, ex presidente e azionista della casa editrice
Laterza. Ma se anche l'indignazione popolare per il loro comportamento ossequiante nei confronti di Fazio portasse
ad un boicottaggio dei piumini Zucchi e dei libri Laterza, l'impatto sarebbe limitato, visto che gli altri undici
componenti continuerebbero a sostenere il Governatore.
Per il momento, quindi, Fazio, a differenza di Grasso, resta. Ma è una vittoria temporanea. Prima o poi anche i
nostri signorotti di provincia si renderanno conto del costo che pagano, in termini di prestigio personale se non di
vendite dei loro prodotti, per il sostegno da loro offerto all'attuale governatore. Solo allora la fine di Fazio sarà
segnata.