Le macroregioni AdriaticoIonica e Alpina a Expo x Regione Marche

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Le macroregioni AdriaticoIonica e Alpina a Expo x Regione Marche
Le macroregioni Adriatico-Ionica e Alpina a Expo, Milano 11 ottobre 2015
Per valutare il successo di un grande evento come Expo debbono essere presi in
considerazione sia i “segnali forti” che i “segnali deboli”. I “segnali forti” di Expo rimandano agli
indicatori che influenzano il Pil e in questo senso i dati parlano di una esposizione universale di
successo: più di 20 milioni di biglietti venduti, +60% di presenze alberghiere, +30% di
movimenti di carte di credito, +160% di flussi comunicativi.
I “segnali deboli”, tali non perché meno importanti ma perché rispetto ai dati economici godono
di minor rappresentazione, riguardano i contenuti: bene, ad Expo si sono tenuti ben 7000
convegni e momenti di riflessione.
Uno di questi è quello tenutosi l’11 ottobre organizzato dalla Regione Marche in collaborazione
con la Regione Lombardia sul tema delle macroregioni. Un piccolo seminario di studio,
partecipato dai diretti interessati (le due Regioni, i Comuni, gli studiosi dell’università e i relatori)
ma dove il dibattito è stato molto alto e proficuo. Sia come momento di auto riflessione dei
territori macroregionali coinvolti, sia per le prospettive anche operative che ha tracciato, con
l’impegno ad organizzare un confronto tra le due macroregioni ogni anno, alternativamente in
Lombardia e nelle Marche .
Il confronto tra le due macroregioni, quella Adriatico-Ionica già istituzionalizzata e quella Alpina
in via di istituzionalizzazione, era già partito nel seminario di preparazione ad Expo organizzato
ad Ancona e che aveva come titolo “Il vento di Adriano”, con riferimento all’approccio olivettiano
al territorio e al quale erano presenti il presidente Maroni e il presidente di allora della Regione
Marche, Spacca.
Nel seminario a Expo, il ragionamento è partito dall’intuizione di Remigio Ratti dell’Università
della Svizzera Italiana (uno dei relatori) su “spazio di posizione e spazio di rappresentazione”
cioè da un lato la realtà socio-economica, geografica e culturale dei territori e dall’altra la
rappresentazione che essi stessi si danno, intendendo per rappresentazione anche la
dimensione istituzionale. Riflessione importante oggi rispetto al contenitore, ancora incerto e
non istituzionalmente dato, delle macroregioni ma anche rispetto alla dimensione, attualmente
“in bilico” e in via di transizione, della stessa istituzione regionale.
Come presupposto di riflessione, nell'attuale contesto di cambiamento, si aggiungono i concetti
di “luoghi faglia” e “luoghi soglia” cioè da un lato i luoghi di rottura delle forme di convivenza, dei
rapporti socio economici, dei rapporti transfrontalieri, e dall’altro lato i luoghi della loro
ricomposizione, della possibile costruzione di nuove forme di convivenza sociale.
Ponendo così la questione del capire se le macroregioni costituiscano “luoghi faglia” o “luoghi
soglia”, cioè se rappresentino spazi di rottura o soglie di scambio e di interrelazione.
Il dibattito è stato molto alto. Sono stati citati Denis de Rougemont (lo studioso svizzero che
parlava di “elvetizzare l’Europa”), Emile Chanoux (martire della Resistenza in val d’Aosta e
teorico del federalismo valdostano) e Gianfranco Miglio, proposti nel suo intervento da Stefano
Bruno Galli in rappresentanza della Regione Lombardia. Oppure Sergio Anselmi e lo stesso
Adriano Olivetti, proposti come riferimenti da Fabio Sturani per la Regione Marche. E da
entrambi Robert Putnam e Fernand Braudel, andando a ricercare padri nobili di un discorso
storico e culturale di lunga deriva che sta alla base del concepimento di quei due spazi di
posizione come spazi anche di rappresentazione, le due macroregioni Adriatico-Ionica e
Alpina, appunto.
L’approccio della Regione Lombardia alla macroregione Alpina non può prescindere dalla
questione settentrionale e dalla specificità di una regione che, con i suoi 54 miliardi di residuo
fiscale, distacca di ben 33 miliardi il Veneto e l’Emilia Romagna che sono al secondo posto
nella graduatoria con 21 miliardi di residuo fiscale ciascuna. Come scriveva Robert Putnam
parlando della tradizione civica nelle regioni italiane, in Lombardia per effetto dell'età comunale
e altre occorrenze storico sociali, sono presenti una mentalità collettiva, modelli di cultura e di
comportamento molto specifici che ne spiegano la leadership economico produttiva. A cui, ha
ipotizzato Stefano Bruno Galli, si aggiunge una punta di influenza calvinista. Lo stesso Galli ha
poi ravvisato nella genesi e nello sviluppo dell'Unione europea l’origine della scommessa,
secondo lui perduta fin dagli anni ’50, di costituire l'Europa sulla forma Stato; immaginandola
cioè come somma di stati quando già gli studiosi e gli analisti più accorti di allora vedevano che
quella forma-Stato si avviava verso il suo inesorabile declino, “per la complessità delle strutture
sociali, per la complessità delle strutture economiche. Insomma per “una folla di ragioni” come
avrebbe detto Gianfranco Miglio. Sempre S.Bruno Galli ha poi sottolineato anche la
lungimiranza della Fondazione Agnelli che già nel '92 segnalava la catena dell'arco alpino
come spazio in cui si misurano modelli di cultura, di comportamento, filiere industriali e
sensibilità sociali e culturali omogenee e come luogo privilegiato della ricomposizione di
conflitti. Dunque, “mettere insieme i territori, mettere insieme quelle che sono le vocazioni
economico produttive, i modelli di cultura, i modelli di comportamento, le sensibilità sociali dal
punto di vista territoriale può rappresentare davvero la strada del futuro anche dell'Unione
europea”.
Sul fronte della macroregione Adriatico-Ionica è stato invece più volte citato Sergio Anselmi che
ha scritto di Adriatico nei termini della lunga deriva quanto Braudel lo ha fatto per il
Mediterraneo. E poi ancora Robert Putnam, quando lo studioso americano del capitale sociale
dice che “il centro Italia è là dove l'Italia è più Italia” con la sua tradizione dei comuni e il suo
capitalismo dolce. Fabio Sturani della Regione Marche ha ricordato, a riprova di come anche il
meccanismo della macroregione Adriatico-Ionica sia in fondo bottom-up, i numerosi forum delle
città dell'Adriatico e dello Ionio, le reti tra Camere di Commercio dell'Adriatico e dello Ionio, le
università macroregionali che hanno operato e costruito opportunità di crescita, di sviluppo e di
confronto. E quanto siano importanti anche le fusioni tra i comuni che possono essere una delle
risposte ai ripensamenti istituzionali e territoriali salvaguardando l’identità municipale e
comunale, il campanile. E ha posto l’accento su una gestione dei servizi che inizia ad essere
posta su scala interregionale. Sturani ha poi ricordato che la macroregione Adriatico-Ionica è
partita dalla questione pesante della crisi dell'area balcanica e del dissolvimento della ex
Jugoslavia. Il primo forum delle città dell'Adriatico fu realizzato al Comune di Ancona
affrontando il problema di collocare fisicamente le delegazioni di nazionalità che fino a poche
settimane prima si erano fatte la guerra. Questo il dato di partenza, mentre oggi le stesse
nazioni collaborano e realizzano progetti comuni. Senza dimenticare la questione dei flussi
delle migrazioni che vedono il nostro paese, e in modo particolare le regioni adriatico-ioniche,
direttamente interessate, invocando dunque una politica che non può essere una politica
“rinchiusa”. Due visioni diverse dunque, quelle delle due Regioni, ma che proprio per questo si
sono giovate del confronto.
Partendo dalla citazione di Braudel sulla montagna come “epicentro della libertà”, l’intervento di
Remigio Ratti ha poi portato l’esempio eloquente della Svizzera, una terra di diversità tenute
insieme proprio dallo spazio di rappresentazione di questo paese. Uno spazio di
rappresentazione consentito e voluto nel corso dei secoli, oltre che dall’autoriflessione della
Svizzera stessa dagli stati confinanti. Citando direttamente le parole di Ratti “gli altri nella storia
ci hanno lasciato vivere nelle nostre indipendenze braudeliane (“la montagna epicentro di
libertà”) perché faceva comodo a tutti che i passi della Svizzera non fossero asburgici oppure
francesi ma fossero uno spazio libero e attorno allo stato di passo è nata la Svizzera che oggi
troviamo in questa configurazione estremamente diversa e che può essere significativa nel
discorso delle macroregioni perché, se vogliamo, la Svizzera è una macroregione perché così
si è rappresentata”. Così si è rappresentata e così si sviluppa se, come ha raccontato Ratti, pur
nella salvaguardia dei 26 cantoni e delle loro intoccabili peculiarità, la Svizzera programma i
suoi servizi (le infrastrutture dei trasporti, quelle ospedaliere, quelle della formazione, della
ricerca ecc.) a livello di macroaree, quelle che tengono insieme le 5 aree metropolitane
svizzere. Remigio Ratti non si è astenuto dall’indicare anche quella che potrebbe essere una
“trappola” per la macroregione Alpina, affermando che la Svizzera vede il processo delle
macroregioni europee essenzialmente come emanazione della UE. Dunque da un lato come
un processo top down che non piace e dall’altro come una distribuzione di risorse di cui la
stessa Svizzera, non facendo parte dell’Unione, non si avvantaggerebbe.
Le diversità fiscali dentro la macroregione Alpina sono state sottolineate da Giancarlo Pola
dell’Università di Ferrara che ha illustrato il fiscalismo più o meno federalista degli stati che
insistono sulle Alpi: Italia, Francia, Svizzera, Germania e Austria.
Interventi molto significativi sono stati anche quelli che hanno messo in luce buone pratiche
dentro le due macroregioni: come quella di Uniadrion l’università telematica della macroregione
Adriatico-Ionica di cui fanno parte università di Albania, Bosnia-Herzegovina, Croazia, Grecia,
Serbia, Montenegro, Slovenia, Macedonia e Italia, raccontata da Gianluca Gregori
dell’Università Politecnica delle Marche. Il polo universitario macroregionale oltre che di
formazione, si occupa di startup macroregionali accompagnandole fino al fundraising. Oppure
l’esperienza dell’Università della Montagna, un distaccamento dell’università di Milano a Edolo,
in piena montagna, dove gli studenti si integrano nei luoghi montani vivificandoli con iniziative
economiche e culturali di vario genere con un approccio pragmatico che è anche quello
richiesto alla politica dalla su direttrice, Anna Giorgi, secondo la quale “si sa già cosa si deve
fare, non c’è più bisogno di studiare, serve un approccio pragmatico, che venga dalla UE o no
non importa”. Infine il direttore di Marche Spettacolo, Carlo Pesaresi, ha richiamato l’attenzione
sull’importanza della cultura e del mantenimento delle differenze culturali, asset strategico
nell’economia leggera dell’immateriale anche per lo sviluppo economico delle macroregioni.