Consiglio di Stato, sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 364

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Consiglio di Stato, sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 364
Consiglio di Stato, sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 364
Ambiente in genere - Adeguamento industria insalubre - Adeguamento industria insalubre in
difformità NTA del PRG - Diniego titolo abilitativo edilizio - Legittimità.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello n. 7760 del 2005, proposto da
Citernesi Secondo calcestruzzi s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata
e difesa dall’avv. Emilio Mattei, ed elettivamente domiciliata, unitamente al difensore, presso l’avv.
Antonio Delianni in Roma, piazza Cola di Rienzo n. 92, come da mandato a margine del ricorso
introduttivo;
contro
Comune di Sansepolcro, in persona del sindaco legale rappresentante pro tempore, non costituito in
giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, sezione terza, n. 2051 del
giorno 11 giugno 2004;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 novembre 2012 il Cons. Diego Sabatino;
Nessuno è comparso per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso iscritto al n. 7760 del 2005, Citernesi Secondo calcestruzzi s.r.l. propone appello
avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, sezione terza, n. 2051
del giorno 11 giugno 2004 con la quale è stato respinto il ricorso proposto contro il Comune di
Sansepolcro per l’annullamento del provvedimento prot. n. 6729 del 7.5.2003 a firma del Dirigente
dell'ufficio urbanistica, con il quale il Comune di Sansepolcro comunicava che la richiesta
concessione edilizia avanzata dalla società ricorrente (in data 7.3.2003 prot. n. 3725), per
l'adeguamento dell'impianto industriale di preparazione di conglomerati cementiti in loc.
Campezzone – zona industriale S. Fiora, non poteva essere accolta per difformità rispetto all'art. 29
delle N.T.A. del P.R.G. vigente (D.C.R. n. 197/2001) in quanto l'attività svolta dall'impianto
rientrava nell'elenco delle industrie insalubri di cui all'art. 216 T.U. delle Leggi sanitarie (D.M.
5.9.1994 e successive modifiche.
Dinanzi al giudice di prime cure, con ricorso notificato il 5.7.03, la s.r.l. Citernesi Secondo
Calcestruzzi in persona del legale rappresentante aveva chiesto l’annullamento del provvedimento
n. 6729 del 7.5.2003 con il quale il Comune di Sansepolcro comunicava il diniego di concessione
edilizia per difformità rispetto all’art. 29 delle N.T.A. del P.R.G. vigente (del. C.R. n. 197/2001) in
quanto l’attività svolta nell’impianto rientrava nell’elenco delle industrie insalubri (art. 216 t.u.
leggi sanitarie n. 1265/34 e d.m. 5.9.1994).
La società, che svolge attività di produzione di conglomerati cementiti dal 1967, esponeva di avere
da tempo chiesto al Comune di poter realizzare un nuovo impianto tecnologico in aggiunta, prima, e
in sostituzione, poi, di quello esistente e nella stessa area; il progetto aveva ricevuto pareri
favorevoli della Usl e dell’Arpat, ma il Comune ne pretese lo spostamento nell’area golenale del
fiume Tevere perché alcuni cittadini della zona di S. Fiora non gradivano la presenza di impianti
produttivi; le condizioni poste dal Comune però erano assurde e inaccettabili, anche perché la
concessione sarebbe stata a titolo precario (per soli 5 anni) e non definitivo e con una serie di
gravosi adempimenti (smantellamento dell’impianto esistente, rimessa in pristino della nuova area,
costruzione di un tratto di argine ed altro).
Non ritenendo di poter aderire alle condizioni, in data 7.3.2003 la società chiese la concessione
edilizia per il nuovo impianto da realizzarsi in un’area appositamente acquistata e indicata a suo
tempo dallo stesso Comune (zona D1), ove erano presenti altri impianti analoghi o identici.
Avverso il diniego formulava i seguenti motivi: 1) violazione di legge e eccesso di potere: l’art. 29
delle N.T.A. invocato dal Comune non è applicabile al caso di specie perché la zona non è a
preminente carattere artigianale, ma a prevalente carattere industriale e, comunque, non artigianale;
2) violazione degli artt. 7 della legge regionale n. 52/99, 3 della legge n. 241/90, 29 delle N.T.A.,
eccesso di potere per carenza di presupposti, sviamento, contraddittorietà, difetto di istruttoria,
ingiustizia, disparità di trattamento, carenza di motivazione: anche se fosse applicabile l’art. 29
delle N.T.A., non è impedita la realizzazione dell’impianto che non è inquinante e non costituisce
industria insalubre, perché si tratta di una struttura moderna a ciclo chiuso senza dispersione di
polveri e senza emissione di rumori inquinanti, tanto che era stata assentita dalla Usl e dall’Arpat; il
Comune ha rilasciato la concessione a due altri soggetti (Giorni Oscar di Giorni Massimo & C.
s.n.c. e Ediltevere s.r.l.); non è stato considerato che il nuovo impianto, più moderno, avrebbe
sostituito quello esistente.
Si era costituito in giudizio il Comune di Sansepolcro, opponendosi al ricorso e rappresentando
nella memoria di udienza che la società ricorrente aveva inoltrato in passato più richieste di
concessione edilizia (22.7.97, 23.11.98, 12.10.99) per vari interventi edilizi di ampliamento
dell’impianto esistente, che non sono state accolte perché gli strumenti urbanistici vigenti al
momento in cui le domande sono state inoltrate non consentivano la localizzazione delle industrie
insalubri di 1^ classe nella zona richiesta; con l’approvazione della variante in data 31.10.2001
(delibera C.R. n. 197) veniva mantenuta la previsione dell’art. 29 delle N.T.A. che non consente
l’insediamento di industrie insalubri di 1^ e 2^ classe nella zona D1 (Santa Fiora) caratterizzata
dalla presenza prevalente di laboratori e ditte artigiane; l’impianto della ricorrente è localizzato
lungo la Strada provinciale Libbia vicino a insediamenti residenziali, in contrasto con l’art. 216 t.u.
leggi sanitarie n. 1265/34 che impone alle industrie insalubri di 1^ classe di essere “isolate nelle
campagne e tenute distanti dalle abitazioni”; d’accordo con la ricorrente e con l’Autorità di bacino
del fiume Tevere si era deciso di spostare l’impianto in ambito urbanistico D 0 del P.R.G.; il
27.6.2003 è stata adottata dal Comune una nuova variante urbanistica per la zona industriale S.
Fiora e Alto Tevere, approvata il 13.2.2004 (delibera n. 6), le cui norme tecniche di attuazione (art.
3) prevedono, a modifica dell’art. 29 precedente, che “nelle zone a preminente carattere produttivo
sono escluse le attività che comportano lavorazioni inquinanti di 1^ classe”, consentendo (art. 5,
punto 2, N.T.A.) per gli impianti esistenti (come quello della ricorrente) solo la ristrutturazione con
spostamento in area apposita (D 0); sia l’applicazione delle norme di salvaguardia dalla adozione
della variante, sia la nuova disciplina dopo la sua approvazione sorreggono l’impugnato diniego.
Con atto depositato il 26.2.2004 la ricorrente, prodotta un perizia tecnica di parte che concludeva
per l’ammissibilità dell’intervento edilizio, chiedeva espletarsi consulenza tecnica d’ufficio per
accertare la natura e le caratteristiche della zona (se prevalentemente industriale o artigianale)
nonché le caratteristiche tecniche e funzionali dell’impianto di ultima tecnologia.
Il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva infondate le censure
proposte, sottolineando la correttezza dell’operato della pubblica amministrazione, in relazione alla
qualificazione dell’area de qua e alla conseguente esatta applicazione della disciplina urbanistica
vigente.
Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia l’errata ricostruzione in
fatto ed in diritto operata dal giudice di prime cure, in relazione alle ragioni di doglianza già
proposte dinanzi al T.A.R..
Alla pubblica udienza del 27 novembre 2012, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.
DIRITTO
1. - L’appello non è fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati.
Preliminarmente, va rammentata la normativa tecnica valevole nell’area interessata, area dove
l’appellante aveva richiesto una concessione edilizia, negata dal Comune di Sansepolcro, per
l’adeguamento dell’impianto industriale di preparazione di conglomerati cementiti in località
Campezzone – zona industriale Santa Fiora. Il diniego impugnato era motivato per la contrarietà
dell’intervento all’art. 29 delle N.T.A. all’epoca vigente (delibera di approvazione di variante al
P.R.G. n. 197 del 31 ottobre 2001). Detto articolo, riferendosi alle “zone per insediamenti produttivi
D”, chiarisce che tali sono quelle destinate “a laboratori artigiani, piccolo industriale, industriale” e
inoltre che “nelle zone a preminente carattere artigianale sono escluse le attività che comportano
lavorazioni inquinanti (I e II classe dell’industrie insalubri di cui all’art. 216 del t.u. delle leggi
sanitarie – D.M. 19.11.1981). Ancora preliminarmente, va evidenziato, come opportunamente ha
fatto già il giudice di prime cure, come la norma tecnica di attuazione richiamata non sia stata
impugnata in quel giudizio e, consequenzialmente, in questo appello.
2. - Ciò sottolineato, possono valutarsi le doglianze proposte.
Con il primo motivo di diritto, viene censurata la sentenza per non aver correttamente valutato la
tipologia di zona in cui avrebbe dovuto allocarsi l’attività industriale dell’appellante. In particolare,
non si sarebbe considerato come l’area fosse di carattere industriale, e non a preminente carattere
artigianale, come voluto dal Comune, e che tale constatazione poteva ben essere rilevata sulla scorta
di una valutazione in fatto. Al contrario il T.A.R. si era fondato su una disamina condotta dagli
uffici tecnici del Comune, e non proveniente dagli elenchi della Camera di commercio, dal carattere
evidentemente parziale.
2.1. - La doglianza va respinta.
Occorre notare come sia certamente corretta la pretesa dell’appellante di censurare la valutazione
del T.A.R. sul concetto di preminenza delle attività industriali, e ciò non perché il ragionamento del
giudice di prime cure sia stato scorretto, ma proprio in quanto il concetto di preminenza, non
altrimenti precisato, si presta ad essere valutato secondo criteri e parametri differenziati. Tuttavia,
stante l’assenza di qualsiasi altra connotazione del criterio della preminenza (che potrebbe essere
dimensionale, qualitativa, estensiva e quant’altro), pare corretto condividere l’implicito assunto del
T.A.R. che ha collegato il citato concetto con il dato numerico, nella sua crudezza, delle imprese
presenti nell’area, in relazione alla loro sede.
Pertanto, le censure proposte (in relazione al nomen dell’area, al rilievo dimensionale delle attività
industriali ivi presenti, alla presenza delle sole sedi legali di determinate attività artigianali) non
riescono a superare le valutazioni del Comune, fatte proprie dal T.A.R., sulla circostanza di un
rapporto tra 58 imprese artigiane e 34 non artigiane.
E sebbene il ricorrente contesti la correttezza anche del mero dato quantitativo, va notato che tale
censura non vada oltre l’indicazione di un errore, dovuto al non aver riportato nella lista proprio il
nome della società ricorrente, fatto che al limite sottoporrebbe l’elenco proposto ad una verifica del
tipo della prova di resistenza, peraltro qui agevolmente superata, senza infirmare il valore
complessivo del giudizio operato.
Deve quindi condividersi la decisione del T.A.R. in merito alla natura a carattere preminentemente
artigianale dell’area, senza dover ricorrere a ulteriori accertamenti di carattere tecnico, atteso che in
ogni caso dovrebbe avere vigenza il solo citato parametro numerico contenuto nelle normativa
tecnica comunale.
3. - Con il secondo motivo, viene lamentata l’erroneità della decisione per non aver considerato la
compatibilità dell’impianto, stanti le sue caratteristiche tecniche in materia di inquinamento, con
l’area de qua. A parere dell’appellante, la realizzazione dell’impianto, che non è inquinante e non
può considerarsi insalubre, non sarebbe quindi impedita poiché si tratta di una struttura moderna a
ciclo chiuso senza dispersione di polveri e senza emissione di rumori, e ciò si sostiene sulla scorta
dell’art. 216 del t.u.l.s..
3.1. - La doglianza non può essere condivisa.
Del tutto pacificamente, la giurisprudenza evidenzia come l’art. 216 t.u.l.s., nel consentire la
permanenza delle industrie insalubri nei centri abitati a certe condizioni e accorgimenti tecnici, non
ha autorizzato il Comune a disporre una deroga al disposto della norma, tale da porre nel nulla il
precetto che vuole lontane dagli abitati le lavorazioni insalubri. Al contrario, ha inserito una
prescrizione che si armonizza con le norme dello strumento urbanistico e ha proprio il fine di
allontanare quelle lavorazioni a tutela della qualità della vita dei residenti. Si tratta quindi di un
ulteriore strumento di governo del territorio che conferisce all’ente locale, nell’ambito del generale
potere pianificatorio, un’ampia potestà di valutazione della tollerabilità o meno di quelle attività,
tanto ampia da comprendere anche l’interdizione dall’esercizio delle attività stesse.
Non vi è quindi spazio per una lettura della norma nel senso voluto dall’appellante, atteso che il
citato 29 N.T.A. (dal contenuto schiettamente urbanistico e non impugnato in questa sede) non
consente al comune il rilascio della richiesta concessione edilizia nella zona ove si svolge l’attività.
Per tali ragioni, le censure proposte dall’appellante, in merito alla circostanza per cui l’impianto da
realizzare non sarebbe inquinante per l’alta tecnologia che lo contraddistinguerebbe, sono del tutto
inconferenti perché in quella zona in nessun caso avrebbe potuto essere localizzato secondo le
N.T.A. all’epoca vigenti.
3.2. - All’interno dello stesso motivo, l’appellante evidenzia anche l’esistenza di motivi attinenti le
illegittimità procedimentali commesse dal Comune e ciò sia in relazione alla disparità di
trattamento, atteso che nell’area sono state rilasciati altri titoli abilitativi per interventi di tipo
industriale, sia per i vizi motivazionali intrinseci al provvedimento.
In merito al primo aspetto, non può certamente evidenziarsi una disparità di trattamento rispetto ad
altre industrie cui sarebbero state assentite nuove concessioni edilizie per ristrutturare impianti
analoghi, e ciò sia per la correttezza del procedimento adottato dal Comune nel caso in specie, come
sopra evidenziato, sia, per quanto possa valere, per le differenze tra gli impianti coinvolti, come
bene evidenziato nella sentenza gravata, che non paiono per nulla assimilabili.
In merito al difetto di istruttoria e di motivazione, va notato come l’atto impugnato dia conto sia
pure in modo succinto delle motivazioni che sorreggono il diniego di concessione edilizia in quella
zona e da tutto l’iter procedimentale. In particolare, dalla documentazione sui rapporti intercorsi con
l’appellante, ben può ricostruirsi il percorso logico tenuto dall’amministrazione, da dove si evince
anche come si sia cercato di venire incontro alle esigenze della stessa società.
4. - Con il terzo motivo, viene infine lamentata l’errata considerazione da parte del giudice di primo
grado della rilevanza sia degli atti sopravvenuti nella vicenda (ed in particolare, della nuova
variante per le aree produttive in zona industriale Alto Tevere e Santa Fiora, approvata con delibera
C.C. n. 6 del 13.2.2004) che delle vicende precedenti l’impugnato diniego. In concreto, il giudice
avrebbe attribuito a atti irrilevanti e non impugnati una valenza di supporto alla propria tesi.
4.1. - La censura non è ammissibile.
Con il capo di sentenza gravato, il giudice ha effettivamente ulteriormente corroborato le proprie
affermazioni, sulla scorta di un esame di atti sopravvenuti, espressamente non impugnati in primo
grado. Non essendo questi oggetto dello scrutino del giudice, le considerazioni svolte non sono ex
se in grado di ledere la posizione dell’appellante, avendo un valore solo motivazionale.
Pertanto, anche aderendo alla prospettazione dell’appellante, sulla irrilevanza e non conferenza di
tali documenti e delle correlate argomentazioni del giudice, non scaturirebbe alcun risultato
processuale utile, dovendo in ogni caso essere confermata la decisione del T.A.R. sulla base delle
ragioni già valutate nei capi che precedono.
5. - L’appello va quindi respinto. Nulla per le spese.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in
merito al ricorso in epigrafe, così provvede:
1. Respinge l’appello n. 7760 del 2005;
2. Nulla per le spese.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.