La responsabilità delle corti supreme per violazione del

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La responsabilità delle corti supreme per violazione del
ISSN 2384-9169
LA RESPONSABILITÀ DELLE CORTI SUPREME PER VIOLAZIONE DEL DIRITTO UE:
IL CASO PORTOGHESE
1. Il sistema di tutela giurisdizionale offerto al singolo dal diritto dell’Unione Europea si intreccia
profondamente con le norme sostanziali e procedurali degli Stati membri. L’argomento è di grande
rilevanza laddove si configurino ipotesi di responsabilità extracontrattuale da parte di questi ultimi
per violazioni del diritto dell’UE. Se in un primo momento esse riguardavano per lo più la mancata o
errata trasposizione delle direttive nonché, più in generale, l’inadempimento delle norme derivanti dai
Trattati (v. sentenza del 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90, Francovich e sentenza del
5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, Brasserie du pecheur e Factortame), con la sentenza
del 30 settembre 2003, causa C-224/01, Köbler, la Corte di Giustizia ha aperto la strada anche
all’azione risarcitoria per condotte illecite commesse dagli organi giurisdizionali. Tale tematica si
innesta sull’obbligo di rinvio pregiudiziale cui sono soggetti i giudici avverso le cui decisioni non sia
più possibile proporre un ricorso di diritto interno (art. 267, comma 3, TFUE) (v. sentenza del 13
giugno 2006, causa C-173/03, Traghetti del Mediterraneo SpA e sentenza del 24 novembre 2011,
causa C-379/10, Commissione europea c. Repubblica italiana), argomento già oggetto di dibattito in
dottrina (cfr. in questa rivista i contributi di Ilaria Anrò e Sofia Monici). In questo contesto si inseriscono
i fatti della sentenza del 9 settembre 2015, causa C-160/14, Joao Felipe Ferreira Da Silva e Brito.
2. La compagnia aerea Air Atlantis SA (in prosieguo: «AIA»), operativa nel settore dei voli charter e
controllata dalla TAP, era stata liquidata e aveva disposto il licenziamento collettivo di tutti i suoi
dipendenti. La TAP, a sua volta, utilizzava le strutture e i beni della AIA per proseguirne le attività, in
particolare su alcune rotte che non aveva mai sfruttato in precedenza. Gli interessati impugnavano
quindi il licenziamento collettivo sulla base dell’art. 3, par. 1, primo comma, della direttiva 2001/23 sul
mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di
imprese o di stabilimenti. All’esito di una complessa vicenda giudiziaria, che li ha visti vittoriosi in primo
grado e soccombenti in appello, la Corte suprema portoghese dichiarava la legittimità del
provvedimento della AIA. I lavoratori chiedevano successivamente – di fronte ad un altro giudice – il
risarcimento del danno ad essi provocato da tale decisione definitiva, sostenendo un errore di diritto
causato dal rifiuto di sollevare la questione pregiudiziale di interpretazione.
Il caso Ferreira Da Silva presenta dunque un duplice profilo: da un lato, il giudice del rinvio chiede alla
Corte di giustizia la corretta interpretazione della direttiva 2001/23; dall’altro lato, e per quel che qui più
interessa, se i principi posti alla base della responsabilità extracontrattuale degli Stati membri, così
come sanciti dalla sentenza Köbler, «osti[no] all’applicazione di una normativa nazionale che richiede
come fondamento della pretesa di risarcimento esercitata contro lo Stato la previa revoca della
decisione lesiva» (sentenza, punto 22). Seguendo l’iter argomentativo offerto dall’avvocato generale
Bot nelle sue conclusioni dell’11 giugno 2015 e dalla Corte, si esaminerà dapprima la direttiva 2001/23
per poi giungere all’analisi della pretesa risarcitoria dei singoli.
Lo scopo della direttiva 2001/23 è la tutela dei lavoratori in caso di trasferimento di impresa. Nella
sentenza in commento ciò si traduce nel verificare se la AIA sia, o meno, un’impresa trasferita ai sensi
della direttiva, nel qual caso i lavoratori dovrebbero, di conseguenza, essere protetti dal rischio di
licenziamento collettivo. Solo rispondendo a questa domanda si potrà poi valutare il ruolo della Corte
Suprema portoghese nell’aver evitato di sollevare il rinvio pregiudiziale. La Corte di giustizia segue
pedissequamente le conclusioni dell’avvocato generale e concorda sull’applicabilità della direttiva.
Infatti, la TAP aveva continuato in maniera sostanziale le attività poste in essere precedentemente
dalla AIA avvalendosi anche delle strutture, dei macchinari e di parte del personale di quest’ultima. In
particolare, se è vero che la mera continuazione non è di per sé elemento sufficiente per attivare le
tutele previste dalla direttiva, è altrettanto vero che la TAP ha usato «elementi patrimoniali
indispensabili»(conclusioni, punto 46) per la prosecuzione delle attività. Pertanto, è possibile affermare
che il trasferimento di impresa abbia avuto esito positivo e che i diritti dei lavoratori debbano trovare
salvaguardia secondo la lettera della direttiva 2001/23.
Secondo l’avvocato generale Bot, tale conclusione sarebbe un passaggio obbligato in quanto
chiaramente ricavabile dalla giurisprudenza della Corte di giustizia e, da ultimo, dalla sentenza del 12
febbraio 2009, causa C-466/07, Klarenberg, decisa pochi giorni prima della pronuncia della Corte
suprema nazionale. Alla luce di tale precedente, l’avvocato generale contesta l’intero impianto della
sentenza portoghese sconfessandone tutte le argomentazioni. Egli, infatti, utilizza le norme della
direttiva, come già interpretate dalla Corte di giustizia, per dimostrare che la Corte suprema avrebbe
dovuto necessariamente effettuare il rinvio. Tale operazione ermeneutica lo conduce a cassare l’iter
logico-giuridico che ha indotto la Corte suprema a considerare legittimo il licenziamento collettivo dei
lavoratori della AIA. Tuttavia, così facendo, l’avvocato generale sembra assumere le vesti di una parte
della controversia, finendo quindi per aggirare sia i limiti delle proprie prerogative sia quelli imposti dal
meccanismo di cooperazione istituito dall’art. 267 TFUE. Ad ogni modo, bisogna anche riconoscere
che la durezza delle sue conclusioni sembra non derivare dall’ignoranza (scusabile?) della
giurisprudenza in materia di trasferimento di impresa e tutela dei diritti dei lavoratori –seppur dirimente
ai fini della controversia principale- quanto piuttosto dalla negligenza dimostrata dalla Corte suprema
portoghese nel non aver attivato la procedura di rinvio pregiudiziale.
3. L’analisi prosegue con le circostanze che avrebbero dovuto indurre la Corte suprema ad effettuare il
rinvio e tra di esse spicca l’asserita contraddittorietà delle decisioni dei giudici di livello inferiore.
L’ipotesi viene rapidamente esclusa dalla Corte di giustizia (sentenza, punto 41) la quale afferma che
tale elemento non può di per sé fondare l’obbligo della questione pregiudiziale.
L’avvocato generale prima e la Corte di giustizia poi richiamano i consolidati principi della sentenza del
6 ottobre 1982, causa 283/81, Cilfit, in presenza dei quali il giudice, quand’anche di ultima istanza,
può evitare di esperire un rinvio interpretativo alla Corte. È noto che – ferma restando, la pertinenza
della questione, intesa come la sua capacità di influire sulla controversia; aspetto del tutto pacifico nel
caso Ferreira Da Silva,- il giudice di ultima istanza – debitamente motivando la propria scelta –
potrebbe decidere di non esperire il rinvio qualora la questione sia materialmente identica ad altre che
siano già state sollevate e decise, oppure se la giurisprudenza pertinente in materia è costante, o,
infine, secondo la c.d. teoria dell’atto chiaro, se l’interpretazione di una norma «può imporsi con una
tale evidenza da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio» (sentenza Cilfit, punto 16).
Tuttavia, i suddetti criteri risultano inapplicabili al caso Ferreira Da Silva poiché la giurisprudenza in
materia di trasferimento di impresa non è affatto consolidata. Anzi, la Corte e l’avvocato generale
sottolineano come detta nozione sia ancora oggetto di forti dubbi interpretativi da parte dei giudici
nazionali e della Corte stessa, la quale è stata più e più volte chiamata ad intervenire per cercare di
chiarirli. Alla luce di queste circostanze, occorre verificare l’impatto della massima Cilfit, che,
comunque, rimane caratterizzata da un’interpretazione restrittiva in quanto eccezione all’obbligo del
rinvio. La sentenza Ferreira Da Silva non offre un’analisi accurata dei principi enunciati in precedenza
ma si concentra sulle caratteristiche delle pronunce sul trasferimento di impresa. Qui si rinviene un
altro passaggio non sufficientemente chiaro. E’ possibile sostenere che non ci sia una giurisprudenza
costante e univoca in materia argomentando semplicemente che ci sono stati troppi rinvii e troppe
sentenze? In altri termini, e a contrario, si può dimostrare empiricamente che una norma sia ormai
così chiara da non richiedere più alcuna interpretazione?
La questione diventa ancora più vitale se si considerano gli altri due parametri accennati nel caso
Ferreira Da Silva. In primo luogo, se solo i giudici di ultima istanza hanno l’obbligo del rinvio, bisogna
considerare solo i rinvii da loro provenienti ovvero solo la loro interpretazione per verificare la
chiarezza di una disposizione di diritto dell’Unione? Un tale approccio restringerebbe ulteriormente le
condizioni previste dalla massima Cilfit al punto da renderla praticamente inapplicabile. In secondo
luogo, e qui si registra un ulteriore punto di criticità sia nelle conclusioni dell’avvocato generale che
nella sentenza, viene più volte evidenziato che nell’ambito del trasferimento di impresa le situazioni
fattuali sono di maggior importanza rispetto a quelle giuridiche. Se ne deve dedurre, quindi, che,
poiché i fatti alla base di una controversia sono sempre diversi per definizione, è de facto impossibile
stabilire la coerenza o meno di un approccio giurisprudenziale.
L’avvocato generale Bot sembra mitigare le conseguenze di una simile impostazione riferendosi
costantemente al citato caso Klarenberg, riguardante la medesima problematica ma nel settore del
trasporto tramite pullman. A suo avviso, se la Corte suprema portoghese avesse utilizzato tale
precedente sarebbe giunta alla corretta interpretazione della direttiva. Anche qui, però, la controargomentazione diventa circolare: e se si fosse trattato di un caso riguardante, ad esempio, beni
immateriali quali brevetti o proprietà intellettuale? Delle due l’una: o la Corte di giustizia ammette
l’assenza di intelligibilità delle disposizioni della direttiva – e sembra che sia questa la strada preferita
dai giudici di Lussemburgo – oppure riconosce esplicitamente che, nell’ambito del trasferimento di
impresa devono essere le argomentazioni fattuali a prevalere su quelle giuridiche. Ciò equivarrebbe
ad escludere ogni possibile utilizzo della massima Cilfit in questo settore. Il che, tra l’altro, spinge a
porsi un altro interrogativo: quale livello di conoscenza del diritto dell’Unione e, in particolare della
giurisprudenza della Corte, deve avere un giudice nazionale? Riconoscendo l’onniscienza come
utopia, pare non esserci (rectius, poterci essere) risposta soddisfacente al quesito. Resta comunque
fermo che, in assenza di rinvio, il giudice nazionale ha l’obbligo di motivare l’iter logico-giuridico che lo
ha condotto ad escludere l’intervento della Corte.
4. L’ultimo aspetto da affrontare concerne le specificità della legislazione nazionale nella misura in cui
per esperire l’azione di risarcimento del danno si richiede il previo annullamento della decisione lesiva.
A tal fine, occorre però dimostrare che essa sia manifestamente incostituzionale o illegittima o
ingiustificata per errore manifesto nella valutazione dei fatti. Inoltre, si registra l’assenza di ulteriori
indicazioni sull’identità del soggetto deputato ad annullare la decisione stessa. La tecnica normativa
portoghese sembra indirettamente richiamare il ragionamento della Corte costituzionale italiana
quando dichiarò la necessità di un intervento da parte del legislatore per abrogare le normative in
contrasto con il diritto dell’Unione invece di lasciare ai giudici di merito la facoltà di disapplicarle in virtù
del principio del primato (v. sentenza del 22 ottobre 1975, n. 232, ICIC) .
La Corte analizza quindi l’art. 13 della legge portoghese n. 67/2007 alla luce dei principi di effettività
ed equivalenza. Secondo il Portogallo, le limitazioni imposte dalla disposizione in commento e, nello
specifico, l’annullamento della decisione lesiva quale presupposto per l’esperimento dell’azione
risarcitoria, sono necessarie per salvaguardare il principio della res judicata(v. sentenza del 18 luglio
2007, causa C-119/05, Lucchini e sentenza del 3 settembre 2009, causa C-2/08, Fallimento
Olimpiclub) ma la Corte statuisce nettamente che «il riconoscimento del principio della responsabilità
dello Stato [...] non ha di per sé come conseguenza di rimettere in discussione l’autorità della cosa
definitivamente giudicata di una tale decisione» (sentenza, punto 55). Ancora, anche il principio della
certezza del diritto deve cedere di fronte alla responsabilità dello Stato nella misura in cui la
salvaguardia del primo a scapito del secondo priverebbe i singoli, da un lato, dei diritti derivanti
dall’ordinamento giuridico dell’Unione; dall’altro, negherebbe che il sistema della responsabilità
extracontrattuale è insito nei Trattati e trova il proprio fondamento nell’obbligo di leale cooperazione
(art. 4, par. 3, TUE).
La sentenza della Corte dichiara inequivocabilmente che il diritto dell’Unione osta alle disposizioni
portoghesi in materia di risarcimento del danno derivante da fatto illecito degli organi giurisdizionali
poiché la legislazione nazionale richiede, come previa condizione, l’annullamento della decisione
lesiva emessa da tale organo, e un simile annullamento è, in pratica, escluso (punto 60). La
conclusione è ulteriormente avvalorata dal richiamo da parte dell’avvocato Generale Bot al ruolo dei
giudici nazionali (art. 19 TUE).
Sebbene il caso Köbler rappresenti la pietra miliare della responsabilità dello Stato per fatto dei giudici
nazionali, ci si sarebbe aspettati che la Corte o l’avvocato generale fornissero al giudice del rinvio i
criteri per verificare la responsabilità stessa. Ciò non avviene esplicitamente ma in maniera velata.
Infatti, si è già evidenziato che le conclusioni dell’avvocato generale e la sentenza della Corte
cassano, nel vero senso della parola, la pronuncia della Corte suprema portoghese. Di conseguenza,
nelle loro pieghe, si possono rinvenire gli elementi forniti al giudice del rinvio a fondamento della
responsabilità del Portogallo per fatto del suo giudice. La violazione, come ampiamente statuito, è
chiara e manifesta (obbligo del rinvio, ex art. 267, par. 3, TFUE) e la direttiva conferisce diritti ai
singoli (in particolare gli artt. 3 par. 1 e 4 par. 1); sembra quindi ragionevole supporre anche il nesso
di causalità tra i due elementi.
5. Se è possibile avanzare un’ultima critica a una sentenza apparentemente ineccepibile è l’assenza
del dovuto riferimento all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione e al concetto di
effettività del ricorso giurisdizionale. Infatti, come sostenuto dall’avvocato generale e dalla Corte, la
legislazione portoghese rispetta il principio di equivalenza ma non quello di effettività. È sufficiente
affermare che il principio di autonomia procedurale è connaturato al Trattato ma sarebbe stato
auspicabile un ancoraggio dello stesso anche ai diritti fondamentali poiché essi stessi sono ormai
parte integrante del diritto primario.
La sentenza Ferreira da Silva rappresenta dunque un autorevole precedente sotto due profili: da un
lato, restringe ancora di più i criteri della giurisprudenza Cilfit relegandola definitivamente, se mai ce
ne fosse ancora bisogno, al ruolo di caso limite di applicazione eccezionale; dall’altro lato, ponendosi
nel solco di una giurisprudenza sempre più, essa sì, consolidata, censura le normative nazionali che
frustrano le ragionevoli aspettative di risarcimento del danno, subordinandolo all’annullamento della
decisione lesiva. Sarebbe interessante capire quanti altri Stati membri abbiano in vigore legislazioni
simili ma al momento non si hanno notizie di un’azione di monitoraggio da parte della Commissione. Il
che accresce ulteriormente il ruolo di garante dei diritti degli individui svolto dalla Corte di giustizia.
Pubblicato il: 17/11/2015
Autore: Marco Inglese
Categorie: articoli ,
Tag: responsabilità dello Stato, rinvio pregiudiziale, trasferimento di azienda
Editore: Bruno Nascimbene, Milano
Rivista registrata presso il Tribunale di Milano, n. 278 del 9 settembre 2014
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