FIR2002 2f Prospettive1 - Cusinato (M)

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FIR2002 2f Prospettive1 - Cusinato (M)
SEZIONE: PROSPETTIVE DI RICERCA
La cronaca familiare interpella la ricerca
Partorire a casa in ospedale?
Nei quotidiani dei mesi scorsi è ristornato ancora una volta questo interrogativo. Non è certamente nuovo, tuttavia merita un po’ di attenzione. In vista di possibili ricerche sull’argomento, abbiamo chiesto il
parere a due professionisti, un ginecologo e una ostetrica, anche per cominciare a mettere dei paletti
entro cui cominciare a pensare un progetto di ricerca che ponga gli obiettivi per cui merita impegno,
tempo e risorse… ovviamente a chi interessa!
a cura di Mario Cusinato
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logo Parlare oggi, nel 2003, di parto in casa, che significato può avere?
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Dalla seconda metà degli anni ottanta qualche migliaia di donne italiaid un ne ha deciso di partorire a casa propria, perché?
Sicuramente non può essere considerato un fatto folcloristico, ma ritengo che
possa riflettere, oltre che una “scelta naturalistica”, una tendenza a contrastare l’eccessiva medicalizzazione di un momento così importante per la vita di una coppia ed in particolare per una donna.
É vero che negli ultimi decenni il parto spesso è stato trasformato da evenienza naturale a evento tecnologico, ma si deve con forza anche sottolineare che la mortalità delle partorienti è
praticamente scomparsa e quella dei neonati si è ridotta a percentuali (meno del 10 per mille)
che con ogni probabilità sono impossibili da abbassare ulteriormente.
Ora come ginecologo, marito e padre, non ho mai pensato di assistere (o far assistere) al parto
in casa. E per questo ritengo che i miei figli non siano diversi da quelli nati in casa, perché l’amore, la cura, le attenzioni che essi hanno ricevuto da quel momento in poi non sono state condizionate dal tipo di parto. Né credo che mia moglie si senta meno madre di quelle che hanno
partorito in casa o abbia perso la sua identità di donna-madre.
Lavorando poi in un Ospedale, dove ci sono circa 2.700 parti/anno, con un 16% di tagli cesarei, ho vissuto più volte l’emergenza ostetrica!
É vero che la maggior parte dei parti non presenta problemi particolari e quindi potrebbero
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essere assistiti a domicilio, ma qualsiasi ginecologo o ostetrica, vi dirà che nessun parto, mai,
può essere considerato assolutamente non a rischio. Non puoi mai giurarci.
E il parto alle volte diventa un inferno: una gravidanza normale, in una donna normale, che
culmina in un travaglio normale; poi, all’improvviso, niente è come prima: il conto alla rovescia impazzisce ed è emergenza, un corsa contro il tempo, in cui i secondi diventano così preziosi, che l’avere la sala operatoria a pochi metri e tutto il personale necessario, già a disposizione, sembra ancora non essere sufficiente, perché sai che ogni ritardo può condizionare più o
meno una vita: quella della madre e quella del figlio.
Quindi anche se nel parto domiciliare venisse garantita la possibilità di un trasferimento urgente in ospedale nel caso di emergenze durante il travaglio, il tempo potrebbe non essere sufficiente.
Ancora: per chi porta a sostegno del parto in casa dati scientifici, una recente e seria revisione
della letteratura (Revisione Cochrane) ha concluso invece che non esistono prove convincenti
atte a evidenziare la sicurezza del parto in casa in donne gravide a basso rischio.
Il parto in casa contro il parto in ospedale; il parto umano contro il parto medicalizzato; il tepore del cuore contro l’asettico gelo della tecnologia ospedaliera; il calore dei familiari, contro
l’estraneità del personale ospedaliero; sono posizioni agli antipodi su cui potremmo discuterne
a lungo senza trovare forse un accordo.
Ritengo come medico tuttavia che la cosa più importante sia quella di garantire la massima
sicurezza per la diade madre-neonato.
Qualora succeda un imprevisto, che possa influire negativamente sulla salute sia fisica, che
psicologica, di questa diade, come potrà continuare ad avere un rapporto sereno con sé stesso e
gli altri chi si sarà preso la responsabilità di assistere al parto domiciliare e chi, soprattutto,
avrà deciso di farsi assistere?
E non è vero, come qualcuno sostiene, che il progetto del parto domiciliare non decolla per
colpa dei medici, che hanno paura di perdere potere, di non detenere più il monopolio totale
della vita e della morte.
No! Non mi sento tra questi medici, né lo penso per molti altri miei colleghi, che sacrificano
notti, feste e famiglia per dare il massimo di se stessi nell’assistenza ad un travaglio e ad un
parto, che può dare ancora oggi un’emozione intensa non solo ai genitori, ma anche a chi assiste in maniera “tecnologica”.
Allora mi chiedo perché rischiare? Perché non concentrare invece gli sforzi, per umanizzare gli
ospedali: strutture aperte dove i mariti possano essere vicini alla propria moglie; nido aperto o
stanze nelle quali poter tenere al proprio fianco i piccoli; ambienti nei quali trasferire non solo
il corpo, ma anche la mente, senza timore di venire annullate; possibilità di usufruire dell’analgesia in travaglio di parto.
Questo ritengo sia il percorso da compiere: garantire il massimo della sicurezza in un ambiente ospedaliero familiare.
Dr. Busato Enrico
Ospedale Civile, Treviso
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os “Meglio partorire in casa che in un piccolo ospedale” era il titolo ap-
parso su un quotidiano il 26 agosto 2002 in riferimento al quale mi è stato
chiesto questo contributo alla rivista. Sono un’ostetrica che da 22 anni lavora in
una sala parto di un grande ospedale della Provincia di Venezia e da vent’anni assisto
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parti a domicilio con alcune colleghe in forma associativa, cioè non in libera professione né a
tempo pieno.
Da anni le ostetriche che assistono le donne che partoriscono nella propria casa in Italia si coordinano a livello nazionale per scambiare le pratiche assistenziali che siano rispettose
della fisiologia e promotrici di salute. A tal fine è stato elaborato un protocollo che contiene
linee guida di riferimento e che si basa anche su modalità assistenziali di altri stati, quali l’Olanda, dove il servizio domiciliare al parto rientra nella politica della salute di quel paese. Nostro riferimento sono anche le Raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità
del 1985 su queste tematiche che invitano tutti i Paesi e tutti gli operatori e operatrici della sanità ad essere promotori e promotrici di salute nel rispetto delle persone e della loro dignità.
Siamo tutte in piena ricerca e sperimentazione, né improvvisata né irresponsabile naturalmente, ma da professioniste, perché sappiamo che le scuole di ostetricia universitarie non
insegnano l’arte ostetrica, ma una cosiddetta scienza che perde la complessità degli eventi della gravidanza, del parto e della nascita, per ridurli a procedure mediche che rischiano di produrre interventi inutili e spesso iatrogeni, cioè con danni provocati dall’eccesso di interventismo.
La nostra esperienza professionale indica che l’assistenza domiciliare al parto, avvalendosi di una adeguata preparazione delle ostetriche, del riferimento al protocollo che seleziona i casi a basso rischio da quelli a medio ed alto rischio ostetrico e della scelta della coppia di
vivere questa esperienza nella propria casa, è una procedura sicura e possibile tanto quanto
l’assistenza negli ospedali per le gravidanze a basso rischio ostetrico: non esiste niente nella
vita che comporti l’assenza di rischio, così per i parti in qualsiasi luogo avvengano. Probabilmente una buona assistenza nazionale potrebbe valersi sia di piccole strutture ospedaliere, che
di “case del parto”, come da alcuni anni se ne parla in Italia, e di possibilità di assistenza domiciliare da parte del Servizio Sanitario Nazionale per le gravidanze a basso rischio, deputando
gravidanze a medio ed alto rischio a Ospedali dotati di tecnologia adeguata. Alcune proposte di
legge nazionale e regionali e alcuni Piani Sanitari Regionali propongono queste modalità organizzative, e in Piemonte da anni le donne che partoriscono a casa con ostetriche libere professioniste si avvalgono di un rimborso regionale.
Nella mia esperienza le coppie che hanno scelto e hanno vissuto la nascita del/la proprio/a figlio/a in casa sono state protagoniste di questo evento che produce sempre un clima
familiare molto forte, utile alla cura del/la neonato/a anche da parte del padre che trova un proprio posto in questo evento, e che produce l’instaurarsi dell’allattamento materno direi in tutti i
parti assistiti, grazie al sostegno ostetrico e familiare che la donna ha intorno a sé. Anche la
letteratura scientifica riconosce in questo sostegno pratico ed emotivo alla madre la possibilità
di un successo dell’allattamento al seno, che non sta solo a significare nutrimento, ma anche
attaccamento e amore. Senza estremizzare il fatto che le donne che non allattano siano cattive
madri, ma riconoscendo che una diversa assistenza in puerperio, per esempio, prevedendo figure domiciliari quando la donna torna a casa dopo il parto, eliminerebbe una buona parte dei
fallimenti di allattamento materno.
Ad aiutare la donna e la coppia che scelgono di avere il/la proprio/a figlio/a in casa è
l’ostetrica, figura professionale abilitata e formata per assistere gravidanze, parti e nascite. Vi
sono quasi sempre due ostetriche presenti nei parti in casa in Italia, che vigilano sul benessere
materno e neonatale, rivolgendosi alle strutture pubbliche nei casi in cui si instaura una qualche patologia e si avvalgono della collaborazione di un pediatra che controlla il/la neonato/
entro 12 ore dalla nascita.
Credo che ci siano contenuti di indagine per produrre ulteriori ricerche sia sul versante
del parto a domicilio sia su quello dell’allattamento materno. Obiettivi sono la promozione di
salute, l’ampliamento delle conoscenze della fisiologia della nascita, il risparmio in termini sia
economici che di migliore assistenza ad eventi molto medicalizzati e tecnologizzati che, come
accennavo, risultano spesso inutili e iatrogeni.
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Mi sembrerebbe anche interessante indagare le tematiche su “maternità e multiculturalità” in presenza del 10% di donne straniere che partoriscono in Italia e che vanno aumentando
progressivamente. Ci si potrebbe interrogare sulle modalità assistenziali verso queste donne,
portatrici di altre culture e sicuramente di altri bisogni. Modalità che arricchirebbero sicuramente anche le nostre conoscenze.
Franca Marcomin, Ostetrica.
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