Il Giornale che si Guarda

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Il Giornale che si Guarda
Luca Rubinato
matr. 398276/sc
Elaborato per il corso
di
Teorie e Tecniche del Linguaggio Giornalistico
Il Giornale che si Guarda
1− Introduzione
A partire dagli anni cinquanta, un fenomeno assolutamente centrale nel mondo del giornalismo è stato e continua ad
essere il rapporto fra la carta stampata ed il mondo della televisione, dove la televisione può mostrare con più rapidità ma
soprattutto con più efficacia ciò che la parola può soltanto evocare.
Scopo di queste mie brevi analisi è indagare, per quanto concessomi dai tempi e dai modi di questo elaborato, tale
rapporto. A questo scopo ho selezionato tre articoli di cronaca, in particolare i tre articoli vincitori del premio Pulitzer per
il miglior reportage nel campo delle Breaking News, negli anni 1998, 1999, 2000.
La scelta della cronaca non è casuale. Se esiste un campo, dal punto di vista giornalistico, che ha avuto una forte spinta
con l’avvento della televisione è sicuramente la cronaca, dove il potere delle immagini, più che in altri settori, rende le
storie degne di essere narrate. Ma c’è naturalmente di più: “la televisione invita alla drammatizzazione, nel doppio senso
del termine: mette in scena un evento e ne amplifica il carattere tragico” (Bordieu, 1996) e ancora “più un organo di
stampa qualsiasi vuole raggiungere un pubblico vasto, più deve lasciar cadere ogni asperità, […] più deve sforzarsi di
sollevare solo problemi senza storia”.
Ora, quale settore si presta maggiormente alla drammatizzazione, nel doppio senso del termine proposto da Bordieu, della
cronaca? La possibilità, anche per il giornalismo scritto, è quella di mettere in scena, narrare minuto per minuto i fatti,
inseguendo in questo modo il fluire delle immagini televisive, ed allo stesso tempo soffermarsi di più sulle voci, dove i
volti non sono disponibili, sui dettagli che la cinepresa, pur vorace, può lasciarsi sfuggire, nel tentativo di inseguire
l’emotività del lettore.
Ed ancora: problemi senza storia, problemi al di fuori di un fluire storico e al di là di ogni reale complessità. La cronaca
in TV passa bene perché come la TV riguarda tutti senza riguardare nessuno, solleva indignazione sempre legittima e
condivisibile. E spesso la carta stampata si mette all’inseguimento.
Quello che voglio fare è esaminare, per quanto sommariamente, questi tre articoli per cercare di indagare questi
fenomeni, per cercare di capire se e come c’è un’influenza da parte degli stili e della gestione dell’avvenimento propri
della tv. Chiedermi, in ultima analisi, se lo scopo finale è informare o emozionare, far riflettere o farsi guardare.
La stampa ha ora di fronte una sfida ed una possibilità, talmente intrecciate da non essere distinguibili: quale idea di
giornalismo passerà in rete? Basterà davvero solo un “bollino” per separare il buon giornalismo da quello cattivo? Io
credo sia necessaria una riflessione diversa per arrivare a decidere che parola arriverà in rete, che scopo il giornalismo
inseguirà in quel mare così vasto ed agitato che è il World Wide Web. Se è vero che ognuno potrà dire la sua, potrà
acquisire visibilità, sarà sempre più vero che la visibilità diventerà qualcosa da guadagnare e difendere con i denti e in
questo senso scegliere l’emozione o l’informazione come fulcro del proprio lavoro marcherà una differenza.
Due precisazioni
Per come io l’ho vissuto, il corso di T. e T. del Linguaggio Giornalistico è stato una riflessione sulle problematiche del
giornalismo più spigolose (editori e redazioni, pubblicità e giornalisti, ecc.), una riflessione che è andata oltre l’aspetto
teorico per scendere decisamente nel concreto, in quella varietà che solo la concretezza può mettere in gioco.
Pensandoci mi sono reso conto che questa tesina esula un po’ dai confini stabiliti, portandosi in un campo che è quello, se
vogliamo, dello stile, delle scelte non imposte e, in una qualche misura, non controllabili. Sono però convinto che, pur
nella sua parzialità, questo lavoro meriti di essere svolto per due distinti motivi. Innanzitutto perché indagare il rapporto,
definito centrale anche durante il corso, tra televisione e carta stampata significa interrogarsi su stili e forme di
organizzazione dell’avvenimento ed in secondo luogo perché se l’insieme di questi elaborati è destinato a restare, credo
possa essere interessante che resti un lavoro come questo, con i suoi limiti e le sue incertezze ma anche con l’apertura ad
una dimensione diversa.
Per concludere questa breve introduzione voglio solo dire che anche se i dati presi in esame sono pochi e scarsamente
rappresentativi, li ritengo comunque interessanti visto che il premio Pulitzer nella categoria “Breaking News Reporting” è
assegnato da una giuria composta da cinque tra scrittori, editori, redattori e professori nelle scuole di giornalismo. Si
tratta quindi di lavori che hanno superato il vaglio di una giuria di “pari” e che come tali rappresentano in una certa
misura ciò che oggi, nel campo specifico della cronaca, è considerato buon giornalismo.
1
2−Il Pulitzer
Descrivendo gli scopi del premio, Joseph Pulitzer nel 1904 spiegò di volere che questo fosse “an incentive to excellence”.
Stabilì solo 4 categorie nel giornalismo ma previde appositi meccanismi perché queste categorie potessero essere
ampliate e mutate nel tempo.
Dalla prima edizione del 1917, 6 anni dopo la morte di Pulitzer, attraverso gli anni, il premio si è allargato ad includere,
per esempio, la fotografia e la musica, fino ad arrivare a 21 categorie che comprendono, tra l’altro, il premio per il
miglior reportage investigativo, per il miglior editoriale, ecc.
Tra queste categorie, dal 1998, è presente anche il premio “for a distinguished example of local reporting of breaking
news” negli anni vinto rispettivamente dal Los Angeles Times, dal The Hartford Courant e dal Denver Post.
Le giurie per le categorie giornalistiche sono composte da cinque membri scelti tra editori, redattori, scrittori, e
professori.
3−Le analisi
Nell’analizzare i tre reportage non seguirò un criterio cronologico preferendo invece mettere in sequenza questi lavori
secondo la loro rilevanza riguardo al tema trattato.
Innanzitutto bisogna specificare che ci troviamo di fronte a tre giornali profondamente differenti e che, anche se il premio
parla di “local reporting”, in un caso abbiamo a che fare con un grande giornale come il Los Angeles Times, mentre negli
altri due casi ci troviamo di fronte ad un giornale dalla vocazione spiccatamente localistica come il The Hartford Courant
e ad un giornale che, nella mia percezione, si colloca a metà strada tra gli altri due e cioè il Denver Post. Queste
differenze saranno abbastanza evidenti nell’analisi così come lo sono nel momento della lettura.
In secondo luogo la drammaticità dei fatti narrati in tutti e tre i reportage va tenuta in considerazione: è chiaro che nel
parlare di una strage un certo grado di coinvolgimento è inevitabile, tanto maggiore quanto più vicino è il giornale ai fatti,
non solo in senso fisico ma nel senso più lato del condividere un dato contesto con lettori e vittime.
Brevemente i fatti
In allegato a questa tesina ci sono i testi integrali dei reportage così come è stato possibile ottenerli dal sito del premio
Pulitzer. Faccio comunque, per comodità, un breve accenno ai fatti attorno a cui i reportage si sviluppano, senza nessuna
pretesa di completezza:
1998− Los Angeles, due rapinatori pesantemente armati assalgono una banca prendendo in ostaggio i clienti. Raggiunti
dalla polizia ingaggiano un violentissimo scontro a fuoco nelle strade adiacenti alla banca, finendo entrambi uccisi. Gli
elicotteri di diverse televisioni riprendono l’accaduto ed in particolar modo il salvataggio di un poliziotto ferito da parte
dei suoi colleghi.
Riportato dal Los Angeles Times
1999− Newington, un impiegato della sede centrale della lotteria del Connecticut, con gravi problemi nella vita privata e
sul lavoro, uccide 4 suoi superiori prima di suicidarsi all’arrivo della polizia. Tra le vittime vi sono due personalità locali
e cioè il presidente della lotteria ed un ex−sindaco.
Riportato dal The Hartford Courant
2000− Due studenti della Columbine School di South Jefferson County compiono una strage uccidendo venticinque tra
studenti e professori prima di suicidarsi. I due risultano affiliati ad un gruppo di studenti chiamato Trench Coat Mafia che
sembra subire la fascinazione del nazismo e del satanismo.
Riportato dal Denver Post
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Cominciamo
Dapprima analizzerò il reportage sul massacro della Columbine (2000) che ai fini di questo elaborato è il più significativo
e permette di estrapolare in maniera chiara alcune tendenze che sarà poi interessante confrontare con gli altri due
reportage.
Passerò poi alla rapina in quel di Los Angeles (1999), che mostra altri aspetti del problema, in qualche modo
complementari alle tendenze che cercherò di illustrare a partire dalla strage della Columbine.
Infine i fatti della lotteria del Connecticut (1998), la cui trattazione si differenzia in maniera sensibile anche per il
carattere spiccatamente locale del giornale in questione.
A−Il massacro della Columbine
Coperto dal Denver Post, attraverso 13 giornalisti che, in tre giorni (il massacro avviene il 20, gli articoli sono del 21, del
22 e del 26), producono i seguenti 10 articoli:
21 Aprile
1. “High School Massacre”
Primo resoconto dell’avvenimento, con i fatti principali, la cronologia, alcune testimonianze (12000*)
2. “Panic Yields to Relief For Lucky”
I fatti come vissuti dai genitori dei ragazzi imprigionati nella scuola (6000)
3. “Teens are Stunned Witnesses to Cold−Blooded Terror”
Lista di testimonianze di studenti (5500)
4. “Shooter Told Friend:’Get Out of Here’”
La testimonianza di un amico di uno degli assassini (4100)
5. “Carnage Puts Spotlight on Trench Coat Mafia”
La Trench Coat Mafia a cui i due ragazzi appartenevano (7500)
22 Aprile
6. “Healing Begins”
Nuovo resoconto dell’avvenimento con maggiore approfondimento e nuove testimonianze (10700)
7. “A Diary of Devastation”
Un articolo di carattere più “letterario” che torna nuovamente sui fatti (12400)
8. “World of Darkness”
Un semi−editoriale (mi si passi l’espressione) su come due ragazzi benestanti possano aver commesso un tale crimine
(6700)
9. “I Cried and Cried… Now I’m Dry of Tears”
Le vittime: testimonianze di parenti ed amici (19800)
26 Aprile
10. “Tears From Heaven: Crowd, Tears Overflow at Service”
Il funerale (7500)
*Caratteri (spazi inclusi)
Come si vede una trattazione ampia da cui, secondo la mia analisi, emergono in maniera netta due fenomeni:
1. Narrazione molto televisiva, una cronaca dei fatti quasi minuto per minuto con la volontà di mantenere la
“camera” ad altezza ginocchia;
2. Una forte drammatizzazione della vicenda che passa principalmente attraverso la caratterizzazione dei
personaggi (buoni−studenti−vittime Vs cattivi−assasini).
Entrerò ora nello specifico argomentando queste mie due affermazioni, trattando lo stile, i punti di vista, l’uso delle fonti
e delle loro dichiarazioni, ecc.
3
Narrazione e drammatizzazione
In prima istanza può risultare utile raggruppare gli articoli secondo la loro funzione nell’economia informativa dell’intero
reportage. Usando questo criterio, possiamo raggruppare gli articoli 1, 2, 3 e 4 che danno una prima visione d’insieme dei
fatti, fornendo una griglia di comprensione in cui è prevedibile verranno inserite le successive informazioni.
Gli articoli 5 e 8 si proiettano invece “all’esterno”, essendo articoli che tentano di costruire un contesto all’intera vicenda,
concentrandosi sugli assassini.
Gli articoli 6 e 7, che appartengono entrambi al 2° giorno di copertura, hanno una maggiore libertà,essendo già stata
fornita una versione dei fatti sufficientemente esaustiva. Ecco allora che il 6° fa il punto della situazione e raccoglie
integrandole tutte le informazioni già disponibili, mentre il 7° gioca maggiormente sul terreno letterario, rievocando
ancora una volta i fatti.
Infine, gli articoli 9 e 10 chiudono la trattazione soffermandosi, in maniera diversa, sulle vittime.
L’influenza televisiva nella prima ricognizione dell’avvenimento (articoli 1, 2, 3 e 4) è evidente. Evidente nel modo in cui
il punto di vista si muove all’interno della scuola: la preoccupazione sembra spesso essere più sul rendere un’atmosfera
che sul dare informazioni, utilizzando l’abilità di chi scrive nel “disegnare” le situazioni e soprattutto utilizzando le
dichiarazioni dei sopravvissuti. La narrazione richiama il fluire della diretta, evocando di continuo immagini ben precise
(la ragazza nascosta che guarda gli anfibi del killer, il professore morente che dedica le ultime parole alla figlia, ecc.) che
spesso, per assurdo che possa sembrare, sanno di già visto. In TV, naturalmente.
Il primo articolo fa un uso massiccio di dichiarazioni di fonti di secondo livello, come è d’altra parte normale. Se però in
una prima parte queste dichiarazioni vengono utilizzate per illustrare lo svolgimento dei fatti, in una seconda parte,
servono più ad illuminare momenti particolarmente drammatici della vicenda senza che questo contribuisca a chiarire
l’avvenuto. L’effetto è quello di un montaggio serrato, una giustapposizione di momenti forti che, a tratti, porta quasi a
perdere il filo.
Per esempio, “[…]Once when they shot a black kid, one of them said,”Oh my God, look at this black’s kid brain!
Awesome, man!’, dichiarazione di un quindicenne. Questa affermazione non veicola alcuna informazione ulteriore
rispetto a quanto era già stato detto fino a quel momento e l’unica utilità manifesta è la sua capacità di shockare.
Per Papuzzi, le dichiarazioni delle fonti di secondo livello andrebbero sempre verificate (tanto più se si tratta di ragazzini
di quindici anni sfuggiti ad un massacro…) ed è necessario ricordare che tali fonti ottengono legittimazione solo per il
fatto di venir citate. L’uso sistematico che si fa di dichiarazioni di questo tono evidenzia quindi la volontà di
drammatizzazione anche a scapito della correttezza. Inoltre, questo “montaggio”, che diverrà più evidente in seguito
(soprattutto negli articoli 2 e 3), ha una carattere molto visivo. Il punto di vista, se proviamo ad immaginarlo come una
cinepresa, resta sempre ad altezza ginocchia, dentro la scuola, tra gli studenti, a tutto favore della drammaticità piuttosto
che dell’informazione. Leggiamo questo passaggio tratto dal secondo articolo sui genitori degli studenti imprigionati:
“Fanned out across the Denver metro area at work and in their cars, they heard the first sketchy rumors.
“Trouble at Columbine.
“Gunshots.
“Suddenly, existence boiled down to what matters most. And strange kids in trenchcoats were threatening to yank it
away.”
E ancora:
“Please she thought as she ran for the television in the office, don’t let my daughter have been shot.
“[…] Helpless, Debbie Jones prayed. She wanted to leave. She told herself not to. She trusted and trusted that her girl
Jessica would call if she could.”
L’intero articolo prosegue su questo tono senza aggiungere praticamente nessuna informazione rilevante. A me ha
ricordato le interviste televisive ai genitori dei ragazzi uccisi: la stessa volontà di catturare un’emozione, così evidente
nella struttura dei passi citati. Si tratta di una narrazione che ci chiede di visualizzare quanto ci viene raccontato: i
genitori in macchina, a cui arriva la terribile notizia e che d’improvviso si trovano strappati dalla routine e gettati
nell’angoscia.
Bisogna ricordarsi che questo è il secondo articolo, ancora facente parte di quella prima serie che dovrebbe darci una
panoramica d’insieme della situazione. Se a questo aggiungiamo il terzo che altro non è se non un collage di dichiarazioni
di studenti, scarsamente informative ma dal grande potenziale drammatico, otteniamo un quadro abbastanza chiaro.
Un’altra cosa, “strange kids in trenchcoats”. Di tutti gli studenti di cui sono riportate le dichiarazioni vengono citati il
nome, l’età e la situazione scolastica (junior, sophomore, ecc.) ma, al contrario, non solo nelle dichiarazioni virgolettate, i
due assassini non sono quasi mai chiamati per nome, essendo di volta in volta shooter, gunmen o semplicemente
trenchcoat. Questo spersonalizza i due assassini, Klebold e Harris, e rende allo stesso tempo drammaticamente concrete
le vittime. Molto usata è anche la costruzione passiva, a tutto favore del punto di vista delle vittime: was shooted, were
killed, ecc.
Negli articoli 5 e 6 che si rivolgono, come detto precedentemente, ad un pubblico già informato, gli aspetti di
drammatizzazione sono ancora più spinti ma non ritengo necessario soffermarmi ancora su questo punto.
Analizziamo ora brevemente gli articoli 5 e 8, cominciando dal 5° che si concentra sulla Trench Coat Mafia. Anche qui
dichiarazioni di studenti che descrivono i due assassini come “really creepy”, “really wired”, “known for drugs and that
kind of stuff”, “into the gothic look”. A queste si aggiungono le dichiarazioni di due esperti, un professore di religione
della Columbine ed un sergente della polizia. A proposito di quest’ultimo, il Sgt. Williams, c’è qualcosa di interessante da
notare: le sue dichiarazioni riguardano esclusivamente le caratteristiche del movimento goth ed occupano ben 9 paragrafi.
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Solo nel decimo veniamo a sapere che la giurisdizione di Williams non include la Columbine, che lui non conosceva la
Trench Coat Mafia e che non ritiene sia il caso di far rientrare questo gruppo nel movimento goth visto che è ancora
presto per poter fare affermazioni del genere. Non solo, uno dei rari casi di informazione non accreditata ad una fonte è
sempre in questo articolo quando si dice che questo gruppo (“goth or not”) avrebbe incluso (“is said to have included”) un
altro omicida suicida, protagonista di un vecchio episodio. Sul caso non vengono date altre informazioni, così come viene
semplicemente citato il caso di altri due ragazzi appartenenti al movimento goth che hanno compiuto un omicidio tre anni
prima, senza che esista tra questi e Klebold e Harris (i due assassini) alcun collegamento.
Il quadro dei due assassini e del loro gruppo che esce dall’insieme di questi articoli risulta a mio avviso stereotipato ed
incompleto. Innanzitutto né i genitori dei due, né gli altri appartenenti alla Trench Coat Mafia vengono intervistati. IL
preside che ammette di non aver mai saputo dell’esistenza di questo gruppo (di cui esiste però una foto nell’albo della
scuola) si rende irreperibile e la vicenda viene lasciata cadere. Niente viene detto sulla vita dei due al di fuori della
scuola, se non che vivevano in una situazione agiata. Al di là di queste manchevolezze, pur gravi a mio avviso, lo sforzo
che si nota in tutto il reportage è di caratterizzazione dei due assassini. Klebold e Harris vengono disegnati a tinte forti,
come satanisti, razzisti, nazisti, drogati, ecc. senza porre al vaglio le dichiarazioni, e senza sforzarsi di andare oltre gli
aspetti di più facile presa. Le affermazioni degli psicologi, degli studiosi, riportate nell’articolo numero 8 sono messe lì
senza un adeguato contorno e sembrano più il frutto dell’espletamento di un dovere che di una effettiva volontà di
conoscenza. Al di fuori degli stereotipi che vengono costruiti ad hoc fin dai primi articoli, non c’è nessuno sforzo di reale
approfondimento. Sfido chiunque a dire che si è fatto un quadro chiaro di chi fossero i due (di 17 e 18 anni, è bene
ricordarlo) dopo la lettura dell’intero reportage.
Non altrettanto può essere invece detto delle vittime: si veda l’articolo numero 9 che è il più corposo fra tutti e che altro
non è se non un collage della vita di diverse vittime. Interessante notare che qui si parla finalmente di un’affiliata alla
Trench Coat Mafia: una ragazza che ha lasciato il gruppo per convertirsi alla chiesa dei Cristiani Rinati, “she went from
nihilism to born−again, to missing.” E’ in buona compagnia, assieme a ragazzini miracolosamente guariti solo per correre
nelle braccia della tragedia, a futuri campioni, a studenti di ottime speranze, ecc. Il campionario delle figure simbolo
della sana gioventù americana c’è tutto.
D’altra parte proprio nel far passare una visione così semplicistica della realtà si delinea una situazione non−conflittuale:
non c’è modo, se si accetta la visione che esce dal reportage, di polemizzare, si ha semplicemente di fronte il bene contro
il male. Qualsiasi possibile fonte di contrapposizione viene spinta fuori dalla trattazione: nulla viene detto su come due
ragazzini abbiano potuto procurarsi armi automatiche ed esplosivi in gran quantità. Nulla viene detto su possibili cause
scatenanti: in più punti viene ricordato che i due, assieme ai loro compagni della Trench Coat Mafia, erano vittime di
scherzi e sfottò da parte degli altri alunni ma non ci si pone il problema di chiarire la natura di questi scherzi.
Dell’approfondimento di cui un giornale dovrebbe fregiarsi per poter marcare una differenza forte, una differenza in
grado di produrre vantaggio rispetto alla televisione, non c’è sinceramente traccia. Ciò su cui si punta è l’emotività, i
dettagli di facile presa, la semplificazione ed una narrazione accattivante. Credo che l’influenza della cronaca televisiva
sull’intera impostazione di questo reportage sia evidente.
5
B−La rapina di Los Angeles
Coperto dal Los Angeles Times attraverso 11 giornalisti che, in una sola giornata, producono i seguenti 7 articoli :
1 Marzo
1.
“Gunfire, Hostages and Terror”
Articolo principale diviso in tre parti con la cronaca dei fatti (9600*)
“Officers Face Barrage of Bullets to Take Comrades Out of Line of Fire”
L’azione dei poliziotti, il loro eroismo ed i feriti (7300)
“In the Bank, a ‘Huge Monster in Black’ Yelled ‘Hit the Floor!’”
L’azione all’interno della banca, da clienti ad ostaggi (5100)
“A Neighborhood Under Siege: ‘Don’t Come Out! Don’t Come Out!’”
I vicini (4900)
“Officials Fear TV Could Show Too Much, Too Soon”
La televisione sul posto (5500)
“Pressure to Increase Bank Safety Seen Rising”
La sicurezza nelle banche (3000)
“Pulp Reality in L.A.”
Come è possibile?− un editoriale (5000)
2.
3.
4.
5.
6.
7.
(*Caratteri, spazi inclusi)
Questo secondo reportage permette di portare in luce altri aspetti del rapporto tra giornalismo televisivo e giornalismo
scritto. I tratti salienti evidenziati nella precedente trattazione, caratterizzazione e drammatizzazione, qui sono meno
presenti, vista anche la natura molto diversa dell’avvenimento.Per esempio, per quanto riguarda la caratterizzazione,
bisogna tener presente che l’identità dei due rapinatori non è stata comunicata, che i due hanno agito mascherati,
pesantemente armati e dotati di una blindatura sufficiente a proteggerli dall’attacco di un vero e proprio esercito di
poliziotti. Sono fin dall’inizio due “huge monsters in black” e non un timido impiegato o due ragazzini e non risulta
quindi necessario caratterizzarli ulteriormente.
Ciò nonostante l’elemento della drammatizzazione è presente ed esce prevalentemente in quegli articoli che trattano la
vicenda dal punto di vista dei poliziotti, si veda a questo proposito il lead del secondo articolo.
L’elemento saliente è però visibile riflettendo sull’organizzazione interna del reportage: al centro della trattazione che
dell’avvenimento viene fatta, più che la rapina di per sé, vi è la televisione. Il fulcro attorno a cui tutto si muove è una
sequenza passata in diretta TV: un poliziotto ferito eroicamente salvato dai suoi compagni. Non solo questo singolo
episodio (con la sua copertura) è citato diverse volte ma la struttura stessa del reportage è costruita attorno a questo. Se
leggiamo il lead del primo articolo (“In Warlike pursuit captured on live TV,[…]”) notiamo che questo non tratta di una
rapina finita male ma ci introduce invece la tremenda sparatoria che ne è seguita; per sapere degli ostaggi nella banca
dobbiamo aspettare la seconda parte dell’articolo (“Masked Gunmen Storm Bank”), mentre l’episodio da me
precedentemente citato arriva quasi subito (“In one of countless dramas videotaped by news helicopters one of the
wounded officers was rescued from the bank parking lot by three colleagues […]”).
Se osserviamo l’insieme del reportage possiamo vedere chiaramente il focus muoversi attorno a questo episodio:
a−Si parte dal parcheggio e si da una prima panoramica dei fatti per poi tornare sull’azione principale ed andarne a
cogliere i singoli protagonisti (articoli 1 e 2);
b−Ci si sposta all’interno della banca (gli ostaggi) e nei dintorni (i vicini): ambo le situazioni sono poste in relazione con
lo scontro a fuoco (articoli 3 e 4)
c−Si parla della televisione e del suo rapporto con i poliziotti (articolo 5)
Ora, indubbiamente lo scontro nel parcheggio e per le strade è notizia di per se, ma questo avvenimento non viene trattato
da solo ma sempre in relazione con la sua copertura televisiva. Anche l’organizzazione appena illustrata cosa altro è se
non un “allargare l’inquadratura”? Si parte da ciò che la gente ha già visto e conosciuto e ci si muove all’indietro, a
comprendere ciò che la gente non ha ancora visto.
6
As seen on television
“A fallen policeman sat in a parking lot in a pool of his own blood. Bullets from a brazen gunman whirred crakled across
asphalt, glass and earth. Police officers, with their small sidearms, seemed hopelessly outmatched and unable to rescue
their colleague. […]” Comincia così il secondo articolo, riportando davanti agli occhi del lettore ciò che ha gustato in
televisione la sera prima. L’articolo continua, facendo sviluppare l’intera azione, fino all’eroico salvataggio.
Personalmente mi sono venute in mente le considerazioni di Roidi sulle partite di calcio in tv e le cronache del giorno
dopo sui giornali…
Dopo aver costruito questo focus, l’articolo si muove all’indietro, andando a pescare i tanti poliziotti che quella mattina
hanno svolto il loro dovere. Ancora una volta in maniera circolare, mettendo in gioco armi che la tv non può avere, il
giornalista colloca i protagonisti di quell’azione nel tempo, raccontandoci le loro singole avventure, gli intrecci. Qui poi
il riferimento alla cronaca televisiva si sovrappone al tema dell’eroismo, molto presente in questo articolo e nell’intero
reportage.
Spesso citato è il video di Rodney King come se, riprendendo le eroiche gesta dei poliziotti, la tv avesse offerto loro un
risarcimento per il danno prodotto con quel video. Interessante notare come ambo gli episodi non riescano ad essere
percepiti senza il loro essere televisivi.
“For the L.A.P.D., the unforgiving eye of the video camera has not always been kind. There are the unforgettable images
of a prone Rodney G. King being beaten […].
“But on this day, the images were of swift and decisive police […].”
Ho trovato questo articolo molto significativo: nel leggerlo si ha la forte impressione che il giornalista abbia fatto voto di
dare un nome ed una storia a quanti sono stati toccati dalla video camera quel giorno, fornendo loro l’occasione di
sfruttare appieno quanto accaduto, raccontando il loro eroismo troppo spesso, sembra dire, off−line.
Nel parlare degli ostaggi, ancora una volta questa caratteristica è evidente: “As the eyes of the nation watched the drama
unfold on television screens, tucked away from view were these men, women and children […]”.
Per concludere bisogna notare come due degli ultimi tre articoli siano specificatamente dedicati alla televisione, al punto
da far scivolare in secondo piano i fatti veri e propri (il terzo invece riguarda la richiesta di maggior sicurezza nelle
banche). Il quinto articolo s’interroga sui problemi derivanti dalla diretta televisiva di operazioni come questa e sul senso
di responsabilità dei reporter ma è l’ottavo ed ultimo articolo, un editoriale, a risultare davvero interessante.
Lasciatemi riportare alcune dichiarazioni precedenti:
“These are very organized, brutal bank robbery suspects. They’re killers”
“He said the robbers in those earlier heists used high−powered weapons, fired rounds in the bank and operated with
military−like precision.”
Il quadro dei due rapinatori che esce dall’insieme della trattazione è quello di due professionisti che hanno forse alle
spalle altre rapine, preparati ed armati al punto da fronteggiare, mettendo in difficoltà, un intero esercito di poliziotti
Fatte queste precisazioni, non è ben chiaro cosa c’entri un articolo sugli effetti nefasti della violenza in tv. Prendendo
come spunto il caso di un uomo che, mentre guardava i fatti in tv, si è trovato uno dei rapinatori praticamente in casa, il
giornalista conclude dandoci questa lezione ”There’s a simplistic, but powerful lesson […]: all these guns, all this movie
and television violence, makes victims[…].” Sinceramente ho trovato questo articolo assolutamente sbilanciato rispetto al
resto. Chi scrive, pur ammettendo che in questo caso sarebbe semplicistico attribuire alla televisione quanto è accaduto
(bontà sua!), ci ricorda comunque che un gran numero di persone sono influenzate da questi spettacoli.
Forse i due rapinatori avrebbero intrapreso un’altra carriera senza Willye il Coyote?
La conclusione a cui giunge il giornalista non riguarda però né la violenza in TV, né la facilità d’accesso alle armi negli
USA. Il giornalista conclude affermando che ai poliziotti servono armi più grosse…
Dopo aver accettato senza remore l’organizzazione televisiva, dopo averla utilizzata come cardine della trattazione,
offrendo al lettore non i fatti “puri” ma i fatti già trattati e pre−digeriti dalla TV, ci si indigna e si punta il dito invitando
tutti (tranne se stessi, evidentemente) a riflettere.
Nell’insieme di questi articoli non c’è poca violenza, ma al contrario ce ne è molta e molto più gratuita visto che sembra
messa lì per non prendere un buco nei confronti della tv: insomma, loro avevano un uomo stordito seduto nel suo stesso
sangue, e noi? Ciò che descrivono con dovizia di particolari è già stato visto,quindi perché tornaci ancora ed ancora?
Senza contare che spesso le prime vittime della violenza in tv sono proprio i giornali. Questo correre dietro alla cronaca
minuto per minuto, questo tuffarsi nei fatti al punto da volerli distendere e stirare fino a dare rilevanza ad ogni singolo
gesto, è già segno di sudditanza.
7
C−La strage della lotteria
Coperto da The Hartford Courant, attraverso 14 giornalisti che producono in un giorno i seguenti 10 articoli:
7 Marzo
1. “Worker Kills 4 At Lottery Headquarters”
Articolo principale con lo svolgimento dei fatti (9400*)
2. “Horrified Workers Witness Killing In Parking Lot”
Resoconto dell’omicidio di Otho Brown avvenuto nel parcheggio (6000)
3. “Friends Saw Anger Growing In Beck”
Varie testimonianze sull’omicida e sui suoi problemi (7500)
4. “Matt Beck Took His Grudge To The Newspaper”
L’omicida aveva chiamato il giornale tempo prima (3300)
5. “New Britain Mourns Loss Of Former Mayor”
Dettagli su una delle vittime, Linda Blogoslawski Mlynarczyk, ex−sindaco (5700)
6. “Lottery Chief Recalled As Gentle Man With Tough Job”
Sintesi della vita di Otho Brown, presidente della lotteria(6500)
7. “A ‘Most Solid Family Man’ Loses His Life”
Rick Rubelmann, un’altra vittima (4800)
8. “Michael Logan’s Death Shocks Community”
Michael Logan, la quarta ed ultima vittima (3900)
9. “Incident Gives Newington National Attention”
La copertura dei media (4500)
10. “At Scene, Television Led Pack”
Di nuovo media, la televisione sul posto (3500)
*Caratteri (spazi inclusi)
Anche qui, come nel caso della Columbine, è possibile aggregare gli articoli:
1−I fatti innanzitutto, riportati dagli articoli 1 e 2, anche se con accentazioni diverse.
2−L’omicida, descritto dagli articoli 3 e 4.
3−Le vittime, articoli 5, 6, 7 e 8.
4−I media, articoli 9 e10.
Analizzando quest’ultimo reportage si notano alcune differenze rispetto agli altri casi. Credo che in buona misura queste
differenze siano da attribuirsi al carattere locale del giornale (avendo ben presente che anche tra il Denver Post e il Los
Angeles Times ci sono delle significative differenze). Mi riferisco in particolare all’attenzione accordata alle vittime
(dovuta anche allo status di due di esse), più equilibrata e meno semplicistica rispetto, per esempio, a quanto fatto per la
Columbine
Ancor più evidenti sono le differenze nel trattare l’assassino: in questo caso il tentativo di costruire un contesto a
quest’uomo, di spiegare chi fosse e come possa essere arrivato a tanto sembra più reale e più lucidamente perseguito
(interessante notare che sembra esserci un’età limite per la chiamata in causa degli psicologi: sopra i 18 si perde, almeno
per i giornalisti, questa attenuante…) anche se comunque non si rinuncia ad una caratterizzazione per certi versi facile.
Un altro elemento di differenziazione, questa volta rispetto al LA Times, si evidenzia nei due articoli sulla TV, su cui si
adotta un’ottica più “provinciale”.
Anche dal punto di vista della narrazione si notano delle differenze. Se è pur vero che ormai un certo stile di narrazione è
comune e acquisito, è anche vero che qui vi è un maggior equilibrio fra la cronaca intesa come narrazione minuto per
minuto ed il tentativo di dare un quadro più ampio. Confrontando quanto fatto per gli assassini nel caso della Columbine
e qui (la rapina a Los Angeles ha caratteristiche chiaramente diverse) si vedono due diversi approcci.
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Qui ci conosciamo tutti
Per cominciare, il primo articolo (1−“Workers Kills 4 At Lottery Headquartes”) si dimostra subito più equilibrato, con un
esposizione dei fatti meno “carica” e più esaustiva che si spinge spesso al di fuori dei limiti dell’avvenimento in senso
stretto (la conferenza stampa, i problemi di Beck, ecc.). Mancano anche quegli artifici letterari riscontrati negli altri casi:
si racconta ciò che avviene ma senza la spasmodica preoccupazione di far rivivere quei momenti al lettore. C’è insomma
un maggiore distacco, cosa strana considerando che proprio questo dovrebbe essere il giornale più coinvolto.
Restando nel merito del primo articolo, per esempio, nel rievocare la morte di Logan, dandone i dettagli, si conserva un
punto di vista esterno: “Police said Logan was the first to die, stabbed in the chest and stomach […].” Anche quando
vengono utilizzate dichiarazioni dirette queste risultano, rispetto al caso della Columbine, più integrate nel racconto ed
utilizzate più per veicolare informazioni che emozioni. Inoltre, l’utilizzo che viene fatto di queste dichiarazioni è meno
sistematico e, mi si consenta, meno ossessivo che nel caso della Columbine.
Il discorso cambia nel secondo articolo a cui è affidato il compito di “rievocare” più che di raccontare quanto è avvenuto.
Qui decisamente il pedale dell’emozione è premuto con maggior forza (“Otho Brown turned to see his employee sprinting
toward him with a gun in his hand and rage in his eyes.”) ma è comunque significativa la scelta di porre questo genere di
accentazione nel secondo articolo quando i fatti sono già stati in buona misura narrati.
La seconda parte del reportage si concentra invece su Beck, l’assassino, raccontandoci i suoi problemi privati e sul lavoro
e le sue denuncie al giornale. Elementi di facile impatto ce ne sono molti (il cartello sulla casa di famiglia, la saliva
durante l’intervista, per citarne solo due) ma al di là dell’evidente volontà di distaccarsi dall’assassino, ci sono anche
elementi che in una certa misura ci permettono di capire meglio la persona: il suo stress, le sue difficoltà. Un amico di
Beck, che non ne da un bel quadro in verità, viene intervistato ed anche questo è significativo. Un intero articolo è poi
dedicato ad un incontro avvenuto tempo prima tra Beck ed un giornalista del Courant. Qui i particolari che possono far
presa sono davvero tanti (“[…]I was relieved he didn’t have a gun.”, “[…]his eyes were wild.”, ecc.) ma non si rinuncia a
dire che le sue dichiarazioni non erano campate in aria e che certamente non erano il delirio di un folle.
Proseguendo si passa alle vittime di cui due, come già detto, illustri. Un articolo per ogni vittima condito come sempre da
tanti buoni sentimenti e tanto sentito rammarico per “such a waste of a productive life”. Ciò nonostante però, escono
anche le vite concrete di queste persone (soprattutto dell’ex−sindaco e di “Oth”, il cui gesto di eroismo fornisce il
necessario contrappunto ala follia omicida di Beck), una volta fatta la necessaria tara. E’ chiaro che il giornale parla a chi
conosce e di chi conosce e questo si vede nella trattazione. Questo credo sia un punto importante: una strada di
differenziazione dalla televisione può davvero essere questa vicinanza, questa attenzione anche a ciò che è minimo e
“provinciale” e che la televisione, stretta tra tempi ed audience, non può avere. Qui l’informazione si fonde davvero con il
servizio anche quando quest’ultimo è fornire, mi si passi il termine, un “focolare” attorno a cui raccogliersi e fare il punto.
Per ultimi, ci sono i due articoli sulla televisione che si concentrano in qualche misura sugli aspetti minimi di questa
faccenda: l’arrivo delle troupes, le loro ricerche per trovare un posto in cui mangiare, lo shock di chi vive in una piccola
città abituata a vedere certe cose solo in tv e si trova invece dall’altra parte dell’obiettivo. Anche qui la trattazione è più
vicina alle persone, ai lettori, nel senso di un’empatia, della capacità di condivisione di un punto di vista. Parlando poi
della copertura televisiva vera e propria, più che affrontare il discorso in generale si va nello specifico, singoli canali,
singoli giornalisti, il tatto dimostrato nel trattare la faccenda, anche qui qualcosa che può indubbiamente essere più vicino
alla sensibilità delle persone rispetto ad un generico attacco moralistico.
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4−Conlcusioni
Indubbiamente, almeno a valutare questi tre reportage, un certo stile di narrazione si è imposto. Uno stile che tiene ben
conto della cosiddetta società dell’immagine e che punta a riprodurre ciò che non può offrire: lo scorrere delle immagini,
il montaggio ad hoc che crea contrapposizione ed emozione. Altrettanto indubbiamente, in casi così carichi
emotivamente, l’oggettività non solo viene spesso persa ma, a volte, neppure cercata. L’influenza del giornalismo
televisivo mi sembra evidente negli sforzi di semplificazione di episodi che pongono spesso problemi profondi e molto
inquietanti (vedi Columbine) e la cui trattazione non superficiale creerebbe inevitabilmente scontri e contrapposizioni che
forse si vogliono evitare. Si cerca di chiudere la realtà dentro schemi narrativi più digeribili, più facilmente accantonabili,
in uno sforzo che sembra più di “pacificazione” degli animi che di stimolo o semplicemente d’informazione. Quando è
così, io credo si perda un’occasione. Uno dei tanti psicologi che parla del caso della Columbine ad un certo punto afferma
che forse i ragazzi non sanno dove mettere la rabbia che provano, non sanno gestirla. Io credo che a livello dei mezzi dì
informazione esista qualcosa di simile. La complessità e la drammaticità (quella reale, non costruita) della realtà vengono
troppo spesso emarginate dalla televisione e questo potrebbe essere un pericolo perché quella rabbia resta, solo non vista,
non affrontata. Quando anche i giornali si stringono attorno al fuoco, dando le spalle alla difficoltà di trattare la cronaca
al di fuori delle facili caratterizzazioni, secondo me mancano al loro dovere nell’insieme del mondo giornalistico.
Ci siamo sicuramente tutti abituati ai “problemi senza storia”, ai frammenti di realtà sempre più veloci e sempre più
incomprensibili ma quando ci si trova di fronte alla possibilità di trasmettere sempre più notizie, da sempre più parti e con
sempre maggior frequenza, bisogna anche interrogarsi su quali siano davvero le funzioni della stampa. Una di queste
dovrebbe forse consistere nel tentare di ricostruire un tessuto informativo più ampio, che colleghi ed esemplifichi, dando
alla comunità, a quell’opinione pubblica usata troppo spesso come pretesto, uno strumento efficace di gestione della
rabbia e della tensione, strumento che ora spesso manca.
In questo senso credo che l’ultimo reportage (sugli omicidi alla lotteria) sia interessante. Pur perfettamente calato in
quelle logiche di cui sopra, evidenzia alcuni timidi tentativi di distacco: nell’avvicinarsi ai lettori, nel non omologarsi del
tutto alla visione degli altri media. Come se questo giornale più piccolo potesse rompere quel cerchio autoreferenziale
che da tante parti è indicato come un pericolo, romperlo proprio tornando a guardare ai suoi lettori, conoscendoli,
passatemi il paradosso, per nome.
Forse vale davvero la pena di sacrificare parte del nostro essere globali per recuperare un punto di vista più “basso”, più
vicino a chi legge. Altrimenti, in questo gioco autoreferenziale c’è il pericolo che il focus si allontani e si alzi sempre di
più, sempre più velocemente, fino forse ad andare in stallo.
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5−Bibliografia
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Bordieu Pierre “Sulla Televisione”, 1997 Feltrinelli Editore
Papuzzi Alberto “Professione giornalista” , 1998, Donzelli Editore
Roidi Vittorio “La fabbrica delle notizie” , 2001, Editori Laterza
Tonello Fabrizio “La nuova macchina dell’informazione”, 1999, Feltrinelli Editore
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