Bambini e famiglie di altre culture
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Bambini e famiglie di altre culture
Bambini e famiglie di altre culture: rappresentazioni e pratiche educative nei servizi dell’infanzia Giuseppina Messetti Abstract La comunicazione presenta i risultati di una ricerca qualitativa avente lo scopo di esplorare le rappresentazioni e indagare le pratiche educative di insegnanti di Nido e Scuola d’infanzia in merito alla presenza di bambini (e famiglie) di altre culture nel proprio gruppo classe. La ricerca si colloca al confine tra la riflessione pedagogica sull’infanzia e i servizi ad essa dedicati (Musatti, 1992; Pontecorvo,1992; Mantovani, 2003), gli studi di educazione interculturale (Nigris,1996; Demetrio, Favaro 1997; Cambi, 2001; Portera, 2003; Bove, Mantovani, 2006; Favaro, Mantovani, Musatti, 2006; Mantovani, 2007); e il più recente filone di indagine sull’analisi delle pratiche educative e didattiche (Altet, 2003, 2006; Laneve, 2005; Damiano, 2006; Mortari, 2010; Day, Laneve, 2011). I risultati della ricerca evidenziano una realtà articolata e complessa, individuano nei partecipanti istanze formative di tipo interculturale e, dal punto di vista metodologico, mette in luce la rilevanza di un approccio di indagine misto (Mixed Methods). Nella prospettiva dello sviluppo delle competenze interculturali, dalla ricerca emerge quanto sia fondamentale promuovere negli insegnanti la consapevolezza delle proprie rappresentazioni, precomprensioni, credenze, vissuti soggettivi, in una parola delle dimensioni “implicite” dell’azione educativa, che tacitamente permeano e improntano le pratiche didattiche e gli stili relazionali. In this presentation I report on a qualitative research whose goals were to investigate: (a) preschool and nursery school teachers’ representations of the presence of children and families from other cultures in their class groups; (b) the educational practices that these teachers employ to foster learning of the Italian language and to nurture the culture and native language of the pupils. The research involved 115 teachers in an Italian region (Veneto) with a high percentage of foreign residents (one of the highest in the country). The teachers were participating in the training project “Reading to grow – Interculture” funded by GlaxoSmithKline in collaboration with theVeneto Regional Observatory on “New Generations and Families”. The research is situated at the boundary between educational reflection on childhood and childhood services (Musatti, 1992; Pontecorvo,1992; Mantovani, 2003), studies of intercultural education (Nigris,1996; Demetrio, Favaro 1997; Cambi, 2001; Portera, 2003; Bove, Mantovani, 2006; Favaro, Mantovani, Musatti, 2006; Mantovani, 2007) and the more recent strand of inquiry analysing educational and instructional practices (Altet, 2003, 2006; Laneve, 2005; Damiano, 2006; Mortari, 2010; Day, Laneve, 2011). The results reveal an articulated and complex reality, identify intercultural training needs in the participants and, on the methodological level, highlight the relevance of a mixed methods approach. From the point of view of the development of intercultural competencies, the results suggest that it is essential to foster teachers’ awareness of their own representations, pre-understandings, beliefs and subjective experiences; in one word, of all those “implicit” aspects of educational action that tacitly permeate and shape instructional practices and relational styles. 1. Introduzione Il problema che la ricerca indaga sorge in un preciso contesto, quello di un percorso di formazione rivolto ad educatori operanti nei servizi prescolastici del Veneto 1. Il Veneto si colloca ai primi posti tra le regioni italiane per incidenza di residenti stranieri. L’immigrazione straniera è diventata rilevante nell’ultimo decennio e in particolare a partire dal 2002, anno della “grande regolarizzazione”. Da allora gli stranieri regolarmente residenti sono più che triplicati, con un progressivo aumento dell’incidenza percentuale sul 1 Il progetto “Leggere per crescere – Intercultura” finanziato e organizzato da GlaxoSmithKline in collaborazione con l’Osservatorio Regionale “Nuove generazioni e famiglia”. totale della popolazione che passa dal 3,4% nel 2001, al 6,8% nel 2006, il 10,7% nel 2011 2. A seguito dei processi di stabilizzazione delle famiglie migranti, i bambini stranieri che frequentano i servizi prescolastici sono in larga maggioranza nati in Italia come attestano gli ultimi Rapporti del MIUR che registrano il dato delle presenze nella scuola dell’infanzia. Come stanno vivendo il fenomeno migratorio le educatrici e le insegnanti in queste realtà territoriali, dove i nidi e le scuola dell’infanzia accolgono un numero sempre crescente di bambini di altre culture? Abbiamo ritenuto che indagare i loro “pensieri” avesse una duplice utilità: ai fini della ricerca educativa l’allargamento dello sguardo su un settore, quello dei servizi prescolastici, ancora poco esplorato, permette di conoscere il “punto di vista” di chi in essi opera, soggetti raramente coinvolti in ricerche di questo tipo. 1. Domande di ricerca Comprendere “il punto di vista” delle insegnanti riguardo alla presenza di bambini di altre culture nel proprio gruppo-classe Conoscere gli aspetti di difficoltà che le insegnanti incontrano nel rapportarsi con le famiglie di altre culture Rilevare la percezione che le insegnanti hanno dei problemi che incontrano i genitori di altre culture nel rapportarsi con le istituzioni educative italiane Esplorare le opinioni e le pratiche in merito al riconoscimento e alla valorizzazione della lingua d’origine dei bambini di altre culture In Italia, mentre sono note alcune ricerche sulle rappresentazioni che gli insegnanti di scuola primaria e secondaria hanno degli studenti di cittadinanza non italiana (Bettinelli G., Demetrio D., 1992; Ciccardi F., 1994; Ministero della Pubblica Istruzione, 2001; Selleri P., 2005; Kanitzsa, 2007), sono ancora pochi gli studi nel settore prescolastico dei servizi all’infanzia. 2. Partecipanti Hanno preso parte alla ricerca 115 soggetti: 53 educatrici di Nido e 62 insegnanti di Scuola d’infanzia che hanno aderito al Progetto di formazione “Leggere per crescere – Intercultura”. Il progetto ha coinvolto i servizi educativi di otto Comuni del Veneto, individuati tra i più significativi per l’elevata presenza di residenti stranieri. 3. Inquadramento teorico La ricerca si colloca al confine tra la riflessione pedagogica sull’infanzia e i servizi ad essa dedicati (Musatti, 1992; Pontecorvo,1992; Mantovani, 2003), gli studi di educazione interculturale (Nigris,1996; Demetrio, Favaro 1997; Cambi, 2001; Portera, 2003; Bove, Mantovani, 2006; Favaro, Mantovani, Musatti, 2006; Mantovani, 2007) e il più recente filone di indagine sull’analisi delle pratiche educative e didattiche (Altet, 2003, 2006; Laneve, 2005; Damiano, 2006; Mortari, 2010; Day, Laneve, 2011). In particolare, all’interno di quest’ultimo ambito, alcuni studi fanno della dimensione implicita della didattica e del pensiero “quotidiano” dell’insegnante un fertile terreno di esplorazione empirica (Stadler M.A., Frensch P. A., 1998; Perla, 2010). Secondo questa prospettiva, occuparsi dell’agire educativo significa guardare oltre la dimensione esplicita della pratica, per esplorare quelle dimensioni nascoste (rappresentazioni, precomprensioni, credenze, percezioni soggettive) che tacitamente permeano e guidano le attività didattiche e gli stili relazionali degli educatori, talvolta in contrasto con le convinzionie e gli obiettivi dichiarati. Dunque l’analisi del come ci si rappresentano i bambini e le famiglie di altre culture “è parte integrante di una pedagogia inteculturale intesa come riflesssione critica e prospettiva empirica rispetto alla pratica educativa” (Bove, Mantovani, 2006). 4. Metodologia 2 Osservatorio Regionale sull’Immigrazione (2011). Immigrazione straniera in Veneto: rapporto 2011. Venezia: Regione del Veneto. La ricerca, di tipo qualitativo, si muove nella prospettiva fenomenologica che non prevede la formulazione di ipotesi ma, a partire dall’individuazione di un’area di indagine, una progressiva focalizzazione delle domande di ricerca. Si è optato per un metodo misto (mixed method) utilizzando due strumenti secondo un impianto metodologico “ad imbuto". Nella prima fase esplorativa, è stato interpellato con un questionariointervista, un numero consistente di persone: l’intero gruppo delle partecipanti al Progetto di formazione. La garanzia di anonimato dello strumento e la formulazione delle domande-stimolo hanno inteso salvaguardare ampia libertà e apertura nelle risposte. Nella seconda fase si è proceduto con interviste a bassa strutturazione allo scopo di approfondire temi e questioni emersi dall’analisi dei dati acquisiti nella prima fase. Sulla base della disponibilità delle partecipanti e di criteri di rappresentatività state effettuate le interviste, fino alla saturazione dei dati. Si è prestata particolare attenzione alla fase della raccolta dei dati e successivamente alla loro analisi quantitativa e qualitativa.Il processo di codifica ha tenuto conto delle indicazioni derivanti dalla grounded theory (B. Glaser e A. Strauss, 1967): attraverso il processo di open coding si è pervenuti all’identificazione delle categorie, che secondo questo orientamento di ricerca non vengono stabilite a priori, ma emergono dai dati raccolti. Due ricercatori, separatamente, hanno proceduto ad una provvisoria concettualizzazione dei testi discorsivi integralmente trascritti, attraverso una loro catalogazione in “etichette”. Il successivo confronto ha permesso una verifica incrociata e l’accordo sulle “unità di significato” emerse. Successivamente, le “unità di significato” (etichette) sono state raggruppate in ambiti specifici e sono state così identificate le categorie. Ad un secondo livello le categorie sono state successivamente ordinate in macro-categorie. 5. Analisi dei dati Nelle classi in cui operano le partecipanti alla ricerca, l’incidenza di alunni figli di genitori stranieri, nati in larga maggioranza in Italia, si attesta su valori piuttosto elevati, attorno al 25 %. Per quanto riguarda le aree geografiche di provenienza prevalgono i Paesi africani (Nord Africa 25%, Centro Africa 12%), seguono i Paesi dell’Est Europeo (31%), la Cina (15%), quindi con percentuali sotto la soglia del 10% i Paesi del Subcontinente indiano (9%), del Sud America (5%)3. 5.1 La percezione-rappresentazione dei bambini di altre culture L’analisi delle unità di significato relative alla prima domanda: “Sulla base della sua esperienza, che cosa comporta la presenza di bambini di altre culture nel gruppo classe/sezione?”ha portato all’identificazione di dodici categorie, dall’esame delle quali è scaturito un successivo livello di strutturazione dei dati. Risaltava con evidenza, infatti, il punto di vista adottato dalle educatrici ed insegnanti nel rispondere alla sollecitazione. Tale punto di vista era prevalentemente quello dell’insegnante, rispetto a quello dei diversi attori (bambini e genitori) presenti sulla scena educativa. All’interno delle cinque categorie riguardanti l’assunzione del punto di vista dell’insegnante, una soltanto si connota positivamente (“stimolo per l’insegnante”), le altre quattro segnalano ambiti nei quali, la presenza nella propria sezione di bambini di altre culture, viene percepita come problematica. La tabella n.1 illustra le categorie emerse e i diversi punti di vista adottati nelle risposte. Dal punto di vista dell’educatrice o insegnante 3 Stimolo per l'insegnante Difficoltà per l’insegnante: maggiore impegno sul piano didattico 3. Difficoltà per l’insegnante nella comunicazione verbale con i bambini di altre culture 4. Difficoltà per l’insegnante nella relazione con i genitori di altre culture 5. Difficoltà per l’insegnante nella relazione con i bambini di 1. 2. La percentuale residua è relativa ad altri Paesi non raggruppabili (3%). altre culture Dal punto di vista dei bambini 1. 2. Opportunità per i bambini: confronto con la diversità Difficoltà per i bambini di altre culture Dal punto di vista dei genitori 1. 2. Arricchimento reciproco per le famiglie Difficoltà per i genitori Non specificato 1. 2. 3. Arricchimento reciproco A volte ostacolo, a volte arricchimento Nessun problema L’analisi quantitativa delle unità di significato (etichette) evidenzia una prevalenza, se pur minima, della percezione di difficoltà (44%) rispetto a quella di arricchimento (42%), cui fa seguito una posizione ambivalente “ostacolo e arricchimento”(10,5%) ed infine una neutrale “nessun problema” (3,5%). Si potrebbe sintetizzare con un’immagine questa percezione dei bambini di altre culture: quella di un soggetto metà risorsa e metà problema. Si tratta di una rappresentazione che non si discosta molto da quella rilevata nei contesti della scuola primaria e secondaria, di cui hanno dato conto alcune ricerche condotte negli scorsi anni (Bettinelli G., Demetrio D., 1992; Ciccardi F., 1994; MIUR, 2001; Selleri P., 2005). In questi ordini scolastici l’alunno straniero - soprattutto se di recente immigrazione - può essere considerato “problematico e suscitatore di ulteriori problemi sia per l’insegnante, che si sente chiamato ad un ulteriore sforzo e impegno senza magari avere la preparazione necessaria, sia per la classe nel suo complesso, nel senso che può far perdere tempo e rallentare il programma” (Kanitzsa, 2007). Di segno opposto la rappresentazione dei bambini stranieri come ambasciatori di culture diverse, testimoni viventi di altri mondi, usi, costumi e tradizioni. Bambino problema Nella nostra indagine le maggiori difficoltà rilevate sono a carico delle insegnanti che segnalano un aumento del carico di lavoro sul piano didattico e ostacoli a livello di comunicazione linguistica con i bambini, in modo particolare in relazione ad alcune culture di provenienza (quella cinese) e alla fase iniziale del loro inserimento. L’elevato numero di bambini per classe, la scarsità di risorse umane a disposizione (mediatori e ore aggiuntive per le insegnanti) sono le ragioni determinanti la situazione problematica. Bambino risorsa Gli aspetti positivi che emergono maggiormente sono l’arricchimento tra pari derivante dall’incontro di culture ed etnie diverse. In più di una affermazione la diversità appare associata a paure da superare, sia da parte dei bambini che dei loro genitori ed è piuttosto forte l’idea che l’affrontare fin da piccolissimi la diversità sia per i bambini “un grosso vantaggio per la loro crescita personale”. I dati provenienti dalle interviste mettono in luce aspetti differenti e decisamente più positivi. I bambini provenienti da altre culture richiedono alle insegnanti una diversa articolazione del fare scuola: disponibilità, attenzione e apertura “verso stili educativi altri”, “capacità di mettersi in gioco, in relazione”. Sollecitano una crescita dal punto di vista professionale (e personale) attraverso un ripensamento delle pratiche, degli stili relazionali, del proprio modo di porsi di fronte a ciò che è sconosciuto e diverso. Nella pratica educativa la diversità “porta a rompere schemi rigidi e consolidati, a cercare nuove strategie e soluzioni”. Un’operatrice afferma che “è la condizione più favorevole per misurare veramente il passo su bambine e bambini reali nella progettazione delle attività”. Infatti, “ogni bambino ha caratteristiche e problematiche diverse, alle quali ogni insegnante dovrebbe porre particolare attenzione”. Altre considerazioni mettono in evidenza come la valorizzazione delle differenze sia una pratica trasversale che avvantaggia tutti i bambini:“tutto cambia in classe quando c’è un bambino di altra cultura”. Sono i bambini di altre culture che pongono prepotentemente il problema dei limiti di una scuola che fa della parola l’asse portante di tutte le attività. Il codice linguistico non è che uno dei cento linguaggi dei bambini, per cui la necessità di diversificare le proposte didattiche e i registri comunicativi conduce a risultati positivi per tutti i bambini. L’indagine ha consentito di focalizzare ulteriori questioni a proposito dell’integrazione. A fronte di un’idea piuttosto diffusa di una facile e spontanea integrazione tra pari, alcune interviste mettono in evidenza il ruolo centrale che in essa svolgono i condizionamenti pregiudiziali degli adulti (insegnanti e familiari). L’arricchimento reciproco è possibile solo là dove c’è azione consapevole e intenzionale dell’insegnante: la qualità positiva o negativa della diversità dipende sempre dall’adulto che gestisce il gruppo, dal modo in cui egli sente e vive il rapportocon il diverso da sé, con l’altro, in una parola dipende dalle sue competenze interculturali. Vigilare su questi aspetti attraverso la consapevolezza di sé e delle proprie precomprensioni è conditio sine qua non perché la scuola diventi davvero un laboratorio privilegiato dell’integrazione, altrimenti essa non fa che riprodurre gli stereotipi culturali esistenti che incasellano l’altro in una semplificata e anonima diversità. 5.2 Il rapporto con le famiglie di altre culture Nei servizi educativi dell’infanzia il rapporto con le famiglie riveste un’importanza fondamentale. Non è mai un gesto facile e indolore affidare il proprio piccolo alle cure di chi ci è estraneo, così come non è facile accoglierlo e averne cura quando mancano le parole per allacciare mondi lontani. I dati quantitativi evidenziano che la maggiore difficoltà che le educatrici e insegnanti incontrano nel rapporto con le famiglie riguarda la comunicazione linguistica che raccoglie il 75% delle unità di significato relative a questa domanda. Solo come seconda risposta vengono nominate problematiche connesse a fattori legati alle differenze culturali 4. “Il problema principale è la lingua”, i genitori “non capiscono quello che noi diciamo loro”. L’analisi qualitativa restituisce a questo proposito l’immagine di un servizio educativo che tende prevalentemente a dire piuttosto che ad ascoltare. Così il problema diffusamente lamentato della scarsa partecipazione dei genitori stranieri alla vita scolastica, mette in luce l’imporsi di una particolare concezione della scuola, ripiegata su se stessa e poco aperta alle differenze culturali. Dalle interviste emerge una maggiore complessità e una diversa sensibilità delle operatrici. Chi riesce a tener conto delle diverse prospettive, la propria e quella dell’altro, afferma: “noi facciamo più fatica per la lingua, loro per abitudini diverse dalle nostre, anche le più semplici, come quelle di cura del bambino” e diventa quindi comprensibile l’impatto che può comportare l’incontro con “un diverso investimento sull’infanzia”, vale a dire una diversa concezione di bambino, diverse modalità relazionali, differenti metodi educativi e gesti di cura. Un’insegnante in modo assertivo afferma che il problema per i genitori stranieri quando entrano nei nostri servizi educativi è quello di “sentirsi accolti e accettati per davvero”. Quando ciò avviene sono i genitori stranieri ad esprimere in misura maggiore la gratitudine alle insegnanti per quello che la scuola fa per i loro figli e a confidare le loro perplessità per il passaggio al grado successivo. C’è chi riscontra in loro molta disponibilità “ce ne sono che vorrebbero avvicinarsi a noi, alla nostra cultura, ma anche noi dobbiamo fare un passo in più nei loro confronti”. Per avere la loro collaborazione è fondamentale “trovare le parole giuste, avvicinarli nel modo giusto” con tatto e sensibilità. È interessante segnalare come i problemi dell’integrazione dei genitori stranieri offrano lo stimolo per ripensare più in generale ai rapporti tra scuola e famiglia. La grande crisi educativa che attraversa il nostro tempo impegna tutte le istituzioni (di ogni ordine e grado) alla ricerca di nuove e non formali alleanze con le famiglie, oggi indispensabili se si ha a cuore la crescita delle nuove generazioni. 6. La valorizzazione della lingua e della cultura di origine Poiché la lingua è un veicolo fondamentale della cultura, abbiamo esplorato le opinioni e le pratiche delle partecipanti al Progetto “Leggere per crescere – Intercultura”, in merito al riconoscimento e alla valorizzazione del patrimonio linguistico del bambino. Sono solite le educatrici e insegnanti parlare della lingua materna con i genitori? Dare consigli circa il suo uso in famiglia? Il 65% delle educatrici e insegnanti risponde negativamente o afferma di entrare nel merito di questo argomento assai raramente. Dagli enunciati che accompagnano le risposte negative, si evince talora una sorta di pudore ad entrare nel mondo familiare: un’educatrice dice di non dare consigli perchè ritiene “sia una In questa categoria il rapportarsi agli usi e costumi italiani appare come l’elemento più problematico delle differenze culturali (44,26%), cui fanno seguito la difficoltà nel capire come funzionano i nostri servizi dell’infanzia (19,67%), nel confrontarsi con metodi educativi e stili di allevamento diversi (11,48%) e infine la difficoltà nel conformarsi alle nostre regole (8,20%). 4 cosa troppo intima, che non richiede invadenze”, talaltra un’implicita svalorizzazione: “nelle assemblee, se capita, viene detto di usare la lingua madre senza sentirsi in colpa”. D’altro canto se entriamo nel merito delle risposte positive, scopriamo che i consigli che vengono dati sull’uso della lingua nel contesto familiare sono prevalentemente indirizzati all’utilizzo sia della lingua materna che dell’italiano (45%), solo meno della metà (41%) delle operatrici che hanno l’abitudine di dare consigli (quindi solo il 15% dei soggetti della ricerca) li esprime a favore della lingua d’origine, il restante 14% a favore della lingua italiana. È evidente la preoccupazione delle insegnanti per un adeguato apprendimento della nostra lingua ai fini dell’integrazione scolastica. Le interviste invece evidenziano un diffuso riconoscimento dell’importanza per il bambino di conoscere e conservare la lingua materna. C’è consapevolezza del fatto che, anche per i genitori, perdere la propria lingua significa perdere la propria origine, la propria identità. La lingua rappresenta la continuità con la propria cultura, con le proprie radici, il sostrato degli affetti più profondi. Talvolta sono i bambini stessi ad essere riluttanti a parlare a scuola nella loro lingua. Racconta un’insegnante che capita qualche volta sentirli parlare tra di loro nel gioco, un gruppetto di tre o quattro provenienti dallo stesso paese: “Chiedo fatemi imparare qualche parolina. E loro stanno zitti, non dicono niente. Come se la lingua non la sapessero, come se fosse una cosa che non devono fare”. 7. Osservazioni conclusive La ricerca nel cogliere le difficoltà delle operatrici intercetta un diffuso bisogno di formazione. Ma quale formazione? La domanda esplicita va nella direzione di una maggiore conoscenza delle altre culture, culture per lo più intese come realtà statiche e indipendenti dalle persone che le veicolano. Ciò che sembra mancare è la consapevolezza della natura processuale e dinamica propria dei processi di acculturazione e la prospettiva interculturale che chiede all’operatore di mettersi in discussione e assumere la postura di chi è continuamente in ascolto e in ricerca. Ad essere cruciale è la realtà dell’incontro con l’altro-diverso nella sua dimensione relazionale. Per poter fare spazio all’altro occorre fare un passo indietro, prendere consapevolezza delle proprie griglie mentali, della propria arroganza culturale e della difficoltà tutta umana di affrontare ciò che ci estraneo. Riflettere sulle rappresentazioni, sulle precomprensioni diventa quindi un momento irrinunciabile al quale ancorare percorsi di crescita professionale, in modo particolare quando essi si muovono nella direzione dell’interculturalità perché si tratta in fondo di trovare uno sguardo diverso non solo sull’altro, ma con l’altro. Bibliografia Altet, M. (2003). 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