Apollo di Vicarello
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Apollo di Vicarello
Apollo di Vicarello L’ “Apollo di Vicarello” proviene, come suggerisce il suo nome, dall’importante area archeologica di Vicarello, nel Comune di Bracciano. La scultura rappresenta il dio Apollo, anticamente considerato una divinità medica e salutare, dotata anche del potere di scaldare le acque termali. La statua era situata all’interno delle terme romane Apollinares Novae, edificate presso delle sorgenti di acqua calda, minerale e sulfurea utilizzata per la cura delle malattie reumatiche. Le acque erano personificate come Ninfe, chiamate Domizianee per la vicinanza di una delle ville dell’imperatore Domiziano; la villa era situata in posizione panoramica, in riva al lago, ed era collegata direttamente alle terme. Significativo è il parallelo tra le proprietà terapeutiche delle acque e lo stato fisico di Domiziano, “..deformis…crurum gracilitate” (Suetonio, Domitiano). La statua venne portata alla luce nel 1977 nel corso degli scavi effettuati dal prof. Colini in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica per l’Etruria Meridionale; essa fu rinvenuta nella parte nord ovest del Ninfeo delle terme. Si tratta di un busto in marmo pentelico (quindi di provenienza greca) che raffigura un Apollo giovanile, senza barba, con mantello sulle spalle fermato da una fibula circolare. L’opera, originariamente a figura intera, presenta forti analogie con il cosiddetto Apollo del Belvedere, conservato nei Musei Vaticani. L’Apollo di Vicarello rappresenta un pezzo di scultura di altissimo livello e di fattura molto raffinata; ciò è dimostrato, oltre che dalle delicate fattezze del dio, anche dall’uso di un marmo molto pregiato. E’ incerto se la fattura dell’opera sia greca o se si tratti di una copia romana. Oggi la statua è conservata presso la Soprintendenza Archeologica per l’Etruria Meridionale; ne rimangono, oltre al torso, alcune parti del piede, della mano sinistra, del ginocchio, del polpaccio. La statua è stata oggetto di uno studio dell’archeologa Laura Fabbrini, pubblicato nel 1993, che ne ha identificato il prototipo nell’ambito della scultura attica del IV secolo a.c. Partendo da tale ipotesi, e quindi rifacendosi ai canoni proporzionali di quel periodo, la studiosa ha proposto la ricostruzione dell’Apollo, anche in relazione al citato Apollo del Belvedere. La figura del dio doveva essere alta circa due metri ed aveva il clamide (mantello) sulle spalle; il frammento della mano sinistra, che impugna un oggetto di forma cilindrica, fa ipotizzare che il dio potesse tenere in mano una torcia, elemento iconografico spesso usato nelle sue raffigurazioni. La Fabbrini, mediante una serie di confronti con opere simili, propone per l’Apollo di Vicarello una datazione alla prima metà del II secolo, datazione peraltro non condivisa da altri studiosi, che propendono invece per un periodo più antico.