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Capitolo Sesto
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La formazione del contratto
Il codice non detta norme precise in merito alla formazione degli atti negoziali in generale, limitando infatti la sua disciplina ai soli contratti.
La loro formazione, infatti, avviene mediante l’incontro delle volontà ed
in particolare della proposta e dell’accettazione che si «combinano» in un
accordo (cd. «consensus in idem placitum»).
1. La proposta
È una dichiarazione unilaterale di volontà recettizia. Quando interviene l’accettazione del destinatario, che perfeziona l’accordo, la proposta diviene vincolante in quanto fusa nell’unica volontà contrattuale.
Una accettazione non conforme alla proposta equivale a nuova proposta
(art. 1326).
La proposta è revocabile fino a che il proponente non ha avuto conoscenza dell’accettazione dell’altra parte (art. 1328).
La stessa proposta può essere rivolta a più persone (cd. offerta al pubblico,
art. 1336).
Perde efficacia quando l’accettazione non interviene entro il termine stabilito dal proponente.
Intrasmissibilità della proposta: la proposta è caducata dalla morte o sopravvenuta incapacità a contrarre del proponente, anteriore alla conoscenza
dell’intervenuta accettazione. Tuttavia, la proposta non perde efficacia se fatta
dall’imprenditore nell’esercizio della sua impresa, salvo che si tratti di un piccolo imprenditore (art. 1330).
La proposta può essere irrevocabile; ciò si verifica quando c’è una:
— cd. proposta ferma: quando, per volontà del proponente, è accompagnata da un termine entro il quale il destinatario può accettare (art. 1329). In
questo caso la proposta resta irrevocabile per la durata del termine;
— proposta nei contratti con obbligazioni a carico del solo proponente:
appena giunge a concoscenza del destinatario (art. 1333).
Nell’opzione
Nozione: Si ha opzione quando le parti convengono che la parte proponente
è vincolata alla proposta, mentre il destinatario è libero di accettarla o meno
(art. 1331). Pertanto, a differenza della proposta irrevocabile ex art. 1329, nel
caso della opzione la irrevocabilità discende da un vincolo contrattuale intervenuto tra le parti e non da una dichiarazione unilaterale del proponente
Effetti: La proposta si considera irrevocabile; se non è fissato un termine
per l’accettazione, questo è stabilito dal giudice (art. 1183)
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Parte Sesta - Obbligazioni e contratti
Talvolta la proposta anziché essere indirizzata ad un soggetto determinato, può essere diretta ad incertam personam, cioè al pubblico affinché sia accettata da persona a cui convenga.
È questa la cd. ipotesi di offerta al pubblico (art. 1336).
Se la dichiarazione non contiene tutti gli elementi essenziali del contratto che
si vuole concludere, non è qualificabile come «proposta contrattuale» (tale ad es.
un cartello «vendesi», affisso ad un bene) bensì come «invito a proporre».
Differenze
Dal contratto di opzione si distingue il patto di prelazione, che è un contratto con cui un soggetto
(cd. promittente) si obbliga a dare ad un altro soggetto (cd. prelazionario) la preferenza rispetto ad
altri, a parità di condizioni, nella eventualità in cui decida di stipulare un determinato contratto.
L’opzione, poi, si distingue dal contratto preliminare in virtù del quale una o entrambe le
parti si obbligano a stipulare un futuro contratto; dall’opzione, infatti, non discende l’obbligo
di concludere un contratto, bensì il diritto potestativo dell’opzionario di accettare o meno la
proposta del concedente, di modo che l’effetto finale si produce semplicemente con la dichiarazione di accettazione della parte non obbligata, essendo la proposta già manifestata.
Qualche perplessità può sorgere con riferimento al contratto preliminare unilaterale, in cui l’obbligo a contrarre è assunto da una sola parte, ma mentre in tal caso alla dichiarazione dell’altra parte deve poi seguire la stipula del definitivo, in caso di opzione la dichiarazione dell’opzionario vale a perfezionare direttamente il contratto finale.
2. L’accettazione
È un atto prenegoziale e consiste in una dichiarazione di volontà recettizia di adesione alla proposta.
Quando l’accettazione arriva a conoscenza del proponente il contratto si
conclude, sempre che sia conforme alla proposta (art. 1326).
Deve essere tempestiva, incondizionata e conforme a tutte le clausole contenute nella proposta: se è anche parzialmente difforme, o se giunge a conoscenza del proponente oltre il termine pattuito (1) o ordinariamente necessario,
vale solo come controproposta.
Deve essere fatta alla persona del proponente o ad un suo rappresentante
(perché è dichiarazione recettizia).
Anche l’accettazione può essere revocata (rectius ritirata), purché la revoca giunga al proponente prima dell’accettazione stessa (art. 1328 comma 2).
L’accettazione, come la proposta, si reputa conosciuta nel momento in cui
perviene all’indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia (sussiste, quindi, una presunzione relativa di conoscenza).
Manca un’accettazione espressa quando il contratto si conclude con l’inizio dell’esecuzione. In tali casi l’esecuzione del contratto, che avviene prima
della risposta dell’accettante equivale all’accettazione; e ciò può verificarsi per
richiesta del proponente, per gli usi o per la natura dell’affare.
(1) In tal caso, però, al proponente è riconosciuta la facoltà di considerarla, ugualmente, «accettazione»
purché ne dia immediata comunicazione alla controparte.
Capitolo Sesto - La formazione del contratto
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Esempio: scrivo ad un libraio di spedirmi un libro. Il libraio me lo invierà direttamente, senza scrivermi prima per manifestarmi di accettare la mia proposta.
In questi casi il contratto si conclude nel tempo e nel luogo in cui ha inizio l’esecuzione (art. 1327), ed il proponente non potrà revocare la proposta
dopo che l’altra parte abbia iniziato ad eseguire la prestazione richiesta.
L’accettazione può anche essere tacita: in tal caso essa deve risultare da un
comportamento manifesto ed inequivocabile (cd. «facta concludentia»).
L’accettante deve comunque dare con immediatezza avviso all’altra parte
di aver iniziato l’esecuzione: in mancanza sarà tenuto a un risarcimento del
danno.
3. Momento perfezionativo dell’accordo
Il contratto è concluso quando il proponente viene effettivamente a conoscenza dell’accettazione dell’altra parte (art. 1326).
Il principio cd. «della cognizione» è mitigato dal legislatore con la presunzione che l’accettazione si ritiene conosciuta quando è giunta all’indirizzo del
destinatario («teoria della ricezione»). Si tratta di una presunzione iuris tantum che ammette, pertanto, la prova contraria (art. 1335).
4. Il contratto per adesione
È un contratto predisposto dal proponente con clausole prestabilite il cui
contenuto non può essere discusso dall’altro contraente: se vuole stipulare
deve aderire a tutto ciò che è stato proposto.
Rientrano in questa figura le condizioni generali di contratto (art. 1341) e i
contratti stipulati mediante moduli o formulari (art. 1342).
Funzione
Eliminare la fase delle trattative per accelerare le contrattazioni
Sancire la supremazia di una parte sull’altra, limitando la libertà delle
trattative
Possibilità di contrarre con un gran numero di soggetti (es.: contratti
con imprese di trasporti, di assicurazione)
Garanzia per il contraente più debole
Le condizioni generali di contratto sono efficaci nei confronti dell’aderente se questi le conosceva o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza (art. 1341 comma 1)
Le clausole vessatorie (es.: limitazioni di responsabilità, facoltà di
recedere dal contratto) sono valide se approvate separatamente per
iscritto (art. 1341 comma 2)
5. I contratti del consumatore (D.Lgs. 206/2005)
Preliminarmente occorre fornire le definizioni principali, per cui consumatore è la persona
fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta, mentre professionista è la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale.
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Parte Sesta - Obbligazioni e contratti
Nel merito, l’art. 36 del Codice del consumo ribadisce la nullità delle clausole vessatorie
(individuate come tali ai sensi del 2° comma dell’art. 33 e dell’art. 36 medesimo) inserite nel contratto concluso tra professionista e consumatore, cioè di quelle clausole che, malgrado la buona
fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi
derivanti dal contratto (art. 33). Si parla di inefficacia parziale, poiché il contratto resta valido per
la parte non inficiata dalle clausole abusive. La nullità delle clausole è rilevabile anche d’ufficio,
ma esclusivamente a vantaggio del contraente debole.
L’art. 35, che riproduce il disposto dell’art. 1469quater, prescrive l’obbligo per il professionista di redigere le clausole, ove proposte per iscritto, in modo chiaro e comprensibile; sancisce
inoltre la prevalenza, in caso di dubbio sul senso di una clausola, dell’interpretazione più favorevole al consumatore.
L’art. 37 (già art. 1469sexies) disciplina il promovimento dell’azione inibitoria, consentendo
alle associazioni rappresentative dei consumatori e dei professionisti ed alle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, di convenire in giudizio non solo il professionista che effettivamente utilizzi le clausole, ma anche i professionisti o le associazioni di professionisti che
semplicemente ne raccomandino l’inserzione. Con riguardo alle azioni esercitate dalle associazioni dei consumatori, la disposizione in esame rinvia all’art. 140 per quanto non espressamente previsto.
La tutela apprestata è di significativo spessore, poiché affianca alla debole difesa individuale
lo strumento, ben più incisivo, dell’azione avente carattere associativo.
Infatti, l’art. 139 del Codice del consumo, nel ridisegnare la materia della legittimazione ad
agire, dispone che le associazioni dei consumatori e degli utenti, inserite in un apposito elenco
(art. 137), sono legittimate ad agire a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti nelle ipotesi di violazione degli interessi collettivi contemplati dal codice stesso e dalle leggi in
materia, indicate dall’art. 139.
Quanto alla cosiddetta class action, si intende la possibilità che un’associazione promuova
da sola un’azione legale che eviti ai singoli consumatori di dover azionare individualmente i propri diritti (omogenei in ordine all’an debeatur, eventualmente diversi in ordine al quantum debeatur), conseguenti ad una medesima violazione (art. 140bis). La disciplina è stata più volte modificata.
Si segnala, l’art. 6, D.L. 1/2012, convertito in L. 27/2012 che ha sostituito il concetto di «identità» del diritto tutelabile con l’azione di classe con quello di «omogeneità». Inoltre, è stato esteso l’ambito della tutela: oltre ai diritti individuali omogenei dei consumatori e degli utenti già previsti dalla formulazione previgente, sono tutelabili anche gli interessi collettivi, in linea con quanto stabilito dall’art. 2 del Codice del consumo, secondo cui sono riconosciuti e garantiti i diritti e
gli interessi individuali e collettivi dei consumatori e degli utenti, ne è promossa la tutela in sede
nazionale e locale, anche in forma collettiva e associativa e sono favorite le iniziative rivolte a perseguire tali finalità, anche attraverso la disciplina dei rapporti tra le associazioni dei consumatori e degli utenti e le pubbliche amministrazioni. L ’art. 140bis, comma 2, a seguito della L. 27/2012
definisce l’oggetto dell’azione di classe, che consiste nell’«accertamento della responsabilità e la
condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni in favore degli utenti consumatori». I diritti individuali omogenei sono quelli generati da uno stesso comportamento o da comportamenti simili ripetuti, oppure caratterizzati dal fatto che il loro accertamento giudiziale richiede la soluzione di questioni di fatto o di diritto simili o identiche.
Si segnala altresì il D.Lgs. 130/2015 ha dato attuazione alla direttiva europea 2013/11/UE sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori. Il provvedimento disciplina la
risoluzione, in via stragiudiziale, delle controversie in materia di consumo, anche in via telematica, nei rapporti intercorrenti tra il soggetto consumatore ed il professionista; definisce i confini di operatività delle nuove disposizioni, limitandole «alle procedure volontarie di composizione extragiudiziale per la risoluzione, anche in via telematica, delle controversie nazionali e transfrontaliere, tra consumatori e professionisti residenti e stabiliti nell’Unione europea» e circoscrivendo il compito dell’organismo di risoluzione, che «propone una soluzione o riunisce le parti al
fine di agevolare una soluzione amichevole». Le procedure, gestite dagli organismi di risoluzione, possono essere gratuite oppure possono prevedere dei costi definiti minimi a carico dei con-
Capitolo Sesto - La formazione del contratto
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sumatori; la durata massima del procedimento è di novanta giorni; le parti possono partecipare
alle procedure personalmente, senza obbligo di assistenza legale.
Per la nozione di class action, v. amplius in Appendice.
Differenze
Clausole onerose (art. 1341 c.c.) e clausole vessatorie (artt. 33 ss. D.Lgs. 206/2005):
Nonostante l’aggettivo «vessatorie» sia utilizzato anche con riferimento alle condizioni generali del contratto per indicare le clausole riconducibili a una delle categorie previste dall’art.
1341, co. 2, c.c., occorre precisare che in tale norma il legislatore non ha utilizzato l’aggettivo
«vessatorie», che andrebbe pertanto riservato soltanto alle clausole dei contratti dei consumatori che determinino un significativo squilibrio a norma dell’art. 33 D.Lgs. 206/2005, mentre
per quelle rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 1341, co. 2, c.c. sarebbe più opportuno parlare di clausole onerose (TR ABUCCHI).
Inoltre, diversamente dall’elenco di clausole contenuto nell’art. 1341, co. 2, c.c., l’elenco delle
clausole vessatorie contenuto nell’art. 33, co. 2, D.Lgs. 206/2005 non è tassativo, per cui anche
clausole diverse da quelle indicate in tale norma possono essere considerate vessatorie, qualora comportino un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi contrattuali.
Infine, diversamente dagli artt. 1341 e 1342 c.c., le norme sui contatti del consumatore (artt.
33 ss. D.Lgs. 206/2005) non si applicano anche ai contratti per adesione individuali, il cui contenuto cioè è stato unilateralmente predisposto da una parte per disciplinare un unico, specifico rapporto.
6. Il contratto preliminare
Contratto preliminare è quello con il quale una o entrambe le parti si obbligano a prestare un futuro consenso, cioè a concludere in un momento successivo il contratto definitivo.
Il contratto preliminare può vincolare entrambi gli stipulanti a prestare il
futuro consenso oppure uno solo di essi.
Siamo dunque in presenza di un caso tipico di formazione progressiva del
contratto, con una specifica peculiarità: il contratto preliminare, pur inserendosi nella fase delle trattative, si stacca da esse in quanto è un contratto ad effetti obbligatori, già perfetto, anche se svolge una funzione preparatoria rispetto al futuro contratto definitivo, del quale determina il contenuto.
Per l’articolo 1351 il contratto preliminare è nullo se non è stipulato nella
stessa forma che la legge prescrive per il contratto definitivo quando per
quest’ultimo è richiesta una forma ad substantiam.
Giurisprudenza
Tuttavia, come precisato da recente giurisprudenza (Cass. 5197/2008), nei contratti per i quali è prevista la forma scritta ad substantiam (es. contratto di compravendita immobiliare) tale
prescrizione riguarda esclusivamente gli elementi essenziali del contratto (consenso, res, petitum), che devono risultare dall’atto stesso e non possono ricavarsi aliunde, mentre non si
estende agli elementi accidentali del negozio, quali una condizione oppure il termine per la
stipula del contratto definitivo, in relazione al quale ultimo, pertanto, la rinunzia delle parti o
la modifica dello stesso non richiede la forma scritta.
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Parte Sesta - Obbligazioni e contratti
Pertanto, un contratto preliminare di compravendita immobiliare deve, a pena di nullità, essere stipulato per iscritto.
Il contratto preliminare è qualificato:
— bilaterale se entrambe le parti si obbligano a stipulare un futuro contratto;
— unilaterale se, invece, una sola delle parti si obbliga a prestare il suo consenso mentre l’altra rimane libera di addivenire alla stipulazione del futuro contratto.
Se il soggetto obbligato a contrarre non adempie, l’altra parte può:
— chiedere la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento e la
condanna dell’inadempiente al risarcimento del danno;
— provocare, mediante domanda giudiziale, l’emanazione di una sentenza costitutiva: tale sentenza tiene luogo del consenso e produce gli stessi effetti del
contratto definitivo non concluso (art. 2932, cd. esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto).
La L. n. 30/1997 ha previsto l’obbligatorietà della trascrizione del contratto preliminare avente ad oggetto taluni dei contratti elencati nell’art. 2643 c.c., se lo stesso risulta da atto pubblico o
da scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente.
Giurisprudenza
La Cass. S.U. 4628/2015 ha affrontato il problema dell’ammissibilità o meno del c.d. contratto preliminare di preliminare.
In presenza di una contrattazione che preveda la stipulazione di un contratto preliminare dopo
la conclusione di un primo accordo, anch’esso preliminare, occorre verificare se tale primo
accordo costituisca già esso stesso un contratto preliminare valido e suscettibile di produrre
effetti ex artt. 1351 e 2932 c.c., oppure soltanto effetti obbligatori con esclusione dell’esecuzione in forma specifica in caso di inadempimento.
In particolare, l’accordo preliminare con il quale i contraenti si obblighino alla successiva stipula di un altro contratto preliminare è produttivo di effetti soltanto quando emerga l’interesse delle parti a una formazione progressiva del contratto basata sulla diversità dei contenuti negoziali.
La violazione del primo accordo, se contraria a buona fede, può dare luogo a responsabilità
per la mancata conclusione del contratto successivo, responsabilità di natura contrattuale per
la rottura del rapporto obbligatorio assunto nella fase precontrattuale. Invece, un’altra tesi ritiene che il preliminare di preliminare è sempre nullo per difetto originario di causa, non
essendo meritevole di tutela l’interesse di «obbligarsi a obbligarsi» (Cass. 19557/2009), ben potendo l’impegno essere assunto immediatamente: non ha senso promettere di promettere qualcosa, anziché prometterlo subito.
A questa tesi, però, le Sezioni Unite (n. 4628/2015) hanno recentemente obiettato che al contratto preliminare può riconoscersi una funzione giuridicamente apprezzabile qualora sia
idoneo a produrre effetti diversi da quelli del contratto preparatorio: soltanto se il secondo preliminare produce gli stessi effetti del primo (cioè, impegnarsi a stipulare alle medesime
condizioni e sul medesimo bene), il primo dovrà ritenersi nullo per difetto di causa.
Secondo le Sezioni Unite il contrasto sulla validità del preliminare di preliminare, se letto dalla luce della causa in concreto, è solo apparente, poiché si è concordi nel definire affetta da
nullità l’intesa che si risolva in un mero obbligo di obbligarsi a produrre un vincolo che non
abbia né possa avere contenuto ulteriore o differenziato.
La violazione di tale accordo, in quanto contraria a buona fede, potrà dar luogo a responsabilità per la mancata conclusione del contratto stipulando, da qualificarsi di natura contrattuale per la rottura del rapporto obbligatorio assunto nella fase precontrattuale (Cass. S.U.
4628/2015).
Parte Settima
Le successioni per causa di morte
e le donazioni
Capitolo Primo
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La successione a causa di morte
1. Generalità
La successione mortis causa indica quel fenomeno di subingresso di un
soggetto ad un altro nella titolarità di uno o più rapporti patrimoniali attivi e
passivi, a seguito della morte di quest’ultimo.
Si ha successione a titolo universale (eredità) qualora il successore subentra
in tutti i rapporti patrimoniali attivi e passivi trasmessi dal de cuius. È un fenomeno necessario che determina la confusione tra il patrimonio del defunto e quello
dell’erede: quest’ultimo risponde, pertanto, dei debiti del defunto anche con i propri beni ­(salvo il caso di accettazione con beneficio d’inventario o di separazione
dei beni prevista dall’art. 512). L’erede subentra al defunto anche nel possesso.
La successione a titolo universale richiede l’accettazione (atto di volontà).
Si ha successione a titolo particolare (legato) quando un soggetto succede in singoli diritti patrimoniali. Si tratta di un fenomeno eventuale ed accidentale che non determina la unificazione tra il patrimonio del defunto e
quello del beneficiario: infatti quest’ultimo non è tenuto a pagare i debiti ereditari, salva la possibilità per il testatore di porre un onere a carico del legatario (onere a cui il legatario è tenuto entro i limiti di valore della cosa legata).
Il legatario, inoltre, inizia un nuovo possesso che potrà unire a quello del de
cuius (accessione del possesso).
La successione a titolo particolare opera ­di diritto, nel senso che il legato si
consegue automaticamente al momento dell’apertura della successione, salva
la facoltà del legatario di rinunziare al diritto attribuitogli.
Alle unioni civili tra persone dello stesso sesso si applicano gran parte delle disposizioni in materia di successione; sostanzialmente, nelle disposizioni
del codice civile relative ai diritti successori, la parte dell’unione civile è assimilata al coniuge (art. 1, c. 21, L. 76/2016). Inoltre, in caso di morte della
parte dell’unione civile, il partner superstite ha diritto all’indennità dovuta dal
datore di lavoro ex art. 2118 c.c. e quella di fine rapporto ex art. 2120 c.c.(art.
1, c. 17, L. cit.).
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Parte Settima - Le successioni per causa di morte e le donazioni
Al convivente non sono attribuiti diritti di successione, a parte una limitata tutela riguardo all’abitazione (v. 540 c.c.): in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza il convivente di fatto superstite ha
diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari
alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni.
Ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni. Il diritto viene meno nel caso
in cui il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o in caso di matrimonio, di unione civile o di nuova convivenza
di fatto (art. 1, c. 42-43, L. cit.).
2. Apertura della successione, Vocazione e delazione
La successione si apre al momento della morte, nel luogo in cui il defunto aveva l’ultimo domicilio (art. 456).
La vocazione è la chiamata all’eredità, il titolo in base al quale si succede.
La vocazione può essere per testamento o per legge (le due forme di vocazione possono anche coesistere).
La delazione (art. 457) indica il fenomeno dell’offerta del patrimonio ereditario «in toto» o «pro quota» ad un soggetto, al quale, pertanto, spetta il diritto di accettare l’eredità. Essa è logicamente successiva alla vocazione: prima si individua il titolo e dopo si effettua la chiamata.
A seconda della fonte, la delazione può essere legittima o testamentaria.
È esclusa la successione per contratto. Infatti il codice vieta (art. 458) l’accordo con il quale un soggetto dispone della propria eredità (patto successorio
istitutivo) oppure dispone o rinunzia ai diritti che gli possono spettare su una
futura successione (patto successorio dispositivo e rinunziativo), tranne che
in caso di patto di famiglia (artt. 768bis e ss., introdotti ex L. 14-2-2006, n. 55).
La chiamata all’eredità (vocazione) e la successiva delazione non bastano affinché si abbia
successione. È necessaria, a tal fine, l’accettazione dell’eredità da parte del chiamato (v. infra,
Cap. II).
Differenze
La vocazione indica l’aspetto soggettivo del fenomeno successorio, vale a dire (come evidenziato) la designazione, fatta dalla legge o dal testamento, delle persone che dovranno subentrare
al posto del defunto; tale fenomeno si verifica al momento dell’apertura della successione.
La delazione, invece, indica l’aspetto oggettivo del fenomeno successorio, vale a dire l’offerta
concreta, ad una persona vivente, del patrimonio del defunto; sicché, con la delazione, la persona chiamata alla successione ha l’effettiva possibilità di acquistarla con un atto di accettazione; inoltre, non il chiamato ma il delato può esercitare, prima dell’accettazione, determinati poteri indicati dal legislatore all’art. 460 (esercizio delle azioni possessorie, compimento
di atti conservativi o cautelari etc.).
Da ultimo va rilevato che normalmente vocazione e delazione coincidono e si verificano all’apertura della successione. In determinati casi, invece, i due momenti sono distinti, in quanto la
vocazione è immediata, mentre la delazione è rinviata ad un secondo momento (ad esempio,
Capitolo Primo - La successione a causa di morte
189
quando Tizio istituisce erede Caio a condizione che si laurei, ovvero quando viene chiamato
alla successione un soggetto che deve ancora nascere, per il quale la possibilità di prendere il
posto del defunto è subordinata all’evento della nascita).
3. L’eredità giacente
Una volta che la successione sia aperta, può accadere che il chiamato o i
chiamati non accettino subito l’eredità e che, pertanto, intercorra un certo lasso di tempo tra la delazione e l’accettazione.
A tal fine è predisposto l’istituto dell’eredità giacente, che prevede la nomina di un curatore da parte dell’autorità giudiziaria con il compito di curare gli interessi dell’eredità fino al momento in cui questa non sia accettata o,
in mancanza, non sia devoluta allo Stato.
Differenze
La figura dell’eredità giacente va distinta dalla cd. eredità vacante che si verifica quando
non esistono più delati o vocati, tranne che lo Stato (unico erede necessario), che automaticamente acquista l’eredità. L’eredità è giacente, invece, quando è destinata all’acquisto a favore
di specifici soggetti e non è stata ancora accettata.
4. La capacità di succedere (artt. 462-473)
È l’attitudine a subentrare nella titolarità dei rapporti giuridici di cui era
titolare il «de cuius». Si tratta, dunque, di un aspetto particolare della capacità giuridica.
Nella successione legittima sono capaci di succedere tutte le persone fisiche
nate o concepite al momento dell’apertura della successione (art. 462).
La capacità di succedere del concepito è subordinata all’evento della nascita. Quando tale evento si verifica, gli effetti dell’accettazione ereditaria (sempre che questa sia stata debitamente manifestata dal rappresentante legale del neonato) retroagiscono al momento di apertura della successione.
Nella successione testamentaria vi è un ampliamento di tale capacità, in
quanto possono essere chiamati alla successione anche i figli non ancora concepiti di una determinata persona vivente al momento dell’apertura della successione (art. 462 comma 3).
Anche le persone giuridiche hanno capacità di ricevere per successione: la loro
accettazione deve però essere sempre fatta con beneficio d’inventario (art. 473).
La stessa regola vale anche per associazioni, fondazioni ed enti non riconosciuti (art. 473 come modificato dalla L. n. 192/2000).
Sono, invece, incapaci di ricevere il tutore o il protutore del testatore ed i
soggetti indicati dagli artt. 597-598. Si tratta di ipotesi di incapacità relativa
sancita dalla legge in considerazione della particolare posizione che tali soggetti assumono nei confronti del de cuius.
190
Parte Settima - Le successioni per causa di morte e le donazioni
5. L’indegnità (artt. 463-466)
È una causa di esclusione dalla successione che produce i suoi effetti solo
se pronunziata dal giudice.
Il fondamento dell’istituto risiede nella riprovevolezza morale dell’indegno
di conservare l’eredità nel caso in cui questi abbia compiuto atti gravemente
pregiudizievoli nei confronti del defunto (attentati alla persona fisica del de cuius, attentati all’integrità morale o alla libertà di testare dello stesso) (art. 463).
La sentenza che pronuncia l’indegnità ha, pertanto, effetto retroattivo, per
cui l’indegno deve essere considerato come se non fosse mai stato erede: se l’indegnità si accerti in seguito giudizialmente, l’indegno deve restituire l’eredità
nonché i frutti percepiti dopo l’apertura della successione.
L’indegnità può venir meno per effetto della riabilitazione ad opera della
persona offesa, la quale pur essendo a conoscenza della causa di indegnità intende attribuire, egualmente, il suo patrimonio, in tutto o in parte, a colui che
lo ha offeso.
Differenze
Mentre l’incapacità presuppone un’inattitudine originaria ed irrevocabile del soggetto ad adire l’eredità, l’indegnità si pone come causa impeditiva della conservazione dei beni ereditari,
poiché l’indegno può ben venire alla successione ed entrare in possesso dei beni ereditari, ma
non potrà poi conservarli (e dovrà, pertanto, restituirli) una volta esperita nei suoi confronti
l’azione giudiziale ed accertata l’indegnità (indignus potest capere sed non potest retinere).
6. La sostituzione
A)Sostituzione ordinaria (artt. 688-691)
Si ha qualora il testatore disponga che all’erede istituito subentri un’altra
persona nel caso che il primo chiamato non voglia o non possa accettare l’eredità (art. 688).
Il sostituito subentra nella posizione che avrebbe avuto l’istituito, se avesse accettato, con tutti gli obblighi (purché non di carattere personale) ad essa
inerenti.
La sostituzione, essendo espressione della volontà del testatore, prevale sulla rappresentazione e sull’accrescimento.
B)La sostituzione fedecommissaria (artt. 692-699)
Si ha quando, nel testamento, il testatore impone all’erede o al legatario
(cd. «istituito») l’obbligo di conservare i beni, affinché alla sua morte tali beni
possano automaticamente passare ad altra persona (cd. «sostituito») indicata dal testatore medesimo.
La sostituzione fedecommissaria è pertanto caratterizzata da una duplice
chiamata in ordine successivo, per cui il primo chiamato è obbligato a conservare i beni ricevuti per trasmetterli, alla sua morte, al chiamato successivo.
Capitolo Primo - La successione a causa di morte
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Differenze
Netta è perciò la distinzione tra le due forme di sostituzione:
— nella sostituzione ordinaria, si hanno due o più vocazioni alternative, ma una sola successione;
— nella sostituzione fedecommissaria, invece, abbiamo due o più vocazioni successive, per altrettante successioni consecutive.
Oggi essa è generalmente proibita, in quanto contrasta col principio della
libera circolazione dei beni, ed è ammessa nel solo caso del cd. fedecommesso assistenziale nelle ipotesi previste dall’art. 692: pertanto, istituito può essere solo un interdetto, che sia discendente o coniuge del testatore; sostituito
può essere solo la persona o l’ente che, sotto la vigilanza del tutore, ha avuto
cura dell’interdetto medesimo.
7. Il diritto di rappresentazione (artt. 467-469)
La rappresentazione è l’istituto in forza del quale i discendenti subentrano nel luogo e nel grado del loro ascendente in tutti i casi in cui questi non
può o non vuole accettare l’eredità o il legato del de cuius (se Tizio aveva due
figli, A e B, e B sia premorto al padre lasciando due figli, l’eredità di Tizio si
divide così: metà ad A e metà (1/4 per uno) ai figli di B).
I presupposti alla rappresentazione sono:
— la chiamata a succedere di un soggetto che non voglia o non possa accettare;
— la mancanza di disposizioni sostitutive che prevalgono sulla rappresentazione nel caso di successione testamentaria.
La rappresentazione è prevista solo a favore dei discendenti del defunto e
dei fratelli e delle sorelle di questi.
Essi subentrano nel luogo e nel grado del loro ascendente e possono succedere per rappresentazione anche se hanno rinunciato all’eredità della persona in luogo della quale subentrano, o se sono incapaci o indegni di succedere
rispetto a questa (art. 468).
In caso di rappresentazione la divisione dell’asse ereditario si fa per stirpi
e la suddivisione, all’interno di ciascuna stirpe, per capi.
Va, infine, ricordato che il discendente che succede per diritto di rappresentazione, deve conferire ciò che è stato donato al suo ascendente.
8. Il diritto di accrescimento (artt. 674-678)
Si ha accrescimento quando sono chiamate, con vocazione legale o testamentaria, alla successione più persone congiuntamente ed una di esse non voglia o non possa accettare. In tal caso, se ricorrono determinati presupposti,
la quota di ciascun chiamato si accresce abbracciando anche quella del chiamato che non ha accettato.
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Parte Settima - Le successioni per causa di morte e le donazioni
Nell’istituzione di erede, per aversi accrescimento occorre una chiamata a
succedere fatta ai coeredi con un medesimo testamento («coniunctio verbis»)
nel quale il de cuius abbia determinato la successione congiunta a più coeredi
in parti uguali o non abbia affatto determinato le parti.
Nel legato, invece, i presupposti per l’accrescimento sono meno rigorosi in
quanto è sufficiente che sia stato legato lo stesso oggetto a più persone, anche
se in base a separate disposizioni («coniunctio re»).
L’accrescimento opera quando: ricorra una chiamata congiuntiva; dal testamento non risulti una diversa volontà del testatore (art. 674 comma 3); non
sussistano i presupposti dell’istituto della rappresentazione (art. 674 comma
4). Anche la trasmissione (art. 479 – vedi cap. seguente) prevale sull’accrescimento, benché non sia espressamente previsto.
Si noti infine che l’evento che rende inefficace la chiamata di uno dei coeredi
o dei collegatari (es.: la morte), deve manifestarsi prima dell’acquisto: se, infatti,
un coerede o collegatario muore dopo l’acquisto, il diritto alla quota o al bene si
trasmetterà secondo l’ordine della sua personale successione (TRABUCCHI).
I coeredi o legatari, a favore dei quali si verifica l’accrescimento, subentrano negli obblighi a cui era soggetto l’erede o il legatario mancante, salvo che si
tratti di obblighi di carattere personale.
L’accrescimento opera di diritto (art. 676) una volta che ne ricorrano le condizioni; non occorre perciò, da parte di chi se ne avvantaggia, un apposito atto
di accettazione.
L’accrescimento nella successione legittima (art. 522), secondo parte della dottrina, si verifica quando più persone (es.: più figli del «de cuius») sono chiamate a succedere nello stesso
grado ed una di esse non possa o non voglia accettare l’eredità.
La dottrina più moderna afferma che in tal caso non si verifichi un’ipotesi di accrescimento
in senso tecnico, ma un’espansione delle quote degli altri chiamati secondo i criteri stabiliti dalla legge.
Delazione
Presupposto
• Il chiamato all’eredità o al legato non può o non vuole
accettare o ricevere
Sostituzione
• ordinaria (688 c.c.)
• fedecommissaria (692 c.c.) (cd. assistenziale)
Rappresentazione
(467 c.c.)
• soggetti beneficiari: discendenti legittimi o naturali del
chiamato (467 c.c.)
Forme
particolari
• condizione
Accrescimento
(674-675 c.c.)
– che il chiamato
sia
– figlio (anche adottivo) o discendente
del «de cuius»
– fratello o sorella
• coniunctio re
• coniunctio verbis (non necessaria per accrescimento nel
legato) (676 c.c.)