300 Gino Severini e la danza - Fondazione Internazionale Menarini
Transcript
300 Gino Severini e la danza - Fondazione Internazionale Menarini
n° 300 - giugno 2001 © Tutti i diritti sono riservati Fondazione Internazionale Menarini - è vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it Gino Severini e la danza Il tema del movimento, che rappresentò per i pittori futuristi la chiave di lettura dell’universo, sia in senso formale che esistenziale, avendo fatto della velocità il simbolo del mondo moderno e il centro della propria poetica, fu affrontato dalle arti figurative di ambito futurista sotto molteplici aspetti. La mostra che si tiene a Venezia presso la Collezione Peggy Guggenheim dal 26 maggio al 28 ottobre prossimo, presenta il tema del movimento in una delle sue espressioni più armoniche, quella della danza: figura centrale della rassegna è Gino Severini, uno dei protagonisti dell’arte futurista fino dalle prime dichiarazioni programmatiche, essendo stato tra i firmatari del Manifesto dei pittori futuristi, datato 11 aprile 1910. La mostra veneziana si divide in due sezioni: Severini. La danza, che presenta circa cinquanta opere dell’artista italiano e L’“altra” danza, in cui attraverso quaranta fra pitture, disegni e fotografie, si fornisce un sintetico ma significativo panorama di quello che fu, tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, l’interesse delle arti figurative nei confronti della danza. Infatti, mentre le opere di Severini apparten- gono tutte al periodo tra il 1909 e il 1916, gli anni cioè in cui l’artista si dedicò intensamente a questo soggetto, la seconda sezione si apre con uno studio di Seurat per Le Chahut (una danza simile al cancan) che risale al 1889. II legame di quest’opera con la pittura di Severini non è soltanto tematico, ma anche stilistico: nei primi anni del soggiorno a Parigi, dove arrivò nel 1906 «in una grigia domenica mattina d’ottobre», il punto di riferimento stilistico fu per Severini la pittura dei neoimpressionisti, che dipingevano con la tecnica divisionista e il cui maestro e teorico, Seurat, rappresentava per Severini il modello con cui confrontarsi; scrisse infatti a questo proposito nella sua autobiografia: «io elessi Seurat come maestro una volta per tutte e ancora oggi penso così». Il richiamo a Seurat è evidente in Printemps à Montmartre, che Severini dipinse attorno al 1909, nel momento in cui stava iniziando la sua sperimentazione alla ricerca di un nuovo linguaggio che recepisse e rielaborasse quanto di più avanzato si prospettava sulla scena artistica parigina. Di questa evoluzione è testimonianza e chiave di volta Souvenirs de voyage, dipinto agli inizi del 1911, che venti anni più tardi l’artista de- scriveva così: «Dipinta con la stessa tecnica neoimpressionista, questa tela aveva la smisurata ambizione di sorpassare assolutamente l’impressionismo, distruggendo l’unità di tempo e di luogo del soggetto. Invece di prendere l’oggetto nel suo ambiente, nella sua atmosfera, insieme agli oggetti o cose che gli erano vicini, io lo prendevo come essere a parte, lo riunivo ad altri oggetti o cose che apparentemente non avevano nulla a che fare con lui, ma in realtà gli erano legati dalla mia immaginazione [...] Questo quadro forse è alla base di tutta la mia arte». Risalta qui la dichiarata passione di Severini per il colore («vorrei che i miei colori fossero diamanti e che potessi riccamente usarne nei miei quadri per renderli più smaglianti di luce e ricchezza»), che lo poneva in posizione critica nei confronti del cubismo, la cui tavolozza, negli anni intorno al 1910, era limitata a «tre terre, un bianco e un nero». Parlando di sé nei confronti dei pittori cubisti, Severini notava che egli stesso «come un essere primitivo si entusiasmerà di fronte al movimento di una ballerina e di un boulevard pieno di gente, un evoluto come loro sarà soddisfatto del movimento che può avere una sedia». Tutte queste citazioni sono G. Seurat: Studio per Le Chahut; Londra, Courtauld Institute Gallery G. Severini: Printemps à Montmartre; Collezione privata pag. 2 tratte da una lettera scritta da Parigi nel 1910 a Boccioni per ragguagliarlo sulle più importanti novità dell’arte d’avanguardia nella capitale francese e per esporre la propria posizione: da qui all’adesione al manifesto dei futuristi, l’anno seguente, il passo è breve. L’impegno di Severini nel gruppo dei futuristi si concretizzò nel progetto di tenere a Parigi una esposizione per far conoscere il movimento al pubblico francese: il debutto dei pittori futuristi fu preparato dalla visita in Italia che Severini effettuò nell’estate del 1911, alla quale seguì il viaggio a Parigi, intrapreso qualche mese più tardi dal gruppo dei futuristi in occasione del Salon d’Automne, per prendere contatto con le avanguardie artistiche della capitale francese, e in particolare per avere una diretta conoscenza del cubismo di Picasso e Braque. Del cubismo i futuristi adottarono la tecnica della proiezione degli oggetti su piani affrontati, ma la utilizzarono per esprimere gli stati d’animo e le sensazioni di movimento che sono alla base della loro poetica; in realtà, dopo il primo momento di entusiasmo, i futuristi giunsero ad un rifiuto del razionalismo formalistico del cubismo, respingendone la essenza di “pittura pura” a favore di una visione emotiva che creasse un legame tra artista e spettatore, accomunati in uno stesso pathos. La mostra si tenne a Parigi nel febbraio del 1912 e sollevò un certo clamore: fra i soggetti delle opere esposte la danza e la vita dei boulevards e dei caffé occupano un posto di primo piano; Severini, soprattutto, fu affascinato dal tema della danza e in particolare dalla sua protagonista, la ballerina, al quale dedicò una lunga serie di studi e di dipinti. Le scene ambientate nei locali da ballo e nei cabarets avevano già trovato grande fortuna presso gli impressionisti e i post-impressionisti - basti ricordare le ballerine di Degas e le scene di vita notturna di Toulouse-Lautrec ma il primo decennio del Novecento vedeva anche la presenza sulla scena della danza di una straordinaria personalità, portatrice di un linguaggio espressivo assolutamente innovativo, Isadora Duncan, della quale Severini fu grande ammiratore. Nel 1909 la danzatrice era rientrata a Parigi da una trionfale tournée internazionale, e si muoveva nell’ambiente artistico parigino sollevando l’entusiasmo di poeti, che le dedicavano le loro composizioni, ed artisti come Rodin, che pubblicava una serie di disegni dedicati alle sue performance. La danza della Duncan rappresentava per Severini qualcosa di rivoluzionario, in totale antitesi con i canoni del balletto accademico, una incarnazione dell’armonia della natura, in sinto- G. Severini: Souvenirs de voyage; Collezione privata nia con il moto dell’universo. Anche il carboncino di Boccioni esposto a Venezia, e databile intorno al 1909, Figura in movimento, è stato con molta probabilità ispirato da Isadora Duncan, che danzava a piedi nudi, avvolta in una tunica di velo, ad esaltare e sottolineare la fluidità dei movimenti del corpo. Il tema della danza, in tutti i suoi molteplici aspetti, rappresenta l’asse portante dell’evoluzione del linguaggio figurativo di Severini negli anni dal 1910 al 1915. Sono quasi cento gli schizzi, i disegni e i quadri a olio che Severini eseguì nell’arco di questi anni intorno al tema del ballo (un campo nel quale era peraltro molto versato, essendosi guadagnato per la sua bravura il libero accesso a tutti i costosi locali alla moda, che frequentava con assiduità), andando oltre la rappresentazione di un fenomeno della società contemporanea G. Severini: Geroglifico dinamico del Bal Tabarin; New York, The Museum of Modern Art G. Severini: La Danse de l’ours au Moulin Rouge; Parigi, Musée National d’Art Moderne pag. 3 che ben conosceva, nella ricerca espressiva intorno al movimento ritmico dei corpi nello spazio. Così, il Geroglifico dinamico del Bal Tabarin, dipinto durante un soggiorno in Italia nell’estate del 1912, nasce dall’intenzione di rappresentare sulla superficie piatta e immobile della tela il volteggiare nello spazio di una coppia di ballerini, assimilando il linguaggio cubista come quello più adatto a rendere la simultaneità di punti di vista e il movimento delle figure, reso attraverso lo spezzarsi reciproco e l’intersecarsi dei vari piani che frammentano i protagonisti della scena in una sorta di esplosione, dalla quale emergono intatti brani come i riccioli della ballerina o il monocolo del gentiluomo con il cilindro in basso a destra. Nella primavera del 1913 Severini esponeva a Londra in una personale, che faceva seguito alla collettiva organizzata l’anno prima dal gruppo dei futuristi e che comprendeva trenta opere, quasi tutte dedicate alla vita dei locali notturni e alle sue protagoniste. Nonostante - o anzi forse proprio perché - queste opere procedano verso un linguaggio figurativo sempre più astratto, nella introduzione al catalogo l’artista ne rivendicava la connessione con la realtà: «Il quadro deve essere un mondo in se stesso: questo mondo è il risultato di una visione diretta della realtà, sbarazzata dall’artista di tutti i simboli puramente esteriori e di tutte le generalità convenzionali [...] Ci hanno rimproverato di essere letterari. Niente è più falso di questo. La nostra arte è una pura esaltazione della forma e del colore attraverso i quali ci si rivela l’universo plastico e sensibile». Tuttavia, la rappresentazione si va facendo sempre più incentrata sulle figure che danzano, eliminando ogni riferimento ambientale, come nella Danse de l’ours au Moulin Rouge, esposta nella mostra londinese e appartenente alla serie dedicata a questo ballo in voga, così come poco dopo Severini dedicherà alcuni studi e tele al tango argentino. Il ritmo saltellante viene evocato dalle diagonali spezzate che racchiudono i due ballerini: questi si intersecano e si compenetrano fino a divenire un tutto unico, animato da un movimento a spirale che, insieme con le diagonali esterne alle figure, offre allo spettatore la sensazione ritmica di un volteggiare cadenzato, in uno di quegli «insiemi plastici nei quali un ritmo musicale conduce l’arabesco di linee e piani» di cui parla il pittore. Anche in opere il cui punto di partenza era apparentemente lontano dal mondo della danza, Severini vi ritornava in base al principio delle analogie, al quale aveva dedicato nel 1914 uno scritto teorico: in esso, a proposito del dipinto Mer=Danseuse, dello stesso anno, descriveva l’emozione che provava di fronte alla mobile superficie marina: «Il mare con la sua danza sul posto, movimenti di zigzag e contrasti scintillanti di argento e smeraldo evoca nella mia sensibilità plastica la visione lontanissima di una danzatrice coperta di paillette smaglianti» Da un lato, quindi, Severini risolveva la concezione della danza come metafora dell’armonia universale nell’astrazione da ogni principio figurativo; dall’altro, nel 1915, con la Danseuse articulée, cercava di introdurre elementi mobili nella staticità della rappresentazione su tela, costruendo una figurina con braccia e gambe che si muovevano tirando alcuni spaghi, in analogia con quanto realizzato negli stessi anni con i “complessi plastici mobili” dai futuristi romani Balla e Depero. Severini esauriva così, con queste due p u n t e estreme e contrapposte, la sua avventura artistica nel mondo luminoso ed armonico della danza, per affrontare i drammatici temi ispirati alla guerra che ormai dilagava in Europa. donata brugioni G. Severini: Mer=Danseuse; Venezia, Collezione Peggy Guggenheim G. Severini: Danseuse articulée; Parma, Fondazione Magnani-Rocca