Pantelleria, l`asino pantesco - Gruppo Archeologico Drepanon

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Pantelleria, l`asino pantesco - Gruppo Archeologico Drepanon
L’ASINO DI PANTELLERIA
Il progetto pilota di recupero della razza asinina pantesca, realizzato dall’Azienda
Foreste Demaniali della Regione Siciliana nella provincia di Trapani, nell’ambito di
un più vasto progetto di conservazione e salvaguardia della biodiversità, ha avuto
come scenario il demanio forestale di San Matteo (sulle pendici del monte Erice)
dove, dalla fine degli anni ’70 del secolo scorso, il Corpo Forestale ha attuato una
massiccia opera di riforestazione. Il bosco di San Matteo-Visconti si estende lungo il
versante nord-occidentale della montagna ericina, là dove il paesaggio presenta balze
rocciose percorse da profondi canaloni altamente suggestivi dove si aprono grotte,
anfratti e ampi pianori, tra i quali quello di San Matteo. Il rimboschimento ha
privilegiato la presenza di conifere e latifoglie, ma anche di specie non comunemente
utilizzate nell’opera di riforestazione, come noce, ciliegio, carrubo e mandorlo.
All’interno di questo vasto patrimonio boschivo sorge il baglio Cusenza, nel quale è
stato allocato il Museo Agroforestale (punto di riferimento essenziale – soprattutto
per le scolaresche - per la conoscenza del patrimonio naturalistico ed etnoantropologico del territorio).
E’ ordinato in più sale che si aprono su una corte nella quale sono esposti una mola
per la macinazione del frumento ed un torchio.
Tre di queste sale sono dedicate all’esposizione di antichi attrezzi agricoli ed
artigianali.
Un altro vano ospita una collezione di exiccàta (cioè sezioni e frammenti
appositamente disseccati di piante forestali).
Una sala, infine, raccoglie una ricca collezione di uccelli imbalsamati provenienti da
diversi sequestri effettuati negli anni dal Corpo Forestale. Qui troviamo esposti anche
nidi di uccelli e rettili conservati in formalina.
Non distanti dal museo si trovano i resti di quello che per decenni gli studiosi hanno
ritenuto fosse un luogo di culto cristiano del VI-VII secolo; recenti indagini
archeologiche evidenziano che, più verosimilmente, trattasi di un’antica cisterna.
Nei pressi sorge un edificio di culto, a pianta rettangolare, rimaneggiato e di incerta
datazione: potrebbe essere questa la chiesa di San Matteo documentata dalle fonti già
nel XIV secolo. All’interno, un affresco (appena leggibile) orna la parete sopra
l’altare.
Da qui, un sentiero che lambisce le tracce di un sistema di fortificazioni relative alla
prima guerra punica conduce ad un pianoro dal quale si domina un panorama tra i più
belli della Sicilia. Storia, natura e cultura agro-pastorale a San Matteo si sposano per
restituire al godimento dell’uomo i segni delle passate civiltà, in un ambiente di
impareggiabile bellezza.
1.
In quest’area, dove esistevano già delle infrastrutture idonee, nel 1989 è stata iniziata
la paziente attività di recupero di una delle razze asinine più pregiate (a quell’epoca,
ormai considerata estinta), “l’asino pantesco”, la cui culla di origine è l’isola di
Pantelleria.
Tra i muretti a secco dei terrazzamenti, che ancora oggi caratterizzano il paesaggio
dell’isola, il contadino pantesco coltivava i prodotti della terra accompagnato da un
fido compagno, l’asino, che con agilità si muoveva tra i dislivelli del terreno.
I muretti di pietra a secco che delimitano i terreni nei quali si coltivano uva e capperi
soprattutto, sono i segni di un passato fatto di fatiche e sudori, di un’epoca in cui
l’uomo, con alàcre lavoro, ha combattuto l’asprezza e la poca fertilità della terra
riducendo in terrazze pianeggianti le pietrose colline.
Abitata sin dal Neolitico, l’antica Cossyra dei Greci fu colonizzata dai Fenici, contesa
da Cartaginesi e Romani quale scalo fra l’Africa e la Sicilia e fu occupata dagli arabi
(che vi introdussero la coltivazione di zibibbo, lenticchie e capperi e l’allevamento
dell’asino).
Pantelleria, la più grande isola intorno alla Sicilia, costituisce la parte emersa di un
imponente edificio vulcanico che affiora nel Canale di Sicilia. La natura vulcanica
dell’isola si manifesta con numerosi fenomeni di vulcanesimo secondario, come le
‘favare’ (getti di vapore acqueo ad alta temperatura che fuoriescono da fessure nella
roccia); il vapore acqueo si condensa a contatto con le fascine di legna poste
ingegnosamente dai contadini sopra spessi muretti di pietra, producendo acqua, che,
raccolta in pozze, serve per abbeverare gli animali.
Il paesaggio è un continuo alternarsi di cromature ed incantevoli visioni.
Per salvaguardare questo paradiso naturale di rara bellezza ed intensità, nel 1998 è
stata istituita la Riserva Naturale Orientata “Isola di Pantelleria”, la cui gestione è
stata affidata all’Azienda Foreste Demaniale della Regione Siciliana.
Altro aspetto peculiare del paesaggio pantesco sono i “dammusi”, casette di pietra
lavica ad un solo piano, a pianta quadrata o rettangolare, con uno o pochi ambienti ed
un caratteristico tetto a cupola funzionale alla raccolta dell’acqua piovana. Molti sono
raggruppati in piccoli nuclei con una chiesa.
Un tempo i “dammusi” erano la casa dei contadini. Nei tortuosi sentieri che li
lambiscono, per secoli la vita ed il lavoro degli abitanti sono stati accompagnati
dall’asino, l’animale che l’uomo, sin dagli albori della storia, ha considerato sacro,
fidato, simbolo della semplicità. Furono gli arabi a portarlo nell’isola e ad utilizzarlo
in agricoltura, soprattutto per il trasporto dell’uva.
2.
Originario, forse, delle regioni desertiche e pietrose del nord Africa (dove viveva il
suo antenato selvatico), l’asino domestico apparve in Europa durante il Neolitico.
Metafora di stupidità, testardaggine ed ignoranza nella letteratura fiabesca moderna,
l’asino, animale forte e resistente, è stato nei secoli utilizzato dall’uomo per il tiro,
per il basto, per la sella, ed è stato allevato con poco dispendio grazie alle sue frugali
abitudini e alla rara capacità di adattamento.
L’asino pantesco – tra le razze asinine più antiche d’Italia – ebbe origine da incroci
fra soggetti di razza africana e soggetti siciliani. Le favorevoli condizioni climatiche e
la morfologia di gran parte dell’isola di Pantelleria (poco idonea all’allevamento del
bestiame) hanno favorito la costituzione di una pregiata razza di asini con caratteri
genetici e somatici assolutamente originali: testa piccola, asciutta, con grandi occhi;
muso quasi bianco; collo lungo e muscoloso; spalla e torace molo sviluppati; groppa
larga; arti molto robusti e muscolosi; pelo corto, liscio, molto lucido, untuoso al tatto;
muso quasi bianco; addome e faccia interna delle cosce bianchi; scarsi crini nella
coda; temperamento vivace; andatura veloce e sicura (grazie al naturale movimento
contemporaneo degli arti dello stesso lato, il cosiddetto ‘ambio’); i robustissimi
zoccoli quasi mai richiedono la ferratura; e, infine, l’intelligenza.
Un’altra caratteristica ha fatto dell’asino di Pantelleria una delle più ricercate ed
apprezzate razze asinine del bacino del Mediterraneo (almeno fino a quando
l’avvento della meccanizzazione ne causò l’abbandono): la sua capacità di
riproduzione di muli robusti e longevi.
Richiesti dagli allevatori di altre zone della Sicilia e dell’Italia, ma anche tunisini,
libici e statunitensi, utilizzati dall’esercito italiano durante l’ultimo conflitto mondiale
ed esportati in Grecia per la produzione di muli, gli stalloni furono costretti a
continue migrazioni fuori dall’isola. Ciò, unitamente all’incrocio con altre razze
asinine, determinò prima l’alterazione della purezza e, alla fine ed inevitabilmente,
l’estinzione.
Fu per coprire una delle due fattrici rimaste nell’isola che morì l’ultimo esemplare
della razza pura. Era il 1985, lo stallone si chiamava Arlecchino ed annegò,
imbrigliato nelle corde mentre veniva sceso dalla nave, nelle acque del porto di
Pantelleria. Questi disegni, che illustrano il tragico evento, sono tratti da un racconto
realizzato da alcuni ragazzi delle scuole di Pantelleria che hanno frequentato un
apposito laboratorio grafico predisposto dall’Azienda Foreste della Regione Siciliana
attraverso il quale hanno raffigurato, con immagini disegnate e colorate, la storia
dell’asino pantesco.
3.
Quattro anni dopo l’Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana (che tra le
sue attività già vantava l’allevamento di razze equine, fra cui l’asino ragusano) decise
di avviare un ambizioso progetto pilota di recupero della razza asinina pantesca in
collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia e con la
Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Milano. Fu individuato nel
Demanio Forestale di San Matteo in Erice (dove già si allevavano alcuni esemplari di
cavalli Sanfratellani) il luogo ideale per l’attività dell’Azienda Pilota che avrebbe
dovuto attuare quello che, allora, apparve ai più un’impresa a dir poco utopica:
ricostituire un nucleo di asini panteschi con le caratteristiche morfologiche e
genetiche tipiche della ‘razza’.
Quando, all’inizio del cammino, dopo aver sottoposto ad analisi genetiche circa 200
esemplari rispondenti alle caratteristiche del pantesco, si costituì un primo nucleo di 9
esemplari, tre maschi e sei femmine (che qui vediamo in immagini di archivio girate
nel 1995), pochi avrebbero immaginato che di lì a pochi anni sarebbero nati i primi
piccoli puledri con le caratteristiche della razza originaria, e che, dopo nemmeno un
ventennio da quel 1989, si sarebbe ottenuto per l’asino pantesco il riconoscimento
dello “standard di razza” e l’ambita ed agognata iscrizione al “Registro Anagrafico
delle Razze/Popolazioni equine riconducibili a gruppi etnici locali”.
Sono stati anni di studi e di duro lavoro; anni nei quali decine e decine di
professionisti ed operatori hanno profuso non solo impegno ma anche dedizione.
Tutto questo ha portato anche a rilevanti risultati scientifici. Nel 2002, con la
collaborazione dell’Istituto di Incremento Ippico della Sicilia, della Facoltà di
Medicina Veterinaria dell’Università di Pisa e del Prof. Salvatore Balbo (esperto di
razza e già Direttore dell’Istituto Zooprofilattico sperimentale della Sicilia), è stata
sperimentata sugli asini dell’Azienda pilota l’applicazione dell’embryo transfert, una
moderna tecnica grazie alla quale – attraverso il trasferimento di embrioni panteschi,
ottenuti per monta naturale, in riceventi di razza ragusana – è stato possibile ottenere
una maggiore progenie dalla stessa fattrice pantesca nella stessa stagione di monta.
Il primo obiettivo del programma è stato quello di reinserire la ricostruita razza
pantesca nel suo habitat originario, sui cui impervi sentieri gli asini possono ripetere
passi e movenze che furono dei loro progenitori, ricostituendo in tal modo il binomio
“Zibibbo-Asino” che fu sinonimo di ricchezza ed orgoglio degli isolani. Ciò è
avvenuto in un’area ai margini di uno degli scenari più suggestivi di Pantelleria, il
lago denominato Specchio di Venere, alimentato da sorgenti naturali e noto per i suoi
fanghi utilizzati a scopo terapeutico.
4.
La cerimonia di benvenuto ha coinvolto non solo studenti panteschi e di altre scuole
della provincia di Trapani ma anche turisti ed escursionisti. L’evento ha destato
curiosità ma anche il desiderio di guardare con i propri occhi e di verificare con le
proprie mani la bellezza e la docilità dei quattro asini della recuperata razza che, per
primi, hanno calpestato il suolo di Pantelleria. Luciano, Felice, Ignazio, Bourbon e gli
altri asini che presto saranno trasferiti nell’isola, verranno utilizzati sia come animali
da soma nei percorsi naturalistici della Riserva, sia come animali da lavoro a
beneficio dei sistemi produttivi tradizionali a basso impatto ambientale.
Mentre a Pantelleria si ‘coccolano’ i quattro asini reinseriti grazie al progetto
realizzato dall’Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana, sulle pendici del
monte Erice il lavoro continua. Oggi nell’allevamento di San Matteo ci sono una
cinquantina di asini, tra cui 10 stalloni e 15 fattrici. Negli ultimi anni sono state
realizzate numerose infrastrutture: box, recinti, paddoch, scuderie.
Le attività e le professionalità impiegate sono molteplici.
Oltre all’ordinaria gestione dell’allevamento, consistente nella pulizia dei locali,
nell’alimentazione dei capi e nella profilassi sanitaria, viene sviluppato l’aspetto
tecnico scientifico delle attività delle monte e della riproduzione.
Individuate le linee di sangue che, per caratteristiche morfologiche e genetiche
risultano essere le migliori, ogni anno si programmano dei piani di monta che
vengono realizzati e registrati nell’allevamento.
Alle gravidanze seguite e monitorate, che durano 13 mesi, seguono i parti.
La nascita di ogni puledro, la cui genealogia viene registrata, è un momento di festa.
Ad ognuno viene attribuito un nome; ai nati di uno stesso anno si danno nomi con la
stessa iniziale.
I nomi dei primi 9 asini dell’allevamento iniziavano per “A”.
Ogni asino è riconoscibile grazie ad un microchip che gli viene inserito sotto cute dai
tecnici dell’Istituto di incremento ippico della Sicilia, che ogni anno, con una
commissione, effettua la rassegna dei capi, che, valutati per la loro morfologia,
vengono inseriti nel registro anagrafico.
Alla vita di questo prezioso animale (che per la sua resistenza alle intemperie può
essere allevato allo stato brado anche in pascoli impervi) sono legate attività e
applicazioni che coinvolgono la sfera economico-sociale, terapeutica e nutrizionale. Il
progetto, pertanto, è stato anche indirizzato all’utilizzo dei capi allevati in iniziative
legate all’ambiente (ed in particolare alle aree protette), nella produzione di muli e
nell’utilizzazione del latte d’asina, che è stato concesso gratuitamente a coloro che ne
hanno fatto richiesta, privilegiando i bambini più piccoli.
Il passo sicuro e veloce (25 km/h in pianura e 15 atiro leggero), la comoda
cavalcatura, l’attitudine al basto, fanno dell’asino in genere, e del pantesco in
particolare, l’ideale compagno di lavoro dell’uomo.
5.
La docilità e il pelo morbido favoriscono la sua utilizzazione nella onoterapia e nella
pet-teraphy (una moderna tecnica terapeutica per la cura delle patologie della
socializzazione e dell’affettività). Nei bambini con particolari problemi, negli anziani,
in alcune categorie di malati e di disabili fisici e psichici, il contatto con l’asino può
aiutare a soddisfare certi bisogni (affetto, sicurezza, relazioni interpersonali) e
recuperare alcune abilità perdute.
La Sicilia possiede un invidiabile patrimonio zootecnico, ricco sia per la varietà sia
per la qualità delle razze; un patrimonio genetico tra i più importanti d’Italia,
selezionato nel tempo, capace di vivere adeguandosi alle peculiarità orografiche e
climatiche, al tipo di vegetazione e alle patologie maggiormente presenti nell’Isola.
Tra le razze autoctone rinomate in ambito sia nazionale che estero, l’asino pantesco è,
forse, la più importante. Recuperarne il patrimonio genetico, riabilitarne la razza,
diffonderne la conoscenza e l’allevamento, in una parola salvarlo dall’estinzione è
stato un dovere istituzionale che l’Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana
ha fortemente sentito in tutte le sue componenti, direttive ed operative, profondendo
per il raggiungimento dell’obiettivo energie, professionalità ed amore per l’animale.
Per molto, troppo tempo, vedere un esemplare di asino pantesco ha costituito una
rarità. Oggi non più. Robert Green, l’americano che per primo introdusse in America,
nel 1929, asini di origine mediterranea scriveva che “gli asinelli hanno la stessa
natura di una terra appena scoperta, la rassegnazione della mucca, la longevità del
mulo, il coraggio della tigre, ed una capacità intellettiva solo di poco inferiore
all’uomo”. Queste parole possono apparire esagerate solo a chi non conosce
abbastanza le doti di quest’animale per lungo tempo sfruttato, schernito e poi
dimenticato. Ma questa è già storia di ieri.
Testo del documentario “L’ASINO DI PANTELLERIA” (Editrice Il Sole, 2007)
Testo e regia di Giovanni Montanti
6.