Teatro di Pirandello All`uscita (1916) Protagoniste sono le

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Teatro di Pirandello All`uscita (1916) Protagoniste sono le
Teatro di Pirandello
All’uscita (1916)
Protagoniste sono le “apparenze” di defunti, le ombre del Filosofo, dell’Uomo Grasso, della Donna
Uccisa, del Bambino. Tutti i personaggi possono svanire nel nulla dopo aver realizzato il loro ultimo
desiderio. Ma il Filosofo non può riuscirci perché, a forza di dissipare le illusioni e distruggere forme
e convenzioni, egli non ha mai veramente vissuto e non ha mai desiderato; perciò dovrà restare
«sempre qua, seguitando a ragionare».
Liolà (1916)
Il vecchio e ricco zio Simone vuole un figlio a cui trasmettere l’eredità e, non riuscendo ad averlo dalla
moglie, è disposto a riconoscersi padre del bambino che dovrà nascere dalla nipote Tuzza e dal giovane
Liolà. Zio Simone maltratta la moglie e questa si vendica facendosi mettere incinta da Liolà. A questo
punto, zio Simone non ha più motivo di riconoscere il figlio di Tuzza. Quest’ultima cerca di farsi
sposare da Liolà, che però non accetta (ma si tiene il figlio). La commedia si conclude senza nessuna
delle soluzioni conformiste (matrimonio o vendetta) che sarebbe stato lecito attendersi: Liolà
rappresenta in fondo la forza della vita contrapposta alle cristallizzazioni della forma.
Pensaci, Giacomino! (1916)
Il vecchio professor Toti, che non ha potuto farsi una famiglia a causa del suo magro stipendio statale,
decide di vendicarsi sposando una donna giovanissima, in modo da costringere lo Stato a pagare per
molti anni la pensione. I doveri maritali dovranno essere adempiuti dal giovane Giacomo, suo allievo e
innamorato della ragazza, che vive regolarmente in casa del professore. Giacomino, sentendo il ridicolo
della situazione, vorrebbe sciogliere il patto. Ma il professor Toti lo convince paternamente a tornare a
casa ed a riprendere il suo posto di vero padre e vero marito.
Il berretto a sonagli (1916)
Il povero scrivano Ciampa è ingannato dalla moglie, è consapevole del tradimento, ma lo tollera finché
il paese non ne è a conoscenza. Quando l’adulterio diventa pubblico, dovrebbe salvare il proprio
onore uccidendo i due peccatori; ma preferisce convincere la donna che ha denunciato il fatto a
fingersi pazza: le basterà mettersi a dire a tutti la verità per essere creduta tale. Secondo Ciampa,
ciascuno di noi ha in testa tre “corde d’orologio”: la corda civile (che ci fa comportare dignitosamente
in società); la corda seria (che ci fa rivendicare seriamente le nostre ragioni); la corda pazza (che ci fa
comparire davanti agli altri con il “berretto a sonagli” della pazzia, consentendoci appunto di «sputare
in faccia alla gente la verità»).
Così è (se vi pare) (1917)
In una cittadina di provincia giungono il signor Ponza, impiegato della prefettura, con la moglie e la
signora Frola, sua suocera. Il comportamento strano della signora Ponza che, isolata da tutti, comunica
con la madre solo per mezzo di bigliettini calati dalla finestra con un paniere, suscita una curiosità
morbosa nel piccolo mondo perbenista e pettegolo dei notabili del paese. I nuovi venuti vengono così,
uno per uno, a spiegare la propria verità di fronte a un ambiente piccolo-borghese incapace di accettare
la diversità: secondo la signora Frola, il genero proibisce alla moglie di comunicare con lei per una
forma di folle gelosia, che lei accetta, per compassione e per amore della figlia; il signor Ponza implora
che non le diano ascolto, perché la suocera è impazzita dopo la morte della figlia, che lui si sforza per
pietà di farle credere viva (la signora Ponza è invece, secondo la sua versione, la sua seconda moglie).
Chi dei due è il vero pazzo? E chi è veramente la signora Ponza? Nella scena conclusiva la giovane
donna finalmente compare; ma il suo volto è velato e, di fronte all’incalzare delle domande, risponde:
«Io sono colei che mi si crede». La pretesa di verità oggettiva dei paesani è costantemente smascherata
dai commenti ironici di un personaggio, Lamberto Laudisi, che commenta la vicenda come portavoce
dell’autore.
Il piacere dell’onestà (1917)
Angelo Baldovino, un uomo fallito che ha rinunciato a vivere per “guardar vivere”, accetta di sposare
pro forma Agata Renni, in modo da dare un padre legale al figlio che costei aspetta dal suo amante.
Baldovino intende uniformarsi in ogni dettaglio al codice d’onore della società borghese,
all’“onestà”, appunto. Egli recita così scrupolosamente la parte del marito che, alla fine, Agata si
innamora di lui e il matrimonio per finta si trasforma in matrimonio vero e proprio: anche Baldovino
verrà così coinvolto dalle passioni della vita, perdendo quindi la capacità di controllo razionale
dell’esistenza.
Il giuoco delle parti (1918)
Leone Gala è separato dalla moglie e mostra di guardare alla vita con filosofica indifferenza e senza
lasciarsi travolgere dal caso e dalle passioni. Il caso è per lui come un uovo fresco che arrivi addosso
all’improvviso. Il “filosofo” prontamente lo afferra, lo fora e se lo beve, riducendolo ad un guscio
vuoto; in altre parole, con l’intelletto, sottrae alla vita tutta la sua torbida carica passionale, portando alla
luce il suo vero carattere di vuoto gioco di apparenze esteriori, di “parti”. Ma anche il suo filosofico
estraniarsi dalla vita è una parte: Gala, infatti, vuole subdolamente manipolare la vita degli altri,
specialmente quella della moglie. La moglie di Gala ha una relazione con Guido Venanzi; Gala accetta
di fare la sua parte di marito sfidando a duello un gentiluomo che ha offeso la donna. Ma poi rifiuta di
battersi, lasciando il compito all’amante, che muore in duello.
Sei personaggi in cerca d’autore (1921)
Una compagnia teatrale sta provando Il giuoco delle parti di Pirandello, ed ecco che le si presentano
sei personaggi: il Padre, la Madre, la Figliastra, il Figlio, due bambini. Dicono di essere personaggi che
un autore ha confusamente immaginato, ma non ha saputo tradurre definitivamente in un’opera. Loro
vogliono vivere, essere rappresentati, e perciò raccontano a frammenti, e con reciproche interruzioni, la
loro misera storia: la Madre, dopo avere avuto il Figlio, si è innamorata del segretario del Padre e va a
vivere con lui. Dalla nuova unione nascono tre figli. Dopo molti anni il padre incontra,
inconsapevolmente, la Figliastra in una casa di appuntamenti: il tempestivo intervento della Madre evita
il consumarsi di quello che sarebbe quasi un incesto. Sconvolto da quanto è successo, il Padre accoglie
in casa tutta la famiglia, cioè i figli non suoi e la Madre; ma ne deriva una situazione insostenibile; il
Figlio si isola in un mutismo inaccessibile, la Bambina muore cadendo in una vasca del giardino e il
Giovinetto, suo fratello, che non ha fatto nulla per salvarla, si uccide con un colpo di pistola. Questa
storia aggrovigliata affascina il Capocomico, che prova a farla recitare ai suoi attori; ma in quella
recitazione i personaggi non si riconoscono: la finzione dell’arte si rivela inadeguata.
Enrico IV (1921)
La vicenda presuppone un antefatto: durante una festa di carnevale, un giovane cade da cavallo, batte la
testa e diventa pazzo; si crede Enrico IV, imperatore di Germania, nei panni del quale si era
mascherato. Da quel momento la famiglia, per assecondarlo, gli costruisce intorno, nella villa in cui è
rinchiuso, un’atmosfera d’epoca, con un seguito di domestici travestiti da cortigiani. Sono trascorsi
vent’anni, e nel frattempo Matilde Spina, la donna amata dal protagonista (che in quella festa di
carnevale di era vestita da Matilde di Canossa), è diventata l’amante di Belcredi, amico-rivale del pazzo.
A questo punto comincia l’azione. Un nipote di Enrico, consigliato da un medico, decide di
sperimentare una nuova terapia. Frida, la figlia di Matilde, travestita come la madre vent’anni prima,
prende il posto del grande quadro che raffigura la contessa, per provocare nel pazzo uno choc che lo
riporti al momento del trauma da cui è scaturita la malattia. Ma Enrico nel frattempo ha svelato ai
valletti-cortigiani di non essere più pazzo da tempo, ed essi l’hanno a loro volta riferito a Belcredi, a
Matilde e al dottore, che accorrono sulla scena. Davanti a tutti Enrico rivendica le ragioni della sua
mascherata e rivela che, vent’anni prima, Belcredi lo ha fatto cadere di cavallo apposta. Quindi, con uno
scatto improvviso, lo uccide: ora dovrà fingersi pazzo per tutta la vita.
Questa sera si recita a soggetto (1929)
Tema di questo dramma è il conflitto tra attori e regista (una figura che si stava affermando in quegli
anni in ambito europeo: era colui che dirigeva gli attori coordinando lo spettacolo in tutti i suoi aspetti,
imponendo una interpretazione unitaria). Il regista tedesco Hinkfuss dirige la recitazione “a soggetto”
(cioè improvvisata) sul canovaccio di una novella di Pirandello. Egli vuole ridurre gli attori a puri
strumenti, a esecutori passivi della sua volontà, ma gli attori si ribellano (avanzando proposte
interpretative in nome della loro professione). Quando recitano, poi, essi si identificano interamente
con i loro personaggi: la Prima Attrice, che deve mettere in scena la morte della protagonista, viene
addirittura colpita da un collasso. In sostanza, gli attori non fanno che aderire alla forza della vita e
l’arte ha appunto il privilegio di esprimere la vita; con quest’opera siamo ormai fuori dal “grottesco”
che aveva caratterizzato la maggior parte dei drammi pirandelliani.
Definizione di grottesco
«Anche una tragedia, quando si sia superato col riso il tragico attraverso il tragico stesso, scoprendo
tutto il ridicolo del serio, e perciò anche il serio del ridicolo, può diventare una farsa. Una farsa che
includa nella medesima rappresentazione della tragedia la parodia e la caricatura di essa, ma non come
elementi soprammessi, bensì come proiezione d’ombra del suo stesso corpo, goffe ombre d’ogni
gesto tragico».