Numero 556 - Tuttoscuola

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Numero 556 - Tuttoscuola
TuttoscuolA
Poste Italiane Spa - Sped. Abb. Post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Roma
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Teoria e pratica
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comunicazione multimediale, collocandola all’interno
un messaggio multimediale online e offline, ovvero
della fruizione; si delineano le fasi della progettazione
di un testo multimediale, dall’idea alla produzione;
si affronta la fase realizzativa con considerazioni
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dei processi comunicativi interpersonali e di massa;
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Nei cinque capitoli del libro si definisce la
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sull’immagine sonora, sull’immagine visiva e su
quella audiovisiva; si propone al lettore di esercitarsi
MULTIDEA
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praticando l’impostazione di layout, la sintesi
gle bud’s
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monoconcettuale di brani testuali, la scelta di gamme
cromatiche e la descrizione di metafore, l’ideazione di
icone di navigazione.
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numero 556
RAGAZZI, CHE RISORSA
di Marcello Casavecchia
INSEGNARE OGGI
8
DIGITALIZZARE LA SCUOLA,
ENERGIA PER IL FUTURO
di Alfonso Rubinacci
8
NUOVI CONTESTI
E NUOVE SFIDE
di Filomena Zamboli
9
BUONI E NUOVI INSEGNANTI
PER UNA SCUOLA BUONA
E INNOVATIVA
di Nicoletta Ferroni
12
UN NUOVO MODELLO
DI AMMINISTRAZIONE
di Dotto
Intervista a Jacopo Greco
15
20
“L’ESEMPIO DEL VENETO”
di Pietro Panzarino
25
L’INNOVAZIONE
NEL SETTORE EDUCATION
FIRMATA DA TELECOM ITALIA
26
INTERPRETAZIONI
VIRTUALI, ALLIEVI REALI
di Benedetto Vertecchi
28
POLITICA SCOLASTICA
22
IL LAVORO BUONO
22
POLIZZE ASSICURATIVE:
SERVE UN PROGETTO PER
TUTTO IL SISTEMA SCUOLA
di Dario Nicoli
di Paola Senesi
UNA SCUOLA SENZA CONFINI,
MA SENZA RISCHI...
di Irene Baldriga
28
SE PREVALE LA
DISAFFEZIONE PER
L’UNIVERSITA’
di Fabio Matarazzo
32
34
IMMATRICOLATI AI RAGGI X
36
“ECOSISTEMA DIGITALE”
37
ABBIAMO DAVVERO BISOGNO
CHE CI DICANO COSA FARE?
52
di Paola Torre
Intervista a M. Maddalena Novelli
PER UNA LEADERSHIP
EDUCATIVA EFFICACE
E RESPONSABILE
55
LA SCUOLA DIGITALE LUCANA,
UN MODELLO PER L’ITALIA
di Mario Coviello
57
NUOVE TECNOLOGIE,
NUOVA DIDATTICA, NUOVA
FORMAZIONE PER I DOCENTI
di Dianora Bardi
58
UNO SFORZO CONDIVISO
60
LA SEMPLICITA’ D’USO
61
UN NUOVO STIMOLO
di Valeria Biasi
Intervista alla profssa
Maria Luisa Sabino
Intervista al professor
Riccardo Lopes
43
LEARN ENGLISH WITH
AUDIO RESOURCES
44
LA SCUOLA E’ CENTRALE
di Italo Fiorin
62
GENOVA PALAZZO DUCALE
46
ATTORI DELLA RIFORMA
63
BEACH &VOLLEY SCHOOL
64
NARRARE LA GRANDE
GUERRA NELL’ALTO
VICENTINO
di Rita Di Goro
DOSSIER BASILICATA
TURISMO SCOLASTICO
A cura di Alfonso Rubinacci
TuttoscuolA n. 556
PIANO REGIONALE PER
LA SCUOLA DIGITALE:
DISTRETTO SCOLASTICO 2.0
di Claudia Datena
di Maria Luisa Marino
di Fiorella D’Ambrosio
40
Novembre 2015
VALORIZZARE LE TECNOLOGIE
MOBILI NELL’INSEGNAMENTO
di Michele Pellerey
UNA GERARCHIA CAPOVOLTA
di Massimo Di Menna
sommario
4
50
PER UNA CRESCITA
QUALITATIVA DELLA SCUOLA
65
MUSEO NAZIONALE
DEL RISORGIMENTO
51
FORMARE I FORMATORI
66
UNA PEDAGOGIA DEI DIRITTI
Intervista a Raffaele Liberali
di Antonio Augenti
3
Carta & Penna
ANNO XLI - N. 556 - Novembre 2015
MENSILE - EURO 3,50
Direttore Responsabile
Giovanni Vinciguerra
Comitato Scientifico
Giorgio Allulli - Dario Antiseri
Antonio Augenti - Sebastiano Bagnara
Giuseppe Costa - Gaetano Domenici
Paola Gallegati - Silvano Tagliagambe
Coordinatore Comitato Scientifico
Alfonso Rubinacci
Segretario del Comitato
Paola Gallegati
Redazione
Maurizio Amoroso
Sergio Govi
Orazio Niceforo
Sped. Abb. Post. D.L. 353/2003
(conv. in L. 27/02/2004 N. 46) art. 1,
comma 1 DCB Roma
Registrazione del Tribunale
di Roma n. 15857 del 7-4-1975
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in tipografia il 26-10-2015
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4
Rendere gli studenti consapevoli e protagonisti del loro modo di apprendere
Ragazzi, che risorsa
di Marcello Casavecchia*
M
otivazione di una scelta. Al termine di un quadrimestre o alla fine
dell’anno scolastico sono spesso
vittima di una sorta di insoddisfazione,
pensando al troppo tempo dedicato alle
verifiche e al poco spazio riservato per
lo sviluppo delle competenze, forse per il
timore di non riuscire a terminare il programma. Questo genera nell’alunno uno
stato di ansia, che porta a vivere senza
serenità le ore di lezione.
Insegno matematica e fisica al Liceo
Ginnasio “V. Monti” di Cesena. Le due
sole ore per disciplina a settimana rendono problematica la ‘raccolta’ delle necessarie verifiche scritte e orali. Si rischia di
perdere di vista il processo di apprendimento quotidiano. Così ho cominciato a
pensare che gli alunni rappresentano anche delle risorse e ho deciso di verificare
se, cooperando per il raggiungimento di
un obiettivo comune, le competenze della
classe e la soddisfazione dell’insegnante possono aumentare e il docente può
crescere professionalmente sperimentando metodi di insegnamento innovativi e
interattivi.
Una soluzione è quella di coinvolgere
i ragazzi anche nella fase di acquisizione dei contenuti, sfruttando le loro propensioni nell’utilizzo della tecnologia.
Ricorrendo all’uso dell’aula “T.E.A.L.”
a disposizione dei docenti e degli alunni, ho messo in pratica un metodo di insegnamento per me nuovo, aperto alla
partecipazione degli alunni, in grado di
permettere ai ragazzi anche di sviluppare
competenze utilizzando le nuove tecnologie di cui l’aula è dotata, è infatti risultata
utile la possibilità offerta dalla strumentazione didattica, dalle sedie innovative
che rendono semplici gli spostamenti alla
divisione in gruppi di lavoro.
Predisposizione dell’unità didattica.
Ho proposto una modalità didattica più
interattiva creando cinque gruppi tali da
stabilire un equilibrio tra le abilità dei vari componenti. L’argomento scelto è stato quello dei “sistemi lineari”. Abbiamo
usato due postazioni desktop, dei tablet
e la lavagna interattiva dell’aula T.E.A.L,
le sedute particolari con sedie dotate di
banco e di ruote. I software individuati
per lo sviluppo dell’argomento sono stati
inizialmente “GeoGebra” e “CmapTools”.
Ho assegnato ad ogni gruppo di lavoro
un compito: la produzione di una mappa
concettuale sui sistemi lineari e lo studio
di uno dei cinque metodi di risoluzione
che gli alunni avrebbero poi esposto ai
compagni nelle successive lezioni.
Alla fine delle esposizioni dei vari
gruppi, ho programmato una verifica
scritta su tutti i metodi proposti, seguita
da un’attività di recupero.
Cambiamenti in itinere. Durante l’attività didattica sono emerse alcune difficoltà: gli studenti si sono resi conto che
nella loro esposizione non riuscivano ad
usare un linguaggio specifico, ad essere
chiari e coinvolgenti. Si è reso necessario individuare delle parole chiave per
ogni argomento che, una volta divenute
patrimonio comune, hanno permesso di
apprezzare gli interventi e di dialogare
in maniera più efficace. È poi emersa la
preferenza per l’uso di software diversi da
quelli proposti, più semplici e accessibili
anche dall’Ipad in loro possesso.
Per la memorizzazione del processo risolutivo, ho sviluppato un “GeoGebraBook” utilizzando il software
“GeoGebra”: i ragazzi, variando i coefficienti delle equazioni lineari, vedevano automaticamente sviluppati i vari
passaggi algebrici fino alla soluzione
del sistema che potevano così confrontare tra loro e individuare gli errori di
calcolo commessi, comprenderli e correggerli. Per capire le varie soluzioni di
un sistema lineare lo stesso programma
ha creato un modello geometrico che
permetteva loro di confrontare le soluzioni con le possibili posizioni di due
rette, la differenza fra sistema determinato, indeterminato ed impossibile.
In occasione dell’inevitabile ‘raffreddore’ nel corso dell’anno, ho proposto
agli alunni di diventare docenti e di
rispiegare gli argomenti agli assenti.
Alla fine dell’unità didattica un’attività di recupero ha permesso il recupero di due sole insufficienze gravi.
Conclusioni. L’insegnamento cooperativo mi ha convinto e dimostrato di consolidare negli alunni concetti
e conoscenze, favorendo lo sviluppo
di competenze riferite all’autonomia
nell’apprendimento, permettendomi di
attribuire oltre al voto della verifica
scritta, una valutazione al linguaggio
specifico acquisito, alla comprensione
dell’argomento, alla partecipazione, alle competenze informatiche.
Inoltre ho potuto concentrarmi di più
sulle scelte didattiche e avere un quadro
generale aggiornato della classe, seguire in tempo reale il grado di apprendimento di ogni singolo allievo.
Gli alunni si sono appassionati ed
hanno, consapevolmente, raggiunto discreti risultati. I ragazzi in difficoltà si
sono sentiti più integrati, rispettati nei
loro tempi, e le lezioni si sono svolte in
un clima più sereno pur nella consapevolezza che la valutazione era continua
e a 360°, ma senza ansia! Idati raccolti
sono stati poi usati per un feedback del
metodo di insegnamento e per eventuali criticità, individuare gli alunni che
devono essere sostenuti ed è risultato
più facile trovare tempi e modalità per
avviare una didattica personalizzata.
*Docente Liceo “V. Monti” di Cesena
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(reso pubblico) - https://tube.geogebra.org/
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CALCOLATRICE SCIENTIFICA CASIO CLASSWIZ FX-85 EX:
PROGETTATA PER LA SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO
Quando ancora esisteva l’esame di licenza elementare per accedere a quelle
che erano chiamate scuole medie, il passaggio dalla scuola dei piccoli a
quella dei grandi era scandito da un momento istituzionalizzato. Nonostante
i cambiamenti intervenuti ormai più di dieci anni fa, l’ingresso nella Scuola
Secondaria di I grado continua a rappresentare una fase densa di significato,
un rituale di passaggio che può rivelarsi molto delicato per gli studenti e
da affrontare con grandi competenza, passione e -sicuramente altrettanta
pazienza- per gli insegnanti.
Con l’obiettivo di fornire strumenti di reale supporto alla didattica in aula,
CASIO ha progettato la nuova calcolatrice scientifica CLASSWIZ fx-85EX,
ad hoc per gli studenti della Scuola Secondaria di I grado. Utilizzare una
calcolatrice significa portare le competenze dei professionisti in aula.
Un primo dato di realtà, quindi. A questo si somma la possibilità di simulare
situazioni di vita reale, ovvero la dimostrazione che la matematica è una
materia che ha dei risvolti pratici nella vita di tutti i giorni. Dal punto di vista
didattico, l’introduzione di uno strumento di calcolo permette di concentrarsi
sul ragionamento strategico da applicare per risolvere un problema, anziché
sui singoli passaggi. Si tratta degli stessi obiettivi individuati dalle Indicazioni
Nazionali per la Matematica del 2012, che nel paragrafo dedicato agli
strumenti di calcolo ribadiscono peraltro come questi siano da utilizzare “ad
esempio, per verificare la correttezza di calcoli mentali e scritti e per esplorare
il mondo dei numeri e delle forme”.
La nuova calcolatrice scientifica CASIO fx-85EX appartiene alla nuova
serie CLASSWIZ: il display è a resa naturale del testo, formule e risultati
appaiono quindi come sul libro di testo, ed è LCD ad alta risoluzione con un
menù a icone anziché con i testi abbreviati. Grazie al processore ancora più
veloce, inoltre la calcolatrice fx-85EX gestisce 274 funzioni, tra cui frazioni e
potenze, radice quadrata, funzioni trigonometriche e statistiche, sommatoria
e deviazione standard.
CLASSWIZ fx-85EX
Oltre 270 funzioni e visualizzazione naturale dei
calcoli, come nei libri di testo
In numerosi Paesi in tutto il mondo, CASIO -azienda leader mondiale nella
produzione di beni elettronici di consumo- promuove il Progetto Educational
con l’obiettivo di essere sempre più vicina alle reali esigenze della Scuola, sia degli
studenti sia dei docenti. Dal 2009 il progetto è attivo anche in Italia. Durante questi
6 anni, CASIO si è confrontata costantemente con gli studenti e soprattutto con i
professori di matematica italiani, perché le calcolatrici diventino uno strumento
di supporto concreto in aula. Per avere maggiori informazioni e partecipare:
www.casio-edu.it.
Per avere maggiori informazioni e partecipare: www.casio-edu.it
Forum on Intercultural Learning and Exchange (FILE)
Un incontro annuale di accademici ed esperti di educazione
interculturale per valutare gli effetti della mobilità studentesca
Che cos’è il FILE?
Il FILE - Forum on Intercultural Learning and Exchange
- è una conferenza internazionale organizzata annualmente dalla Fondazione Intercultura Onlus (www.fondazioneintercultura.org), in collaborazione con AFS Intercultural Programs e con la Federazione Europea per
l’apprendimento interculturale – EFIL.
La Fondazione Intercultura invita in questa occasione
sessanta persone, tra ricercatori, accademici, volontari
dell’EFIL, insegnanti ed esperti di educazione interculturale e di scambi giovanili internazionali, per discutere
di temi legati all’apprendimento interculturale che avviene attraverso i programmi di mobilità studentesca
internazionale. La lingua veicolare nel corso dell’incontro è l’inglese.
Il progetto è stato avviato nel 2009. Gli atti dei Forum
tenuti dal 2009 ad oggi sono stati pubblicati nella rivista
trimestrale “Intercultura” pubblicata da Fondazione
Intercultura e sono consultabili nel sito www.fondazioneintercultura.org, nella sezione “Pubblicazioni”.
Obiettivi del progetto
• Aggiornamento su cosa si sta già facendo per valutare
l’apprendimento interculturale sia durante le esperienza di studio all’estero che al rientro a scuola, al termine
dei programmi di scambio.
• Analisi degli ostacoli e delle lacune nella valutazione
dell’apprendimento interculturale
• Sviluppo di idee e possibili strumenti di valutazione ad
uso delle scuole
Il FILE 2015
Il VI Forum on Intercultural Learning and Exchange si
è tenuto dal 29 al 31 ottobre 2015, presso la sede della
Fondazione Intercultura in Colle Val d’Elsa (Siena) sul
tema della valutazione scolastica delle competenze interculturali acquisite dagli studenti che partecipano a
programmi scolastici internazionali individuali. In particolare è stato preso in esame:
1. Come viene valutato l’apprendimento interculturale
nelle scuole nei diversi Paesi
2. Come introdurre i percorsi di apprendimento interculturale nelle scuole, con azioni misurabili, nel
contesto degli scambi giovanili individuali e dell’apprendimento di una lingua straniera
3. Come valutare i percorsi di apprendimento interculturale, in itinere e a conclusione del programma, da
parte delle scuole ospitanti studenti stranieri partecipanti a programmi di scambio
4. Come valutare i percorsi di apprendimento interculturale, in itinere e a conclusione del programma
da parte delle scuole che inviano studenti all›estero,
partecipanti a programmi di scambio
5. Qual è il ruolo delle organizzazioni che si occupano
di scambi internazionali di studenti? Che cosa possono fare per facilitare la misurazione dell’apprendimento?
Il FORUM è stato aperto da Mario Piacentini (Organisation for Economic Co-operation and Development
- OECD con un intervento su “PISA e la valutazione
dell’apprendimento interculturale”
La prima giornata è stata introdotta da una Tavola Rotonda con interventi di Marty Barrett - (Surrey University) , Bruno della Chiesa (Harvard University), Emanuele Pesoli (International Baccalaureate), a cui sono
seguiti gruppi di discussione mirati a identificare azioni
che possono facilitare la valutazione dell’apprendimento interculturale in itinere, da parte degli insegnanti.
La seconda giornata è stata introdotta dalla
presentazione in plenaria di cinque casi di studio che
sono poi stati analizzati in gruppi di discussioni volti a
rilevare e sviluppare idee e strumenti per la valutazione
delle competenze interculturali.
• Melissa Liles - AFS: “Criteria for reports about AFS students during the intercultural experience & learning assessment”
• Mattia Baiutti - Ph.D Candidate, University of Rome
“Tor Vergata” : “From knowledge to competence in Italian
schools: assessing intercultural competence”
• Sebastien Thierry - Agence Erasmus+ France, Education and Training – Case studies from Erasmus+ National Agencies
• Holger Nagel - Hellenstein-Gymnasium, Heidenheim: The “Handbook on intercultural school development”
• Rajesh Awasthi - Choitram School, Indore: Good practices by a secondary school in India
Ai lavori hanno partecipato, portando la propria testimonianza e condividendo la propria esperienza, scuole italiane, europee ed extra europee, rappresentanti
delle istituzioni educative italiane ed europee (MIUR,
Commissione Europea, Consiglio d’Europa), accademici (San Josè state University, Durham University)
organizzazioni internazionali che si occupano di educazione (International Baccalaureate, OECD, Agenzie
Nazionali Erasmus Plus, AFS International Programs,
Experiment in International Living, di vari Paesi europei), rappresentanti di organizzazioni internazionali
che si occupano di scambi scolastici, rappresentanti di
organizzazioni del mondo della scuola italiana di ANP
e LEND.
Per informazioni sul FILE e sulle altre
attività promosse da Intercultura
è possibile contattare:
Flaminia Bizzarri
Via XX Settembre, 40 - 00187 Roma
Tel. 06 48.88.24.01 - [email protected]
www.fondazioneintercultura.org
www.intercultura.it
INSEGNARE OGGI
Politica scolastica
Digitalizzare
la scuola: energia
per il futuro
di Alfonso Rubinacci
L
a scuola fino ad oggi è stata il luogo non esclusivo ma strategico, essenziale e determinante
per la crescita della persona. Un luogo nel quale investire sulla conoscenza, sulle competenze ed
eccellenze. Il profondo cambiamento esponenziale
che investe il mondo nel suo complesso, nel quale
“il potere” determinante è nelle mani delle grandi
rete d’informazione, presenti ovunque, inf luenza
soprattutto i giovani. Questo significa che abbiamo
bisogno di una scuola dotata di personale docente,
dirigente e ATA decisi ad agire uniti per aiutare i
giovani. Le nuove generazioni riflettono un nuovo
modo di vivere, dove pesano le diseguaglianze sociali che aumentano e si ridefiniscono.
Nessuna organizzazione oggi può puntare allo
sviluppo se non è in grado di governare l’innovazione digitale, se non sa quali attori deve coinvolgere,
quali obiettivi e quali benefici ci si attende nell’uso
“dei social network, dei temi della sicurezza, della
privacy”. La scuola fino ad oggi ha sicuramente
prodotto risultati importanti. Al profondo cambiamento esponenziale che investe il mondo nel suo
complesso non c’è dubbio che il sistema scolastico
stia mostrando impegno nel voler rispondere in modo adeguato, con un modello coerente e funzionale
alla realtà e alle esigenze del nuovo millennio.
Il tramonto del “posto fisso”, la crescente consapevolezza di un futuro occupazionale sempre più
caratterizzato da mobilità, f lessibilità e riqualificazione, hanno profondamente cambiato le forme
di accesso al mercato del lavoro. Le certezze non
sono tante ma quella riferita alla “società digitale”
non è messa in discussione. Le competenze digitali
sono cruciali per l’inclusione nella vita sociale,
economica e lavorativa e il sistema formativo fatica
a tenere il passo in un quadro di scarsi investimenti
in ITC. Da qui la “necessità di introdurre, senza indugio, le nuove tecnologie non per essere al passo
con i tempi, ma perché in caso contrario i percorsi
educativi (tutti) saranno destinati all’inefficacia e,
conseguentemente, il futuro lavorativo di una parte
delle generazioni più giovani sarà compromesso”
(Astrid, La didattica nell’era digitale, a cura di V.
Campione, pag 12).
Occorre favorire la nascita presso le reti di
segue a pag. 10
8
Nuovi contesti
e nuove sfide.
U
di Filomena Zamboli*
n pezzo di scuola italiana viva ha percorso le strade
di Bologna, nei giorni del 10 e 11 ottobre, tra il
Teatro dell’Antoniano e le aule dell’istituto Giosuè
Carducci, dove si sono svolte le “Botteghe dell’insegnare”;
sono comunità di docenti che si aggiornano attraverso
percorsi professionali stabili e i “Team work”, momenti
circoscritti di lavoro, che hanno coinvolto insegnanti e
dirigenti scolastici su interessi e problemi specifici, quale
la governance delle scuole; il percorso ha interessato anche
l’aula magna dell’Università degli Studi “Alma MaterStudiorum”, dove, la mattina dell’11 ottobre, più di quattromila tra insegnanti e operatori del mondo della scuola (mille
a Bologna, gli altri in 45 città italiane ed estere videocollegate), oltre a tante personalità del mondo della cultura
e dell’educazione, fra cui l’ex ministro Luigi Berlinguer,
hanno partecipato alla Convention scuola 2015: “Insegnare
oggi. Nuovi contesti e nuove sfide”.
L’incontro è stato organizzato dalle Associazioni CdoOpereEducative, Diesse, DiSal e Il Rischio educativo, con
l’adesione di molte realtà della società civile e di numerose
altre associazioni del mondo della scuola. “Dopo il messaguttoscuolRomagna,
gio di saluto del direttore dell’USR dell’Emilia
T
A n. 556
Buoni e nuovi insegnanti
per una scuola buona
e innovativa
di Nicoletta Ferroni*
C
Stefano Versari, il Rettore dell’Alma Mater, Ivano Dionigi,
ha ricordato come la scuola sia il luogo in cui si formano
cittadini completi: «Un luogo di incontri reali che può fare
da antidoto alla realtà virtuale e insegnare che cos’è il vero
dialogo». Per questo la Scuola, ha concluso Dionigi, «deve
insegnare a parlare bene per pensare bene, perché, come
diceva Platone, parlare bene, oltre a essere una cosa bella
in sé, fa bene anche all’anima»” (dal comunicato stampa).
Relatore dell’incontro di domenica mattina è stato don Juliàn Carròn docente di Introduzione alla Teologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano intervistato dal
Prof. Tino Giardina, presidente dell’Associazione “Diesse”
Didattica e Innovazione scolastica. Caratteristico anche il
metodo con il quale si è svolto l’incontro che non ha visto
la trattazione di un “discorso tematico” a cura del relatore
ma una serie di domande poste da insegnanti, genitori e
dirigenti scolastici nella fase preparatoria all’incontro stesso. Partiamo dalla prima. “Lo smarrimento della società
adulta di fronte al disagio e alla provvisorietà che vivono i
nostri ragazzi. Come affrontarlo?”. Don Carròn ha risposto
dicendo che occorre innanzitutto identificare il problema
perché di fronte a questo disagio, mediamente, si cerca
l’aiuto degli psicologi o dei neuropsichiatri o si assiste al
proliferare delle regole, vuol dire che si sta identificando
l’origine di esso o in un problema di debolezza psicologica
o in un problema etico. E proprio il fatto che si moltiplicano
nella scuola i tentativi di rispondere a questo disagio con
uttoscuol
un aiuto
specialistico o con il proliferare dei regolamenti e
T
A n. 556
segue a pag. 14
on l’antico termine ‘mestiere’ si intende quell’esperienza che permette un risultato ‘ad arte’, ovvero la realizzazione di un prodotto che esprime
in modo esemplare una capacità derivata dall’apprendimento non solo di tecniche ma dal possesso di saperi
che guidano ad un’esperienza ricca e varia e al suo consolidamento. Il risultato dell’eccellenza nell’insegnare è
l’allievo, il ragazzo che ha colto il massimo vantaggio
dall’azione dell’insegnare del proprio insegnante, nella
propria scuola, che ha appreso ‘ciò che c’era da apprendere’ … quindi dobbiamo riferirci ad un complesso
insieme di elementi, fattori determinanti di quel vantaggio che possiamo affermare abbia tratto l’allievo.
Per qualsiasi artefatto/prodotto materiale è possibile
rilevare con esattezza ‘la maestria’ con la quale è stato
realizzato, con un’osservazione che richiede, sì, competenza e consapevolezza ma, soprattutto oggettività.
Dunque se ne può ricavare la valutazione del ‘mestiere’,
l’abilità e la competenza del professionista che ha operato, di solito, in un ambiente ben attrezzato e idoneo a
svolgere quel lavoro.
Più difficile è valutare ‘la maestria’ dell’insegnante.
Difficile trovare situazioni di lavoro uguali. Difficile
che l’ambiente sia adeguatamente attrezzato. Difficile
che non ci siano ingerenze di diversa natura e che chi
osserva e ‘valuta’ non sia a sua volta influenzato da
innumerevoli fattori e circostanze. Non è scontato,
inoltre, che chi ‘valuta’ sia in possesso di tutte quelle
conoscenze che lo mettano in grado di comprendere e
dare il giusto peso ai diversi elementi. Non si tratta soltanto dell’immaterialità del prodotto a rendere difficile
una valutazione oggettiva, ma la quantità di variabili
che intervengono nel processo che l’insegnante mette
in atto svolgendo la sua ‘opera’, un’azione che non si
svolge né in solitudine né in una situazione totalmente
protetta e scevra di interferenze e variabili.
Dunque non è inutile inquadrare l’esercizio della
professione docente nel suo contesto, farlo a livello sia
micro che macro. L’insegnante, infatti, è lui stesso con
la sua professionalità, frutto di una formazione, delle
richieste e aspettative dell’ambiente nel quale è prima
cresciuto, è poi stato selezionato, abilitato alla professione e infine ha iniziato ad esercitare, spesso non stabilmente. Quindi non ci si può che riferire all’ambiente
sociale generale e particolare, all’azione istituzionale
segue a pag. 17
9
INSEGNARE OGGI
Politica scolastica
INSEGNARE OGGI
Politica scolastica
segue da pag. 8
istituzioni scolastiche di vere e
proprie “digital academies” per
coinvolgere la maggior parte dei
docenti, e per produrre una specie di “effetto contagio” in grado
di portare tutto il sistema scolastico sulla strada del digitale.
Solo se insegnanti, dirigenti, personale amministrativo centrale
e periferico, tutto il personale
ATA, insieme ai cittadini utenti
e all’opinione pubblica in genere,
certo anche le imprese, se tutti
crederanno nel cambiamento e
condivideranno le scelte operate
con il nuovo piano scuola digitale
(nuovo PNSD) si troverà quell’indispensabile collaborazione che
serve per metterlo in pratica e
raccoglierne risultati positivi.
Rapporto OCSE: alcuni
punti fondamentali
Il rapporto dell’OCSE, pubblicato lo scorso mese di ottobre,
analizza i fattori legati all’uso
del digitale nella scuola, sul vasto campione internazionale di
studenti e studentesse che partecipano alla valutazione PISA.
I risultati della digitalizzazione
della scuola offrono utili elementi di conoscenza rispetto alla domanda che molti si pongono circa
gli effetti dell’uso delle tecnologie nei processi di insegnamento
e di apprendimento.
Il rapporto chiama in causa la
scuola, e non solo quella italiana,
imputandole di non riuscire a dimostrare la capacità di innovarsi e soprattutto di essere capace
di avvalersene per dare a tutti
gli studenti le competenze di cui
hanno bisogno e garantire adeguati livelli di apprendimento.
Elementi interessanti del rapporto si riferiscono all’“acquisto
di portatili tablet da parte delle
scuole in generale è avvenuto
dove erano già disponibili computer fissi; ha quindi soprattutto allargato l’offerta di ITC in
10
quelle scuole, piuttosto che creare nuove possibilità informatiche
per tutti” (R.Casati. Chi legge
naviga meglio. Domenica, Il Sole
24 Ore del 27 settembre 2015).
Altro elemento che condiziona
la digitalizzazione è l’assenza in
molte scuole di un vero e proprio programma deciso “dalla
direzione scolastica per l’integrazione delle nuove tecnologie
nell’insegnamento...” che denota
l’assenza di una precisa politica
educativa per il loro uso.
A scuola, in Italia, i PC sono uno ogni 4 studenti e solo
il 66,8% degli studenti italiani
afferma di usarli contro il 72%
della media OCSE.
I ragazzi italiani risultano stare
on line per una media di un’ora e
mezza al giorno (93 minuti contro una media EU di 104), a scuola il tempo ‘online’ è in media di
19 minuti mentre la media Ocse
è di 25, sebbene le loro competenze in lettura digitale risultino
addirittura sopra la media OCSE
(504 rispetto a 497) ma superiore
di 11 punti a quello di paesi che
hanno una performance simile
nella lettura ‘tradizionale’.
I ragazzi ‘internet-dipendenti’,
ovvero che stanno al pc più di
6 ore al giorno, a casa, sono il
5,7%, sotto la media Ocse che è
del 7,2% e dove, in alcuni Paesi
(Danimarca, Olanda e Grecia),
si avvicina al 10% o lo supera
(Svezia al 13,2%). Questa è una
categoria - dice l’OCSE - ad alto
rischio di solitudine, e mostra
assenze ingiustificate da scuola.
I nostri ragazzi, però, nella loro navigazione, sono ‘lost in navigation’’, ovvero ‘disorientati’
e il ‘digital divide’ sociale non
è quantitativo ma piuttosto qualitativo. Il 15% degli studenti,
quando naviga sul web, rispetto
al 12% della media OCSE è poco
‘mirato’: quasi tutti gli studenti
in Italia commettono errori nella navigazione, e solo il 25% si
corregge ritornando sulla rotta
di navigazione più appropriata.
In Italia l’accesso a internet sembra riguardare il 92,9% degli
studenti svantaggiati, 6,3 punti
percentuali in meno di quelli più
avvantaggiati, ma solo il 66% ottiene informazioni valide (13%
in meno degli avvantaggiati), e
il 44% degli ‘svantaggiati naviga
su Internet per un uso assolutamente ludico.
L’uso delle risorse e delle infrastrutture scolastiche da parte
degli studenti è un fattore importante nel determinare il livello delle loro prestazioni. Quanto
più utilizzano la biblioteca, i
computer, i laboratori e i collegamenti internet disponibili, tanto
più i risultati tendono ad essere
elevati, anche a prescindere dagli
altri fattori. I presidi delle scuole
ritengono, nella media dei paesi
dell’aerea OCSE, che i fattori più
significativi e incisivi sui risultati conseguiti dagli studenti sono
gli insegnanti per la loro influenza sull’ambiente scolastico, come
sulle aspettative che nutrono nei
confronti dei loro studenti, l’impegno dimostrato e il livello di
soddisfazione che traggono dal
loro lavoro gli insegnanti, l’autonomia scolastica.
Anche gli studenti ritengono
che i fattori indicativi di una
correlazione positiva e statisticamente significativa con i risultati
da loro ottenuti sono il rapporto
con insegnanti, la disciplina tenuta in classe, l’importanza che
gli insegnanti assegnano al successo scolastico e le alte aspettative che essi hanno nei confronti
dei loro studenti.
Lo studio dell’Ocse aiuta a capire che l’accesso ad un computer non è sempre e comunque un
vantaggio in sé, e che eventuali vantaggi e possibili svantaggi dipendono da come, perché
e con quale obiettivo si adopera
la tecnologia a scuola. La sfida
sta nel chiedere agli insegnanti di diventare agenti attivi del
TuttoscuolA n. 556
cambiamento “non solo per far
crescere le innovazioni digitali, ma per disegnarle”. I docenti
che meglio integrano computer
e lezioni sono anche quelli più
innovativi e vicini ai ragazzi.
L’effetto combinato di questa
serie di fattori spiega le differenze nelle prestazioni tra le scuole
all’interno dello stesso Paese e
delle variazioni tra i vari Paesi.
Questi fattori legati alla scuola,
combinati con gli altri di natura socio-economica, arrivano a
spiegare il 72% delle variazioni
tra scuole all’interno dello stesso
Paese e il 43% delle variazioni
registrate tra i vari Paesi.
Il piano di digitalizzazione
e dell’OPEN DATA
In questo contesto il Ministero
dell’Istruzione ha predisposto il
nuovo Piano Nazionale Scuola
Digitale, presentato lo scorso
27 ottobre, con il quale intende
realizzare l’implementazione e
la diffusione dell’uso delle TIC
nelle classi e utilizzare la tecnologia come catalizzatore dell’innovazione didattica, promuovere
nuove pratiche di insegnamento,
nuovi modelli di organizzazione scolastica a sostegno della
qualità.
Gli interventi sono articolati
su tre fronti: quello dell’organizzazione e della formazione del
personale, quello infrastrutturale
e dell’edilizia, quello della dotazione tecnologica (wifi, software,
video proiettori, etc.).
Individuare le debolezze del
piano è doveroso, come altrettanto necessaria è la critica alle inefficienze, agli sprechi conseguenti
il privilegiare lo stanziamento
dei fondi per l’hardware (Lim) ed
ai ritardi. Il nuovo Piano sembra,
però, muoversi proprio dal superamento degli errori del passato
per costruire il cammino insieme
alla scuola.
TuttoscuolA n. 556
Il punto su quanto è stato fatto
dal MIUR in questi ultimi 10 anni, parte dalla critica di un’azione
poco avveduta e sistemica, legata
ad una visione dell’innovazione
concepita come sostituzione di
mezzi “vecchi” come la lavagna,
con altri più nuovi come la LIM,
senza cambiare sostanzialmente
nulla, senza comprendere appieno la portata dell’avvento delle
nuove tecnologie: dal piano LIM
alla formazione, dalle classi 2.0,
alle scuole 2.0. Dalle 416 classi
2.0 e 15 scuole 2.0 del 2011 si è
passati nel 2014 a 2.000 classi 2.0
e a 38 scuole 2.0. Un quadro che
inchioda il paese alle ultime posizioni nelle classifiche internazionali. Con qualche ritardo sono
stati attivati e finanziati 52 Poli
formativi che hanno coinvolto
72.000 docenti. Comunque siamo
sempre di fronte a modeste percentuali. Nel 2014/15, infatti le
aule/classi sono 375.000, 42.000
i plessi per 8.200 Istituzioni Scolastiche (una media di 5 plessi
per ogni IS), 70.000 i laboratori.
Risorse stabili e sicure
per lo sviluppo delle
competenze digitali
In questi ultimi anni i finanziamenti sono stati discontinui e
non sono stati incisivi nel creare l’infrastruttura, è mancata la
sincronia tra il finanziamento e
l’utilizzo delle risorse.
Il Piano mette in campo molte
iniziative per migliorare e promuovere le condizioni di sviluppo di modelli di insegnamento
e apprendimento basati sull’utilizzo delle tecnologie. Altro
obiettivo prioritario è fornire la
formazione necessaria per mettere il docente nella condizione di
affrontare le nuove sfide dettate
dal cambiamento, modificando la
progettazione delle attività didattiche in classe. Un passo necessario verso un’ottica di formazione
permanente, capace di promuovere soprattutto un cambiamento
culturale, legato più all’apertura mentale che all’età in media
troppo alta dei docenti. Il piano
nazionale prevede la banda larga
per tutte le scuole, wifi sicuro ed
efficiente e video proiettori in
tutte le classi e spazi della scuola.
La decisione si colloca nella strategia nazionale che ne prevede
l’attuazione in sinergia con il MISE, le Regioni e gli Enti Locali.
È significativo che, finalmente,
si sia presa la strada dell’operare in sinergia interistituzionale,
coinvolgendo le Regioni e gli Enti Locali nella strategia politica di
diffusione e uso delle TIC, anche
facendo convergere i finanziamenti, di cui ognuno disponeva
separatamente dall’altro, pur destinati allo stesso obiettivo.
Tuttavia resta da chiedersi se
le risorse previste con la Legge 107 per il finanziamento del
nuovo PNSD siano sufficienti,
data l’entità dei fronti d’intervento e la dichiarazione da parte
del Premier e del Ministro che
affermano l’impegno a rendere
omogenee le dotazioni e la competenza professionale del personale in tutte le scuole di tutto
il territorio. Per l’anno appena
iniziato 2015/2016 ci sono 90 milioni e 30 milioni all’anno sono
previsti stabilmente per i 4 anni
successivi. Ciò rappresenta meno
dello 0,1% della spesa pubblica
per l’istruzione (ovvero meno di
5 euro all’anno per studente di
scuola primaria e secondaria).
Un grosso affidamento vien fatto sull’apporto rappresentato dai
fondi PON, ma è bene ricordare
quanto sia necessario un cambio
di rotta sulla gestione, dall’attribuzione ai controlli. Un aumento
significativo delle risorse, una
corretta e puntuale previsione di
quanto è necessario restano la
condizione necessaria per il successo nel raggiungere gli obiettivi fin qui dichiarati.
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INSEGNARE OGGI
Politica scolastica
INSEGNARE OGGI
Politica scolastica
Intervista a Jacopo Greco, Direttore generale
delle Risorse umane e finanziarie del MIUR
Un nuovo modello
di amministrazione
di Dotto
Direttore Greco, dalla riorganizzazione del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca scaturisce il senso della
“Direzione Generale per le Risorse umane e finanziarie”,
rafforzata nella sua capacità di porsi come rappresentante
di valori e interessi generali visibili e riconoscibili sul territorio. Qual è la sua visione?
“Nella ratio complessiva del disegno riformatore del nostro Dicastero la Direzione Generale per le Risorse umane
e finanziarie di cui ho la responsabilità non è il semplice
risultato di un’aggregazione di due Direzioni generali preesistenti, una per il settore risorse umane e l’altra
per il bilancio e, in particolare, i temi della contabilità
scolastica. Siamo di fronte ad una “pianta nuova” che ha
l’obiettivo di riavvicinare la macchina amministrativa
del Ministero alle scuole. Per la prima volta si avverte con
forza il nesso strategico che unisce il comparto scuola con
il comparto Ministero. Si tratta di due mondi connessi che
devono saper dialogare e contaminarsi reciprocamente se
si vuole dare futuro ad un sistema efficiente e, in questo,
all’Amministrazione.”
Può sintetizzare, in poche battute, il ruolo e l’impegno della
DG da Lei diretta a sostegno dello sviluppo e dell’affermazione della Buona Scuola?
“Per il settore delle risorse finanziarie la legge n. 107/2015
ha introdotto delle innovazioni davvero rilevanti che dobbiamo essere capaci di far vivere ed implementare. Per la
prima volta dopo tantissimi anni si registra un incremento delle risorse finanziarie a disposizione delle istituzioni
scolastiche (126 milioni per il funzionamento, 100 milioni
per l’alternanza scuola – lavoro, 40 milioni per la formazione solo per citare degli esempi) ed è da sottolineare,
inoltre, che tale aumento dei finanziamenti ha un carattere pluriennale, consentendo così di avviare seriamente
un’attività strutturale di programmazione coerente con
lo sviluppo dell’autonomia scolastica. Tutto ciò ci impone
una gestione amministrativo – contabile delle scuole più
snella ed efficiente improntata a principi di semplificazione e trasparenza.
Per il settore delle risorse umane la sfida è quella di creare
le condizioni per diffondere un nuovo modello di amministrazione, più moderno ed efficiente, dotato di personale
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Jacopo Greco dal
2007, dopo aver conseguito l’abilitazione all’esercizio della
professione forense,
ha svolto le funzioni
di dirigente presso la
Direzione Generale
delle Risorse Umane
occupandosi della
gestione di appalti, di contenzioso e disciplina. Dal settembre 2014 è Direttore
Generale della direzione risorse umane e
finanziarie del Miur. Durante questi anni
ha maturato un’esperienza professionale
trasversale acquisendo competenze anche
nella gestione contabile delle risorse finanziarie e negli aspetti connessi alla predisposizione e alla formazione del bilancio
con particolare riferimento alla razionalizzazione e qualificazione della spesa nei
settori del personale e degli organici.
motivato, valorizzato ed altamente specializzato. Sotto
questo profilo è indispensabile che si riesca a dare vita
ad un processo virtuoso di passaggio di “consegne” e di
conoscenze tra il personale vicino al pensionamento e la
nuova generazione di dirigenti e di funzionari che ha fatto
ingresso nell’Amministrazione negli ultimi anni. Al tempo
stesso, però, noi tutti abbiamo l’obbligo e la responsabilità di interrogarci seriamente e fattivamente su come dare risposta al nodo della grave carenza di personale che
caratterizza gli uffici dell’Amministrazione centrale e
periferica.”
Come si concretizza nel settore della contabilità, il rilancio
dell’autonomia scolastica previsto dalla buona scuola?
“Innanzitutto grazie alla nuova legge si è data una risposta efficace ad uno dei problemi amministrativi che hanno
impedito di far decollare l’autonomia scolastica: le risorse
TuttoscuolA n. 556
finanziarie in questi anni sono state erogate in misura insufficiente e con una tempistica costruita attorno alle scadenza dell’anno finanziario (cioè solare) ma non coerente
con lo sviluppo della didattica e con la scansione temporale
dell’anno scolastico.
Quest’anno per la prima volta, per effetto del comma 1 della
legge 107, il fondo di funzionamento amministrativo-didattico è stato assegnato fin dall’11 settembre (quindi ad inizio
di anno scolastico) per il periodo settembre – dicembre 2015
e, sempre nella stessa data, sono state assegnate le risorse
certe per il periodo gennaio – agosto 2016. In tal modo le
scuole sono state messe in condizione di poter programmare con certezza finanziaria le attività del POF. Ed inoltre le
risorse per il funzionamento, che saranno erogate secondo
criteri nuovi fissati nel Decreto firmato dal Ministro Giannini lo scorso 15 ottobre, sono raddoppiate grazie all’incremento di ben 126 milioni di euro stanziati annualmente
dalla legge dal 2016 fino al 2021, in aggiunta ai 110 milioni
di euro annui ormai consolidati.”
appositamente finanziata, di “help desk” dedicato alle
scuole mediante l’utilizzo di canali telematici. L’obiettivo
è quello di superare la parcellizzazione di comportamenti
diversi su tutto il territorio da parte delle scuole, mettendo
a disposizione in tempo certo e costante, indicazioni e indirizzi interpretativi dell’Amministrazione a supporto di ogni
aspetto della gestione amministrativo – contabile.”
L’innovazione dell’Amministrazione non è solo questione
di strumenti e di tempi. Il fattore centrale sono i decision
maker, il personale, chi deve avere la visione e la capacità
mettere in connessione tutte le parti dell’organismo nella gestione del sistema. Quali le prospettive e i progetti in
corso?
“La gestione delle risorse umane per qualsiasi Amministrazione rappresenta il cuore della vita: nel caso del Ministero
dell’Istruzione include aspetti che coivolgono un settore,
quello della scuola, di portata fondante per lo sviluppo del
Paese.
Pertanto quando ci troviamo a dover presentare le prospettive e le azioni in corso per il lato personale del Ministero ci
troviamo di fronte a due problemi:
- L’età media del personale (abbastanza alta per cui gli organici sono ridotti e senza consistenti ricambi),
- il possesso di professionalità adeguata, che include conoscenze giuridico/amministrative, uso di tecnologie avanzate, nozioni di contabilità e di normativa scolastica.
Non è facile fare un programma di azione per il reclutamento e la formazione del personale in un periodo in cui non si
prevedono nuovi concorsi e le risorse per l’aggiornamento
sono molto limitate: le richieste ci sono sia per l’uno che
l’altro versante, con prospettive che speriamo migliorino le
performance, in breve termine.”
Per rafforzare veramente l’autonomia è urgente cambiare la
contabilità scolastica, ci sta lavorando?
“Certamente siamo al lavoro! Siamo normativamente obbligati (comma 143 della legge 107) a revisionare la contabilità dei bilanci delle istituzioni scolastiche. Entro gennaio si
deve adottare un nuovo regolamento in grado di attualizzare quello vigente ( il Decreto Interministeriale n. 44/2001),
al fine di incrementare l’autonomia e di semplificare le
procedure, includendo anche i convitti ed educandati. L’operazione da realizzare è strategica e molto delicata in quanto rende possibile ridisegnare l’intero sistema di gestione
amministrativo-contabile delle scuole, fornendo strumenti
innovativi e più coerenti rispetto ai principi di efficienza,
tempestività ed efficacia dell’azione amministrativa. In vista di tale passaggio l’Amministrazione è partita dalla convinzione che solo quanti quotidianamente sono impegnati
nella gestione amministrativo-contabile possono formulare proposte concretamente utili su ciò che occorre cambiare
per gestire la contabilità scolastica. Per questo motivo nel
mese di ottobre la Direzione Generale per le risorse umane e
finanziarie ha chiesto alle scuole di inviare idee e proposte
di modifica del Regolamento, attualmente in fase di attenta
analisi, nel convincimento che occorre sempre essere in posizione di ascolto della parte attiva del settore scolastico.”
Quali sono gli obiettivi in termini di risultati che sono stati
previsti?
“Certamente occorre trovare in via generale, una strategia
di valorizzazione delle risorse umane che dia conto dell’impegno che viene annualmente profuso con determinazione
da tutti quelli che operano sul versante “Amministrazione”,
perché le scuole possano funzionare al meglio e formare al
meglio i cittadini di domani: in fondo Istituzioni Scolastiche
sul territorio e Amministrazione non sono altro che il recto e
il verso di una stessa medaglia, che si chiama ISTRUZIONE!”
Quali strumenti concreti si possono adottare per migliorare
il rapporto dell’Amministrazione con le istituzioni scolastiche nella gestione quotidiana del settore amministrativo
– contabile?
“Su questo versante c’è molto da fare. Dobbiamo anzitutto
migliorare i processi di comunicazione. Ci stiamo lavorando,
con grande attenzione e con le forze a nostra disposizione.
A breve partirà un’attività progettuale sperimentale,
Abbiamo finito. Prima di salutarci, posso chiederLe qual è la
cosa che l’ha “fatta soffrire” di più?
“Non disporre personalmente del tempo che occorrerebbe
per rispondere direttamente ai quesiti provenienti ogni
giorno da tantissime istituzioni scolastiche. Sarebbe un modo per collaborare e dialogare in modo diretto e conoscerci,
si renderebbero meglio conto di quanto io e il mio ufficio ci
sentiamo impegnati nei loro confronti.”
TuttoscuolA n. 556
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Politica scolastica
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non si riesce a risolvere il problema,
vuol dire che si sta confondendo il
sintomo con la causa. L’origine del
disagio è da ricercare, invece, in “una
debolezza di energia” ovvero “una debolezza affettiva” a causa della quale
i nostri ragazzi fanno fatica a riconoscere prima e ad aderire poi alla realtà
che hanno davanti. Cita Don Giussani che parlava di “effetto Cernobyl”
cioè di un mutamento dell’uomo che
apparentemente non si vede ma che
è sostanziale. Infatti, è difficile che
un ragazzo possa stare ore in un’aula
solo a “assimilare contenuti” senza
essere coinvolto pienamente con ciò
che impara, senza cioè che si attui un
vero processo di insegnamento – apprendimento. Non è che la realtà non
sia più di fronte agli occhi di chi vive
un’ora di lezione, ma quel che manca,
e che viene identificato come “crollo delle evidenze”, quel che è venuto
meno, è la capacità di “riconoscere la
realtà” cioè di vederla, di coglierla nel
suo significato profondo. Quindi non
si tratta di una debolezza etica (come
può avvenire tante volte che si pensi)
ma di una debolezza di energia, di coscienza. Se fosse solo una debolezza
etica il problema sarebbe facilmente
risolvibile, perche ciò vorrebbe dire
che l’energia dell’uomo è intatta, che
c’è ancora tutto l’uomo e che occorre solo orientare, dare una spinta e
una direzione adeguate alle dinamiche del rapporto di insegnamento apprendimento. Invece il problema è
ben più ampio: ci troviamo di fronte
ad una situazione esistenziale nuova, che investe non solo i ragazzi ma
anche noi adulti, figli di una cultura
che, intrisa di sociologia, di psicologia
e di marxismo, ha come “svuotato
l’io di ciascuno di noi da qualsiasi responsabilità”. Cerchiamo, infatti, di
spiegare l’origine dei disagi attraverso
dei fattori antecedenti di tipo personale, sociologico, culturale, storico e
così guardiamo i nostri ragazzi, con
un “io ridotto”. Non c’è - dice Juliàn
Carròn - un “io” cui rivolgersi. Non
c’è, di fronte ai ragazzi, un “io” che
sia più di tutti questi fattori, utili solo
per l’analisi. Questa mentalità propria
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degli adulti, una volta che ha attecchito, blocca e impedisce di stare da
uomini di fronte ad altri uomini. Se
il ragazzo è “ridotto” all’insieme dei
fattori che ne determinano un disagio e il docente, adulto, non riesce
a “dialogare”con lui, allora qual è il
suo compito? E si resta in attesa che
gli specialisti “ci rimettono a posto”
i ragazzi mentre i docenti diventano
superflui e possono anche “andarsene
a casa”. E tutto questo accade tante
volte con la connivenza dei genitori,
anche loro smarriti di fronte al disagio
dei figli. Insomma, i ragazzi si trovano al cospetto degli adulti, che vivono
loro stessi un disagio e così contribuiscono a incrementare una debolezza
esistenziale. La vera questione perciò
è se noi adulti costituiamo una provocazione adeguata per i nostri ragazzi
o se, invece, li “lasciamo perdere”
lamentandoci solo della situazione.
Don Carròn, riprendendo ancora una
volta Don Giussani, dice che l’Errore dell’insegnamento moderno è che
“il giovane non è sufficientemente
guidato a comporre l’esperienza della
corrispondenza tra il reale e se stesso, cioè con le evidenze e le esigenze
che ha dentro”. Ma benché il giovane non sia aiutato sufficientemente a
compiere l’esperienza della verità di
sè, malgrado tutto l’influsso dell’ambiente, del potere e del tentativo di
riduzione dell’io c’è qualcosa che
resiste. Forse sotto mille macerie e
mille distrazioni. E’ la natura dell’io,
l’esperienza elementare che nessuno
può cancellare anche se si cerca di
ridurla ai soli fattori antecedenti. E
fa un esempio: “proviamo a fare una
ingiustizia a un ragazzo! E vediamo
se il suo vero io emerge!”. Prima di
ogni tentativo educativo c’è un giudizio: è uno sguardo sull’io. Si tratta di
una concezione culturale: se noi adulti soccombiamo a uno sguardo sulle
persone dei nostri ragazzi riducendole
già in anticipo ai loro fattori antecedenti siamo già sconfitti e incapaci di
sfidarli all’avventura della conoscenza. Il rapporto educativo non dipende,
non è condizionato da tutto ciò che ha
fatto del ragazzo quello che è e quindi
un “insieme di disagio”, anzi, proprio per questo, egli ha bisogno di un
adulto, di uno sguardo adulto che non
lo riduca ancor di più ma lo guardi
per quello che è. E’ questo “sguardo
adulto” che gli dà la possibilità e la
speranza di poter ripartire. Se non si
parte da questa posizione culturale,
che prima di tutto deve essereuna convinzione dell’insegnante, la possibilità
di incidere sui ragazzi è praticamente
uguale allo zero.
Le altre tre domande sono una
esplicitazione pratica di questa posizione culturale.
In particolare appare interessante,
per entrare nel merito del contesto
della scuola di oggi, la seconda domanda: “le recenti massicce proteste
nel mondo scolastico italiano sono
state segno di un disagio che ha cercato sollievo sulla possibilità di trovarsi,
dopo tanto tempo, di nuovo “uniti”
contro un cambiamento visto come
nemico. Ora, dopo la piazza, il disagio
permane più scottante che mai e si
sono evidenziate nelle nostre scuole
solitudine e individualismo, un certo
corporativismo difensivo, la cultura
del lamento, la propensione a reagire anziché a riflettere e a dialogare.
Nessuno o quasi ha messo a tema il
compito della scuola, la sua natura e
il suo scopo. Qual è allora l’autentico
compito della scuola e come aiutarci a
recuperarlo?”
Carròn risponde in maniera interessante perché mette a tema il disagio
degli adulti, dopo di aver discusso di
quello dei ragazzi. E che i due aspetti - disagio degli adulti e compito
della scuola - non vanno affrontati
in maniera dicotomica, altrimenti si
dovrebbe da subito concludere che
fin quando non si sarà debellato il
disagio non si potrà dare seguito al
compito autentico della scuola, che è
insegnare, formare e istruire le nuove
generazioni, e con ciò la partita sarebbe chiusa definitivamente. E mette
in connessione tre variabili fondative
dell’educare: tradizione - dialogo –
metodo. Se il compito della scuola è
insegnare cioè trasmettere alle nuove
generazioni la ricchezza accumulata
TuttoscuolA n. 556
da un popolo - cioè quella che chiamiamo tradizione - la vera questione
è come possiamo trasmettere questa
ricchezza, che non è mai un insieme di
contenuti, perché essa deve “passare”
da un soggetto ad un altro soggetto.
Si chiama dialogo, dialogo educativo. E fa un esempio, ancora una volta
ripreso da Don Giussani, che nella sua
prima ora di lezione sempre diceva ai
suoi studenti: “non sono qui perché
riteniate come vostre le cose che vi
dirò ma per insegnarvi un metodo
per giudicare vero o meno quanto vi
proporrò”. Quale professore mette tra
le mani di un ragazzo, fin dal primo
giorno, il metodo per giudicare quello
che lui stesso dice! Che scommessa
sulla verità di quello che gli proporrà.
Egli aveva, pertanto, consapevolezza
che questo percorso di insegnamento
-apprendimento non avviene mai senza la “collaborazione” costante dello studente. In un dialogo, appunto.
Intervista a Sergio Rosato, Direttore generale Ministero del Lavoro
“L’esempio del Veneto”
di Pietro Panzarino
Sergio Rosato è stato
direttore generale al
Ministero del Lavoro
d a l 1994 , c h i a m a t o
successivamente a
dirigere Veneto Lavoro
dal 2000. La sua
funzione gli ha permesso
di seguire passo passo l’evoluzione del mondo
del lavoro e il suo raccordo con la scuola.
Dott. Rosato, a che punto siamo per quanto riguarda il lavoro
e l’occupazione e la scuola? Quali le prospettive di sviluppo?
“Abbiamo vissuto negli ultimi otto anni la più grave crisi dal
dopoguerra ad oggi, che ha modificato il tessuto produttivo,
economico e sociale del Veneto. Il 2015 è un anno cruciale, da
un lato si hanno positivi segnali di uscita dalla recessione e
di arresto della perdita di posti di lavoro, ma resta l’eredità
di una situazione del mercato del lavoro molto difficile.”
Parliamo di Veneto Lavoro.
“I fiori all’occhiello dell’ente sono il Sistema Informativo del
Lavoro e l’Osservatorio sul mercato del lavoro, che molti invidiano alla Regione Veneto in Italia ed in Europa. Prezioso è
il lavoro che l’Osservatorio sta facendo per monitorare gli effetti delle riforme e delle singole politiche, producendo report
trimestrali tradizionali (Bussole) e report mensili sull’andamento delle assunzioni a tempo indeterminato e delle analisi
più approfondite (Misure) su altri aspetti della riforma.”
E per i giovani?
“Resta complicato il rapporto dei giovani con il lavoro: sta
migliorando il tasso di inserimento, soprattutto attraverso
i tirocini, che sono aumentati moltissimo, ma il tasso di trasformazione da tirocinio a rapporto di lavoro resta sempre
basso, intorno al 20/25%. Il che significa che molti tirocini
TuttoscuolA n. 556
sono soltanto lavoro temporaneo, mascherato, oppure sono
attività di formazione, che non danno sbocchi occupazionali.
Prosegue la flessione dei contratti di apprendistato (- 11% nel
2015), nonostante i ripetuti sforzi del legislatore di renderlo molto conveniente sotto il profilo economico e normativo.
Il programma Garanzia Giovani ha visto l’adesione di oltre
50.000 giovani, di cui circa 23.500 sono stati presi in carico
dai centri per l’impiego.”
Questo è il quadro generale del mercato del lavoro. Su questo
sfondo quali sono le politiche che il Governo, la Regione e le
parti sociali dovrebbero mettere in atto?
“Indico due priorità assolute. La prima è una forte azione
per rendere sempre più stretto e funzionante il rapporto tra
università, istituti scolastici, servizi per il lavoro e imprese.
Sotto questo profilo si assiste ad una forte iniziativa sia a
livello di sistema di istruzione (con il rilancio dell’alternanza
scuola –lavoro), sia a livello di sistema lavoro con il tentativo
di introdurre il modello duale nell’apprendistato e il sostegno alle azioni di placement scolastico. Qui, in Veneto, siamo
stati antesignani con il patto di prima occupazione, volto a
collegare direttamente il percorso degli ultimi anni di studio
con l’inserimento lavorativo, mettendo in relazione diretta
l’istituto scolastico, il centro per l’impiego e l’impresa. Su
questo ci sono molte buone prospettive di successo nella
nostra regione, perché il Veneto ha tradizionalmente una
buona rete di istituti tecnici e professionali, che si adattano
molto a sperimentare questa relazione diretta, più immediata con l’impresa. La seconda priorità riguarda le modalità
per impedire che gli espulsi dai cicli produttivi, specie quelli
con poca istruzione, qualificazione professionale e con un’età tra i 50 e 55 anni, restino a lungo esclusi dal mercato del
lavoro. Per loro bisogna creare una azione preventiva nelle
aree della produzione di beni e servizi c.d. del “quasi mercato”, collegate alla famiglia, al territorio, alla cultura,
all’ambiente, in cui gli enti locali e le cooperative sociali,
sostenuti dalla Regione, possano creare nuova impresa e,
quindi, nuova occupazione, facendo uscire le persone dal mero assistenzialismo.
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INSEGNARE OGGI
Politica scolastica
INSEGNARE OGGI
Politica scolastica
Se il docente “mette tra le mani” di
ogni ragazzo il criterio per giudicare
ciò che gli viene insegnato costringe
se stesso oltre che gli allievi a non
poter “barare” in un rapporto che si
configura così come autentico. Il docente “offre” al ragazzo ciò che per
tradizione è già suo come “ipotesi di
lavoro”, da verificare continuamente e perciò interessante e dinamica
proprio perché non è assimilazione
passiva ma riscoperta attraverso l’esperienza. “La realtà si rende trasparente all’uomo nell’esperienza”. Che
vuol dire? Che prima dei discorsi,
chi impara, scopre le cose attraverso
l’esperienza che ne fa: capiamo una
lezione sull’amore se siamo o siamo
stati innamorati, se ci sentiamo parte
di una famiglia; capiamo la lotta di
un popolo per la libertà e la giustizia
se abbiamo fatto esperienza di libertà
o anche se abbiamo subito una ingiustizia. “Succede” nell’esperienza.
Dunque, se nell’insegnare le discipline gli insegnanti non stimolano
sempre e costantemente questa verifica di esperienza (che vale anche per
la matematica, per esempio, quando
non è frutto solo di astrazione) sarà
sempre difficile che una disciplina
possa interessare i nostri ragazzi, perché essi non capiranno mai i nessi
tra le cose che si insegnano e la vita,
e le vivranno solo come necessaria
accumulazione di dati. Per questo
spessissimo “ripetono” ciò che imparano e con internet fanno “copia
e incolla” e la questione è finita lì!
El’io come capacità fondamentale di
percepire i nessi dov’è? Che tipo di
soggetto viene fuori da questo tipo
di metodo? Non possiamo educare e
istruire senza far percepire ai nostri
allievi i nessi fra le cose, introducendoli alla realtà attraverso la disciplina insegnata. “I ragazzi - continua
Carròn - si accorgono subito, quando
entriamo in classe, se poniamo delle
ipotesi di interpretazione della realtà
anche dentro un disagio e siamo leali
con il compito di educatori, oppure
no. Se siamo leali innanzitutto come
uomini”. Il fatto che anche agli adulti
non vengano risparmiate le sfide del
16
vivere e che ciò non sia “omesso” di
fronte ai ragazzi può essere una occasione stupenda per non barare neppure di fronte a se stessi. Leali con
il compito. Perché gli alunni, come
i figli, sanno benissimo quando gli
adulti hanno capacità di affrontare
una sfida o sono i primi sconfitti. “Il
problema è che cerchiamo dei sistemi
così perfetti che ci risparmino in tutti
i modi di essere uomini” dice Carròn.
Occorrono, allora, delle esperienze in
atto di scuola in cui gli altri colleghi,
gli studenti, i genitori, possano “vedere” un modo diverso di vivere le
situazioni di tutti. Questa è la sfida.
Perché la scuola cambia non attraverso le disposizioni del ministero ma
attraverso “uomini che insegnano”.
“Il problema è come io entro in classe, cioè se porto stampata sulla faccia
una ipotesi di lavoro e di risposta.
Perché di fronte ad ogni situazione
c’è sempre un io che può vivere diversamente la circostanza che deve
affrontare”. L’insegnante non è un
attore, non è un funambolo - dice ancora Carròn - non è uno “strumento”
seppure vivo in azione, l’insegnante
è una persona. E’ la sorgente di una
educazione, di una comunicazione di
vita, “io sono educatore se comunico
me stesso”. Ancora più interessante,
diviene, allora, la risposta alla terza domanda (qual è il rapporto tra
esperienza e disciplina, l’intreccio
tra insegnamento ed esperienza) perché Carròn approfondisce il concetto
poc’anzi discusso. E dice: per poter
insegnare una materia concreta NON
bastano tutti gli strumenti tecnici,
tutti i tecnicismi che caratterizzano la
materia stessa, perché capire e conoscere è DI PIU’ di tutte le conoscenze
tecniche che pure caratterizzano ciascuna disciplina. E questo si capisce
perché in ogni forma di conoscenza
è sempre presente tutto l’io che conosce e l’oggetto che voglio conoscere.
“Senza un atteggiamento adeguato
io, docente, sto riducendo ciò che insegno a un tecnicismo e mi sfugge
la cosa più importante, il nocciolo di
ciò che insegno. E se sfugge a me che
insegno perché i ragazzi dovrebbero
essere interessati?” E introduce il
concetto di “generazione”. “La trasmissione (nel senso latino) di un contenuto si identifica con l’esperienza
che una persona vive” e la prima condizione è che la sintesi sia avvenuta
prima in se stessi. Un soggetto genera
qualcosa la cui sintesi è già avvenuta
in lui stesso. L’avventura umana, che
un insegnante compie con se stesso e con i ragazzi, rappresenta una
possibilità costante di imparare gli
uni dagli altri, questo è lo scopo e
il compito della scuola. L’ultima domanda completa il cerchio: “gli adulti
della scuola vivono spesso esperienze
di contrapposizione e non di collaborazione. Per esempio i genitori e i
docenti che si addossano vicendevolmente le colpe delle situazioni che vivono i ragazzi. Oppure, nella scuola,
tutto si riduce a una “collegialità coatta” tra diversi soggetti estranei. Cosa
significa vivere oggi una unità fra i
docenti, i dirigenti, le famiglie, gli
studenti, che sia utile a sostenere la
crescita di un ragazzo nell’avventura
della conoscenza?”Carròn richiama il
proverbio citato da Papa Francesco:
per educare un bambino occorre un
villaggio. Il villaggio è uno sguardo
unitario e non uno scaricabarile e la
premessa di questa collaborazione
è il desiderio di tutti di partecipare
all’avventura dell’educazione. Sarebbe meglio che tutti decidessero di
partecipare prima per se stessi per
poi, insieme, aiutarsi ad una unità di
giudizio sulla situazione reale che,
sempre, chiede pazienza. E’ una collaborazione che si sostanzia prima di
tutto nel guardare e poi nell’agire. Se
riusciamo ad avere una percezione
unitaria del compito e dello scopo
della scuola, si determina consequenzialmente la necessità di un dialogo
tra docenti, studenti, genitori dirigenti. Occorre coinvolgere tutti anche se
questo sembra ci faccia andare più
lenti. “Perdere il tempo prima” per
non perderlo dopo e favorire la libertà
e la responsabilità di ciascuno. La
sfida è aperta.
*Dirigente scolastico Istituto Superiore
“Pascal” di Pompei
TuttoscuolA n. 556
segue da pag. 9
con la quale ha interagito, ai comportamenti che determinano il tenore delle relazioni interpersonali che
oggettivamente e soggettivamente intercorrono nella
sua sfera privata e nell’ambiente di lavoro.
Sì, perché quando si parla d’insegnamento si tratta
di una professione ‘sociale’ dove a nulla vale possedere
una tecnica perfetta da eseguire, né originale né tantomeno seriale, dove il ‘mestiere’ fatto della ricchezza
dell’esperienza e dal sapere è frutto più della riflessione
e della capacità di cogliere diversità e cambiamenti che
non dalla meticolosa applicazione di metodi e paradigmi scientifici e/o esperti. Dove tanto valore hanno,
possono o potrebbero avere, il confronto professionale
tra pari e la riflessione condivisa: una pratica non certo
scontata, che necessita di molteplici circostanze favorevoli per le quali, data la natura umana e le responsabilità in gioco, la competizione è il più temibile nemico.
Questa rif lessione non ha nulla a che vedere con
gli utilissimi rilievi nazionali e internazionali e con il
confronto sui livelli di apprendimento… Ma, come fece
l’INVALSI nel 2007, se dobbiamo valutare l’efficacia
di un servizio pubblico, pagato con la contribuzione di
tutti, dobbiamo prendere in esame e analizzare tutti gli
aspetti dal clima all’organizzazione, il contesto stretto
e allargato: dal singolo alla classe e alla scuola, dalla
famiglia al territorio, per comprendere e migliorare, come il neonato sistema nazionale di valutazione (SNV)
ci sta indicando.
Altra cosa è la valutazione degli insegnanti, specialmente quando l’obiettivo è quello di una loro costante
e generalizzata crescita professionale, una crescita
che è indissolubilmente collegata a quella umana, alla
capacità autocritica, alla riflessione e osservazione di
risposte che coinvolgono l’emotività, la sicurezza e
l’autostima della persona.
I docenti di una scuola debbono saper condividere e
collaborare e, insieme a tutto il personale della scuola,
TuttoscuolA n. 556
costituire una comunità educante forte e capace di superare i muri dell’edificio scolastico.
In questa prospettiva arriva una prima risposta: sono
i 500 euro annui esentasse, dei quali ogni docente può
disporre, da subito, per la propria autonoma esigenza
culturale, di crescita professionale, di aggiornamento.
Una presa di responsabilità da parte dell’Amministrazione che investe negli insegnanti, ‘sulla fiducia’, e che
merita un’adesione responsabile e positiva, di giusta
reciprocità. Tralasciando di affrontare approfonditamente la crisi che sta vivendo il nostro sistema educativo, non solo italiano, quale specchio di una crisi che
ha investito tutta la nostra società, ricordiamo quanto
dice l’Europa per “Il rilancio dello “spazio educativo
e formativo europeo” che nell’ambito degli obiettivi
strategici da conseguire entro il 2020 indica al secondo
posto “Migliorare la qualità e l’efficacia dell’istruzione e della formazione” e individua “negli insegnanti
le figure chiave per l’innalzamento della qualità dei
sistemi educativi” chiamando gli Stati membri “a
sostenere adeguatamente la formazione iniziale e
continua dei propri docenti a tutti i livelli di istruzione
e formazione, per assicurare un’offerta formativa che
prepari gli studenti all’ingresso nel mondo del lavoro
e contribuisca alla crescita della società.” Può essere
utile, allora, ragionare formulando alcune domande che
possono aiutare ad affrontare il tema della professionalità docente oggi, nella scuola buona e nuova della
quale tanto si parla e si discute, perché non basta certo
fare proprie le analisi che ci arrivano dall’Europa per
perseguirne gli obiettivi. La prima domanda riguarda senz’altro la preparazione dell’insegnante, aspetto
abbastanza trascurato finché l’insegnamento è stato
inteso come un ‘travaso’ di conoscenze, soprattutto teoriche e di ‘contenuto’, nella convinzione che gli aspetti
più propriamente formativi ne fossero una ‘naturale’
conseguenza e fidando sul fatto che l’aspetto educativo
17
INSEGNARE OGGI
Politica scolastica
INSEGNARE OGGI
Politica scolastica
fosse scontato, che ‘la scuola’
in quanto tale promuovesse
quella ‘scolarizzazione’ socialmente accettata, condivisa
da tutta la società. Ma oggi
sono tante le certezze venute
meno e dobbiamo spesso fare i conti con un’alta conflittualità tra scuola e famiglia,
anche con gli stessi fruitori
della scuola, con ragazzi che
non sono certo docili né così
disposti ad osservare le regole
e le richieste che la scuola propone. Non serve forse una preparazione adeguata da parte
dell’insegnante? È sufficiente
che sappia rivolgersi ai suoi
allievi o forse deve anche saper intrattenere un dialogo con
i genitori? E quanto è in grado
di considerare tutte le diverse
esperienze culturali che oggi
sono ampliate da una consistente
presenza di immigrati? È questa
un’azione che può intraprendere
un singolo insegnante anche se non
trova riscontro in altri e nel resto
del personale della scuola? Ed è
questa una competenza subito disponibile, alla conclusione del percorso formativo iniziale? In molti
paesi europei ritengono di no ed
hanno previsto una progressione di
carriera e stipendiale!
Educare richiede il saper condividere e stabilire alleanze all’interno
e all’esterno delle mura scolastiche.
Per formare ed aiutare a crescere
si deve entrare in contatto con la
persona in formazione, con la sua
disposizione all’apprendimento per
trovare i punti di contatto con il significato che questa dà alla propria
crescita, sviluppo e progresso. Per
istruire e trasmettere conoscenza ci
si deve alleare all’allievo rispetto a
precisi, chiari e condivisi obiettivi,
da raggiungere attraverso contenuti che non è detto debbano essere
sempre e per tutti gli stessi; che
non sono per forza quelli posseduti dall’insegnante ma che hanno
margini ampi di soggettività e discrezionalità. La tecnologia oggi lo
18
permette!
Ci sono dei contenuti che è bene tutti posseggano? Quali sono?
Perché? Che parte hanno nello sviluppo e nella formazione di un individuo? Quando e come debbono
essere acquisiti e accertati?
Sono entrati nel linguaggio degli esperti termini anglosassoni
che a volte non corrispondono alla
sostanza delle cose e che, a ben
guardare, possono risultare inappropriati. È appropriato parlare
nella scuola di ‘hard skills’ e ‘soft
skills’? La scuola si occupa di fornire skills o è chiamata, tramite
l’insegnante, ad un compito formativo più complesso? Non si chiede alla scuola di istruire nel senso
più ampio? Quello che comprende l’educazione a 360 gradi? Che
cura l’aspetto civico e del rispetto
dell’altro nella sua diversità, il rispetto nella conoscenza dell’ambiente e della cultura a partire da
quella territoriale e nazionale? O
forse vorremmo che la sua funzione si limitasse all’istruire a svolgere un compito? Quale compito
conosciamo che non restringa il
sapere ad una specificità che ne
esclude altre?
Di cosa ha bisogno il mondo produttivo? Vuole persone
che siano già informate della
realtà lavorativa e sappiano
eseguire i compiti individuati
per le esigenze dell’oggi? O
avrebbe bisogno di persone
formate e capaci, ad ogni livello, di capire e andare oltre
… per sé e per l’azienda nella
quale operano?
La società cosa vuole dalla
scuola? Che svolga l’importante funzione sociale di educare
cittadini e formare le risorse
umane per il futuro? Che permettano al Paese di competere
con il resto del mondo? Allora qual è il sistema educativo
d’istruzione e formazione del
quale ha bisogno?
È per questo sistema che
serve una chiara visione della
professionalità del docente che non
può prescindere dalla rif lessione
sulle conoscenze e che possono
mettere in grado l’insegnante di
capire ed affrontare tanta complessità. E non dimentichiamo che la
scuola deve essere un luogo accogliente e sereno, dove si cresce perché si sta bene. Abbiamo bisogno di
risalire a monte delle questioni prima di affrontare consapevolmente
e responsabilmente tutto il resto,
dall’introduzione nella formazione
dell’insegnante delle tecnologie,
dei linguaggi multimediali, delle
lingue straniere, dell’inclusione,
dell’orientamento, della comunicazione, dei BES e tutto il resto;
della conoscenza dei tanti e diversi metodi della didattica che ogni
insegnante dovrà saper scegliere
e utilizzare nelle diverse situazioni e circostanze, per incontrare
le diverse esigenze che si troverà
di fronte. Guardiamo al contesto
internazionale, confrontiamoci,
ascoltiamo l’Europa ma quello che
c’è da fare dobbiamo saperlo noi, lo
sappiamo e dobbiamo farlo sempre,
senza aspettare che a suggerircelo
siano i nostri competitori.
*Docente scuola secondaria superiore
TuttoscuolA n. 556
FINANZIAMENTI PON 2014-2020
CONTA SU CAMPUSTORE
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L’intervento
di Massimo Di Menna
UNA GERARCHIA CAPOVOLTA
C
i sono state leggi sulla scuola che hanno lasciato il segno: la legge Coppino che
istituì l’obbligo della scuola elementare elevandone la durata
a 5 anni, la legge Gentile sulla
scuola superiore sopravvissuta a
tanti cambiamenti, la legge istitutiva della scuola media unica
obbligatoria. Poi tanti tentativi,
tante buone intenzioni; la stessa legge sull’autonomia non ha
trovato la prevista attuazione.
Ora la legge sulla scuola del 2015
non ha certo entusiasmato, anzi
direi che ha deluso; potremmo dire che è priva di ‘un’anima’.
Nel corso della discussione parlamentare sono state evidenziate
le tante criticità, in particolare da
chi lavorando nelle scuole ne conosce la complessità e le difficoltà.
Su questa base sono state formulate proposte chiare e concrete.
Il Governo, decidendo di non
tenerne conto, ha certificato il
vulnus tra politica di governo e
realtà scolastica.
Questo è il dato più preoccupante. Ci sono criticità nel provvedimento, che vanno oltre le
ragioni specifiche sindacali, sempre orientate al riconoscimento
professionale, che riguardano le
garanzie di pluralismo culturale,
la libertà di insegnamento, quali
elementi fondanti del valore della
scuola pubblica.
Le nuove sfide della globalizzazione sono impegnative soprattutto sul piano culturale.
20
Recentemente il Presidente della Repubblica Mattarella ha ricordato come l’Europa è addirittura
troppo piccola, quindi non è la
sola dimensione nazionale che ci
consente di affrontare i nuovi e
sempre più complessi problemi. Il
processo riformatore deve collocarsi in ambito europeo.
C’è anche una ragione economica che ci spinge alla dimensione
politica europea. Demograficamente l’Europa rimpiccolisce. Le
previsioni indicano che nel 2050
l’Europa rappresenterà il 7%
della popolazione mondiale e
il Pil sarà il 10% mentre era
il 30% negli an n i sessant a.
Il capitale immateriale, il sapere,
saranno sempre più importanti
e la scuola è sede fondamentale
per dare una forte spinta al nostro
paese, in sinergia con una vision
tutta europea.
La legge, in presenza di cambiamenti cosi importanti, sembra ripiegata su se stessa, intenta
a dare risposte a mode nostrane.
L’Italia è fanalino di coda nel rapporto spesa per istruzione e spesa pubblica, nella considerazione
sociale e nelle retribuzioni degli
insegnanti.
Sono appena sfiorate questioni
complesse ed importanti come la
durata dei percorsi di studio, la
essenzialità dei saperi intorno ai
nodi fondanti della nostra cultura
classica e scientifica, la modernizzazione delle metodologie didattiche, i premi al merito con piani
di borse di studio, la dotazione di
strumentazione e supporto didattico e di ricerca, la valutazione degli esiti formativi, la integrazione
tra formazione, studio, lavoro, la
modernizzazione dei nostri istituti tecnici, perno del nostro boom
economico del secolo scorso, la
piena conoscenza della lingua inglese, la effettiva alfabetizzazione
informatica, la carriera degli insegnanti, la formazione di ispettori tecnici per le aree disciplinari
e per gli aspetti di innovazione
metodologica.
Certo non è sufficiente elencare, ma nella legge di tutto ciò c’è
appena traccia. Dopo tanti dibattiti si è tenuto un basso profilo
inventando novità piuttosto bizzarre, come la valutazione degli
insegnanti in capo anche a studenti e genitori, o la confusa scelta da
parte del dirigente di alcuni insegnanti dagli ambiti territoriali.
Poteva essere occasione per
lanciare, come spesso ripete il
Presidente del consiglio, la sfida dell’Italia a guidare sul campo
culturale e scolastico, la nuova
Europa, che non deve limitarsi ai
vincoli di bilancio.
Sul piano finanziario e della tenuta dei conti, stiamo svolgendo i compiti assegnati, in
campo culturale e scolastico
dovremmo avere ambizione e
presunzione di assegnarli. Per
questo occor re mobilitare le
migliori energie,tante operanti nelle aule scolastiche,occorre
TuttoscuolA n. 556
L’intervento
coesione,occor re u na po litica di sostegno.
Non saranno un po’ di ore in più
di alternanza scuola lavoro, cosa
positiva, a dare la scossa innovativa che serve.
Penso a come la riforma della
scuola media unica, dell’innalzamento dell’obbligo scolastico,
fu accompagnata da una grande
spinta intellettuale e popolare, nel
rilancio di un paese piegato, che
scommetteva sul futuro solido
delle conoscenze,dell’istruzione,
per non restare indietro.
Oggi serve una scelta simile. La
prospettiva positiva del miglioramento della qualità della vita poggia sulla cultura,sui giovani,sulla
scuola. In tal senso una legge sulla
scuola deve trasmettere opportunità, fiducia. Come recuperare è
la vera questione politica; occorre
recuperare in fretta.
Anche in riferimento alla autonomia scolastica, che viene
continuamente evocata, vedo
un aspetto assolutamente conservatore. L’autonomia ha avuto
un andamento zoppicante, e sui
veri nodi, sulle criticità, la legge
non innova, quindi non risolve.
Il modello di governance della
scuola è rimasto fermo ad una
legge del 1974; il collegio dei docenti, il consiglio di istituto, sono regolamentati da norme nate
per favorire quaranta anni fa la
partecipazione, norme consumate
dal tempo. Si potrebbero riempire
pagine per spiegare le differenze, che stanno caratterizzando il
nuovo secolo. Le scuole funzionano e continueranno a funzionare
con nuovi modelli grazie ad insegnanti, dirigenti (presidi e direttori didattici), personale Ata.
Tutti hanno dovuto rimboccarsi
TuttoscuolA n. 556
le maniche e supplire ai ritardi di
una classe politica che non è stata
in grado di legiferare in materia.
La questione assume rilevanza
anche politica, se pensiamo che,
finalmente, nella passata legislatura il Parlamento in commissione cultura aveva, con accordo tra
maggioranza ed opposizione, caso
assai raro, definito un testo che teneva positivamente in conto realtà
della scuola e anni di dibattito ed
approfondimento. Colpevolmente
non fu portato ad approvazione
ma lasciato in dote alla nuova legislatura. Su questo testo, conosciuto con il nome del presidente
della commissione Ghizzoni, il
Governo attuale ha fatto punto e a
capo, non ne ha tenuto alcun conto. La legge ora approvata delega
il governo. Bene, speriamo che,
nel provvedimento, non si ricominci da capo. Hanno conservato
una regolamentazione, che nacque per rispondere alla richiesta di
partecipazione che veniva nella fine degli anni sessanta. Ma la conservazione è forte se guardiamo a
come non è cambiato il ministero,
fermo nel suo assetto amministrativo, giuridico, contabile.
Non c’è traccia di quanto si pensò con l’autonomia (Berlinguer e
Bassanini dovrebbero ricordarlo
e testimoniarlo), la trasformazione del ministero in struttura di
supporto, di monitoraggio con
forte caratterizzazione tecnico
professionale, in relazione alla
centralità delle scuole, titolari di
competenze formative, didattiche,
di ricerca, titolarità rafforzata dalla norma costituzionale del nuovo
titolo V.
Sono esse, rafforzate in rete,la
rappresentanza dello stato in materia di offerta formativa, la sede
in cui comunità, realtà sociali,
mondo professionale costituiscono una sorta di galassia, intorno
a cui dovrebbe ruotare il sistema
amministrativo, burocratico. Purtroppo la centralità della didattica,
della cultura, del libero insegnamento, nella legge non è considerata; anzi si rafforza un sistema
burocratico e gerarchico, secondo
il modello verticistico: ai vertici il
ministero, poi le direzioni regionali, poi i dirigenti scolastici (una
sorta di mix di leader educativo,
controllore, gestore dalla sicurezza alle graduatorie, soggetto di
valutazione degli insegnanti di
tutte le discipline, una confusione
di ruolo che ne sta minando l’autorevolezza, costringendolo spesso
ad essere un generico risolutore
di problemi) poi alla fine gli insegnanti che svolgono invece la
funzione centrale per cui la scuola
esiste.
Tutto questo rimane tale e quale
con la nuova legge. Non mi pare
di sbagliare dicendo che la nuova
legge ha conservato, forse accentuato, le criticità che impediscono
la autonomia.
Rimane una gerarchia capovolta. Ho letto più volte il testo
della legge, articolo unico con
212 commi, un testo che difficilmente può mobilitare energie.
Anche per questo serve una revisione. Si superi la contrapposizione, non si difenda l’indifendibile,
serve coraggio politico per rilanciare il bisogno di accompagnare
la spinta innovativa necessaria al
nostro paese con la condivisione.
Ser ve u na scossa di modernizzazione, la scuola ha tante
energie, esperienze, professionalità che possono esserne elemento
trainante.
21
Politica scolastica
I
IL LAVORO BUONO
l 13 ottobre 2015 presso l’I.T.I.S.
Galileo Galilei l’Ufficio Scolastico Regionale del Lazio ha patrocinato un’iniziativa promossa dal
CNOS-FAP (Centro Nazionale Opere
Salesiane – Formazione Aggiornamento Professionale) in collaborazione con Tuttoscuola avente per tema
“scuola e impresa: strumento per favorire opportunità lavorative?”. La
questione su come viene insegnato il
lavoro nelle scuole italiane, ed in altri
sette Paesi (Germania, Usa, Brasile,
Russia, Giappone, Cina e Turchia),
può essere associata a due domande
fondamentali:
- cosa si intende per “lavoro”?
di Dario Nicoli*
occupazione, attività finalizzata
ad uno scopo economico o manifestazione di una vocazione
personale?
- in cosa crede la scuola? La scuola propone agli studenti una
prospettiva di vita in grado di
suscitarne le risorse morali e spirituali e di renderne ragionevole
l’impegno di studio e di vita?
La lettura dei libri di testo, e dei
materiali diffusi nelle scuole, in
particolare quelli relativi a storia,
educazione civica e materie di
indirizzo tecnico professionali, ha
portato ad un risultato deludente
fatto soprattutto di stereotipi e dimenticanze. La prima riguarda il
mancato inserimento nell’obbligo
di istruzione della settima competenza di cittadinanza europea
che recita “spirito di iniziativa ed
intraprendenza”. Perché è accaduto? Forse perché richiama la parola
“impresa” che suscita diatribe ideologiche? Ma l’imprenditore non
è una figura centrale nella buona
economia, quella capace di generare lavoro? In effetti, nei libri di
testo non si parla mai di imprenditori, con l’unica lodevole eccezione
Polizze assicurative: serve un progetto
per tutto il sistema scuola
di Paola Senesi*
Di recente il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha avviato, presso le istituzioni scolastiche, una rilevazione
delle polizze assicurative stipulate negli anni dal 2010 al 2015. L’obiettivo è quello di ricevere da ciascuna scuola ‘[…] indicazione […]
della compagnia assicurativa che eroga il servizio, delle modalità
utilizzate […] per la selezione, della possibilità […] di avvalersi di
società di brokeraggio secondo una procedura di selezione’1. I dati,
validati dal dirigente scolastico e poi trasmessi, saranno oggetto
di verifica durante la prima visita utile da parte dei Revisori dei
Conti, che dovranno attestare la coerenza di essi con le scritture
amministrative e contabili della scuola. L’iniziativa può essere ritenuta senz’altro apprezzabile, laddove essa si ponga nell’ottica
di esaminare, in tutta la sua complessità e varietà, la situazione
nazionale in materia di assicurazioni integrative, stipulate dalle
scuole. Al fine di giungere, poi, a un’auspicabile messa a punto di
convenzioni e/o pacchetti di beni e servizi, che possano essere messi a disposizione delle istituzioni scolastiche per il relativo acquisto, mediante la Consip Spa (www.acquistinretepa.it) 2.
Il motivo del predetto apprezzamento risiede nel fatto che le istituzioni scolastiche, spesso gravate da molteplici adempimenti con
relativi conseguenti copiosi carichi di lavoro, sia per il dirigente
che per il personale facente parte dell’ufficio della segreteria scolastica, potrebbero sentirsi confortate anche dal solo pensiero di
poter risparmiare tempo ed energie, non dovendo porre in campo
procedure tutt’altro che semplici, per realizzare una tutela assicurativa il più completa possibile, per sé e per tutte le componenti
della comunità scolastica, oltre che nell’interesse dell’Amministrazione3. Per di più, di anno in anno, stante l’inammissibilità del
ricorso all’istituto del tacito rinnovo nei contratti stipulati dalla
pubblica amministrazione per la fornitura di beni e servizi.4
Tra gli adempimenti previsti dalle procedure ne ricordiamo (a titolo esemplificativo, ma non esaustivo) sommariamente alcuni, al
fine di fornire una visione concreta della richiamata complessità. L’avvio della fase istruttoria comporta solitamente lo svolgimento di complesse indagini di mercato, oltre che di un’accurata
riflessione sui rischi da assicurare, con il coinvolgimento del Consiglio di Istituto. Tale riflessione è di fondamentale importanza,
visto che il contratto assicurativo è stipulato per conto terzi (con
1 cfr. Nota MIUR prot. n. 11694 del 28 luglio 2015, avente a oggetto Rilevazione Polizze Assicurative Stipulate dalle Istituzioni Scolastiche nel periodo 2010 - 2015, indirizzata alle
istituzioni scolastiche e, per conoscenza, ai Revisori dei conti per il tramite della scuola e all’USR competente per territorio.
2 Come noto, la Consip Spa costituisce un’ulteriore procedura di acquisto a disposizione delle stazioni appaltanti, il cui presupposto giuridico è costituito dal combinato disposto
dell’art. 33 del D. Lgs. 163/2006 e dell’art. 26 della Legge 488/1999. Per approfondimenti, si veda la Guida pratica per i contratti pubblici di servzi e procedure, volume I, Il mercato
degli appalti, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le Politiche di Gestione e di Sviluppo delle Risorse Umane, s.d.
3 Al riguardo, si vedano gli articoli di Riccardo Lancellotti: Nuove regole per una nuova dimensione culturale assicurativa, Tuttoscuola, n. 552, maggio 2015 e Assicurazioni
scolastiche, Tuttoscuola, n. 554, settembre 2015
4 cfr. D. Lgs. 163/2006, art. 57, co. 7: ‘E’ in ogni caso vietato il rinnovo tacito dei contratti aventi ad oggetto forniture, servizi, lavori, e i contratti rinnovati tacitamente sono nulli.’
5 Le Regioni provvedono a stipulare un’assicurazione a favore delle scuole, per i soli rischi infortuni. Rimane esclusa la responsabilità civile.
6 In merito, si veda la Guida all’assicurazione, INAIL, Direzione Centrale Comunicazione, 2010.
22
TuttoscuolA n. 556
DARIO NICOLI
IL LAVORO
BUONO
CULTURA ED ETICA DEL LAVORO IN ITALIA E NEL MONDO
UNA PROPOSTA EDUCATIVA PER LA GENERAZIONE POST-CRISI
IL LAVORO BUONO
La rimozione nei libri di testo della scuola italiana
del tema del lavoro come valore etico-sociale indica che
dietro alla gravissima disoccupazione giovanile, una delle più
delgrandi
caso
esclusionidi
delleAdriano
giovani generazioni Olivetti.
dalla vita sociale cheCosì
la storia ricordi, non vi è soltanto la crisi economica, ma un
atteggiamento
culturale,
e di costume,
di unadell’artigiasocietà che ha
come
non
si
parla
mai
ritenuto di sostituire al valore del lavoro – cioè della responsapubblica – la prospettiva dell’estetica dei consumi – quindi
no,bilità
una
figura
peraltro
molto
caridell’immagine pubblica del cittadino.
ripresa economica esige una profonda revisione della propocaLastadi
attrattiva
per
i
giovani.
educativa rivolta ai nostri giovani centrata sul “lavoro buono”,Vi è
un’esperienza fondamentale per la piena realizzazione umana,
di fornire
alla persona
l’occasione
di mettersi in
poiche
ilconsenta
caso
della
totale
dimenticangioco mostrando il proprio valore distintivo in quanto soggetto
aspettative degli primo
altri.
zacapace
deidi rispondere
santia bisogni
del edlavoro,
fra
La pubblicazione è promossa dalla FEDERAZIONE CNOS-FAP,
tutti
Don
Bosco
e
la
sua
straordil’organismo che coordina i Salesiani impegnati nell’ambito della
Formazione Professionale, in collaborazione con TUTTOSCUOLA.
naria opera educativa e sociale che
Il volume è curato da Dario Nicoli, docente incaricato di socioloeconomica e delbuona
lavoro pressoparte
l’Università Cattolica
Brehagia
ispirato
delledi scuole
scia; è esperto di sistemi educativi e consulente di regioni, scuole
ed enti di formazione professionale.
professionali
realizzate successivamente in Italia e nel Mondo. Questo
quadro deludente presenta due sole
eccezioni: il settore delle scienze
umane e dei servizi alla persona
ed alla comunità dove troviamo
un apprezzabile approfondimento
della deontologia professionale dei
lavori di cura. Vi è inoltre il tema
dell’alternanza, su cui torneremo
in conclusione, un ambito nel quale
l’attuale governo ha investito decisamente e che segnala un cambio
Dario Nicoli
Politica scolastica
rilevante nel rapporto tra scuola e
lavoro. La guida operativa appena
emanata parla di valore educativo
e formativo dell’esperienza di lavoro, anche se manca una riflessione
adeguata ed il testo presenta soprattutto indicazioni organizzative
e didattico valutative. Attorno alla
il contributo delle famiglie) e ha lo scopo di integrare la copertura fornita da altre assicurazioni, per lo più obbligatorie, quali
quella della Regione Lazio in relazione ai soli infortuni5 e quella
dell’INAIL6 per infortuni derivanti dalle attività rischiose svolte
con l’utilizzo (anche in via transitoria) di macchine, apparecchi
e impianti ovvero da attività che, per loro natura, esprimono un
elevato grado di pericolosità anche se svolte senza l’utilizzo di
macchine, apparecchi ed impianti (queste ultime sono comunque
soecificatamente indicate in apppositi elenchi). Completata la fase
istruttoria, occorre dunque procedere all’elaborazione e all’emanazione del bando, che di solito è accompagnato da un capitolato
tecnico, la cui definizione può risultare particolarmente complessa per una struttura “tuttologa” (sotto il profilo amministrativo e
giuridico) come quella scolastica, all’interno della quale, spesso,
non sono presenti specifiche competenze in materia. Per la stessa ragione, altrettanto complessa può risultatre l’individuazione
della commissione di gara, dal momento che in essa occorrerebbe
fossero presenti degli esperti, in grado di procedere sia alla verifica dell’adeguatezza e della completezza della documentazione
richiesta agli offerenti, sia di effetttuare il dovuto raffronto tra le
offerte pervenute, con riferimento ai criteri esplicitati nel bando e
con l’adozione di specifiche formule atte a identificare l’offerta più
vantaggiosa e/o quella più economica. Senza considerare un altro elemento di complessità presente all’interno della procedura,
costituito dal rischio di contenzioso, nascente, talvolta, da puro
spirito di rivalsa e mancante di elementi a supporto. Contenzioso,
peraltro, che scaturisce anche successivamente all’espletamento della gara, allorché, stipulato il contratto, a seguito di eventi
dannosi per la salute delle persone, pervengono richieste risarcitorie da parte di famiglie, e anche di docenti. Pensiamo, dunque, a
TuttoscuolA n. 556
presentazione, da parte dell’autore
Dario Nicoli, del volume “Il Lavoro Buono. Una proposta educativa
per la generazione post-crisi” (edizione CNOS-FAP e Tuttoscuola,
2015), si sono svolti molti interventi, il cui denominatore comune
è stato l’urgenza di un profondo
raccordo tra mondo educativo e
mondo del lavoro.
Il dibattito sul libro è stato aperto da Giovanni Vinciguerra,
direttore di Tuttoscuola e moderatore dell’incontro, che ha ricordato
i dati, per molti versi allarmanti,
di una ricerca Ipsos, dalla quale
risulta che quasi un ragazzo su tre
ritiene che il modo più efficace
per trovare lavoro sia quello delle
conoscenze personali e delle raccomandazioni. Carlo Cipollone,
dirigente scolastico dell’istituto
quanto un tale percorso possa risultare oltremodo gravoso per il
personale scolastico tutto, specie in questo particolare momento
storico, che pone sempre di più in primo piano la necessità di far
fronte a esigenze educative e didattiche, senza dubbio prioritarie,
oltre che a impegni anche amministrativi derivanti dall’attuazione degli importanti nuovi e complessi processi di innovazione in
atto (a titolo esemplificativo: autovalutazione; attuazione della
legge 107/2015; elaborazione e realizzazione, in prospettiva, del
piano dell’offerta formativo triennale, che impone lungimiranza
e possibilità di accurata riflessione).
Pensiamo, invece, a quanto potrebbero essere agevolate, almeno
nell’ambito di questa specifica materia, laddove il nostro Ministero fornisse un supporto concreto, magari proponendo convenzioni
e/o beni e servizi da acquistare. Un’opportunità questa, che le scuole, nella loro autonomia, potrebbero cogliere, con vantaggi sotto il
profilo del recupero di energie e tempo del personale della scuola
(in particolare del dirigente e di tutti coloro che fanno parte della
segreteria scolastica). Che potrebbe in tal modo concentrarsi sulle altre priorità, con conseguente guadagno per la qualità dell’istituto e, in prospettiva, del sistema di educazione, formazione e
istruzione. Naturalmente bisogna ricordare che l’ottimizzazione
delle risorse umane e professionali rappresenta un investimento
rilevante all’interno di una comunità, sia essa locale, nazionale
o sovranazionale. Pertanto, ogni sostegno utile per sostenere il
lavoro delle istituzioni scolastiche - chiamate a gestire il servizio
di educazione, istruzione, formazione all’interno del più vasto sistema nazionale - non può che contribuire a fare in modo che esse
adempiano al meglio ai propri compiti e valorizzino la loro funzione sociale, secondo il dettato costituzionale.
*Dirigente Scolastico IIS “G. Carducci” Roma
23
Politica scolastica
ospitante l’incontro: il testo arriva
nel momento più giusto, a cavallo
di una crisi che ha condannato una
parte dei giovani nel limbo della
segregazione sociale. Nonostante
l’allarme derivante dai dati drammatici sulla dispersione, sui Neets
e sulla disoccupazione, la questione
dei giovani è assente dall’agenda
politica. Occorre invertire questa
tendenza, soprattutto perseguendo
un patto tra famiglia, scuola e territorio sull’orientamento connesso al
percorso di formazione e di crescita
dei giovani superando la diffidenza
delle imprese nei confronti degli
studenti. Angelo Petroni, professore ordinario università “La Sapienza” di Roma, Segretario generale
dell’Aspen Institute: il testo affronta il lavoro come una categoria che
va oltre la dimensione economica
per affrontare quella morale, filosofica e metafisica. I lavori sono
tali perché indicano un agire rivolto
a qualcun altro in cambio di una
remunerazione. Il lavoro si definisce quindi entro una rete sociale
di scambi definiti dal mercato che,
da duecento anni ad oggi, assume
la forma prevalente del capitalismo. Va affrontato il problema del
rapporto disarticolato tra lavoro e
studi. Spesso i giovani non hanno
idea delle scelte che compiono e ciò
comporta una distruzione di capitale umano. È questo il caso delle
lauree generiche, quelle che escludono a priori la prospettiva dell’industria e sono frequentate da una
massa di studenti che impara poco,
senza connessione con l’economia.
Esistono però segnali di inversione di tendenza dalla “condizione
signorile”, come nel caso dei cuochi. Occorre un orientamento che
sappia persuadere, rispettando la
libertà di scelta di ciascuno; serve
un raccordo più stretto tra mondo
della scuola, università ed impresa,
senza imporre scelte drammatiche
come avviene invece nel modello
tedesco. Raffaele Morese, segretario generale associazione nuovi lavori: la carenza nei libri di testo in
24
tema di lavoro indica una mancanza grave; questa può essere legata
all’idea di autonomia della cultura,
una pecca del ‘68 che per altri versi ha rappresentato un’esperienza
straordinaria. Occorre combattere
l’idea che la scuola costituisca un
fortino, per metterla in comunicazione con il resto del mondo. Oggi
serve soprattutto la scelta di fare
dell’alternanza un sistema stabile.
L’analisi dei sette Paesi mostra che
c’è lavoro buono dappertutto, anche tenendo conto della varietà di
culture e di religioni. Per la crescita
della società occorre far prevalere
il lavoro buono; questo è tale se è
“decente”, esito di buone leggi e
buoni contratti, così da eliminare
i rischi di sfruttamento e di scarsa
professionalità. È preoccupante il
fatto che il 40% degli studenti cambierebbe la scelta fatta all’inizio,
ciò indica una gioventù spaesata,
frustrata nelle sue aspettative. La
scuola può contribuire alla crescita
della società raccontando bene la
realtà del lavoro, frequentando il
mondo dell’impresa e delle professioni, infine adottando strumenti
idonei per la scelta degli studi degli
studenti. Gildo De Angelis, Direttore Generale dell’USR Lazio, ha
affrontato le ricadute della Legge
107 “La Buona Scuola” con particolare attenzione al potenziamento
dell’offerta formativa secondo la
normativa vigente e ai poli tecnicoprofessionali. In particolare, De
Angelis si è soffermato sui tempi
e i modi della cosiddetta fase C del
piano di assunzioni della Legge di
riforma della scuola, e sulle modalità di ricerca delle partnership per
l’alternanza scuola-lavoro.
Conclude l’incontro Don Mario Tonini del CNOS-FAP: il lavoro, nonostante le dimenticanze
del passato, è un tema che incontra
una sensibilità crescente; è però
necessario affrontarlo nel giusto
modo, vale a dire nella prospettiva
educativa. Il rapporto scuola-lavoro non va ridotto esclusivamente
alla dimensione organizzativa, ma
richiede uno sguardo pedagogico; ciò significa essenzialmente
offrire ai giovani la possibilità di
un io a cui rivolgersi, un incontro umano in grado di trasmettere
passione per la vita. Inoltre, non va
associato esclusivamente all’istanza occupazionale, una dimensione importante, ma assolutamente
non sufficiente poiché occorre una
proposta antropologica in grado di
sollecitare la crescita integrale dei
giovani. Infine, esso non va ridotto
a mera conoscenza: una corretta
educazione al lavoro richiede di
dare vita ad un grande cantiere, gestito in collaborazione tra la scuola
e le realtà con cui questa si allea,
fatto di occasioni di partecipazione
e di impegno operoso ed intelligente dei giovani alla vicenda della
comunità.
*Professore Universitario
TuttoscuolA n. 556
La scuola vista da... Telecom Italia|TIM
IL FUTURO FIRMATO
TELECOM ITALIA .
La sinergia con Alfabook, la nuova società acquisita in
TI Digital Solutions, consente di offrire alla scuola italiana
un pacchetto di servizi innovativi accessibili via web
L’innovazione nel settore Education firmata
Telecom Italia|TIM: Kit Scuola Digitale
e Scuolabook Network
Kit Scuola Digitale è l’offerta di
Telecom Italia|TIM che accompagna la scuola nel percorso di
innovazione didattica e infrastrutturale. Il progetto è stato reso possibile grazie alla recente
acquisizione in TI Digital Solutions
(Gruppo Telecom Italia) di Alfabook, una delle principali aziende nazionali nell’ambito delle tecnologie
didattiche, che opera nel settore
dell’editoria digitale, professionale e trade.
Il know how di Alfabook e le
competenze maturate negli anni,
in particolare nei servizi a supporto
della didattica, nella realizzazione e gestione di piattaforme ecommerce specifiche per il mondo
scolastico e nella distribuzione di
contenuti per l’editoria in formato
eBook tramite il sito proprietario
Scuolabook.it, consentono oggi a
Telecom Italia|TIM di rafforzare il
proprio ruolo innovativo nel settore
Education a livello nazionale.
Kit Scuola Digitale è l’offerta
integrata di servizi per le scuole,
quali wi-fi, registro elettronico e
Scuolabook Network, accessibili
tramite un unico portale-vetrina.
In particolare, la piattaforma
Scuolabook Network è l’ambiente
interattivo flessibile che si adatta
alle nuove esigenze della didattica
digitale. Si tratta di un servizio web
che necessita solo di un browser e
di un collegamento ad Internet e
che comprende un mondo di applicazioni pensate per essere utili
all’insegnamento. Non è richiesta
dunque l’adozione di un metodo
http://www.scuolabook.it/network
http://nuvolaitaliana.impresasemplice.it/kitscuoladigitale
TuttoscuolA n. 555
formativo specifico, ma gli strumenti di Scuolabook Network
vengono proposti come arricchimento alle attività didattiche, sia in
classe che fuori. I docenti possono
organizzare corsi ed esercitazioni
direttamente online invitando gli
studenti a partecipare alle attività
di studio sia in maniera individuale
che di gruppo, durante le lezioni o
a casa, ampliando così gli orizzonti
della didattica anche fuori dall’aula. Scuolabook Network è nativamente integrata con la libreria di
Scuolabook per docenti e studenti,
permettendo attività di social reading, condivisione di appunti e
note sui testi con il resto della classe e apprendimento collaborativo.
Gli strumenti messi a disposizione
da Scuolabook Network richiamano quelli comunemente utilizzati su Internet: email, blog, social
network, forum di discussione. I
docenti non devono imparare a utilizzare, né insegnare, da zero nuovi
servizi digitali, ma possono fare
leva sull’esperienza propria e degli
studenti per applicarle a strumenti
sicuri sui quali hanno il controllo
diretto.
Scuolabook Network si propone come il social network della didattica, una soluzione al passo coi
tempi, che parla lo stesso linguaggio degli studenti e che porta nella
scuola italiana l’Education Technology, al servizio della formazione
delle nuove generazioni.
25
VISTO DALL’ESPERTO
di Benedetto Vertecchi
Interpretazioni virtuali, allievi reali
S
i direbbe che molti dei politici,
degli esperti, degli opinionisti
che dispensano la loro sapienza
sulla scuola non abbiano dei destinatari reali dell’educazione formale un’idea più precisa di quella che
Cristina di Svezia o i letterati che si
riunivano in San Pietro in Montorio
avessero della pratica della pastorizia. Ormai non ci si preoccupa più
di capire i problemi che si presentano nel percorso educativo di bambini e ragazzi, ma si fa riferimento a
oggetti virtuali: le scuole di cui si
parla non sono istituzioni volte a
educare, ma centri in cui hanno luogo ritualità apprezzate dal mercato,
la categoria iperonima in nome della
quale si perviene a definire le scelte
che avranno conseguenze non solo
nell’immediato, ma soprattutto nei
prossimi decenni. Si pretende di innovare nella didattica, nell’organizzazione delle scuole, nelle dotazioni
che sostengono le proposte di apprendimento, e si dà per scontato che
ai cambiamenti seguiranno i benefici che ci si preoccupa di annunciare,
ma non di dimostrare. Ormai siamo
immersi in una corsa insensata, che
vede cambiamenti continui di percorso: cambiare è la condizione perché
non si stia troppo a sottilizzare su
ciò che era stato annunciato in precedenza. L’ossessione con la quale il
verbo è usato ne fa apparire, se solo
si presta attenzione alle situazioni
entro le quali se ne individua il significato, le implicazioni ideologiche:
c’è bisogno di cambiare per continuare a disegnare scenari virtuali,
senza essere turbati dalla necessità
di dimostrare ciò che si afferma, né
26
di giustificare le scelte che ne derivano. Il fatto è che, se gli scenari presi come argomento sono virtuali, gli
interessi che si assecondano all’ombra di quegli scenari non potrebbero
essere più reali. E non mi riferisco
qui ai piccoli affari che fanno acquisire alle scuole, coi pochi mezzi di cui
dispongono, dotazioni che debbono
essere sostituite prima che una leva
di allievi abbia completato un ciclo
scolastico, per lo più a tutto danno
di altre dotazioni che qualificherebbero in modo ben più impegnativo
l’ambiente di apprendimento (penso
agli spazi dedicati, ai laboratori
per le esperienze scientifiche, alle
collezioni, alle biblioteche di cui si è
predicata l’esigenza che fossero dematerializzate, con l’unico risultato
di mettere in ginocchio l’industria
editoriale e di aver accresciuto la
dipendenza della nostra cultura dalle centrali globalizzate del pensiero
unico e via seguitando), ma alle implicazioni che l’estenuazione della
capacità delle scuole di elaborare e
proporre una cultura proiettata ai
tempi lunghi ha sulle trasformazioni
in atto nella stratificazione sociale.
Vale la pena di ricordare che il grande sviluppo della scolarizzazione che
ha caratterizzato la vita sociale negli ultimi due secoli aveva prodotto
una vistosa espansione delle classi intermedie, che comprendevano
quanti svolgessero attività qualificate corrispondenti a un buon livello di cultura simbolica. Negli ultimi
decenni abbiamo assistito al ridursi,
fino all’estinzione, di figure professionali in precedenza apprezzate, come quelle dei tipografi compositori,
dei tecnici di camera oscura, dei contabili eccetera. Sono, invece, cresciuti gli addetti ad attività di livello più
modesto, rovesciando, spesso, la relazione che prima intercorreva tra il
lavoro umano e le macchine: in troppi casi chi si serviva di macchine per
svolgere meglio il suo lavoro è ora
impegnato per far lavorare al meglio
le macchine. Non sto, tuttavia, ricordando questi fenomeni perché attratto da suggestioni luddiste. Quel che
mi sembra debba essere notato è che
c’è una concomitanza tra le difficoltà che stanno incontrando gli strati
intermedi delle popolazioni dei paesi
industrializzati (uno studioso dell’MIT, Tyler Cowen, è arrivato a intitolare un suo studio Average Is Over,
ossia La classe media è finita) e la riduzione dei repertori conoscitivi stabili che la grande maggioranza degli
allievi acquisisce attraverso la fruizione di educazione formale. Poiché
la durata dell’educazione formale ha
raggiunto un’estensione ragguardevole, che non sarebbe ragionevole
sia ancora dilatata, almeno nella
forma sequenziale, la minore densità delle proposte di apprendimento
fa riscontro alla crescita di una funzione di custodia: le scuole sarebbero
interpretate come grandi contenitori
dell’infanzia e dell’adolescenza. Gli
allievi concorrono a realizzare disegni di mercato per la capacità di spesa di cui dispongono, direttamente o
indirettamente, tramite la pressione
che sono in grado di esercitare sui
genitori. Al diminuire della consistenza della classe media, e al parallelo spostarsi dei riferimenti per
l’educazione scolastica da traguardi
TuttoscuolA n. 556
VISTO DALL’ESPERTO
di lungo periodo all’acquisizione di
competenze funzionali a strumentari da usarsi per un rapido, ma
transitorio, inserimento in attività
produttive, fa riscontro il ritorno,
nei paesi industrializzati, ad una
stratificazione sociale nella quale la
frazione più consistente è quella di
condizione più modesta.
Si può temere che la capacità di
scrivere, che è stata all’inizio dei
cambiamenti nei rapporti sociali che
si sono avuti in Europa negli ultimi
secoli, torni ad assumere, ma questa
volta in negativo, il valore di un riferimento critico. I sistemi educativi,
non solo quello italiano, stanno perdendo la funzione di miglioramento non solo della cultura, ma delle
condizioni di vita delle popolazioni.
Tale funzione è stata rilevante fin
quando le logiche cui i sistemi erano ispirati erano prioritariamente
educative. Ma negli ultimi decenni
quelle logiche sono state progressivamente sostituite da altre, ispirate
alla cosiddetta “cultura organizzativa”. La proposta d’istruzione è stata
frammentata in tessere da mosaico,
l’immagine degli insegnanti è stata
svilita sul piano culturale e su quello
professionale, sono stati eretti simulacri, come quello della valutazione
di tutti e di tutto, senza avere a disposizione modelli interpretativi di
qualche spessore.
O, meglio, alla base delle modifiche
che si sono introdotte nel sistema
educativo c’è un’idea, anche se a mio
giudizio aberrante, quella che si possa progettare l’educazione sulla base della riduzione ai valori intermedi
di un certo numero di variabili. La
scuola è cresciuta quando si è proposta di raggiungere traguardi che
spingessero al superamento di un livello intermedio. Non che ciò comportasse che tale livello fosse realmente
TuttoscuolA n. 556
superato, ma questo porre l’asticella
in una parte alta della distribuzione dei risultati aveva comunque
un’implicazione positiva, quello di
impedire effetti perversi di avvitamento verso il basso. Se l’asticella è
collocata in una zona centrale della
distribuzione dei risultati educativi,
si ha come prima conseguenza un
aumento dell’incertezza circa ciò
che positivo e ciò che non lo è (nella
zona centrale si concentra, infatti, il
massimo degli errori di valutazione)
e, come seconda, l’attenuazione delle attese, che trascina con sé scelte
didattiche meno impegnative perché
orientate al conseguimento di traguardi più modesti. I livelli centrali
sono stati considerati ossessivamente come termini obbligati di riferimento da quando nella valutazione
dei sistemi scolastici la comparazione dei livelli di apprendimento è
diventata il criterio più importante.
Eppure ci sono aspetti della realtà
educativa che dovrebbero quanto
meno far dubitare di ciò che emerge
dalle comparazioni. Intanto, conviene ricordare che nel 1987 in un libro
di Allan Bloom (The Closing of the
American Mind, Simon & Schuster,
New York) si formulava l’ipotesi che
una parte cospicua degli adulti stesse perdendo l’uso del linguaggio
alfabetico. Una prima rilevazione
confermava questa ipotesi per gli
Stati Uniti e il Canada. Rilevazioni
successive accertavano che il fenomeno investiva, ove più ove meno,
gran parte dei paesi industrializzati.
Ma quel che oggi meriterebbe di essere attentamente considerato (mi
chiedo, fra l’altro, come sia possibile
che un fenomeno così grave non sia
considerato quando si comparano i
risultati di apprendimento) è che la
disabitudine alla scrittura, con quel
che ne consegue dal punto di vista
dello sviluppo (dovrei dire del mancato sviluppo) delle competenze verbali,
si presenta sempre più precocemente. Già nella scuola elementare è possibile osservare che non sono pochi
gli allievi che tracciano penosamente i segni alfabetici. Il primo segnale
cui dovrebbe prestarsi attenzione è
la perdita della capacità di scrivere
in corsivo, cui si accompagnano crescenti incertezza ortografiche (che
è difficile non collegare, almeno in
parte, all’uso dei telefonini).
Una ridotta capacità di scrivere (e
un peggioramento della qualità del
linguaggio, certo non compensata
da qualche stentata parola in inglese) non riguarda tutti i bambini e i
ragazzi, ma è funzionale a quella
ridistribuzione delle classi sociali
alla quale prima facevo riferimento.
Non è un caso che nei paesi in cui il
sistema educativo non si caratterizza in senso unitario, com’è ancora
nel nostro (ma per quanto?), le scuole
frequentate da allievi appartenenti a
strati favoriti della popolazione fruiscono di un’istruzione fondata sullo
sviluppo di repertori simbolici. In
conseguenza, si accresce il divario
tra gli allievi. In Italia qualcosa di
analogo si sta tentando di fare comparando i risultati delle scuole, con
la copertura ideologica del richiamo a una meritocrazia rusticana.
Propongo di invertire questa deriva:
torniamo a far scrivere in corsivo i
nostri bambini e i nostri ragazzi, proponiamo soluzioni che sviluppino il
coordinamento fra l’attività mentale
e quella manuale, preoccupiamoci di
accrescere il lessico di cui dispongono. Non si tratta solo di migliorare
per tutti la qualità dell’apprendimento, ma di riprendere quel cammino
virtuoso che in 150 anni di storia
unitaria era stato determinante per
il progresso del nostro Paese.
27
Politica scolastica
Le criticità della mobilità studentesca all’estero nell’era della globalizzazione
Una scuola senza confini,
ma senza rischi…
I
mmaginiamo un giovane pieno di
talento, di curiosità e di interessi.
Immaginiamo lo straordinario effetto
che potrà avere su di lui/lei un’esperienza di studio in un Paese straniero, che
sia in Europa o al di là del mondo, per
un tempo di tre, sei o addirittura dodici
mesi: farà incontri importanti, migliorerà le capacità di adattamento e di relazione, acquisirà competenze linguistiche
invidiabili, apprenderà contenuti disciplinari che – probabilmente – nella scuo-
di Irene Baldriga*
la di provenienza neppure appartengono
alla programmazione più coraggiosa e
innovativa. Tornerà diverso e più maturo, forse più sicuro e versatile. In questo
scenario entusiasmante, quale genitore –
pur a costo del sacrificio di allontanare il
proprio figlio dal nido familiare per un
tempo così prolungato – non accarezzerebbe l’idea? L’opportunità di integrare nel percorso di studi della scuola
secondaria superiore un
periodo di scolarizzazione all’estero è divenuta
sempre più praticata dalle
famiglie, specialmente in
determinati indirizzi di
studio. Gli studenti hanno la possibilità di recarsi
presso scuole di pari livello, assolvendo
in tal modo l’obbligo di frequenza e gli
impegni di studio previsti dagli ordinamenti scolastici. Il problema, soprattutto
Se prevale la disaffezione per l’università…
di Fabio Matarazzo
è
ormai innegabile: l’Università rischia di non appassionare più i nostri giovani e le loro famiglie. Non
è una sensazione episodica ma un’analisi della progressiva diminuzione delle iscrizioni nei nostri atenei. E’
una constatazione triste e molto preoccupante. “Il segnale ignorato che viene dalle Università” è il titolo dell’editoriale del ‘Corriere della Sera’ del 3 settembre con il quale
Maurizio Ferrera richiama giustamente l’attenzione e la
responsabilità politica su una dinamica giovanile che se
non convenientemente e tempestivamente contrastata rischia di rivelarsi ben presto irreversibile ed esiziale per
il nostro Paese. Diminuzione dei laureati ed emigrazione
dei migliori di essi all’estero per ricercare occasioni remunerative e gratificanti di impegno, possono relegare la
nostra economia e il nostro Paese in una tenaglia nella
quale schiacciare aspettative e speranze per il futuro.
Sono diverse le ragioni che di solito si adducono per spiegare questo fenomeno ma non tutte sembrano convincenti
e risolutive. Di certo sembra venuto definitivamente meno
l’entusiasmo che accompagnò, nei primi anni ’70, l’apertura generalizzata delle Università a tutti i diplomati delle
scuole secondarie. Si superava in tal modo l’elitarismo
gentiliano della esclusiva provenienza liceale, tradizionalmente privilegiata economicamente e socialmente, e si
avviava un opportuno ampliamento e rinnovamento della
platea della futura classe dirigente.
Una novità non da poco, anche se non sempre, alla prova
dei fatti, ha ottenuto quella risposta adeguata ed efficace
28
dalle strutture accademiche necessaria per raggiungere
l’obiettivo per il quale era stata concepita.
Ciò nonostante, quell’evento ha caratterizzato un salto di
qualità della nostra democrazia repubblicana che spiace
oggi vedere avvilirsi per il venir meno di quell’entusiasmo,
quelle aspettative e quelle speranze che indussero ragazzi
e famiglie ad affrontare sacrifici, a volte assai pesanti,
pur di salire sull’ascensore sociale garantitodall’Università. Vi era la consapevolezza di avviarsi ad un percorso
impegnativo e difficile ma in grado di condurre ad un risultato utile e gratificante. Quanti, giunti oggi ai massimi
livelli di responsabilità economica, sociale e culturale del
nostro Paese, ricordano con nostalgia quei tempi e quegli
affanni, sottolineando la soddisfazione di aver fatto cosa
buona e giusta e di averla fatta, con il necessario entusiasmo, non soltanto per il proprio interesse individuale.
E’ un aspetto, quest’ultimo, sul quale non si riflette forse
abbastanza quando ci si rapporta a questo argomento. Non
si è di fronte soltanto ad un disagio o un danno individuale
con i quali fare i conti per le scelte recalcitranti o rinunciatarie dei nostri ragazzi. Non possiamo trascurare, infatti,
anche l’impoverimento, drammatico, nel tempo dell’economia della conoscenza, dell’intera società.
Il livello di istruzione, sanno bene i lettori di questa rivista, influisce in misura assai positiva sulla partecipazione
democratica consapevole e sulla stessa coesione sociale;
sulle condizioni di vita e di consumo di beni e servizi di
qualità e sulla capacità di produrli innovando processi e
metodi di realizzazione. Insomma, grado di istruzione e
benessere sociale, inteso in senso lato, e non limitato alla
TuttoscuolA n. 556
Politica scolastica
per le scolarizzazioni di un anno, deriva
dalla corrispondenza dei piani di studio
e dalla impossibilità di garantire percorsi paralleli tra la scuola di provenienza e
quella straniera. Se è vero che la possibilità di seguire discipline diverse, magari
con strategie didattiche e in contesti di
apprendimento anche molto distanti da
quelli praticati in Italia, costituisce uno
dei principali fattori attrattivi di questo
tipo di esperienza, è anche verissimo che
il superamento di un anno scolastico –
ovvero l’ammissione all’anno scolastico
successivo – comporta nel nostro Paese
l’acquisizione di saperi e competenze
precisi, considerati prerequisito per affrontare la classe di livello superiore.
Come garantire a tutti lo stesso trattamento, senza negare al contempo la possibilità di realizzare il sogno di una scuola senza confini? Come noto, nel 2013
il Ministero dell’Istruzione ha varato
delle Linee di Indirizzo sulla Mobilità
Studentesca. In esse, si ribadisce che le
esperienze all’estero sono riconosciute
a livello ordinamentale e che le scuole
sono invitate a facilitare i percorsi di
mobilità e persino a definire “nel caso di
studenti con giudizio sospeso in qualche
materia, procedure idonee a pervenire
allo scrutinio finale prima della partenza per il soggiorno di studio o formazione all’estero”. Per quanto riguarda la
fase di rientro dall’estero la scuola ha il
compito di verificare – nell’ambito del
consiglio di classe – l’esito “globale”
del soggiorno di studio, sulla base della documentazione fornita dalla scuola
straniera, ma è “escluso che la scuola
possa sottoporre l’alunno ad un esame di
idoneità” come è previsto in altre situazioni. Purtroppo, le difficoltà che emer-
misurazione del PIL, vanno di pari passo e non si può pensare di ottenere risultati apprezzabili dal punto di vista
economico e sociale, senza porre attenzione alla creazione e trasmissione della conoscenza in tutti i suoi aspetti
e settori.
E’ dunque deleterio l’appannarsi, nei ragazzi, della propensione a raggiungere i vertici della formazione accademica
attivandosi coerentemente!
Ma per rinvigorire una spinta che sembra prossima ad
esaurire la sua capacità inerziale, non bastano le belle
parole, anche se scritte in testi normativi. Serve la trasmissione di immagini nuove e diverse dalle attuali dell’Università, delle sue prospettive, della sua utilità. E’ proprio
la mancanza di un’immagine nitida e corrispondente alle
mutate condizioni di contesto e di comportamento dei nostri ragazzi che, a mio avviso, sembra determinare la delusione e il disincanto nei confronti dell’istruzione superiore
di cui stiamo prendendo atto.
Le scelte attuali dei giovani sono sempre più lontane da
quelle che hanno determinato l’assetto tradizionale delle
università. Se il ruolo di queste ultime non è più sufficientemente apprezzato, non possiamo ritenere sia soltanto
colpa di un’aggressione mediatica, intesa ad esaltare,
oltre misura e oltre ragionevole generalizzazione, i pur
miserabili episodi che troppo spesso abbiamo occasione
di constatare. C’è di più, credo, se l’investimento nella formazione universitaria non è valutato redditizio e però si è
disposti a spendere in corsi di formazione aziendali, extra
curricolari, a distanza, finalizzati ad obiettivi più diversi
ma in grado, comunque, di risultare attrattivi per i ragazzi, sedotti da nuovi metodi di formazione per la loro crescita culturale e professionale. Le novità della rete e l’utilizzo
TuttoscuolA n. 556
gono nel momento della valutazione e
della acquisizione dei documenti inviati
(spesso con grave ritardo, in lingua straniera, con sistemi di valutazione molto
diversi dai nostri e persino con formulazioni incomplete) sono in qualche caso
notevoli. Soprattutto, risulta molto problematico stabilire una corrispondenza
tra percorsi di studio a volte del tutto
contrastanti per orientamento e ispirazione, per cui molte discipline risultano
alla fine non valutate e non valutabili.
L’esperienza della mobilità studentesca
può essere straordinariamente efficace e
positiva, sotto tutti i punti di vista, nel
contesto di operazioni di gemellaggio
tra scuole e in situazioni di reciprocità
(cioè quando al soggiorno di uno studente italiano in una determinata scuola
straniera ne corrisponde uno, più o meno
contestuale, di quella stessa scuola stra-
delle ormai variegate forme di insegnamento che consente; l’esperienza dei MOOC, sui quali ci siamo già soffermati
nei numeri precedenti, dovrebbero farci riflettere su alcune caratteristiche del nostro tipico impianto didattico
universitario che potrebbero risultare obsolete. Nel mondo
di internet, nel quale si ha agile e aggiornato accesso a
tutte le possibilità di conoscenza, da quelle più scientifiche e vagliate a quelle più banali e fuorvianti, quale senso
può darsi ancora alla lezione frontale del docente? La sua
funzione può concentrarsi tuttora sulla trasmissione di
una conoscenza agevolmente reperibile ‘aliunde’, in modo
esaustivo e assai autorevole? Non risulterebbe più idonea
una discussione critica sulle acquisizioni già disponibili
per razionalizzare la pluralità delle fonti e la quantità delle informazioni che ne derivano? Non sarebbe più proficuo,
sia per il docente che per l’allievo, sottoporre ad esame
e a valutazione critica i risultati dell’insegnamento a distanza, impartito attraverso i MOOC, dai più accreditati e
autorevoli cultori di una disciplina? E dall’esperienza di
questi corsi non sarebbe opportuno mutuare la possibilità, concessa a chi vi si iscrive, di scegliere gli insegnamenti o i moduli che più ritiene interessanti e, all’esito di
un serio e severo esame, farsi certificare il risultato e utilizzarlo per un curriculum da costruire progressivamente in relazione a interessi ed obiettivi che possono essere
diversi e lontani da quelli tradizionalmente organizzati
da corsi di laurea mirati a professionalità o impieghi dei
tempi passati? Non sono proposte e tanto meno soluzioni!
Sono provocazioni per indurre l’avvio di una riflessione su
un fenomeno che abbiamo definito “triste” e che merita di
essere contrastato subito e in maniera decisa prima che
divenga irreversibile.
29
Politica scolastica
niera nell’istituto italiano). Questo avviene spesso e con risultati eccellenti negli indirizzi internazionali (ad esempio
nel percorso ESABAC o nell’indirizzo
internazionale spagnolo), dove oltretutto
è possibile definire un autentico parallelismo e una certa equivalenza nell’impostazione dei contenuti disciplinari, fatte
salve alcune inevitabili e positive specificità. Altrettanto interessante può essere
la soluzione di convenzioni e accordi
bilaterali con scuole straniere, peraltro
garantendo un processo trasparente di
riconoscimento del merito nell’individuazione degli studenti che scelgono il
percorso di mobilità all’estero. In questi
scenari, la scuola riesce effettivamente
a predisporre canali di apprendimento
e programmazioni ispirati al principio
della personalizzazione, monitorando i
progressi dei propri studenti in mobilità e stabilendo un proficuo rapporto di
collaborazione con l’istituto accogliente.
Più difficile e problematico è il sistema delle scolarizzazioni attuate “privatamente” dalle famiglie, avvalendosi
cioè della mediazione di agenzie e di
organizzazioni specializzate che – solitamente a fronte di quote di iscrizione
molto elevate – si occupano di gestire il
soggiorno sul posto, garantendo misure
di assistenza e gli indispensabili contatti con le scuole di Paesi anche molto lontani (la Cina, l’Australia, gli Stati
Uniti). Benché l’evidente squilibrio che
questo canale configura sotto il profilo
dell’accessibilità economica venga attenuato dall’attivazione di borse di studio offerte ai più meritevoli, è di chiara
evidenza che soltanto le famiglie facoltose possono effettivamente avvalersi di
un tale percorso, garantendo ai propri
figli un’esperienza di assoluta alterità
rispetto all’ordinario svolgimento di un
anno scolastico nella scuola pubblica, in
condizioni di privilegio cui la gran parte
degli studenti non può accedere. Più in
generale, non può sfuggire l’anomalia di
canali integrati nel curricolo stabilito per
il conseguimento di un titolo di studio di
valore legale, attraverso la mediazione
di soggetti privati retribuiti dai diretti
interessati senza monitoraggi “terzi” e
sistematici delle opzioni offerte.
Con l’affermazione di questa possibilità
30
che il sistema scolastico italiano prevede
quale “estensione” del percorso di studi
ordinario, le scuole hanno cominciato ad
elaborare misure di maggiore controllo e
di filtro: vengono stipulati dei “contratti
formativi” (Learning agreement) che le
famiglie sono tenute a sottoscrivere e si
definiscono dei criteri precisi (valutazione del comportamento, media dei voti,
eventuale assenza di debiti formativi),
più che altro per evitare che l’opzione
della mobilità studentesca non si risolva in una facile fuga dagli adempimenti
dei percorsi di studio ordinari, per lo più
riservata a chi possiede maggiori mezzi economici. L’altra questione fondamentale da chiarire è quella del rientro
e della valutazione delle esperienze di
apprendimento formale e non formale
(come giustamente incoraggiano a fare
le Linee di Indirizzo ministeriali): se le
scuole non possono sottoporre gli studenti a esami di idoneità, deve anche essere molto chiaro che una evidenza del
progresso di apprendimento deve essere
restituita alla scuola italiana con adeguata documentazione (positiva o negativa)
da parte della scuola straniera che ha accolto, contestualmente ad una dichiarazione della frequenza (attendance) delle
attività scolastiche. L’ipotesi di una non
ammissione all’anno successivo dovrebbe essere chiaramente declinata e definita per supportare l’azione di controllo e
di verifica delle scuole, soprattutto a garanzia dei principi di equità e di effettiva
attendibilità del titolo di studio rilasciato
al termine del quinquennio. Nell’ambito
della propria autonomia e a garanzia di
un corretto esercizio della propria mission istituzionale, le scuole dovrebbero
tutelare loro stesse e i propri studenti,
adottando le seguenti misure:
1.Definire un contratto formativo articolato e vincolante, in doppia lingua, da sottoporre anche nel caso di
accoglienza di studenti provenienti
dall’estero nelle proprie classi;
2.Stabilire rapporti stabili di gemellaggio con scuole straniere con percorsi
di studio affini al proprio e concordando in tal modo modalità di valutazione e di certificazione comuni (che
possano agevolare cioè la conversione della verifica degli apprendimenti
da un sistema all’altro);
3.Elaborare nel proprio POF criteri di
accettazione per la richiesta di scolarizzazione all’estero da parte delle
famiglie;
4.Stabilire forme di reinserimento degli studenti provenienti da esperienze
di scolarizzazione all’estero, con misure di accompagnamento e di recupero nelle discipline non contemplate
nei curricoli della scuola straniera
frequentata;
5.Chiarire che in caso di eccessiva divergenza dei percorsi di studio (per
esempio, non più di due discipline di
indirizzo mancanti), la richiesta di
scolarizzazione all’estero può essere
negata dal consiglio di classe;
6.Stabilire, ove possibile, momenti
obbligatori di contatto con la scuola
di provenienza (partecipazione ad
attività in classe virtuale/lezioni in
skype/restituzione di verifiche a distanza nelle discipline di indirizzo
non contemplate nel curricolo della scuola accogliente/contributo al
percorso di apprendimento della
classe con invio di materiali e/o testimonianze di cui tutti i compagni
possano avvalersi, anche dall’Italia,
affinché la mobilità diventi davvero
un’opportunità di crescita per tutto il
gruppo-classe, insegnanti compresi).
A livello sistemico, è auspicabile la definizione di indicazioni più stringenti da
parte del MIUR soprattutto nel contesto
del rientro degli studenti da esperienze
annuali all’estero, indicazioni che contemplino con chiarezza la piena e insindacabile discrezionalità dei consigli di
classe sia in fase di accettazione della
richiesta di mobilità da parte delle famiglie sia in sede di scrutinio finale. Un
sistema a maglie troppo larghe, in questo
contesto, può determinare – come effettivamente sta determinando – situazioni
di forte criticità e di scontento sia da parte dell’utenza che da parte delle scuole.
Soprattutto, si rischia che un percorso di
assoluta eccellenza come quello dell’esperienza di studio all’estero in contesti
qualificati, possa perdere prestigio e riconoscimento effettivo a causa dell’assenza di misure comuni di riferimento.
*Dirigente scolastico liceo “Virgilio” di Roma
TuttoscuolA n. 556
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Politica scolastica
Valorizzare le tecnologie
mobili nell’insegnamento
L’
Accademia delle Scienze francese ha pubblicato nel 2013
un’informativa e un monito rivolti ai ministri competenti in materia
di educazione. Di fronte alla constatazione che l’interazione con gli strumenti digitali sollecita soprattutto il
pensiero rapido, fluido, che può essere
superficiale e disordinato, si afferma:
“Ciò che resta fondamentale è un’educazione, proposta e inquadrata da
esseri umani, genitori, docenti, ecc.,
che utilizza gli schermi e Internet e
identifica i loro aspetti positivi, ma
anche negativi (pratica eccessiva,
mancanza di ripensamento, di sonno,
rischio di fatica visuale, etc.). Ma preservando anche forme e momenti di
pensiero «senza schermi e Internet»,
più lenti, profondi, lineari e cristallizzati – periodi di calma e «riposo digitale» – necessari alle sintesi cognitive
personali e alla memorizzazione”.
Da questo rapporto ben documentato si possono trarre due importanti
indicazioni per quanto riguarda l’attuale situazione scolare. In primo
luogo, promuovere in maniera equilibrata una integrazione funzionale
e formativa tra la valorizzazione di
quella che è stata definita la cultura
del libro e la cultura dello schermo
e digitale. Ciò rimanda a una sollecitazione specifica: l’importanza di
una progettazione didattica che tenga conto in maniera consapevole: a)
dei soggetti presenti e del loro stato
di preparazione sia culturale, sia cognitivo, sia affettivo; b) dei contenuti conoscitivi da promuovere e della
loro specifica natura epistemologica;
c) delle risorse disponibili sia quanto
a preparazione del personale docente, sia quanto a strumenti e materiali
effettivamente utilizzabili in classe
(sia personali, sia istituzionali). Una
seconda istanza sottolinea ancor più
fortemente il compito della scuola di
32
di Michele Pellerey*
promuovere nel corso degli anni una
progressiva competenza auto-regolativa del proprio apprendimento e dei
processi cognitivi, affettivi e motivazionali che ne stanno alla base.
Il neurobiologo Lamberto Maffei,
dopo aver esaminato l’effetto dell’interazione del cervello con strumenti
digitali intende: “avanzare la proposta che un’eccessiva prevalenza dei
meccanismi rapidi del pensiero, che
chiameremo ‘pensiero rapido’ o digitale, possa comportare soluzioni o
comportamenti errati, danni all’educazione e in generale al vivere civile,
innescando nella mente umana sogni
di un dominio sulla natura e sull’uomo stesso quasi soprannaturale, il
quale, per evidenti limitazioni biologiche, non può esistere. Il mio è un
invito a riconsiderare le potenzialità
del cosiddetto ‘pensiero lento’ basato
principalmente sul linguaggio e sulla scrittura, anche al livello dell’educazione scolastica. In qualche modo
l’argomentazione di Maffei riecheggia
quanto ha elaborato il premio Nobel
per l’economia Daniel Kahneman in
vari suoi scritti, ma soprattutto nel
ponderoso volume dal titolo in italiano “Pensieri lenti e veloci”. Dove
il pensiero lento è quello di tipo argomentativo, discorsivo, analitico,
critico, in gran parte collegato alla
parola, in particolare scritta; mentre
quello veloce è più di tipo intuitivo,
più vicino alla sensazione visiva, uditiva, alle immagini. Le due tipologie
di intelligenza non devono porsi però
in contrapposizione, bensì cooperare
tra loro in modo produttivo. In questo
ambito sembra potersi collocare una
finalità fondamentale della scuola, soprattutto in un mondo che è sempre
più dominato dalle immagini, dalla
frammentazione, dalla rapidità, dalla
velocizzazione dei processi: promuovere la capacità di riflettere, di approfondire, di argomentare, di discutere,
di mettere ordine, di dare continuità
all’ininterrotto fluire, spesso caotico,
delle sensazioni, delle immaginazioni, delle intuizioni.
Questi apporti suggeriscono un’utilizzazione delle tecnologie di rete
e mobili secondo una prospettiva
ibrida o mista. Gli studiosi insistono sulla validità di una integrazione
tra diverse modalità formative. Non
solo tra forme di intervento didattico sviluppate valorizzando modalità
di insegnamento a distanza o gruppi
di ricerca on line, e forme cosiddette faccia a faccia, cioè legate a una
interazione diretta quale è possibile
in una classe, ma anche tra attività di
studio individuale e di tipo collaborativo, tra attività che si svolgono in
classe e attività che possono essere
realizzate fuori dalla classe, a esempio
a casa propria. In altre parole la presenza delle tecnologie di comunicazione mobili e la disponibilità di una
rete a supporto di tale comunicazione
non vanno intese come sostituzione
di forme più tradizionali di attività
didattica, ma come nuove opportunità
da combinare tra loro validamente ed
efficacemente secondo una pluralità
di approcci metodologici.
Spesso si sente affermare che la
presenza delle tecnologie impone una
diversa didattica, più collaborativa,
più basata su processi di ricerca e
produzione, condotti quanto più possibile in autonomia, anche se sotto
la guida del docente, ispirantesi al
cosiddetto costruttivismo sociale. Si
dovrebbero quindi bandire forme di
insegnamento diretto, esplicito. Questa argomentazione è però fallace. Il
fatto che una tecnologia offra nuove opportunità, nuove possibilità di
TuttoscuolA n. 556
Politica scolastica
azione, non implica che esse debbano essere seguite, senza confrontarle
prima e con chiarezza con le finalità
educative e didattiche che la scuola
deve perseguire. Già negli anni settanta e ottanta si era già presentata
tale questione. Neil Postman scriveva
nel 1979, trentacinque anni fa: “La
mia argomentazione non è contro la
tecnica, senza la quale noi saremmo
meno umani; è contro il trionfo della
tecnica, ossia contro una tecnica che
subordini, giungendo fino ad obliterarla, la finalità umana: una tecnica
che ci induca a servire i suoi scopi,
non i nostri”. E ciò in particolare nel
contesto scolastico. Le ricerche sul
cosiddetto carico cognitivo hanno
evidenziato come gli studenti possono facilmente essere esposti a impegni di apprendimento che superano
le loro possibilità di comprensione,
di elaborazione, di valorizzazione di
quanto proposto. Inoltre, non è possibile pretendere che una specifica metodologia didattica vada bene per tutti
gli studenti, per tutte le discipline di
insegnamento, per tutte le età e per
tutti i livelli scolastici, per tutti i docenti. Questo sì che si può considerare
un imperialismo ideologico. Infine, le
evidenze raccolte finora circa i risultati che si possono ottenere attraverso
le varie metodologie didattiche, contraddicono molte delle sicurezze con
cui varie di esse sono state propagandate. Queste e simili constatazioni ripropongono con ancor maggior forza
il ruolo centrale del docente non solo
nel progettare l’impianto didattico,
ma soprattutto nel condurre la sua
azione di insegnamento. Un docente
esperto dovrebbe saper individuare
le forme principali attraverso le quali
è possibile rappresentare ciò che insegna: valorizzando opportunamente quanto lo studente già possiede;
collegandolo agli altri insegnamenti;
graduando, ed eventualmente modificando, il suo procedere sulla base
di quanto riescono effettivamente ad
apprendere gli studenti. Per questo
è necessario che egli curi l’effettivo
impegno di ciascuno nel costruire
attraverso i propri processi cognitivi
TuttoscuolA n. 556
l’impianto concettuale e operativo
che egli propone.
A questo proposito Richard Meyer
ha fornito una chiarificazione concettuale assai utile. Partendo dalle
ricerche psicologiche che fanno riferimento ai processi cognitivi, egli
afferma che è corretto pensare al
costruttivismo dal punto di vista del
processo di apprendimento della singola persona. Infatti, ciascuno di noi
costruisce le proprie conoscenze sulla base di quanto ha già acquisito in
maniera significativa e stabile. Per
chiarire meglio la distinzione tra la
considerazione di una teoria dell’apprendimento di natura costruttivista,
considerata corretta, e l’indicazione
che nel processo istruttivo ci si debba sempre muovere con procedure
pratiche di natura costruttivista, posizione quest’ultima vista come errata,
Richard Mayer ha descritto quattro
possibili situazioni di apprendimento. In primo luogo viene considerato
un apprendimento attivo nel quale
lo studente si impegna in un appropriata attività cognitiva, ad esempio
selezionando informazioni rilevanti,
integrando le nuove conoscenze con
quelle già possedute e organizzando
in maniera coerente quanto acquisito.
Un apprendimento passivo si ha quando tale attività non ha luogo e si ha
solo una forma di semplice recezione
di quanto proposto e ciò rimane non
integrato nella struttura conoscitiva,
quindi non compreso e non ricordato.
Una didattica attiva si ha quando gli
studenti sono coinvolti in un’attività
pratica, come ricerca di informazioni,
di soluzioni a un problema, o discussione in gruppo. Una didattica passiva è attuata quando non si sollecita
un’attività pratico-operativa. Un vero
apprendimento si ha quando si verifica un cambiamento sufficientemente
permanente nel quadro di conoscenze
dello studente. La teoria costruttivista dell’apprendimento sottolinea il
fatto che lo studente per apprendere
deve impegnarsi personalmente nel
rappresentare nella sua memoria di
lavoro le nuove conoscenze mettendo
in atto appropriati processi cognitivi.
E ciò è coerente con molte ricerche,
anche di natura empirica. La questione però si pone quando si intende
trasporre tale teoria, che riguarda i
processi cognitivi, a una metodologia
didattica che metta in moto soprattutto i comportamenti esterni degli
studenti. A un’attività di questo tipo
non corrisponde necessariamente un
congruente e funzionale processo interno di costruzione concettuale. Ciò
è dimostrato da numerose ricerche
che l’Autore cita distesamente. Per
contrasto non poche ricerche hanno
messo in evidenza la possibilità di
coinvolgere un apprendimento attivo,
che mette in moto appropriati processi cognitivi, attraverso forme di insegnamento che esternamente appaiono
passive. La conclusione che si può
trarre da queste osservazioni è che
nella progettazione sia degli ambienti
di apprendimento, sia della metodologie didattiche da adottare, occorre
essere fedeli alle situazioni concrete
da affrontare; alle risorse disponibili
sia come docenti, sia come strumenti didattici; alla realtà con ci si deve
confrontare; senza perdere di vista le
finalità educative da perseguire e gli
obiettivi didattici da raggiungere. Ciò
conduce a una prospettiva che può
essere considerata pluralista, ibrida,
multiculturale, più vicina alle persone a ai loro bisogni, che alle teorie
più in voga. Occorre ricordare come
alcuni, o molti, manifestano notevoli
lentezze e difficoltà di elaborazione e
organizzazione mentale, mentre altri
sono più rapidi e capaci non solo di
capire, ma anche di collegare le nuove
conoscenze con quelle già possedute.
Nell’attività di apprendimento, poi,
alcuni sono più pronti a collaborare
con gli altri, mentre altri sono più restii a lavorare in maniera cooperativa.
Certo, in quest’ultimo caso occorre
favorire la disponibilità a lavorare in
gruppo, ma ai fini dei risultati da ottenere nell’immediato occorre tener
conto dello stato di preparazione già
raggiunto da ciascuno, non solo sul
piano delle conoscenze e delle abilità
già fatte proprie.
*Docente universitario emerito
33
Politica scolastica
Il focus statistico Miur e il rapporto Almadiploma sul profilo dei
diplomati 2014 disegnano l’identikit degli immatricolati universitari
Immatricolati ai raggi X
A
ll’immediata ripresa dell’impegnativo percorso universitario, il Focus MIUR Gli
immatricolati nell’anno accademico 2014/15 (http://www.istruzione.
it/allegati/2015/focus_giugno2015.
pdf) e il Rapporto Almadiploma sul
Profilo dei Diplomati 2014 (www.
almadiploma.it/scuole/profilo) disegnano l’identikit degli immatricolati dell’ultimo anno accademico,
offrendo una ricca e articolata mole
di dati, che ne evidenziano le caratteristiche. Emerge così un’attenta
radiografia dei più recenti fenomeni legati all’immatricolazione, che
possono favorire la comprensione
delle vicende di specifici gruppi di
età con orizzonti sempre più ampi
e rispondere alle esigenze di orientamento, che facilitino l’incontro tra
offerta universitaria e richieste studentesche. Nell’ultimo trentennio il
nostro Paese ha perso circa il 40%
dei propri diciannovenni a causa del
calo demografico, ma al contempo
si è raddoppiato, per effetto dell’ampliata scolarizzazione, il numero dei
giovani in possesso di un diploma di
scuola secondaria superiore. Eppure, di fronte a un Paese che avrebbe necessità di aumentare la soglia
educazionale, si registra una minore
attrazione verso gli studi universitari: nell’anno appena conclusosi sia
le immatricolazioni a corsi triennali
che a ciclo unico (complessivamente
265.500 unità) sono risultate in lieve
calo rispetto all’a.a. precedente. Un
risultato probabilmente temperato
peraltro dalle ampliate possibilità
di scelta di percorsi alternativi di
formazione terziaria (Istituti Tecnici
Superiori, Istituti di Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica).
Cresce comunque il numero di giovani, che fisiologicamente iniziano
34
di Maria Luisa Marino
gli studi subito dopo la maturità: il
71,4% delle ragazze e il 66,1% dei
colleghi in età non superiore ai 19
anni, più numerosi nell’area geografica del Nord Ovest (52,5%) e meno
presenti nelle Isole (42,3%).
In particolare - secondo Almadiploma - l’analisi di un collettivo
di 257 Istituti scolastici e di 37.968
diplomati 2014 evidenzia una marcata caratterizzazione dei percorsi di studio dal punto di vista delle
prospettive post-diploma: i diplomi
liceali preludono chiaramente alla
prosecuzione degli studi al più alto
livello (l’86% dei diplomati dei licei classici, l’82% di quelli dei licei
scientifici, il 73% dei licei linguistici e il 65% del liceo pedagogico
sociale secondo una tendenza confermata anche per l’anno 2015/16
(51,9% del totale rispetto al 49,8%
del 2014 e al 48,9% del 2013). E con
poche eccezioni, scegliendo un percorso di studio liceale si è presa già
a 14 anni una decisione che di fatto
porta all’Università. Per gli indirizzi tecnici e in particolar modo per
quelli professionali, l’accesso universitario non è così generalizzato
e le probabilità di iscrizione sono
influenzate da altri fattori: il genere
(prevalgono quantitativamente le
ragazze), il contesto socio-economico e culturale familiare (titolo di
studio dei genitori e classe sociale)
e la riuscita scolastica (in termini di
votazione e di regolarità nel percorso scolastico). In ogni caso la quota
di diplomati dediti esclusivamente
allo studio universitario:
- è nettamente più elevata tra i liceali (73%) rispetto ai diplomati del
tecnico (37%) e del professionale
(19%);
- ha dedicato più tempo degli altri
allo studio a casa e ha svolte più
esperienze all’estero;
- conosce meno il mondo del lavoro, avendo svolto minori esperienze lavorative continuative durante
il periodo scolastico;
- è spinta dall’aspirazione a svolgere – grazie alla laurea – un’attività
professionale gratificante; approfondire i propri interessi culturali e avere in futuro un lavoro
ben retribuito. Seguono i contatti
sociali offerti dalla condizione
studentesca, il prestigio associato alla laurea e la difficoltà nel
trovare lavoro con il solo diploma
superiore.
Entrambe le analisi sottolineano la maggiore attrattività dell’area
scientifica per il genere maschile (49%) e dell’area sociale per le
studentesse (35%), che comunque
prevalgono in tutte le altre aree disciplinari e sono le più interessate a proseguire gli studi superiori.
E l’indirizzo di studio della scuola
secondaria superiore influenza anche la scelta del corso universitario:
più orientati i diplomati maschi dei
Licei verso Ingegneria, economia/
statistica e medicina/odontoiatria,
mentre le colleghe sono più interessate a medicina/odontoiatria,
professioni sanitarie e linguistico.
Maggiormente orientati verso Ingegneria ed economia/statistica
i maturi degli Istituti tecnici e di
quelli professionali; più attente alle professioni sanitarie e al linguistico le ragazze. Il gradimento per
le materie presenti nei programmi
universitari privilegia nell’ordine
Scienze biologiche, psicologia, arte
e spettacolo, matematica, lingue e
letteratura moderne e informatica.
TuttoscuolA n. 556
Politica scolastica
All’opposto, figurano in fondo
all’ideale graduatoria agraria, veterinaria, ingegneria industriale, ingegneria dell’informazione e statistica.
I più determinati nella scelta universitaria, gli immatricolati ai gruppi
giuridico, psicologico, architettura
e linguistico. Minori certezze invece per chi propende per il settore
geo-biologico, economico-statistico, educazione fisica e ingegneria,
che ripropongono – semmai ve ne
fosse bisogno – l’assoluta necessità
dell’orientamento alle scelte postdiploma, determinante nel prevenire
abbandoni degli studi, delusioni e
insuccessi all’interno del nostro sistema universitario.
La maggior parte dei nuovi studenti sceglie Atenei della stessa area
geografica dell’Istituto scolastico
frequentato; solo nel Sud e nelle
Isole un immatricolato su 4 sceglie
Atenei del Centro o del Nord Italia,
mentre la mobilità più elevata dei
fuori Regione interessa Valle d’Aosta, Basilicata e Molise a causa della
più limitata offerta formativa. Gli
immatricolati con cittadinanza non
italiana più rappresentati sono i Rumeni (14,6%), gli Albanesi (13,6%)
e i Cinesi (9,0%), seguiti nell’ordine
da Ucraini (4,5%) e Moldavi (4,2%).
A completare il quadro, la dettagliata Indagine MIUR opera in
maniera del tutto originale la ricostruzione del percorso universitario
dei diplomati a.s.2009/10 - (420.500
unità, delle quali solo il 54,4% iniziò
gli studi superiori) - nei successivi 3
anni fino al conseguimento della
laurea triennale. Un arco temporale
abbastanza lungo per valutarne il
successo formativo (abbandoni, passaggio ad altri corsi, regolarità del
percorso ecc.). Ad un anno dall’ingresso nel sistema universitario
la prima quota di abbandoni, pari
all’11,2% degli immatricolati: migliore è la votazione della maturità,
minore è la propensione all’abbandono, che è comunque meno elevata nei corsi a ciclo unico rispetto
a quelli di durata triennale e nelle
Università ubicate al Nord piuttosto che al Sud e nelle Isole. Nello
stesso periodo – che si conferma
il più delicato per l’intera carriera
universitaria - è stato registrato un
decremento numerico in 3 aree disciplinari su 4, fenomeno parzialmente addebitabile alla migrazione,
a partire dal 2° anno accademico,
degli studenti interessati ai corsi a
numero programmato (specialmente Medicina), che, non riuscendo
inizialmente a superare le prove di
ingresso, si iscrivono provvisoriamente ad altri corsi parzialmente
riconoscibili in attesa di centrare l’obiettivo. A tre anni dall’inizio degli
studi – il termine del monitoraggio
– il 32% ha regolarmente acquisito il
titolo, il 17% è regolarmente iscritto
a corsi di studio a ciclo unico, il 36%
è iscritto fuori corso ad una laurea
triennale e il 15% ha abbandonato gli studi. L’area sociale (34,6%)
primeggia per il numero di laureati,
mentre l’area sanitaria e quella umanistica per il voto dei laureati.
Bibliografia
ALMADIPLOMA
https://w w w.almalaurea.it/sites/
almalaurea.it/files/comunicati/2014/
almadiploma_comunicato2014_def.pdf
LA DOCUMENTAZIONE COMPLETA:
http://www.almadiploma.it/scuole/
profilo/profilo2014/
EDIZIONE RIASSUNTA
RAPPORTO DIPLOMATI 2014:
https://w w w.almadiploma.it/
sc uole/ pr of i lo/ pr of i lo2 014 / pd f / 01 _
introduzione%20al%20rapporto%20e%20
commento%20ai%20risultati%202014.pdf
https://w w w.almalaurea.it/sites/
almalaurea.it/files/comunicati/2014/
cs _ profilo-diplomati2014.pdf
IL RAPPORTO INTEGRALE DIPLOMATI 2014:
http://www.almadiploma.it/scuole/
prof ilo/prof ilo2 014 /pdf/00 _
Volu me%2 0 A D14%2 0 ver sione%2 0
ONLINE.pdf
SCELTE DIPLOMATI 2009-2011 e 2013
a tre e a cinque anni:
http://www.almadiploma.it/info/pdf/
pres _ conti _ online2014.pdf
COMUNICATO STAMPA MIUR
(17/2/2015) su preiscrizioni a scuola
sec.sup. a.s.2015/16:
http://www.istruzione.it/comunicati/
cs170215.html
TuttoscuolA n. 556
35
Politica scolastica
Intervista a M. Maddalena Novelli,
Direttore generale per il personale scolastico
“Ecosistema digitale”
di Paola Torre
Maria Maddalena Novelli, Direttore
Generale per il personale scolastico
del Miur, è impegnata a garantire un
qualificato supporto ai processi di cambiamento, a dare significatività all’operare dei dirigenti e docenti. L’intervista
mette in luce alcuni aspetti dell’impegno del Direttore Novelli, cogliendone, soprattutto, la
costruzione puntuale di iniziative di grande respiro
che concorrono a far star “meglio” i docenti nei quali
crede
G
li inseg nanti giocano u n
ruolo cruciale nel sostenere
lo sviluppo dei sistemi educativi e l’attuazione delle riforme indispensabili a migliorare
il livello di apprendimento degli
studenti. Gli sforzi del corpo docente e dei dirigenti scolastici
vanno sostenuti da un continuo
miglioramento delle politiche di
formazione degli insegnanti. E’
con i giovani e con i docenti e
con la capacità di comunicare la
scuola che si vince la sfida per il
cambiamento Questo è lo scenario in cui si colloca la strategia
di formazione in servizio degli
insegnanti raccontata nell’intervista/racconto dalla dott.ssa
M.Maddalena Novelli, direttore
generale del Miur.
Direttore Novelli, quali sono
gli interventi che il MIUR ha
messo in campo per migliorare
la qualità dell’insegnamento?
“Uno degli aspetti fondamentali per innalzare il livello della
36
qualità dell’insegnamento è legato allo sviluppo professionale
continuo dei docenti, attraverso
interventi mirati sulla loro formazione. In questa direzione, il
nostro Paese, ha già predisposto
interventi normativi ( L.107/2015
– La Buona Scuola) che attribuiscono alla for mazione dei
docenti un ruolo di rilievo per
inferire innovazione negli attuali modelli didattici ed educativi e
per attuarne di nuovi che siano
sintonizzati sulle evoluzioni del
settore a livello internazionale.
Infatti, la formazione dei docenti
diventa una misura strutturale,
un “asset” centrale e strategico del nostro sistema istruzione, cui, dall’a.s.2015/2016, viene
attribuito, un budget finanziario di oltre 420 milioni di euro per anno (387 milioni per la
carta del docente e 40 milioni
per la formazione in servizio).
Si tratta di un consistente investimento nel corpo docente per
attuare un percorso innovativo
che consenta, nel medio lungo
periodo, di innalzare la qualità
del sistema istruzione, adeguandolo ai bisogni di continuo e rapido cambiamento imposti dagli
effetti della globalizzazione.”
Uno sguardo al passato. Quali problematiche?
“L’esigenza di un forte cambiamento nell’ambito della formazione dei docenti, nasce da
una forte spinta culturale verificatasi a livello internazionale in
ambito istruzione il cui effetto
ha portato ad un ripensamento
sulla inderogabile necessità di
una migliore qualità formativa.
Occorre concepire la formazione
come un’azione coordinata e globale da parte del MIUR e inquadrarla in un contesto di processo
e fasi ben definite che delineino
il suo intero “ciclo di vita” partendo da un’analisi del fabbisogno e della domanda segmentata
per i vari target di riferimento,
considerando una semplice ed
efficace gestione ed attuazione
degli interventi formativi ed un
continuo monitoraggio e misurazione degli interventi realizzati
in termini di valutazione dell’output e dell’outcome.”
Cosa prevede quindi la riforma “La Buona Scuola”?
“La riforma prevede una formazione obbligatoria in servizio. Ogni docente dovrà seguire
percorsi formativi definiti dalle
singole istituzioni scolastiche in
coerenza con il piano dell’offerta
formativa e con i risultati emersi dai piani di miglioramento,
sulla base delle priorità indicate
TuttoscuolA n. 556
Politica scolastica
ABBIAMO DAVVERO BISOGNO
CHE CI DICANO COSA FARE?
di Fiorella D’Ambrosio*
Mi sono chiesta spesso perché termini come inclusione, inclusività, integrazione, diversità, personalizzazione, mettano a volte i docenti in una condizione di difficoltà rispetto
al loro ruolo di guida nella crescita e nella formazione del
sé degli alunni. Una scuola realmente “inclusiva” dovrebbe
garantire e sostenere la piena ed effettiva inclusione di ogni
alunno nella società e “parità di opportunità” per tutti, nel
“rispetto della dignità intrinseca”, come già nel 2007 stabiliva la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, i cui concetti sono stati ripresi e generalizzati dalle
norme successive, includendo negli ultimi anni quelle tutelanti i DSA e successivamente i BES.
Uso volutamente il condizionale perché ancora oggi ci si interroga, nelle singole realtà scolastiche, su quale approccio
utilizzare nei confronti di alunni che presentano difficoltà
più o meno gravi, ponendo l’attenzione alla certificazione
medica pervenuta, affinché si possa catalogare la situazione dell’alunno di turno nella giusta tipologia di intervento
e stabilire quale iter formale da seguire (PEI – per obiettivi
minimi o differenziati in caso di scuole superiori di secondo
grado – PDP) o quali discipline delegare tacitamente all’intervento dell’insegnante di sostegno, unico responsabile
del successo o dell’insuccesso scolastico, che cura singolarmente, a volte, i rapporti con la famiglia, per prassi ormai consolidata. È infatti difficile incontrarsi e interagire
tra colleghi, riuscire a studiare e riflettere insieme per individuare una strategia comune e che possa incontrare le
esigenze di tutta la classe. Intendiamoci, non si può prescindere dalla documentazione da predisporre, contenente gli
obiettivi, le metodologie e gli strumenti ai quali riferirsi per
l’intervento didattico, ma la stessa dovrebbe rappresentare
una base di partenza per un’azione condivisa tra tutti gli
attori coinvolti nel percorso educativo dell’alunno parte di
quella classe e non un adempimento burocratico, necessario
e sufficiente, da destinare agli atti della scuola. E’ fuori di
dubbio che la formazione degli insegnanti curricolari, pur
se obbligatoria, possa talvolta apparire carente su alcuni
temi riguardanti l’inclusione e l’integrazione, funzionali
all’acquisizione di conoscenze basilari dal punto di vista
medico-scientifico e a volte poco adeguata rispetto alla preparazione degli stessi come coaches per lo sviluppo sociale, cognitivo ed emotivo di ogni alunno della classe, come
parti di un gruppo di lavoro capace di sperimentare nuove
tecniche e metodologie, che possano rendere l’intervento in
classe il più eterogeneo e organico possibile.
Se è doveroso uno stravolgimento della concezione culturale della propria professione, da parte di ogni insegnante
curricolare, rispetto agli obiettivi da perseguire e al come
TuttoscuolA n. 556
perseguirli, assegnando diverse priorità, privilegiando la
compensazione delle abilità mancanti e tenendo conto dei
livelli di partenza, è anche innegabile il carico che hanno
da fronteggiare rispetto ad un numero sempre più elevato
di studenti e di classi, in una quotidianità dove i problemi
sono molti e i tempi da dedicare alla riflessione e condivisione sempre più erosi da adempimenti burocratici. Ma proprio
tenendo sempre ben presenti i livelli di partenza di ciascun
alunno si riuscirà, giorno per giorno, attivandosi nella scuola come collaborativa comunità educante, a stabilire quali
“attenzioni speciali” destinare ad ognuno di loro.
L’obiettivo didattico finale non può avere rilevanza assoluta
nel processo educativo, in quanto esso stesso discriminante,
quanto è importante l’attenzione su quanto ciascun alunno
sia riuscito a potenziare le sue competenze iniziali e a migliorare le abilità già acquisite. Con le Classi aperte, la peer
education, i lavori di gruppo, il tutoring e soprattutto la tanta voglia di mettersi in gioco con il coraggio di rimettere in
discussione l’orientamento metodologico adottato, magari,
per i lunghi anni d’insegnamento. In quest’ottica i ragazzi con difficoltà, quelli affetti da patologie gravi o lievi, le
eccellenze, tutti con “bisogni educativi speciali”, con le loro
singole caratteristiche e peculiarità, riusciranno a sentirsi
inclusi realmente in un progetto educativo che non discrimina gli uni e valorizza gli altri: l’inclusione non dovrebbe
essere considerata separata dalla valorizzazione delle eccellenze. L’alunno è al centro di tutto il sistema educativo, la
relazione con esso, e non più i programmi disciplinari! Ogni
docente è chiamato ad accompagnare il singolo studente
verso la formazione del suo personale e personalizzato piano di vita, per il quale gli anni del periodo scolastico sono
la base fondamentale. L’insegnante di sostegno, conferito
al “caso” specifico sulla base della documentazione, ma
(attuale incoerenza) assegnato alla classe, potrà svolgere
il ruolo di collaboratore-mediatore-progettatore-traghettatore specializzato con il compito di raccordare le parti per
la rimozione di tutti gli ostacoli che si pongano nel percorso
educativo-inclusivo.
Tutta la normativa in materia, compresa la nuova Legge
107/2015, indica questa direzione, cercando di fissare i punti
cardine di un nuovo modo di fare didattica, nel quale non è
lo studente ad adeguarsi al docente, ma è quest’ultimo che
grazie all’aggiornamento stabile e continuo garantito a livello sistemico, alla formazione lifelong learning, incontra
le esigenze delle nuove generazioni.
Forse non c’è neanche bisogno che ci dicano cosa fare.
*Docente di sostegno scuola secondaria di II grado.
37
Politica scolastica
nel Piano nazionale triennale per
la for mazione che prevede 40
milioni di euro/anno di finanziamento. Tale piano nazionale,
che verrà predisposto nei prossimi mesi ed attuato a partire dal
2016, rappresenta il documento
fondamentale per le politiche
formative che impatteranno su
circa 700.000 docenti. Inoltre
i docenti hanno ora a disposizione, 500 eu ro ciascuno per
l’aggior namento professionale
(iscrizione a corsi di formazione, acquisto di libri e riviste,
software, hardware, etc.).
Con il nuovo impianto normativo, la formazione accompagna
tutta la car riera e lo sviluppo
professionale del docente ed è
ca r at t e r i z z at a d a model l i d i
at t u a z ione,aper t i for temente
all’innovazione digitale, che a
partire da un bilancio delle competenze dei docenti e dall’analisi
delle necessità delle scuole sul
territorio, privilegino attività laboratoriali e di ricerca-azione,
stimolando continue rif lessioni
e produzione di documentazione
sulla didattica, con l’obiettivo di
raggiungere deter minati standard per le competenze disciplinari e trasversali.”
Come verrà garantita
una eff icace formazione sul
territorio?
“Tutto ciò necessita inevitabilmente di un nuovo modello
e sistema di formazione, dotato di strumenti agili e accurati di misurazione della qualità
in tutte le fasi delle iniziative
formative intraprese, su tutto il
territorio nazionale. A tal fine
è stato già sperimentato lo scorso anno, con successo, un nuovo modello di for mazione per
i 28.000 neoassunti, a supporto del quale è stata realizzata,
in collaborazione con INDIRE,
una innovata piattaforma digitale in grado di monitorare ogni
fase del processo di formazione,
38
con l’obiettivo di poter intraprendere, se necessarie, immediate azioni di miglioramento.
Questo modello è contenuto nel DM per il periodo di
for mazione e di prova previsto dall’art.1 comma 118 della
L.107/2015, e ver rà adot tato
quest’anno in occasione dell’immissione in r uolo dei 100.000
docenti previsti nell’ambito del
piano straordinario assunzionale
della Buona Scuola.”
Q ua l i s ono l e i n nova z i o ni presenti nella riforma per
il periodo di formazione e di
prova?
“Innanzitutto la previsione di
un decreto del Ministro sul periodo di formazione e di prova
rafforza l’importanza che viene
data alla formazione per i docenti neoassunti. E’ prevista una più
stretta connessione tra il periodo
di prova e le attività formative
(occor re un ser vizio prestato
per almeno 180 giorni, dei quali
almeno 120 per attività didattiche). Inoltre il Dirigente Scolastico dovrà valutare il personale
docente al termine del periodo
di prova, sentito il Comitato di
Valutazione.
La legge 107/2015 mod if ica inoltre la composizione del
Comitato di Valutazione che,
quando esprime parere per il superamento del periodo di prova,
è formato da 3 docenti, di cui
due scelti dal collegio ed uno dal
Consiglio di Istituto, dal docente
che svolge funzioni di tutor e
dal Dirigente Scolastico che lo
presiede.
E’ stato anche potenziato il
ruolo del docente-tutor che oltre
a svolgere funzioni di accompagnamento, consulenza, supervisione professionale, fornisce
elementi istruttori al Comitato
di Valutazione e al Dirigente.”
Come era strutturato il precedente modello di formazione
per i neoassunti docenti?
“Il Modello era di tipo blended
50 ore (25 ore in presenza e 25
ore a distanza) coordinate da un
tutor. Il percorso di formazione era visto come un adempimento e non come una crescita
professionale. La formazione in
presenza (25 ore) consisteva prevalentemente in corsi espressi in
modalità frontale. Il docente era
considerato come un “alunno”.
I neoassunti dovevano utilizzare i materiali presenti online
(documentazione, video, etc.,)
at t r ave r so u na piat t afor ma i
cui contenuti necessitavano di
essere aggior nati rispetto alle
innovazioni che si erano succedute nel tempo. Il sistema online considerava principalmente
il tempo di connessione ai fini
della quantificazione delle ore
da effettuare on-line (25 ore) e
il percorso di formazione non
era sostenuto da adeguati strum e nt i d i m o n it o r a g g io e d i
controllo della qualità (sia a livello di processo sia in termini di “feedback” da par te dei
docenti).”
Come è strutturato il nuovo
percorso di formazione per i
neoassunti docenti?
“Il nuovo modello di formazione ha l’obiettivo di valorizzare la
professione docente attraverso
una formazione sul campo centrata su un progetto formativo
che coniuga le competenze del
docente con i bisogni della scuola. E’ articolato su quattro fasi
sequenziali:
- Incontri propedeutici e di restituzione finale (6 ore)
- Laboratori formativi (12 ore)
- Peer to peer (12 ore)
- Formazione on-line (20 ore)
- Un tutor accompagna il neoassunto nel percorso formativo.
- Le lezioni frontali sono sostituite da 4 laboratori formativi
(della durata di 3 ore ciascuno)
per gruppi di docenti.
TuttoscuolA n. 556
Politica scolastica
Le tematiche da affrontare nei
laboratori formativi vengono definite sulla base di un’analisi che
parte da un bilancio delle competenze dei docenti neoassunti
e dai bisogni della scuola in cui
i neoassunti prestano servizio.”
Inolt re è stata int rodot ta la
for mazione “peer to peer” effettuata attraverso momenti di
osservazione in classe con scambio di esperienze e collaborazione tra colleghi già in servizio
e neoassunti. Il percorso è più
strutturato e s’ispira all’idea del
docente “profession ist a” che
accresce continuamente le sue
competenze attraverso la rif lessione sulle attività didattiche, il
lavoro collaborativo in rete, la
capacità di documentare la propria attività, un docente quindi che viene sollecitato ad una
stretta collaborazione ed invitato a sostenere e migliorare la
qualità dell’insegnamento.
La piattaforma on-line diventa uno str umento di accompagnamento per il docente nelle
diverse fasi del periodo di prova
e consente di guidare il docente
nella costruzione del:
- bilancio iniziale delle competenze attraverso un’ autovalutazione “ex ante”
-p o r t f o l i o f o r m a t i v o (C V
dell’insegnante, progettazione
e rif lessione didattica, documentazione della didattica)
- bilancio f inale delle competenze attraverso un’autovalutazione “ex post”.
Il portfolio permette ai docenti di documentare e mostrare il
loro modo di pensare e realizzare l’insegnamento, rendendolo
strettamente correlato al contesto in cui si realizza. Il portfolio supporta inoltre lo sviluppo
professionale in quanto la sua
costruzione stimola i docenti a
rif lettere sul modo di “fare” didattica, nonché allo sviluppo di
nuove idee e metodologie.
La piattafor ma on-line
TuttoscuolA n. 556
consente al docente di costruire il proprio portfolio formativo
che contiene :
u n o s p a z io p e r l a d e s c r i zione del propr io cu r r iculu m
professionale;
l’elaborazione di un bilancio di
competenze, all’inizio del percorso formativo;
la documentazione di fasi significative della progettazione
didattica, delle attività didattiche svolte, delle azioni di verifica intraprese;
la realizzazione di un bilancio
conclusivo e la previsione di un
piano di sviluppo professionale.
Inoltre la piattaforma, attraverso la som minist razione di
questionari strutturati, consente,
per ogni singola fase, il continuo
monitoraggio della qualità percepita dal docente.”
Qual è allora la vision della
formazione dei docenti?
“L’idea è di considerare all’inter no di u n u nico sistema di
regole, processi e tecnologie,la
formazione iniziale, in ingresso
e in servizio. Lo sviluppo professionale del docente e la sua
crescita saranno unifor mati a
questo nuovo “ecosistema digitale” non in modo passivo ma attraverso un’attiva e consapevole
partecipazione.
Tale sistema sarà digitalmente
governato in modo tale da assicurare: una semplificazione dei
processi, un’inerente capacità di
interventi migliorativi in itinere, la possibilità di velocizzare
le singole iniziative formative
e sarà incentrato sulle attività
formative del docente. Queste
attività possono essere realizzate o a partire da fondi nazionali
nell’ambito del piano nazionale
di formazione o fornite da enti
accreditati MIUR.
Nel p r i mo c a s o i l si st e m a
con se nt i r à d i a ccompag n a re
l’intero ciclo di vita della formazione: dalla pianificazione degli
interventi alla realizzazione delle attività formative da parte di
(Istituzioni scolastiche o Università) ed alla successiva rendicontazione per la erogazione
dei saldi.
Nel secondo caso la piat tafor ma consentirà di gestire il
processo di accreditamento, rendendolo più rigoroso e di facilitare l’incontro tra domanda ed
offerta di formazione da parte
degli Enti accreditati/qualificati.
In questo modo sarà possibile,
per il docente, conoscere immediatamente quali corsi sono disponibili e più adatti alla propria
crescita professionale, e ancora
iscriversi e tenere traccia dei
corsi frequentati. Tutto ciò andrà ad arricchire il portfolio del
docente e consentirà al MIUR di
semplificare e velocizzare l’analisi dei fabbisogni formativi,
fase fondamentale per una più
mirata ed efficace programmazione dei futuri interventi per il
miglioramento delle competenze
dei docenti.
Tale piattaforma potrà consentire di:
- leggere in tempo reale l’and amento degli or ient amenti relativi alle scelte dei
corsi di formazione da parte
dei docenti;
- suggerire azioni di “feedback”
per il miglioramento e l’agg ior n a me nt o dei c or si che
attengono i diversi tipi di formazione: inziale, in ingresso e
in servizio.
- valutare il rapporto costi/benefici degli interventi correlando efficacemente l’impatto
delle iniziative formative con
i risultati del livello d’istruzione degli alunni del nostro
Paese.
Inoltre la piattaforma, attraverso la som minist razione di
questionari strutturati, consente,
per ogni singola fase, il continuo
monitoraggio della qualità percepita dal docente.
39
Valutare oggi
Politica scolastica
Le influenze del contesto socio-politico ed economico
Per una leadership educativa
efficace e responsabile
I
n continuità con le riflessioni
aperte nell’ultimo numero di
Tuttoscuola e sempre nell’ottica dell’analisi dei risultati della
ricerca scientifica accreditata a livello nazionale e internazionale,
e quindi su basi empiricamente
dimostrate (evidence based), grazie alla considerazione dei quali
diviene possibile intervenire più
consapevolmente sulle scelte di
politica culturale e scolastica, ci
occupiamo in questo breve intervento delle opportunità (o condizioni) offerte dal contesto per
una la gestione delle dinamiche
conflittuali in ambito educativo,
al fine di garantire una maggiore produttività e soddisfazione
professionale.
Ricordiamo che – come anticipato nella Rubrica del numero
precedente – nel determinare le
dinamiche relative a relazioni
interpersonali orientate ad uno
scopo educativo, conveniamo
concorrano molti fattori ai quali
intendiamo riferirci in base a riferimenti sperimentali pertinenti
(Eysenck, 1996; Pianta, 2001; Biasi, 2004, 2011):
aLe proprietà socio-affettive
della relazione: struttura paritaria o verticale versus ruolo supportivo o competitivo;
bLe opportunità offerte dal
contesto: influenze ambientali,
conf litti riguardanti lo sfondo
economico e politico, difficoltà
logistiche che possono ostacolare o meno il farsi della relazione;
cGli atteggiamenti di chi è coinvolto nella relazione educativa, e i sistemi di valori e di
aspettative in cui si inserisce
l’intero rapporto (valori sociali,
40
di Valeria Biasi*
culturali, con le relative aspettative individuali più o meno
definite).
Ci occupiamo quindi in questa
occasione delle variabili di contesto - fattore indicato al punto b)
nel primo intervento ospitato in
questa Rubrica -, che possono concorrere a determinare la qualità
delle relazioni interpersonali (tra
docenti e docenti e tra docenti e
dirigenti) negli ambienti scolastici.
Le influenze del contesto socioambientale nel co-determinare i
rapporti con i colleghi o con i superiori sono facilmente rilevabili
attraverso interviste libere o guidate, direttamente condotte con i
docenti. Riferisco a titolo esemplificativo alcune testimonianze,
prima di passare ad una analisi
più sistematica dei fattori socioambientali (Biasi, 2011).
1A.P. (insegnante elementare):
“Lo scorso anno ho avuto gravi
problemi relazionali con la mia
collega di classe. Era diventato
difficile anche gestire i bambini in modo corretto e sereno.
Il Direttore ha compreso ed ha
proposto lo spostamento della
collega che ha accettato”.
2 P.F. (insegnante di Scuola Media
inferiore): “Perdita di serenità
nell’insegnamento a causa di un
Preside che tendeva a ‘scrollarsi’
di dosso tutti i problemi e che
riversava sul corpo insegnante
ogni problema di rapporto alunni-insegnanti. Prendeva sempre
posizione a favore di genitori
e alunni screditando il corpo
insegnante”.
3A.S. (insegnante di Scuola Media superiore): “Non mi capita
spesso di avere forti divergenze
di opinione con i miei colleghi
su come trattare gli alunni, anche perché per lo più operiamo
in momenti diversi.
L’episodio che ricordo si è però
svolto durante gli esami, quando
tutti noi insegnanti eravamo schierati di fronte ad un’alunna che,
per indole e retroterra culturale
affrontava appunto questa prova
con grande incertezza e tensione
emotiva. Le sue risposte, molto
vaghe nei contenuti ed aggravate
dall’uso di qualche termine dialettale, ebbero il potere di caricare
sempre più una collega che pensò
bene di incalzare la ragazza con
altre domande alzando sempre più
il tono della voce e facendo commenti spregiativi... A questo punto
intervenni cercando di tranquillizzare l’alunna facendo prendere
una diversa direzione al colloquio
d’esame, ma fui esplicitamente
zittito dalla collega.
Devo dire che l’aver dovuto fare
la stessa cosa con lei mi ha molto
amareggiato, pensando al triste
spettacolo che abbiamo dato ai ragazzi in quell’occasione”.
Per quanto concerne lo studio
degli aspetti stressanti della posizione professionale dirigenziale (Presidi, Direttori didattici) e
dei coordinatori amministrativi,
Favretto & Rappagliosi (1997)
hanno da tempo identificato i cosiddetti “stressors” più frequenti; tra i quali si annoverano: a) la
difficoltà nell’esecuzione di compiti burocratici; b) il confronto e
l’organizzazione dei rapporti con
genitori ed allievi; c) la gestione
TuttoscuolA n. 556
valutare oggi
Politica scolastica
delle relazioni interpersonali.
Inf luenze del contesto socioambientale sulla relazione educativa possono inolt re essere
costituite da conflitti, cosiddetti
extrapersonali (ma facilmente incorporati poi a livello interiore),
riguardanti lo sfondo economico
e politico. Tali conflitti possono
avere ricadute sulla politica scolastica (Pianta, 1999; Blandino
& Granieri, 2002). Hanno importanza, a questo proposito, le
difficoltà logistiche, che possono
ostacolare o meno il farsi della
relazione (possibilità di condividere esperienze formative, ecc.);
oppure i conflitti interpersonali e
i fenomeni da stress che possono
coinvolgere la figura del docente,
a causa del tipo di organizzazione
scolastica di fatto esistente.
Un’analisi delle inf luenze del
contesto socio-ambientale sulla
relazione educativa è stata svolta
nel 2004 e ripetuta nel 2014 grazie ad un sondaggio specifico, registrando una buona stabilità nei
risultati principali. L’indagine era
volta ad indagare la natura dello
stress nella professione docente
in un campione di scuole romane
con organizzazione didattica modulare o a tempo pieno (Istituti
Comprensivi, comprendenti Scuole Elementari e Medie).
E’ stato applicato un protocollo
per un’intervista a domande aperte relative ai motivi personali di
soddisfazione e insoddisfazione
nel lavoro scolastico e si è intendeso rilevare un’eventuale influenza
dell’organizzazione scolastica sui
conflitti esperiti dai docenti.
Sono stati considerati vari indicatori per l’interpretazione dei
risultati del sondaggio: la quantità
di questionari restituiti, la quantità
e la qualità degli aspetti problematici reperiti, la quantità e la qualità
degli aspetti soddisfacenti reperiti.
I questionari restituiti sono risultati circa il 40% di quelli distribuiti: questa percentuale contribuisce
a sottolineare le resistenze iniziali
TuttoscuolA n. 556
Progetti internazionali
Ritorna il CFMUNESCO (26-28 Novembre):
grazie al Convitto “Paolo Diacono”
250 studenti da tutto il mondo
saranno a Cividale
CFMUNESCO, la simulazione dei dibattiti delle Nazioni
Unite (MUN) nato lo scorso anno in seno al Convitto Nazionale “Paolo Diacono”, ritornerà a Cividale del Friuli (UD) dal
26 al 28 novembre 2015, coinvolgendo 250 studenti delle scuole
superiori che giungeranno da tutto il mondo, per confrontarsi
in inglese su problematiche socio politiche mondiali di attualità, imperniate sul tema generale “To pretect and preserve”.
Il progetto CFMUNESCO è nato nel 2014 su iniziativa di un
comitato spontaneo di studenti dei Licei del Convitto, con pluriennale esperienza di conferenze MUN all’estero. L’iniziativa ha
immediatamente incontrato il sostegno della rete di scuole Fri.
Sa.Li.*, che hanno condiviso l’intento di offrire agli studenti
degli istituti di II grado la possibilità di prendere parte ad
un’attività di portata internazionale che vede la partecipazione
di ca. 250 studenti: 100 provenienti da Paesi di tutto il mondo (tra
gli altri Spagna, Albania, Argentina, Australia, Bangladesh, Isole
Mauritius, Moldavia, Nuova Guinea, Olanda, Russia e Slovenia) e
ca. 150 studenti provenienti da scuole italiane.
L’obiettivo del MUN, unica simulazione UNESCO in Europa, è quello di soddisfare i bisogni formativi degli studenti delle
scuole superiori a cui è rivolto. Esso rispecchia il format di una
conferenza organizzata dagli studenti, che per tre giorni indossano i panni dei delegati delle Nazioni Unite per rappresentare
le posizioni di un Paese. Il che equivale a scrivere e avanzare
proposte, confrontarsi con gli altri attraverso il dibatto e il voto
per proporre soluzioni plausibili ai problemi mondiali. I confronti
avvengono in inglese e si svolgono secondo le procedure formali
seguite alle sessioni dell’ONU.
Come ha osservato la nuova Dirigente Scolastica del Convitto
Nazionale Paolo Diacono, dott.ssa Patrizia Pavatti: “Siamo
felici di riproporre un’iniziativa dall’alto contenuto formativo
che offre a studenti di diversa provenienza e cultura una preziosa
occasione di confronto, in cui mettersi seriamente in gioco, affinando le proprie capacità organizzative e di public speaking,
ed acquisendo nozioni importanti relative ai grandi temi della
politica internazionale.”
Per informazioni visitare il sito www.cfmunesco.it.
41
Valutare oggi
Politica scolastica
che un sistema di valutazione degli aspetti conflittuali tende ad incontrare. La loro analisi, inoltre,
ha fatto rilevare, in sintesi, motivi
di soddisfazione nell’attività professionale che vanno dalla libertà di insegnamento all’armonia e
collaborazione tra colleghi, alla
stima delle famiglie, ai progressi
scolastici degli allievi, all’avere
un buon rapporto con gli allievi,
al sentire di avere buone capacità relazionali e di aver seguito le
proprie attitudini, al vivere in un
clima rilassato e sereno, allo svolgere responsabilmente il proprio
lavoro.
Tra i principali motivi di insoddisfazione nell’attività svolta
abbiamo i seguenti: scarsa considerazione sociale del lavoro svolto
dagli insegnanti; pochi riconoscimenti al merito e all’impegno
professionale anche da parte dei
Capi d’Istituto; bassa retribuzione; troppa burocrazia; carenze
nelle strutture scolastiche; scarsa
collaborazione delle famiglie o
fra colleghi; scarse opportunità di
aggiornamento e di attenzione per
l’innovazione (dallo studio della
lingua straniera alla disponibilità di aule multimediali); “errori”
nel rapporto con i bambini; incertezza riguardo all’organizzazione
futura.
Come vediamo, tra questi motivi di insoddisfazione vi sono varie
voci relative ad una organizzazione istituzionale vissuta come
deficitaria. Per quanto riguarda
il micro-contesto, si va dalla carenza di strutture e di spazi ampi
ed attrezzati, alla distribuzione
non equa delle risorse interne. Per
quanto riguarda il macro-contesto
socio-politico ed economico, si va
dalla scarsa retribuzione, ai pochi
riconoscimenti al merito, da parte
di una organizzazione scolastica
che non incentiva a migliorarsi,
non gratifica l’impegno, non promuove una leale competitizione
e non riconosce avanzamenti di
carriera.
42
Il sondaggio, i cui risultati sono stati riferiti collettivamente
ai gruppi di insegnanti partecipanti, e debitamente discussi, è
risultato valido per l’aquisizione
di una maggiore consapevolezza
degli aspetti positivi e, soprattutto, delle difficoltà e dei conflitti
incontrati dagli insegnanti medesimi nello svolgimento della
loro attività; e ha offerto informazioni utili ai fini della coordinazione e programmazione delle
attività di sostegno alla funzione
docente previste nell’ambito del
“Piano dell’Offerta Formativa”
delle varie istituzioni scolastiche
coinvolte.
Si torna così a sottolineare che
l’intento, previsto nell’ambito della innovativa gestione autonoma
delle istituzioni scolastiche, era
tra l’altro quello di rispondere ai
bisogni dei docenti e di permettere l’ottimizzazione delle risorse
professionali, a chiaro vantaggio
dell’utenza: intento che permane
tuttora.
D’altro canto, in continuità con
quanto fin qui sostenuto, studi
condotti da Rutter, Herzberg &
Paice (2002) hanno dimostrato
come laddove una struttura organizzativa comporta per i suoi
membri una scarsa autonomia
(per via d’una persistente organizzazione centralizzata o d’una
struttura societaria estremamente
verticale), unitamente ad uno stato di sovraccarico di ruoli e uno
scarso equilibrio tra “potere” e
responsabilità, essa produce forti
condizioni di stress per le figure
professionali interessate. Si collegano a questa linea di ricerca lavori recenti condotti da Pedditzi e
Nonnis (2014) sul crescente livello
di stress nelle professioni della docenza, con fenomeni che vanno
dall’esaurimento emotivo al vero
e proprio burnout, segno che l’applicazione di una reale autonomia
scolastica con valorizzazione delle
varie risorse professionali è ancora
deficitaria nella scuola italiana.
Non solo gli atteggiamenti dei
membri di una organizzazione
possono rappresentare un fattore
di rischio per lo sviluppo di condizioni di sovraccarico di stress e
per il conseguente deterioramento
delle relazioni interpersonali, tra
cui quella a scopo educativo; ma
anche la struttura organizzativa
- di cui lo stile di Leadership è un
fattore centrale -, ed il contesto socio-ambientale, possono costituire
fattori di rischio nella medesima
direzione.
Per garantire una buona dinamica relazionale, dalla quale in
base ai riferimenti scientifici di
settore si rileva come possano discendere benessere e produttività
in ogni organizzazione, sarà utile
porre attenzione oggi, anche per la
scuola, ad entrambi questi fattori,
ed alla loro reciproca interazione.
*Dipartimento di Scienze della Formazione, Università degli Studi “Roma Tre”
Riferimenti bibliografici essenziali
Biasi, V. (2011). Dinamiche conflittuali e leadership in ambito educativo:
effetti sui processi di apprendimento. In G. Domenici & G. Moretti (a cura
di), Leadership educativa e autonomia scolastica. Il governo dei processi educativi nella scuola di oggi. Armando, Roma (pp. 119-144).
Blandino, G. & Granieri, B. (2002). Le risorse emotive nella scuola. Cortina, Milano.
Pedditzi M.L. & Nonnis M. (2014). Psycho-social sources of stress and
burnout in schools: research on a sample of Italian teachers. Medicina
del Lavoro, 105(1), 48-62.
TuttoscuolA n. 556
Obiettivo docente
Learn English with Audio Resources
di Maria K. Norton
Now that you have settled into the school year and got to
know your groups of learners, it’s a good time to consider
extending the resources you expose your students to. Using
audio with text is the easiest extension from just using text.
In its most effective form this consists of a recording being
made of someone reading the narrative or poem. The recording might be made by the author, which gives a satisfying
degree of authenticity to the project, but, sadly, not all writers are good readers. Sometimes, therefore, the voice will
be that of an actor. Either way, this is a chance to hear a
native speaker reading aloud a text that the students have
studied. And make no mistake, this is an activity that should
be carried out after the student has done some study of the
text. It should not be used as an introduction – as that would
risk a missed opportunity to explore beneath the surface of
the words.
Poetry sources
There are a number of sources for teachers to download poetry being read aloud though not all the poetry is contemporary. Probably the biggest source is Poetry Archive | www.
poetryarchive.org |, which features poets reading their own
works. Along with an ever-expanding collection of contemporary poets at work, it has an exciting collection of vintage
recordings. There is a special section devoted to supporting
teachers wishing to use the archive, though it should be noted that the teachers in mind are those teaching literature,
not necessarily language, and who are working to the UK
National Curriculum. Having said that, much of the material is flexible and can be used in a variety of settings.
Another resource, perhaps more easily accessible, is the Teaching Teens stories and poems section of the BBC
and British Council’s teachingenglish website. | http://www.teachingenglish.org.uk/
teaching-teens/resources/stories-poems
| In this part of the award-winning
website, why not start with the resource entitled Tiny Cinderella?http://
www.teachingenglish.org.uk/article/
tiny-cinderella-somewhere-lowerlevel | I like this resource because
it combines the audio statement of
TuttoscuolA n. 556
the teacher who took the photo under study with a series of
exercises to promote vocabulary development and thinking
skills.
There are a number of other sources of poetry, including the
Poetry Society and a number of poets have their own poems
available as audio downloads including Roger McGough |
www.rogermcgough.org.uk| and Francesca Beard, both of
whom have worked with British Council projects in schools.
Short story sources
Recordings of short stories are readily available and
can provide an element of suspense to any lesson. On the
aforementioned teachingenglish website, The Landlady is
a popular one and it uses a short story by world renowned
author Roald Dahl. | http://www.teachingenglish.org.uk/
article/landlady | A number of classic English language
short stories are available from | http://www.learnoutloud.
com/Free-Audio-Video/Literature/Short-Stories | If you are
searching for contemporary short stories, you need to check
out Comma Press | www.commapress.co.uk | which is ‘a
not-for-profit publishing initiative dedicated to promoting
new fiction and poetry, with an emphasis on the short story.
It is committed to a spirit of risk-taking and challenging
publishing, free of the commercial pressures on mainstream
houses.’ Audio is used in the majority of the BritLit kits and,
some cases, additional audio of interviews with writers is
available. In one case, Lucky by Jane Rogers, the majority
of the kit is in audio form, and the story is listened to
rather than read. Another text I’d recommend is Billy Elliot.
This is the story of a boy from a coal mining family who
decides to be a ballet dancer and whose decision causes,
perhaps predictably, a great deal of family controversy.
The novel by Melvin Burgess is based on the film of the
same name. | http://www.teachingenglish.org.
uk/article/billy-elliot | If you want a quick fix
to venture into the realm of audio files for
English language learning, possibly
the easiest resource to access is the
LearnEnglish Audio and Video app,
which can be downloaded from the
Google store or from iTunes.
Contact Maria K. Norton for more
information:
[email protected]
43
Il cantiere delle didattica
di Italo Fiorin
L
La scuola è centrale?
a legge 107/15, che tutti hanno imparato a conoscere
come la legge della Buona
Scuola, all’articolo 1, dedicato ad
esplicitare le finalità del testo, si
presenta quale strumento finalizzato ad “affermare il ruolo centrale della scuola nella società della
conoscenza”.
Ma è ancora proponibile la centralità della scuola?
A prima vista l’affermazione risulta sorprendente. Oggi la scuola
ha perso la sua centralità proprio
grazie all’avvento di quella società
della conoscenza che la stessa legge richiama.
La scuola non è centrale per
quanto riguarda l’erogazione delle conoscenze, dal momento che
l’apprendimento avviene molto di
più grazie agli stimoli provenienti dagli ambienti extrascolastici,
soprattutto per effetto della potenza, molteplicità e pervasività delle
tecnologie della comunicazione.
Ciascun possessore di smart phone
o di tablet ha tra le mani risorse
conoscitive delle quali in nessuna
biblioteca cartacea ben provvista si
può altrettanto facilmente disporre.
Le faticose ‘ricerche’ scolastiche,
che un tempo gli insegnanti proponevano agli studenti per spingerli a
consultare qualche testo e a metter
piede in qualche biblioteca, oggi appaiono anacronistiche, dal momento che basta digitare un po’ su un
motore di ricerca per poter ottenere
in tempo reale tutte le informazioni desiderate. Senza fatica, per di
più. A rendere ancora più marginale il tempo dell’apprendimento
44
scolastico nell’arco della vita di una
persona sta il fatto che, malgrado
l’obbligo scolastico in questi ultimi decenni sia andato progressivamente aumentando, questo non
possa essere considerato affatto
sufficiente, tanto che l’apprendimento che viene richiesto riguarda
l’intero arco della vita. L’obbligo di
andare a scuola finisce, l’università
finisce, il tempo dell’apprendimento no.
Ma anche sotto un altro profilo,
non meno delicato, la scuola oggi non è più centrale. Un tempo
vigeva un patto di continuità e di
solidarietà con la famiglia e la società, che vedeva la scuola deputata alla trasmissione di quei valori
ritenuti indispensabili per costruzione dell’identità nazionale, della
cittadinanza. Ricordiamo tutti l’espressione “Fatta l’Italia, bisogna
fare gli italiani”. Anche su questo
terreno le cose sono profondamente cambiate. I valori di riferimento,
vengono veicolati dai social network. La globalizzazione avvicina
e massifica, il pluralismo culturale
e religioso mette di fronte ad una
molteplicità di modelli, favorendo nuove identificazioni o nuovi
disorientamenti.
La scuola che voglia ridiventare
centrale nel processo di trasmissione culturale e di educazione alla
cittadinanza non può affidarsi alle
modalità di un passato che ormai
non esiste più, quando il problema
era di aiutare gli alunni a far evolvere la dimensione localistica del
loro sentirsi parte di una comunità
fino ad acquisire il sentimento di
una appartenenza nazionale. Oggi la realtà è molto più complessa.
La globalizzazione ha eliminato
le distanze e cancellato le barriere
dei confini locali, facendo sì che
ogni villaggio si possa affacciare
sulla piazza globale vivendo le vicende del mondo in presa diretta,
senza filtri o mediazioni. L’interdipendenza è diventata sempre più
stretta, talvolta in termini anche
drammatici, come nel caso delle
guerre, del terrorismo, dei problemi ambientali. Tutto questo ha conseguenze molto negative, sul piano
della costruzione dell’identità culturale e sociale. Una delle più gravi è quella del ripiegamento, dello
stringersi attorno al proprio campanile o municipio costruendo una
identità difensiva, alimentata da un
sentimento di pericolo, fragile nel
suo nucleo interno e perciò ostile
a tutto ciò che arriva da lontano,
sentito come straniero e nemico.
Un altro tipo di conseguenza negativa, esattamente opposta a quella
appena indicata, consiste nel non
saper custodire la propria identità
cura, minata dalla massificazione prodotta dal consumismo che
appiattisce ogni differenza e riduce le persone alla dimensione di
consumatori, avviate, quasi senza
accorgersene, a diventare numeri, o
come direbbe Musil, uomini senza
qualità: “Non si sa bene come avvenga quel mutamento che in certe
circostanze trasforma degli uomini
coscienti in una massa consenziente, capace di qualunque eccesso
nel bene come nel male, e incapace
di ragionare”. Le ragioni appena
TuttoscuolA n. 556
Il cantiere delle didattica
citate mettono in luce una perifericità della scuola dovuta a fattori, per
così dire, esogeni, rispetto ai quali
l’istituzione scolastica non porta responsabilità. Si tratta di condizioni
esterne, frutto di cambiamenti rapidi e profondi che riguardano tutti i
Paesi, a livello globale. Ma, accanto
a questi, va aggiunta una ulteriore ragione, questa purtroppo tutta
italiana, che ci deve preoccupare
anche maggiormente. L’art.1 della legge 107, richiama un compito
molto importante della scuola, vista come presidio “per contrastare
le diseguaglianze socio-culturali e
territoriali, per prevenire e recuperare l’abbandono e la dispersione
scolastica”.
Purtroppo, rispetto a questo
compito, bisogna riconoscere un
fallimento.
Il fatto stesso che tra le finalità che la nuova legge assegna alla
scuola vi sia quella di contrastare le diseguaglianze e arginare gli
abbandoni implicitamente porta a
riconoscere che tali piaghe sono
ancora vive, diffuse, dolorose.
La nostra scuola non fa la differenza, non provoca quel cambiamento migliorativo che negli anni
Sessanta/Settanta era stato sognato
e che ha guidato tanto pensiero e
tante esperienze innovative. Oggi,
non diversamente dai tempi della
Lettera ad una professoressa, conta molto di più nascere bene che andare alla scuola dell’obbligo, anzi il
divario tra ricchi e poveri è venuto
aumentando, la dispersione scolastica ha toccato vertici paurosi. Ci
sono interi pezzi d’Italia scolastica
che si stanno allontanando da standard almeno sufficienti, e questo
dovrebbe farci rivedere il già citato
detto: bisogna fare l’Italia, piuttosto
che gli italiani, perché ora di Italie
TuttoscuolA n. 556
ce ne sono almeno tre, e quella che
sta meglio viaggia a una velocità
che sta segnando un divario destinato a divenire incolmabile, se non
vi si provvede con urgenza e con
efficacia.
La scuola è centrale
Ma, paradossalmente, proprio
per quanto detto, alla scuola, nei
fatti periferica e sofferente, va riconsegnata una irrinunciabile centralità. Si tratta di una centralità da
ri-costruire e non di una solida base
dalla quale partire, purtroppo, ma
questa ricostruzione va perseguita
con determinazione e coraggio.
La necessità che la scuola ridiventi centrale è data, prima di tutto,
dal ruolo che deve assumere nello
scenario della società conoscitiva.
Le conoscenze non scarseggiano,
anzi le informazioni sovrabbondano, ma serve un luogo che educhi al pensiero. Senza la capacità
di organizzare le informazioni, di
filtrarle, di selezionarle, di verificarle, non solo non si è capaci di
servirsene utilmente, ma si resta in
loro balia, facili prede delle mille
manipolazioni possibili. Da qui la
necessità di ripensare i curricoli
scolastici e, anche di più, le modalità dell’insegnamento. L’impegno richiesto è molto di più di una
innovazione tecnologica. E’ evidente che la didattica trasmissiva
ancora largamente prevalente deve
cedere il posto ad una didattica che
aiuti a sviluppare pensiero critico,
creativo, capace di fronteggiare
la complessità dei problemi che si
presentano e si presenteranno, capace di fare i conti con l’incertezza e l’inedito. Bisogna aggiungere
che questa educazione al pensiero non può riguardare solo pochi
fortunati, deve riguardare tutti. Il
raggiungimento del diritto all’istruzione non è sufficiente se non
si accompagna al diritto alla qualità dell’apprendimento, una qualità
diffusa, generalizzata. Questa è la
frontiera da raggiungere, la sfida
più difficile. Per perseguire tale finalità la scuola è centrale, senza
una buona scuola questa frontiera
non sarà raggiunta e sprofonderemo nella mediocrità diffusa.
Sarà una buona legge?
Per almeno tre buone ragioni,
dunque, la scuola deve ridiventare centrale. Perché la società della
conoscenza ha bisogno di un luogo
che educhi al pensiero critico e alla
saggezza; perché la società globalizzata ha bisogno di un luogo che
educhi all’incontro con le altre culture e ad una cittadinanza plurale
(cittadini del proprio paese e cittadini del mondo); perché se si vuole
contrastare l’ingiustizia che divide
i più svantaggiati dai privilegiati,
c’è bisogno di un luogo che aiuti a
colmare questa distanza. Tale luogo, di cui c’è un grande bisogno,
non può che essere la scuola. Una
scuola diversa da quella che abbiamo conosciuto, una scuola migliore. Non possiamo accontentarci di
isole di eccellenza in un mare di
mediocrità. La legge 107 sarà in
grado di favorire il rilancio della
scuola, di restituirne la necessaria centralità? Molte cose ancora
non convincono, altre dovranno
essere definite da provvedimenti che sono oggetto di delega, e ci
auguriamo che tali provvedimenti
possano risultare saggi ed efficaci.
Non è, però, questo il tempo di contrapposizioni feroci, non possiamo
prenderci il lusso di scommettere
contro, è un problema nazionale, ci
riguarda tutti.
45
Scuola e famiglia
di Rita Di Goro*
ATTORI DELLA RIFORMA
C
he cosa sarà de La Buona
Scuola? Questo è l’interrogativo che fa dormire sonni poco tranquilli a più di uno di coloro
che si occupano di scuola. Non
solo il personale scolastico, ma
anche genitori e studenti, operatori dei servizi alla prima infanzia,
responsabili degli enti locali. Una
delle possibili vie interpretative
passa dall’analisi dei ruoli che la
legge 107/2015 assegna ai vari
attori.
La prima ricognizione è quella
46
numerica: nel testo della riforma
(un unico articolo composto da
212 commi) i docenti sono citati
in 52 commi, i dirigenti scolastici
in 23, gli alunni in 31, le famiglie
in 8, gli organi collegiali in 7. I
numeri però da soli non bastano,
perché occorre vedere cosa in
concreto questi attori sono chiamati a fare.
Si è già detto lungamente del
preside sceriffo (a detta dei detrattori) o del preside sindaco (da
parte dei fautori della riforma),
ma a noi pare piuttosto un preside superman, quello che avrà un
ruolo di impulso in praticamente tutta l’attività scolastica, dagli indirizzi per le attività della
scuola e le scelte di gestione e di
amministrazione, alla valutazione dei docenti, all’assegnazione
dei compensi.
Non c’è da meravigliarsi che
i docenti, cui sono stati definitivamente preclusi spazi prima
riservati alla collegialità e alla
contrattazione sindacale, siano in
TuttoscuolA n. 556
Scuola e famiglia
pieno fermento. Su di loro il testo
de La Buona Scuola si dilunga
assai di più che non sui dirigenti
scolastici, vedendoli però principalmente quali destinatari di
interventi di formazione nonché di norme dettagliate per la
loro assunzione. Il ruolo attivo
dei docenti nel testo della riforma
è limitato ad elaborare il piano
triennale dell’offerta formativa;
a presentare le candidature per
le assegnazioni di sede; ad accettare gli incarichi assegnati dal
dirigente scolastico; a coadiuvare
il dirigente.
Va meglio agli studenti, che sono sì visti come parametri per gli
organici e destinatari dell’attività
educativa e della gestione amministrativa, ma non si dimentica
di dire che occorre tenere conto
delle loro scelte, rispettarne i
tempi e gli stili di apprendimento, coinvolgerli nei percorsi formativi individualizzati e nelle
iniziative di orientamento. Studenti e famiglie hanno poi diritto
a una piena trasparenza e pubblicità dei piani triennali dell’offerta
formativa, in modo da poter effettuare una valutazione comparativa delle singole scuole; infine è
previsto che lo studente esprima
un parere sull’istruzione ricevuta,
ma limitatamente alla valutazione dell’efficacia e della coerenza
dei percorsi di alternanza scuola-lavoro con il proprio indirizzo
di studio.
Meglio stendere un velo pietoso
sul tanto decantato comma 129,
che riformula l’art. 11 del Testo
unico della scuola, introducendo
nel Comitato di valutazione due
genitori (ovvero un genitore e uno
studente nelle scuole superiori).
I facili entusiasmi si smorzano
non appena verificate le competenze del comitato, che consistono prevalentemente nel fornire al
dirigente scolastico i parametri
per attribuire ai docenti una gratifica dal fondo ministeriale per
la valorizzazione del merito. In
TuttoscuolA n. 556
via residuale, il comitato valuta il
servizio dei docenti su richiesta
dell’interessato e riabilita il personale docente che abbia subito
sanzioni disciplinari; dà infine
un parere sul superamento del periodo di prova degli insegnanti,
ma non alla presenza di genitori
e studenti.
Quanto ai genitori, il testo di
legge di riforma va poco oltre
i buoni intenti di interazione e
ascolto delle scelte delle famiglie
annunciati nei primi commi. Ci
si dilunga invece sulla partecipazione economica, che va dalla
possibilità di realizzare attività
educative durante la sospensione
delle attività didattiche (ma senza
oneri per lo Stato, comma 22); alla compartecipazione alle spese
dei servizi da 0 a 6 anni, come
doveroso contraltare all’attenzione che si auspica rivolta ai tempi
di vita, cura e lavoro dei genitori
(comma 181e); infine al dettagliatissimo elenco delle detrazioni
spettanti a chi si lascia andare ad
erogazioni liberali a favore delle
scuole (commi 145-151).
Viene confermata la possibilità
di fornire proposte e pareri ai fini della predisposizione del piano
triennale dell’offerta formativa,
ma a quanto pare nessuno ancora
si è accorto che è stata spazzata
via la centralità del Consiglio
d’istituto nel definire gli indirizzi e le strategie del POF (comma
14). E allora noi genitori che ci
stiamo a fare? viene da chiedersi.
Inquietante il comma 2, che senza
alcun pudore recita: “le istituzioni
scolastiche garantiscono la partecipazione alle decisioni degli
organi collegiali e la loro organizzazione è orientata alla massima
f lessibilità, diversificazione, efficienza ed efficacia del servizio
scolastico”.
Si investe sull’edilizia scolastica, ma occorreranno anni per
vederne i benefici; e se il sostanziale raddoppio del finanziamento per il funzionamento previsto
dalla legge 107/2015 fa ben sperare le famiglie di poter destinare
il proprio contributo volontario al
materiale didattico e agli esperti,
anziché alle classiche fotocopie
o alla carta igienica, ci pensa la
legge di stabilità per il 2015 (L.
190/14, commi 332, 333 e 334)
a introdurre ulteriori elementi
di instabilità stabilendo il taglio
di 2.020 posti di personale non
docente e contemporaneamente
introducendo il divieto di nominare supplenti: il primo giorno
per i docenti, la prima settimana
per i collaboratori scolastici e in
assoluto per il personale di segreteria. Pur facendo ricorso alle ore
a disposizione, al pagamento di
ore di straordinario e all’utilizzo
di docenti dell’organico dell’autonomia (che saranno non più di
5-6 per scuola), è matematico che
in tempo di influenze ci saranno moltissime classi scoperte
e plessi privi della necessaria
sorveglianza, soprattutto il lunedì, quando saranno contemporaneamente assenti tutti coloro
che si saranno ammalati durante
il weekend.
I genitori non hanno nessuna
voglia di assistere ad accorpamenti di classi, entrate posticipate e uscite anticipate e ancor
meno desiderano trovare la scuola
chiusa per influenza. Abbiamo
avuto un assaggio in occasione
degli scioperi e di certo non passeremo sotto silenzio questo insensato attacco al tempo scuola.
Ma anche se sulla carta si annunciano tempi cupi di centralismo e di chiusura, con il dirigente
ancor più arroccato nella sua autoreferenzialità, e forse proprio
sulla spinta di ciò che come famiglie stiamo perdendo, confidiamo che i genitori sapranno
trovare un giusto spazio per
rinnovare una buona e costruttiva collaborazione tra scuola e
famiglia.
*Presidente Associazione
Genitori A.Ge. Toscana
47
DOSSIER
BASILICATA
a cura di Alfonso Rubinacci
Innovazione tecnologica e crescita qualitativa degli
esiti formativi sono il terreno su cui si deve misurare
il sistema educativo. Ma servono in primo luogo
infrastrutture e una strategia funzionale al nuovo
piano scuola digitale. Sulla necessità di uno “scatto”
avanti vi è un consenso forte, mentre si avverte ancora una diversità di vedute sui modi e sugli strumenti
con cui percorrere la strada della modernizzazione.
Occorre fare chiarezza su un punto: digitalizzare
non significa aggiungere “tecnologia” a quello che si
TECNOLOGIE
Dossier
Per una crescita
qualitativa della scuola
fa, bensì modificare la lista delle
priorità e cambiare il modo in cui
facciamo le cose. Digitalizzare un
processo non equivale a spostarlo
su un pc o su internet, ma impone
di modificare il processo stesso e
l’organizzazione che ne ha la responsabilità. “La nostra finalità
- sottolinea la prof.ssa Maria Luisa
Sabino, dirigente scolastica dell’istituto comprensivo “Torraca” di
Matera - “è che i ragazzi imparino
a gestire e non subire il loro utilizzo, mantenendo integra la loro
innata curiosità critica”.
Solo così la trasformazione digitale consente di fare, in modo
più efficiente e rapido, cose che
prima richiedevano maggiore tempo. Certamente, una radicale ristrutturazione dell’organizzazione
e dei processi richiede un impegno profondo e impone il superamento di ostacoli e difficoltà,
ma è una sfida che vale la pena di
raccogliere.
L’introduzione del digitale nei
processi di insegnamento/apprendimento ha certamente innescato
già una rivoluzione di cui si possono cominciare a raccogliere i frutti, nonostante qualche resistenza
persistente.
La testimonianza di tante esperienze di istituzioni scolastiche che
hanno saputo cogliere l’opportunità della digitalizzazione, fa pensare che la strada sia quella giusta.
“Progressivamente i docenti anche quelli più restii - conferma
la dirigente Sabino - dapprima
costretti dall’introduzione del registro elettronico poi sollecitati
dalla presenza di alunni con bisogni speciali, hanno sciolto le proprie riserve sull’utilità delle nuove
tecnologie in classe: i risultati più
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evidentemente positivi si riscontrano nella serenità dell’ambiente
di apprendimento che circonda
gli alunni, felici di poter utilizzare
i loro strumenti tecnologici … “.
“Far lezione in modo tradizionale
- completa il prof Riccardo Lopes,
docente presso l’IIS “ G. Fortunato” di Rionero in Vulture, - non
ha senso e l’uso delle TIC, da solo, non migliora l’apprendimento.
Occorre “smontare” e “rimontare” metodi, contenuti e spazi per
l’apprendimento, tenendo conto
del potenziamento offerto dalla
tecnologia”.
Se le esperienze positive sapranno diventare sistema, grazie all’impulso che viene dalle
esper ienze come quella della
Basilicata, con il sostegno delle
associazioni imprenditoriali e la
convinzione di chi lavora tutti i
giorni per migliorare il livello di
qualità del sistema educativo, allora anche la scuola potrà concorrere con efficace impulso alla
crescita del nostro Paese. La banda
larga in tutti i comuni entro il 2017
e un processo di digitalizzazione
di tutta la scuola lucana sono gli
obiettivi che l’assessore regionale all’istruzione Raffaele Liberali
persegue, in piena sintonia con
la d.ssa Datena, coordinatore
dell’ufficio scolastico regionale
per la quale: “Le maggiori difficoltà incontrate nel processo di
digitalizzazione delle scuole sono legate alla scarsa connettività
specie nelle scuole primarie e secondarie di I°grado”.
Per superare l’attuale “insufficiente disponibilità di banda
larga - ribadisce a Tuttoscuola
l’assessore Liberali - la Regione
ha messo in piedi un programma
di infrastrutturazione digitale che
a breve farà diventare la Basilicata la prima regione del sud Italia ad avvicinarsi allo “0 digital
divide”.
I soggetti istituzionali della
Basilicata dimostrano di volere
contribuire agli obiettivi del sistema educativo, puntando al miglioramento delle condizioni di
funzionamento delle istituzioni
scolastiche, all’innovazione ma
anche alle esigenze di chi opera
nella scuola. Va sottolineata la
scelta prioritaria della regione di
cercare un maggiore contatto con
il territorio, alzando il livello di
appeal del progetto attraverso iniziative specifiche. Questa collaborazione sembra, infatti, la via più
promettente per portare la scuola
lucana al centro di una rinnovata
rete di relazioni culturali ed economiche nella regione.
“Il progetto Distretto Scol@
stico 2.0 promosso dalla regione
Basilicata, in collaborazione con
l’Ufficio Scolastico Regionale è in
corso di realizzazione - osserva il
prof Mario Coviello, componente
della task force per la digitalizzazione della scuola lucana - ed ha
tra gli obiettivi principali quello
di sperimentare e analizzare come
l’introduzione di strumenti tecnologici avanzati possa cambiare i
processi di insegnamento-apprendimento e l’organizzazione stessa
del lavoro nelle scuole”, (anche)
“la ridefinizione della formazione
professionale dei docenti - conclude il prof Coviello - deve partire
dall’analisi dei bisogni legate alle
istanze, alle aspettative e necessità sia personali che collettive”.
L’iniziativa ha le sue radici nella
consultazione delle famiglie degli
TuttoscuolA n. 556
alunni e degli operatori scolastici denominata “ I visionari della scuola”, avviata nel settembre
2014, che ha permesso di condurre un’analisi obiettiva della realtà
aiutando nell’individuazione delle
scelte più efficaci.
“Il ruolo del docente, e quindi
la sua formazione – dice la prof.
ssa Dianora Bardi, Vice Presidente di Impara Digitale, associazione accreditata di promozione di
didattiche per la scuola digitale,
– è ancora più importante oggi
nel guidare un processo sano ed
efficace, basato su trasversalità,
laboratorialità, collaborazione,
co-creazione e condivisione nel
cloud (…).
L’effetto immediatamente rilevabile per la prof.ssa Bardi sono
“le continue richieste di aggiornamento da parte dei docenti
che ci seguono costantemente e
l’entusiasmo con cui questi ultimi
coinvolgono gli altri docenti della
propria scuola”.
In questa scenario si colloca la
formazione dei primi 200 docenti
delle scuole di primo e secondo
grado, delle province di Potenza e
Matera, sui temi della didattica digitale, nella prospettiva di coinvolgere tutti i docenti. Il programma,
che potrebbe diventare buona pratica nazionale, persegue l’obiettivo
del completamento e ampliamento del Distretto Lucano 2.0.
Le scelte giuste, le sinergie tra
le istituzioni locali sugli obiettivi
condivisi e la convergenza delle
risorse sembra essere la strada
vincente.
Si ringraziano la d.ssa Paola
Torre, la prof.ssa Nicoletta Ferroni, la dssa Claudia Datena,
il dott. Vincenzo Fiore, l’ing.
Salvatore Panzarano, l’ing. Pasquale Costante e il prof Mario
Coviello, per alcune rif lessioni
condivise che hanno contribuito
a costruire, grazie anche all’apprezzata disponibilità degli interlocutori coinvolti, il contenuto
del dossier.
TuttoscuolA n. 556
TECNOLOGIE
Intervista a Raffaele Liberali, assessore
Dossier
all’istruzione della Regione Basilicata
“Formare
i formatori”
Raffaele Liberali, laureato in Ingegneria
meccanica all’Università La Sapienza,
ha lavorato per 5 anni nell’industria
chimica Italiana (Montedison,
Ankerfarm). Nel 1979 si è trasferito
a Bruxelles presso la Commissione
Europea, lavorando nel campo dell’
energia, della finanza, della gestione del personale, e dal 1996
alla Direzione generale della ricerca e dell’Innovazione come
Direttore prima degli affari generali, poi delle borse Marie
Curie ed infine dell’Energia. Da Aprile 2012 a luglio 2013 ha
svolto la funzione di Capo dipartimento Ricerca, Università
ed AFAM del MIUR. Successivamente ha collaborato con
il CNR e l’INFN per gli affari europei. Dal 28-12-2013 è
Assessore della Regione Basilicata con delega allo Sviluppo,
Formazione, Lavoro e Ricerca.
Dal mondo dell’impresa, molti interventi hanno affermato l’importanza strategica della generalizzazione della cultura digitale nella scuola per rispondere
alle esigenze di nuove competenze e di un più agevole inserimento nel mondo
del lavoro in continua trasformazione.
Assessore Liberali, siamo al penultimo posto in Europa per disponibilità di banda ultra larga da parte delle scuole. In che misura l’insufficiente disponibilità
di banda larga può condizionare lo sviluppo della scuola digitale lucana?
“La “insufficiente disponibilità di banda larga” di cui lei parla è destinata a
finire molto presto, almeno in Basilicata. La Regione ha messo in piedi, grazie
anche alle risorse europee provenienti dal PO FERS 2007/2013 (fondo europeo
di sviluppo regionale) un programma di infrastrutturazione digitale che a
breve farà diventare la Basilicata la prima regione del sud Italia ad avvicinarsi al digital divide 0. E’ stato già deliberato un finanziamento pubblico di
22,1 milioni di euro, con il quale fra la fine del 2015 e settembre 2016 verranno
raggiunti dalla Banda Ultra Larga (BUL) 64 comuni lucani, che insieme ai capoluoghi – già serviti da privati - costituiscono il 73,7% del territorio regionale, per un totale di 330.000 abitanti, 170.000 unità immobiliari, 91 scuole, 116
uffici pubblici, 13 strutture sanitarie, 73 sedi di forze armate, 4 aree PIP / industriali. Il completamento è previsto grazie i fondi nazionali e alla prossima
Programmazione 2014-2020”
Cosa fare per evitare che le scuole della Regione Basilicata, gli studenti e i
docenti, rimangano ai margini dello sviluppo tecnologico? Cosa servirebbe per
regolare e guidare il processo, e per contrastare i pericoli connessi?
“La prima cosa da fare è formare i formatori, ovvero i docenti. Ma anche le
famiglie. E’ appena partita la formazione di 200 docenti delle scuole di primo
e secondo grado delle province di Potenza e Matera sui temi della didattica
digitale, e il programma punta a digitalizzare tutte le scuole della regione,
formare tutti i docenti. Un programma disegnato e realizzato con la stretta
collaborazione dell’Ufficio Scolastico Regionale e che speriamo possa diventare buona pratica nazionale: il MIUR se ne sta già interessando e stiamo
51
TECNOLOGIE
Dossier
PIANO REGIONALE PER LA SCUOLA
DIGITALE: “DISTRETTO SCOL@STICO 2.0
di Claudia Datena*
Claudia Datena, Laureata in Economia
e Commercio, Dirigente presso l’Ufficio
Scolastico Regionale per la Basilicata dal
2005. Da Aprile 2015 Coordinatore regionale
dell’USR Basilicata.
lavorando insieme in vista di un Accordo di Programma.
Partiamo intanto con il completamento e l’ ampliamento
del Distretto Lucano 2.0: 13 Scuole 2.0, contro le 2 attualmente esistenti, cui verranno consegnate oltre 1.000 tablet
e LIM, nelle quali verrà realizzata la connessione alle reti
in banda larga e il potenziamento di infrastrutture di rete; a ciò si aggiungono oltre 200 classi 2.0, con un investimento totale di oltre 5 MLN di euro, tratti anche dal fondo
europeo.”
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Rispetto ad altre aree territoriali italiane dove possiamo
posizionare il sistema scolastico della Basilicata?
“Le scuole della Basilicata non sfuggono alle problematiche che affliggono la scuola italiana nel suo complesso,
legate in particolare alla carenza di fondi, solo in parte
compensati dalle risorse comunitarie. In Basilicata poi lo
spopolamento dei comuni più piccoli ha costretto ad accorpamenti di plessi scolastici e a ripristinare le pluriclassi,
con inevitabile disagio per studenti e famiglie. Ma, come
già spiegato, stiamo facendo il possibile per investire
sulla scuola, ed in particolare sulla digitalizzazione delle
scuole, dei docenti e degli studenti. Crediamo fermamente
che è da lì che passa il futuro della nostra regione: dall’immateriale che connette con il mondo.
Un solo esempio, e proprio a proposito di pluriclassi: nel
corso del 2014-2015 l’European Space Agency - ESA (insieme all’Agenzia Spaziale Italiana - ASI) ha sperimentato
il collegamento permanente via satellite fra una piccola
scuola di Tricarico (MT) ed una scuola africana. L’ESA, vista l’ottima riuscita della sperimentazione, ha già deciso
U
na scuola coerente con i bisogni formativi dei “nativi
digitali”, in grado di rispondere alle esigenze innovative di
una società ad alta tecnologia,
deve superare il concetto tradizionale di aula come area delimitata, per creare uno spazio di
apprendimento aperto sul mondo,
di allargarla a 30 scuole lucane, e il progetto pilota è sotto
stretta osservazione MIUR che vuol farne una buona pratica scalabile su altre regioni con i medesimi problemi di
dimensionamento scolastico. Questo ci farà salire molto in
alto, nella ipotetica “scala di qualità” con le altre regioni
cui lei accenna nella sua domanda.”
Qual è il contributo che l’assessorato all’istruzione sta
dando per incrementare ed accelerare il processo di innovazione e di digitalizzazione del sistema educativo della
regione?
“A quanto ho già detto, aggiungerei l’Avviso Pubblico
“Scuola InnovAttiva”, partito nel 2014, con il quale abbiamo voluto favorire lo sviluppo di progetti ad alto contenuto d’innovazione (non solo digitale) per contribuire alla
crescita qualitativa dell’offerta formativa e didattica degli istituti scolastici statali di ogni ordine e grado della
Basilicata.”
Che cosa la colpisce di più del comportamento dei docenti? Come vede da cittadino, da assessore, lo stato di salute
“professionale” dei docenti?
“Ci sono sacche di resistenza alla diffusione della cultura
e della didattica digitale, e non sempre dipende dall’età
dei docenti. A questo serve la formazione, che in questa
prima fase di Scuola Digitale è pensata soprattutto per
loro. Però c’è anche grande spirito di collaborazione, e
molta energia e motivazione rispetto all’obiettivo non solo
di mettersi al passo con altre regioni italiane, ma, ove posuttoscuol
sibile, di superarle.”
T
A n. 556
divertente, gratificante, stimolante, f lessibile, adatto ad un
utilizzo costante e diffuso delle
tecnologie nella didattica.
In Basilicata, grazie ai finanziamenti ministeriali erogati nel
periodo 2007-2012,si è avviato
un processo strategico di innovazione digitale nelle scuole di ogni
ordine e grado.
Con l’azione Piano LIM, sono state installate – nelle scuole di ogni ordine e grado – ben
565 LIM, con il coinvolgimento di oltre 11.000 studenti e la
formazione di 1.221 docenti che
si sono resi disponibili a integrare
la LIM nella didattica quotidiana.
L’azione Cl@ssi 2.0, partita
nell’a.s. 2009/2010 e proseguita
l’anno successivo, ha offerto a 14
scuole lucane, selezionate tramite bandi pubblici, la possibilità
di reinventare l’insegnamento e
l’apprendimento in un ambiente
ad alto contenuto tecnologico.
Nel 2012 il MIUR, nell’intento
di dare impulso al P.N.S.D.e ridurre il digital divide interno al
mondo della scuola, ha stipulato
Non crede che sarebbe il caso di incentivare le iniziative tese
alla riqualificazione professionale? Quali misure, secondo
Lei, potrebbero venire incontro all’esigenza di riqualificazione professionale e di nuove competenze dei docenti?
“Il Programma Operativo regionale Fondo Sociale Europeo
2014-2020 stanzia molti milioni di euro per la scuola, e una
buona parte di queste risorse sono dedicate all’aggiornamento ed alla riqualificazione professionale dei docenti,
con particolare attenzione ad esperienze di livello europeo, scambi, azioni di internazionalizzazione di docenti e
insegnanti. Per il sessennio 2014 – 2020, inoltre, possiamo disporre anche delle risorse dei Programmi Operativi
Nazionali. Le risorse ci sono. E le regole anche: la riforma
della Buona Scuola del governo consente l’introduzione di
innovazione e tecnologie digitali nei programmi didattici
come mai prima d’ora. Ma come dicevo è assolutamente
indispensabile una partecipazione attiva di quella parte
dei Docenti e dei Dirigenti scolastici motivati che possano
‘’trasformarsi in promotori del cambiamento dall’interno’’.
Quali le iniziative di formazione, non solo sul piano tecnico
operativo ma anche più ampiamente culturale, che l’assessorato all’istruzione si impegna a rivolgere al personale
della scuola?
“Le iniziative di formazione sul piano tecnico operativo
le abbiamo già descritte. Sul piano culturale, abbiamo un
obiettivo: far comprendere che non basta l’hardware, cioè
una LIM o un laboratorio informatico, perché la scuola diventi digitale. Serve far entrare il digitale nella didattica,
rivoluzionando gli approcci tradizionali e i tradizionali
rapporti docente / allievo / apprendimento. Ci serve far
comprendere che l’approccio al digitale deve essere attivo, e non passivo. In questo ci stanno aiutando anche le
molte esperienze volontarie sul territorio regionale portate avanti dai Digital Champions, che negli ultimi due anni
hanno diffuso la pratica dei CoderDojo, i club per ragazzi
fra i 7 e gli 11 anni nei quali i ragazzi imparano a programmare giocando.”
Il progetto 2.0 lo ritiene sufficiente per generalizzare
uttoscuol
il sistema
di connettività delle istituzioni scolastiche,
T
A n. 556
una serie di accordi operativi
con le Regioni, sulla base dei
quali sono stati effettuati bandi
pubblici.
In Basilicata l’Accordo, oltre ad
incrementare il numero di LIM e
le cl@ssi 2.0 (complessivamente n.18), ha previsto una Scuol@
2.0 e 2 Centri Scolastici Digitali
(piccole scuole di montagna con
pluriclassi).
Le maggiori difficoltà incontrate nel processo di digitalizzazione delle scuole sono legate alla
scarsa connettività specie nelle
condizione di favorevole sviluppo e qualificazione di tutta
la scuola lucana con azioni di formazione dei docenti, di dotazione di infrastrutture e dispositivi mobili?
“E’ necessario, ma non sufficiente. E’ solo il primo passo,
anche se è un passo molto importante perché dirompente
e perché coinvolge un numero ampio, il più ampio possibile
in questo momento, di scuole. Questo vuol dire anche che
scuole e docenti possono costituire una community, scambiarsi esperienze, affrontare insieme le eventuali difficolta’ connesse alla nuova didattica e al programma Scuola
2.0.”
Concretamente cosa sta accadendo?
“Un grande cambiamento. E come tutti i cambiamenti,
porta scompiglio e un po’ di resistenze. Ma non si poteva
più pensare di restare ancorati ai metodi tradizionali in
un momento nel quale il digitale fa così parte della nostra
vita che nemmeno ce ne rendiamo più conto.”
Quali gli investimenti che potrebbe attivare o promuovere
il mondo dell’impresa per sostenere la generalizzazione
dell’innovazione tecnologica nel sistema educativo? Con
quali modi e tempi di attuazione?
“Anche nei rapporti fra scuola ed imprese stiamo mettendo tutta l’energia possibile. In questo campo molto
resta da fare. Proprio in quest’ ottica la Basilicata ha
aderito a tutte le sperimentazioni nazionali che tendono
a motivare il mondo imprenditoriale ad essere più strettamente connesso alla scuola: abbiamo aderito alla sperimentazione del nuovo sistema duale (alternanza scuola
- lavoro); abbiamo seguito da vicino l’iter delle nuove norme sull’apprendistato.
E’ di questi giorni la notizia di un possibile accordo, sostenuto dal Presidente Pittella, fra la Regione Basilicata e Google Italia che, in collaborazione con il Ministero del lavoro
e delle politiche sociali, sta lanciando un grande progetto
per rinforzare le azioni di Garanzia Giovani e garantire
ai ragazzi iscritti maggiori possibilità di impiego, e alle
aziende partecipanti la possibilità di usufruire al proprio
interno di un Digital Coach.”
A.R.
53
TECNOLOGIE
Dossier
TECNOLOGIE
Dossier
scuole primarie e secondarie di
I° grado. La tecnologia, se non
adeguatamente supportata dalle
infrastrutture necessarie,corre il
rischio di non essere utilizzata.
Altra criticità riguarda la formazione e l’aggiornamento dei
docenti, fattore centrale nel processo di diffusione delle tecnologie didattiche nelle scuole.
Tuttavia, grazie alle azioni del
P.N.S.D. accompagnate da iniziative di formazione dei docenti, ed altre attività di formazione
promosse dall’USR, sono nate
professionalità con una documentata esperienza, inserite in
un apposito elenco regionale di
docenti formatori, per l’accompagnamento nelle future iniziative di formazione.
In questo contesto, si è avvertita l’esigenza di trovare nuove
strategie, puntando sulla razionalizzazione delle iniziative in
atto, sulla capacità di attrarre
nuovi finanziamenti, sulla cooperazione ed armonizzazione
con le politiche regionali, sulla
capacità delle scuole “pilota” di
agire da leva per il cambiamento.
Nasce così, nel 2014, il proget t o “ D i st r et t o Sc ol@ st ic o
2.0”, una Rete di Laboratori per
l’Innovazione e la Ricerca per
sperimentare nuove pratiche didattiche e organizzative, nuovi
modelli di for mazione, nuovi
prodotti e strumenti a sostegno
della qualità e dei costi.
Tra le finalità della rete anche
quella di gestire un sistema comune di valutazione dei risultati
e dei processi in termini di impatto sulla formazione degli allievi coinvolti nel progetto della
sperimentazione digitale.
L’idea progettuale, in linea con
le raccomandazioni dell’OCSE e
le esperienze di altri paesi guida, prende il via dal desiderio
di alcu ne scuole pilot a e docenti di comprovata esperienza, di avviare il cambiamento e
trainare la scuola lucana verso
54
l’innovazione.
La Regione Basilicata ha condiviso gli obiettivi del progetto “Distretto Scol@stico 2.0”
e, nell’intento di fornire un impulso all’Agenda Digitale delle scuole, ha disposto nel 2014
u n pr imo f inan ziamento di €
1.690.000,00 (PO FESR Basilicata 2007/2013) per la realizzazione delle seguenti azioni:
“Azione 1 – Infrastrutture a
Banda larga e ultralarga per le
scuole rimaste escluse dai finanziamenti MIUR e dove è già in
essere una sperimentazione;
“Azione 2: Dotazione e potenziamento delle attrezzature hardware e software”;
“Azione 3: piano di addestrame nt o e for m a z ione do ce nt i
sull’uso di strumenti e metodologie innovative nell’insegnamento, rivolto a circa 200 docenti.
Grazie al f inanziamento PO
FESR, il “Distretto Scol@stico 2.0”, comprende oggi ben
53 cl@ssi 2.0, 2 Scuole 2.0, 2
Centri Scolastici Digitali, 2 Poli formativi, 1 scuola Editoria
scolastica digitale, 2 scuole con
presidio in Ospedale, 2 scuole
CTS nuove Tecnologie e disabilità, 3 scuole che promuovono
altre sperimentazioni (Progetto di Telecomu nicazioni e di
in novazione didat tica “SWAY4EDU2- SAT ELLI T E WAY
FOR EDUCATION”, promosso
dall’Agenzia Spaziale Europea
e dalla Regione Basilicata, Protocolli in rete Avviso MIURSa msu ng,M EDI ASHOW ). Le
scuole aderent i all’i n iziat iva
hanno sottoscritto un accordo di
rete nel marzo 2015.
E’stata anche predisposta una
piattafor ma vir tuale di scambio, dove gli insegnanti possono
pubblicare le loro risorse educative aperte e condividere la loro
esperienza sull’uso di specifici
dispositivi e risorse digitali. Ciò
aumenterà le opportunità di apprendimento e di condivisione
tra le scuole, accelerando la diffusione degli strumenti di ICT,
il potenziamento delle risorse
didat tiche digitali per l’inseg namento e l’apprendimento,
le occasioni di sviluppo professionale, nonché le attività di ricerca scientifica e pedagogica
sui modelli innovativi di scuola
digitale.
L’iniziativa, coordinata da un
Gruppo di Supporto Regionale,
vede la partecipazione e l’impegno di altri stakeholders, tra
cui l’Università della Basilicata,
l’Associazione Italiana per l’Infor matica ed il Calcolo Automatico (A.I.C.A.) e la Regione
Basilicata.
In questi giorni la Regione Basilicata, grazie ad una sinergica collaborazione con l’U.S.R.,
ha stanziato un secondo finanziamento, di oltre 3.000.000,00
di euro, per la realizzazione di
nuove scuole 2.0 e cl@ssi 2.0.
G r a z ie al cof i na n z ia mento
della Regione Basilicata il Distretto 2.0 potrà contare su 201
cl@ssi 2.0 e 14 scuole 2.0, con
molte scuole (r icadent i nelle
Unioni dei Comuni e dotate ciascuna di oltre 8-10 cl@ssi 2.0)
destinate a diventare a breve
nuove scuole 2.0.
A distanza di un anno dall’avvio del “Distretto Scol@stico
2.0”, l’ampio consenso riscontrato e le numerose richieste di
adesione all’iniziativa da parte
di scuole che autonomamente e
con fondi propri hanno avviato
sperimentazioni analoghe, incoraggiano a proseguire sulla
strada intrapresa. L’auspicio è
di includere presto nel Distretto le 125 scuole della Regione,
offrendo a tutte le medesime opportunità in termini di dotazioni tecnologiche e infrastrutture
di rete per favorire la diffusione della cultura digitale nella
scuola.
*Coordinatore Ufficio Scolastico Regionale della Basilicata
TuttoscuolA n. 556
La scuola digitale lucana:
un modello per l’Italia
L
a Basilicata è una piccola
regione con appena 600.000
abitanti che sale alla ribalta
nazionale quando con la Fiat di
Melfi contribuisce notevolmente
a far risalire il Pil. Si conosce la
Basilicata perché è la regione che
produce le più grandi quantità
di petrolio e perché Matera sarà
capitale europea della cultura nel
2019.
I n Basilicat a è i n at to u na
grande rivoluzione digitale che
coinvolge l’intera rete scolastica
regionale. La scuola della Basilicata partecipa al profondo processo di cambiamento, che un
mondo in continua evoluzione
richiede, con il progetto Scuole
2.0.
Esso ha fra i suoi obiettivi principali quello di sperimentare e
analizzare come l’introduzione
di strumenti tecnologici avanzati possa cambiare i processi di
insegnamento-apprendimento e
l’organizzazione stessa del lavoro
nelle scuole.
Il presidente regionale Marcello Pit tella con l’assessore
all’istruzione Raffaele Liberali,
assicurando la banda larga in
tutti i comuni entro il 2017, ha
avviato un processo di digitalizzazione di tutta la scuola lucana
con un investimento complessivo
di 5 milioni e 340 mila euro.
Tutto ha avuto inizio nel settembre 2014 con la consultazione delle famiglie degli alunni e
degli operatori scolastici denominata “I visionari della scuola”. Ecco come l’iniziativa è stata
presentata:
“CHI SONO I VISIONA R I DE L L A SC UOL A?
Sono gli ospiti nazionali: Dianora
Bardi per le tecnologie, Marinella
TuttoscuolA n. 556
di Mario Coviello*
Sclavi per l’integrazione, Marco
Rossi Doria per la scuola di base, Samuele Borri per l’edilizia
scolastica e Elena Ugolini per l’orientamento, che per professione
si sono occupati del tema, e ne
hanno tratto una visione lunga.
Sono i presidi delle scuole che
spesso, con coraggio e volontà,
portano avanti i loro istituti tra
mille difficoltà, facendo il meglio
che possono, con quello che hanno.
Sono le famiglie, che hanno l’obiettivo di chiedere il meglio per
i propri figli, e alla scuola chiedono l’opportunità di lavorare di
concerto per traguardare il futuro con concretezza e ottimismo.
Sono i ragazzi, gli studenti di
ogni età, che hanno la giovinezza, hanno il potere della creatività, hanno gli strumenti ma non
sanno ancora utilizzarli, hanno
le chiavi per capire il mondo che
cambia, per interpretare le cose
che accadono …Mentre accadono. Siamo t ut ti noi, quando pro v i a mo a r a g io n a r e a s sie m e ,
orientati da una visione comune, senza qualunquismi, senza
perbenismi, senza pessimismi.
I Visionari della Scuola è il racconto corale di una scuola che
vuole essere migliore.”
I referenti nazionali, utilizzando la piattaforma Ask, hanno coordinato cinque gruppi ai quali
hanno partecipato centinaia tra
genitori, docenti, alunni, associazioni, che hanno discusso per un
mese questi temi. Il dibattito si è
concluso con la presentazione di
cinque tesi il 6 e 7 novembre 2014
nel teatro di Stabile di Potenza,
gremito in ogni ordine di posti.
L’assessore Liberali in quell’occasione ha dichiarato: “Una discussione aperta e animata sui
temi dell’istruzione e della scuola
serve a tutti. La due giorni de
“I visionari della scuola” nasce
proprio dall’idea di riflettere con
tutti, a partire dagli studenti, su
quale scuola vogliamo domani,
su quale visione a lungo termine
vogliamo concretizzare”. E subito ha avuto inizio il progetto
della scuola digitale lucana.
Attraverso un’analisi dei contenuti e dei materiali didattici
prodotti dalle Scuole 2.0, nate in
Basilicata a partire dal 2008, il
progetto ha cominciato a testarne la replicabilità e sostenibilità,
attraverso azioni di diffusione,
valutazione delle competenze
acquisite dagli allievi, anche rispetto ad altre metodologie e percorsi educativi. Con gradualità,
progettando processi in continuità fra i tre ordini della scuola
dell’obbligo, si è costituita la rete
delle scuole del Distretto 2.0.
I finanziamenti regionali interessano 201 classi 2.0 (13.000
euro ciascuna) e 14 scuole 2.0
(150.000 euro ciascuna). Sono
stati potenziati, inoltre, 2 centri
scolastici digitali, 2 poli formativi e quello di editoria scolastica digitale, la scuola in ospedale
55
TECNOLOGIE
Dossier
TECNOLOGIE
Dossier
della Regione Basilicata e il Centro Territoriale di supporto nuove
tecnologie e disabilità.
Obiettivo principale del progetto è quello di ridurre il digital divide inter no al mondo
della scuola e fornire un impulso
notevole allo sviluppo del Piano Nazionale Scuola Digitale,
attraverso la realizzazione delle infrastrutture di connessione
alla rete internet a banda larga
ed ultralarga di tutte le scuole
e classi finanziate L’azione prevede la dotazione/potenziamento dell’hardware e del software
(Lim, Tablet, server)
La rete di scuole ha cominciato a scambiare esperienze,
condividere risorse e soluzioni
didattiche, analizzare le diverse
problematiche che si presentano nell’uso didattico delle nuove tecnologie, sistematizzare i
risultati.
La responsabilità del raggiungimento degli obiettivi formativi è
affidata alla comunità professionale dei docenti utilizzando nel
modo più esteso il Regolamento
dell’autonomia.
Si sta realizzando un database
comune che contiene e mette a
disposizione delle scuole del distretto 2.0 tutti i materiali di documentazione ritenuti necessari,
frutto di studi e ricerche nazionali
e internazionali e l’insieme delle
pratiche didattiche realizzate nello
svolgimento del progetto.
Circa duecento docenti e quattro dirigenti scolastici si stanno
formando sull’uso didattico delle
nuove tecnologie con un corso che
ha avuto inizio nel mese di settembre e si concluderà il 31 ottobre.
Il bando regionale per la formazione è stato vinto dall’Associazione “Impara Digitale”.
L’Associazione è coordinata dalla
professoressa Dianora Bardi, componente della task force sull’innovazione del MIUR, e stimata in
Italia e in Europa come ideatrice della “classe scomposta”. La
56
professoressa Bardi ha affrontato,
con i docenti in formazione, il tema delle competenze: cosa sono
e come si può insegnare affinché
gli alunni possano acquisirle. Il
corso punta alla trasversalità, come pilastro della progettazione del
Consiglio di Classe, che individua
una competenza trasversale che
viene sviluppata contemporaneamente in due o più discipline, con
il linguaggio e il metodo proprio
di ciascuna.
La formazione si basa sulla
condivisione, collaborazione e cocreazione, che sono le strategie
per la costruzione e la gestione
dei gruppi e delle loro dinamiche,
fisicamente e nel cloud. I docenti, già nelle prime dodici ore di
formazione, hanno imparato a
costruire “la nuvola”, il cloud learning, l’ambiente che amplia gli
orizzonti della classe inserendola
in una “nuvola informatica” e ne
sfrutta le potenzialità.
Le attività laboratoriali occupano la gran parte della fase in
presenza e si svolgono sotto la
supervisione del docente esperto di “Impara digitale” che ha già
sperimentato nella sua classe le
metodologie che insegna. Il corso
si attua con modalità blended e
prevede una formazione sia in presenza che a distanza, con la possibilità di approfondire le tematiche
sulla piattaforma e-learning di Impara digitale.
Le scuole dei docenti che partecipano alla formazione potranno
caricare e pubblicare nella piattaforma predisposta le attività svolte
e i prodotti realizzati (curriculum
mapping), creando così una repository regionale dalla quale tutte
le altre scuole potranno attingere
progettualità da sperimentare nelle proprie pratiche didattiche
La net-generation è nata e vive
con computer e iphone, ha bisogno di una scuola al passo con i
tempi che si può realizzare solo
se i docenti sanno usare questi
strumenti e ne conoscono le potenzialità didattiche. E’ necessario che le famiglie siano coinvolte
dalle scuole e partecipino a questo
processo di modernizzazione, non
solo mettendo a disposizione, dei
figli a scuola, i computer, i tablet
e/o gli i-phone che posseggono,
ma offrendo alla scuola e ai figli la
propria disponibilità, il tempo per
costruire insieme il futuro.
*Componente della task force per la
digitalizzazione della scuola lucana della
Regione Basilicata
TuttoscuolA n. 556
Nuove tecnologie, nuova didattica,
nuova formazione per i docenti
L
a scuola ha bisogno di un profondo rinnovamento per adeguarsi
ai nuovi scenari della conoscenza e prepararsi al meglio per le sfide
del futuro. L’innovazione tecnologica
è al centro di un ampio dibattito, al
momento più orientato sul potenziale
insito nelle tecnologie digitali rispetto
all’effettivo uso che se ne fa all’interno
del sistema scuola. La sfida è quella di
mettere in primo piano la didattica per
competenze con l’ausilio delle tecnologie e produrre un modello di “fare
scuola” esportabile, la cui efficacia sia
verificabile attraverso adeguati strumenti di monitoraggio e valutazione.
Questo è il focus con cui il Centro
Studi ImparaDigitale si è aggiudicato
il bando per ”addestramento e formazione del personale docente nell’uso
di strumenti e metodologie innovative
nell’insegnamento per la scuola 2.0”
indetto dalla Regione Basilicata. Una
sfida ambiziosa che ha visto il coinvolgimento di 15 formatori senior del
Centro Studi, una programmazione
strutturata su cinque poli (Potenza,
Rionero, Lauria, Policoro, Matera),
per 200 docenti di diversi ordini di
scuola e con diversi livelli di conoscenza sia dell’uso delle tecnologie
che della didattica per competenze.
Purtroppo il tempo è stato molto limitato e non si è avuto il modo di sperimentare adeguatamente nelle classi
quanto proposto nei vari corsi, ma l’obiettivo principale del programma era
quello di porre l’attenzione sull’importanza della creazione e l’utilizzo
di ambienti che ampliano gli orizzonti
della classe inserendola nella “nuvola informatica”; far comprendere
l’importanza della trasversalità come
pilastro della progettazione del Consiglio di Classe, fornendo allo studente
strumenti per analizzare, rielaborare
criticamente e realizzare un apprendimento personalizzato; sviluppare
TuttoscuolA n. 556
di Dianora Bardi*
un modo di fare scuola che parta da
situazioni problematiche mutuate anche dalla realtà, in cui gli studenti sono chiamati a misurarsi per diventare
protagonisti del proprio percorso di
apprendimento, crescendo in autonomia e responsabilità; far comprendere
l’importanza dell’acquisizione delle
competenze della condivisione, collaborazione e co-creazione.
Alla base di tutto il percorso vi è il
Metodo Bardi-ImparaDigitale, che ha
la visione di un cittadino profondamente radicato in una società interconnessa e globalizzata. Una società
nuova, digitale, in cui il giovane deve
sapersi muovere con spirito critico e
deve potersi costruire una personalità forte, riflessiva, autonoma, creativa, capace di risolvere problemi
e di adattarsi alle più svariate situazioni. Per far acquisire tali competenze e far sì che lo studente diventi
un cittadino digitale consapevole,
la contestualizzazione non può non
essere che la didattica per competenze: il docente è libero di utilizzare
le metodologie che meglio gli sono
consone, dalla flipped classroom a
classe/scuola scomposta, alla lezione
frontale.
Non per nulla nell’ultimo report
dell’Ocse la scuola italiana risulta
ancora in ritardo rispetto al digitale
e non bastano le sole competenze
digitali definite dall’Agid:“Le capacità di utilizzare con dimestichezza e
spirito critico le tecnologie dell’informazione per il lavoro, il tempo libero
e la comunicazione sono competenze
utili a tutti i cittadini per poter partecipare alla società dell’informazione
e della conoscenza ed esercitare i diritti di cittadinanza digitale”.
Per realizzare un’innovazione vera
nella scuola, è fondamentale l’entusiasmo dei docenti, dei dirigenti
scolastici, degli studenti e delle loro famiglie. Ed è il clima con cui la
Basilicata ha affrontato questa avventura: una Regione con tanta voglia di essere connessa, di scambiare
esperienze, di far sì che i ragazzi rimangano nella propria
Regione per farla crescere e sviluppare tutte
quelle potenzialità di
cui è ricchissima.
Per supportare al meglio i docenti è stato
proposto il nuovo ambiente web che ImparaDigitale ha realizzato
in collaborazione con Fondazione
Telecom Italia: il curriculum mapping. Grazie ad essa i docenti potranno condividere programmi tra
docenti della stessa disciplina e tra
scuole dello stesso network educativo, sotto la supervisione dei coordinatori didattici, agevolando la
fruizione ordinata e integrata dei
contenuti didattici digitali da parte
degli studenti. Nell’ambiente web si
possono vedere in modo sinottico i
valori educativi fondamentali della
scuola, le competenze di riferimento,
la loro applicazione nei diversi assi
culturali e livelli o gradi di scuola,
la programmazione annuale per ogni
anno e ciclo scolastico e la strutturazione delle unità di apprendimento
della programmazione. D’altra parte,
come sostiene sempre l’Ocse, l’integrazione della tecnologia nella scuola
non è questione di device, di strumenti o di tempo: “Il fattore cruciale sono
i docenti, i dirigenti e gli altri decision
maker che hanno la visione e la capacità di mettere in connessione studenti, computer e apprendimento”.
*Vice-Pre sidente Cent ro St udi
ImparaDigitale
57
TECNOLOGIE
Dossier
LE INTERVISTE
TECNOLOGIE
Dossier
di Paola Torre
Cambiare si può. Così cambiamo i nostri istituti. Al netto
delle discussioni le scuole sul territorio stanno cambiando
pelle. In prima fila ci sono dirigenti scolastici e docenti. In
Basilicata, nell’attesa degli effetti della riforma della “buona scuola”, è presente la capacità di fare buona istruzione,
non senza sacrifici personali, ed è forte la convinzione che
la scuola è un servizio pubblico, con al centro gli utenti e
perciò gli studenti e le loro famiglie.
Docenti in formazione a Lauria
Intervista alla profssa Maria Luisa Sabino, dirigente scolastica
dell’istituto comprensivo “ Torraca” di Matera
“Uno sforzo condiviso”
I
l modo di vivere delle persone è mutato e gli
studenti hanno nuove opportunità di apprendimento. In che modo l’Istituto Comprensivo
“Torraca” di Matera si sta muovendo per rispondere al cambiamento?
“Consapevoli che le nuove tecnologie saranno
sempre più presenti nella vita quotidiana, la nostra
finalità è che i ragazzi imparino a gestire e non a
subire il loro utilizzo, mantenendo integra la loro
innata curiosità critica.
Gli insegnanti stanno assumendo un nuovo ruolo
di educatori, flessibile e dinamico, pronto a sperimentare e delineare ambienti di apprendimento non
tradizionali.
La scuola supporta i docenti nello sviluppo
di nuove competenze nella creazione della conoscenza, nella gestione dei gruppi classe, nella
promozione della conoscenza di nuove possibilità
tecnologiche.”
Qual è il suo rapporto con le nuove tecnologie?
Nel suo lavoro usa le nuove tecnologie: come, per
fare cosa?
“Ritengo che il rapporto di ciascuno di noi con
le TIC sia ormai strettissimo. Gli strumenti tecnologici mi accompagnano costantemente nei miei
spostamenti, per essere pronta, anche a distanza, a
risolvere i problemi della scuola in cui opero.”
La sua scuola ha problemi di connessione? Ha
dotazioni tecnologiche sufficienti e aggiornate?
“La scuola è collegata alla rete regionale a banda
larga. Le dotazioni tecnologiche (compresa la classe 2.0) andrebbero aggiornate, e con grandi sforzi,
58
Maria Luisa Sabino,
dopo un’e sper ien za
giovanile presso una
ditta tedesca a Milano,
nel 1992 assume l’incarico di docente a t.i.
di lingua e civiltà tedesca nella propria città natale, Matera. È
stata componente del Nucleo di Supporto
all’Autonomia Scolastica, presso l’ USR
Basilicata (2004-2009), in qualità di Referente Regionale per le nuove tecnologie e
le lingue straniere. Ha proseguito poi l’incarico di docente, affiancandolo a quello
di consulente alla Regione Basilicata per
un progetto di potenziamento e innovazione del sistema di istruzione e formazione
regionale. In tutto il percorso professionale è sempre stata accompagnata da una forte curiosità, che ha trasmesso nel
suo ruolo di docente esperto e Tutor nelle
Nuove Tecnologie. È dirigente scolastico
dal 2013.
ogni anno, la scuola ne rinnova una parte. Nei tre
ordini di scuola (infanzia, primaria e secondaria di
primo grado) sono presenti 2 laboratori, 15 LIM, 15
tablet, computer portatili, lettori DVD, ecc. Ci sono
anche alcuni alunni che portano i loro apparecchi.”
TuttoscuolA n. 556
L’innovazione tecnologica costituisce solo una
moda passeggera o determinerà il nuovo volto
della scuola in Basilicata?
“Sicuramente non sarà una moda passeggera, se
riusciremo a trasformare una metodologia didattica
basata sulla conoscenza delle TIC ad un approccio
basato sul loro uso per creare nuova conoscenza.
Ritengo che ciò stia accadendo in Basilicata con la
diffusione del “Distretto Scol@stico 2.0”.”
Quanti docenti si sono attivati, quante classi
e in quali discipline osserva l’uso più frequente
delle tecnologie? Quali i risultati positivi? Può
fare qualche esempio di buona pratica? Ha potuto
rilevare qualche criticità da risolvere?
“Progressivamente i docenti, anche quelli più restii, dapprima costretti dalla introduzione del registro elettronico, poi sollecitati dalla presenza di
alunni con bisogni speciali, hanno sciolto le proprie
riserve sull’utilità delle nuove tecnologie in classe:
i risultati più evidentemente positivi si riscontrano nella serenità dell’ambiente di apprendimento
che circonda gli alunni, felici di poter usare i loro
strumenti tecnologici. Molte le Buone pratiche: il
metodo Byod o il progetto “Scuola Multimediale
di Protezione Civile”… La principale criticità? Il
sovraccarico di connessioni che la rete interna non
sempre sopporta.”
Dossier
Le modalità formative messe in campo da Impara Digitale, promosse nel quadro del progetto
“Distretto Scol@stico 2.0” sono soddisfacenti
rispetto alle esigenze formative dei docenti? Quali
sono i punti forti? Quali le criticità?
“Sto frequentando anche io il corso, per acquisire
le competenze necessarie a promuovere il processo
innovativo a scuola. Penso che i contenuti siano
pregnanti ed efficacemente organizzati. Immediatamente i corsisti hanno proposto nelle loro scuole
le novità apprese. Nessuna criticità se il processo di
formazione vedrà una capillare ricaduta nelle diverse
realtà scolastiche.”
TECNOLOGIE
Come avviene la gestione tecnica delle infrastrutture? Quali e quante figure vi sono dedicate?
“Nel primo ciclo di studi manca la figura dell’assistente tecnico, per cui la gestione tecnica viene
affidata a docenti o amministrativi che volontariamente se ne facciano fanno carico, con competenze
e passione personali.”
Le tecnologie impongono ripensamenti della
didattica e degli spazi di apprendimento?
“Concordo con l’idea di Weinberg che la conoscenza non sia fissa e immutabile, contenuta negli spazi
fisici di scuole o biblioteche. Ma se la conoscenza è
fluida e multidisciplinare, la didattica va organizzata
per moduli condivisi tra le varie discipline, e soprattutto non ingessati in rigidi spazi e tempi di apprendimento. La campanella del cambio dell’ora segna
ancora un confine netto, tra uno scompartimento e
l’altro, dell’apprendimento dei nostri alunni.”
Ha riscontri su come studenti e genitori hanno accolto le innovazioni che la sua scuola ha
introdotto?
“Certo, attraverso colloqui e, in modo tecnico,
attraverso i questionari di valutazione dell’operato
della scuola a fine anno
Al termine dello scorso anno scolastico abbiamo
somministrato, a genitori ed alunni, un questionario
di gradimento circa le attività svolte a scuola. La domanda finale richiedeva di specificare quali ambiti
avessero riscosso un maggiore successo e in quali
settori si desiderassero ulteriori approfondimenti.
In entrambi i casi la risposta ha incluso l’uso delle
nuove tecnologie.”
Ritiene che il processo di digitalizzazione
della Basilicata sia sulla strada giusta? Cosa
suggerirebbe alla Direzione Regionale e all’Assessorato Regionale all’Istruzione per migliorare
il processo?
“Il processo innovativo in Basilicata implica un
grande sforzo condiviso e cooperativo. L’USR e l’Assessorato Regionale devono continuare a sostenere
e coordinare il processo innovativo promuovendo
la partecipazione civica, sostenendo la creatività
culturale, aiutando le scuole a rimuovere gli ostacoli
materiali negli aspetti di organizzazione e gestione
dell’innovazione. Se continuiamo tutti a dare, con lo
stesso entusiasmo, il nostro contributo, il “Distretto
Scol@stico 2.0” costituirà una buona pratica per
molto tempo.”
TuttoscuolA n. 556
59
LE INTERVISTE
TECNOLOGIE
Dossier
La tecnologica agevola l’innovazione educativa, ma per valorizzarne le opportunità bisogna cambiare la didattica. Il digitale assume un ruolo facilitante ma per sfruttarne tutte le potenzialità elemento
decisivo è la connessione in banda larga e la formazione del personale.
Intervista al professor Riccardo Lopes, docente presso
l’istituto “G. Fortunato” di Rionero in Vulture
“La semplicità d’uso”
Qual i carat terist iche dovrebbero avere
hardware e software per aiutare gli insegnanti nello sviluppo digitale della scuola e della
didattica?
“La semplicità d’uso è una chiave di successo,
non tutti amano le tecnologie. La compatibilità
multipiattaforma anche, aiuta nella babele di linguaggi autore.”
Il funzionamento degli strumenti tecnologici
della sua scuola è soddisfacente? Quali sono le
problematiche?
“Il programma Scuol@ 2.0, che stiamo attuando con Distretto 2.0 USR e Regione Basilicata,
risolverà alcuni problemi, ma i risultati ottenuti
con le risorse attuali sono già apprezzabili: nei
prossimi giorni, nel meeting “La Scuola nel Virtuale” organizzato a Firenze da Indire, illustreremo alcune esperienze.”
Quale ripensamento si impone nell’organizzazione delle “lezioni” e degli spazi di
apprendimento?
“Far lezione in modo tradizionale non ha senso
e l’uso delle TIC, da solo, non migliora l’apprendimento. Occorre “smontare” e “rimontare”
metodi, contenuti e spazi per l’apprendimento,
tenendo conto del potenziamento offerto dalla
tecnologia.”
Ritiene che la digitalizzazione abbia effetti
sull’interazione con i colleghi?
“Interagiamo ora molto più di prima. Presentammo uno School Social Network all’Innovative
Edu Forum di Berlino del 2010, era l’unica proposta in tal senso. Oggi le comunità digitali sono
una consuetudine nell’interazione e nell’apprendimento informale.”
Le tecnologie quale grado di coinvolgimento possono provocare negli alunni? Qual è il
mix di elementi che funziona?
“Un’esperienza coinvolgente è la didattica
60
Docente di Disegno e
Storia dell’Arte presso
l’IIS “G. Fortunato”
di Rionero in Vulture, è Consulente per il
Miglioramento SNV;
in aula integra nuove
metodologie e tecnologie con la didattica
curriculare; ha esperienze come eTutor e
IT trainer in programmi IWB e di formazione post-laurea per docenti; ha frequentato a Bruxelles il Future Classroom Lab
di European Schoolnet; è specializzato in
Comunicazione multimediale e Didattica online; ha partecipato all’Innovative
Education Forum 2010 di Berlino come
autore di uno dei primi sviluppi di social
learning.
immersiva. In ambiente edMondo lo studente
interagisce e crea, sviluppa competenze innovative e tradizionali. E’ possibile scrivere un Libro
3d in cui esplorare i contenuti standoci dentro,
virtualmente.”
Parliamo di stili di apprendimento degli
alunni: come l’utilizzo delle tecnologie può venire incontro alle diverse esigenze di apprendimento degli alunni? “Velocità e multi direzionalità del mobile inf luenzano le modalità di apprendimento. E’ un
trend non contenibile. Vietare l’uso di smartphone in classe è una follia: sono potenti strumenti
utili per la didattica.”
Quali effetti sui risultati di apprendimento
dei ragazzi?
“Registriamo risultati molto positivi soprattutto nei ragazzi con problemi di apprendimento o
di motivazione.”
TuttoscuolA n. 556
Quali le azioni di formazione dedicate ai docenti ha frequentato, sta frequentando o pensa di frequentare in futuro? Quali sono le sue
aspettative?
“Il Distretto 2.0 di Basilicata svolge un’importante
azione con i corsi del Centro Studi Impara Digitale,
Dossier
un elemento di stimolo per la comunità scolastica.
Altri corsi che frequento sono quelli per le Avanguardie di Indire e di European Schoolnet. Tra le
aspettative c’è il confronto con nazioni diverse.”
TECNOLOGIE
Il libro di testo e gli altri strumenti tradizionali del processo insegnamento/apprendimento
hanno ancora diritto di cittadinanza ?
“Il libro di testo è ‘sempre acceso’, non ha batterie
che si esauriscono, è maneggevole, è attuale!”
Quali sono i punti forti e quali le criticità riscontrate nella formazione dei docenti?
“L’offerta è adeguata e condotta con modalità laboratoriali, per cui i risultati sono immediatamente
applicabili nel lavoro in aula. Una criticità è la lentezza dell’infrastruttura di rete, ma si è in fase di
soluzione grazie alla banda larga.”
La parola a due studenti: Alessia Pietropinto
e Giuseppe Mancusi, del IV Liceo
Scientifico “Fortunato” di Rionero in Vulture
Un nuovo stimolo
Quale conoscenza hai delle nuove tecnologie
digitali? Cosa ne pensi? Che uso ne fai?
“AP: Mi aggiorno su app e gadget. Uso la tecnologia per gioco e per utilità, penso che faciliti la
vita.”
“GM: Sono molto informato e penso che siano
molto utili per lo studio.”
Le tecnologie stanno cambiando, nella tua
scuola, la “lezione tradizionale”?
“AP: Sì la nostra scuola è digitalizzata e presto
sarà la prima Scuola 2.0 superiore di Basilicata.”
“GM: Si, alcuni professori sono già aggiornati.”
Hai notato la differenza tra la lettura sul web
e quella su carta? Cosa pensi in proposito?
“AP: Il web permette di consultare più contenuti,
ma io preferisco il libro cartaceo. Quando leggo
adoro sfogliare le pagine.”
“GM: Io continuo a preferire il libro cartaceo.”
Le tecnologie usate nella tua scuola stanno
modificando/arricchendo il tuo modo di apprendere/studiare? C’è qualcosa da cambiare?
“AP: E’ più stimolante e meno pesante. Noi nativi
apprezziamo di più una cosa se c’è il digitale, usiamo AutoCAD per il disegno, edMondo per la realtà
virtuale, Aurasma per la realtà aumentata... e si può
sempre migliorare.”
“GM: Si, perché possiamo approfondire gli argomenti studiati. Per ora mi va bene così.”
TuttoscuolA n. 556
61
Genova Palazzo Ducale
Programma attività didattiche 2015-16
Palazzo Ducale, storica sede del
Governo della Repubblica di Genova e residenza dei dogi, è oggi
un dinamico centro culturale. I
Servizi Educativi e Culturali predispongono un ricco programma
di attività dedicate alle scuole di
ogni ordine e grado e sono disponibili anche a ideare progetti ad
hoc.
DAGLI IMPRESSIONISTI
A PICASSO
I capolavori del Detroit Institute of Art | 25 settembre 2015
– 10 aprile 2016
Le opere dei grandi maestri della pittura europea provenienti dal
Detroit Institute of Arts esposti per
la prima volta in Italia, raccontano
la rivoluzione artistica e culturale
del periodo tra Ottocento e Novecento, e anche la grande avventura
del collezionismo americano.
LABORATORI – costo 4,50
euro a studente
Guidati da artisti, musicisti, illustratori e scenografi i ragazzi possono approfondire la conoscenza
dei linguaggi degli artisti esposti
in mostra .
VISITE PER LE SCUOLE
Un ricco programma di visite
guidate dedicate agli alunni delle
scuole di ogni ordine e grado:
Percorsi in mostra / durata 1h;
costo 80 euro a gruppo classe /disponibili anche in lingua straniera
Percorsi in mostra + visita guidata in città / durata 1h45’ – costo
140 euro + ingresso in mostra.
Percorsi in città. Itinerari tematici nel centro storico di Genova /durata 2h30’ – costo 120
euro
62
Su richiesta è possibile effettuare visite guidate alla Torre
Grimaldina in abbinamento al
percorso in mostra.
LA STOR IA IN PIAZZA |
7 - 10 aprile 2016
Giunta ormai alla settima edizione, La Storia in Piazza è la più
importante rassegna italiana dedicata alla Storia in cui per quattro giorni si susseguono incontri,
dibattiti, spettacoli, laboratori
e mostre. L’argomento prescelto per l’edizione 2016 è quello dello sviluppo dell’industria
Palazzo Ducale
le g ite del mese
Turismo Scolastico
cult urale, con una at tenzione
particolare al lungo periodo che
va dalla fine del Settecento fino
alla cultura di massa dei nostri
giorni.
SE LA SCUOLA NON VA A
PA LA ZZO… I L PA LA ZZO
VA A SCUOLA
Laboratori per le classi e corsi per insegnanti possono essere effettuati anche a domicilio
presso le sedi delle scuole, secondo modalità da concordare
di volta in volta.
Informazioni
www.palazzoducale.genova.it - [email protected]
tel. 010 8171604
TuttoscuolA n. 556
le g ite del mese
Beach&Volley School
Turismo Scolastico
BEACH&VOLLEY SCHOOL
Viaggio di istruzione:
tra sport, lingua e cultura
Beach&Volley School, originale alternativa alle convenzionali gite scolastiche di fine anno,
è un progetto didattico sportivo
d’eccellenza nato dall’incontro tra
Federazione Italiana Pallavolo
(FIPAV) e Kinder +Sport. Giunto alla sua decima edizione, il
Viaggio di istruzione da quest’anno raddoppia la propria location:
alla collaudata Bibione (Venezia)
si affianca infatti Scanzano Jonico (Matera), con analoghe garanzie di riuscita per la qualità
delle strutture ricettive e sportive, per la vicinanza a importanti
città d’arte e suggestivi percorsi
naturalistici.
Socializzazione, integrazione
e tanto sport: dal beach volley a
Bibione alla pallavolo a Scanzano
Jonico, ma anche attività secondarie come tiro con l’arco, zumba,
beach soccer, beach tennis, frisbee, ecc. Insomma, una settimana a tutto sport!
Fiore all’occhiello del progetto,
TuttoscuolA n. 556
l’approfondimento della lingua
straniera, con lezioni di inglese, tedesco, francese e spagnolo,
inserite in un percorso didattico
interdisciplinare dove l’attività
sportiva si coniuga con la lingua straniera, le visite culturali e
naturalistiche.
Beach&Volley School diviene
quindi un valido punto di riferimento per tanti Istituti scolastici
di ogni parte d’Italia che desiderano coinvolgere i propri studenti in
un’esperienza senz’altro originale.
Beach&Volley School offre
inoltre interessanti agevolazioni
agli Istituti scolastici che intendono condividere il viaggio con
la propria scuola gemella straniera e si propone come valido
“progetto accoglienza” nel quale
coinvolgere gli studenti del primo
anno con quelli degli anni seguenti, favorendo relazioni tra giovani
dello stesso Istituto di diversa età
e cultura.
I viaggi promossi da Fipav si
completano con il MiniVolleyinGita - Giornate di istruzione
sportiva al mare, rivolto alla
Scuola primaria. Un contesto di
sport all’aria aperta con innovativi
percorsi didattico sportivi volti a
favorire l’acquisizione degli schemi motori di base dei ragazzi e
l’apprendimento in forma ludica
degli elementi base del minivolley.
Per tutte le informazioni e i preventivi, è possibile contattare il
Tour Operator Raduni Sportivi
srl, unico soggetto legittimato dalla Federazione Italiana Pallavolo
a svolgere attività promozionali
e di vendita dei propri viaggi di
istruzione Beach&Volley School
e MiniVolleyinGita.
Informazioni
e richieste di preventivo
www.istruzionesportiva.it
e al numero 041.595.06.12
63
Iniziativa realizzata con il contributo della Regione del Veneto, ai sensi della legge regionale 11/2014 art. 9,
nell’ambito del programma per le commemorazioni per il centenario della Grande Guerra.
Narrare la Grande Guerra
nell’alto vicentino
attraverso i paesaggi, le testimonianze e i ricordi
L
e prealpi vicentine sono la linea naturale di un confine,
che è diventato protagonista
degli eventi bellici tra il ‘15 e il
‘18.
Su queste montagne si è combattuto, ma prima si sono costruiti
forti su speroni di roccia con paesaggi mozzafiato, trincee lungo
i pascoli e al margine di boschi
secolari, poi velocemente abbattuti per far fronte alle esigenze della
guerra, sono state realizzate postazioni di artiglieria dando concretezza a una strategia di attacco
e di difesa, e, ancora, realizzate
tante strade per raggiungere velocemente i luoghi cardine della
linea del fronte, che si andava definendo e che si muoveva a seconda delle capacità degli eserciti.
Oggi possiamo visitare questi
luoghi come un unico grande
museo all’aperto, grazie a un’attività decennale di valorizzazione
e promozione del patrimonio culturale presente nell’alto vicentino attraverso musei e collezioni,
accompagnati da educatori con
competenze storiche e ambientali
e con una specifica attenzione al
paesaggio.
La visita nei luoghi teatro delle
vicende belliche di uno dei principali fronti di guerra è fonte
di apprendimento insostituibile:
salire i sentieri già percorsi dalle
truppe e vedere dove e come sono
64
Foto di G.Santamaria
Ossario Tonezza del Cimone
stati realizzati, entrare nei ricoveri, nelle trincee, sono esperienze
capaci di trasmettere molte più
informazioni di quante si possano apprendere dalle letture o dai
documenti, perché restituiscono
la quotidianità degli spazi a disposizione dei soldati, delle distanze
dalle comodità, dalle fabbriche da
cui ci si approvvigionava di armi, di vestiario e di cibo. Qui è
possibile conoscere gli aspetti più
Musei Altovicentino
le g ite del mese
Turismo Scolastico
significativi dell’esperienza della
guerra, della vita di trincea, del
camminare lungo sentieri e strade
a volte in compagnia di muli, di
aspettare il rancio e ancor di più le
lettere dalla famiglia, a cui si scriveva ogni volta che era possibile.
Musei Altovicentino, progetto
culturale sostenuto da 15 Comuni dal 2001, ha avviato, grazie al
contributo della Regione del Veneto, un programma articolato e
complesso, dal valore didattico di
alta qualità per celebrare il Centenario della Grande Guerra, con
proposte rivolte alle nuove generazioni: visite a musei, itinerari
e laboratori che rispondono a
concrete esigenze didattiche per
esercitare la memoria attraverso
la narrazione.
Scarica la guida interattiva gratuita per
smartphone e tablet dagli store Android e iOS
Per informazioni e prenotazioni di visite e laboratori:
Musei Altovicentino
[email protected] - tel. 0445 580459
www.museialtovicentino.it/grandeguerra
sede: Malo (VI), Largo Morandi 1
È possibile prevedere il soggiorno per una o due notti
con soluzioni sia in albergo che in rifugio.
TuttoscuolA n. 556
Museo Nazionale del Risorgimento
Italiano di Torino
N
el cuore di Torino, al piano
nobile di Palazzo Carignano,
ha sede il Museo Nazionale
del Risorgimento Italiano, il più
antico e noto tra i musei di storia
italiani, “nazionale” per importanza
e ricchezza delle sue collezioni. Al
suo interno è conservata l’aula della
Camera dei deputati del Parlamento
subalpino del 1848 con gli arredi
originali. Fondato nel 1878, oggi è
un museo moderno, multimediale
e interattivo, uno dei principali poli
culturali della città. Attraverso un
percorso di 30 sale, caratterizzate
ognuna da un colore, racconta il Risorgimento in chiave italiana ed europea: dalla rivoluzione francese fino alle soglie della prima guerra
mondiale offrendo la visione diretta di documenti e
oggetti unici nel loro genere. Per le scolaresche sono
previste visite guidate, percorsi tematici e laboratori preparati e modulati con carattere più ludicodidattico per la scuola primaria, più approfondito per
le secondarie. Le attività che iniziano sempre dalla
visita del museo, possono proseguire nelle tre aule didattiche e spesso sono abbinate alla visione di filmati
proiettati nella sala cinema. Il ricco patrimonio della
Biblioteca specialistica offre inoltre la possibilità di
completare e arricchire gli argomenti trattati. Uno degli obiettivi
principali è quello di accompagnare
gli studenti alla scoperta di fatti e
personaggi del passato attraverso
un immaginario viaggio nel tempo,
per mantenere la conoscenza di quel
periodo e stimolare con lo studio
della storia, la cultura alla cittadinanza attiva e la condivisione dei
valori collettivi.
Tra le tante novità segnaliamo
le visite: “La Grande guerra” e “La
satira nel Risorgimento” e i laboratori: “Giornalisti nell’Ottocento” e
“Geografia del Risorgimento”. Tra
i percorsi più richiesti e consolidati nel tempo si
confermano: il laboratorio “Un giorno al Parlamento” e le visite “I grandi personaggi” e “I canti della
patria”.
Da settembre è allestita la mostra: “Torino e la
Grande guerra”, inserita per chi lo desidera nei percorsi di visita fino alla primavera 2016.
INFORMAZIONI
MUSEO NAZIONALE DEL RISORGIMENTO ITALIANO
Piazza Carlo Alberto, 8 – 10123 Torino
Servizi Educativi: tel. 011.5623719 (lun-ven:
10:00-13:00)
[email protected]
[email protected]
www.museorisorgimentotorino.it
Il programma completo delle attività
didattiche, realizzate con il sostegno della
Fondazione Vittorio Bersezio, è consultabile
nella pagina “didattica” del sito: www.
museorisorgimentotorino.it.
TuttoscuolA n. 556
65
le g ite del mese
Museo Risorgimento
Turismo Scolastico
La Scuola racconta l’Europa
di Antonio Augenti
UNA PEDAGOGIA
DEI DIRITTI
L
a questione dei diritti umani
si pone sullo sfondo di molti
problemi che i paesi europei
sono spinti ad affrontare nell’epoca che stiamo attraversando. Il
fenomeno migratorio in atto da
tempo porta con sé non poche implicazioni che attengono al modo di porsi da parte degli europei
nei confronti di persone costrette
ad allontanarsi per ragioni varie
dalle loro terre,per trovare altrove
condizioni di sopravvivenza e di
crescita.
Le tensioni accese da tale fenomeno gettano un’ombra sulla
disponibilità che la gente che vive
nel Continente europeo avrebbe
naturaliter ad accogliere persone
in difficoltà, costrette ad allontanarsi dai loro paesi. Vengono così
a determinarsi situazioni che mettono in forte dubbio la tenuta di
comportamenti rispettosi dei diritti che vari documenti approvati
in ambito internazionale (ONU)
o in particolare a livello europeo
(Unione europea, Consiglio d’Europa) hanno più volte sancito a salvaguardia delle persone.
La discr i m i nazione delle
minoranze,l’intolleranza, la tratta
di esseri umani, la violenza subita
dai bambini non dovrebbero trovare spazio in società vocate ad
una convivenza civile.
Se è difficile portare avanti in
generale una politica capace di
66
proteggere i diritti della persona
in momenti non particolarmente
conflittuali e problematici, si comprende, tuttavia, bene come sia
quasi impossibile darvi atto in fasi
storiche in cui, come si è notato,
esplodono risentimenti, prevenzioni, sospetti che gli equilibri di
alcuni paesi possano saltare a causa di fattori che destabilizzano il
quadro delle relazioni tra i popoli.
La mano passa inevitabilmente,
quindi, a chi si occupa di educazione: le istituzioni scolastiche,
ma nondimeno le famiglie, perché è necessario fare opera di
formazione in termini di quella
che un’importante Organizzazione internazionale (“Save the
Children”) con il contributo della Commissione europea chiamò
qualche anno fa una “pedagogia
dei diritti”.
Tenuto conto di ciò di cui risentono nel mondo soprattutto i
bambini (alta mortalità infantile,
violenza, forte disagio economico
e sociale) veniva sollecitata l’azione di tutti a favore di una cittadinanza attiva e responsabile, capace
di attuare condizioni di pari opportunità e di crescita per tutti. Indubbiamente i contesti scolastici,
anche per le professionalità di chi
vi lavora, sono quelli da preferire
per svolgere quella “pedagogia
dei diritti” di cui si è detto. Quali
punti di arrivo di questa azione
sono da tener presenti gli obiettivi della non discriminazione, del
superiore interesse dei minori,
della protezione, della sopravvivenza e dello sviluppo, come della partecipazione.
L’atteggiamento da osservare
per la tutela dei diritti della persona deve trovare evidentemente
linfa in una disponibilità culturale in grado di promuovere e favorire le risposte che le società
devono dare ai bisogni di ogni
uomo. Mi vien fatto di pensare
che l’aver trascurato nelle scuole
e nelle stesse Università gli studi
classici e umanistici ha indebolito, come ho avuto modo di notare
in altra occasione, la costruzione
di un vivere democratico e di un
clima di solidarietà.E’ ciò che è
stato notato dalla grande filosofa
statunitense, Martha Nussbaum,
che ha osservato come “tagliare
le radici degli studi storici e umanistici significhi togliere linfa alla vita civile e democratica”.
Pensieri del genere inducono a
ritenere che una “pedagogia dei
diritti” avrebbe bisogno che un
cambio di rotta fosse impresso ai
percorsi che le società contemporanee stanno seguendo, coltivando la materialità del benessere, il
profitto e l’interesse economico
a danno dello spirito, del sapere
puro e dei valori fondamentali
cosiddetti non negoziabili.
TuttoscuolA n. 556
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