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CHIRAC SI SCUSA. PER AVER DETTO LA VERITÅ. di Maurizio Blondet
Jacques Chirac si credeva non ascoltato.
Ed ha detto: «Non è poi tanto pericoloso se l’Iran ha una bomba atomica. Non servirà a niente. Dove la tira, questa bomba? Su Israele? Non avrà fatto duecento metri di volo, e Teheran sarà rasa al suolo».
Come ha ammesso persino il New York Times, «Chirac ha detto quel che credono molti analisti». (1)
La disparità tra l’armamento nucleare sionista e quello (per ora potenziale) di Teheran è di 300 testate contro una o due.
E chi ha la bomba atomica entra immediatamente nel quadro psicologico della deterrenza, che ha garantito mezzo secolo di non-guerra tra USA ed URSS: nessuno spara per primo, sapendo che sarebbe annichilito in ogni caso dalla rappresaglia atomica automatica.
Logico e realista.
Ma non per i media servili, tutti i giornali francesi hanno strillato «la gaffe di Chirac», anzi «irresponsabile gaffe».
Le Monde ha scritto che «la frase contraddice la linea ufficiale della diplomazia francese, e disorienta i partner della Francia sulla scena internazionale».
La presunta gaffe di Chirac, ha rincarato il giornale del Grand Orient, «arriva al momento sbagliato. Nei giorni in cui la comunità internazionale si appresta a riunirsi a New York per minacciare l’Iran, ci si domanda quale credibilità avrà ancora la posizione della Francia».
Il Guardian, che pure è progressista e critico delle guerre di Bush, è giunto a chiedersi se Chirac, «a 74 anni, ha perso contatto con la realtà e vigore mentale».
Alla fine, il presidente francese ha dovuto scusarsi, e sconfessare la frase sfuggitagli, che è la pura verità.
Ancor peggio è accaduto a Zbigniew Brzezinski, l’ex consigliere della Sicurezza Nazionale di Carter, membro potente del Council on Foreign Relations, fortemente ammanicato con gli ambienti finanziari e militari, il politologo più celebre dopo Kissinger, tutt’altro che un pacifista.
Ad una audizione davanti alla Commissione Esteri del Senato USA, Brzezinski ha definito le guerre in Iraq e in Afghanistan «una calamità».
Ed ha avvertito i senatori che la Casa Bianca è tentata di uscire dal disastro attaccando l’Iran, ossia provocando una nuova calamità.
Egli, il grande scenarista, ha delineato lo scenario seguente: «Il fallimento in Iraq, con il seguito di accuse all’Iran come responsabile di questo fallimento; poi una qualche provocazione in Iraq o un atto terroristico in USA che sarà attribuito all’Iran, culminerà con un’azione militare USA ‘difensiva’ contro l’Iran. Ciò piomberà l’America,
solitaria, in un pantano sempre più profondo e vasto, che finirà per estendersi dall’Iraq all’Iran, dall’Afghanistan al Pakistan». (2)
Brzezinski ha poi criticato «il fatto che le principali decisioni strategiche vengono prese in un circolo assai ristretto di persone, forse non più delle dita della mia mano. E sono questi individui che hanno preso la decisione iniziale di andare alla guerra».
Ebbene: né il Washington Post né il New York Times, men che meno il Wall Street Journal o nemmeno USA Today hanno ripreso la notizia e le frasi.
Silenzio totale sul fatto.
Anche Brzezinski, di colpo, è diventato una non-persona.
Quanto ai senatori che l’hanno ascoltato, nessuno ha fatto domande più precise sulla «provocazione» paventata da Zbig.
I democratici erano i più flaccidi e i meno interessati.
Zbigniew Brzezinski
Offro questi due fatti a quei lettori - ancora ce ne sono - non convinti che l’11 settembre sia stato un «lavoro interno» dell’Amministrazione, e che oppongono alla teoria del complotto i ben noti argomenti:
1) non può esserci stato alcun complotto perché l’America è la più grande e libera democrazia della storia, e la sua stampa è la più coraggiosa del mondo, ha denunciato il «blowjob» della Lewinsky a Clinton, ha costretto alle dimissioni Nixon.
2) Se il complotto c’è stato, devono avervi partecipato centinaia di persone; come mai nessuno parla e rivela niente?
3) Se c’è stato un complotto così criminoso, i servizi segreti occidentali dovevano saperlo.
Perché i governanti europei non lo denunciano? Perché Putin tace?
O anche Chirac, che ha mostrato sempre una certa indipendenza dalla Casa Bianca, fino a sfiorare la crisi nei rapporti reciproci?
Ecco qui perché: Chirac viene fatto passare dal Guardian come un vecchietto impazzito, per aver detto ciò che molti seri analisti pensano.
All’unisono, i media mondiali decretano che la sua è «una gaffe».
E che la sua credibilità è diminuita: diminuita dalla verità.
Questa è paura, anzi terrore.
Si tenga presente che il Guardian è, a Londra, il giornale più aspramente critico nei confronti di Bush e di Blair e delle loro avventure belliche unilaterali.
Dunque non è di Bush né di Blair che ha paura.
Non sono loro che ispirano il terrore, che esercitano l’intimidazione che ammutolisce.
Chi sa ispirare questa paura?
Rivolgo la domanda a quei lettori (ce ne sono ancora) che sospirano: ah, Blondet, ce l’ha con gli ebrei.
Ma di chi credete che parli Brzezinski quando allude al «ristretto circolo di individui, tanti come la dita della mano», che prendono le decisioni in USA?
Allude all’American Enterprise Institute, il centro-studi di Paul Wolfowitz, Richard Perle, Michael Leeden e gli altri neocon con doppio passaporto.
Sono loro, i congiurati, che hanno messo a segno il colpo di Stato dell’11 settembre.
Bush può, a questo punto del disastro, essere criticato; questi signori no.
Nessuno li chiama a rendere ragione dei loro atti.
Fra questi atti, si scopre ora, c’è un premio di 10 mila dollari che l’American Enterprise paga ai giornalisti che scrivono articoli per dire che l’effetto serra è una menzogna, un complotto ecologista.
I neocon allievi di Leo Strauss sono dunque interessati a contrastare l’allarme climatico, e per questo pagano i liberi giornalisti.
Il perché è noto: l’American Enterprise riceve finanziamenti, in media 250 mila dollari l’anno, dalla Exxon.
Lee Raymond, vice-presidente della Exxon, è nel comitato dei garanti dell’American Enterprise. Accanto ai capi di Motorola, Kodak, Chrysler, General Motor, General Electric… tutti lì un po’ per convinzione, ma ancor più nella perfetta coscienza che l’American Enterprise comanda la Casa Bianca e le politiche USA, e dunque è bene averla
amica.
È un piccolo indizio del riuscito raccordo che ha spinto gli USA nelle guerre per Israele: la convergenza tra i tre grandi poteri americani e globali, la lobby ebraica, il sistema militare-industriale, gli interessi petroliferi.
Oltre a questi tre, non c’è in USA un altro centro di potere da essi autonomo, e che possa o voglia contrastarli.
Non i media, non i giornalisti, non la società civile che sta sgobbando oberata dai debiti, e non può alzare la testa.
Non giudici, non sindacati nazionali indipendenti.
La grande democrazia americana.
La collusione fra Exxon e American Enterprise non è solo uno scandalo e un evidente vergognoso conflitto d’interessi; è un pericolo da denunciare.
Dove sono gli ecologisti che denunciano? Paura.
Terrore che rende muti.
Note
1) Elaine Sciolino, «Living with a nuclear Iran - Chirac said what many analysts believe», New York Times, 3 febbraio 2007.
2) «Zbig censure», Dedefensa, 3 febbraio 2007.
(Tratto da www.effedieffe.com)
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