La percezione dello straniero in Italia

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La percezione dello straniero in Italia
ISTITUTO LOMBARDO
ACCADEMIA DI SCIENZE E LETTERE
20121 M I L A N O
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VINCENZO CESAREO
Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
La percezione dello straniero in Italia
La percezione dello straniero nelle società cosiddette “riceventi” muta in modo significativo
a seconda del momento storico e dei contesti geografici. Approfondire i modi in cui lo straniero
viene percepito consente di mettere in luce quanto le migrazioni siano un atto collettivo, secondo
l’espressione di Castles e Miller (2012), che riguarda cioè non solo le donne e gli uomini che
migrano, ma anche il paese di partenza, quello/i eventualmente di transito e il paese di arrivo. I
movimenti di persone hanno ripercussioni sulle strutture e sulla cultura di tali paesi, comportando
cambiamenti che vanno oltre le vite dei migranti stessi, coinvolgendo attivamente anche le società
di arrivo, che sono quindi chiamate ad affrontare le sfide che le migrazioni pongono in termini
identitari, culturali, sociali ed economici. Si registra quindi un consenso sempre maggiore
nell’intendere i fenomeni di inserimento nelle società di destinazione come un processo
“bidirezionale”, di mutuo accomodamento fra nativi e migranti, che chiama e impegna attivamente
sia i migranti, sia la società ricevente (Cesareo, Blangiardo 2009). Lo studio dei processi di
inclusione dei migranti nei contesti di accoglienza, dunque, non può prescindere dall’analisi
dell’evoluzione storica dell’insieme di atteggiamenti e percezioni della società ricevente nei
confronti dello straniero. A seconda di come gli stranieri sono percepiti, infatti, costoro possono
essere esclusi o marginalizzati e questo ha un impatto significativo sulle loro possibilità di integrarsi
con successo.
Per la comprensione dell’odierna “percezione dello straniero in Italia”, occorre considerare
la cornice più generale del contesto europeo e la storia recente del nostro paese dal secondo
Dopoguerra. Nonostante l’ingente fabbisogno di manodopera nel periodo del secondo Dopoguerra
abbia indotto tutti i principali paesi europei a reclutare lavoratori stranieri (dal Nord Africa nel caso
della Francia, dalla Turchia nel caso della Germania), tali paesi non si sono mai considerati “paesi
di immigrazione”. Al contrario, gli Stati Uniti, il Canada o l’Australia si caratterizzano per
un’antica retorica di “nazioni di immigrati”, che hanno potuto nascere e costruirsi proprio grazie
all’apporto di persone giunte da ogni dove. Proprio agli Stati Uniti, nello specifico, vengono
immediatamente associati i miti dell’ “American dream” e del “self-made man”. Ora, questo tipo di
retorica non è mai stata adottata dai paesi europei; così, proprio mentre l’Europa diventava un
continente di immigrazione, i paesi europei, e in modo esemplare la Germania fino a non molti anni
fa, continuavano a definirsi “paesi di non-immigrazione” (Zanfrini, 2007). Questo paradosso rende
appropriata la definizione di “paesi di immigrazione riluttanti” coniata dagli studiosi della materia.
L’Italia non fa eccezione in questo quadro, ma presenta una peculiarità rispetto alle altre
nazioni europee. Il nostro paese, infatti, è stato a lungo un paese di emigrazione. Solo alla fine degli
anni Settanta l’Italia ha cominciato a essere interessata dai primi arrivi di immigrati. Fino alla metà
degli anni Ottanta, in ogni caso, il fenomeno era ridotto a un numero piuttosto esiguo di persone –
circa 500.000; col finire del decennio, e dall’inizio degli anni Novanta in poi, invece, il numero
delle persone che giungevano nel nostro paese è andato aumentando significativamente, con
incrementi esponenziali tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del nuovo millennio. Ad oggi,
secondo le stime di Fondazione ISMU (Blangiardo, 2015), risiedono in Italia regolarmente quasi 6
milioni di cittadini stranieri (5.800.000 all’1 gennaio 2015), pari a circa il 10% della popolazione
totale presente sul territorio italiano. Questo fa dell’Italia sia un paese di relativamente “recente
immigrazione”, oltre che di “cospicua immigrazione”, con un flusso di immigrati del tutto
comparabile ai flussi che hanno interessato paesi di “antica immigrazione”. Orbene, si può
facilmente intuire come un paese che fino a tempi non lontani si percepiva come paese di
emigrazione (e che per molti versi non ha mai cessato di essere tale – la “fuga” di italiani all’estero
ben lo dimostra) e che nel giro di pochi anni si è trasformato in paese di consistente immigrazione,
inserito in un contesto – quello europeo – già paradossalmente “riluttante” alla gestione esplicita dei
flussi migratori, viva la relazione con “lo straniero” come una questione piuttosto controversa e
delicata - forse più di altri paesi - con sentimenti ambivalenti, fortemente influenzabili da come il
tema viene affrontato nel dibattito politico e da come il fenomeno viene gestito dalle politiche
messe in campo.
Ciò è ben indicato dai sondaggi di opinione condotti al riguardo negli ultimi trent’anni. Le
risultanze delle rilevazioni condotte nel corso degli anni fanno registrare significative
trasformazioni degli atteggiamenti e delle percezioni degli italiani nei confronti dell’immigrazione.
In particolare, è possibile suggerire la seguente periodizzazione (Valtolina, 2014): gli anni tra il
1980 e il 2000 sono quelli del passaggio “dall’inconsapevolezza al rifiuto”; quelli tra il 2000 e il
2007 rappresentano gli anni dell’ “europeizzazione degli atteggiamenti”; tra il 2008 e il 2010, le
opinioni e gli atteggiamenti degli italiani risentono degli effetti della crisi economica internazionale;
infine, tra il 2011 e il 2014, si registra una certa ambivalenza nella percezione della presenza di
immigrati da parte degli italiani. A tali periodi se ne può molto probabilmente aggiungere uno, a
partire dal 2015, anno della cosiddetta “crisi dei rifugiati” in Europa.
Analizzando nel dettaglio i dati che emergono da tali rilevazioni, si può evincere che: 1) gli
atteggiamenti mutano con intensità diverse nel corso del tempo, anche in modo del tutto repentino;
2) gli atteggiamenti variano al variare del contesto – ad esempio, la rilevanza dei flussi è senz’altro
uno degli elementi che più incidono sulla percezione dello straniero, ponendo la questione della
sostenibilità dei flussi stessi; 3) sussiste sempre un delta tra la realtà dei fenomeni e la percezione
degli stessi – e questo chiama in causa in particolare il ruolo dei media e il modo in cui le
informazioni vengono riportate; 4) variabili quali l’età, il livello di istruzione, il luogo di residenza
influenzano notevolmente le percezioni e gli atteggiamenti.
Ripercorrere l’evoluzione dei sentimenti degli italiani nei confronti del fenomeno migratorio
rappresenta un’importante occasione anche per una riflessione teorica a un livello più approfondito,
riguardante quello che la relazione con la figura dell’Altro – emblematicamente rappresentata dallo
straniero immigrato - può costituire in termini di sfida per le nostre società. Mi sembra, infatti, che i
mutamenti in atto pongano questioni vitali, costringendoci ad immaginare culture meno rigide e
individualità più relazionali e dialogiche: come ricordavo all’inizio di questo incontro, culture ed
identità sono costrette a mettersi in movimento, ad entrare in relazione con l’altro e con gli altri. Al
contrario, in Italia non solo si registra una percezione decisamente distorta delle dimensioni del
fenomeno migratorio, ma v’è ragione di ritenere che nel nostro paese vi sia anche una profonda
ignoranza di “chi siano” gli stranieri e di quali culture siano portatori. Invece, è bene ricordare che
relazione con l’alterità rappresentata dallo straniero racchiude al suo interno rilevanti potenzialità,
poiché costituisce, a livello individuale, un limite all’individualismo e al narcisismo che sembra
affliggere la cultura contemporanea, mentre, a livello collettivo, mostra l’intrinseca limitatezza di
ogni cultura e la sua porosità (Cesareo, 2004).