Progetto pilota sull`impiego delle biomasse a fini energetici

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Progetto pilota sull`impiego delle biomasse a fini energetici
Partners CRB - Università degli studi di Perugia
Land Lab - Scuola superiore S. Anna di Pisa
Consorzio agrario provinciale di Grosseto
GEA S.p.A.
GEA Commerciale S.p.A.
Progetto pilota
sull'impiego delle biomasse
a fini energetici
Analisi territoriale
Analisi territoriale per l'individuazione
degli areali della provincia di Grosseto a più alta
vocazione per la produzione di biomassa
a destinazione energetica
RESPONSABILE SCIENTIFICO
Prof. Enrico Bonari
GRUPPO DI LAVORO
Dott. Emiliano Piccioni
Dott. Giorgio Ragaglini
Dott. Ricardo Villani
Dott.ssa Tiziana Sabbatini
Dott. Werther Guidi
Dott. Cristiano Tozzini
Dott.ssa Mariassunta Galli
Dott.ssa Livia Finzi Contini
Premessa
Lo scopo del progetto ha riguardato la definizione e la realizzazione di azioni preliminari
allo sviluppo nella provincia di Grosseto di una
filiera bioenergetica sostenibile sia economicamente che ambientalmente.
Le Fonti Energetiche Rinnovabili (FER)
provenienti dal settore agro-forestale oggi
riscuotono grande attenzione sia da parte
del mondo politico che da parte dell’opinione pubblica. In particolare, la filiera
delle biomasse lignocellulosiche a destinazione energetica ben si presta a favorire lo sviluppo di attività produttive a livello locale, sostenendo le comunità che insistono sul territorio, specialmente se viene
promossa l’attivazione di microfiliere
“brevi” in cui:
n l’approvvigionamento di biomassa si
realizza nel raggio di pochi chilometri
dall’impianto di conversione;
o questo ultimo garantisce rendimenti
elevati (magari attraverso moderni
sistemi di co-generazione);
p i fruitori si trovano nel medesimo comprensorio in cui avviene sia la produzione
della materia prima che la conversione.
Per conseguire questo obiettivo generale è
stato necessario:
n acquisire lo stato dell’arte per quanto
riguarda la disponibilità di biomasse residuali e/o vergini e di terreni potenzialmente destinabili a colture da dedicate da energia;
o individuare le migliori pratiche di produzione, trasformazione e conversione energetica
in funzione della tipologia e delle specificità
della filiera;
p analizzare ed ottimizzare i processi di produzione e trasformazione delle biomasse;
q realizzare studi di fattibilità in aree e presso aziende particolarmente significative.
“Il Progetto Pilota sull’Impiego delle
Biomasse a fini Energetici”, è stato promosso e finanziato dalla Camera di Commercio
Industria Artigianato e Agricoltura di Grosseto in collaborazione con il Laboratorio di
Ricerca Land Lab della Scuola Superiore S.
Anna di Pisa e con il Centro di Ricerca sulle
Biomasse dell’Università di Perugia quali
partner scientifici e soggetti cofinanziatori.
Al termine della prima fase Land Lab ha
completato le seguenti parti dello studio condotto sul territorio provinciale:
Analisi territoriale per l’individuazione
degli areali a più alta vocazione per la produzione di biomassa a destinazione energetica
A.
B.
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Stima dei quantitativi di biomassa
potenzialmente disponibili.
A.
analisi territoriale per
l’individuazione degli areali
vocati per la produzione
di biomassa
metri considerati sono stati precipitazioni e
temperatura massima e minima giornaliera.
Le variazioni nel territorio considerato sono
risultate notevoli a causa dell’eterogeneità
geomorfologica dell’area, con influenze marcate a carico dell’altitudine e della distanza
dal mare. E’ stato determinato anche l’indice
di aridità, calcolato come rapporto tra le precipitazioni e l’evapotraspirazione potenziale.
Dall’analisi annuale di questo indice è emerso che la provincia non presenta zone soggette a fenomeni di aridità estrema (se si
escludono aree limitate nella zona costiera
meridionale) e che i periodi più critici sono
compresi tra aprile ed ottobre.
La valutazione agronomica dei suoli, basata su un’indagine pedologica realizzata
dall’ISSDS di Firenze, è stata condotta considerando parametri ed indicatori quali il pH, la
presenza di calcare, la pendenza, la profondità, la tessitura, la salinità e il rischio erosione.
Sono state evidenziate ben 62 diverse Unità
Tipologiche di Suolo (UTS) successivamente
rielaborate e raggruppate in 6 macroaree
omogenee: (1) Comunità Montana del M.
Amiata + Campagnatico; (2) Comunità
L’obiettivo di questa fase è stato quello di
caratterizzare il territorio provinciale dal
punto di vista dell’assetto agricolo e forestale nonché socio-economico, per poi giungere
all’individuazione degli areali maggiormente
“vocati”. La metodologia adottata ha previsto
le seguenti macro-fasi:
n inquadramento territoriale;
o caratterizzazione dell’assetto agro-fforestale;
energetica
p definizione della filiera agri-e
integrata;
q analisi della vocazionalità territoriale.
1. Inquadramento Territoriale
L’inquadramento generale ha incluso una
descrizione geografica e climatica dell’area e
una classificazione agronomica dei suoli del
territorio grossetano. Per la caratterizzazione
climatica, è stata appositamente predisposta
una banca dati originata da una serie storica
di 40 anni, integrata con l’impiego di generatori di clima e tecniche di reti neurali. I para-
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Montana delle Colline Metallifere + Civitella
Paganico; (3) Comunità Montana della Valle
del Fiora + Scansano e Capalbio; (4) Zona Sud
Occidentale (Magliano in T., M. Argentario,
Orbetello); (5) Zona Nord Occidentale (Castiglione della Pescaia, Follonica, Gavorrano,
Scarlino); (6) Pianura di Grosseto.
Dall’analisi realizzata risulta che, sebbene
siano presenti alcuni fattori limitanti comunque collocati in aree contenute, il territorio
provinciale è risultato particolarmente idoneo all’attività agricola in senso lato, prestandosi bene sia all’agricoltura di pieno
campo nelle zone più pianeggianti e/o collinari sia alla gestione forestale sui rilievi più
pronunciati, ma anche all’orticoltura specializzata nelle pianure litoranee in presenza di
acqua e alla coltivazione di vigneti ed oliveti
soprattutto nelle zone collinari.
siderazione troviamo: la Superficie Agricola
Utilizzata (SAU), il rapporto SAU/superficie
provinciale, la percentuale dei seminativi
rispetto alla SAU, il peso delle diverse produzioni rispetto alla SAU e, per il settore zootecnico, il numero di Unità di Bestiame Adulto
(UBA), ecc. Dall’analisi è emerso un aumento
delle superfici a seminativo, rispetto ai quali
le foraggere avvicendate sono aumentate,
mentre i cereali hanno subito un decremento
(in particolare il frumento). Le superfici destinate alle legnose agrarie sono leggermente
diminuite, con un aumento di quelle ad olivo
ed una diminuzione di quelle a vite (nonostante le eccezioni di singoli comprensori
come ad esempio Scansano). Nel comparto
zootecnico si è assistito ad una contrazione
del patrimonio bovino e ad un leggero
aumento di quello ovino-ccaprino.
2a fase: analisi statistica supplementare
condotta esclusivamente sulla base dei dati
dell’ultimo censimento generale dell’agricoltura (2000) al fine di caratterizzare lo stato
“attuale” del comparto agricolo. Analisi condotte con tecniche statistiche avanzate
(Principal Component Analysis e Cluster
Analysis) hanno permesso di raggruppare i
comuni in 6 gruppi omogenei sulla base del
tipo di utilizzazione del suolo e delle principali produzioni agricole.
2. Caratterizzazione dell'assetto
agro-forestale
In questa sezione è stata caratterizzata
l’organizzazione produttiva e strutturale dei
comparti agricolo e forestale in provincia di
Grosseto. In particolare per il settore agricolo, l’analisi effettuata ha preso spunto dai
dati dei censimenti generali dell’agricoltura
del 1982, 1990 e 2000 ed è stata articolata
in tre sottofasi con l’obiettivo di caratterizzare sia l’evoluzione che lo stato attuale dei
comuni grossetani sulla base dell’uso del
suolo e delle produzioni agricole.
1a fase: analisi statistica tramite indicatori
di tendenza, ovvero parametri che permettono di valutare i trend a livello provinciale del
comparto agricolo (dal 1982 al 1990 al
2000). Tra i principali indicatori presi in con-
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3a fase: interviste ad attori chiave, ovvero
ai rappresentanti delle pubbliche amministrazioni e degli enti locali primariamente
coinvolti nella gestione del territorio. Tutti gli
intervistati hanno mostrato interesse per
l’introduzione di filiere agri-energetiche,
cogliendo l’opportunità di sviluppo a livello
locale rappresentata dal settore del “no
food” sia in termini di occupazione che in termini di presidio del territorio specialmente in
aree più marginali.
La caratterizzazione del settore forestale
ha messo in evidenza il ruolo chiave della
biomassa forestale ai fini dell’attivazione di
filiere agro-energetiche integrate.
La provincia di Grosseto, infatti, è tra le
province della regione Toscana quella a maggiore estensione boschiva: 183.000 ettari di
boschi caratterizzati da discreta variabilità di
tipologie forestali.
Riferendosi all’Inventario Forestale Regionale Toscano, il patrimonio forestale provinciale è costituito dalle seguenti categorie:
boschi, boschetti, macchia mediterranea,
castagneti da frutto ed aree in rinnovazione.
Il bosco è costituito per l’80% da bosco
ceduo in cui le specie predominanti sono
querce (cerro, roverella e leccio) e conifere
(pino domestico e marittimo).
La macchia mediterranea è presente
soprattutto nelle zone litoranee e costituita
da specie arboree (querce e corbezzolo) e
arbustive (mirto, erica e filliree).
Il castagneto da frutto, infine, è tipico del
Monte Amiata e delle Colline Metallifere.
Dal punto di vista della gestione forestale,
caratterizzata tramite analisi bibliografica ed
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interviste presso operatori locali pubblici e
privati, l’intera provincia può essere suddivisa in 4 macroaree: (1) Colline Metallifere:
boschi cedui di querce e macchia mediterranea destinati alla produzione di legna da
ardere; (2) Monte Amiata: zona forestale per
eccellenza, in cui spiccano specie quali faggio (a fustaia) e castagno (a ceduo) destinati
a produrre legname per l’industria del legno
(legname da opera e paleria), accanto ai tradizionali boschi di cerro. Vi sono anche produzioni di nicchia, come ad esempio quelle
derivate dai castagneti da frutto; (3) Valle del
Fiora: boschi cedui di specie quercine in particolare cerro e roverella destinati alla produzione di legna da ardere; (4) Zona Costiera:
oltre ai boschi di cerro e roverella, ci sono
molte pinete da cui si ricava materiale da
ardere (legno e pigne) e pinoli (produzione
accessoria).
3. Filiera agri-energetica integrata
energetica integrata si
Per filiera agri-e
intende una filiera che si origina dal comparto agro-forestale e fornisce le materie prime
necessarie per la produzione di biocombustibili, impiegabili nella generazione di energia
termica e/o elettrica o nel settore dell’autotrazione. In questo contesto occorre distinguere e tenere ben separate le filiere possibili, giacché ciascuna di esse ha peculiarità
proprie che la rendono sostenibile o meno in
un determinato contesto agricolo, economico
e sociale. Le filiere possibili sono:
n colture oleaginose (colza, soia, girasole,
ecc.) per la produzione di oli e biodiesel;
o biomasse e colture zuccherine (barbabietola, mais, sorgo zuccherino, melasse,
ecc.) per la produzione di bioetanolo e
derivati;
p effluenti zootecnici e materiale vegetale
di diversa natura ed origine per produrre
biogas;
q biomasse lignocellulosiche per la produzione di energia termica e/o elettrica.
A prescindere dalla filiera ipotizzata, le
biomasse impiegabili si possono in generale
dividere in materie prime (colture dedicate
arboree ed erbacee) e materiale residuale
proveniente dal comparto agro-forestale
(paglie e stocchi dei cereali, potature di
vigneti, oliveti, frutteti, verde urbano, prodotti
dell’attività silvicolturale) ma anche da quello
industriale (industria del legno, agroalimentare e industria della carta).
La provincia di Grosseto dispone di elevate quantità di biomassa derivante dalla
gestione dei boschi, dai residui delle coltivazioni erbacee e arboree, dagli scarti dell’industria del legno, piuttosto che dalla potenziale coltivazione di colture dedicate e pertanto si propone come territorio elettivo per
l’insediamento di una filiera agri-energetica
basata sulle biomasse lignocellulosiche.
4. Analisi della vocazionalità
territoriale
L’analisi, realizzata impiegando strumenti
avanzati di indagine territoriale derivanti
dalla combinazione di procedure statistiche
di analisi multicriterio e di tecnologie GIS, ha
individuato gli areali potenzialmente più idonei all’attivazione di filiere agri-energetiche. I
dati reperiti e le successive elaborazioni sono
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stati riportati a scala di Comune, considerato
l’Unità Minima Territoriale (UMT) ed organizzati in un apposito Sistema Informativo
Territoriale (SIT) che funge da strumento di
supporto alle decisioni flessibile ed aggiornabile nel tempo.
dei residui agricoli; (D) la domanda di energia da filiere agri-energetiche; (E) le infrastrutture di supporto.
La procedura seguita è stata articolata in
tre punti fondamentali:
1° punto Reperimento delle informazioni
2° punto Elaborazione dei dati raccolti
3° punto Analisi multicriterio
Tra le informazioni reperite necessarie
all’analisi ci sono la cartografia digitale della
regione Toscana, l’Inventario Forestale della
Toscana (IFT), il Corine Land Cover per l’uso
del suolo, il Digital Terrain Model, la cartografia della viabilità provinciale, i dati del V
Censimento Generale dell’Agricoltura e del
14° Censimento Generale della Popolazione
e delle Abitazioni, dati sulle attività economiche, dati bibliografici, dati da interviste dirette sul territorio.
I dati reperiti sono stati quindi integrati
in un database georeferenziato che, opportunamente elaborato, ha permesso di
generare un adeguato numero di specifici
indicatori (criteri) che sono stati impiegati
per l’analisi multicriterio (Procedura
Analitica delle Gerarchie). Il metodo analitico procede secondo gerarchie e prevede
la scomposizione dell’obiettivo principale
più complesso in sotto-obiettivi: in questo
caso l’obiettivo ultimo è stato “massimizzare il livello di vocazionalità per l’attivazione di una filiera agri-energetica”, menobiettivi sono stati: (A) la potentre i sotto-o
zialità delle aree forestali; (B) la potenzialità delle colture dedicate; (C) la potenzialità
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Biomassa residuale da oliveti e frutteti
Come momento finale della procedura, sono stati attribuiti i pesi ai diversi criteri in base all’importanza relativa di ciascuno di essi nell’analisi in esame. Per
fare questo sono stati ipotizzati 5 diversi
scenari supponendo differenti pesi per
ciascuno dei settori di provenienza della
biomassa lignocellulosica (forestale,
residuale agricola e da colture dedicate):
1° scenario
forestale > residui agricoli > colture
dedicate
2° scenario
colture dedicate > residui agricoli >
forestale
3° scenario
colture dedicate > forestale > residui
agricoli
4° scenario
residui agricoli > colture dedicate >
forestale
5° scenario
residui agricoli > forestale > colture
dedicate
In ogni scenario la prima voce indica
la fonte di biomassa che di volta in volta
il decisore di turno desidera “privilegiare” nello sviluppo della specifica filiera,
rispetto alla seconda ed alla terza.
Sono state quindi realizzate 5 cartografie che hanno “fotografato” in modo
immediato la vocazionalità di ciascun
comune della provincia di Grosseto,
dato che questi sono stati classificati in
4 livelli di vocazionalità alla produzione di biomassa da energia (criterio
semaforico).
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I principali risultati ottenuti sono stati:
Grosseto, Magliano, Orbetello, Capalbio e
Manciano), mentre gli scenari che danno
maggiore peso alla biomassa forestale
fanno registrare l’eccellenza di 3 grandi
comprensori: quello dell’area delle colline
metallifere (Massa Marittima, Roccastrada, Civitella Paganico e Grosseto); alcuni
comuni amiatini (Castel del Piano, Seggiano e Santa Fiora); i comuni delle colline
del sud (Manciano e Capalbio);
n classificazione dei comuni della provincia in base al livello di vocazionalità in ciascuno dei 5 scenari ipotizzati;
o tre comuni sono risultati “ottimi” in tutti
gli scenari (Grosseto, Capalbio e
Manciano). Allo stesso tempo, i comuni di
Castel del Piano, Gavorrano, Magliano in
Toscana e Orbetello sono risultati ottimi in
almeno due degli scenari;
q l’analisi effettuata fornisce uno strumento di supporto alle decisioni flessibile
in funzione degli indirizzi che il decision
maker di volta in volta si troverà a dettare.
p l’introduzione di colture dedicate appare più facilmente immaginabile nei comuni della fascia costiera (Gavorrano,
B.
stima dei quantitativi di biomassa
In questa sezione si è proceduto alla stima
dei quantitativi di biomassa potenzialmente
ottenibile nei diversi comprensori agro-forestali. Nonostante che l’obiettivo originario
fosse quello di approfondire le valutazioni di
che trattasi solo all’interno delle aree vocate
precedentemente individuate, le stime sono
state realizzate – per autonoma decisione
del gruppo di lavoro – per tutti i comuni del
territorio provinciale.
Dal punto di vista qualitativo, è stata presa
in considerazione:
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n biomassa residuale da attività agricole
(potature di colture arboree, paglie cereali);
o biomassa residuale da attività silvicolturali (ramaglia);
p biomassa da colture dedicate.
1. Biomassa residuale da attività
2. Biomassa residuale da attività
silvicolturali
agricole
A seguito dell’analisi dei comparti produttivi tipici del territorio grossetano, si è scelto
di prendere in considerazione primariamente
le potature di vite, olivo ed altri fruttiferi
(melo, pero, pesco, albicocco) e le paglie dei
cereali tra le specie erbacee.
Dal punto di vista metodologico le superfici destinate alle diverse colture sono state
estrapolate dai dati del 5° Censimento
Generale dell’Agricoltura ISTAT relativo all’anno 2000, sia per vite, olivo e fruttiferi, sia per
i differenti cereali autunno-vernini e primaverili-estivi. Il passaggio da superfici a quantità
è stato realizzato per i cereali attraverso l’uso
di dati regionali sulle rese in combinazione
con l’Harvest Index (indice che si riferisce al
rapporto tra la biomassa utile e la quella totale), mentre per le specie arboree, si è proceduto al calcolo impiegando alcune relazione
empiriche, messe a punto recentemente da
altri autori per areali con caratteristiche
pedoclimatiche simili a quello indagato.
A livello provinciale, sono disponibili circa
270mila t di s.s. di residui colturali, costituiti
per l’83% da materiale erbaceo (paglie) e per
il 17% da materiale legnoso (potature).
La stima della biomassa forestale
potenzialmente destinabile all’impiego
energetico è stata realizzata utilizzando lo
strumento informatico creato (derivante
dalla “sovrapposizione” dell’Inventario
Forestale e del Corine Land Cover) per
individuare superfici e localizzazione delle
diverse tipologie di bosco. Attraverso interviste privilegiate ai soggetti locali pubblici
e privati preposti alla gestione del patrimonio forestale, sono stati poi determinate sia le superfici annualmente sottoposte
a taglio sia le relative rese quantitative e
le attuali destinazioni di mercato dei diversi prodotti ottenuti. Per ciascun comune è
stata quindi stimata la produzione di biomassa forestale ripartita in prodotto principale e residui di lavorazione.
Nel prosieguo dello studio, per la stima
dei quantitativi di biomassa di origine
forestale si è fatto riferimento principalmente a quella residuale (ramaglia) cui
aggiungere eventualmente la “legna da
ardere”, dato che, alle condizioni di mercato odierne, il legname da opera spunta
prezzi decisamente troppo elevati per ipotizzarne una destinazione
energetica. Il prodotto analitico ottenuto consiste in
uno “strato informativo”
con copertura totale dell’area di studio riportante
la tipologia forestale, la
forma di governo e la produzione in tonnellate di
sostanza secca.
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3. Biomassa da colture dedicate
L’offerta complessiva di biomassa forestale della provincia risulta di circa 97mila t di
s.s., composta da circa 30mila t di biomassa
residuale e circa 67mila t di legna da ardere.
A livello di distribuzione territoriale, la biomassa forestale risulta particolarmente concentrata nell’area delle Colline Metallifere, in
quella dell’Amiata e nel complesso di alcuni
rilievi dei comuni di Castiglione della Pescaia
e Scarlino da un lato e di Orbetello, Manciano
e Capalbio dall’altro.
La stima della ipotetica produzione di
biomassa lignocellulosica da colture dedicate è stata effettuata ipotizzando alcuni
scenari produttivi la cui verosimiglianza è
legata (1) alle possibilità di adattamento
al territorio di specie che finora in ambiente mediterraneo sono state studiate solo
in ambito sperimentale, (2) alle rese
medie che queste possono garantire in
contesti ambientali differenti da quelli nei
quali sono state fino ad oggi studiate.
Le colture prese in esame sono quelle che,
a seguito degli studi di lungo periodo direttamente condotti presso il Centro Interdipartimentale di ricerche Agro-Ambientali “E.
Avanzi” (CIRAA) di San Piero a Grado (PI), in
terreni di media fertilità tipici della bassa
valle dell’Arno, sono state considerate le
migliori per i nostri ambienti pedoclimatici.
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Le colture sono:
n SRF di pioppo (Populus spp.)
o Canna comune (Arundo donax L.)
p Sorgo da fibra (Sorghum bicolor
L. Moench)
q Miscanto (Mischantus x giganteus
Greef et Deuter)
r Cardo (Cynara cardunculus L.)
Lo studio è stato quindi impostato secondo
due livelli di indagine paralleli con l’obiettivo
da un lato di individuare e quantificare le
superfici potenzialmente destinabili a ciascuna delle 5 specie e, dall’altro lato, di prevedere le rese unitarie medie di ciascuna di queste
nei diversi ambienti pedoclimatici provinciali.
La base di dati su cui sono state condotte
le analisi è stata organizzata in ambiente GIS
impiegando diversi strati informativi relativi a
uso del suolo, tessitura dei terreni, confini
amministrativi, quota, orografia e clima.
Attraverso specifiche elaborazioni è stato
possibile ottenere un unico strato informativo
vettoriale costituito da Unità Spaziali di
Riferimento (USR) poligonali, di forma e
dimensioni variabili ma mai superiori ad un
quadrato 400 x 400 metri (16 ha).
L’individuazione delle superfici destinabili
alla coltivazione di specie dedicate è stata
effettuata tenendo in debita considerazione
sia le esigenze tecniche che quelle pedoclimatiche delle diverse colture. Il SIT è stato
quindi “interrogato” per individuare le superfici agricole “meccanizzabili” (pendenza <
15%); successivamente, all’interno delle
superfici così individuate, sono state selezionate solo quelle classi di uso del suolo ritenute eventualmente convertibili (in tempi relativamente brevi) alla coltivazione di specie da
energia (seminativi non irrigui, prati stabili,
colture temporanee associate a colture permanenti, sistemi colturali e particellari complessi). La superficie agricola meccanizzabile
stimata per la provincia è risultata pari a
circa 155.000 ha di cui circa 81.323 ha
(52% del totale) nei comuni di Grosseto,
Orbetello, Capalbio, Magliano in Toscana e
Manciano; il territorio del comune di
Grosseto da solo è in grado di offrire circa
32.000 ha per la coltivazione di colture dedicate, pari quasi al 40% del totale provinciale.
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Per l’individuazione delle aree più adatte a
ciascuna delle specie considerate, in termini
di esigenze pedoclimatiche, le superfici di cui
sopra sono state caratterizzate in merito: (1)
alle classi di tessitura prevalente del suolo
(medio impasto, pesante, sabbiosa e scheletrica); (2) all’indice di aridità stagionale del
periodo primaverile estivo.
E’ stato quindi possibile individuare una
adeguata serie di “classi pedoclimatiche”
alle quali sono state associate le colture più
idonee in virtù di caratteristiche ecofisiologiche ed esigenze pedoclimatiche.
Il procedimento è stato poi integrato con
valutazioni produttive ed organizzative che
tengono conto (1) dei punti di forza e di debolezza delle diverse specie dal punto di vista
tecnico e socio-economico (2) della necessi-
tà di garantire delle rese quantitativamente
ma anche qualitativamente elevate.
E’ stata infine proposta una ipotesi (tra
le tante possibili) di attribuzione delle
superfici a ciascuna coltura basata sostanzialmente sui presupposti della sostenibilità dei processi produttivi a livello territoriale. Dal punto di vista prettamente agronomico, invece, appare quasi scontato che le
specie più “rustiche” (es. canna comune e
cardo) potrebbero essere introdotte senza
alcun inconveniente (anzi con benefici in
termini di resa quantitativa) anche in quegli
areali considerati “migliori” dal punto di
vista pedoclimatico e che in questo studio
sono assegnati ad altre specie da energia
(più esigenti) che forniscono produzioni
qualitativamente migliori (es. pioppo).
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In base al processo di determinazione
analitico posto in essere tra “classi pedoclimatiche” e colture, ne deriva che a livello
provinciale:
n gli ettari potenzialmente destinabili alla
SRF di pioppo sono circa 63.200;
o gli ettari destinabili a “sorgo A” (varietà
tardive) e miscanto ammontano a circa
46.000 ha, successivamente ripartibili tra
le due colture ed anche la canna in funzione dello specifico orientamento produttivo e degli aspetti paesaggistici
del territorio;
specie; per questo e siccome è stato necessario tenere in debita considerazione la
variabilità spaziale presente, la stima delle
rese si è basata sulla determinazione di un
“coefficiente di resa” empirico. Questo è
stato calcolato per alcune colture “tradizionali” (frumento duro e girasole) in modo che ci
orientasse sulle “attitudini produttive” dei
diversi areali pedoclimatici della provincia
rispetto a quelle direttamente rilevate per le
medesime colture nell’ambito del Centro di
p gli ettari destinabili a “sorgo B”
(varietà precoci) ammontano a circa
30.000 ha (anch’essi ripartibili con il
cardo e ancora più proficuamente
con la canna);
q gli ettari destinabili sostanzialmente solo alla coltivazione della
canna comune ammontano a circa
13.500 ha ma questa, per la sua
elevata adattabilità potrebbe disporre di una superficie potenziale molto
maggiore visto che potrebbe essere
favorevolmente coltivata anche nelle
zone pedoclimatiche al momento
attribuite alle altre specie poliennali.
Il successivo passaggio, ovvero la
stima delle rese unitarie delle colture dedicate è stato effettuato adottando un approccio
di tipo empirico, determinato dalla scarso
livello di informazioni circa il comportamento
delle specie da biomassa considerate in provincia di Grosseto. Le colture in questione
non sono mai state coltivate nel territorio provinciale nemmeno a livello sperimentale e,
purtroppo, al momento non si dispone di
modelli di simulazione attendibili per queste
Ricerche Agro-Ambientali “E. Avanzi” (CIRAA)
di San Piero a Grado (PI), dove esiste anche
un’ampia banca dati sulle rese medie pluriennali delle specie da energia derivanti da
ripetute prove di lungo periodo ormai “vecchie” di quasi 20 anni condotte su diverse
tipologie di terreno. Nel dettaglio la metodologia ideata ha previsto: (1) suddivisione del
territorio provinciale in areali omogenei, ipotizzando funzioni di isoresa all’interno di que-
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sti per ciascuna coltura; (2) individuazione
all’interno di ciascun areale di una o più
aziende agricole rappresentative; (3) realizzazione per ciascuna azienda di una specifica intervista, finalizzata alla conoscenza dei
livelli di resa ottenuti in quel determinato
contesto; (4) scelta delle colture “tradizionali” di riferimento per operare il confronto con
Pisa; (5) calcolo del “coefficiente di resa”; (6)
stima delle rese delle colture dedicate da
energia nei diversi areali attraverso il prodotto tra rese ottenute a Pisa ed il “coefficiente
di resa” come sopra calcolato.
Gli areali omogenei sono stati definiti sulla
base dei dati contenuti nel SIT e già ricordati,
attraverso la tecnica di analisi multivariata
PCCA (Principal Components and Classification Analysis) e con l’ausilio del GIS.
Il “coefficiente di resa” calcolato per ogni
azienda campione è stato quindi spazializzato utilizzando il modello geostatistico di interpolazione kriging ordinario e poi è stato moltiplicato per le rese unitarie rilevate al CIRAA
per ciascuna delle colture dedicate a destinazione energetica.
Per ogni coltura è stato quindi creato uno
strato informativo in cui al pixel di lato 100 m
(1 ha) è associata la resa unitaria stimata
con il procedimento descritto. Attraverso il
SIT precedentemente realizzato è stato infine
possibile determinare anche a livello comunale le produzioni potenziali annue in funzione degli ettari coltivati.
rio effettuare alcune stime maggiormente
calate nel contesto agricolo e socio-economico provinciale. Per questo si è fatto riferimento a 3 diversi “scenari” relativi ad un
diverso grado di sfruttamento delle risorse, ovvero di utilizzazione delle tre tipologie di biomassa considerate (colture dedicate, residui dell’attività agricola, residui
dell’attività forestale).
La prima condizione da noi posta, comune a tutti e tre gli scenari, è stata che la
produzione di biomassa legnosa (residuale
e dedicata) fosse pari ad almeno il 50%
della biomassa totale per ciascun comune,
al fine di garantire un adeguato livello qualitativo del complesso della produzione
comunale in funzione dei successivi processi di conversione energetica.
Tenendo in ogni caso conto di questo presupposto abbiamo impostato i seguenti possibili “scenari”:
4. Ipotesi di scenario
Una volta determinati i quantitativi
potenziali massimi di biomassa producibile a livello comunale, è apparso necessa-
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H1 – scenario realistico
• Biomassa residuale forestale raccolta =
25% del potenziale;
• biomassa residuale agricola da coltivazioni arboree raccolta = 25% del potenziale;
• biomassa residuale agricola erbacea
raccolta = 10% del potenziale;
• biomassa da colture dedicate prodotta
= 5% del potenziale.
H2 – scenario ottimistico
•Biomassa residuale forestale raccolta =
50% del potenziale;
•biomassa residuale agricola da coltivazioni arboree raccolta = 50% del potenziale;
•biomassa residuale agricola erbacea
raccolta = 20% del potenziale;
•biomassa da colture dedicate prodotta =
10% del potenziale.
H3 – scenario molto ottimistico
•Biomassa residuale forestale raccolta =
75% del potenziale;
•biomassa residuale agricola da coltivazioni arboree raccolta = 75% del potenziale;
•biomassa residuale agricola erbacea
raccolta = 20% del potenziale;
•biomassa da colture dedicate prodotta =
20% del potenziale.
Per ogni scenario di cui sopra sono stati calcolati a livello comunale i quantitativi di biomassa disponibile da residui agro-forestali e
producibile da colture dedicate, suddivisa in
materia prima erbacea e materia prima legnosa. Per la biomassa complessiva a scala
comunale, inoltre, è stato stimato il contenuto
energetico, calcolato come prodotto tra il
quantitativo di ciascuna tipologia di biomassa
per il potere calorifico proprio della stessa.
In sintesi, a livello provinciale, si passa
da poco meno di 200.000 t di s.s. annue
per lo scenario H1 (corrispondenti a circa
3,5 milioni di Gj/anno) fino alle circa
730.000 t dello scenario H3 (pari a circa
13,5 milioni di Gj/anno).
Analizzando i risultati, va rilevato come in
tutti gli scenari proposti sia stato determinante
l’apporto delle colture dedicate che, siano esse
arboree od erbacee, a livello provinciale potrebbero rappresentare tra l’80 e l’86% della biomassa totale; in questo senso vanno anche
lette le differenze riscontrate tra i singoli comuni grossetani: la maggior parte di quelli che
hanno evidenziato maggiori possibilità sono
caratterizzati da elevate superfici a seminativo
in condizioni di pendenza moderata (ad es. nel
comune di Grosseto questi rappresentano il
60% della superficie comunale, mentre si scende al 4% di Montieri o al 6% di Santa Fiora).
21
Inoltre, mentre sembra scontato che
maggiori superfici a livello comunale
diano la possibilità di produrre più biomassa, appare evidente che in rapporto
all’uso del suolo esiste una proporzionalità più o meno lineare tra un determinato
attuale indirizzo produttivo agro-forestale
e la relativa potenzialità di produrre biomassa, anche se occorre non limitarsi ad
una mera valutazione numerica.
Ad esempio, se si considerano contemporaneamente tutte le possibili fonti di
biomassa, i comuni caratterizzati da maggiore densità delle superfici boscate
(Monterotondo Marittimo, Montieri, Santa
Fiora, Castel-l’Azzara, Civitella Paganico,
ecc.) sono anche quelli che generalmente
mettono in luce una modesta produzione
complessiva di biomassa, dato che le rese
per unità di superficie sono decisamente
maggiori per le colture dedicate rispetto
alla ordinaria gestione del bosco con utilizzazione della sola ramaglia.
Ciò non significa che sia da escludersi a
priori l’ipotesi di avvio di filiere agri-energetiche in quei contesti tipicamente montani – o comunque dove c’è ampia disponibilità di superfici boscate gestite razio-
nalmente – in cui diventa preponderante
l’apporto dei residui forestali; proprio in
questi areali, infatti, è ipotizzabile e auspicabile l’avvio di microfiliere agri-energetiche “brevi” particolarmente virtuose con
produzione, conversione energetica ed utilizzazione di questa nel medesimo comprensorio. Tutto ciò potrebbe ad esempio
realizzarsi attraverso processi di co-generazione con impianti di piccola taglia ed il
teleriscaldamento di piccole utenze civili
(nuclei abitativi isolati, edifici pubblici,
ecc.) collocati nelle vicinanze.
In conclusione lo strumento realizzato nel
corso del presente studio offre caratteri di
originalità ed un adeguato livello di dettaglio
per indagini territoriali; rappresenta, infatti,
una base informativa su cui impostare eventuali studi di fattibilità che di volta in volta
potranno essere promossi da differenti decision maker con interesse per la provincia di
Grosseto. Gli scenari proposti non vogliono
rappresentare altro che dimostrazioni della
possibilità di utilizzo dello strumento, che
andrà evidentemente tarato e calibrato ogni
volta in funzione delle specifiche esigenze
e/o dei diversi obbiettivi che ciascun quesito
concreto implica.
22
Sperimentazione
Sperimentazione attuata attraverso studi
di fattibilità del processo di conversione energetica in
aziende agrarie del territorio
RESPONSABILE SCIENTIFICO
Prof. Enrico Bonari
GRUPPO DI LAVORO
Dott. Emiliano Piccioni
Dott. Ricardo Villani
Dott. Giorgio Ragaglini
Introduzione
La seconda fase del "Progetto pilota sull'impiego delle biomasse ai fini energetici" ha
riguardato lo studio di fattibilità per aziende e
cooperative agricole interessate alla produzione di energia a partire da biomasse prodotte sul territorio.
Obiettivo di questa fase del progetto era
identificare il modello di filiera agroenergetica
più idoneo per l'autoproduzione di energia termica e/o elettrica a partire da biomasse reperibili e producibili nell'ambito aziendale e/o territoriale dei soggetti interessati all'iniziativa
della Camera di Commercio di Grosseto. I soggetti, che sono stati selezionati attraverso
bando specifico, hanno potuto avvalersi oltre
che dell'analisi degli aspetti specificatamente
agricoli, condotte da parte di Land Lab della
Scuola Superiore Sant'Anna, anche delle competenze del CRB (Centro di Ricerca sulle
Biomasse) per quanto concerne la stima dei
fabbisogni energetici e il dimensionamento
degli impianti di generazione. Lo studio è stato
svolto caso per caso in collaborazione con gli
ingegneri del CRB cercando di individuare il
percorso tecnico più conveniente e più facilmente realizzabile nel breve periodo sulla base
delle caratteristiche e delle esigenze aziendali.
L'approccio utilizzato in fase preliminare
per cinque casi studio è stato il medesimo,
ed è stato caratterizzato da una serie di interviste svolte al fine di inquadrare l'azienda o la
cooperativa e di comprendere le esigenze e
le aspettative dei soggetti interessati. Le
interviste hanno permesso di reperire il
materiale ed i dati utilizzati per la descrizione
dell'azienda e per l'individuazione del modello di filiera da applicare. Il modello di filiera è
stato scelto in accordo con i titolari delle
aziende, con i tecnici delle cooperative e con
gli ingegneri del CRB tenendo conto dei fabbisogni energetici delle probabili utenze, ma
anche e soprattutto delle risorse disponibili
sul territorio e nell'ambito aziendale.
L'obiettivo principale è stato integrare la
produzione di biomasse ai fini energetici nell'attuale ordinamento aziendale senza stravolgerne l'attitudine produttiva, ma anzi cercando di supportare e valorizzare le produzioni tradizionali attraverso lo sfruttamento
delle risorse inutilizzate e degli "spazi vuoti"
negli ordinamenti colturali.
Benché la filosofia di approccio sia stata
la medesima, il protocollo di studio adottato
è stato poi calibrato sulle specifiche caratteristiche delle aziende e delle cooperative
sulla base dell'ordinamento produttivo, delle
dimensioni aziendali e delle caratteristiche
pedoclimatiche del territorio, potendo infine
distinguere tre modelli prevalenti di filiera:
n filiera delle biomasse lignocellulosiche
di origine forestale a scala aziendale;
o filiera del biogas prodotto a partire da reflui
di allevamento bovino a scala aziendale;
p filiera degli oli vegetali prodotti da girasole e/o colza a scala di cooperativa.
27
1.
Filiera delle biomasse lignocellulosiche
prodotte da attività silvicolturale
a scala aziendale
Il modello della filiera delle biomasse lignocellulosiche è stato applicato per due aziende
ad ordinamento produttivo misto caratterizzate dalla prevalenza di superfici boschive sulla
superficie aziendale. Nei due casi studio infatti la superficie forestale rappresenta più
dell'80% della superficie aziendale. Inoltre le
due aziende sono accomunate anche dalla
presenza di fabbricati adibiti a residenza e ad
agriturismo che rappresentano delle utenze
valide sia per l'energia elettrica che termina
producibili da impianti cogenerativi.
Lo studio di fattibilità ha riguardato quindi
la stima della biomassa residuale annua prodotta conseguentemente alla ordinaria attività
silvicolturali, eventualmente integrata da altre
tipologie di assortimenti legnosi, dalle potature di fruttiferi e dalla coltivazione di colture
dedicate (come la Short Rotation Forestry di
pioppo) in funzione dei fabbisogni.
La metodologia estimativa si è basata sui
Piani dei Tagli e di Assestamento Forestale
approvati o in corso di approvazione. Tali piani,
obbligatori secondo la legge forestale della
Toscana per aziende con superficie boschiva
superiore ai 100 ha, forniscono sufficienti informazioni circa la descrizione dei boschi, in relazione alla composizione specifica e al tipo di
gestione, e riportano la programmazione
decennale dei tagli dettagliatamente descritta
su cartografia tecnica. Sulla base del piano dei
tagli sono state stimate le superfici nette
annualmente sottoposte al taglio, e la descrizione delle particelle forestali ha permesso, considerando il tipo di gestione e la composizione
specifica prevalente, di stimare i quantitativi di
legna da ardere e di ramaglia producibile.
I dati prodotti (sinteticamente riportati in
tabella) sono stati integrati anche dell'analisi
economica per valutare la convenienza al recupero della ramaglia e dalle schede tecniche
relative alla coltivazione della SRF di pioppo.
Tabella 1 - Principali dati relativi alla produzione di biomassa lignocellulosica da attività silvicolturali per i due
casi studio. I dati si riferiscono a medie pluriennali determinate sulla base dello studio dei piani di tagli
Caso studio
Superficie
boschiva
aziendale
lorda (ha)
Superficie netta media
annua sottoposta a
taglio
(ha/anno)
Ramaglia
(t s.s./anno)
Legna da
ardere
(t s.s./anno)
Totale
(t s.s./anno)
1
659
20
118
1029
1146
2
344
12,5
75
506
581*
* nel caso studio 2 è stata stimata anche la produzione supplementare di circa 10 t s.s./anno di biomassa recuperabile dalla
potatura di olivi e viti
28
2.
Filiera del biogas
prodotto a partire da reflui di allevamento
bovino a scala aziendale
Il caso studio è rappresentato da un'azienda zootecnica per la produzione di latte
bovino, intenzionata a sfruttare i reflui di
stalla per la produzione di biogas in un
impianto di digestione anaerobica.
La stalla è mediamente costituita da 440
capi ripartiti e gestiti come descritto in
tabella 2.
La stima dei reflui (m3/giorno) è stata
condotta considerando il tipo di stabulazione, il tipo di mungitura, il numero di capi, la
loro composizione, il peso medio per tipologia di capo, il tipo di stalla, il metodo di recupero delle deiezioni, la gestione della lettiera e la piovosità media annua dell'areale.
Sulla base di tali fattori è stata stimata
una disponibilità media giornaliera di reflui
intorno 45 m3/giorno (tabella 3).
Tabella 2 - Descrizione della stalla in base alla tipologia di capi, alla tipologia di stabulazione, al peso medio
dei capi e al numero dei capi per tipologia
Tipologia dei capi
Tipo di stabulazione
Peso medio (t/capo)
Numero capi
vacche in produzione
stabulazione libera con cuccette
con paglia (testa a testa)
0.6
233
da rimonta
stabulazione libera su lettiera
solo in area di riposo
0.15
112
ingrasso
stabulazione libera su lettiera
solo in area di riposo
0.3
60
vitelli
stabulazione libera su lettiera
inclinata
0.3
37
Totale
442
Tabella 3 - Stima della produzione media giornaliera di reflui (m3/giorno); la stima tiene conto anche della
piovosità media annua poiché la vasca di raccolta è posizionata all'aperto
Liquame
3
(m /giorno)
Letame
(m3/giorno)
Lettiera
(m3/giorno)
Acque di mungitura
(m3/giorno)
Pioggia
(m3/giorno)
6
14
2
10
12-15
29
3.
Filiera degli oli vegetali
prodotti da colture oleaginose
I due casi di studio sono rappresentati da
due importanti cooperative della provincia di
Grosseto. Una delle due cooperative (c1) interessa l'area collinare interna della provincia in
corrispondenza dei comuni di Cinigiano e in
misura minore di Castel del Piano, è costituita da circa 400 soci con una superficie aziendale media di circa 8 ha. Date le caratteristiche pedoclimate dell'area l'ordinamento produttivo è prevalentemente cerealicolo.
L'altra cooperativa (c2) interessa l'area
costiera della piana dell'Albegna, in corrispondenza del comune di Orbetello, ed è
costituita da circa 160 soci per una superficie media aziendale di circa 10 ha.
L'ordinamento produttivo prevalente è orticolo e cerealicolo.
Nonostante le buone prospettive che
potrebbero offrire alcune colture dedicate
alla produzione di biomasse lignocellulosiche, in entrambi i casi si è optato per la filiera degli oli vegetali, poiché le colture oleaginose coltivabili nei due areali (girasole e
colza) si integrerebbero bene con gli attuali
ordinamenti produttivi, in avvicendamenti
triennali o quadriennali, non comportando
investimenti aggiuntivi per l'acquisto di nuove
macchine operatrici e per la costituzione di
nuovi siti di stoccaggio.
Inoltre la tecnica colturale delle due colture è nota, poiché, soprattutto il girasole,
appartengono alla tradizione agricola tosca-
na. In realtà il colza anche in passato non si
è mai diffuso nell'area oggetto di studio, ma
costituirebbe una valida alternativa soprattutto per via del ciclo invernale, che non
determina lo sfruttamento delle risorse idriche durante il periodo estivo.
Per ciascuna cooperativa lo studio di fattibilità è stato svolto nelle seguenti fasi:
n Inquadramento dell'area e stima delle
superfici agricole meccanizzabili, uso
del suolo, giacitura e tessitura.
o Stima delle superfici destinabili alla coltivazione di Girasole e Colza.
p Caratterizzazione climatica dell'area.
q Verifica dell'adattabilità di Girasole e
Colza alle condizioni climatiche dell'area, fenologia e bilancio idrico del girasole e fenologia del colza.
r Stima delle produzioni attese dalla coltivazione di girasole e colza.
s Descrizione della tecnica colturale girasole.
t Descrizione della tecnica colturale colza
invernale.
u Analisi dei costi colturali e del bilancio
energetico.
Le produzioni medie annue in olio per ciascuna cooperativa sono state stimate considerando le rese medie unitarie stimate empiricamente per entrambe le colture, i coefficienti di resa in olio più frequentemente
riscontrati in letteratura ed un ipotesi di avvicendamento triennale (tabella 4).
30
Tabella 4 - Stima della produzione di olio da girasole e colza per le cooperative dei due casi studio (c1 e c2)
Cooperativa
c1
c2
Coltura
Rese unitarie
(t/ha s.s.)
Superficie (ha)
Produzione urile (t/anno)
r
Olio
(t/anno)
p.c.i.
(MJ/kg s.s.)
Girasole
1,97
1.000
1.970
0,44
866,8
38,40
Colza
1,76
1.000
1.760
0,40
704,0
37,40
Girasole
2,00
500
1.000
0,44
440
38,40
Colza
1,8
500
900
0,40
360
37,40
Dall'analisi dei costi economici e del bilancio energetico il girasole sembrerebbe garantire margini di convenienza superiori al colza.
Ciò dipende dal fatto che le rese medie
unitarie sono stimate superiori per il girasole.
Tuttavia bisogna evidenziare che:
n il girasole è una coltura primaverile
estiva che senza ricorso all'irrigazioni non
può garantire rese costanti negli anni, poiché
chiaramente esposta ai rischi derivanti da
primavere particolarmente siccitose;
o le rese stimate per il colza sono evidentemente ridotte a livello precauzionale,
poiché non vi sono esperienze concrete relative alla sua coltivazione nell'areale di studio;
non è da escludere che individuate le migliori condizioni colturali la specie possa miglio-
rare nel tempo le proprie prestazioni garantendo rese superiori alle 2 t/ha.
L'analisi energetica condotta ha inoltre
evidenziato l'importante apporto calorico dei
pannelli disoleati nel computo del bilancio,
ma in realtà il loro valore è legato soprattutto
al contenuto proteico rilevante non solo dal
punto di vista quantitativo, ma anche da
quello qualitativo poiché ricco delle diverse
tipologie di amminoacidi (il valore nutrizionale delle farine proteiche ricavate dal pannello
del colza è inferiori soltanto a quelle della
soia). Il pannello disoleato è infatti molto
richiesto dall'industria dei mangimi, per cui la
sua valorizzazione per la produzione di farine
proteiche non solo contribuisce a migliorare i
margini di ricavo, ma valorizza in pieno le tecniche colturali che impiegano alte dosi di
azoto per la concimazione.
31
RESPONSABILE SCIENTIFICO
Prof. Franco Cotana
GRUPPO DI LAVORO
Prof. Cinzia Buratti
Prof. Francesco Fantozzi
Ing. Simona Servili
Ing. Elisa Barluzzi
Ing. Lucia Marchetti
I
risultati della sperimentazione
nelle aziende
Il progetto pilota sull'impiego delle biomasse a fini energetici si è proposto l'obiettivo di
realizzare le azioni preliminari allo sviluppo di
una filiera bioenergetica economicamente ed
ambientalmente sostenibile nel territorio
della Provincia di Grosseto. Sulla base dei
risultati ottenuti dagli studi sulle peculiarità
del territorio e sulle sue potenzialità bioenergetiche, sono stati individuati siti idonei ed
aziende-pilota da inserire in filiere dimostrative di produzione, raccolta, trasformazione e
conversione energetica delle biomasse.
In particolare, i destinatari di tale progetto
sono 5 aziende (agriturismi, aziende e cooperative agricole).
Per ciascuna azienda sono state effettuate dal Centro di Ricerca sulle Biomasse le
seguenti attività:
Q valutazione dei fabbisogni di energia
elettrica e calore, a fronte dei quali si è
proceduto alla realizzazione di una idonea filiera di produzione/trasformazione/conversione energetica delle biomasse disponibili;
Q analisi di ottimizzazione del processo di
conversione energetica delle biomasse;
Q studio di fattibilità dei relativi impianti;
Q individuazione di soluzioni di impiego
delle eventuali quantità di energia elettrica e calore in eccesso prodotte o
individuazione delle fonti ausiliarie di
energia elettrica e calore eventualmente in difetto nelle soluzioni proposte.
L'adesione al progetto ha offerto alle
aziende destinatarie le seguenti opportunità:
Q rivalutazione delle superfici agricole e
delle strutture abbandonate o sottoutilizzate attraverso lo sviluppo di filiere dedicate all'impiego energetico
delle biomasse;
Q promozione dello sviluppo sostenibile, grazie all'impiego di fonti energetiche rinnovabili;
Q collocazione della propria azienda nel
contesto delle energie alternative, a
favore della competitività aziendale e
locale.
Le biomasse disponibili presso le aziende
selezionate sono girasole, reflui zootecnici e
legno, di origine residuale (ramaglia) o primaria (SRF). Nello specifico, per due aziende
cooperative con disponibilità di terreni, rispettivamente, pari a circa 1.000 ha la prima e
500 ha l'altra, si è ipotizzata la coltivazione di
girasole e/o colza per la produzione di olio
vegetale da impiegare in motori primi per la
cogenerazione di energia elettrica e termica.
Azienda n.
1
La prima azienda, con una produzione
media stimata di 950.000 litri di olio all'anno, sarebbe in grado di produrre mediamente 2.940.000 kWh/anno di energia termica,
35
di cui 300.000 kWh/anno potrebbero essere
venduti ad utenze quali edifici pubblici, e
circa 2.800.000 kWh/anno di energia elettrica, grazie all'installazione di un motore ad
olio di potenza pari a 400 kW (approvvigionamento stimato per il funzionamento del
motore: circa 800.000 l/anno di olio).
Dei 2.8 MWh/anno di energia elettrica
prodotti, circa 2.7 MWh/anno potrebbero
essere ceduti alla Rete Nazionale, a fronte di
interessanti ricavi annui, derivanti sia dalla
vendita dell'energia che dai certificati verdi, e
circa 0.1 MWh/anno invece potrebbero essere sfruttati dall'azienda stessa.
A fronte di tale interventi si prevede una
riduzione di CO2 equivalente pari a circa
1.300 t/anno.
Avendo previsto la vendita del panello di
girasole, l'analisi economico-finanziaria condotta ha rilevato un ritorno semplice dell'investimento pari a circa 3 anni.
Azienda n.
2
La seconda cooperativa agricola, con una
produzione media stimata di 480.000 litri di
olio all'anno, sarebbe in grado di produrre
mediamente 1.248.000 kWh/anno di energia
termica e circa 1.260.000 kWh/anno di energia elettrica, grazie all'installazione di un motore ad olio di potenza pari a 200 kW (approvvigionamento stimato per il funzionamento del
motore: circa 340.000 l/anno di olio).
Di 1.26 MWh/anno di energia elettrica
prodotti, circa 1.14 MWh/anno potrebbero
essere ceduti alla Rete Nazionale mentre
circa 0.12 MWh/anno potrebbero essere
sfruttati dall'azienda stessa per la refrigerazione dei prodotti agricoli presso strutture
esistenti. A fronte di tale interventi si prevede una riduzione di CO2 equivalente pari a
circa 843 t/anno.
Avendo previsto la vendita del panello di
girasole, l'analisi economico-finanziaria condotta ha rilevato un ritorno semplice dell'investimento pari a circa 3.5 anni.
Azienda n.
3
Per quanto riguarda i reflui zootecnici, lo studio ha riguardato la valutazione della fattibilità
tecnicoeconomica per la realizzazione di un
impianto di produzione di biogas provvisto di
un'unità di cogenerazione atta alla produzione
di energia elettrica e termica presso l'azienda,
da impiegarsi per la parziale copertura dei fabbisogni energetici aziendali. L'azienda in
esame è zootecnica - biologica, con allevamento bovino per la produzione di latte.
L'assetto produttivo dell'azienda prevede
mediamente l'allevamento di circa 440 capi. A
fronte di una disponibilità media giornaliera di
circa 18,5 m3/giorno di deiezioni, corrispondente ad una produzione media di biogas pari
circa a 190.000 m3 biogas/anno, si stima di
poter installare presso l'Azienda un'unità cogenerativa di potenza pari a circa 40 kWel.
L'energia producibile dall'unità stessa
ammonta a circa 712.500 kWh/anno di energia termica, di cui circa 214.000 kWh/anno
sfruttati dalle utenze aziendali stesse, e di
300.000 kWh/anno di energia elettrica, di
cui circa 240.000 kWh/anno possono essere
impiegati dalle utenze aziendali e la restante
parte potrebbero essere ceduti alla rete.
La riduzione di CO2 equivalente prevista a
valle dell'intervento ammonta a circa 380
t/anno. L'analisi economico finanziaria svolta
36
ha evidenziato un ritorno semplice dell'investimento pari a circa 7.5 anni.
Le ultime due aziende considerate sono
strutturate in più edifici, di cui, in un caso,
alcuni a carattere ricettivo. Per tali aziende,
che dispongono di diversi ettari di bosco, si è
ipotizzato l'impiego di legno cippato in caldaie ad alimentazione automatica.
Azienda n.
4
Nel primo caso si è proposta un'analisi di
scenario che ha mostrato i vantaggi derivanti
dall'opportunità di sopperire al fabbisogno
termico aziendale mediante cippato derivante da coltivazioni dedicate (SRF), dal momento che le provvigioni aziendali di legna presentavano costi di raccolta e trasporto,
soprattutto per le ramaglie, elevati.
A fronte dell'analisi dei fabbisogni aziendali le possibilità indagate hanno riguardato
sia la copertura della domanda termica
mediante una sola caldaia a cippato, di
potenza 160 kW, sia la sola copertura del
carico di base (mediante una caldaia a cippato di 110 kW), prevedendo l'impiego di una
caldaia di integrazione a metano o GPL.
Nel primo caso il fabbisogno medio di cippato stimato è pari a 74 tss/anno e nel
secondo caso di 72 tss/anno. La riduzione di
CO2 equivalente prevista a valle degli interventi ammonta a circa 77 t/anno. Nell'un
caso e nell'altro l'analisi economico finanzia-
ria ha evidenziato un ritorno semplice dell'investimento di 9 anni nello scenario migliore,
corrispondente all'impiego di cippato da SRF.
Azienda n.
5
La seconda azienda dispone, diversamente dalla prima, anche di strutture ricettive,
per le quali è stato richiesto di ipotizzare,
oltre che il riscaldamento invernale, anche il
raffrescamento estivo e per tale motivo l'analisi ha riguardato l'impiego di una macchina
ad assorbimento alimentata dalla caldaia a
cippato. In base all'analisi dei carichi termici
aziendali e tenuto conto della dislocazione
dei poderi di cui si compone il centro aziendale, si è optato per la predisposizione di due
caldaie e due macchine frigorifere.
Per un podere, in particolare, si è valutata
l'installazione di 70 kW termici e 65 frigoriferi, mentre per l'altro podere di 65 kW termici
e 35 kW frigoriferi, a fronte di un fabbisogno
medio di cippato rispettivamente pari a 16
tss/anno e 13 tss/anno. La riduzione di CO2
equivalente prevista a valle degli interventi
ammonta a circa 32 t/anno.
L'analisi economico finanziaria ha evidenziato un tempo di ritorno dell'investimento
pari a circa 11.5 anni per ciascun podere, sul
quale pesa, in particolare, l'alto costo di investimento per le macchine ad assorbimento.
I dati principali dei progetti pilota proposti per
le cinque aziende sono riportati in tabella 1.
37
Tabella 1 - Quadro sintetico