Libera traduzione, commenti e riflessioni sulla continuità della

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Libera traduzione, commenti e riflessioni sulla continuità della
Libera traduzione, commenti e riflessioni sulla continuità della topologia delle
superfici e la topologia dei nodi trattata da M. DARMON nell’articolo
“Questioni sull’oggetto”.
Luciana M. Testa
Savigliano, 15 febbraio 2016
In occasione dell’incontro con Virginia Hassembalg, avvenuto a Torino nel
novembre u.s., ho avanzato l’idea che il buco centrale del toro non è
concettualmente, sempre che in topologia sia pertinente il termine concetto,
sovrapponibile al buco centrale del nodo borromeo. Di buchi in due strutture
topologiche diverse si tratta ed il loro accostamento è materia di studio del Seminario
“ Il momento di concludere.”
Queste due figure topologiche, il toro ed il nodo, appartengono il primo alla prima
topologia, la topologia delle superfici, il secondo alla topologia dei nodi.
Quale relazione sussista tra questi due tempi della ricerca di Lacan, è stata la mia
domanda nell’abbordare questo Seminario.
Quale progresso?
La mia questione ha trovato risposta nell’articolo veramente illuminante di M.
Darmon “Questioni sull’oggetto”, che è il testo di un suo intervento alle Mathinées
lacaniennes che ho pensato di tradurre e di commentare.
Egli dimostra con precisione la continuità, questo è il termine che nomina in modo
topologicamente pertinente, il legame tra la topologia delle superfici e la topologia
dei nodi prendendo a fondamento la questione del buco che lui articola sulla base
dell’oggetto piccolo a, la prima vera invenzione di J. Lacan,
M. Darmon inizia con il dire che dell’oggetto piccolo a Lacan ne ha fatto una
topologia. Lo introduce per la prima volta nel Seminario “Il desiderio e la sua
interpretazione”, sviluppandone una topologia nel Seminario “L’identificazione”
che viene portata a termine nell’ “Etourdit”.
Con il nodo borromeo abbiamo a che fare apparentemente a tutt’altra cosa rispetto
alla topologia dell’oggetto piccolo a.
Dunque che cosa implica il passaggio dalla prima topologia a quella dei nodi?
La questione verte sul mostrare che l’oggetto piccolo a trancia con l’idea che ci
facciamo dell’oggetto del desiderio che intuitivamente è l’oggetto dietro a cui si
corre, che è desiderabile, che dirige il desiderio.
Riferendoci a Spinoza possiamo sottolineare che, contrariamente a questa intuizione,
l’immagine che ci facciamo dell’oggetto del desiderio è che è il desiderio ad essere
primo e non l’oggetto cercato, puntato dal desiderio.
Il desiderio è primo ed è il desiderio a rendere l’oggetto desiderabile.
Con Lacan possiamo dire che l’oggetto piccolo a è giustamente non l’oggetto cercato,
mirato dal desiderio, bensì è l’oggetto causa del desiderio.
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Nel Seminario “ I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi”, rispondendo ad
una questione che gli viene posta sulla differenza tra l’oggetto del desiderio, l’oggetto
del fantasma, l’oggetto del godimento, Lacan chiarifica che l’oggetto piccolo a non è
ciò a cui punta il desiderio che lui scrive sulla punta della freccia. Questa scrittura sta
a significare un’illusione o un fantasma.
Effettivamente non è mai l’oggetto piccolo a tale quale quello riportato sul grafo del
desiderio. L’oggetto piccolo a interviene nella formula del fantasma,è all’interno
della formula del fantasma perché è il fantasma ad essere cercato non l’oggetto che
non possiamo approcciarlo che attraverso la topologia dove appare per la prima volta
nel Seminario “ L’identificazione” a proposito della topologia del toro.
Topologia del toro.
Nella topologia del toro, il desiderio è collocato a livello del buco centrale, distinto
dal buco periferico che invece è accerchiato dalla ripetizione della domanda che mira
non all’oggetto piccolo a ma a ciò che circola in questo buco periferico che è
l’oggetto del bisogno.
La ripetizione della domanda è pertanto ripetizione del significante e ripetizione
dell’inadeguatezza tra questo significante e l’oggetto del bisogno. In questo margine,
in questa inadeguatezza introdotta dal significante rispetto all’oggetto domandato si
introduce il desiderio.
Mi viene da ricordare l’antica formula : bisogno+ significante= desiderio.
Desiderio che è figurato, ma è meglio dire strutturato dal buco centrale del toro, per
cui se l’oggetto piccolo a è introdotto da una topologia lo è in quanto buco articolato
ad un altro buco che è ciò che riassume la struttura del toro.
Nel Seminario “ L’Etourdit”, Lacan parla “dell’analisi del toro nevrotico” e descrive
una trasformazione topologica che altro non è che dare all’oggetto piccolo a una
consistenza topologica.
Nel toro questo oggetto piccolo a è un buco definito dal buco centrale del toro stesso
che è eventualmente incatenato, confondendosi con il buco periferico dell’Altro.
Questo è il dispositivo concepito come base dell’analisi del toro nevrotico.
Questa superficie torica comanda il camminamento dei giri, delle evoluzioni della
domanda ed occorre che questa domanda ritorni su se stessa per scrivere, per
descrivere “ un huit”, un doppio anello per permettere l’apertura del toro.
Primo tempo di un’analisi.
E’ nel testo de “L’Etourdit”, l’operazione che si dice “ compiuta”.
Ossia si realizza l’apertura del toro facendo percorrere alla domanda un certo
cammino che ritorna su se stessa compiendo un doppio giro del buco del desiderio.
Per questo fatto, con questo taglio abbiamo una trasformazione topologica del toro
che è aperto da questo percorso che non è garantito perché si può, ed è il caso
ordinario, girare indefinitamente attorno al buco periferico senza che mai la domanda
ritorni su se stessa al termine di un doppio giro ed apra il toro in questione.
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Allora, l’operazione “compiuta”, l’atto compiuto in un’analisi è di aprire il toro del
simbolico per farne che?
Per farne una doppia banda di Moebius. Cioè una banda che si può realizzare
tagliando di sbieco una banda di Moebius che tagliata in questo modo non separa due
bande distinte bensì una doppia banda di Moebius.
Questa operazione produce una doppia banda con due bordi e la cucitura di uno dei
due bordi con se stesso realizza quella banda che, come spesso abbiamo mostrato, è il
taglio del soggetto. L’operazione è proprio lì dove c’è il taglio del soggetto.
E l’oggetto?
Non lo abbiamo che nel toro perché è là sotto forma di buco.
Allora quale è la differenza con il buco di partenza, quello che si situava con qualcosa
intorno?
Perchè ci sia un buco occorre qualcosa intorno, possiamo dire il buco del toro
nevrotico con qualcosa intorno cioè il toro che ci porta a notare l’omeomorfismo con
le zone erogene del corpo.
Poiché si tratta del buco centrale del toro, si tratta di uno spazio simbolico percorso
dalla ripetizione della domanda. Con l’apertura del toro, realizzata o supposta
realizzata dall’operazione riuscita sul toro nevrotico otteniamo per primo l’ apertura,
per secondo la fabbricazione di una banda di Moebius che viene a contornare un buco
che è differente o meglio un buco che dipende da un’altra topologia.
Questo buco dipende da un’altra topologia perché è accerchiato da un doppio anello
per via del taglio del soggetto.
Allora, questo buco quello che dipende da un’altra topologia ci presenta una
trasformazione che permette la possibilità di articolazione di una banda con un’altra
banda, perciò veniamo a realizzare la bottiglia di Klein che è dunque realizzabile con
due bande di Moebius.
Oppure, possiamo dare un’altra topologia a questo buco accerchiato dal doppio
anello:
si tratta della rondella che viene ad unirsi, ad appiccicarsi alla banda di Moebius
mediante il bordo comune per realizzare il cross-cap.
Il cross-cap nel seminario “L’Identificazione” rivela la vera struttura dell’oggetto
piccolo a, cioè che non è un oggetto speculare.
Che cosa vuol dire non-speculare?
Vuol dire che è ciò che fa buco nello spazio delle nostre rappresentazioni.
Un oggetto che viene a strutturare il desiderio, che viene a causarlo e non un oggetto
che sarà puntato dal desiderio, cioè è un oggetto che organizza il campo in cui su
dispiega il desiderio.
E perché non speculare?
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Perché questa rondella conserva ciò che Lacan ha chiamato la linea di
interpenetrazione delle superfici ed il buco centrale del cross-cap che ha chiamato
Gran phi, Il Fallo.
Lacan ha scelto di utilizzare un modello del piano proiettivo che comporta questa
singolarità.
Avrebbe potuto scegliere un altro modello del piano proiettivo che non comporta
questa singolarità, come la superficie di Boy che ha un punto centrale triplo che
risulta dall’interpenetrazione di tre piani. Questo è molto diverso dalla singolarità del
punto centrale del cross-cap in cui le superfici che si interpenetrano a livello della sua
singolarità si confondono.
Perciò è stata una sua scelta, non un cammino, quella di mantenere in questo punto
centrale della rondella il punto centrale del cross-cap e di mantenere
l’interpenetrazione di questo disco che fa ritorno su se stesso conservando in tal modo
la possibilità dell’interpenetrazione facendone pertanto un oggetto che fa buco nello
spazio delle rappresentazioni.
Questo oggetto topologico fa buco nello spazio delle rappresentazioni perché grazie
all’interpenetrazione è possibile passare da una rondella levogira ad una rondella
destrogira, per questa ragione siamo in presenza di un oggetto che non ha una
immagine speculare nello specchio.
E questa è l’ultima parola sull’oggetto piccolo a sul piano topologico?
Non la è, perché Lacan va a fare altre esplorazioni che riguardano altre topologie
possibili dell’oggetto piccolo a.
Nel Seminario “ Problemi cruciali della psicoanalisi” esplora la bottiglia di Klein ed i
differenti tagli di questa bottiglia. Ora, se ci riferiamo alla bottiglia in rapporto a ciò
che abbiamo appena detto sul toro, così come è presentato nei Seminari
“L’identificazione” e nell’”Etourdit”, ebbene abbiamo con la bottiglia di Klein un
toro che fa corrispondere l’interiore all’esteriore.
In apparenza c’è un buco centrale ed un buco periferico, ma per via
dell’interpenetrazione di questo tubo su se stesso e per la sutura a livello del cerchio
di “ rebroussument”, ossia sul cerchio del cambiamento di senso, di direzione, ebbene
ciò che in apparenza è un toro che non differenzia due regioni mette invece in
comunicazione l’interiore e l’esteriore.
Con ciò possiamo pertanto dire che finalmente sulla bottiglia di Klein, il buco
dell’oggetto della domanda viene a raggiungere il buco dell’oggetto del desiderio?
Si potrebbe con la stessa logica sviluppare a proposito del toro ciò che possiamo dire
della bottiglia di Klein? Lacan non ha sviluppato questa possibile via.
M. Darmon trova che Lacan ha fatto della bottiglia di Klein la topologia dell’oggetto
voce. Effettivamente possiamo sostenere che l’oggetto voce non si sa se si situa
all’esteriore o all’interiore.
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Questo aspetto è molto interessante dal punto di vista clinico, perché potrebbe
trattarsi della topologia della perversione.
Anche nella clinica dei bambini ossessivi, ad esempio, che descrivono le ingiunzioni
che vengono dall’Altro come delle voci e se si domanda loro da dove vengono ne
danno l’indicazione.
L’accostamento tra la topologia della bottiglia di Klein con la voce, la prevalenza
della voce con la struttura perversa Lacan lo ha avanzato nei Seminari “Problemi
cruciali della psicoanalisi” e “D’un Autre a l’autre”, questione che riprenderemo più
avanti in modo più preciso.
A questo proposito ringrazio e segnalo che la collega G. Peña Alfaro si è incaricata di
fare questa ricerca che alleghiamo alla fine di questo articolo.
Nel Seminario “ I problemi cruciali della psicoanalisi”, 1964/65, c’è un breve
passaggio, dice M. Darmon, in cui Lacan descrive l’effetto del taglio fatto dalla
doppia boucle, dal doppio anello sulla bottiglia di Klein. Questo taglio produce un
oggetto che è l’ggetto piccolo a che non ha la topologia della rondella del cross-cap.
E’ un oggetto piccolo a che Lacan chiama “ residuo” e che è un pezzo, un ritaglio
sferico. Questa indicazione non la riprende, non si dilunga in merito alla particolarità
di questo specifico oggetto piccolo a che appunto non ha la struttura non-speculare
che è ciò che definisce l’oggetto piccolo a.
Perciò la rondella tagliata sul cross-cap o la rondella che viene a prendere appoggio
sulla banda di Moebius, cioè questo residuo sferico e dunque speculare, ha la
possibilità, potrebbe apparire nel campo delle nostre rappresentazioni.
A questo punto ci risulta chiaro che M. Darmon fin’ora ha accostato con straordinaria
precisione le differenti topologie permesse da una superficie a due dimensioni, per
evidenziare il modo con cui Lacan ha avvicinato e confrontato questo numero
limitato di topologie differenti di un oggetto ad una struttura clinica.
Ora la domanda è che cosa si può fare con una superficie, quale struttura si può
fabbricare con una superficie che è quella del Simbolico?
Ci sono quattro topologie possibili:
- La prima, la più semplice è la sfera che Lacan designa come oggetto orale;
- La seconda organizzazione topologica è il toro che evoca a proposito
dell’oggetto anale e del toro nevrotico;
- La terza è quella della bottiglia di Klein che accosta all’oggetto voce e che
evoca a proposito della perversione;
- La quarta è quella del cross-cap o del piano proiettivo che evoca a proposito
dell’oggetto sguardo, il quale non corrisponde ad una struttura definita. Si
tratta di una topologia fondamentale, cioè di una struttura fondamentale
dell’organizzazione del Simbolico in rapporto a se stesso.
Questi accostamenti possono sembrare sorprendenti per il loro lato massivo ed
immaginario, perché in fondo cos’è che giustifica l’accostamento dell’oggetto orale
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alla sfera, dell’oggetto anale al toro, dell’oggetto voce al toro di Klein e dell’oggetto
sguardo al cross-cap se non delle considerazioni immaginarie. Non solo, sono degli
accostamenti che fanno immagine e giustamente l’immaginario non è da escludere da
ciò che si sviluppa in queste differenti topologie. Anzi, si potrebbe dire che
l’immaginario è ciò che viene a vestire, ad abbigliare l’oggetto definito da ciascuna
topologia. Ciò che fa immagine è ciò che viene ad articolarsi con la superficie
simbolica e questa articolazione potrebbe essere presa nei termini che ogni topologia,
toro, cross-cap, bottiglia di Klein, ci dà la struttura reale del simbolico eventualmente
abbigliata da questa immagine che dà senso.
Tuttavia, ciò che è da conservare è che l’oggetto piccolo a, qualsiasi sia la sua
topologia, è meno una consistenza che un buco definito topologicamente in un modo
o in un altro.
Nel Seminario “L’Identificazione”, Lacan dice che una topologia è l’organizzazione
di un buco. Si può dire che l’ggetto piccolo a è meno l’oggetto mirato dal desiderio
che il buco che organizza la topologia che comanda il camminamento del desiderio
stesso.
Con il nodo borromeo si può dire che l’aspetto del buco è accentuato poiché nel nodo
borromeo messo a piatto con il fine di definire certe regioni e grazie alla sua messa a
piatto abbiamo finalmente a che fare con dei buchi contornati da delle consistenze.
Lacan piazza a livello del buco centrale del nodo borromeo quel buco che si trova
circoscritto dalle tre consistenze e lo nomina oggetto piccolo a.
Allora quando si disegna un oggetto piccolo a, il modo più semplice di disegnarlo è
di disegnare in primo luogo queste consistenze che attorniano questo buco centrale.
Si tracciano tre tratti nel senso levogiro attorno a questo buco centrale e così si può
dire che il nodo borromeo viene ad organizzarsi con la sua scrittura attorno a questo
buco centrale che comanda la sua topologia.
Questo buco lo si può riempire, vi si può mettere ciò che si vuole ma non sarà mai
quel che ci vuole per riempirlo perché l’oggetto piccolo a è fondamentalmente un
buco benché lo si possa immaginare o immaginarizzare come oggetto perduto o
oggetto mancante, poco importa.
L’oggetto piccolo a è un buco che va ad organizzarsi o che va ad organizzare una
certa topologia.
Constatando l’evoluzione di Lacan ci possiamo rendere conto che a partire dal
Seminario “L’Angoscia” l’oggetto cessa di essere davanti al soggetto, cioè oggetto
fenomenologico secondo la concezione spinoziana, diventa invece causa, viene
dietro. Con la topologia questo spostamento dell’oggetto come causa in quanto
oggetto perduto in realtà è ancora immaginarizzato perché non è né davanti né dietro,
questo spostamento è da articolare con il buco.
Il buco sta significare un vuoto e pertanto non è né questione di un oggetto
fenomenologico né di un oggetto causa del desiderio.
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Effettivamente il posto dell’oggetto non è ciò che è davanti, possiamo dire che è ciò
che è dietro questo abbigliamento immaginario che interviene per poter
immaginariamente significare che è perduto o non ancora trovato.
Il buco non è né la causa prima né la causa ultima, è ciò che viene a dare una struttura
topologica al Simbolico e di ciò che questo simbolico va a percorrere.
Le strutture topologiche che Lacan ha esplorato non si possono riassumere nel
tentativo di definire l’oggetto piccolo a. Il suo intento è stato di dare una base
topologica alla struttura del soggetto e questa struttura è anche determinata dalla
topologia dell’oggetto. Questa è uno dei risultati della sua lunga ricerca che ci
conduce alla pratica della “rettificazione” del “Il momento di concludere”.
Questa dimostrazione ci permette di sottolineare la continuità tra le due topologie
rispetto alla questione del buco nonostante la problematica della “positività”
dell’oggetto, perché effettivamente Lacan in partenza evoca l’oggetto come causa del
desiderio ma lo evoca a partire da una serie di oggetti positivizzati, la voce, lo
sguardo, il seno,ecc. compreso il niente.
Credo che dire che il punto phi dell’interpenetrazione delle tre dimensioni è un buco
è sicuramente un passo supplementare rispetto alla logica del fantasma nel senso che
ciò che importa non è in ciò che è questo oggetto positivizzato, nella sua materialità,
ossia il suo reale. Ciò che è in gioco di questo reale è il suo taglio. E’ il taglio che “
fa la cosa /qui fèle la Chose”, l’Autre Chose, che contorna le tre consistenze attorno
ad un vuoto.
Oppure a proposito del toro, il niente centrale, “ il niente fondamentale”che ci indica
che Lacan aveva in vista fin dall’inizio la dimensione del buco nel senso del vuoto.
E da questo punto di vista, il nodo borromeo ne rende particolarmente ben conto.
Vale a dire, il fatto che si tratti di un incastro fra tre consistenze è un modo di
presentificare il buco come tale.
Però occorre specificare che ciò che nel Seminario R.S.I. è chiamato buco andiamo
ad indicare l’intersezione fra il reale ed il simbolico, ossia il posto del reale sul
simbolico, cioè il buco del simbolico.
Ma quando Lacan evoca la questione dell’incastro in R.S.I. è al buco dell’oggetto che
abbiamo a che fare.
In effetti Lacan usa in modo differenti il termine buco:
- uno per indicare appunto il buco del reale sul simbolico, cioè il buco del
simbolico;
- uno per indicare il vero buco, il buco dell’immaginario sul reale dove iscrive il
Godimento dell’Altro;
- uno per indicare il punto di interpenetrazione delle tre consistenze, scritto petit
a al centro del nodo, il buco dell’oggetto.
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Per concludere dobbiamo ancora precisare che quando l’oggetto piccolo a è definito
come lettera, la conseguenza è che il reale prende una certa materialità che gioca con
il buco, con l’oggetto piccolo a in relazione alla Cosa – Das Ding- sul suo piano
intimo ed extimo.
Sul piano della sua intimità, da qui la differenza tra l’ extimo e l’intimo,
effettivamente l’oggetto piccolo a in quanto buco potrebbe essere questa dimensione
di inaccessibilità ancorchè nell’esperienza sia accessibile.
Dunque il confronto tra il noùmeno e l’oggetto piccolo a è relativamente giustificata,
sostiene P.C. Cathelineau, perché nell’esperienza della psicoanalisi questa
dimensione del buco è accessibile.
Nell’esperienza clinica, il buco è accessibile perché alla fine di un’ analisi riuscita c’è
qualcosa che viene ad accentuare la divisione in rapporto all’oggetto ed al di là
dell’oggetto in rapporto alla dimensione del buco. Di questo fanno esperienza gli
analizzanti e gli analisti.
Qui, questa è la questione importante per la clinica, per la cura.
Si potrebbe forse tendere verso un’equivalenza tra il buco e l’oggetto piccolo a?
Con ciò che fin’ora è stato detto, con il nodo borromeo abbiamo a che fare con
qualcosa che ritorna come necessario che è una lettera che rinvia comunque alla
questione di una nominazione. C’è comunque qualcosa da cui non si esce. Si ritorna
verso almeno una lettera che con le tre lettere rsi può essere rinominata.
Dunque solamente questa lettera, forse perché è una questione di scrittura, è ciò che
si piazza al centro del nodo e ritorna, ritorna malgrado i giri fatti?
Questa è l’ultima ed interessante questione che viene posta a M. Darmon da J.
Maucade.
M. Darmon risponde che effettivamente è una questione di scrittura, il nodo stesso è
una scrittura, ma Lacan vi iscrive un certo numero di lettere: il godimento fallico,
l’oggetto piccolo a,ecc.
Ma c’è una precisazione da fare perché c’è un salto tra la lettera come Lacan
l’abborda prima dei nodi e dopo i nodi.
Cioè, la lettera quando ne parla come “ littoral”, in Lituraterre, è la lettera
precipitazione del significante. E’ la lettera che si deposita, è la lettera versante reale
del significante che si oppone al significante versante simbolico.
Con i nodi c’è un salto, con la scrittura dei nodi abbiamo una scrittura prima, non più
precipitazione del Simbolico, ma Reale. Reale del nodo al quale viene ad
appiccicarsi il Simbolico. “ Il Simbolico doppia il reale”, troviamo ne “ Il momento
di concludere”
Pertanto nella scrittura del nodo stesso, queste lettere che vengono a piazzarsi
suppongono effettivamente una nominazione. Tutto questo per dire che c’è una
nominazione, tra le tre possibili, che ha il suo posto nel nodo e che cambia lo statuto
della scrittura.
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PROBLEMI CRUCIALI DELLA PSICOANALISI
SEMINARIO XII DEL 1964-1965
JACQUES LACAN
Ricerca svolta da Graciela Peña Alfaro
PERVERSIONE
Lezione del 3 febbraio, 1965
Mais est-­‐ce là tout ? Si ceci aboutit à négliger la fonction également radicale, la fonction à l’autre pôle de ce qui est du plus secret de ce que l’analyse nous a appris à repérer dans l’objet a. J’insiste que si l’objet a a la fonction que tout le monde sait, il est clair qu’il ne vient pas dans notre incidence de la même façon chez les différents malades. Je veux dire qu’il est exigible que, dans ce qui va suivre, je vous dise ce que c’est qu’un objet a dans la psychose, dans la perversion, dans la névrose ; et il y a toutes les chances que ce ne soit pas pareil. 16 giugno, 1965
Je ne voudrais pas vous quitter sans, quand même, avoir illustré un petit peu ce que tout ceci veut dire, parce qu’il y en a peut-­‐être qui croient que je suis loin de la clinique en vous racontant cette histoire. Il y a un certain nombre de positions subjectives bel et bien concrètes auxquelles nous avons affaire, même si nous ne nous apercevons pas que, dans le symptôme, il faut toujours chercher où est le savoir, où est le sujet, mais de ne pas aller trop vite quant à savoir à quel sexe nous avons affaire. Mais dans l’analyse, il y a l’Autre, et nous nous apercevons de la façon dont, par rapport à l’Autre, au grand A, se posent les problèmes du désir. Ce n’est pas aujourd’hui que je reviendrai sur la grande répartition de la demande, de la jouissance de l’Autre et de l’angoisse de l’Autre comme correspondant aux trois visées déterminant les versants respectifs de la névrose, de la perversion et de la psychose. (L’annexe II è tutto dedicato alla topologia e credo che potrebbe interessare molto). ANNEXE III L’OBJECT DE LA PULSION Pour Jacques Lacan le plaisir est différent de la jouissance [qui constitue ?] une transgression (Au delà du principe de plaisir et le caractère énigmatique de l’orgasme). Jusqu’où l’homme peut se supporter dans le désir, d’une façon qui a sa loi, au delà du principe de plaisir. La névrose, la perversion [sont constituées par ?] les artifices grâce à quoi l’homme fixe cette frontière du désir; le désir et la loi sont comme l’endroit et l’envers, cf. notion de masochisme primordial. Naturalisation [hédonisme = psychologisation de la sexualité], jamais on n’avait opposé réalité/plaisir]. Mais bien entendre cette réalité, c’est le désir. Le désir est de l’impossible, et c’est pour cela qu’il est réel. Le sujet du désir s’avance masqué sur la scène du monde. Vrai ressort de la subversion sociale, dont la science n’est pas par elle-­‐même le moteur. Le vrai moteur (cf. Révolution française), c’est la liberté de désirer, et c’est une réalité refoulée qui s’y soutient. OGGETTO a E VOCE 9
20 gennaio, 1965
Il y a pourtant chez ce soi-­‐disant par excellence ce que, grâce à ceux qui l’ont suivi — et sans doute n’est-­‐ce point par hasard — à ce soi-­‐disant toujours soidisant Socrate — ce qui veut dire ici exactement le contraire, à savoir qu’il ne se dit pas — il y a tout de même quelque chose… deux choses qui sont irréfragables, deux façons qui ne prêtent pas à interprétation, quant aux dires de Socrate. Le premier… la première de ces deux choses, c’est la voix. La voix dont Socrate nous témoigne assurément qu’elle n’était point une métaphore. La voix pour laquelle il s’arrêtait de parler pour entendre ce qu’elle avait à lui dire, tout comme un de nos hallucinés. Et chose curieuse, même en ce grand siècle, le XIXe de la psychopathologie, on est resté très modéré sur ce point du diagnostic, et en effet, tant qu’on n’a pas une idée vraiment adéquate de ce que ça peut être, une voix, dans quelles fonctions ça rentre au-­‐delà de son phénomène — qu’est-­‐ce que cela veut dire dans le champ subjectif ? — tant qu’on n’a pas ce qui nous permet, dans mon discours, de la formuler comme ce petit objet déchu de l’Autre, comme il y en a d’autres de ces objets, l’objet a, pour l’appeler par son nom, alors nous n’avons pas l’appareil suffisant pour situer sans imprudence la fonction de la voix dans un cas comme celui de Socrate, en effet privilégié. Et ce que nous savons aussi, c’est qu’il y a un rapport entre cet objet petit a quel qu’il soit, fondamental, et le désir. Et puis, d’autre part, concernant ce qui nous intéresse ici de tout à fait près, à savoir que Socrate, s’il est légitime de dire qu’il est ou non mortel, nous avons ceci, qui pourrait se dire rapidement, que Socrate a demandé la mort. C’est une façon brève de s’exprimer, il a aussi demandé d’être nourri au Prytanée dans le même discours, dit Apologie de Socrate121, et bien sûr vous m’épargnerez, comme aussi je vous ai demandé tout à l’heure de m’épargner d’autres détours, de vous faire ici la lecture de l’Apologie de Socrate et du Phédon122, et peut-­‐être aussi de cette stupéfiante rencontre avec ce curé, qui s’appelle Euthyphron123, qu’il a eue justement la veille et auquel naturellement personne n’a jamais vraiment accentué ce que ça voulait dire, que Platon lui fasse faire la veille cette rencontre, ni non plus comment il se fait que Platon, qui était tout de même à ce moment-­‐là de ses disciples, n’ait justement pas été là, ni au procès, ni au moment de l’entretien dernier, de l’entretien avant la mort. Peut-­‐être que toute l’oeuvre de Platon n’est faite que pour couvrir cette carence. La demande d’être nourri au Prytanée,
3 febbraio, 1965
Alors ? Ce dont il s’agit dans le rappel que j’ai fait ici de ce petit schéma, c’est de montrer que la fonction et le rapport qu’il y a entre cette fleur, comme je l’ai appelée tout à l’heure, ici désignée par a, et qui est effectivement ce que nous appelons l’objet a, cette fleur n’a pas, dans cette expérience et par rapport au miroir, n’a pas la même fonction, n’est pas homogène à ce qui vient jouer autour d’elle comme repère, à savoir l’image du corps et le moi. Je peux même ajouter, pour ceux qui ont déjà suivi là-­‐dessus mes développements lors du séminaire sur l’identification, que, à cette seule condition de faire intervenir un autre registre, celui de la topologie. On peut dire, mais évidemment c’est une métaphore, n’étant là qu’une métaphore, plus spécialement la métaphore de cette petite expérience physique, ne cherchez pas alors là à l’y faire rentrer. De toutes façons, malgré que Freud ait lui-­‐même utilisé des schémas en somme tout à fait 10
semblables, vous ne pouvez en aucun cas y apporter plus de réalité que nous ne le faisons ici nous-­‐mêmes.
3 febbraio, 1965
Alors ? Ce dont il s’agit dans le rappel que j’ai fait ici de ce petit schéma, c’est de montrer que la fonction et le rapport qu’il y a entre cette fleur, comme je l’ai appelée tout à l’heure, ici désignée par a, et qui est effectivement ce que nous appelons l’objet a, cette fleur n’a pas, dans cette expérience et par rapport au miroir, n’a pas la même fonction, n’est pas homogène à ce qui vient jouer autour d’elle comme repère, à savoir l’image du corps et le moi. Je peux même ajouter, pour ceux qui ont déjà suivi là-­‐dessus mes développements lors du séminaire sur l’identification, que, à cette seule condition de faire intervenir un autre registre, celui de la topologie. On peut dire, mais évidemment c’est une métaphore, n’étant là qu’une métaphore, plus spécialement la métaphore de cette petite expérience physique, ne cherchez pas alors là à l’y faire rentrer. De toutes façons, malgré que Freud ait lui-­‐même utilisé des schémas en somme tout à fait semblables, vous ne pouvez en aucun cas y apporter plus de réalité que nous ne le faisons ici nous-­‐mêmes. VOCE
10 marzo, 1965
La vérité vient de l’illuminer, c’est ce mot qui est la clé de tout. Moyennant quoi, un autre, d’aspect plus maussade nous dit Dostoïevski, répète plusieurs fois à voix basse ce mot comme pour dire que, de toute façon, il convient de ne pas perdre la tête. Ce qui donne quelque chose d’à peu près ceci : «1. – Merde! 2. – merde? 3. – MERDE! 2. – merde! ? 4. – MERDE! 5. – merde, merde? merde… merde…. »
17 marzo, 1965
Je pense que la diversité, la variété de ce petit a, si tant est que la liste que je vous en ai faite ici, non pas déborde, mais assurément articule d’une façon différente leur ampleur, sans pour autant, du tout, aller dans le sens de ne pas retenir les réductions majeures auxquelles l’expérience analytique, ces objets a, les soumet. La prévalence de l’objet oral, si tant est qu’il est appelé communément le sein ; de l’objet fécal, d’autre part, si nous le mettons sur le même tableau ou le même pourtour que celui où se situent deux de ces objets, articulés sans doute dans l’expérience analytique mais de façon infiniment moins assurée quant à leur statut que nous le faisons, à savoir le regard et la voix, il faut que nous nous interrogions comment… que nous nous interrogions sur le fait de savoir comment 11
l’expérience analytique peut y trouver le statut fondamental de ce à quoi elle a affaire dans la demande du sujet. 17 marzo, 1965 (MOLTO INTERESSANTE) Cette image où la voix se distingue de toute voix modulante, car dans le cri, ce qui le fait différent, même de toutes formes les plus réduites du langage, c’est la simplicité, la réduction de l’appareil mis en cause, ici le larynx n’est plus que syrinx. L’implosion, l’explosion, la coupure manquent ; ce cri, là, peut-­‐être nous donne l’assurance de ce quelque chose où le sujet n’apparaît plus que comme signifié… mais dans quoi ? Justement, dans cette béance ouverte qui ici, anony-­‐ me, cosmique, tout de même marquée dans un coin de deux présences humaines absentes, se manifeste comme la structure de l’Autre, et d’autant plus décisivement que le peintre l’a choisie divisée en forme de reflet nous indiquant bien, dans ce quelque chose, une forme fondamentale qui est celle que nous retrouvons dans l’affrontement, l’accolement, la suture de tout ce qui s’affirme, dans le monde, comme organisé. C’est pourquoi, quand il s’agit, dans l’analyse — où le mot court, et dont on fait un usage approximatif — de silence… Silence and verbalization42, excellent article écrit par le fils de Wilhelm Fließ, le compagnon de l’autoanalyse de Freud, Robert Fließ donc. Assurément Robert Fließ dénomme d’une façon correcte ce qu’il en est du silence dans ce qu’il nous explique. Ce silence, c’est le lieu même où apparaît le tissu sur quoi se déroule le message du sujet, et là où le rien d’imprimé laisse apparaître ce qu’il en est de cette parole. Et ce qu’il en est, c’est précisément, à ce niveau, son équivalence avec une certaine fonction de l’objet a. C’est en fonction de l’objet d’excrétion, de l’objet urinaire ou fécal, par exemple, du rapport à l’objet oral, que Fließ nous apprend à distinguer la valeur d’un silence ; par la façon dont le sujet y entre, le fait durer, s’y soutient, en sort, il nous apprend la qualité de ce silence. Il est clair qu’il est indiscernable de la fonction même de la verbalisation. Ce n’est nullement en fonction de quelque défense, de quelque prédominance des appareils du moi qu’il est apprécié. C’est au niveau de la qualité la plus fondamentale qui manifeste la présence instante dans le jeu de la parole, de ce qui est indistinguable de la pulsion. D’un analyste de souche ancienne et de grande classe sans doute, ce travail, cette référence est assurément d’un grand prix, montrant comment les voies d’une certaine aperception de ce qu’il en est de la présence érotique du sujet est quelque chose sur quoi nous sommes en droit de faire fond, et qui est fort éclairant 12