GREGATIM (Segue da Pag. 2)
Transcript
GREGATIM (Segue da Pag. 2)
La Testata Novembre 2011 Anno 3 N. 2 La Testata GREGATIM 1 Eugenio Cannovale II B Carlo Daffonchio II C Tutti noi abbiamo dei “giri”, gruppi di persone che frequentiamo più o meno spesso. Possiamo averne uno, due, tre, cinque, dieci e via dicendo. Probabilmente sotto un certo numero saremmo considerati degli “sfigati”, sopra un’altra cifra saremmo dei “ganzi”. Eppure anche l’uomo più popolare di questa Terra può diventare il più solo, abbandonato da tutti. Ciò dipende dalla solidità dei legami che ha con le persone che frequenta; più il filo del rapporto interpersonale è forte, più sarà difficile tagliarlo. Se basta solo un nulla, un particolare minimo a spezzarlo, evidentemente non siamo così “ganzi” come pensavamo. Tutto ciò ci porta a rivalutare i legami che abbiamo, i gruppi che frequentiamo. Sorge spontanea la domanda: “Cosa unisce un gruppo?”.Risalendo agli albori della Storia, a questa domanda possiamo dare come risposta la “necessità”, ovvero un’unione non volontaria, bensì nata dall’esigenza di affrontare una situazione di difficoltà: superata tale situazione, la necessità si può declinare in diverse modalità. Se si sviluppa su un piano sentimentale, abbiamo l’affetto, il dolce sentimento che ci stimola a stare con gli altri, traendo piacere e felicità (per esempio la famiglia, o un gruppo intimo di amici); altrimenti materialisticamente parliamo di utile, che non si basa sulla necessità di sopravvivere, ma sul bisogno di vivere vantaggiosamente (storicamente il primo triumvirato); Segue a pagina 4 _____________________________ 1: in gruppo 5 7 9 4 SOMMARIO EDITORIALE 2 La Camera dei Segreti 3 MUSICA 4 ATTUALITA’, STORIA 5 PROSA 13 PAROLE CROCIATE 16 Correzione bozze Ilaria Sieli IF Copertina Giulia Cividini VM Impaginazione Krishan Kuruppu IA 3 La Camera dei Segreti Basilisco VH Tornano il buio e il freddo, la sveglia suona sempre più aggressiva, si comincia a rincorrere lo studio e a spremere le macchinette per un caffè. Novembre è qui, ci guarda con occhi grigi e severi e scorre lentamente infierendo sulla mente degli studenti come un Freddy Krueger improvvisato. Fortunatamente al Manzoni non manca mai qualcosa di interessante a cui pensare. Si sono infatti svolte le elezioni per il Consiglio d’ Istituto, che hanno coinvolto tutto il liceo in modo grandioso coprendolo di manifesti propagandistici. Nonostante fossero arrivate delle critiche per alcune immagini di Mao, tutte le superfici libere sono state protagoniste di una corsa all’affissione con ogni mezzo, dal volantino al manifesto, dai post-it alle immagini. Dopo le assemblee, molto interessanti e caratterizzate da un vivace dibattito, tutti i ragazzi hanno espresso le loro preferenze assegnando al Collettivo tre dei quattro seggi disponibili a scuola e tutti quelli della Consulta provinciale, dove la scelta era ridotta ad un altro solo candidato. La nuova lista MCM ha ottenuto un risultato importante portando così anche le proprie proposte al Consiglio. Alla Commissione Cultura si deve il merito delle conferenze sul fumetto tenute qualche settimana fa, che hanno richiamato i cervelli manzoniani a un argomento solitamente sottovalutato. Nel primo incontro gli eroi disneyani sono stati analizzati da un punto di vista psicanalitico, che li ha privati di quella semplicità tanto appassionante per i bambini e li ha dati ad un pubblico più maturo con un ampio corredo di commenti. Il secondo incontro ha dato l’onore alla scuola di accogliere un pilastro del fumetto italiano come Guido Silver, che ha divertito con le sue strisce e approfondito il tema della conferenza con il punto di vista di un esperto. “Topolino sul lettino” si è concluso con il muso di Lupo Alberto stupito per la complessità del Greco antico, ma riprenderà a (mese?) aprendosi a tutta la città e confermando la fama che il Manzoni si è assicurato negli anni con iniziative strepitose in ogni campo. Un altro avvenimento degno di attenzione è l’articolo che finalmente è giunto da un membro esterno all’oscura lobby del giornalino, dando una soddisfazione purtroppo assai rara. La redazione della “Testata” non è una comunità chiusa, ma un gruppo di persone che tentano di rendere sulla carta i propri pensieri, aperto a tutti. Quello che invece detestano tutti coloro che scrivono e che si adoperano per il Giornalino è l’obbligo a revisioni e riscritture per futili motivi: le interviste edite nel precedente numero servivano a trascrivere sulla carta le parole immediate e dirette dei candidati di tutte le liste, perciò le numerose correzioni contenutistiche da parte degli interessati le hanno private di significato. Numerosi elementi della “Testata” hanno lavorato attorno a quelle pagine riscrivendo i discorsi registrati, impaginando nuovamente ad ogni revisione, correggendo il testo da capo per la mancanza di sicurezza e chiarezza degli intervistati, perdendo quindi molto tempo e ritardando l’uscita del numero. In conclusione, le proprie mancanze non devono scalfire l’operato e la credibilità della Testata. 4 Eugenio Cannovale II B e Carlo Daffonchio II C GREGATIM (Segue da Pag. 2) in un altro senso, quello culturale, lo definiamo interes s e com une, ci oè l’arricchimento nel confronto (tale un “club del libro”); la declinazione finale è l’obiettivocomune, la volontà di raggiungere uno scopo pratico (tali sono i missionari). Un supplemento di unità, il più delle volte ravvisabile, è la presenza di una personalità forte, che ci ricordi il motivo dell’unione e che, in quanto primus inter pares, operi per gli interessi non propri, ma della collettività. È importante sottolineare il valore della parola pares, condizione imprescindibile per l’esistenza stessa del gruppo. Nonostante esista una gerarchia preposta al mantenimento dell’ordine, si parte da una condizione di uguaglianza tra i membri. Vi invitiamo a riflettere su tutto questo, perché lo riscontrate nelle realtà a voi più vicine, come possono esserlo questo Giornalino studentesco e il Collettivo che opera nella scuola, o anche il nostro gruppo di teatro. Gruppi uniti per motivi diversi, l’uno per vivacizzare l’espressione personale nella collettività (o, per i più, le ore di Greco!), l’altro per essere un’arena del dibattito politico, l’ultimo per allietarci con gradevoli spettacoli. Quello che sta ad ognuno è identificarsi in un sistema di valori e in un gruppo che rappresenti valori, a cui bisogna però aderire in modo autonomo, consapevole e sincero, perché solo così possiamo sentire veramente nostro un gruppo. lungometraggio che, sempre il 20 settembre, è stato proiettato in esclusiva al cinema. Il Cd contiene 29 canzoni, live e demo, tra le migliori composte dalla band americana e un documentario che ripercorre la storia del gruppo dalla formazione e dalla successiva e rapidissima ascesa tra le star agli ultimi concerti dal vivo. Pezzi molto belli dell'album sono Black, Say Hello 2 Heaven e Alive, ma non solo! Vi consiglio di acquistare o scaricare qualche album dei Pearl Jam, specialmente se apprezzate un genere simile a quello dei Nirvana. In questo numero parleremo anche dei numerosi concerti che si svolgeranno a Milano o dintorni nei mesi di Novembre e Dicembre, alcuni dei quali davvero imperdibili:Il 28 novembre ad Assago si esibiranno i The Smashing Pumpkins, che l'anno prossimo pubblicheranno il nuovo album "Oceania". Bob Dylan e Mark Knopfler saranno anche loro ad Assago il 14 novembre per uno spettacolo di musica folk e R&B. Il 21 novembre ad Assago ci sarà il concerto di Lenny Kravitz che si esibirà nel suo ultimo album “Black and White America”. Il 2 dicembre all'Alcatraz dopo sette anni di assenza si esibiranno i 99 Posse. Al Live Club di Trezzo sull'Adda ci sarà mercoledì 21 dicembre Caparezza. SIMON & DAFFUNKEL Simone Massaro V I Questa volta vorrei recensire il nuovo Cd dei Pearl Jam. Per chi non li conoscesse, i Pearl Jam sono un gruppo grunge/rock formatosi a Seattle nel 1990. I componenti della band sono Eddie Vedder alla voce, Stone Grossard e Mike McCready alle chitarre, Jeff Ament al basso, Matt Cameron alla batteria e, dal 2002, Kenneth Gaspar alla tastiera. Dal 1991 il gruppo ha all’attivo ben 16 album e ha partecipato ad altrettanti tour. Per celebrare i loro vent'anni di attività, i Pearl Jam hanno deciso di far pubblicare "Pearl Jam Twenty" , uscito in Italia il 20 settembre, contenente la colonna sonora dell'omonimo 5 AFFARI NOSTRI Ilaria Sieli IF In genere, appena la si nomina, suscita nella gente una reazione di annoiata sofferenza espressa con un lamentoso mugolio, di solito seguito da una fuga disperata. Non è l’interrogazione di Greco, anche se i sintomi coincidono: si tratta dell’economia. Eppure ultimamente fra giornali e TG non si sente parlare d’altro, da Piazza Affari che chiude a – 4 % all’aumento dello spread fra BTP e Bund, passando per tori e orsi, rialzi e ribassi del mercato. La maggioranza della gente, però, tende a ignorare queste informazioni, di cui ha un’idea alquanto vaga, salvo poi piangere qualora sopraggiunga la cupa ombra della crisi economica, lo spauracchio degli ultimi anni. Le persone d’altro canto sono confuse: in tv vengono dette frasi bizzarre composte di cifre, percentuali, sigle astruse e chi più ne ha più ne metta, oggi si nega l’esistenza di una crisi quando giusto ieri si era detto che ne fossimo dentro fino al collo. Dal canto loro, gli economisti non hanno la più pallida idea di cosa rispondere alla fatidica domanda: la crisi (che, a questo proposito, è un dato di fatto) si poteva evitare o no? Invitati a discuterne in televisione, sono consapevoli che una loro risposta potrebbe avere conseguenze non del tutto indifferenti sul quadro economico (il potere dei media è enorme), così si limitano a ribadire che sì, forse la crisi era prevedibile e scongiurabile. Un’affermazione volta a non suscitare né il panico (immaginate la reazione della gente davanti a un fenomeno imprevedibile e inevitabile!) né la rabbia, comprensibile sotto certi aspetti, della popolazione, tutta rivolta verso coloro che potevano evitare il problema e non l’hanno fatto. Il quadro economico odierno è in parte influenzabile dai media: la diminuzione del turismo in Grecia, descritta con angoscia martellante in tv, è una profezia destinata ad autoavverarsi, poiché condiziona psicologicamente la gente. Nonostante questo, la crisi che viviamo non è certo una novità, bensì ha le sue radici nella seconda metà degli anni Ottanta. Infatti il mondo occidentale (Unione Europea, USA, Gran Bretagna) negli ultimi venticinque anni è cresciuto economicamente grazie al ricorso al credito da parte di privati, società e Stati. Il credito, cioè il prestito di una quota di denaro, ha permesso dunque di finanziare un tenore di vita superiore a quello possibile basandosi unicamente sul proprio reddito, consentendo a molta più gente di acquistare beni, quali case o automobili, che altrimenti avrebbe potuto solamente vagheggiare. L’effetto del credito sullo stipendio è quasi analogo a quello del risparmio (fatta eccezione per gli interessi, che una banca richiede al momento della restituzione di un prestito), tuttavia con modalità diverse: se il risparmio sottrae soldi al reddito prima dell’acquisto, il credito lo fa dopo, consentendo d’altro canto di entrare subito in possesso del bene e allo stesso tempo disincentivando il risparmio: in un mondo concentrato sul presente più che sul futuro, la possibilità di avere nell’immediato ciò che si desidera posticipando anni di sacrifici è molto allettante. Il rischio, però, è di esagerare e non essere più in grado di ripagare il debito, innescando una reazione a catena: la gente, indebitata, smette di acquistare, le società non vendono e sono costrette a tagliare i costi, anche quelli del personale, perciò licenziano i dipendenti, i quali, privi di uno stipendio e quindi di denaro, non hanno la possibilità di acquistare né di restituire eventuali prestiti; l’economia va di conseguenza in recessione. Un esempio eloquente è dato dal mercato immobiliare, che negli ultimi anni ha avuto un vero e proprio boom: al momento di accendere un mutuo per l’acquisto di una casa, viene stipulato un accordo con la banca, l’ipoteca, che può essere esercitata qualora il cliente non rifonda il debito, così la banca diventa proprietaria dell’abitazione. Se in difficoltà a restituire il prestito, l’acquirente ha la possibilità di ottenere liquidi tramite la vendita dell’immobile, ma proviamo a immaginare migliaia di persone che compiano questa operazione in contemporanea: il prezzo delle case crolla davanti alla scarsa disponibilità di acquirenti rispetto al numero elevato di venditori. Per rientrare in possesso del denaro prestato, la banca riscatta dunque l’ipoteca, trovandosi fra le mani una casa il cui valore è però inferiore rispetto al momento in cui si era acceso il mutuo. In questo caso, la banca registra una perdita, perciò aumentano le sue cosiddette “sofferenze”, che possono portarla sull’orlo del fallimento, inducendola a prestare denaro con più difficoltà e costringendo così la gente ad abbassare il proprio tenore di vita, con la conseguenza del rafforzamento del circolo vizioso di cui abbiamo parlato poco fa. 6 Ad aggravare la situazione, si sono aggiunti i prodotti di alcuni cervelli fini, le bolle speculative, particolarmente presenti sui mercati finanziari. Si tratta di un eccesso di credito da parte delle banche, che, accrescendo il potere d’acquisto della popolazione, fa salire il prezzo di determinati beni di consumo (anche qui il fenomeno più evidente è il mercato immobiliare) rendendo difficile l’acquisto e necessario il possesso di ulteriore denaro. Una volta raggiunto un livello insostenibile, alla minima diminuzione del valore degli immobili perché non supportato da ragioni reali, quali un’effettiva domanda, la gente, in preda all’isteria, cerca di vendere prima che sia troppo tardi, causando il crollo dei prezzi e lo “scoppio” della bolla. Per salvare l’economia, l’intervento delle banche è consistito in un aumento dei prestiti, per innescare nuovamente il processo, come è accaduto in maniera evidente negli Stati Uniti nel 2008. Allo sviluppo della crisi nel mondo occidentale ha provveduto anche l’aumento della delocalizzazione selvaggia di servizi e industrie in Paesi in cui la manodopera è a basso costo e i diritti umani non sono rispettati per rimanere competitivi sul mercato dopo la crescita economica dei suddetti Paesi (Cina, India, Corea, Taiwan, Singapore), entrati in concorrenza con Europa e Stati Uniti dapprima nel settore manifatturiero, quindi nel terziario avanzato. L’effetto è la riduzione del potere d’acquisto di coloro che lavoravano negli stabilimenti successivamente delocalizzati.Tornando in Europa, l’attuale crisi dell’euro è dovuta al raggiungimento di livelli colossali da parte del debito di privati, imprese e soprattutto stati, per i quali si parla di debito pubblico, la somma dei deficit annuali, cioè la differenza tra ciò che lo stato incassa e spende nell’arco di un anno. Un governo previdente cerca di evitare il deficit, oppure, nel caso di importanti ed eccezionali finanzia- menti, ad esempio per la costruzione o la manutenzione di infrastrutture, prevede un efficace piano di rientro per chiudere il bilancio almeno in parità l’anno seguente. Con un governo negligente, invece, il debito è ampliato da corruzione, mancanza di un piano di rientro, clientelismo, mancata persecuzione dell’evasione fiscale, che in Italia è stimata tra poco meno di duecento e trecento miliardi di euro annui (tra evasione delle imposte dirette, economia sommersa, criminalità organizzata, e doppi o tripli lavori) con cui il debito pubblico sarebbe ampiamente riparato, la maggior parte delle infrastrutture rimessa in sesto e le aliquote, cioè le tasse fiscali dei lavoratori dipendenti, ridotte, innescando un circolo virtuoso. A questo si aggiunge il fenomeno della mafia, che attraverso un controllo del territorio basato sul regime del terrore ricicla il denaro sporco - ottenuto con traffici di droga, sfruttamento della prostituzione e imposizione del pizzo – in attività imprenditoriali e commerciali, impedendo lo sviluppo di una concorrenza e di una libera imprenditoria; inoltre la situazione è aggravata dall’incapacità di consentire una crescita economica attuabile con lo snellimento della burocrazia e con l’annullamento dei privilegi di alcune lobby economiche, come l’accesso precluso ad alcune professioni, ormai addirittura tramandate di padre in figlio, e favorendo al contrario la libera concorrenza e l’abbattimento dei prezzi a vantaggio dei clienti. Quando il debito è ormai troppo elevato, per tamponarlo si ricorre a dei piani, che per le famiglie consistono nel risparmio, per le imprese nel taglio dei costi, mentre per gli Stati nelle manovre economiche, che generalmente prevedono l’aumento delle imposte, il taglio degli sgravi fiscali e delle spese, in particolare sanità e istruzione (purtroppo). Questo recupero di denaro, però, è effettuato almeno in Italia senza la minima lotta all’evasione fiscale, che al contrario pare incentivata da operazioni come il condono, che consiste nel permettere agli evasori che hanno trasferito capitali all’estero di farli rientrare nel Paese senza incorrere in processi penali, con il pagamento di un’aliquota irrisoria (attestata attorno al 5 – 10 %) e, di recente, in forma anonima. Uno Stato come finanzia il debito, però? Se le persone ricorrono a prestiti e le società emettono titoli di credito, cioè azioni e obbligazioni, con cui raccogliere il denaro dei risparmiatori in cambio di un interesse, così un Paese emette i titoli di Stato, i vari BOT, BTP e CCT, più sicuri dei titoli di credito (una società ha più probabilità di fallimento rispetto a uno Stato) e perciò con un tasso d’interesse inferiore. Tuttavia, quanto più aumenta il debito, tanto più crescono il bisogno di soldi e la difficoltà a reperirli, così per allettare i risparmiatori viene innalzato l’interesse sui titoli di Stato, azione che però accresce ulteriormente il debito, portando lo Stato al fallimento, come è successo anni fa in Argentina, o sull’orlo, come accade oggi per la Grecia, poiché non più in grado di assolvere i debiti verso i risparmiatori. Il risultato del fallimento è la scomparsa di miliardi di risparmi della gente, ma anche la perdita della fiducia degli investitori e la difficoltà a finanziare persino l’ordinaria amministrazione. I Paesi più a rischio dell’Unione Europea, a causa della mancanza di controllo dei conti pubblici, sono i suoi anelli deboli, cioè Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e Italia. Dal momento che anche il nostro Paese figura nell’elenco, per evitare eventuali tracolli è necessario sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza dell’economia, che è ben lontana dall’idea di entità astratta e noiosa che va per la maggiore, ma è al contrario parte integrante della società. 7 EIN VOLK,EIN REICH, EIN FUHRER Mattia Giordano IB Hitler era un uomo. È terribile pensare che Adolf Hitler fosse un semplice essere umano, passato alla storia, giustamente, come una figura demoniaca per le atrocità compiute. Eppure spesso non riusciamo a concepire che dietro a tutti i suoi atti ci fosse un sistema ideologico ben preciso, che l’ha reso uno dei maggiori ideologi del secolo scorso. Giustamente la gravità delle azioni supera il pensiero. Ma per capire le azioni dobbiamo chiarire il pensiero, vedendo i progetti annessi, come sono stati realizzati, e, sempre brevemente e in tutta semplicità, spiegandone il perché. Partiamo dalla pietra miliare del Nazionalsocialismo, cioè il Mein Kampf di Adolf Hitler pubblicato nel 1925. Affrontiamone pochi punti fondamentali. Esso si apre con la caratterizzazione dell’antisemitismo nazista. Perché l’antisemitismo? Premesso che l’antisemitismo ha radici antiche nella storia, Hitler vuole ridare vita alla Germania distrutta dalla prima Guerra Mondiale, e per dare vita bisogna dare energia. E il carburante più potente è l’odio. Gli Ebrei, nel pensiero antisemita e nazista, sono moralmente degenerati, usurai, complottano per controllare il mondo (Protocolli dei sette savi) e sono una razza parassita, poiché senza nazione. Inoltre in un periodo di profondissima crisi, gli Ebrei, accusati di speculazione spietata dopo la prima Guerra Mondiale, non erano certo ben visti. Hitler infiamma questo sentimento inglobandolo nella sua ideologia, definendo il concetto di “razza” (lo approfondiremo nel prossimo numero) e, conseguentemente, della superiorità della razza ariana (comprendente tutti i popoli indoeuropei). Introduciamo qui un termine fondamentale nell’ideologia nazista: “Utermensch”, cioè subumano. Lothrop Stoddard (avanguardia del Nazismo) nel suo The revolt against civilisation: the menace of the Underman del 1922 ci fornisce una definizione di Subumano: “È l’uomo che sta sotto gli standard di capacità e adattabilità imposti dall’ordine sociale in cui vive”. Con questo termine vengono definiti gli Ebrei e tutti i popoli dell’Est Europa ritenuti “razze inferiori” (Utermenschen), nonché gli omosessuali, i disabili e i malati terminali. Perché lo sterminio dei sub-umani? La motivazione è prima di tutto ideologica. La razza originale ariana, superiore a tutte le altre, è stata sporcata dall’incrocio con queste razze inferiori, che sono parassite, in quanto razze senza nazione. Si deve quindi epurare e mantenere saldo il “Volk”, cioè quella comunità popolare pura e originale che sarà la base del nuovo ordine mondiale. La razza ariana però, in quanto superiore, ha bisogno dello spazio vitale (identificato nei territori ad oriente) temporaneamente occupato da quelle razze inferiori dell’Est, chiamato “Lebensraum”. Inoltre c’è anche una motivazione più propagandistica: Hitler dà la colpa della sconfitta della Germania durante la prima Guerra Mondiale proprio alla presenza nel popolo tedesco di queste “Utermenschen”, che avrebbero pugnalato alle spalle la nazione. Gli ebrei, essendo il popolo senza nazione per eccellenza, (nell’ideologia nazista più una razza “parassita” era ricca, più era deleteria per la nazione) sono i primi a essere colpiti dalle leggi razziali e poi dall’annientamento. La motivazione poteva essere anche economica, poiché i beni confiscati riempivano di certo le casse dello Stato. Lo sterminio degli ebrei avviene per fasi (leggi di Norimberga, progetto Madagascar, i ghetti orientali, ecc…) ma nel 1942, con la conferenza di Wannsee, abbiamo il culmine della violenza, un cambiamento quasi repentino: prende vita la vera e propria “Soluzione finale della questione ebraica”, con la creazione dei campi di sterminio e dei lager finalizzati esclusivamente all’eliminazione sistematica degli ebrei e poi in generale di tutti i sub-umani. Perché questo cambiamento di rotta? Il brutale sterminio di massa aveva una doppia valenza. Da un lato, il Führer ripaga il popolo tedesco dei dolori della guerra, mettendo in atto il suo progetto di epurazione, per evitare che le razze inferiori interferiscano nella vittoria della Germania e che insudicino il “Volk” mentre esso è impegnato in guerra per la sua affermazione. E poi c’è il fondamentale aspetto economico: i beni confiscati andavano allo Stato; nei campi di concentramento si lavorava e si sosteneva l’imponente industria bellica con una manodopera a bassissimo costo e infinita (per tanti che morivano, tanti ne arrivavano) e senza alcuno spreco (quelli che non riuscivano a lavorare venivano subito uccisi, tutto veniva riciclato e riutilizzato). Con questo imponente e calcolato sistema, una nazione povera è riuscita a far tremare varie nazioni molto più ricche. Un altro punto fondamentale del Mein Kampf è la repulsione del Marxismo e di ogni forma di Bolscevismo. 8 Perché questa avversione al Comuni smo (Marxism o Leninismo)? Prima di tutto, il Marxismo era la filosofia delle razze inferiori dell’Est, quindi da condannare. Inoltre c’erano le grandi differenze di pensiero: il Marxismo concepiva la lotta di classe, mentre il Nazionalsocialismo la lotta di razza e il corporativismo, cioè la concordia tra le classi, promosso da Mussolini. Da una parte c’era il dissolvimento dello Stato (dalla dittatura del proletariato fino all’assenza di Stato) e la condanna del capitalismo, dall’altra la centralità dello Stato e il socialismo nazionale (un’unione tra socialismo e nazionalismo). Inoltre il principio di totalità nel Nazismo proveniva dalla razza, mentre lo Stato era il mezzo per realizzarne la purezza. La nazione era assimilata con la razza, una razza forte era espressione di una nazione forte e viceversa, e così la lotta tra nazioni ideata da Mussolini si tramutava in lotta di razza. Sotto questi aspetti, la teoria del darwinismo sociale vigeva sovrana. Dal punto di vista filosofico, il Nazismo prese dal Fascismo la concezione hegeliana dello Stato (Stato etico) che si opponeva a quella marxista; l’idealismo contro il materialismo (da quello dialettico a quello storico). L’ultimo punto fondamentale da affrontare del Mein Kampf è l’acquisizione dei territori a Est della Germania, visti come lo “spazio vitale” (Lebensraum) della razza ariana. Essendo superiore, essa ha bisogno di un dato spazio che può prendersi con la forza a spese delle razze inferiori e schiave per natura. Questa fu la base ideologica di due grandi progetti: L’Operazione Barbarossa e il Generalplan Ost (GPO). L’Operazione Barbarossa, 1942, consistette nell’invasione preventiva dell’Unione Sovietica, che aveva prima di tutto cause belliche, ma che fu motivata proprio da questo progetto di conquista del Lebensraum. Il Generalplan Ost , invece, era qualcosa di mastodontico: consisteva nella pulizia etnica e nella germanizzazione di tutti i territori dell’Est, nella trucidazione degli Slavi e nella schiavizzazione dei Polacchi, e poi, 50 anni dopo la guerra, con il Größe Planung, nel genocidio di 50milioni di Slavi oltre gli Urali. Ecco che per l’attuazione del GPO anche gli individui appartenenti alle “razze” est-europee furono sbattuti nei campi di concentramento e poi sterminati nei lager e nei campi di sterminio. Ma in questi luoghi non c’erano solo loro. Perché l’eliminazione di omosessuali, malati gravi, terminali, mentali e disabili? Come abbiamo detto, l’aspirazione nazista era l’eliminazione di tutti i sub-umani per epurare la comunità popolare originale di razza ariana – tedesca, base del nuovo ordine mondiale. Gli omosessuali erano sub-umani poiché non permettevano l’avanzamento della razza, e quindi erano da eliminare. Furono infatti colpiti per lo più gli omosessuali tedeschi. E poi c’erano i disabili e i malati terminali, gravi o di malattie genetiche. Le motivazioni del loro sterminio sono di matrice sia ideologica che economica. Si riprende il concetto di “eugenetica”, cioè la selezione e la promozione dei caratteri fisici e mentali ritenuti positivi e l’eliminazione di quelli negativi al fine del miglioramento della specie umana. Il Volk deve sopravvivere e migliorarsi anche a discapito dell’individuo, deve ergersi e divenire perfetto e superiore. Tutti coloro che sono inferiori devono essere eliminati. Il malato terminale o in stato di coma vegetativo, il disabile sono una “Lebensunwertes Leben” («vita indegna di vita» oppure «vita indegna di essere vissuta»). Le persone con malattie genetiche sporcano il Volk e lo rendono debole. La razza deve e dovrà sempre essere forte e pura. Questi elementi, in quanto sub-umani, devono essere eliminati. Poi c’è l’aspetto economico: i malati costano, pesano, la spesa medica deve essere ridotta, e dopo, con la guerra, gli ospedali e soldi servono ai soldati. Su queste basi viene creato il progetto Aktion T4, che consisteva in un primo momento nella sterilizzazione, ma poi nell’eutanasia di massa e nello sterminio di disabili, malati mentali, ecc… A causa delle grandi opposizioni, soprattutto di matrice cattolica, fu sospeso. Le uccisioni andarono avanti ininterrotte. Le vittime furono circa 200.000. Perché il Nazismo è ancora presente così tanto ai giorni nostri? Il Nazismo non è un’ideologia politica. Anzi, la politica è in secondo piano. Vi è un volto misterioso, nascosto, segreto, inquietante, che tutti noi ignoriamo, ma che è la base della potenza quasi demoniaca del Nazismo e di Hitler, quella forza che lo ha reso capace di uccidere milioni di persone. È quella forza che lo rende ancora presente ai giorni nostri, che lo fa aleggiare nella nostra società. La sua eredità non è solo politica. Vi siete mai chiesti perché il neonazismo è connesso al satanismo? Su cosa si basa questa ossessione verso la razza? Cos’è il simbolo nazista? Ha dei fondamenti l’idea della razza ariana? Ebbene c’è un volto oscuro e inquietante che prende il nome di “Misticismo Nazista”, ed è la base dell’ imponenza di Adolf Hitler e di tutto il nazismo. Ma di questo parleremo nel prossimo numero. STEVE JOBS Silvia Meloni IE "...Non c'è ragione per non seguire il vostro cuore. Il vostro tempo è limitato, per cui non lo sprecate vivendo la vita di qualcun'altro. Non fatevi intrappolare dai dogmi, che vuol dire vivere seguendo il risultato del pensiero di altre persone. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui offuschi la vostra voce interiore. E, cosa più importante di tutte, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione. In qualche modo loro sanno cosa volete realmente diventare. Tutto il resto è secondario. Siate affamati, siate folli" Questa sopra riportata è una parte del discorso pronunciato dal genio dell'informatica Steve Jobs il 12 giugno 2005 all'università di Stanford in occasione della consegna delle lauree. All'epoca Jobs aveva già iniziato a lottare contro il terribile tumore al pancreas che l'ha portato via poco tempo fa all'età di soli 56 anni, nonostante ciò, però, le parole del discorso rivolto a questi giovani non sono parole di rassegnazione o resa, al contrario incoraggiano a seguire quella che ognuno sente come la propria strada e a lottare per quella, come lui ha sempre fatto: prima per realizzare i suoi progetti informatici, poi contro la malattia, anche se nell'ultima battaglia il "nemico" ha avuto la meglio. Nato a San Francisco (California) il 24 febbraio 1955, non venne cresciuto dai genitori naturali ma la madre, una studentessa non sposata, decise di darlo in adozione a due genitori, un avvocato e la moglie, che a parer suo avrebbero potuto allevare meglio il bambino. Dopo aver preso il diploma nel 1972, Jobs scelse il Reed College di Portland, ma dopo solo sei mesi di corsi abbandonò l'università per cercare lavoro. Nel 1974 lavorò con l'amico Steve Wozniak alla Atari, un'azienda che si occupava della realizzazione di videogiochi. Proprio con Wozniak fondò l'azienda che è anche la grande eredità che ci ha lasciato: la Apple. Era il 1 aprile del 1976. Un'altro socio era Ronald Wayne, anche lui conosciuto ad Atari. Wayne però lasciò quasi subito la società, sbagliando, come si sarebbe poi visto, dal momento che poco tempo dopo la Apple ricevette la sua prima commissione, creando così il primo prototipo di computer: l'Apple I. In seguito Jobs e Wozniak riuscirono a passare dal lavorare nel garage di casa all'ottenimento di un finanziamento molto cospicuo da parte dell’industriale Mike Markkula, che in cambio ricevette un terzo della società. Il primo computer destinato alla vendita di massa venne messo in commercio nel 1977 ed era chiamato Apple II. Inutile dire che fu un successo, tanto che le vendite toccarono il milione di dollari. Altre date importanti della Apple sono, tra le tante, il 1980, anno in cui iniziò ad essere quotata in borsa, e il 24 gennaio 1984, quando venne messo a punto un nuovo sistema operativo per il computer. Da quel momento Steve Jobs fu considerato la persona più in vista nel mondo dell'informatica. L'avventura di Jobs ad Apple, però, finì nel 1985 quando, dopo l’abbandono della società da parte di Wozniak, anche lui decise di andarsene ricominciando così da capo, dopo trent’anni, con la fondazione di una nuova compagnia: la la NeXT Computer Nel 1986 entrò nel mondo dell'animazione computerizzata acquistando la Pixar, che nel 1995 con il cartone "Toy story - il mondo dei giocattoli" firmò il suo primo successo. Queste due nuove “creature” di Steve Jobs ci fanno capire quanto fosse geniale quell’uomo: capace di creare aziende dal nulla e trasformarle grazie al suo impegno e alle sue capacità in industrie produttrici di altissima qualità, in vere e proprie “macchine” di guadagno. Inoltre possiamo vedere che Jobs, come non si è arreso subito al tumore, non lo ha fatto nemmeno durante la vita, quando la fortuna sembrava voltargli le spalle, al contrario ha saputo risollevare la propria sor t e r i mboccandosi l e mani che, di spost o anche a r icomi nci ar e da capo. La Pixar venne successivamente venduta alla Disney. 9 10 Jobs tornò in seguito al suo "primo amore", ovvero la Apple, che fece uscire da un periodo di crisi e di cui prese il posto di amministratore delegato, decidendo tuttavia di non percepire alcuno stipendio, o meglio soltanto la simbolica cifra di un dollaro all'anno. Tempo dopo vennero immessi sul mercato sia un nuovo sistema operativo per il computer sia, con il lancio nel settore della musica digitale, l'iPod (presentato per la prima volta il 21 ottobre 2001) e il programma per scaricare musica iTunes. Gli investimenti in quest'ultimo campo furono abbondantemente ripagati, visto che al momento l'iPod è il lettore multimediale più venduto al mondo e iTunes vanta 10 miliardi di brani venduti. Nel 2004 per Steve Jobs arriva la notizia che gli cambierà la vita, purtroppo in negativo: ha una rara forma di tumore al pancreas. Questa malattia gli provoca anche il diabete e, per potersi sottoporre alle varie cure per la rimozione del tumore, cede temporaneamente a Tim Cook l’incarico di amministratore delegato. Nel 2009 subisce un trapianto al fegato che gli permette, anche se non a pieno regime, di tornare a occuparsi delle sue attività. Il 17 gennaio 2011 chiede però un nuovo congedo medico e infatti sono tutti sorpresi quando il 2 marzo si presenta sul palco per la presentazione dell'iPad 2. Il 24 agosto si dimette ufficialmente da amministratore delegato e si assicura di venire succeduto da Tim Cook. Steve Jobs, però, consapevole della gravità della sua malattia e del fatto che probabilmente la sua vita stava giungendo al termine, ha voluto lasciare alla sua amata azienda dei progetti riguardanti prodotti da immettere sul mercato fino al 2020. La Apple ha rilasciato una sentita dichiarazione affermando che Jobs è morto a Palo Alto, in California, il 5 ottobre 2011, a 56 anni, e ricordandolo come brillante e innovatore. Riposerà per sempre all’Alta Mesa Memorial Park di Palo Alto, assieme ad altre grandi menti della tecnologia, come il co-fondatore di HP David Packard e l’ingegnere Lewis Terman, con i quali Jobs aveva lavorato per alcuni mesi estivi come dipendente all’età di 13 anni. Questi sono i punti salienti della vita di Steve Jobs, indiscusso genio informatico, però la vita non è fatta solo di date e di eventi, ma anche di sogni, progetti, aspirazioni, fallimenti e successi. Molte sono le vittorie di quest’uomo che non ha solo migliorato, ma ha anche reso più semplice il complesso mondo dell’informatica, traghettandoci dai primi computer, grossi e ingombranti, a meraviglie tecnologiche come iPod e iPad. Jobs è dunque riuscito a vivere una vita intensa, a realizzare ciò che si era preposto di fare e forse sono stati proprio questi brillanti successi a non fargli temere la morte. E’ morto un mito, un uomo che ha creato delle aziende che perdureranno, anche se forse la sua eredità non sarà tanto questa quanto l’insegnamento che una vita come la sua può lasciarci. Il 29 giugno iniziò la commercializzazione di un nuovo prodotto marcato Apple, lungamente atteso anche per i diversi mesi di pubblicità: l'iPhone Con questo prodotto la Apple entrò anche nel settore della telefonia, tanto che adesso è la maggior produttrice di telefoni negli Stati Uniti. Dopo l'iPhone è poi la volta dell'iPad. ERRATA CORRIGE Ottobre 2011 Ci scusiamo per l’errore di stampa presente nello scorso cruciverba. Troverete la versione corretta sulla pagina FB de La Testata. Le soluzioni, invece, le trovate su questo numero a pagina 16. Ci scusiamo, inoltre, con Arturo Cohen, il cui cognome è stato stampato in un carattere più piccolo rispetto agli altri . 11 IL PERSONAGGIO DEL MESE : AKHENATON Federica Messaggeri VC Ero giovane quando cessai di vivere, non ricordo l’età esatta. Ciononostante ho memoria di una vita breve quanto ricca di eventi e complicazioni. Vi dirò che non sono certo di cosa mi portò alla morte, ma ciò che so è che non feci nulla per meritarla: o mi venne concessa in sorte o mi fu data per mano di uomini. Mi consumo tentando di trovare, frugando nelle sfocate immagini che risiedono nella mia memoria, ciò che mi portò a non essere più. Però la causa, dovessi anche cercarla in eterno, non giungerà fra i miei pensieri, poiché non è parte dei miei ricordi. La causa della mia morte sta in chi mi condusse alla vita. Ciò che ricordo di colei che mi diede i natali corrisponde a poco, ma altrettanto non si può dire dell’uomo che chiamavo padre. Egli, ai tempi in cui io ero al trono, poiché fui io stesso un faraone d’Egitto, veniva da tutti definito “nemico”, così ci riferiva a lui. Data la mia giovane età, nel momento in cui divenni sovrano non comprendevo perché gli si affibbiasse un epiteto così poco consono a un neo-deceduto faraone d’Egitto: colui che è “l’astro del mattino e della sera”. Le motivazioni mi furono chiare solamente in seguito. Di mio padre si diceva anche che fosse “empio”, che non rispettasse gli dei, ma per quanto ne sapevo ai suoi tempi era stato un grandissimo uomo, particolarmente devoto al divino. Scoprii solo in seguito l’origine di questo aggettivo giudicante; infatti, mio padre, a quanto pare, non era affatto benvisto a Tebe, città in cui trascorsi la maggior parte della mia vita e sede del culto di Amon (la massima divinità solare): egli non era simpatico né al popolo, né ai funzionari, né in particolar modo ai sacerdoti di Amon; l’unica donna che sembrava avere ancora un po’ di stima per lui era mia madre. Vi ho detto di sapere poco su di lei assolutamente vero - l’unica cosa che ricordo è quanto fosse riverita a palazzo, sebbene solo seconda moglie del faraone. Lei gli diede me, unico figlio maschio, infatti la Grande Sposa Reale gli aveva donato la bellezza di sei fi- glie femmine. Una di esse divenne la mia Grande Sposa Reale, ma solo dopo esserlo stata per mio padre, in successione della prima Grande Sposa. Io e mia moglie avemmo più figli, ma nessuno di essi sopravvisse, furono tutti condotti nella tomba con me. Ma torniamo a mio padre, dicevo che godesse di poca simpatia a Tebe e, come mia madre mi narrava da bambino, egli non era vissuto a lungo qui, bensì in un’altra città da lui fondata. Lì si era dedicato moltissimo alla religione, assumendo lui stesso la carica di Gran Sacerdote, per poter essere ancor più vicino al divino, cosa che da noi a Tebe non si usava; i sacerdoti erano più di uno e godevano di un grande potere, specialmente quelli di Amon. Erano riconoscibili per la testa pelata e la pelle di leopardo a coprire la spalla destra. A quanto ne so la casta sacerdotale, quando regnava mio padre, era rimasta grandemente offesa dalle immense responsabilità religiose che egli si era preso, ma, per come la vedevo io al tempo in cui me lo raccontarono, avrebbero dovuto esserne solamente lieti: non era stupendo che un faraone fosse di così grande zelo verso il proprio culto? A quanto pare, ad ogni modo, non era così, cosa che successivamente, in un colloquio con i principali esponenti della casta sacerdotale di Tebe, mi venne meglio spiegata. Non capivo il motivo della visita dei sacerdoti di Amon al completo presso il palazzo, ma anche quello mi fu chiaro in seguito. Dal nostro incontro emerse che, evidentemente, mio padre si era dedicato moltissimo alle religione e questo era vero, ma aveva trascurato moltissimi altri aspetti della vita di un sovrano a cui un faraone dovrebbe sempre badare. Tanto per cominciare egli mi venne descritto come un egoista, che non pensava al popolo, il quale ovviamente necessitava di un intermediario tra la gente comune e gli dei, cioè i sacerdoti, quelli di Amon, che aveva fatto dimettere dal loro incarico. Un altro punto a favore di questa tesi era l’edificazione di una nuova città, in cui i templi erano quasi esclusivi. Infatti, non erano, come di consueto, a tutti accessibili e con la sola cella del dio riservata ai sacerdoti e alla famiglia reale, bensì non possedevano alcuna statua della divinità e nessuno oltre al sovrano, i suoi familiari e i sacerdoti poteva Dunque, visto e considerato che il sacerdote era solo mio padre, l’ingresso era riservato essenzialmente a lui e alla sua famiglia e questo lo allontanava dal popolo, così come allontanava il popolo dalla religione stessa. Proseguendo sempre sul piano della religione, poi, i sacerdoti di Amon affermavano che egli non era in grado di descrivere il suo oggetto di venerazione, che definiva, in modo vago, come l’insieme di tutti gli dei. Finito il monologo sul divino, i sacerdoti di Amon, capitanati dal Gran Sacerdote che spiegava con molta convinzione, iniziarono a dire che mio padre non solo aveva trasformato, o meglio, deteriorato una grande religione, ma che si era addirittura permesso di modificare gli immutabili canoni artistici che da sempre, da più di quindici generazioni, avevano caratterizzato l’Egitto. Lo definivano privo di gusto estetico, un uomo che, non possedendo per niente senso della misura, proiettava questo suo difetto sull’arte più proporzionata, equilibrata e apprezzata del mondo terreno e ultraterreno. Ricordo di aver visto di rado opere che lo rispecchiassero, si diceva che fossero andate quasi tutte distrutte; eppure ho memoria di una statuetta, mostratami da mia madre, che raffigurava una donna, apparentemente incinta, con un ventre non solo molto gonfio, ma anche molto largo e delle cosce eccessivamente rotonde, mentre il viso era allungato, con grosse labbra carnose e un naso decisamente sporgente. Detto ciò, ero costretto a dar ragione ai sacerdoti sulla questione dello “scarso senso della misura”, tuttavia non ritenevo fosse addirittura da considerarsi un insulto a tutto ciò che l’arte rappresenta. 12 Non starò a riferire per intero il discorso che tenni coi sacerdoti di Amon, dico solo che la discussione durò molto a lungo e che questi ebbero molte altre cose da ridire sulla persona alquanto particolare che scoprii essere mio padre; fra queste mi riferirono della sua scarsa abilità di guerriero, meglio definibile come del tutto inesistente, che non si addiceva per niente ad un grande faraone, il quale, oltre al compito di occuparsi della religione, ha quello di preservare il suo territorio dagli attacchi esterni. Era emerso, infatti, che a causa sua ora il regno aveva perso tutte le zone dei lontani territori del nord, vicini alla mezzaluna fertile, e che l’esercito si era ben sforzato per riuscire a recuperarle. Insomma, mi stavano dicendo che il mio predecessore di nulla era degno, fuorché di biasimo. Ascoltai tutto ciò che i sacerdoti di Amon avevano da dirmi con grande attenzione, seguendo le loro parole e al contempo vedendo tristemente deteriorarsi l’immagine di mio padre che mia madre e la mia immaginazione di fanciullo avevano fabbric Alla fine di tutto rimasi però con il dilemma iniziale del perché l’intera casta sacerdotale di Amon fosse giunta proprio in quel momento al mio cospetto, a rivelarmi quale pessimo uomo fosse stato mio padre. Seppi presto che era giunto il mio momento di diventare faraone, che il lungo prologo serviva a farmi capire che lo stato attuale, analogo a quello descritto, se non per l’assenza di mio padre e la capitale a Tebe, era da mutare completamente e da riportare alla situazione iniziale, quella innanzi al regno del mio predecessore. Ricordo che, dopo questa moltitudine di richieste e l’insieme delle sconvolgenti notizie, ero molto confuso, così, a parte l’imminente proclamazione a faraone, chiesi del tempo per riflettere sul resto. Il tempo mi fu concesso e io lo presi di buon grado, tuttavia non riuscivo ad accettare le condizioni poste dai sacerdoti di Amon,: essi mi chiedevano di cancellare mio padre dalla storia del nostro millenario regno, mi chiedevano di dimenticare chi fosse e di non far mai conoscere ai posteri la sua storia che, per quanto strana e poco degna di lode potesse essere, era ciò in funzione di cui un faraone aveva trascorso la sua intera esistenza. Non avevo la forza di condannare colui che non solo era il mio predecessore e mio padre, ma anche un estraneo, di cui io non potevo valutare oggettivamente le colpe, poiché circa il loro peso non possedevo nessuna certezza. ato. L’ultimo dei ricordi che possiedo è che per me non fu facile regnare: fin dalla nascita avevo delle deformazioni fisiche che non mi consentivano di camminare stabilmente: mi spostavo, infatti, grazie al sostegno dei miei bastoni da passeggio. Tuttavia vivendo nella bambagia non ne sentivo il peso, era quando divenni faraone che le mie scarse qualità fisiche iniziarono a diventare un ostacolo. Fatica fisica e pressione mentale mi rendevano fragile. Non decisi mai veramente se rimanere fedele a quell’uomo che poco conoscevo, ma di cui la mia vita era così tremendamente impregnata, o se affidarmi alle parole dei sacerdoti di Amon, non riuscivo a distinguere in loro lo zelo dalla smania di potere. Alla fine applicai alcune riforme della restaurazione che i sacerdoti di Amon volevano compiere, ma purtroppo non abbastanza perché essi mi considerassero un sovrano coraggioso e soprattutto “utile”. Giungono così al termine le vicende che caratterizzarono la mia esistenza. Arrivo agli ultimi istanti della mia breve vita. Ricordo molto nitidamente ciò che successe prima della mia morte. Ci trovavamo nel grande terrazzo, ero seduto, comodamente adagiato sul mio trono, davanti a me l’infinita bellezza della mia consorte, alla mia destra il mio uomo di fiducia - affiderei la mia vita a quell’uomo - mi faceva aria col ventaglio. Mia moglie e la sua fedele donna di compagnia conversavano, chiacchiere superficiali. Dopo pochi minuti di riposo sul trono, non scorderò mai come il mio piede deforme fosse stancante da sopportare, entrò il mio “mani pure”, il fedelissimo coppiere reale, che mi porse un calice con della birra. Qui i miei ricordi si annebbiano… riesco a scorgere il volto di mia moglie che mi fissa, attonita, il coppiere sconvolto, temo di non riuscire a vedere altro e invece sì, dietro la colonna confinante con l’arcata che conduce all’interno del palazzo c’è una figura sfocata, noto solo l’assenza di capelli e parrucca e una tunica, a chiazze. Tento di mettere a fuoco… le chiazze, le chiazze sono macchie, macchie nere e marroni: il Gran Sacerdote. Tutto nella mia mente sembra ora avere un senso. Mi accorgo di aver vissuto questi pochi anni forse invano. Sono stato ucciso poiché accusato di perseguire una causa tramandatami da un uomo sconosciuto. Ho vissuto all’ombra di questo sconosciuto, incerto se rinnegarlo o meno. Non ho mai preso posizione proprio per paura di tradire lo sconosciuto che chiamavo padre. Ma non è stato necessario decidere, poiché il potere, i sacerdoti hanno scelto per me. Io sono il faraone che non sarà ricordato, poiché mio padre non sarà ricordato, entrambi condannati a vivere e basta e non a vivere per non morire. Sono stato la marionetta di chi meglio ha saputo gestirmi: prima mio padre, indirettamente, attraverso i racconti di mia madre e poi loro, l’emblema del potere in Egitto, i sacerdoti di Amon: per un torto fatto loro da mio padre, uomo che ho sempre indirettamente difeso, io ho pagato non solo con la vita, ma anche con il mio nome. Io sono il figlio di Akhenaton, nome da mio padre creato per il suo grande “culto” del dio unico Aton, fondatore di Akhetaton, la città “orizzonte di Aton”, uomo pazzo, geniale e, cosa che spesso coincide con questi due tratti, tremendamente stupido e incosciente. Dimenticavo, io sono Tutankhaton, come decise di chiamarmi mio padre Akhenaton, o Tutankhamon, come abilmente mi fecero conoscere i sacerdoti di Amon, che dopo aver condannato mio padre alla damnatio memoriae mi allestirono una tomba splendida, ricca di tesori, e mi fecero passare agli occhi del popolo per colui che, prendendo coraggiosamente le distanze dal “nemico”Akhenaton, aveva ristabilito l’armonia nel regno millenario. IL MANZONIANO MEDIO 13 “Filippo Costantini ha chiesto di rimanere anonimo” Il Manzoniano medio è una bestia strana. Molti cercano di analizzarlo, di scoprire chi è, come si comporta, ma in pochi sono riusciti ad ottenere risultati seri e credibili. Vediamo se posso, io che il Manzoniano medio ho la presunzione d’affermare di conoscere, portare aiuto a tale ricerca. Il Manzoniano medio si trova dal lunedì al venerdì, di mattina, all’interno del liceo Manzoni, per poi spostarsi, di pomeriggio, nella propria abitazione, che mediamente (e di Manzoniano medio stiamo parlando) si trova nel centro di Milano. Il Manzoniano medio ama fare politica: va in manifestazione, occupa la sua scuola, fa presidi, blocca il traffico, urla, corre, salta, balla e quant’altro sia parte della protesta. Il Manzoniano medio, puntuale come un banchiere svizzero ghiotto di cioccolato (svizzero anch’esso, ovviamente), a gennaio dimentica d’improvviso ogni suo impeto rivoluzionario. Il fuoco che ardeva nel suo cuore, alimentato dalla voglia di libertà e giustizia, si spegne, per lasciar spazio ad una sana e molto più sincera apatia, mossa principalmente dalla paura che l’avvicinarsi di giugno sa incutere a tutti gli studenti. Tuttavia un rivoluzionario non è mai esente dai doveri di cittadino, in quanto esso non si pone né al di sopra, né al di sotto dei suoi connazionali. Ben venga dunque che il Manzoniano medio si dedichi allo studio! Egli, infatti, rimane ugualmente riconoscibile senza difficoltà: la vita sociale a cui prende parte gioiosamente lo identifica sempre e comunque. Il Manzoniano medio ama frequentare le feste degli altri Manzoniani, dove si è tutti giovani, brillanti, di sinistra, informali ma eleganti (se ciò è richiesto). Il vestiario del Manzoniano medio infatti mediamente è nella media del frequentatore medio delle manifestazioni della sinistra, figlio della borghesia (illuminata, evidentemente) e tuttavia sensibile alle cause del fratello (idealmente parlando) proletario. Si passa dunque dai pantaloni rotti alla camicia nuova, dalla kefiah alla kippah. Il Manzoniano medio, infatti, non è razzista, né pone discriminazioni di alcun genere alle persone che lo frequentano. Il Manzoniano medio spesso, spessissimo si può dire, si ritrova al Rattazzo (noto locale della movida milanese) con gli altri Manzoniani, non contento probabilmente di averli visti per cinque giorni consecutivi. In tale luogo svolge varie azioni a fine ludico, talvolta anche illegali: il Manzoniano medio sfida la legge e non teme d’essere scoperto. Egli è assai impavido, poiché mosso da grandi ideali. Il Manzoniano medio, a un certo momento, si diploma e finisce l’amato liceo. S’iscrive all’università ed inizia un lungo e graduale decadimento di qualsivoglia principio o ideale che finora lo aveva mosso. Presa la laurea, il Manzoniano lavora e diventa esattamente uguale, se non peggiore, a coloro che al liceo criticava ferocemente, additando loro la responsabilità di un’ingiustizia meschina che governa il nostro pianeta. Tu, Manzoniano che leggi, non essere medio. Questo è il Manzoniano medio. Tu, Manzoniano che leggi, non essere medio. Il medio è intorno a te, distinguiti da lui. Se occorre, ma solo se strettamente necessario, fagli capire che l’unico medio che sei disposto ad accettare è il dito. Difenditi, Manzoniano non cadere nella media! 14 Sara Bonafede V C VOCI IN CAPITOLO -Parte secondaSelenia ha dovuto urlare addosso a sua madre. Non capiva. Quello stupido di Davide era stato a un passo dal rovinare tutto irrimediabilmente. Per fortuna, Selenia è riuscita a ricondurre alla ragione la propria madre, raccontando cento menzogne e qualche mezza verità sul conto del ragazzo. La mamma di Selenia è ora convinta che Davide sia completamente pazzo, drogato e incapace di controllarsi. Selenia, invece, si rimira allo specchio. Non è possibile – pensa – che non se ne siano accorti. La sua pelle è di un colore bianco latteo, con ombre scure intorno agli occhi, tuttavia Selenia non sembra malata o altro. Semplicemente risplende. Non ha un singolo neo, una singola lentiggine, un brufolo o una macchiolina, ha soltanto una voglia rosea a forma di mezzaluna sulla pancia, di fianco all’ombelico. Non importa – pensa – andrà via anche quella. I capelli sono di seta, neri e lucenti, e scendono morbidamente fin oltre le spalle. La sua bocca è curva in un sorriso leggero, violacea: ha perso ogni segno di colore. Le ciglia si sono allungate, gli occhi hanno acquisito una sfumatura nera talmente oscura che un barlume argenteo sembra danzare sul fondo, dove si dovrebbe vedere la pupilla. Le guance paiono un filo più sottili e incavate, ma Selenia non ne è sicura. È invece certa che i piccoli cana- li che trasportano le lacrime dal cuore all’esterno si è richiuso: mai più le accadrà di vedere quel liquido nero e salato discendere fino agli angoli della bocca. Davide è sotto al balcone, come sempre. Si è nascosto dopo che Selenia ha parlato a sua madre della sua cosiddetta instabilità. Peccato – pensa il ragazzo – mi stava quasi credendo... Selenia esce nella notte e alza lo sguardo alla luna. Sottovoce, intona una canzone lamentosa con la sua voce cristallina. Suo fratello Umberto la interrompe per darle il bacio della buonanotte, lei però si volta e lo fissa imperiosa: non ne vuole sapere. La trasformazione deve essere completa. Umbi scoppia a piangere e scappa nella sua stanza. Si sdraia sul letto e si calma con ampi respiri, fissando il poster appeso alla parete, dal quale un Roger Daltrey ancora nel fiore degli anni lo guarda da dietro i riccioli dorati. Va alla finestra e cerca con lo sguardo sua sorella, che canta illuminata dalla sola luna piena, un po’ ridicola nella camicia da notte bianca a fiori e con i capelli tutti spettinati. Forse – pensa – ha qualcosa che non va. È la prima volta che un pensiero del genere, così diretto, si affaccia nella mente del piccolo Umbi, che dopotutto ha solo dieci anni. Ma, ripen- sandoci, Umbi si convince che sua sorella non deve stare troppo bene. Devo aiutarla – si dice – Ma come? In quell’istante, mentre abbassa la tapparella, scorge Davide seduto sul marciapiede, illuminato dal chiarore giallastro del lampione. Umbi non conosce un granché l’ex di sua sorella, ma si rende conto subito che, se c’è qualcuno che può aiutarlo a scoprire cosa è successo a Selenia, quello è lui. E poi Davide gli è sempre stato molto simpatico.Umbi elabora subito un piano molto strategico. Sa benissimo che se lo beccano i suoi genitori 1: a uscire di sera, 2: senza giacca (l’armadio delle giacche cigola), 3: per andare da Davide, lo ammazzano sul posto, quindi deve stare molto attento. Aspetta quasi senza respirare che la porta della camera da letto dei suoi si richiuda con un tonfo, poi conta i secondi. Quando arriva a tremilasettecentoottantacinque esce silenziosamente, apre la porta d’ingresso e si fionda giù per le scale, sperando che Davide non se ne sia andato. Non se n’è andato, però dorme. Umbi non sa cosa fare. Improvvisamente il suo piano geniale gli sembra pieno di pecche. Osserva il ragazzo sdraiato sul marciapiede davanti a lui. Ha i capelli ricci, proprio come i suoi, ma più lunghi, che ricadono disordinati e gli coprono gli occhi. Non è molto alto, ma è magrissimo, e basta un giaccone 15 Il bambino rimane un po’ lì così, a guardare Davide che dorme. Nelle orecchie risuonano le parole di sua sorella mentre dice che Davide è un pazzo. A me non sembra pazzo – riflette – solo un po’ solo. Si rende conto, Umbi, che non può aspettare fino all’alba, anche perchè sta ormai morendo di freddo, così scrolla gentilmente le spalle di Davide. Con un sussulto il ragazzo si sveglia e si drizza a sedere. Si fissano per una frazione di secondo, poi Davide parla con voce assonnata: - Chi diavolo sei? - Umberto. Il fratello di Selenia. - Ma quanti anni hai? Cosa ci fai qua fuori a quest’ora? Saranno almeno le tre! Davide è mezzo addormentato, ma si rende conto perfettamente della stranezza della situazione. - Devi aiutarmi – Umbi parla velocemente e nervosamente – Selenia. Non sta bene. Io... noi dobbiamo aiutarla.Davide pian piano capisce dove vuole andare a parare il bambino. - Senti un po’, come hai detto che ti chiami? Umberto. Ascoltami. Tua sorella non vuole più vedermi e ha fatto in modo che io non possa più presentarmi in casa vostra. . Ma non solo: non esce più con nessunoSta sempre da sola e sorride, sorride in continuazione. Non mi interessa sapere cosa passa per la sua testolina malata, ma voglio che sappia che, se lei ha bisogno, io ci sono. Invece ho la sensazione che si sia cacciata in un guaio, ma che non mi consideri all’altezza. In effetti, sembra che non consideri più nessuno all’altezza. Non m’importa cosa pensa che – Parla tutto d’un fiato, ma alla fine la voce s’incrina e deve fermarsi. Stringe i denti per evitare di piangere davanti a Umberto, che si è ora seduto di fianco a lui. - Ora ascoltami tu, però. Io sono il fratello di Selenia, ma non le credo quando dice che sei matto. Ti voleva bene, no? E allora, se non sei matto tu, è matta lei. Secondo me, tra l’altro, è davvero matta. Dice delle cose senza senso. Passa le ore a guardarsi allo specchio e intanto parla da sola. Io ogni tanto la sento: è convinta di essere un’extraterrestre che viene dalla Luna e che sta prendendo il posto lentamente della vera Selenia. È grave, no? Davide strabuzza gli occhi. Ha pensato ogni tanto in quelle ultime settimane che Nina fosse tutt’un tratto impazzita, ma le parole di Umbi lo spaventano lo stesso. LA TESTATA Mailing list della redazione : [email protected] Sito web: blog.liceomanzoni.net Pagina Facebook : La Testata Manzoni È una specie di conferma che non avrebbe mai voluto avere. Meglio, molto meglio se fosse stato lui quello fuori come un balcone. - Cosa possiamo fare? Si trova a chiedere con aria persa a un bambino riccioluto di dieci anni, seduto sul marciapiede davanti a casa sua, alle tre di notte di sabato sera. Ma Umbi è un bambino e ragiona come un bambino. - Per prima cosa, dobbiamo scoprire se è vero. - Se è vero cosa? - Che viene dalla Luna. Davide è ancora più strabiliato. Va bene tutto, ma questo no! - Umbi, senti, è impossibile che venga dalla Luna. La Luna non è abitabile, non c’è ossigeno sulla Luna. La Luna… - Sì, ma lei è mia sorella, e se è convinta di venire dalla Luna magari un minimo fondo di verità c’è. Se fosse giorno, Davide manderebbe a quel paese il piccolo Umbi e si dispererebbe sulla perdita irreparabile della sua Nina bella. Ma non è giorno, è notte, e di notte i ragionamenti razionali fanno cilecca. - Va bene. Ma come facciamo a scoprirlo? Nel prossimo numero de La Testata : Il Personaggio del Mese: ironica rubrica dove i personaggi della storia si mettono a nudo . Voci in Capitolo: cosa accadrà nella terza puntata? Scoprilo il mese prossimo o sii tu l'artefice del destino de personaggi. LA BARTEZZAGHI Carla Bartezzaghi I A SOLUZIONI OTTOBRE 2011 Orizzontali Verticali 1. Soldato romano 11. Il 4 ottobre è quello di Francesco 12. Un certo Tommaso Didimo 13. L'Assante giornalista di Repubblica 14. Il Tito direttore d'orchestra 15. Pari in arma 16. L'Oreste del cabaret 17. Fiume delle Marche 19. raccoglie erbe. 24. Ucciso dalla brigata XXVIII Marzo 25. Comunione e Liberazione 26. Quello del tennista 29. Una certa Ambra. 30. Il Terribile Bogdanov 1. Succo d'uva non fermentato 2. Mitico gufo parlante. 3. Negazione palindromica 4. Novecentonovantanove. 5. Il tutto femminile greco 6. Il quale greco 7. Longe Term Evolution 8. Il contrario di soglia 9. erano sette a Roma 10. un certo nano 15. premio nobel per la fisica del 84 17. Cane mitologico 18. Imperativo di essere seconda singolare 20. Capitale 21. titoli di stato francesi (iniziali) 22. Tennis Club 23. Bennett 26. Terzo Dragonball 27. Vanoni