GREGATIM (Segue da Pag. 2)

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GREGATIM (Segue da Pag. 2)
La Testata
Novembre 2011 Anno 3 N. 2
La Testata
GREGATIM
1
Eugenio Cannovale II B
Carlo Daffonchio II C
Tutti noi abbiamo dei “giri”, gruppi di persone che frequentiamo più o meno spesso.
Possiamo averne uno, due, tre, cinque, dieci
e via dicendo. Probabilmente sotto un certo
numero saremmo considerati degli “sfigati”,
sopra un’altra cifra saremmo dei “ganzi”.
Eppure anche l’uomo più popolare di questa
Terra può diventare il più solo, abbandonato
da tutti. Ciò dipende dalla solidità dei legami che ha con le persone che frequenta; più
il filo del rapporto interpersonale è forte, più
sarà difficile tagliarlo. Se basta solo un nulla, un particolare minimo a spezzarlo, evidentemente non siamo così “ganzi” come
pensavamo. Tutto ciò ci porta a rivalutare i
legami che abbiamo, i gruppi che frequentiamo. Sorge spontanea la domanda: “Cosa
unisce un gruppo?”.Risalendo agli albori
della Storia, a questa domanda possiamo
dare come risposta la “necessità”, ovvero
un’unione non volontaria, bensì nata
dall’esigenza di affrontare una situazione di
difficoltà: superata tale situazione, la necessità si può declinare in diverse modalità. Se
si sviluppa su un piano sentimentale, abbiamo l’affetto, il dolce sentimento che ci stimola a stare con gli altri, traendo piacere e
felicità (per esempio la famiglia, o un gruppo intimo di amici); altrimenti materialisticamente parliamo di utile, che non si basa
sulla necessità di sopravvivere, ma sul bisogno di vivere vantaggiosamente
(storicamente il primo triumvirato);
Segue a pagina 4
_____________________________
1: in gruppo
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7
9
4
SOMMARIO
EDITORIALE
2
La Camera dei Segreti
3
MUSICA
4
ATTUALITA’, STORIA
5
PROSA
13
PAROLE CROCIATE
16
Correzione bozze
Ilaria Sieli IF
Copertina
Giulia Cividini VM
Impaginazione
Krishan Kuruppu IA
3
La Camera dei Segreti
Basilisco VH
Tornano il buio e il freddo, la sveglia suona sempre più aggressiva, si comincia a rincorrere lo studio e a
spremere le macchinette per un caffè. Novembre è qui, ci guarda con occhi grigi e severi e scorre lentamente infierendo sulla mente degli studenti come un Freddy Krueger improvvisato.
Fortunatamente al Manzoni non manca mai qualcosa di interessante a cui pensare.
Si sono infatti svolte le elezioni per il Consiglio d’ Istituto, che hanno coinvolto tutto il liceo in modo grandioso coprendolo di manifesti propagandistici. Nonostante fossero arrivate delle critiche per alcune immagini di Mao, tutte le superfici libere sono state protagoniste di una corsa all’affissione con ogni mezzo, dal volantino al manifesto, dai post-it alle immagini. Dopo le assemblee, molto interessanti e caratterizzate da un
vivace dibattito, tutti i ragazzi hanno espresso le loro preferenze assegnando al Collettivo tre dei quattro seggi disponibili a scuola e tutti quelli della Consulta provinciale, dove la scelta era ridotta ad un altro solo candidato. La nuova lista MCM ha ottenuto un risultato importante portando così anche le proprie proposte al
Consiglio.
Alla Commissione Cultura si deve il merito delle conferenze sul fumetto tenute qualche settimana fa, che
hanno richiamato i cervelli manzoniani a un argomento solitamente sottovalutato. Nel primo incontro gli
eroi disneyani sono stati analizzati da un punto di vista psicanalitico, che li ha privati di quella semplicità
tanto appassionante per i bambini e li ha dati ad un pubblico più maturo con un ampio corredo di commenti.
Il secondo incontro ha dato l’onore alla scuola di accogliere un pilastro del fumetto italiano come Guido Silver, che ha divertito con le sue strisce e approfondito il tema della conferenza con il punto di vista di un esperto.
“Topolino sul lettino” si è concluso con il muso di Lupo Alberto stupito per la complessità del Greco antico,
ma riprenderà a (mese?) aprendosi a tutta la città e confermando la fama che il Manzoni si è assicurato negli
anni con iniziative strepitose in ogni campo.
Un altro avvenimento degno di attenzione è l’articolo che finalmente è giunto da un membro esterno
all’oscura lobby del giornalino, dando una soddisfazione purtroppo assai rara.
La redazione della “Testata” non è una comunità chiusa, ma un gruppo di persone che tentano di rendere
sulla carta i propri pensieri, aperto a tutti. Quello che invece detestano tutti coloro che scrivono e che si adoperano per il Giornalino è l’obbligo a revisioni e riscritture per futili motivi: le interviste edite nel precedente numero servivano a trascrivere sulla carta le parole immediate e dirette dei candidati di tutte le liste, perciò le numerose correzioni contenutistiche da parte degli interessati le hanno private di significato. Numerosi elementi della “Testata” hanno lavorato attorno a quelle pagine riscrivendo i discorsi registrati, impaginando nuovamente ad ogni revisione, correggendo il testo da capo per la mancanza di sicurezza e chiarezza
degli intervistati, perdendo quindi molto tempo e ritardando l’uscita del numero. In conclusione, le proprie
mancanze non devono scalfire l’operato e la credibilità della Testata.
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Eugenio Cannovale II B e Carlo Daffonchio II C
GREGATIM
(Segue da Pag. 2)
in un altro senso, quello
culturale, lo definiamo interes s e com une, ci oè
l’arricchimento nel confronto (tale un “club del
libro”); la declinazione finale è l’obiettivocomune, la
volontà di raggiungere uno
scopo pratico (tali sono i
missionari).
Un supplemento di unità, il
più delle volte ravvisabile,
è la presenza di una personalità forte, che ci ricordi il
motivo dell’unione e che,
in quanto primus inter pares, operi per gli interessi
non propri, ma della collettività. È importante sottolineare il valore della parola
pares, condizione imprescindibile per l’esistenza
stessa del gruppo. Nonostante esista una gerarchia
preposta al mantenimento
dell’ordine, si parte da una
condizione di uguaglianza
tra i membri. Vi invitiamo
a riflettere su tutto questo,
perché lo riscontrate nelle
realtà a voi più vicine, come possono esserlo questo
Giornalino studentesco e il
Collettivo che opera nella
scuola, o anche il nostro
gruppo di teatro. Gruppi
uniti per motivi diversi,
l’uno per vivacizzare
l’espressione personale nella collettività (o, per i più,
le ore di Greco!), l’altro per
essere un’arena del dibattito
politico, l’ultimo per allietarci con gradevoli spettacoli.
Quello che sta ad ognuno è
identificarsi in un sistema
di valori e in un gruppo che
rappresenti valori, a cui bisogna però aderire in modo
autonomo, consapevole e
sincero, perché solo così
possiamo sentire veramente
nostro un gruppo.
lungometraggio che, sempre il
20 settembre, è stato proiettato
in esclusiva al cinema. Il Cd
contiene 29 canzoni, live e
demo, tra le migliori composte
dalla band americana e un documentario che ripercorre la
storia del gruppo dalla formazione e dalla successiva e rapidissima ascesa tra le star agli
ultimi concerti dal vivo. Pezzi
molto belli dell'album sono
Black, Say Hello 2 Heaven e
Alive, ma non solo!
Vi consiglio di acquistare o
scaricare qualche album dei
Pearl Jam, specialmente se
apprezzate un genere simile a
quello dei Nirvana. In questo
numero parleremo anche dei
numerosi concerti che si svolgeranno a Milano o dintorni
nei mesi di Novembre e Dicembre, alcuni dei quali davvero imperdibili:Il 28 novembre ad Assago si esibiranno i
The Smashing Pumpkins, che
l'anno prossimo pubblicheranno il nuovo album "Oceania".
Bob Dylan e Mark Knopfler
saranno anche loro ad Assago
il 14 novembre per uno spettacolo di musica folk e R&B.
Il 21 novembre ad Assago ci
sarà il concerto di Lenny Kravitz che si esibirà nel suo ultimo album “Black and White
America”.
Il 2 dicembre all'Alcatraz dopo sette anni di assenza si esibiranno i 99 Posse.
Al Live Club di Trezzo
sull'Adda ci sarà mercoledì 21
dicembre Caparezza.
SIMON & DAFFUNKEL
Simone Massaro V I
Questa volta vorrei recensire
il nuovo Cd dei Pearl Jam.
Per chi non li conoscesse, i
Pearl Jam sono un gruppo
grunge/rock formatosi a Seattle nel 1990.
I componenti della band sono
Eddie Vedder alla voce, Stone
Grossard e Mike McCready
alle chitarre, Jeff Ament al
basso, Matt Cameron alla batteria e, dal 2002, Kenneth
Gaspar alla tastiera.
Dal 1991 il gruppo ha
all’attivo ben 16 album e ha
partecipato ad altrettanti tour.
Per celebrare i loro vent'anni
di attività, i Pearl Jam hanno
deciso di far pubblicare "Pearl
Jam Twenty" , uscito in Italia
il 20 settembre, contenente la
colonna sonora dell'omonimo
5
AFFARI NOSTRI
Ilaria Sieli IF
In genere, appena la si nomina,
suscita nella gente una reazione
di annoiata sofferenza espressa
con un lamentoso mugolio, di
solito seguito da una fuga disperata. Non è l’interrogazione
di Greco, anche se i sintomi
coincidono: si tratta
dell’economia. Eppure ultimamente fra giornali e TG non si
sente parlare d’altro, da Piazza
Affari che chiude a – 4 %
all’aumento dello spread fra
BTP e Bund, passando per tori
e orsi, rialzi e ribassi del mercato. La maggioranza della
gente, però, tende a ignorare
queste informazioni, di cui ha
un’idea alquanto vaga, salvo
poi piangere qualora sopraggiunga la cupa ombra della
crisi economica, lo spauracchio
degli ultimi anni.
Le persone d’altro canto sono
confuse: in tv vengono dette
frasi bizzarre composte di cifre,
percentuali, sigle astruse e chi
più ne ha più ne metta, oggi si
nega l’esistenza di una crisi
quando giusto ieri si era detto
che ne fossimo dentro fino al
collo. Dal canto loro, gli economisti non hanno la più pallida idea di cosa rispondere alla
fatidica domanda: la crisi (che,
a questo proposito, è un dato di
fatto) si poteva evitare o no?
Invitati a discuterne in televisione, sono consapevoli che
una loro risposta potrebbe avere conseguenze non del tutto
indifferenti sul quadro economico (il potere dei media è enorme), così si limitano a ribadire che sì, forse la crisi era
prevedibile e scongiurabile.
Un’affermazione volta a non
suscitare né il panico
(immaginate la reazione della
gente davanti a un fenomeno
imprevedibile e inevitabile!) né la
rabbia, comprensibile sotto certi
aspetti, della popolazione, tutta
rivolta verso coloro che potevano
evitare il problema e non l’hanno
fatto. Il quadro economico odierno è in parte influenzabile dai
media: la diminuzione del turismo
in Grecia, descritta con angoscia
martellante in tv, è una profezia
destinata ad autoavverarsi, poiché
condiziona psicologicamente la
gente. Nonostante questo, la crisi
che viviamo non è certo una novità, bensì ha le sue radici nella seconda metà degli anni Ottanta.
Infatti il mondo occidentale
(Unione Europea, USA, Gran
Bretagna) negli ultimi venticinque anni è cresciuto economicamente grazie al ricorso al credito
da parte di privati, società e Stati.
Il credito, cioè il prestito di una
quota di denaro, ha permesso
dunque di finanziare un tenore di
vita superiore a quello possibile
basandosi unicamente sul proprio
reddito, consentendo a molta più
gente di acquistare beni, quali
case o automobili, che altrimenti
avrebbe potuto solamente vagheggiare. L’effetto del credito
sullo stipendio è quasi analogo a
quello del risparmio (fatta eccezione per gli interessi, che una
banca richiede al momento della
restituzione di un prestito), tuttavia con modalità diverse: se il
risparmio sottrae soldi al reddito
prima dell’acquisto, il credito lo
fa dopo, consentendo d’altro canto di entrare subito in possesso
del bene e allo stesso tempo disincentivando il risparmio: in un
mondo concentrato sul presente
più che sul futuro, la possibilità di
avere nell’immediato ciò che si
desidera posticipando anni di sacrifici è molto allettante. Il rischio, però, è di esagerare e non
essere più in grado di ripagare il
debito, innescando una reazione a
catena: la gente, indebitata, smette di acquistare, le società non
vendono e sono costrette a tagliare i costi, anche quelli del personale, perciò licenziano i dipendenti, i quali, privi di uno stipendio e quindi di denaro, non hanno
la possibilità di acquistare né di
restituire eventuali prestiti;
l’economia va di conseguenza in
recessione. Un esempio eloquente
è dato dal mercato immobiliare,
che negli ultimi anni ha avuto un
vero e proprio boom: al momento
di accendere un mutuo per
l’acquisto di una casa, viene stipulato un accordo con la banca,
l’ipoteca, che può essere esercitata qualora il cliente non rifonda il
debito, così la banca diventa proprietaria dell’abitazione.
Se in difficoltà a restituire il prestito, l’acquirente ha la possibilità
di ottenere liquidi tramite la vendita dell’immobile, ma proviamo
a immaginare migliaia di persone
che compiano questa operazione
in contemporanea: il prezzo delle
case crolla davanti alla scarsa disponibilità di acquirenti rispetto al
numero elevato di venditori. Per
rientrare in possesso del denaro
prestato, la banca riscatta dunque
l’ipoteca, trovandosi fra le mani
una casa il cui valore è però inferiore rispetto al momento in cui si
era acceso il mutuo. In questo
caso, la banca registra una perdita, perciò aumentano le sue cosiddette “sofferenze”, che possono
portarla sull’orlo del fallimento,
inducendola a prestare denaro con
più difficoltà e costringendo così
la gente ad abbassare il proprio
tenore di vita, con la conseguenza
del rafforzamento del circolo vizioso di cui abbiamo parlato poco
fa.
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Ad aggravare la situazione, si sono
aggiunti i prodotti di alcuni cervelli
fini, le bolle speculative, particolarmente presenti sui mercati finanziari. Si tratta di un eccesso di credito da parte delle banche, che,
accrescendo il potere d’acquisto
della popolazione, fa salire il prezzo di determinati beni di consumo
(anche qui il fenomeno più evidente è il mercato immobiliare) rendendo difficile l’acquisto e necessario il possesso di ulteriore denaro. Una volta raggiunto un livello
insostenibile, alla minima diminuzione del valore degli immobili
perché non supportato da ragioni
reali, quali un’effettiva domanda,
la gente, in preda all’isteria, cerca
di vendere prima che sia troppo
tardi, causando il crollo dei prezzi
e lo “scoppio” della bolla. Per salvare l’economia, l’intervento delle
banche è consistito in un aumento
dei prestiti, per innescare nuovamente il processo, come è accaduto
in maniera evidente negli Stati Uniti nel 2008. Allo sviluppo della
crisi nel mondo occidentale ha
provveduto anche l’aumento della
delocalizzazione selvaggia di servizi e industrie in Paesi in cui la manodopera è a basso costo e i diritti
umani non sono rispettati per rimanere competitivi sul mercato dopo
la crescita economica dei suddetti
Paesi (Cina, India, Corea, Taiwan,
Singapore), entrati in concorrenza
con Europa e Stati Uniti dapprima
nel settore manifatturiero, quindi
nel terziario avanzato. L’effetto è
la riduzione del potere d’acquisto
di coloro che lavoravano negli stabilimenti successivamente delocalizzati.Tornando in Europa,
l’attuale crisi dell’euro è dovuta al
raggiungimento di livelli colossali
da parte del debito di privati, imprese e soprattutto stati, per i quali
si parla di debito pubblico, la somma dei deficit annuali, cioè la differenza tra ciò che lo stato incassa
e spende nell’arco di un anno. Un
governo previdente cerca di evitare
il deficit, oppure, nel caso di importanti ed eccezionali finanzia-
menti, ad esempio per la costruzione o la manutenzione di infrastrutture, prevede un efficace piano di rientro per chiudere il bilancio almeno in parità l’anno seguente. Con un governo negligente, invece, il debito è ampliato da
corruzione, mancanza di un piano
di rientro, clientelismo, mancata
persecuzione dell’evasione fiscale,
che in Italia è stimata tra poco
meno di duecento e trecento miliardi di euro annui (tra evasione
delle imposte dirette, economia
sommersa, criminalità organizzata, e doppi o tripli lavori) con cui
il debito pubblico sarebbe ampiamente riparato, la maggior parte
delle infrastrutture rimessa in sesto e le aliquote, cioè le tasse fiscali dei lavoratori dipendenti,
ridotte, innescando un circolo virtuoso. A questo si aggiunge il fenomeno della mafia, che attraverso un controllo del territorio basato sul regime del terrore ricicla il
denaro sporco - ottenuto con traffici di droga, sfruttamento della
prostituzione e imposizione del
pizzo – in attività imprenditoriali e
commerciali, impedendo lo sviluppo di una concorrenza e di una
libera imprenditoria; inoltre la
situazione è aggravata
dall’incapacità di consentire una
crescita economica attuabile con
lo snellimento della burocrazia e
con l’annullamento dei privilegi di
alcune lobby economiche, come
l’accesso precluso ad alcune professioni, ormai addirittura tramandate di padre in figlio, e favorendo
al contrario la libera concorrenza e
l’abbattimento dei prezzi a vantaggio dei clienti. Quando il debito è ormai troppo elevato, per tamponarlo si ricorre a dei piani, che
per le famiglie consistono nel risparmio, per le imprese nel taglio
dei costi, mentre per gli Stati nelle
manovre economiche, che generalmente prevedono l’aumento
delle imposte, il taglio degli sgravi
fiscali e delle spese, in particolare
sanità e istruzione (purtroppo).
Questo recupero di denaro, però, è
effettuato almeno in Italia senza la
minima lotta all’evasione fiscale,
che al contrario pare incentivata
da operazioni come il condono,
che consiste nel permettere agli
evasori che hanno trasferito capitali all’estero di farli rientrare nel
Paese senza incorrere in processi
penali, con il pagamento di
un’aliquota irrisoria (attestata attorno al 5 – 10 %) e, di recente, in
forma anonima. Uno Stato come
finanzia il debito, però? Se le persone ricorrono a prestiti e le società emettono titoli di credito, cioè
azioni e obbligazioni, con cui raccogliere il denaro dei risparmiatori
in cambio di un interesse, così un
Paese emette i titoli di Stato, i vari
BOT, BTP e CCT, più sicuri dei
titoli di credito (una società ha più
probabilità di fallimento rispetto a
uno Stato) e perciò con un tasso
d’interesse inferiore. Tuttavia,
quanto più aumenta il debito, tanto più crescono il bisogno di soldi
e la difficoltà a reperirli, così per
allettare i risparmiatori viene innalzato l’interesse sui titoli di Stato, azione che però accresce ulteriormente il debito, portando lo
Stato al fallimento, come è successo anni fa in Argentina, o
sull’orlo, come accade oggi per la
Grecia, poiché non più in grado di
assolvere i debiti verso i risparmiatori. Il risultato del fallimento
è la scomparsa di miliardi di risparmi della gente, ma anche la
perdita della fiducia degli investitori e la difficoltà a finanziare persino l’ordinaria amministrazione. I
Paesi più a rischio dell’Unione
Europea, a causa della mancanza
di controllo dei conti pubblici,
sono i suoi anelli deboli, cioè Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e
Italia. Dal momento che anche il
nostro Paese figura nell’elenco,
per evitare eventuali
tracolli è necessario sensibilizzare
l’opinione pubblica
sull’importanza dell’economia,
che è ben lontana dall’idea di entità astratta e noiosa che va per la
maggiore, ma è al contrario parte
integrante della società.
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EIN VOLK,EIN REICH, EIN FUHRER
Mattia Giordano IB
Hitler era un uomo. È terribile pensare che Adolf Hitler fosse un semplice essere umano, passato alla
storia, giustamente, come una figura demoniaca per le atrocità compiute. Eppure spesso non riusciamo
a concepire che dietro a tutti i suoi
atti ci fosse un sistema ideologico
ben preciso, che l’ha reso uno dei
maggiori ideologi del secolo scorso. Giustamente la gravità delle
azioni supera il pensiero. Ma per
capire le azioni dobbiamo chiarire
il pensiero, vedendo i progetti annessi, come sono stati realizzati, e,
sempre brevemente e in tutta semplicità, spiegandone il perché. Partiamo dalla pietra miliare del Nazionalsocialismo, cioè il Mein
Kampf di Adolf Hitler pubblicato
nel 1925. Affrontiamone pochi
punti fondamentali. Esso si apre
con la caratterizzazione
dell’antisemitismo nazista. Perché
l’antisemitismo? Premesso che
l’antisemitismo ha radici antiche
nella storia, Hitler vuole ridare vita
alla Germania distrutta dalla prima
Guerra Mondiale, e per dare vita
bisogna dare energia. E il carburante più potente è l’odio. Gli Ebrei, nel pensiero antisemita e nazista, sono moralmente degenerati,
usurai, complottano per controllare
il mondo (Protocolli dei sette savi)
e sono una razza parassita, poiché
senza nazione. Inoltre in un periodo di profondissima crisi, gli Ebrei,
accusati di speculazione spietata
dopo la prima Guerra Mondiale,
non erano certo ben visti. Hitler
infiamma questo sentimento inglobandolo nella sua ideologia, definendo il concetto di “razza” (lo
approfondiremo nel prossimo numero) e, conseguentemente, della
superiorità della razza ariana
(comprendente tutti i popoli indoeuropei). Introduciamo qui un termine fondamentale nell’ideologia
nazista: “Utermensch”, cioè subumano. Lothrop Stoddard
(avanguardia del Nazismo) nel suo
The revolt against civilisation: the
menace of the Underman del 1922
ci fornisce una definizione di Subumano: “È l’uomo che sta sotto gli
standard di capacità e adattabilità
imposti dall’ordine sociale in cui
vive”. Con questo termine vengono
definiti gli Ebrei e tutti i popoli
dell’Est Europa ritenuti “razze inferiori” (Utermenschen), nonché gli
omosessuali, i disabili e i malati
terminali. Perché lo sterminio dei
sub-umani? La motivazione è prima di tutto ideologica. La razza
originale ariana, superiore a tutte le
altre, è stata sporcata dall’incrocio
con queste razze inferiori, che sono
parassite, in quanto razze senza
nazione. Si deve quindi epurare e
mantenere saldo il “Volk”, cioè
quella comunità popolare pura e
originale che sarà la base del nuovo
ordine mondiale. La razza ariana
però, in quanto superiore, ha bisogno dello spazio vitale (identificato
nei territori ad oriente) temporaneamente occupato da quelle razze
inferiori dell’Est, chiamato
“Lebensraum”. Inoltre c’è anche
una motivazione più propagandistica: Hitler dà la colpa della sconfitta
della Germania durante la prima
Guerra Mondiale proprio alla presenza nel popolo tedesco di queste
“Utermenschen”, che avrebbero
pugnalato alle spalle la nazione. Gli
ebrei, essendo il popolo senza nazione per eccellenza,
(nell’ideologia nazista più una razza “parassita” era ricca, più era deleteria per la nazione) sono i primi
a essere colpiti dalle leggi razziali e
poi dall’annientamento. La motivazione poteva essere anche economica, poiché i beni confiscati riempivano di certo le casse dello Stato.
Lo sterminio degli ebrei avviene
per fasi (leggi di Norimberga,
progetto Madagascar, i ghetti
orientali, ecc…) ma nel 1942,
con la conferenza di Wannsee,
abbiamo il culmine della violenza, un cambiamento quasi repentino: prende vita la vera e propria “Soluzione finale della questione ebraica”, con la creazione
dei campi di sterminio e dei lager finalizzati esclusivamente
all’eliminazione sistematica degli ebrei e poi in generale di tutti
i sub-umani. Perché questo
cambiamento di rotta? Il brutale sterminio di massa aveva una
doppia valenza. Da un lato, il
Führer ripaga il popolo tedesco
dei dolori della guerra, mettendo
in atto il suo progetto di epurazione, per evitare che le razze
inferiori interferiscano nella vittoria della Germania e che insudicino il “Volk” mentre esso è
impegnato in guerra per la sua
affermazione. E poi c’è il fondamentale aspetto economico: i
beni confiscati andavano allo
Stato; nei campi di concentramento si lavorava e si sosteneva
l’imponente industria bellica con
una manodopera a bassissimo
costo e infinita (per tanti che
morivano, tanti ne arrivavano) e
senza alcuno spreco (quelli che
non riuscivano a lavorare venivano subito uccisi, tutto veniva
riciclato e riutilizzato). Con questo imponente e calcolato sistema, una nazione povera è riuscita a far tremare varie nazioni
molto più ricche.
Un altro punto fondamentale
del Mein Kampf è la repulsione
del Marxismo e di ogni forma di
Bolscevismo.
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Perché questa avversione al
Comuni smo (Marxism o Leninismo)? Prima di tutto, il
Marxismo era la filosofia delle
razze inferiori dell’Est, quindi
da condannare. Inoltre c’erano le
grandi differenze di pensiero: il
Marxismo concepiva la lotta di
classe, mentre il Nazionalsocialismo la lotta di razza e il corporativismo, cioè la concordia tra
le classi, promosso da Mussolini. Da una parte c’era il dissolvimento dello Stato (dalla dittatura
del proletariato fino all’assenza
di Stato) e la condanna del capitalismo, dall’altra la centralità
dello Stato e il socialismo nazionale (un’unione tra socialismo e
nazionalismo). Inoltre il principio di totalità nel Nazismo proveniva dalla razza, mentre lo
Stato era il mezzo per realizzarne la purezza. La nazione era
assimilata con la razza, una razza forte era espressione di una
nazione forte e viceversa, e così
la lotta tra nazioni ideata da
Mussolini si tramutava in lotta
di razza. Sotto questi aspetti, la
teoria del darwinismo sociale
vigeva sovrana. Dal punto di
vista filosofico, il Nazismo prese
dal Fascismo la concezione hegeliana dello Stato (Stato etico)
che si opponeva a quella marxista; l’idealismo contro il materialismo (da quello dialettico a
quello storico). L’ultimo punto
fondamentale da affrontare del
Mein Kampf è l’acquisizione dei
territori a Est della Germania,
visti come lo “spazio vitale”
(Lebensraum) della razza ariana.
Essendo superiore, essa ha bisogno di un dato spazio che può
prendersi con la forza a spese
delle razze inferiori e schiave
per natura. Questa fu la base
ideologica di due grandi progetti: L’Operazione Barbarossa e il
Generalplan Ost (GPO).
L’Operazione Barbarossa, 1942,
consistette nell’invasione preventiva dell’Unione Sovietica,
che aveva prima di tutto cause
belliche, ma che fu motivata proprio da questo progetto di conquista del Lebensraum. Il Generalplan Ost , invece, era qualcosa
di mastodontico: consisteva nella
pulizia etnica e nella germanizzazione di tutti i territori dell’Est,
nella trucidazione degli Slavi e
nella schiavizzazione dei Polacchi, e poi, 50 anni dopo la guerra, con il Größe Planung, nel
genocidio di 50milioni di Slavi
oltre gli Urali. Ecco che per
l’attuazione del GPO anche gli
individui appartenenti alle
“razze” est-europee furono sbattuti nei campi di concentramento
e poi sterminati nei lager e nei
campi di sterminio. Ma in questi
luoghi non c’erano solo loro.
Perché l’eliminazione di omosessuali, malati gravi, terminali, mentali e disabili? Come abbiamo detto, l’aspirazione nazista era l’eliminazione di tutti i
sub-umani per epurare la comunità popolare originale di razza
ariana – tedesca, base del nuovo
ordine mondiale. Gli omosessuali erano sub-umani poiché non
permettevano l’avanzamento
della razza, e quindi erano da
eliminare. Furono infatti colpiti
per lo più gli omosessuali tedeschi. E poi c’erano i disabili e i
malati terminali, gravi o di malattie genetiche. Le motivazioni
del loro sterminio sono di matrice sia ideologica che economica.
Si riprende il concetto di
“eugenetica”, cioè la selezione e
la promozione dei caratteri fisici
e mentali ritenuti positivi e
l’eliminazione di quelli negativi
al fine del miglioramento della
specie umana. Il Volk deve sopravvivere e migliorarsi anche a
discapito dell’individuo, deve
ergersi e divenire perfetto e superiore. Tutti coloro che sono
inferiori devono essere eliminati.
Il malato terminale o in stato di
coma vegetativo, il disabile sono
una “Lebensunwertes Leben”
(«vita indegna di vita» oppure
«vita indegna di essere vissuta»).
Le persone con malattie genetiche
sporcano il Volk e lo rendono debole. La razza deve e dovrà sempre
essere forte e pura. Questi elementi, in quanto sub-umani, devono
essere eliminati. Poi c’è l’aspetto
economico: i malati costano, pesano, la spesa medica deve essere
ridotta, e dopo, con la guerra, gli
ospedali e soldi servono ai soldati.
Su queste basi viene creato il progetto Aktion T4, che consisteva in
un primo momento nella sterilizzazione, ma poi nell’eutanasia di
massa e nello sterminio di disabili,
malati mentali, ecc… A causa delle
grandi opposizioni, soprattutto di
matrice cattolica, fu sospeso. Le
uccisioni andarono avanti ininterrotte. Le vittime furono circa
200.000. Perché il Nazismo è ancora presente così tanto ai giorni
nostri? Il Nazismo non è
un’ideologia politica. Anzi, la politica è in secondo piano. Vi è un
volto misterioso, nascosto, segreto,
inquietante, che tutti noi ignoriamo, ma che è la base della potenza
quasi demoniaca del Nazismo e di
Hitler, quella forza che lo ha reso
capace di uccidere milioni di persone. È quella forza che lo rende
ancora presente ai giorni nostri,
che lo fa aleggiare nella nostra società. La sua eredità non è solo politica. Vi siete mai chiesti perché il
neonazismo è connesso al satanismo? Su cosa si basa questa ossessione verso la razza? Cos’è il simbolo nazista? Ha dei fondamenti
l’idea della razza ariana? Ebbene
c’è un volto oscuro e inquietante
che prende il nome di “Misticismo
Nazista”, ed è la base dell’ imponenza di Adolf Hitler e di tutto il
nazismo. Ma di questo parleremo
nel prossimo numero.
STEVE JOBS
Silvia Meloni IE
"...Non c'è ragione per non seguire il vostro cuore.
Il vostro tempo è limitato, per cui non lo sprecate vivendo
la vita di qualcun'altro.
Non fatevi intrappolare dai dogmi, che vuol dire vivere seguendo
il risultato del pensiero di altre persone.
Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui offuschi
la vostra voce interiore.
E, cosa più importante di tutte, abbiate il coraggio di seguire
il vostro cuore e la vostra intuizione.
In qualche modo loro sanno cosa volete realmente diventare.
Tutto il resto è secondario. Siate affamati, siate folli"
Questa sopra riportata è una parte del discorso pronunciato dal genio dell'informatica Steve Jobs il 12 giugno
2005 all'università di Stanford in occasione della consegna delle lauree. All'epoca Jobs aveva già iniziato a
lottare contro il terribile tumore al pancreas che l'ha portato via poco tempo fa all'età di soli 56 anni, nonostante ciò, però, le parole del discorso rivolto a questi giovani non sono parole di rassegnazione o resa, al contrario incoraggiano a seguire quella che ognuno sente come la propria strada e a lottare per quella, come lui ha
sempre fatto: prima per realizzare i suoi progetti informatici, poi contro la malattia, anche se nell'ultima battaglia il "nemico" ha avuto la meglio.
Nato a San Francisco (California) il 24 febbraio 1955, non venne cresciuto dai genitori naturali ma la madre,
una studentessa non sposata, decise di darlo in adozione a due genitori, un avvocato e la moglie, che a parer
suo avrebbero potuto allevare meglio il bambino.
Dopo aver preso il diploma nel 1972, Jobs scelse il Reed College di Portland, ma dopo solo sei mesi di corsi
abbandonò l'università per cercare lavoro. Nel 1974 lavorò con l'amico Steve Wozniak alla Atari, un'azienda
che si occupava della realizzazione di videogiochi.
Proprio con Wozniak fondò l'azienda che è anche la grande eredità che ci ha lasciato: la Apple. Era il 1 aprile
del 1976. Un'altro socio era Ronald Wayne, anche lui conosciuto ad Atari.
Wayne però lasciò quasi subito la società, sbagliando, come si sarebbe poi visto, dal momento che poco tempo dopo la Apple ricevette la sua prima commissione, creando così il primo prototipo di computer: l'Apple I.
In seguito Jobs e Wozniak riuscirono a passare dal lavorare nel garage di casa all'ottenimento di un finanziamento molto cospicuo da parte dell’industriale Mike Markkula, che in cambio ricevette un terzo della società.
Il primo computer destinato alla vendita di massa venne messo in commercio nel 1977 ed era chiamato Apple
II. Inutile dire che fu un successo, tanto che le vendite toccarono il milione di dollari.
Altre date importanti della Apple sono, tra le tante, il 1980, anno in cui iniziò ad essere quotata in borsa, e il
24 gennaio 1984, quando venne messo a punto un nuovo sistema operativo per il computer. Da quel momento
Steve Jobs fu considerato la persona più in vista nel mondo dell'informatica.
L'avventura di Jobs ad Apple, però, finì nel 1985 quando, dopo l’abbandono della società da parte di Wozniak, anche lui decise di andarsene ricominciando così da capo, dopo trent’anni, con la fondazione di una
nuova compagnia: la la NeXT Computer
Nel 1986 entrò nel mondo dell'animazione computerizzata acquistando la Pixar, che nel 1995 con il cartone
"Toy story - il mondo dei giocattoli" firmò il suo primo successo. Queste due nuove “creature” di Steve Jobs
ci fanno capire quanto fosse geniale quell’uomo: capace di creare aziende dal nulla e trasformarle grazie al
suo impegno e alle sue capacità in industrie produttrici di altissima qualità, in vere e proprie “macchine” di
guadagno. Inoltre possiamo vedere che Jobs, come non si è arreso subito al tumore, non lo ha fatto nemmeno
durante la vita, quando la fortuna sembrava voltargli le spalle, al contrario ha saputo risollevare la propria
sor t e r i mboccandosi l e mani che, di spost o anche a r icomi nci ar e da capo.
La Pixar venne successivamente venduta alla Disney.
9
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Jobs tornò in seguito al suo "primo amore", ovvero la Apple, che fece uscire da un periodo di
crisi e di cui prese il posto di amministratore
delegato, decidendo tuttavia di non percepire
alcuno stipendio, o meglio soltanto la simbolica
cifra di un dollaro all'anno.
Tempo dopo vennero immessi sul mercato sia
un nuovo sistema operativo per il computer sia,
con il lancio nel settore della musica digitale,
l'iPod (presentato per la prima volta il 21 ottobre 2001) e il programma per scaricare musica
iTunes. Gli investimenti in quest'ultimo campo
furono abbondantemente ripagati, visto che al
momento l'iPod è il lettore multimediale più
venduto al mondo e iTunes vanta 10 miliardi di
brani venduti.
Nel 2004 per Steve Jobs arriva la notizia che gli
cambierà la vita, purtroppo in negativo: ha una
rara forma di tumore al pancreas. Questa malattia gli provoca anche il diabete e, per potersi
sottoporre alle varie cure per la rimozione del
tumore, cede temporaneamente a Tim Cook
l’incarico di amministratore delegato.
Nel 2009 subisce un trapianto al fegato che gli
permette, anche se non a pieno regime, di tornare a occuparsi delle sue attività.
Il 17 gennaio 2011 chiede però un nuovo congedo medico e infatti sono tutti sorpresi quando il
2 marzo si presenta sul palco per la presentazione dell'iPad 2.
Il 24 agosto si dimette ufficialmente da amministratore delegato e si assicura di venire succeduto da Tim Cook. Steve Jobs, però, consapevole
della gravità della sua malattia e del fatto che
probabilmente la sua vita stava giungendo al
termine, ha voluto lasciare alla sua amata azienda dei progetti riguardanti prodotti da immettere
sul mercato fino al 2020.
La Apple ha rilasciato una sentita dichiarazione
affermando che Jobs è morto a Palo Alto, in
California, il 5 ottobre 2011, a 56 anni, e ricordandolo come brillante e innovatore. Riposerà
per sempre all’Alta Mesa Memorial Park di Palo Alto, assieme ad altre grandi menti della tecnologia, come il co-fondatore di HP David Packard e l’ingegnere Lewis Terman, con i quali
Jobs aveva lavorato per alcuni mesi estivi come
dipendente all’età di 13 anni. Questi sono i punti salienti della vita di Steve Jobs, indiscusso
genio informatico, però la vita non è fatta solo
di date e di eventi, ma anche di sogni, progetti,
aspirazioni, fallimenti e successi. Molte sono le
vittorie di quest’uomo che non ha solo migliorato, ma ha anche reso più semplice il complesso
mondo dell’informatica,
traghettandoci dai primi computer, grossi e ingombranti, a meraviglie tecnologiche come iPod e iPad.
Jobs è dunque riuscito a vivere una vita intensa, a realizzare ciò che
si era preposto di fare e forse sono stati proprio questi brillanti successi a non fargli temere la morte.
E’ morto un mito, un uomo che ha creato delle aziende che perdureranno, anche se forse la sua eredità non sarà tanto questa quanto
l’insegnamento che una vita come la sua può lasciarci.
Il 29 giugno iniziò la commercializzazione di un nuovo prodotto
marcato Apple, lungamente atteso anche per i diversi mesi di pubblicità: l'iPhone
Con questo prodotto la Apple entrò anche nel settore della telefonia, tanto che adesso è la maggior produttrice di telefoni negli Stati
Uniti. Dopo l'iPhone è poi la volta dell'iPad.
ERRATA CORRIGE
Ottobre 2011
Ci scusiamo per l’errore di stampa presente
nello scorso cruciverba. Troverete la versione
corretta sulla pagina FB de La Testata.
Le soluzioni, invece, le trovate su questo numero a pagina 16.
Ci scusiamo, inoltre, con Arturo Cohen, il cui
cognome è stato stampato in un carattere più
piccolo rispetto agli altri .
11
IL PERSONAGGIO DEL MESE : AKHENATON
Federica Messaggeri VC
Ero giovane quando cessai di vivere,
non ricordo l’età esatta. Ciononostante
ho memoria di una vita breve quanto
ricca di eventi e complicazioni. Vi dirò
che non sono certo di cosa mi portò
alla morte, ma ciò che so è che non
feci nulla per meritarla: o mi venne
concessa in sorte o mi fu data per mano di uomini.
Mi consumo tentando di trovare, frugando nelle sfocate immagini che risiedono nella mia memoria, ciò che mi
portò a non essere più. Però la causa,
dovessi anche cercarla in eterno, non
giungerà fra i miei pensieri, poiché
non è parte dei miei ricordi. La causa
della mia morte sta in chi mi condusse
alla vita.
Ciò che ricordo di colei che mi diede i
natali corrisponde a poco, ma altrettanto non si può dire dell’uomo che chiamavo padre. Egli, ai tempi in cui io ero
al trono, poiché fui io stesso un faraone d’Egitto, veniva da tutti definito
“nemico”, così ci riferiva a lui. Data la
mia giovane età, nel momento in cui
divenni sovrano non comprendevo
perché gli si affibbiasse un epiteto così
poco consono a un neo-deceduto faraone d’Egitto: colui che è “l’astro del
mattino e della sera”. Le motivazioni
mi furono chiare solamente in seguito.
Di mio padre si diceva anche che fosse
“empio”, che non rispettasse gli dei,
ma per quanto ne sapevo ai suoi tempi
era stato un grandissimo uomo, particolarmente devoto al divino. Scoprii
solo in seguito l’origine di questo aggettivo giudicante; infatti, mio padre, a
quanto pare, non era affatto benvisto a
Tebe, città in cui trascorsi la maggior
parte della mia vita e sede del culto di
Amon (la massima divinità solare):
egli non era simpatico né al popolo, né
ai funzionari, né in particolar modo ai
sacerdoti di Amon; l’unica donna che
sembrava avere ancora un po’ di stima
per lui era mia madre.
Vi ho detto di sapere poco su di lei assolutamente vero - l’unica cosa che
ricordo è quanto fosse riverita a palazzo, sebbene solo seconda moglie del
faraone. Lei gli diede me, unico figlio
maschio, infatti la Grande Sposa Reale
gli aveva donato la bellezza di sei fi-
glie femmine. Una di esse divenne la
mia Grande Sposa Reale, ma solo dopo esserlo stata per mio padre, in successione della prima Grande Sposa.
Io e mia moglie avemmo più figli, ma
nessuno di essi sopravvisse, furono
tutti condotti nella tomba con me.
Ma torniamo a mio padre, dicevo che
godesse di poca simpatia a Tebe e,
come mia madre mi narrava da bambino, egli non era vissuto a lungo qui,
bensì in un’altra città da lui fondata. Lì
si era dedicato moltissimo alla religione, assumendo lui stesso la carica di
Gran Sacerdote, per poter essere ancor
più vicino al divino, cosa che da noi a
Tebe non si usava; i sacerdoti erano
più di uno e godevano di un grande
potere, specialmente quelli di Amon.
Erano riconoscibili per la testa pelata e
la pelle di leopardo a coprire la spalla
destra.
A quanto ne so la casta sacerdotale,
quando regnava mio padre, era rimasta grandemente offesa dalle immense
responsabilità religiose che egli si era
preso, ma, per come la vedevo io al
tempo in cui me lo raccontarono, avrebbero dovuto esserne solamente
lieti: non era stupendo che un faraone
fosse di così grande zelo verso il proprio culto?
A quanto pare, ad ogni modo, non era
così, cosa che successivamente, in un
colloquio con i principali esponenti
della casta sacerdotale di Tebe, mi
venne meglio spiegata.
Non capivo il motivo della visita dei
sacerdoti di Amon al completo presso
il palazzo, ma anche quello mi fu chiaro in seguito.
Dal nostro incontro emerse che, evidentemente, mio padre si era dedicato
moltissimo alle religione e questo era
vero, ma aveva trascurato moltissimi
altri aspetti della vita di un sovrano a
cui un faraone dovrebbe sempre badare.
Tanto per cominciare egli mi venne
descritto come un egoista, che non
pensava al popolo, il quale ovviamente
necessitava di un intermediario tra la
gente comune e gli dei, cioè i sacerdoti, quelli di Amon, che aveva fatto
dimettere dal loro incarico. Un altro
punto a favore di questa tesi era
l’edificazione di una nuova città, in cui
i templi erano quasi esclusivi. Infatti,
non erano, come di consueto, a tutti
accessibili e con la sola cella del dio
riservata ai sacerdoti e alla famiglia
reale, bensì non possedevano alcuna
statua della divinità e nessuno oltre al
sovrano, i suoi familiari e i sacerdoti
poteva Dunque, visto e considerato
che il sacerdote era solo mio padre,
l’ingresso era riservato essenzialmente
a lui e alla sua famiglia e questo lo
allontanava dal popolo, così come
allontanava il popolo dalla religione
stessa.
Proseguendo sempre sul piano della
religione, poi, i sacerdoti di Amon
affermavano che egli non era in grado
di descrivere il suo oggetto di venerazione, che definiva, in modo vago,
come l’insieme di tutti gli dei.
Finito il monologo sul divino, i sacerdoti di Amon, capitanati dal Gran Sacerdote che spiegava con molta convinzione, iniziarono a dire che mio
padre non solo aveva trasformato, o
meglio, deteriorato una grande religione, ma che si era addirittura permesso
di modificare gli immutabili canoni
artistici che da sempre, da più di quindici generazioni, avevano caratterizzato l’Egitto. Lo definivano privo di
gusto estetico, un uomo che, non possedendo per niente senso della misura,
proiettava questo suo difetto sull’arte
più proporzionata, equilibrata e apprezzata del mondo terreno e ultraterreno.
Ricordo di aver visto di rado opere che
lo rispecchiassero, si diceva che fossero andate quasi tutte distrutte; eppure
ho memoria di una statuetta, mostratami da mia madre, che raffigurava una
donna, apparentemente incinta, con un
ventre non solo molto gonfio, ma anche molto largo e delle cosce eccessivamente rotonde, mentre il viso era
allungato, con grosse labbra carnose e
un naso decisamente sporgente. Detto
ciò, ero costretto a dar ragione ai sacerdoti sulla questione dello “scarso
senso della misura”, tuttavia non ritenevo fosse addirittura da considerarsi
un insulto a tutto ciò che l’arte rappresenta.
12
Non starò a riferire per intero il discorso che tenni coi sacerdoti di Amon,
dico solo che la discussione durò molto a lungo e che questi ebbero molte
altre cose da ridire sulla persona alquanto particolare che scoprii essere
mio padre; fra queste mi riferirono
della sua scarsa abilità di guerriero,
meglio definibile come del tutto inesistente, che non si addiceva per niente
ad un grande faraone, il quale, oltre al
compito di occuparsi della religione,
ha quello di preservare il suo territorio
dagli attacchi esterni. Era emerso, infatti, che a causa sua ora il regno aveva perso tutte le zone dei lontani territori del nord, vicini alla mezzaluna
fertile, e che l’esercito si era ben sforzato per riuscire a recuperarle. Insomma, mi stavano dicendo che il mio
predecessore di nulla era degno, fuorché di biasimo. Ascoltai tutto ciò che i
sacerdoti di Amon avevano da dirmi
con grande attenzione, seguendo le
loro parole e al contempo vedendo
tristemente deteriorarsi l’immagine di
mio padre che mia madre e la mia immaginazione di fanciullo avevano fabbric
Alla fine di tutto rimasi però con il
dilemma iniziale del perché l’intera
casta sacerdotale di Amon fosse giunta
proprio in quel momento al mio cospetto, a rivelarmi quale pessimo uomo fosse stato mio padre.
Seppi presto che era giunto il mio momento di diventare faraone, che il lungo prologo serviva a farmi capire che
lo stato attuale, analogo a quello descritto, se non per l’assenza di mio
padre e la capitale a Tebe, era da mutare completamente e da riportare alla
situazione iniziale, quella innanzi al
regno del mio predecessore.
Ricordo che, dopo questa moltitudine
di richieste e l’insieme delle sconvolgenti notizie, ero molto confuso, così,
a parte l’imminente proclamazione a
faraone, chiesi del tempo per riflettere
sul resto.
Il tempo mi fu concesso e io lo presi di
buon grado, tuttavia non riuscivo ad
accettare le condizioni poste dai sacerdoti di Amon,: essi mi chiedevano di
cancellare mio padre dalla storia del
nostro millenario regno, mi chiedevano di dimenticare chi fosse e di non far
mai conoscere ai posteri la sua storia
che, per quanto strana e poco degna di
lode potesse essere, era ciò in funzione
di cui un faraone aveva trascorso la
sua intera esistenza. Non avevo la forza di condannare colui che non solo
era il mio predecessore e mio padre,
ma anche un estraneo, di cui io non
potevo valutare oggettivamente le colpe, poiché circa il loro peso non possedevo nessuna certezza.
ato. L’ultimo dei ricordi che possiedo
è che per me non fu facile regnare: fin
dalla nascita avevo delle deformazioni
fisiche che non mi consentivano di
camminare stabilmente: mi spostavo,
infatti, grazie al sostegno dei miei bastoni da passeggio. Tuttavia vivendo
nella bambagia non ne sentivo il peso,
era quando divenni faraone che le mie
scarse qualità fisiche iniziarono a diventare un ostacolo.
Fatica fisica e pressione mentale mi
rendevano fragile.
Non decisi mai veramente se rimanere
fedele a quell’uomo che poco conoscevo, ma di cui la mia vita era così tremendamente impregnata, o se affidarmi alle parole dei sacerdoti di Amon,
non riuscivo a distinguere in loro lo
zelo dalla smania di potere.
Alla fine applicai alcune riforme della
restaurazione che i sacerdoti di Amon
volevano compiere, ma purtroppo non
abbastanza perché essi mi considerassero un sovrano coraggioso e soprattutto “utile”.
Giungono così al termine le vicende
che caratterizzarono la mia esistenza.
Arrivo agli ultimi istanti della mia
breve vita. Ricordo molto nitidamente
ciò che successe prima della mia morte. Ci trovavamo nel grande terrazzo,
ero seduto, comodamente adagiato sul
mio trono, davanti a me l’infinita bellezza della mia consorte, alla mia destra il mio uomo di fiducia - affiderei
la mia vita a quell’uomo - mi faceva
aria col ventaglio. Mia moglie e la sua
fedele donna di compagnia conversavano, chiacchiere superficiali.
Dopo pochi minuti di riposo sul trono,
non scorderò mai come il mio piede
deforme fosse stancante da sopportare, entrò il mio “mani pure”, il fedelissimo coppiere reale, che mi porse un
calice con della birra. Qui i miei ricordi si annebbiano… riesco a scorgere il
volto di mia moglie che mi fissa, attonita, il coppiere sconvolto, temo di non
riuscire a vedere altro e invece sì, dietro la colonna confinante con l’arcata
che conduce all’interno del palazzo c’è
una figura sfocata, noto solo l’assenza
di capelli e parrucca e una tunica, a
chiazze. Tento di mettere a fuoco… le
chiazze, le chiazze sono macchie,
macchie nere e marroni: il Gran Sacerdote.
Tutto nella mia mente sembra ora avere un senso. Mi accorgo di aver vissuto
questi pochi anni forse invano. Sono
stato ucciso poiché accusato di perseguire una causa tramandatami da un
uomo sconosciuto. Ho vissuto
all’ombra di questo sconosciuto, incerto se rinnegarlo o meno. Non ho mai
preso posizione proprio per paura di
tradire lo sconosciuto che chiamavo
padre. Ma non è stato necessario decidere, poiché il potere, i sacerdoti hanno scelto per me.
Io sono il faraone che non sarà ricordato, poiché mio padre non sarà ricordato, entrambi condannati a vivere e
basta e non a vivere per non morire.
Sono stato la marionetta di chi meglio
ha saputo gestirmi: prima mio padre,
indirettamente, attraverso i racconti di
mia madre e poi loro, l’emblema del
potere in Egitto, i sacerdoti di Amon:
per un torto fatto loro da mio padre,
uomo che ho sempre indirettamente
difeso, io ho pagato non solo con la
vita, ma anche con il mio nome.
Io sono il figlio di Akhenaton, nome
da mio padre creato per il suo grande
“culto” del dio unico Aton, fondatore
di Akhetaton, la città “orizzonte di
Aton”, uomo pazzo, geniale e, cosa
che spesso coincide con questi due
tratti, tremendamente stupido e incosciente.
Dimenticavo, io sono Tutankhaton,
come decise di chiamarmi mio padre
Akhenaton, o Tutankhamon, come
abilmente mi fecero conoscere i sacerdoti di Amon, che dopo aver condannato mio padre alla damnatio memoriae mi allestirono una tomba splendida, ricca di tesori, e mi fecero passare
agli occhi del popolo per colui che,
prendendo coraggiosamente le distanze dal “nemico”Akhenaton, aveva
ristabilito l’armonia nel regno millenario.
IL MANZONIANO MEDIO
13
“Filippo Costantini ha chiesto di rimanere anonimo”
Il Manzoniano medio è una bestia strana.
Molti cercano di analizzarlo, di scoprire chi
è, come si comporta, ma in pochi sono riusciti ad ottenere risultati seri e credibili.
Vediamo se posso, io che il Manzoniano
medio ho la presunzione d’affermare di conoscere, portare aiuto a tale ricerca.
Il Manzoniano medio si trova dal lunedì al
venerdì, di mattina, all’interno del liceo
Manzoni, per poi spostarsi, di
pomeriggio, nella propria abitazione, che mediamente (e di
Manzoniano medio stiamo parlando) si trova nel centro di
Milano.
Il Manzoniano medio ama fare
politica: va in manifestazione,
occupa la sua scuola, fa presidi, blocca il traffico, urla, corre, salta, balla e quant’altro sia
parte della protesta.
Il Manzoniano medio, puntuale
come un banchiere svizzero ghiotto di cioccolato (svizzero anch’esso, ovviamente), a
gennaio dimentica d’improvviso ogni suo
impeto rivoluzionario.
Il fuoco che ardeva nel suo cuore, alimentato dalla voglia di libertà e giustizia, si spegne, per lasciar spazio ad una sana e molto
più sincera apatia, mossa principalmente
dalla paura che l’avvicinarsi di giugno sa
incutere a tutti gli studenti.
Tuttavia un rivoluzionario non è mai esente
dai doveri di cittadino, in quanto esso non si
pone né al di sopra, né al di sotto dei suoi
connazionali. Ben venga dunque che il
Manzoniano medio si dedichi allo studio!
Egli, infatti, rimane ugualmente riconoscibile senza difficoltà: la vita sociale a cui prende parte gioiosamente lo identifica sempre e
comunque. Il Manzoniano medio ama frequentare le feste degli altri Manzoniani, dove si è tutti giovani, brillanti, di sinistra, informali ma eleganti (se ciò è richiesto).
Il vestiario del Manzoniano medio infatti mediamente è nella media del frequentatore medio delle manifestazioni della sinistra, figlio
della borghesia (illuminata, evidentemente) e
tuttavia sensibile alle cause del fratello
(idealmente parlando) proletario.
Si passa dunque dai pantaloni rotti alla camicia nuova, dalla kefiah alla kippah.
Il Manzoniano medio, infatti, non è razzista,
né pone discriminazioni di alcun genere alle persone che lo
frequentano.
Il Manzoniano medio spesso,
spessissimo si può dire, si ritrova al Rattazzo (noto locale
della movida milanese) con gli
altri Manzoniani, non contento
probabilmente di averli visti
per cinque giorni consecutivi.
In tale luogo svolge varie azioni a fine ludico, talvolta anche
illegali: il Manzoniano medio
sfida la legge e non teme
d’essere scoperto. Egli è assai impavido, poiché mosso da grandi ideali.
Il Manzoniano medio, a un certo momento,
si diploma e finisce l’amato liceo. S’iscrive
all’università ed inizia un lungo e graduale
decadimento di qualsivoglia principio o ideale
che finora lo aveva mosso. Presa la laurea, il
Manzoniano lavora e diventa esattamente uguale, se non peggiore, a coloro che al liceo
criticava ferocemente, additando loro la responsabilità di un’ingiustizia meschina che
governa il nostro pianeta.
Tu, Manzoniano che
leggi, non essere
medio.
Questo è il Manzoniano medio.
Tu, Manzoniano che leggi, non essere medio.
Il medio è intorno a te, distinguiti da lui. Se
occorre, ma solo se strettamente necessario,
fagli capire che l’unico medio che sei disposto
ad accettare è il dito. Difenditi, Manzoniano
non cadere nella media!
14
Sara Bonafede V C
VOCI IN CAPITOLO
-Parte secondaSelenia ha dovuto urlare addosso a
sua madre. Non capiva.
Quello stupido di Davide era stato a
un passo dal rovinare tutto irrimediabilmente.
Per fortuna, Selenia è riuscita a
ricondurre alla ragione la propria
madre, raccontando cento menzogne e qualche mezza verità sul conto del ragazzo.
La mamma di Selenia è ora convinta che Davide sia completamente
pazzo, drogato e incapace di controllarsi. Selenia, invece, si rimira
allo specchio.
Non è possibile – pensa – che non
se ne siano accorti.
La sua pelle è di un colore bianco
latteo, con ombre scure intorno agli
occhi, tuttavia Selenia non sembra
malata o altro. Semplicemente risplende. Non ha un singolo neo,
una singola lentiggine, un brufolo o
una macchiolina, ha soltanto una
voglia rosea a forma di mezzaluna
sulla pancia, di fianco all’ombelico.
Non importa – pensa – andrà via
anche quella.
I capelli sono di seta, neri e lucenti,
e scendono morbidamente fin oltre
le spalle. La sua bocca è curva in un
sorriso leggero, violacea: ha perso
ogni segno di colore. Le ciglia si
sono allungate, gli occhi hanno acquisito una sfumatura nera talmente
oscura che un barlume argenteo
sembra danzare sul fondo, dove si
dovrebbe vedere la pupilla. Le
guance paiono un filo più sottili e
incavate, ma Selenia non ne è sicura. È invece certa che i piccoli cana-
li che trasportano le lacrime dal
cuore all’esterno si è richiuso: mai
più le accadrà di vedere quel liquido nero e salato discendere fino agli
angoli della bocca.
Davide è sotto al balcone, come
sempre. Si è nascosto dopo che
Selenia ha parlato a sua madre della
sua cosiddetta instabilità.
Peccato – pensa il ragazzo – mi
stava quasi credendo...
Selenia esce nella notte e alza lo
sguardo alla luna.
Sottovoce, intona una canzone lamentosa con la sua voce cristallina.
Suo fratello Umberto la interrompe
per darle il bacio della buonanotte,
lei però si volta e lo fissa imperiosa:
non ne vuole sapere. La trasformazione deve essere completa.
Umbi scoppia a piangere e scappa
nella sua stanza. Si sdraia sul letto e
si calma con ampi respiri, fissando
il poster appeso alla parete, dal quale un Roger Daltrey ancora nel fiore
degli anni lo guarda da dietro i riccioli dorati.
Va alla finestra e cerca con lo
sguardo sua sorella, che canta illuminata dalla sola luna piena, un po’
ridicola nella camicia da notte bianca a fiori e con i capelli tutti spettinati.
Forse – pensa – ha qualcosa che
non va.
È la prima volta che un pensiero del
genere, così diretto, si affaccia nella
mente del piccolo Umbi, che dopotutto ha solo dieci anni. Ma, ripen-
sandoci, Umbi si convince che sua
sorella non deve stare troppo bene.
Devo aiutarla – si dice – Ma come?
In quell’istante, mentre abbassa la
tapparella, scorge Davide seduto sul
marciapiede, illuminato dal chiarore
giallastro del lampione.
Umbi non conosce un granché l’ex
di sua sorella, ma si rende conto
subito che, se c’è qualcuno che può
aiutarlo a scoprire cosa è successo a
Selenia, quello è lui. E poi Davide
gli è sempre stato molto simpatico.Umbi elabora subito un piano
molto strategico. Sa benissimo che
se lo beccano i suoi genitori
1: a uscire di sera,
2: senza giacca (l’armadio delle
giacche cigola),
3: per andare da Davide,
lo ammazzano sul posto, quindi
deve stare molto attento. Aspetta
quasi senza respirare che la porta
della camera da letto dei suoi si
richiuda con un tonfo, poi conta i
secondi. Quando arriva a tremilasettecentoottantacinque esce silenziosamente, apre la porta d’ingresso e
si fionda giù per le scale, sperando
che Davide non se ne sia andato.
Non se n’è andato, però dorme.
Umbi non sa cosa fare. Improvvisamente il suo piano geniale gli sembra pieno di pecche. Osserva il ragazzo sdraiato sul marciapiede davanti a lui. Ha i capelli ricci, proprio come i suoi, ma più lunghi, che
ricadono disordinati e gli coprono
gli occhi. Non è molto alto, ma è
magrissimo, e basta un giaccone
15
Il bambino rimane un po’ lì così, a
guardare Davide che dorme. Nelle
orecchie risuonano le parole di sua
sorella mentre dice che Davide è un
pazzo. A me non sembra pazzo –
riflette – solo un po’ solo.
Si rende conto, Umbi, che non può
aspettare fino all’alba, anche perchè
sta ormai morendo di freddo, così
scrolla gentilmente le spalle di Davide. Con un sussulto il ragazzo si
sveglia e si drizza a sedere.
Si fissano per una frazione di secondo, poi Davide parla con voce
assonnata:
- Chi diavolo sei?
- Umberto. Il fratello di Selenia.
- Ma quanti anni hai? Cosa ci fai
qua fuori a quest’ora? Saranno almeno le tre!
Davide è mezzo addormentato, ma
si rende conto perfettamente della
stranezza della situazione.
- Devi aiutarmi – Umbi parla velocemente e nervosamente – Selenia.
Non sta bene. Io... noi dobbiamo
aiutarla.Davide pian piano capisce
dove vuole andare a parare il bambino.
- Senti un po’, come hai detto che ti
chiami? Umberto. Ascoltami. Tua
sorella non vuole più vedermi e ha
fatto in modo che io non possa più
presentarmi in casa vostra. .
Ma non solo: non esce più con nessunoSta sempre da sola e sorride,
sorride in continuazione. Non mi
interessa sapere cosa passa per la
sua testolina malata, ma voglio che
sappia che, se lei ha bisogno, io ci
sono. Invece ho la sensazione che si
sia cacciata in un guaio, ma che non
mi consideri all’altezza. In effetti,
sembra che non consideri più nessuno all’altezza. Non m’importa cosa
pensa che –
Parla tutto d’un fiato, ma alla fine la
voce s’incrina e deve fermarsi.
Stringe i denti per evitare di piangere davanti a Umberto, che si è ora
seduto di fianco a lui.
- Ora ascoltami tu, però. Io sono il
fratello di Selenia, ma non le credo
quando dice che sei matto. Ti voleva bene, no? E allora, se non sei
matto tu, è matta lei. Secondo me,
tra l’altro, è davvero matta. Dice
delle cose senza senso. Passa le ore
a guardarsi allo specchio e intanto
parla da sola. Io ogni tanto la sento:
è convinta di essere
un’extraterrestre che viene dalla
Luna e che sta prendendo il posto
lentamente della vera Selenia. È
grave, no?
Davide strabuzza gli occhi. Ha pensato ogni tanto in quelle ultime settimane che Nina fosse tutt’un tratto
impazzita, ma le parole di Umbi lo
spaventano lo stesso.
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È una specie di conferma che non
avrebbe mai voluto avere. Meglio,
molto meglio se fosse stato lui quello fuori come un balcone.
- Cosa possiamo fare?
Si trova a chiedere con aria persa a
un bambino riccioluto di dieci anni,
seduto sul marciapiede davanti a
casa sua, alle tre di notte di sabato
sera.
Ma Umbi è un bambino e ragiona
come un bambino.
- Per prima cosa, dobbiamo scoprire
se è vero.
- Se è vero cosa?
- Che viene dalla Luna.
Davide è ancora più strabiliato. Va
bene tutto, ma questo no!
- Umbi, senti, è impossibile che
venga dalla Luna. La Luna non è
abitabile, non c’è ossigeno sulla
Luna. La Luna…
- Sì, ma lei è mia sorella, e se è convinta di venire dalla Luna magari
un minimo fondo di verità c’è.
Se fosse giorno, Davide manderebbe a quel paese il piccolo Umbi e si
dispererebbe sulla perdita irreparabile della sua Nina bella. Ma non è
giorno, è notte, e di notte i ragionamenti razionali fanno cilecca.
- Va bene. Ma come facciamo a
scoprirlo?
Nel prossimo numero de La Testata :
Il Personaggio del Mese: ironica rubrica dove i personaggi della storia si mettono a nudo .
Voci in Capitolo: cosa accadrà nella terza puntata?
Scoprilo il mese prossimo o sii tu l'artefice del destino de personaggi.
LA BARTEZZAGHI
Carla Bartezzaghi I A
SOLUZIONI
OTTOBRE 2011
Orizzontali
Verticali
1. Soldato romano
11. Il 4 ottobre è quello di Francesco
12. Un certo Tommaso Didimo
13. L'Assante giornalista di Repubblica
14. Il Tito direttore d'orchestra
15. Pari in arma
16. L'Oreste del cabaret
17. Fiume delle Marche
19. raccoglie erbe.
24. Ucciso dalla brigata XXVIII Marzo
25. Comunione e Liberazione
26. Quello del tennista
29. Una certa Ambra.
30. Il Terribile Bogdanov
1. Succo d'uva non fermentato
2. Mitico gufo parlante.
3. Negazione palindromica
4. Novecentonovantanove.
5. Il tutto femminile greco
6. Il quale greco
7. Longe Term Evolution
8. Il contrario di soglia
9. erano sette a Roma
10. un certo nano
15. premio nobel per la fisica del 84
17. Cane mitologico
18. Imperativo di essere seconda singolare
20. Capitale
21. titoli di stato francesi (iniziali)
22. Tennis Club
23. Bennett
26. Terzo Dragonball
27. Vanoni