Comunicato 10_2012 che bella cosa

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Comunicato 10_2012 che bella cosa
Federazione Indipendente Lavoratori Pubblici
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N. 10
Roma, 16 maggio 2012
MA CHE BELLA COSA !
Recentemente, presso il Dipartimento della Funzione Pubblica, è stata definita una intesa sul pubblico
impiego, che è stata aspramente criticata dall’ex (mini) ministro Brunetta, nonché non condivisa dalla Corte
dei Conti in una sua relazione trattante lo stesso tema. Ma anche se oggi tale avvenimento viene festeggiato
da tutti, compresi quelli che si erano dichiarati favorevoli alle tracimazioni legislative del deprecato D.P.R.
150/2009, c’è ancora molto da fare. Manca, infatti, una soluzione per il precariato, lo sblocco dei rinnovi dei
contratti e la questione della previdenza complementare per i pubblici dipendenti, che resta ancora un
argomento spinoso da affrontare in modo compiuto, perché non basta costituire i fondi, nominare gli organi,
fare i siti web e raccogliere le adesioni per dire che la previdenza complementare é cosa fatta per i
dipendenti pubblici, tanto da farli dormire tranquilli. Ci sono, infatti, alcuni piccoli dettagli cui si cerca di
non dare rilevanza, ma che invece sono di una importanza fondamentale.
Le recenti riforme previdenziali ed anche la rilevantissima questione degli esodati hanno chiarito a tutti che,
quando si parla di "diritti", il valore intrinseco relativo a questo termine diventa del tutto opinabile,
discutibile e modificabile per quanto si voglia.
Ora, il sistema di previdenza obbligatoria per i pubblici dipendenti ci sembrava che garantisse una sorta di
conservazione dei "diritti" che i lavoratori pensavano di poter esigere una volta giunti al termine della loro
attività lavorativa ed, invece, abbiamo constatato che tali diritti sono stati disattesi, allorquando chi aveva
maturato nei termini prescritti il diritto di andare in pensione conservando peraltro il sistema di calcolo
retributivo, improvvisamente si é visto posticipare questo diritto di qualche anno. Quindi, tutto può avvenire
su questa materia anche per il futuro, così pure per la previdenza complementare.
Facciamo qualche piccola riflessione e si comprenderà il motivo per il quale noi insistiamo a pretendere che
su questa vicenda della previdenza complementare si faccia chiarezza.
Cominciamo dal diritto alle prestazioni. La normativa vigente basa il sistema di previdenza complementare
su due diverse fonti di finanziamento:
-la prima è quella costituita dai soldi prelevati dalle buste paga dei lavoratori e da quelli versati dalla
amministrazione di appartenenza, soldi veri che possono essere investiti sul mercato dei fondi
complementari;
-la seconda è invece il TFR versato totalmente o parzialmente a seconda dei casi, che è totalmente virtuale,
poiché non viene versata al fondo complementare e quindi non investita sul mercato.
Al momento del pensionamento l'iscritto al fondo ha quindi diritto, secondo la normativa vigente, a una
prestazione che sarà composta dalla capitalizzazione (montante) delle risorse investite sul mercato (con
gli unici soldi veri che sono quelli versati dal lavoratore e dalla amministrazione) e da quella fittizia del
TFR che l'ex INPDAP rivaluta figurativamente ad un tasso di rendimento che corrisponde alla media dei
rendimenti netti di un “paniere” di Fondi di previdenza presenti sul mercato e, successivamente, al
rendimento netto del Fondo, a seguito del consolidamento della sua struttura finanziaria.
Fin qui tutto bene! Sembra un meccanismo ben oliato che non crea preoccupazioni: io lavoratore do una
piccola percentuale del mio salario al Fondo, identica percentuale è a carico dell'amministrazione, il mio
TFR invece viene rivalutato, pur senza essere mai stato investito sui mercati, il tutto va a costituire la mia
pensione complementare. Si può dormire tranquilli!
E' bene precisare che la rivalutazione avviene solo nel caso che ci sia un rendimento positivo dei fondi
inseriti nel paniere, perché altrimenti verrà contabilizzata anche la perdita; ovvio no?
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Federazione Indipendente Lavoratori Pubblici
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Adesso, anche alla luce di ciò che è accaduto negli ultimi anni, ci sentiamo tutti tranquilli?
Sovente si sente dire che non ci si fida dei fondi complementari perché si temono tracolli delle borse e
perdite del capitale; questa preoccupazione è comprensibile e visto i tempi che corrono trova ampie
motivazioni, ma c'è un altra preoccupazione che dovrebbe albergare tra le riflessioni sul tema. Non c’è solo
la preoccupazione delle Borse,ma c’è anche un rischio insito nell'intero meccanismo ed è appunto quello
relativo al fatto che la stragrande maggioranza di ciò che costituisce "l'investimento" per la previdenza
complementare -il TFR- è virtuale e quindi, non proviene dal mercato, per cui, alla fine, in caso di
auspicabili rendimenti favorevoli, deve essere corrisposta al lavoratore in pensione una rendita reale, il cui
onere dovrà inevitabilmente ricadere sul bilancio dello Stato: alla faccia di un sistema a capitalizzazione,
quale dovrebbe essere quello complementare, con previsione di accumulo di debiti che dovranno essere
pagati dalle future generazioni!
Non si ravvede nulla di pericoloso? Non c'è la preoccupazione che un domani possa venir fuori un qualsiasi
Ministro che possa fare un ragionamento nei termini che abbiamo sentito sovente: "Comprendiamo le
aspettative di chi deve andare in pensione, ma non ci sono le risorse per coprire tali spese. Oltretutto
trattandosi di un trattamento complementare rispetto alla pensione obbligatoria che pure è garantita, il
Governo ha delle priorità dettate dalla emergenza, dalla congiuntura negativa e, quindi, non è nella
possibilità di erogare trattamenti che prevedono guadagni che in realtà non ci sono stati, in quanto il
sistema è virtuale. Colpa dei passati governi che non hanno provveduto per tempo e che ora non si è nella
condizione di regalare soldi che non ci sono". Fantascienza? Fantapolitica? Fantaprevidenza? Basta andare
a chiedere agli esodati o a chi è rimasto in mezzo al guado senza lavoro e senza pensione, dalla sera alla
mattina.
Ovviamente, su tutto grava anche la questione di un regime giuridico, compresa la fiscalità di "svantaggio"
ancora disciplinato dal decreto del 1993, che colpisce la previdenza complementare per i pubblici dipendenti
che non è stata riformata dal decreto del 2005, come per i lavoratori privati. Lo ripetiamo da anni e abbiamo
chiesto ripetutamente quasi sempre in splendida solitudine ai vari Governi di intervenire per rendere equo
ed armonico un sistema che attualmente crea una profonda e incomprensibile penalizzazione per i pubblici
dipendenti (ritenuti a torto privilegiati) in rapporto a quelli del settore privato.
Allora ci sentiamo tutti tranquilli per quanto riguarda il futuro? Noi ripetiamo che l'intesa che in questi giorni
ha avuto gli onori della cronaca è molto importante e ci siamo impegnati su tale fronte, ma restano problemi
irrisolti ai quali occorre mettere subito mano!
Hanno poco da esultare i cronisti e pennivendoli vari che continuano a praticare lo sport preferito dall’ex
(mini) ministro di dileggiare i lavoratori pubblici, senza rendersi conto che questa pratica è passata di moda.
La ricetta del precedente Governo era sbagliata, i pubblici dipendenti non sono "ogm", cioè sfaticati
geneticamente e, quindi, diversi da qualsiasi altro lavoratore. I guasti, se vi sono, vanno ricercati nella
organizzazione del lavoro, nella legislazione assurda e ridondante, che cerca di piegare l'azione
amministrativa ad interessi diversi da quelli della collettività, e nella intromissione della politica che molte
volte utilizza la p.a. per fini elettorali o come luogo di parcheggio dove piazzare la propria gente.
Certamente, lavoro da fare per migliorare sempre più le cose ce n'è, ma sicuramente non con provvedimenti
di legge che tendono ad annullare l'unico strumento che stava dando buoni risultati e cioè la prassi
contrattuale. Il blocco dei contratti, palesemente illegittimo e da noi impugnato in sede legale, e le
storture provocate dal D.P,R. 150/2009, hanno mortificato i lavoratori pubblici, ma anche danneggiato un
processo di crescita che faticosamente si stava portando avanti da anni.
Non è accettabile che si tenti di porre i lavoratori pubblici in una condizione di subordinazione psicologica,
additandoli come il principale male del Paese, imponendo loro regole astruse palesemente disancorate dalle
realtà operative dei luoghi di lavoro, in modo da trovare una sorta di giustificazione per disconoscerne i
diritti.
Ora c'è l' intesa, ma il percorso è ancora lungo e ci sono nodi che devono essere sciolti una volta per tutte. I
dipendenti pubblici hanno ben chiari i loro doveri e chi non li ha li deve avere senza se e senza ma, così pure
come i diritti, che devono essere tali, senza se e senza ma.
Il Segretario Generale
Davide Velardi
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