PIT 7 IN RETE Territori tra sostenibilità e
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PIT 7 IN RETE Territori tra sostenibilità e
PIT 7 IN RETE Territori tra sostenibilità e internazionalizzazione A cura di: Luca Carbone Stefano Magnolo 1 Foto di copertina e scheda di Angela Serafino In un contesto discorsivo di internazionalizzazione e sostenibilità del territorio mi è sembrato pertinente riferirmi alla semplicità di una presenza, quale quella della piantina di basilico, della quale esistono più di trenta varietà. Ho scelto, per la copertina del volume, quella conosciuta come basilico greco (Ocimum basilicum Minimum L.) varietà violetta, per riportare l’attenzione alla diffusione della pianta in Europa. Una pianta così modesta e popolare si porta dietro una scia narrativa rintracciabile in latitudini geografiche e antropologiche ampissime; scia che si interfaccia con la sacralità, con la mitologia, con la cultura popolare, con la botanica, con la letteratura, con il cibo. Il basilico (Ocimum basilicum L.) porta nel nome il profumo regale (basileus), è originario dell’India e la parola sanscrita che lo indica è tulsi o tulai, e significa “ciò che non ha paragoni”, il suo nome botanico è Ocimum sanctum. È conosciuto (diffuso) parimenti in Cina, in Australia, in Africa, in Brasile. La diffusione in Europa la dobbiamo ai Greci. La presenza del basilico, per gli antichi, era indice dello stato di buona salute del terreno; nella tradizione popolare adempie all’importante funzione di allontanare i demoni. Oggi non sorprende ritrovarlo nei piccoli vasi sulla soglia delle case… La presenza di una tradizione è visibile nei particolari minimi e nel suo dislocamento. Mi è sembrato simbolo non artificioso di una geografia già aperta, per un territorio che vuole crescere. Ringrazio per la loro gentilezza e competenza i miei amici Quintino Garzia, Raffaele Puce, Francesco Minonne. 2 Prefazione Roberto Laera Presidente Form 360……………………………………………..……….p. 4 Introduzione Opportunità e vincoli nello sviluppo locale Stefano Magnolo e Luca Carbone…………………………………………………..………p. 7 Sviluppo e territorio: un’analisi desk Stefano Magnolo…………………………………………………………………………….………p. 14 Il potere territoriale come legame e come risorsa Luca Carbone………………………………………………………………………………….……..p. 50 Lo sviluppo territoriale brindisino. Prospettive e complessità secondo alcuni testimoni privilegiati Carla Izzi e Giuseppe Gaballo………………………………………………………….…...p. 80 I potenziali dell’Internazionalizzazione in Provincia di Brindisi Maria Pia Brienza e Simona Trento………………………………………………………p. 108 3 Prefazione Di Roberto Laera La crescente competizione a livello globale delle imprese ha scatenato la concorrenza tra aree geografiche di varia grandezza. Ogni territorio vuole un ruolo preminente nel mercato e cerca di razionalizzare le proprie risorse e di sfruttare le proprie potenzialità per crescere. La presa di coscienza, da parte di residenti, uomini politici ed imprese presenti sul territorio, di essere dotati di caratteristiche peculiari aventi capacità attrattiva per altre imprese, turisti ed investitori li spinge a valorizzare queste caratteristiche ed a farle conoscere all'esterno, al fine di catturare l'interesse di quelle imprese potenzialmente interessate e di acquisirle nella propria area ottenendone benefici, sia da un punto di vista economico (maggiore occupazione, delle entrate fiscali maggiori grazie alle imposte su nuove imprese), che sociale (maggiore vivibilità dell'area, maggiore benessere, maggiori infrastrutture realizzate con le entrate fiscali). La Puglia, collocata alla periferia dell’Europa sud-orientale rappresenta oggi, per i popoli e per le Istituzioni di quest’area, un punto di riferimento fondamentale e un crocevia d’obbligo verso le terre dell’Adriatico e del Mediterraneo, secondo vocazioni e direttrici segnate da secoli. Risulta pertanto di primario interesse rafforzare il suo ruolo internazionale al fine di assumere un posizione di coautore nella politica internazionale italiana ed europea. Quest’area allargata e dalla forte potenzialità economica, è di fatto considerata come una regione europea strategica nello sviluppo dell’Europa Comunitaria, in particolare per i Paesi dell’Europa centro-orientale e balcanica. Il progetto PIT 7 in rete, si colloca in questo contesto e persegue questo obiettivo, considerando il ruolo assunto dal tema dello sviluppo locale e del marketing come leva fondamentale per realizzarlo; un tema che ha conquistato negli ultimi anni non solo le cattedre accademiche ma anche il mondo dell’imprenditoria. Il presente progetto si è posto l’obiettivo, nella fase di ricerca, di individuare le principali filiere produttive attive sul territorio oggetto di indagine. Ciò ha consentito di ricercare, nelle successive fasi di analisi, realtà extraterritoriali che offrono possibili opportunità di interscambio e di reciproca crescita, in coerenza con uno sviluppo sostenibile ed equilibrato del territorio, attraverso il rafforzamento della coesione (economica, sociale, territoriale), la valorizzazione accorta delle risorse naturali e culturali, il miglioramento della competitività regionale. L’obiettivo della fase di ricerca transnazionale, in linea con gli obiettivi della fase II di attuazione 2004-06 del POR Puglia, ha permesso di sviluppare un’analisi, che ha individuato, per le 4 filiere dei prodotti “appetibili” del territorio del PIT 7, una rete di partner internazionali. Durante la fase di sperimentazione si è realizzato un sistema on line di gestione dei contenuti, comunicazione ed erogazione di servizi al territorio. Tale sistema contribuirà a sviluppare comportamenti integrati fra tutti gli Enti aderenti al progetto. Attraverso tale azione si è voluto dotare il progetto degli strumenti tecnologici necessari per superare il limite della distanza geografica e consentire una comunicazione rapida e soprattutto multilaterale, creando quei momenti di scambio e di condivisione necessari per valorizzare a livello territoriale le diverse esperienze maturate durante la sperimentazione. L’intento è creare un network per la condivisione della conoscenza e delle esperienze, a favore di una promozione del territorio. L'utilizzo di regole di marketing nel processo di valorizzazione del territorio e di attrazione degli investimenti esterni, trova la sua giustificazione nella necessità di avvicinarsi sempre più, utilizzando un appropriato processo di segmentazione, alle esigenze del mercato target per essere in grado di offrire un "prodotto" definito, cioè un pacchetto localizzativo in grado di soddisfare appieno le esigenze delle imprese, oggetto delle politiche di valorizzazione. Dalla fase conoscitiva appena conclusa, emergeranno dei punti di forza e di debolezza interni all'area e delle opportunità e svantaggi dipendenti dalla concorrenza. Questi risultati saranno di estrema importanza per la realizzazione della pianificazione strategica orientata al marketing. Il processo di pianificazione dovrà, infatti, tendere a rafforzare i punti di forza nel breve periodo ed attenuare ed infine eliminare i punti di debolezza nel medio lungo periodo. Allo stesso tempo sarà suo compito tendere a volgere a proprio vantaggio le debolezze delle altre aree, riducendo così gli svantaggi competitivi dell’area brindisina. Il progetto PIT IN RETE si è articolato in 5 fasi operative, di cui 3 specialistiche e 2 trasversali secondo lo schema seguente: 5 Le ricerche e le analisi svolte saranno disponibili on line all’indirizzo www.pit7inrete.eu , in versione bilingue, e sono state raccolte in questo volume per essere agevolmente consultate dagli stake-holder (imprenditori, manager, pubblici funzionari…) coinvolti nei processi di promozione e valorizzazione del territorio del Pit 7. 6 Introduzione Opportunità e vincoli nello sviluppo locale Di S. Magnolo e L. Carbone Nell’ambito della letteratura sullo sviluppo, l’analisi del distretto industriale costituisce un’acquisizione fondamentale per lo studio dello sviluppo locale. La sua affermazione (cfr. Becattini e Sforzi, 2002) non è un fatto pacifico e indolore, in quanto la determinazione dell’unità territoriale d’indagine doveva imporsi in un campo di ricerca tradizionalmente indifferente a tale questione, quale è l’ambito dell’analisi economica dello sviluppo. A questa acquisizione ha fatto seguito il “riconoscimento” del distretto nel territorio: alla ripartizione del territorio in sistemi locali del lavoro, e dunque, potremmo dire, in contesti localizzati di interazioni tra economia e società, segue l’identificazione dei distretti sulla base di caratteristiche sociali ed economiche dei sistemi locali. Un sistema locale che può avere diversa natura: rurale o turistica, oppure essere anche una grande città (cfr. Bagnasco, 2002). Da questo punto di vista esiste il problema di fondo dell’ambito territoriale della ricerca: la ripartizioni amministrative per gli studi empirici sarebbero frutto di un comportamento “ingenuo”, sebbene la determinazione dell’ambito geografico è cruciale per la sua significatività. Ai fini dell’analisi, più che la questione della “settorializzazione”, interessano gli strumenti e i metodi della ricerca, e i problemi della validazione sul campo dei suoi risultati (cfr. Becattini, Sforzi, 2002). Dal punto di vista teorico rileva il fatto che l’individuazione sul territorio dei sistemi locali del lavoro e dei distretti industriali ha dato vita ad una nuova branca di studio ancora insospettabile prima degli anni Novanta, e che questa “territorialità” dell’analisi economica si caratterizzi per la proiezione di differenti scenari di interazione tra economia e società. Da un altro punto di vista, si potrebbe parlare di apertura, o di sovrapposizione di confini disciplinari. È una prospettiva che si legittima in base ad una “disobbedienza dei fatti alla teoria economica” (cfr. Dematteis, 2002) tematizzata in relazione ad avvenimenti di portata nazionale, europea e mondiale negli anni Settanta, che, di fatto, legittimavano la rilevanza del riferimento a contesti locali e regionali, del tutto estraneo alla teoria economica. Questa legittimazione ha prodotto il riconoscimento dell’insufficienza di una teoria puramente economica per lo studio di fenomeni complessi, dando vita ad un approccio multidisciplinare che di fatto non metteva in discussione le premesse della teoria, ma costituiva un tentativo di integrarla con approcci di altre discipline, per le quali la dimensione locale costituiva già un autonomo contesto di analisi, per poter dar conto dei “fatti”. Tutto ciò è positivo, anche se a distanza di qualche anno si procede ancora per tentativi, sempre più attenti, di dare una risposta ai quesiti relativi allo sviluppo locale, che Beccattini (2002, p. 42) così riassume: “perché esso è un processo selettivo e geograficamente differenziato; quali sono le condizioni del suo apparire e i meccanismi del suo evolversi; quali rapporti esso ha con lo sviluppo del sistema economico complessivo; quali strutture esso presenta e a quali tipologie riconducibili; quali variabili del processo sono regolabili dall’esterno; a quale livello (locale, regionale, nazionale) gli interventi sono più efficaci ecc.”. 7 In questo modo, tuttavia, rileva l’autore, si finisce col dare per scontato che si sappia di cosa si stia parlando, quando si parla di “sviluppo locale”, mentre una seria definizione scientifica non ha mai portato a risultati soddisfacenti. Una mancanza che non sembra imputabile ad una debolezza della teoria, quanto, piuttosto, ad una indeterminatezza che è propria del concetto di sviluppo. E proprio in questa indeterminatezza consiste il suo “valore” intrinseco. Non a caso il concetto di sviluppo si afferma nel linguaggio politico-sociale della modernità poiché, da una parte, esprime una tensione temporale rivolta al futuro, e dall’altra, legittima l’azione politica volta alla sua realizzazione. Insieme ad altri concetti (evoluzione, progresso), sviluppo si presta ad interpretare l’istituzionalizzazione del cambiamento legato alla rottura con le strutture della tradizione ed al ribaltamento della strategia temporale di legittimazione della dimensione sociale e delle sue istituzioni. L’esperienza moderna è esperienza del mutamento costante, dello svanire dell’esperienza, come la definisce Koselleck (1986). La struttura temporale dei concetti poggia sull’apertura di un orizzonte di aspettativa necessariamente rivolto al futuro che si dischiude solo con l’età moderna. Quei concetti, allora, costituiscono delle “forme vuote della dimensione temporale” che devono essere riempite: “La definizione dell’età moderna come periodo di transizione non ha ancora perduto nulla della sua epocale evidenza. Un criterio infallibile di questa età moderna sono i suoi concetti di movimento: come indicatori del mutamento sociale e politico e come fattori linguistici della formazione di coscienza, della critica ideologica e del controllo del comportamento” (Koselleck, 1986, p. 299). Questo legame tra difficoltà di comprendere e descrivere adeguatamente l’esistente, cui le condizioni tecnico-industriali imprimono un continuo mutamento, e le possibilità semantiche offerte dall’alto grado di astrazione e generalità di concetti quali “sviluppo”, sostiene l’idea della possibilità di conseguire uno “sviluppo congiunto” dei diversi ambiti del sociale: politica, diritto, educazione, economia. Nonostante le dinamiche complessive delle trasformazioni della società mostrino che gli ambiti della sua articolazione strutturale abbiano raggiunto con la modernità una razionalità loro propria non riducibile ad unità. Una idea che persiste nell’illusione perpetuata dalla politica che vede se stessa come fattore di mutamento sociale ed il diritto come lo strumento di trasformazione della realtà (De Giorgi, Corsi, 1998, pp. 19-21). Sin dal 1850, nota Wieland, il concetto di sviluppo fornisce uno dei topoi più utili alla discussione politica. In particolare, si continua a sostenere che siano continuamente in corso sviluppi in ogni ambito sociale e la necessità di orientare l’azione alla esecuzione, agevolazione o canalizzazione di questi sviluppi obiettivamente esistenti. Ad oggi, la parola sviluppo è parte irrinunciabile del linguaggio della vita politica, sociale e commerciale (Wieland, 1998, pp. 199-228). E questo anche grazie alle sue caratteristiche di approssimazione, generalità ed astrazione: nella mancanza di precisi referenti teorici ed empirici si giustificano mezzi sempre diversi per il raggiungimento di un obiettivo che si presume condiviso. La teoria economica non ha potuto fare a meno di occuparsi di sviluppo se non in relazione alle teorie della crescita. In questo ambito non era possibile pensare allo sviluppo al di fuori di un contesto che contrappo8 neva arretratezza a industrializzazione, paesi industrializzati da un lato e paesi in via di sviluppo dall’altro. In questo modo, economia e politica riproducevano “i due capisaldi dell’immaginario moderno: il mercato come fattore di superamento dell’arretratezza e l’intervento politico (…) come fattore di risoluzione definitiva dei conflitti sociali. Da un lato la capacità di autocorrezione della modernità, dall’altro la volontà riformatrice verso la modernizzazione” (De Giorgi, Corsi, 1998, p. 9). Si tratta, proseguono i due autori, di “due varianti della vecchia utopia del progresso” che, in Italia, “troveranno la loro unità nel dopoguerra, quando si impone definitivamente l’idea che la diversità del Sud possa essere compensata mediante sviluppo”. In un certo senso la possibilità di ragionare in termini di sviluppo locale contribuisce a ridurre i margini di astrazione del concetto, rispetto ad una tradizione di studi economici che teorizzava modelli e meccanismi di sviluppo astratti, basati su dati esclusivamente economici e indifferenti alla dimensione territoriale. Il riferimento al territorio, al contrario, è funzionale all’individuazione di spazi di intervento mirati: è possibile descrivere arretratezze e punti di forza specifici. Se esistono modelli efficaci di sviluppo locale diventa controversa la loro applicabilità a contesti territoriali diversi. Specificità territoriali richiedono interventi differenziati che solo limitatamente possono giovarsi di modelli applicati altrove. Soprattutto se lo sviluppo locale deve valorizzare risorse endogene, “esasperando” specificità culturali derivanti da tradizioni e patrimoni non riproducibili altrove in quanto espressione di una interazione peculiare tra istituzioni, territorio e popolazione. Questa “emersione del locale” convive con fenomeni di globalizzazione che complicano il quadro delle interrelazioni tra macro- e micro-aree di intervento. È ormai condivisa in letteratura la compresenza di fenomeni di convergenza e divergenza tra aree geografiche differenti, anche molto lontane fra loro. Sembra così che, a fronte di una tendenza al livellamento delle distanze e di una sostanziale estensione mondiale delle logiche di funzionamento dei mercati, il fallimento delle politiche di welfare abbia prodotto una sorta di indebolimento delle certezze biografiche ed esistenziali conquistate dai paesi industrializzati, sul modello dei paesi in via di sviluppo (Beck). Mentre, per questi ultimi, la globalizzazione dell’economia e degli scambi non si risolve necessariamente in maggiore sviluppo, ma produce un rafforzamento delle differenze e della disuguaglianza. In questo quadro il gioco delle interdipendenze funzionali complica enormemente il rapporto tra globale e locale. La conquista della modernità aveva trovato nell’attuazione del welfare state il contrappeso alla istituzionalizzazione del cambiamento e la compensazione delle incertezze e delle disuguaglianze. Solo l’illusione, probabilmente, di garantire sicurezza e stabilità alle aspettative di vita dei cittadini delle moderne società occidentali, per i quali la rottura con le strutture della tradizione assicurava maggiore libertà e benessere a fronte di un aumento dei rischi. La vicenda storica del Meridione d’Italia ripropone all’interno dei confini nazionali la contrapposizione tra l’industrializzazione ed il benessere del Nord e un Sud arretrato. Tramontata l’epoca della “Questione Meridionale”, lo sviluppo del Sud legato alla logica di interventi, se non più “straordinari”, almeno mirati è ancora fra le priorità dell’agenda politica. Così come è cambiata, a fronte della globalizzazione, la logica degli interventi in favore dei paesi sottosviluppati o in via di sviluppo, e la loro denominazione. Ora come allora, resta invariata, con le dovute differenze tra il piano 9 nazionale e quello globale, la convinzione della necessità di sostenere uno sviluppo obiettivamente operante, pur nella consapevolezza che è sempre più difficile governare il cambiamento. Le trasformazioni a livello mondiale osservabili negli ultimi trent’anni hanno mutato lo scenario ed il contesto delle interdipendenze tra ambiti sociali e aree geografiche differenti. In questo quadro, il rischio e l’incertezza che avevano caratterizzato una descrizione della società nella modernità avanzata assumono dimensioni esasperate. A queste condizioni, ci chiediamo: cosa significa pianificare sviluppo? Non ha più senso differenziare approcci in base alle discipline: esiste o dovrebbe esistere una convergenza nella considerazione dello sviluppo locale non più come un fatto meramente economico, ma come un processo complesso che investe dimensioni differenziate e interrelate. Il territorio, inoltre, non solo diventa centrale nella concettualizzazione dello sviluppo, ma costituisce una modalità di declinazione per interventi non più astrattamente disponibili, ma calibrati sulle specificità dei luoghi. L’affermazione della opportunità di un approccio multidisciplinare all’analisi dello sviluppo, costituisce il riconoscimento della difficoltà di comprendere la crescente complessità delle strutture a partire da un punto di vista “esclusivo”, quale, ad esempio, quello economico. L’aspetto paradossale della necessità di indagare le interazioni tra economia e società risulta evidente se si riflette sul fatto che questa tematizzazione di interrelazioni complesse convive con l’assunto che “mediante un fattore si possa indurre una catena di cause/effetti positiva” (cfr. De Giorgi, Corsi, 1998, p. 20). In altre parole, se da una parte si afferma la complessità crescente delle strutture economiche, tecniche, sociali e politiche e, con il richiamo alla multidisciplinarietà si riconosce la diversità degli approcci teorici e delle dinamiche che governano ogni ambito, dall’altra, si continua a sostenere un modello di intervento basato su una logica di tipo lineare. Anche la rivendicazione della centralità del territorio, se ha, fra gli altri, l’indubbio merito di sottolineare la volontà di sfuggire ai determinismi, consegnando il destino dei luoghi agli attori locali che diventano artefici della loro storia, in fin dei conti riproduce un modello basato su “premesse finalistiche e causali-lineari” (De Giorgi, Corsi, 1998, p. 21). Un modello che presuppone la possibilità di individuare fattori capaci di produrre sviluppo secondo delle linee coerenti. Molti settori della ricerca scientifica e tecnologica hanno abbandonato da tempo quelle premesse, notano De Giorgi e Corsi, che così concludono: “Ci troviamo quindi con il problema, oggi ancora insoluto, di come sostituire quelle premesse, sapendo che la raffinatezza di molte ricerche compiute in ambito scientifico non può essere tradotta automaticamente in direttive decisionali per la politica. Il sapere della complessità, tanto di moda da qualche decennio a questa parte, è ancora da costruire”. Nella logica di quanto qui esposto sinteticamente i contributi del volume, complessivamente, mirano, in primo luogo a disambiguare il concetto di sviluppo locale, nelle sue possibili declinazioni teoriche. Questo compito è stato assolto, relativamente ai limiti della presente ricerca, nei primi due contributi, quello di Magnolo e quello di Carbone. Magnolo ha condotto un’analisi ragionata di recenti e rilevanti contributi teorici allo studio dello sviluppo locale. Carbone incrocia contributi teorici con analisi empiriche allo scopo di far emergere alcune valenze del concetto di territorio, connesse in particolare all’intreccio tra relazioni sociali informali e contesti istituzionali. 10 Sulla base di una prima ricerca desk e di un tavolo di lavoro dedicato, è stata elaborata la traccia per un’intervista qualitativa da somministrare ai testimoni privilegiati del territorio del PIT7. Il terzo contributo del volume, a cura di Izzi e Gaballo, oltre a fornire un inquadramento economico dell’area del PIT 7, analizza e commenta le interviste. Da queste emergono due potenziali linee di sviluppo dei processi di internazionalizzazione. Il quarto contributo, a cura di Brienza e Trento, sintetizza l’ambito operativo individuato dalla Regione Puglia per l’internazionalizzazione, fornisce delle schede di riferimento a programmi regionali, nazionali, e interregionali; approfondisce i contesti individuati nella presente ricerca per la promozione dell’internazionalizzazione della Provincia di Brindisi, sia riguardo ai prodotti e ai servizi, che riguardo ai paesi esteri co-interessati. Come ha scritto Giannotti “Le vie della ricerca sono davvero infinite; sono le buone ipotesi che scarseggiano sempre”. Con le analisi fornite in questo volume si vuole contribuire a limitare il campo potenzialmente infinito della ricerca, che, come già sapeva uno dei fondatori della sociologia, Albion Small rischia di disperdersi nell’insignificante, e dall’altro proporre qualche, almeno potenzialmente, buona ipotesi di ricerca, ma anche di intervento. Come emerge dalla letteratura il concetto di “sviluppo locale” presenta i tratti di “quei termini storici la cui peculiarità, secondo Nietzsche, è proprio quella di non lasciarsi definire” in quanto affermava “tutti i concetti in cui si riassume semioticamente un intero processo si sottraggono alla definizione: definibile è soltanto quel che non ha storia” (Istituto per la ricerca sociale di Francoforte, 1966, p. 29). Naturalmente il rimando alla complessità dei processi non è un invito ad accontentarsi di facili schematizzazioni concettuali, quale ad esempio quella che imputa qualunque responsabilità negativa o qualunque positiva opportunità alla globalizzazione. La globalizzazione, ci si passi il paradosso, è un concetto locale, con pretese universali. Come, di recente, ha messo ben in luce Raewyn Connell: “Le antinomie dentro la teoria della globalizzazione, quali l’opposizione globale/locale e gli argomenti caotici circa il potere, sorgono dalla logica incentrata su dinamiche metropolitane, non da corrispondenze verificate. La retorica e la performatività della teoria della globalizzazione costruisce una relazione con i lettori metropolitani, e le teorie sociologiche si auto-producono come teorie del Nord del mondo” (2007). Il concetto di globalizzazione è, secondo la Connell, localizzato appunto nelle grandi infrastrutturate e iper-regolamentate, aree metropolitane del Nord del mondo, soprattutto. Perché occorre prendere le distanze dalla generalizzazione indiscriminata del concetto di globalizzazione? Perché favorisce il diffondersi della convinzione, tanto tenace quanto parziale, che modelli di logica di pianificazione e d’intervento, siano “esportabili”, sotto l’etichetta di “best practices”, da aree dove abbiano “funzionato”, ad aree con bassi indici di crescita e produttività. L’applicazione di una buona prassi funzionante in A nel contesto B, dà per scontato l’omogeneità dei contesti. Proprio quella che invece è da verificare, se nel concetto di “sviluppo locale”, l’aggettivo locale pesa almeno tanto quanto il sostantivo sviluppo. Molto cioè, dipende da come si definisce il “locale”; da che cosa si intende per “locale”. Il “locale” non è il globale su scala ridotta. Le differenze di dimensione non sembrano sufficienti, da sole, a definire il “locale”. E soprattutto un “locale” caratterizzato da dinamiche storiche, in certa misura, au11 togene, come quelle delle regioni meridionali in generale, e della provincia di Brindisi, in particolare. Certo è da respingere, e non per motivi ideologici, perché si sarebbe ideologicamente contrari al mercato; ma per motivi analitici, è da respingere ogni lettura solo “economicista” delle questioni legate al “locale”. L’analisi economica è una componente fondamentale per la comprensione delle dinamiche dello sviluppo locale, ma non è, e non può essere, l’unica. I legami sociali – e legami è usato con un occhio all’etimologia “ciò che tiene legati, che tiene assieme”, e tra i suoi sinonimi segnalati dal dizionario del programma Word troviamo corde, legacci e persino catene – i legami sociali non sono meno, e forse a volte sono più, determinanti che quelli economici (siano strutturali, infrastrutturali, finanziari). Anche per questo si è scelto, tra l’altro, di dare enfasi analitica al concetto di “territorio”. Come invito all’esercizio di un approccio multidisciplinare, dal punto di vista della ricerca teorica. E come invito all’elaborazione di strategie concrete, nell’ottica degli interventi da implementare. Le classifiche stilate sulla base di indicatori socio-economicoculturali, da organismi sia nazionali che internazionali, vedono la nostra Regione, e le Province, quasi regolarmente, nelle ultime posizioni. Il divario tra i nostri territori e quelli più produttivi del Centro e del Nord potrebbe essere definito “allarmante”. Sottolineiamo questo punto perché, in uno scenario geo-politico mondiale già sottoposto a tensioni per i flussi finanziari globali, per l’approvvigionamento di risorse “scarse” in relazione ai ritmi di consumo, per le imponenti migrazioni, per l’opera di “distruzione creatrice” nell’ambito della produzione industriale, la sorte dei territori è come non mai dipendente da interdipendenze globali e, nello stesso tempo, nelle mani di chi il territorio lo vive e lo abita: l’intervento della provvidenza non è previsto. Un certo atavismo e una certa noncuranza molto meridionali per quello che succede là fuori, comunque altrove, non è più praticabile con successo. Una delle sfide per i territori è proprio anzi selezionare, per così dire, un altrove, nell’offerta mondiale, per costruire connessioni – reciproche – che lo rendano “proprio”. Ma se la scelta di questa o quella macro-regione per implementare, anche, le proprie possibilità di sviluppo è relativamente opzionale, non è più opzionale, cioè differibile, il fatto che si debba scegliere. La parola “internazionalizzazione” rimanda a questo: riposizionamento dei propri orizzonti. Le montagne dell’Albania che si vedono dalle nostre coste, e le isole greche, già meta di molti velisti nei periodi estivi sono state, negli ultimi decenni, il simbolo di un altrove, che potrebbe diventare un “proprio”. E ciò anche grazie a quel patrimonio di riti, credi, cibi, prodotti, paesaggi, culti, lingue, che se anche non è stato comune in tutto, indubbiamente si è formato ovunque storicamente, nell’area adriatica e mediterranea, nell’intreccio e nello scambio quotidiani e reiterati nei secoli. 12 Riferimenti bibliografici 1979, Istituto per la ricerca sociale di Francoforte, Lezioni di sociologia, Torino, p. 29. 1986, R. Koselleck, Futuro passato, Genova. 1998, W. Wieland, Entwicklung, in O. Brunner - W. Conze - R. Koselleck, a cura di, Geschichtliche Grundbegriffe. Historisches Lexikon zur politischsozialen Sprache in Deutschland, vol. II, Stuttgart, pp. 199-228. 1996, G. Giannotti, Emozioni e controllo sociale, in Gaetano Quarta, a cura di, Emozioni e civiltà, Lecce. 1998, R. De Giorgi, G. Corsi, Ridescrivere la questione meridionale, Lecce. 2000, U. Beck, Il lavoro nell’epoca della fine del lavoro. Tramonto delle sicurezze e nuovo impegno civile, Torino 2002, G. Becattini, F. Sforzi, a cura di, Lezioni sullo sviluppo locale, Torino. 2002, G. Becattini, F. Sforzi, Introduzione. Prospettive sullo sviluppo locale sotto forma di esame critico di dieci anni di incontri artiminesi, in id., op. cit., pp. 9-39. 2002, A. Bagnasco, Fatti sociali formati spazialmente, ovvero l’organizzazione della società nello spazio, in Becattini, Sforzi, op. cit., pp. 65-78. 2002, G. Dematteis, Possibilità e limiti dello sviluppo locale, in Becattini, Sforzi, op. cit., pp. 41-63. 2007, R. Connell, The Northern Theory of Globalization in Sociological Theory 25:4 December, New York, p. 368. 13 Sviluppo e territorio: un’analisi desk Di Stefano Magnolo I Il concetto di sviluppo L’analisi desk inizia dall’esame dell’affermazione moderna del concetto di sviluppo nell’ambito della sfera politico-sociale. Questo esame svela alcune peculiarità del concetto che si ritrovano nell’uso attuale del termine e che proprio la sua connotazione come “sviluppo locale” fa emergere come irrisolte. Il “locale” è una conquista recente nel linguaggio dell’economia che ha sempre evitato di utilizzare riferimenti spaziali, non potendo tuttavia evitare comparazione storiche. Questa conquista si è risolta in un’apertura dell’analisi teorica ed empirica a variabili non strettamente economiche nella determinazione dei meccanismi dello sviluppo. Un’apertura anche a contributi di altri ambiti disciplinari all’interno dei quali la dimensione spaziale già costituiva una determinazione rilevante dell’oggetto di indagine. Che questo poi abbia dato avvio, specialmente in Italia, ad un filone di studi incentrato sul “distretto industriale” come unità di analisi in cui aspetti geografici e storici convergono, è rilevante in rapporto alla crescente attività di costruzione di dati di aree sub-nazionali cui questi studi hanno dato impulso. Più rilevante è il fatto che il “locale” possa, a questo punto, collocarsi in ambiti territoriali differenti dal distretto industriale, analizzato come unità in cui lo sviluppo si è realizzato, per fotografare situazioni in essere, immaginare e proporre strategie di sviluppo consolidate o alternative. In questo senso le politiche di promozione e sostegno allo sviluppo dell’Unione Europea hanno già orientato la politica dei singoli stati verso una domanda crescente di analisi dello sviluppo locale e questo, evidentemente, può avvenire solo rispetto ad unità territoriali sub-nazionali, a livello regionale, provinciale, comunale, o per microaree diversamente individuate. Questo fatto si giustifica e si legittima anche su un altro livello. Se, infatti, parlare di sviluppo in generale è troppo ambiguo e dipendente da scopi e obiettivi, anche ideologici, in ogni caso l’analisi teorica, almeno nei suoi sviluppi recenti, non può fare a meno di riconoscere lo sviluppo locale come categoria che sottrae ad ogni determinismo le collettività territoriali. Se questo è vero, il riferimento ad un ambito territoriale specifico riconduce ad unità fattori eterogenei che non possono valere in assoluto, ma che determinano specificità che si pongono come fattori chiave per la costruzione di progetti e azioni di sviluppo diversificati e non necessariamente tipici. Di seguito, i contributi bibliografici sullo sviluppo locale saranno analizzati in gruppi distinti secondo categorie concettuali, in modo da rilevare convergenze e divergenze nelle differenti proposte teoriche, nella costruzione e nell’analisi dei dati delle ricerche. La prima parte, volutamente non basata su contributi recenti, è relativa alla descrizione della funzione del concetto di sviluppo nel linguaggio politico-sociale del mondo moderno (cfr. Koselleck, 1986; Wieland, 1998). 14 I.1 Lo sviluppo come concetto moderno: evoluzione e storia Lo sviluppo appartiene a quei concetti entrati nel linguaggio politicosociale della modernità che hanno prodotto una rottura semantica rispetto ai concetti della tradizione. Affermatisi in contesti teorici differenti dall’ambito socio-politico, tali concetti esprimono una tensione temporale peculiare: essi sono concetti di movimento (Koselleck, 1986). La storia del mondo è la storia dello sviluppo dell’umanità, si dirà agli inizi dell’800. Sviluppo, evoluzione, progresso interpretano la modernità politica e sociale attraverso l’esperienza di un’accelerazione della storia celebrata mediante categorie del movimento temporale, molto prima della tecnicizzazione delle comunicazioni e delle informazioni. Alla politica, soprattutto, e ai gruppi sociali la chance di interpretare e dirigere il movimento verso un futuro ormai contingente e aperto, mentre la tesi storica del ritardo fornisce la legittimazione del cambiamento. Nonostante la diversità, dovuta anche alla sua applicazione ad ambiti differenziati, delle definizioni possibili del concetto di sviluppo, si possono individuare alcuni caratteri comuni. Secondo una interpretazione storicoevolutiva (Wieland, 1998) del suo uso linguistico, questo concetto sembra indissolubilmente legato ad un cambiamento irreversibile, graduale e a lungo termine. Un cambiamento che non può essere compreso esclusivamente come prodotto di un agire e di una pianificazione consapevole, ma che segue leggi proprie. Queste caratteristiche fanno sì che il concetto sia adeguato ad esprimere continuità nel cambiamento e possa dunque essere utilizzato con la funzione di mediare tra posizioni estreme: indicare un cambiamento come sviluppo consente di accentuare sia la differenza sia il collegamento con la situazione preesistente. La diffusione di questi concetti, come nota Koselleck, si spiega anche con l’allargamento dello spazio linguistico raggiunto nell’età moderna con l’indebolimento della stratificazione, e il conseguente aumento dei soggetti che si servono della terminologia politica al di fuori della nobiltà e dei ceti professionali, comprendendo gradualmente la borghesia e poi gli strati inferiori, prima solo destinatari passivi di quei concetti. L’analisi semantica mostra come gli effetti della Rivoluzione Francese e della rivoluzione industriale sulla struttura sociale si riflettano nel linguaggio attraverso una temporalizzazione peculiare dello spazio dell’esperienza disponibile e delle aspettative per il futuro. La terminologia politica moderna, allora, utilizza concetti che non si rifanno ad un’esperienza, ma prefigurano delle aspettative. Il rapporto con la storia ed il passato, e dunque l’esperienza, e lo spostamento dell’orizzonte temporale della società verso il futuro sono tratti caratteristici dell’Illuminismo. I concetti anziché richiamarsi ad un’esperienza già disponibile e ad aspettative riconoscibili, se ne allontanano, prefigurando uno scenario futuro e nuove aspettative, ad esso collegate, in cui i singoli, liberati dalle catene cetuali, potevano riconoscersi attraverso nuovi principi di aggregazione, partecipazione e realizzazione. Il fatto che la prospettiva rivolta al futuro contenga più fini di quanti se ne possano realisticamente realizzare è funzionale alla portata dei concetti ed è immunizzato con la prefigurazione di un futuro molto lontano. 15 Un altro aspetto, temporalmente condizionato, è la crescente generalità dei concetti: solo questa generalità, afferma Koselleck, consente di “padroneggiare l’esperienza moderna”. Una esperienza che sempre meno si lascia cogliere dai concetti stabilizzati nella tradizione, ormai non più esplicativi della situazione sociale e politica in atto, soprattutto in base alle trasformazioni delle condizioni tecnico-industriali. L’astrazione dei concetti diventa così indispensabile per cogliere e fissare “la crescente complessità delle strutture economiche e tecniche, sociali e politiche”. Allo stesso tempo, astrazione e generalità ne decretano il successo nella prassi della politica, dove il concetto di sviluppo ed i concetti strettamente politici ad esso collegati diventano slogans universali, poiché, come forme vuote delle dimensioni temporali, possono assumere contenuti che allontanano il passato differenziando prospetticamente il futuro. Come concetti sono moderni anche per la loro capacità di definire attraverso il movimento la transitorietà ancora evidente dell’età moderna. In ambito storico-politico, il concetto di sviluppo non ha mai perso una certa approssimazione. Questa approssimazione non si risolve ma si specifica nell’uso attuale del concetto, ormai diffuso nel linguaggio comune della vita politica, sociale e commerciale. Analogamente a molti altri termini del linguaggio comune, il valore intrinseco della parola “sviluppo” si basa proprio sul fatto di non essere definita in modo chiaro, avendo, al contrario, un ambito di significati molto ampio. Per concludere, con le parole di Koselleck: “i concetti politici e sociali diventano strumenti di regolazione e controllo del movimento storico. Non sono solo indicatori, ma anche fattori di tutti i cambiamenti che hanno interessato la società borghese a partire dal secolo XVIII. È solo nell’orizzonte della temporalizzazione che diventa possibile l’ideologizzazione reciproca tra le controparti politiche. In tal modo cambia il modo di funzionare del linguaggio politico-sociale. Da allora l’ideologizzazione degli avversari fa parte della manipolazione politica del linguaggio”. I.2 L’emersione del “locale” In base all’analisi del concetto di sviluppo è opportuno evidenziare alcune determinazioni che accompagnano indissolubilmente teorie e pratiche dello sviluppo. Si tratta di determinazione sorte con l’affermazione stessa dello sviluppo come concetto politico-sociale del mondo moderno e che ancora oggi continuano a decretarne il successo nella comunicazione istituzionale, economica e sociale. - Sviluppo è un concetto che presuppone un confronto rispetto a un dato di partenza. In generale l’idea di sviluppo presuppone una determinata percezione della situazione in essere. Questa percezione si espone poi ad una definizione puntuale attraverso un’indagine che deve essere necessariamente contestualizzata territorialmente e dovrebbe avere, in qualche modo, un risultato che può essere letto diversamente in dipendenza dagli scopi dell’indagine. Ma i dati, comunque conseguiti, non hanno di per sé un si- 16 gnificato se non in termini comparatistici. La comparazione consente infatti di definire lo sviluppo attuale di un territorio soltanto confrontandolo con dati storicamente diacronici di una situazione collocata nel passato, ma relativa allo stesso ambito territoriale. Che il concetto di sviluppo abbia a che fare con la dimensione temporale dell’orizzonte economico-sociale è un dato, come abbiamo visto, costitutivo del suo significato politico-sociale moderno. Qui, tuttavia, non si tratta delle sua funzione prospettica di pianificazione del futuro, che presupponiamo costituisca lo scopo, non solo politico, delle analisi, piuttosto si tratta della necessità di riferirsi ad un passato per verificare se e quale sviluppo abbia avuto un dato territorio. Anche la dimensione geografica costituisce un carattere evidentemente necessario all’analisi dello sviluppo, che deve essere relativo ad un dato territorio (zonizzazione), per poter servire ad un confronto temporale (periodizzazione), oppure per confrontare il dato attuale di un territorio rispetto a dati relativi ad altri contesti locali, nazionali o globali. Come vedremo più avanti, la questione della dimensione spaziale, dunque geografica, delle analisi costituisce un criterio differenziale della molteplicità degli approcci scientifici al tema dello sviluppo. Teorie e metodologie di analisi dei dati si confrontano sul piano della definizione territoriale delle unità di analisi: da questo punto di vista è l’idea stessa di sviluppo locale che si è affermata contro una tradizione di studi che prescindeva dal territorio per affermare modelli e meccanismi di sviluppo astratti, basati su dati esclusivamente economici e “delocalizzati”. - Il concetto di sviluppo contiene una connotazione positiva, ma non fornisce indicazioni operative. La teoria economica ha ignorato la determinazione spaziale dello sviluppo, ma non la tematizzazione del sottosviluppo e dell’arretratezza. Tuttavia, i concetti di “locale” e “regionale” si impongono all’attenzione dell’analisi economica costruita rigidamente su premesse avulse dalla considerazione territoriale, sulla base dell’emergenza di fatti storici concreti. Sono gli stessi “sviluppi” verificatisi negli anni Settanta in Italia, in Europa e a livello mondiale a produrre l’evidenza di una controfattualità dei precetti della teoria economica. L’affermazione, già avvenuta in altre discipline, del locale come dimensione autonoma, ha fatto sì che la reazione a questa discrasia tra teoria e fatti si sia risolta nella consapevolezza della necessità di aggredire fenomeni complessi integrando l’approccio puramente economico con uno interdisciplinare i cui sviluppi analizzeremo più avanti. Le ambiguità del concetto di sviluppo locale in fondo ereditano l’astrattezza, la generalità e le ambiguità proprie del concetto di sviluppo, ambiguità che, d’altra parte, costituiscono i motivi della sua affermazione, in quanto si giustifica comunque la bontà di uno scopo rispetto al quale possono essere individuati mezzi differenti di raggiungimento, la cui congruenza può però essere valutata solo ex-post. La politica, di fatto, ha enfatizzato il concetto come strumento per valutare politiche e attuarne di nuove, e lo ha ricondotto necessariamente a contesti territorialmente definiti, proponendo “politiche dello sviluppo” per il sostegno programmatico dei paesi “ancora sottosviluppati”. Paesi che sono diventati macro o microaree, rispetto alle quali si giustificano interventi politici mirati a livello sub-nazionale, ed entrano in gioco anche livelli istituzio17 nali differenti, soprattutto rispetto alla capacità da parte delle amministrazioni locali di attrarre risorse per programmi di sviluppo locale finanziate a livello comunitario. II Sviluppo e territorio: teorie e pratiche dello sviluppo locale Questa parte sarà strutturata sulla base di alcuni contributi della bibliografia selezionata, che costituirà dunque lo strumento di definizione del quadro teorico ed empirico nel suo complesso, e allo stesso tempo l’oggetto di individuazione delle variabili rilevanti per la costruzione del quadro socioeconomico del territorio analizzato. Nell’ambito della letteratura relativa alle analisi teoriche ed empiriche sui fattori dello sviluppo locale, le motivazioni delle analisi, come abbiamo evidenziato, costituiscono un criterio differenziale per la valutazione dei loro risultati. Cicciotti e Spaziante (2000) mettono in rilievo questo aspetto, ipotizzando “una distinzione tra: - - - analisi teoriche, volte cioè alla costruzione di modelli generali, e quindi per definizione astratti, e di realtà estremamente complesse; analisi empiriche, volte cioè alla verifica quantitativa di ipotesi teoriche o semplicemente alla individuazione di regolarità e associazioni statistiche, in cui il problema principale è quello della disponibilità di dati omogenei e verificabili tra vari contesti; analisi operative, volte prevalentemente a fornire uno strumento di supporto alle decisioni dei policy maker in cui il problema principale è quello cioè di facilitare l’interazione tra gli attori, la governance del sistema e il monitoraggio dei risultati ottenuti” (p. 36). Sul piano delle politiche regionali e territoriali anticipiamo, con gli stessi autori, le innovazioni che sono state introdotte e che saranno riprese successivamente. Esse riguardano la valorizzazione: - 18 dello sviluppo locale in vista dello sviluppo complessivo; dei carattere endogeni dello sviluppo; di un modello circolare e non gerarchico dei flussi decisionali; di obiettivi di sostenibilità, sussidiarietà e coesione; della concertazione e della cooperazione nell’attuazione delle politiche; della valutazione dei progetti e della diffusione delle best practices. II.1 Lo sviluppo locale tra teorie della crescita ed analisi empirica L’affermazione di modelli territoriali è una acquisizione recente nell’ambito della ricerca economica basata sulla econometria, tradizionalmente restia e insensibile alla determinazione dell’unità territoriale d’indagine (vedi periodizzazione e zonizzazione). La tesi dei curatori del volume Lezioni sullo sviluppo locale (2002) sostiene che l’affermazione dello studio dello sviluppo locale sia seguita all’affermazione dell’analisi del distretto industriale resa possibile dalla “identificazione” metodologica, nell’ambito del territorio, del distretto. Questa operazione metodologica ha condotto alla nascita nel 1993 della econometria dei distretti, branca che, date le premesse ricordate, sembrava impossibile da realizzare. D’altra parte, occorre notare, il distretto industriale costituisce solo una delle forme possibili di sviluppo locale accanto ad altre, e in questo, dunque, la sua individuazione in quanto tale costituirebbe il presupposto e la conseguenza della scientificità dell’analisi dello sviluppo locale incentrata sul distretto industriale. Ai nostri fini, tuttavia, serve rilevare come l’analisi dei distretti sia emersa solo in tempi recenti e in Italia. La sua importanza nell’ambito dell’analisi teorica ed empirica sullo sviluppo è rappresentata dall’inserimento della variabile territoriale nei modelli di crescita economica e dall’impulso che ciò ha dato ad analisi in cui il territorio ha acquisito sempre maggiore importanza. Di seguito si cercherà di ricostruire il percorso all’interno del quale si colloca questa recente attenzione dell’analisi economica per la dimensione dello spazio nella determinazione dei propri oggetti di ricerca ed il suo rapporto con l’analisi empirica. Successivamente, si presenteranno i contributi della riflessione sociologica sui fattori strutturali dello sviluppo locale. Nell’ambito della scienza economica la questione dello sviluppo può essere analizzata nella letteratura teorica sulla crescita. La questione della rilevanza di queste analisi teoriche e del loro rapporto con le analisi empiriche può essere affrontata sulla base della individuazione di uno snodo problematico che comprende la storicità dei dati e la loro pertinenza geografica. Lo studio in esame (Pellegrini 2000) sembra assumere che le analisi teoriche riguardino lo sviluppo economico “prevalentemente nelle sue caratteristiche storiche tra nazioni”, in questo determinate dall’evoluzione storica della teoria della crescita i cui modelli generali, e dunque astratti, sostanzialmente neoclassici, si sono formati in un contesto di economia chiusa. Questo sarebbe uno dei motivi per la mancanza di contatti con le analisi empiriche che riguardano lo sviluppo economico nelle sue caratteristiche spaziali tra aree, e che considerano l’influenza di variabili extraeconomiche sullo sviluppo. Questa influenza “è tale che i modelli di sviluppo locale vengono spesso costruiti in un ambito socio-economico e istituzionale, rinunciando quindi a spiegare la crescita solo con variabili economiche. Al contrario, i modelli di crescita sviluppati nella teoria, tendendo ad astrarre dai casi concreti ipotesi di generalizzazione di meccanismi di sviluppo, privilegiano evidentemente l’aspetto più propriamente economico” (p. 42). 19 La teoria economica ha studiato lo sviluppo attraverso l’analisi del meccanismo di crescita e della convergenza “che determina lo sviluppo relativo delle aree ricche rispetto a quelle povere”. I modelli teorici che entrano nel dibattito attuale possono essere individuati come segue: Modelli di tipo neoclassico, nati negli anni 50, che assumono come variabile esogena il tasso di progresso tecnico. Modelli di crescita endogena, nati negli anni 80. Al contrario dei precedenti tentano di rendere endogeno il tasso di crescita di lungo periodo dell’economia. In questi modelli le condizioni iniziali, dunque la storia, di un’economia riveste un ruolo fondamentale. Nei suoi sviluppi degli anni 90 la teoria della crescita include una teoria del progresso tecnico costruita fra le cui variabili figurano l’intervento pubblico, le istituzioni ed il capitale umano. Sia l’approccio neoclassico, sia quello della crescita endogena sono stati sviluppati prevalentemente nel contesto di economie chiuse nelle quali si esaurisce il processo di produzione e consumo, assumendo in questo modo l’assenza di integrazione fra aree contigue. Questi modelli sono stati utilizzati nelle analisi dello sviluppo locale, nonostante questa assunzione risulti difficilmente proponibile nel contesto globalizzato dell’economia, e inaccettabile se applicata ad aree e sistemi locali subnazionali. Da queste considerazioni si è avuto un duplice sviluppo teorico: Modelli di polarizzazione, stratificazione ed eterogeneità dei sentieri di crescita. Si tratta di un’integrazione dei modelli di tipo neoclassico con l’introduzione di interazioni tra paesi ed aree. Modelli core-periphery. Nati nell’ambito della geografia economica, questi modelli si prestano all’analisi delle modalità spaziali della crescita sulla base delle interdipendenze tra aree. I primi tematizzano la eterogeneità dei fattori e dei sentieri di crescita, fornendo dati per la correlazione spaziale. I risultati sono i seguenti: i fattori spaziali spiegano la distribuzione del reddito fra le aree; le economie ricche sono fisicamente prossime tra loro, e tra loro interagiscono; lo stesso avviene per le economie povere. Questa conclusione è coerente con l’osservazione empirica che difficilmente esistono “salti geografici” nella distribuzione del reddito e che quindi si osserva una diffusione della produttività e del progresso per contiguità nello spazio. I modelli core-periphery degli anni 90 costituiscono un filone parallelo a quello della crescita incentrato, a differenza dei precedenti, sull’analisi della localizzazione delle imprese e non sullo sviluppo, anche se si tratta, d’altra parte, di due aspetti strettamente legati. In questo modo, con i modelli core-periphery, l’aspetto geografico e quello temporale della crescita si sono riavvicinati. D’altra parte, i dati a livello sub-nazionale non sono ancora 20 sufficienti a consentire analisi e generalizzazioni di esperienze di sviluppo locale. L’analisi, prima ricordata, del distretto industriale si colloca in questo filone di studi, i cui modelli analizzano le agglomerazioni di imprese sul territorio. Proprio in Italia si è fatto ricorso al concetto di distretto industriale per spiegare queste agglomerazioni, dando origine ad una vasta letteratura distrettualistica per l’interpretazione dei differenziali territoriali di crescita. L’analisi dei distretti si caratterizza per una attenzione incentrata sull’ambiente sociale, i suoi valori e la sua “cultura”, come economie che, pur esterne all’impresa, sono però interne al distretto e si esprimono nei comportamenti quotidiani dei suoi attori. Da ultimo, va rilevato che queste due scuole non giungono alla determinazione di una causa primigenia all’origine dell’agglomerazione che ha dato vita al distretto, ma hanno sostanzialmente riscontrato l’esistenza di una pluralità di modelli di sviluppo, mentre i case studies hanno consentito l’individuazione di alcuni elementi ricorrenti. L’identificazione del distretto industriale come unità di analisi, andrebbe forse notato, sembra un’operazione che, pur giustificabile sulla base della necessità di determinare geograficamente l’ambito della ricerca, costruisce l’oggetto come luogo in cui si esprime una forma di sviluppo: la determinazione dell’oggetto della ricerca relativa allo sviluppo locale costituisce la conferma dello sviluppo stesso. In ogni caso questi modelli hanno incoraggiato studi e analisi, anche di tipo econometrico, rivolti a realtà specifiche. Il loro effetto si coglie anche nella costruzione e disponibilità di dati relativi ad aree subnazionali o sub-regionali confrontabili nel tempo e nello spazio. A questo punto, diventa naturalmente di cruciale importanza la determinazione dell’ambito territoriale, che potrà coincidere con unità amministrative come il comune o la provincia, alternative al distretto industriale oppure altre suddivisioni territoriali come il sistema locale del lavoro proposto dall’Istat, o il sistema produttivo locale. Tanto più necessaria sembra la costruzione di dati relativi a questi ambiti territoriali in quanto si fa sempre più urgente la domanda da parte della politica di strumenti di analisi dello sviluppo territoriale, anche sotto la spinta delle azioni di promozione e sostegno dell’Unione Europea allo sviluppo locale. II.2 L’analisi sociologica dello sviluppo locale Se anche la teoria economica della crescita si orienta ormai alla considerazione di elementi di natura extra-economica nei processi di sviluppo endogeno, l’analisi sociologica, da parte sua, non può non costituire il riferimento privilegiato per la definizione del contesto sociale e dei concetti rilevanti che interpretano quegli elementi. E. Ercole (2000) ripercorre l’evoluzione dell’analisi sociologica, teorica ed empirica del territorio in relazione al contesto urbano e rurale. Vengono evidenziate due linee distinte che originano dalla crisi di due modelli di sviluppo: la crisi del modello di sviluppo urbano basato sull’industria, per la sociologia urbana; la crisi delle teorie della modernizzazione, per la sociologia rurale. A partire da queste crisi, l’autore evidenzia come, da una parte, la sociologia urbana si sia concentrata sullo sviluppo delle aree urbane e metropolitane”quali luoghi dell’innovazione e della decisione strategica” (p. 62), e, dall’altra parte, la sociologia rurale abbia analizzato la sopravvivenza di comportamenti, nor21 me e valori tipici delle società tradizionali, e che si riteneva dovessero scomparire con l’avvento della società urbano-industriale. Nel primo caso la riflessione ha condotto alla ridefinizione del contesto urbano e alla individuazione della governance come fattore di competitività legato all’innovazione economica, istituzionale e sociale. Nel secondo caso lo studio ha prodotto una rivalutazione del concetto di “comunità” evidenziando la rilevanza dei fattori endogeni extra-economici nello sviluppo locale. Concetti legati alla comunità quali: fiducia, rete, reciprocità, identità, convergono nel fattore “capitale sociale”, che vedremo caratterizzare l’analisi dei distretti e dei sistemi locali. La distinzione tra gli ambiti di origine non ha impedito che concetti e modelli di ciascuno trovassero applicazione in entrambi, anche perché le problematiche relative allo sviluppo locale definiscono, seppur con le loro specificità, un contesto comune sia alle aree urbane e metropolitane sia a quelle rurali. Sono le stesse problematiche, conclude l’autore, che sono state affrontate dalle politiche di sviluppo a livello regionale, nazionale, comunitario, e che hanno accompagnato la trasformazione delle politiche settoriali in politiche territoriali. L’identità locale si realizza, afferma Rullani (2003), come processo cognitivo di congiunzione tra luogo e società, rendendo possibile il mantenimento di una identità distintiva, attraverso una combinazione di dinamiche inclusive e dinamiche esclusive. Questo almeno per quanto riguarda l’esperienza delle identità locali in Italia fino ad ora. Tuttavia, la situazione futura potrà evolversi diversamente sottraendo al sistema locale lo spazio conquistato. L’autore propone, in particolare, la necessità di valorizzare e mantenere uno spazio alla condivisione locale delle conoscenze attraverso un’azione consapevole, e non più inconsapevole, dei soggetti interessati. Una rivendicazione di identità e di intelligenza collettiva proveniente da questi soggetti in quanto attori dello sviluppo locale: “parti attive di un processo di alleanza, condivisione, di consapevole affermazione di un’identità collettiva legata la luogo, alla storia, alle caratteristiche peculiari della società e dell’economia locale” (p. 126). D’altra parte, suggerisce Rullani, la concorrenza tra luoghi e forme di divisione del lavoro, se considerata dal punto di vista del sistema locale come sistema cognitivo basato su un intreccio tra dinamiche inclusive e dinamiche esclusive, suggerisce una combinazione tra chiusura del sistema verso l’eterno ed apertura verso l’interno basata sulla condivisione dell’innovazione e del vantaggio competitivo. A tal fine, conclude l’autore, “l’ibridazione tra sistemi locali e reti virtuali può essere una soluzione vincente” (p. 127). La sociologia, come l’economia, non può trascurare i fenomeni della globalizzazione che si riflettono, tra l’altro, nell’apertura dei mercati e nell’indebolimento degli Stati. Anzi, si può dire che l’enfasi sul locale abbia trovato nuova linfa proprio nel suo contrapporsi alla dimensione globale di processi di natura sociale, in senso ampio, ed economica. Questa contrapposizione globale/locale definisce scenari nuovi per la tematica dello sviluppo. Il locale, si dice, può costruire un percorso di sviluppo che, a fronte dei problemi creati dalla globalizzazione, ne segua le opportunità, in questo sostenuto dalle istituzioni. Con riferimento all’Italia, Carlo Trigilia (2005) affronta la questione economica dei nuovi scenari della concorrenza aperti dalla globalizzazione, con riferimento ai rischi per la attività produttive e la 22 coesione sociale, sostenendo la possibilità di costruire un equilibrio tra sviluppo e coesione sociale attraverso lo strumento dello sviluppo locale. Se le possibilità nuove per i paesi in via di sviluppo si collocano nella loro maggiore concorrenzialità nei settori tradizionali, per i paesi più sviluppati le opportunità si delineano in base alla loro capacità di spostarsi sulle attività innovative. Questo spostamento, sostiene Trigilia, dipende dalla costruzione sociale dell’innovazione e, dunque, dal perseguimento dello sviluppo locale attraverso la cooperazione tra soggetti individuali e collettivi che può essere raggiunta grazie alla capacità del contesto istituzionale locale di offrire infrastrutture, servizi, ricerca, formazione, reti tra imprese e collaborazione tra attori pubblici e privati. Questo sviluppo, basato sul radicamento locale delle attività economiche, non esclude la mobilità di imprese ed investimenti e riguarda piccole, medie e grandi imprese, e non solo nel settore manifatturiero, ma anche nel settore dei servizi. Ad essere localizzate, infatti, sono soprattutto le fasi di progettazione e di organizzazione dei processi delle attività economiche. Questo modello di sviluppo locale, allora, si identifica con la capacità di offrire servizi per attirare economie esterne, e non con un modello di organizzazione produttiva, come per i distretti industriali, e con una qualificazione del territorio tesa sia alla implementazione di iniziative locali, sia all’offerta di un ambiente per attività esterne più favorevole anche in termini di valore del patrimonio ambientale e storico-artistico. Se le attività innovative hanno un radicamento sociale, in quanto l’economia dipende sempre meno da fattori di mercato e l’innovazione dalle singole imprese, si giustifica così il processo di mobilitazione dal basso di città e territori, anche come fenomeno di reazione al fallimento di politiche di sviluppo territoriale centralizzate. Una volta territorializzate le strategie, tuttavia, non si può dare per scontato il risultato, che dipende anche da condizioni di sostenibilità dei soggetti locali. Sulla base di un’analisi condotta su dati relativi ad esperimenti di sviluppo locale, l’autore sostiene la tesi che le varie forme di sviluppo locale osservabili (distretti industriali e high tech, patti per lo sviluppo locale, nuove politiche per le città) sono accomunate dalla capacità di coordinamento dei soggetti pubblici e privati nel sostenere un modello di sviluppo condiviso. Inoltre, dal punto di vista del rapporto tra sviluppo e coesione sociale, lo sviluppo locale dovrà essere valutato anche in relazione alla crescita complessiva di un paese, e, in considerazione della dimensione europea delle nuove politiche per lo sviluppo locale, si dovrà tener conto del ruolo di specifiche politiche nazionali ed europee. Secondo Trigilia lo sviluppo locale costituirebbe una strada percorribile in vista di una ridefinizione del modello sociale europeo, specialmente per le condizioni particolari della situazione italiana, che si gioverebbe della riduzione dei “costi della redistribuzione a favore delle aree territoriali e dei gruppi sociali più svantaggiati”: maggiore inclusione e maggiore innovazione e competitività. 23 II.3 Dal settore al territorio: il contesto normativo, le politiche e le istituzioni Un passo ulteriore negli studi e nelle analisi dello sviluppo, una volta raggiunto il riconoscimento della crucialità della dimensione territoriale, consiste nella necessità di contestualizzare il distretto. Come evidenziato da Becattini e Sforzi (2002) in riferimento al rapporto tra locale e globale, il distretto dipende “dalla congruenza di un dato produttivo, storico e particolare, con un dato culturale che appartiene a tutta l’umanità”. Il distretto, è questa la tesi, per essere tale deve rappresentare un modello di sviluppo e non un’area industriale qualsiasi. In questo senso, l’importanza dello studio incentrato sul distretto industriale raggiunge il suo scopo se, tematizzandolo, lo supera attraverso il concetto di sviluppo locale. Detto altrimenti, l’analisi dello sviluppo locale dovrebbe partire dal distretto industriale, come una sorta di sviluppo dal basso che prende in considerazione solo una parte del problema, per inserirlo nel contesto di un processo produttivo completo nel senso di un processo che, “insieme al prodotto, riproduce tutte le condizioni della sua continuazione. Quindi, non solo quelle naturalistiche analizzate dagli ecologisti, non solo quelle economico-tecniche ed economico-organizzative già colte dagli economisti, ma anche quelle socioculturali” (p. 30). Nel frattempo le cose sono cambiate, per varie ragioni. Nonostante il riconoscimento giuridico del distretto industriale con la legge 5 ottobre 1991 n. 317, a quell’epoca era già presente in molti studiosi la consapevolezza della necessità del coordinamento come dimensione critica. Gli autori, relativamente a quell’esperienza particolare che gli incontri di Artimino hanno rappresentato nell’ambito della discussione sul distretto industriale e lo sviluppo locale, si sono espressi sulle “cose da fare” in termini utili ad illustrare quelle evidenze e gli sviluppi successivi rilevanti per la nostra analisi. La proposta degli autori si articola in 4 punti così individuati (cito testualmente): 1. la rilettura della storia industriale a partire dai luoghi anziché dai settori; 2. la messa a fuoco metodologica delle ricerche sulla definizione di «luogo»; 3. un ripercorrimento degli sviluppi comparati dell’economia generale, industriale, aziendale e agraria; 4. una ripensata generale delle politiche economiche per lo sviluppo locale. A proposito dell’ultimo punto gli autori non possono fare meno di notare, coerentemente con il nostro assunto sull’importanza del riferimento territoriale e con la nostra analisi semantica, come negli strumenti della politica economica per lo sviluppo locale la definizione dei luoghi abbia espresso esigenze politiche piuttosto che rispondere alle specifiche possibilità di sviluppo endogeno di ciascun luogo particolare, allo stesso tempo considerandolo in una logica di sistema. Il “riconoscimento dei luoghi” è dunque una operazione preliminare alla definizione delle politiche adatte a ciascun luogo. Operazione tanto più urgente, concludono gli autori, per quelle aree depresse, dove l’intervento non si deve risolvere in «disegni di sviluppo a24 stratti» né, d’altra parte, nell’abbandono dei luoghi alle loro «vocazioni naturali» o ai loro «destini storici». La tesi sostenuta da Messina (2002 a) è che il territorio rappresenta “l’unico luogo dove è possibile elaborare strategie di sviluppo appropriate, intese come sostegno alle attività produttive, azioni di inclusione sociale ed, in ultima istanza, crescita socioeconomica” (p. 25). A tal fine risulta indispensabile non solo la mobilitazione delle risorse endogene, ma la costruzione della identità e la riconoscibilità di un territorio basate sulla capacità di fare sistema. Se l’esperienza dei distretti industriali mostra come l’identità possa essere costruita su un elemento reale (prodotto), d’altra parte questa può essere ricercata anche in idee immateriali, attraverso processi di condivisione, identificazione e appartenenza, secondo una logica di rete. La valorizzazione delle risorse endogene di un territorio, necessaria ad attivare processi di sviluppo locale, deve tradursi in una strategia di progettazione del futuro ad opera degli attori economici, sociali e culturali nella ricerca di un percorso peculiare di crescita sostenibile, afferma Messina (2000 b). Il problema di fondo, continua l’autore, è la capacità di fare progetto. Questa capacità, in estrema sintesi, si basa su alcune precondizioni, che citiamo testualmente: - non esistono modelli riproducibili sic et simpliciter; è opportuno integrare azioni e risorse diverse è indispensabile partire dalle specificità territoriali locali; è determinante integrare politiche diverse. Sul versante politico, sottolineano Ciciotti e Spaziante (2000), “la centralità della dimensione territoriale si riconosce anche nella rilevanza che assumono tra gli obiettivi dell’azione europea, e di riflesso dell’azione nazionale, gli assi programmatici a forte contenuto territoriale come le reti infrastrutturali, i sistemi di città, i sistemi locali di sviluppo e le risorse (ambientali e storico-culturali)” (p. 12). Anche la questione della sostenibilità ambientale dei processi di sviluppo ha contribuito all’affermazione della dimensione territoriale negli obiettivi e nelle azioni a livello nazionale e sovranazionale, soprattutto in quanto la valutazione degli effetti sull’ambiente è divenuta parte dell’analisi di compatibilità dei progetti e quindi una forma di controllo da realizzare ex ante e non più ex post. La centralità del “fattore territoriale” viene ribadita da Boscacci e Mazzola (2000), che analizzano la questione del territorio in riferimento alle politiche nazionali e comunitarie. Come abbiamo precedentemente rilevato, la politica comunitaria, tra altri fattori, ha fatto sì che la strategia di intervento regionale si incentrasse sul fattore territoriale. La preoccupazione, in sede comunitaria, era di evitare che i benefici derivanti dall’apertura delle frontiere creasse le condizioni per accrescere i differenziali di sviluppo a favore delle regioni più forti. Al fine di favorire uno sviluppo equilibrato, armonico e di lungo periodo, gli aspetti territoriali hanno costituito il riferimento centrale delle analisi, della selezione dei progetti e delle scelte degli attori nella partecipazione ai processi decisionali. La definizione degli assi prioritari di intervento si è ispirata alla stessa logica, individuando, tra gli altri, ambiti di intervento fortemente territoriali quali: risorse naturali, risorse culturali, sistemi locali di sviluppo, città, reti e nodi di trasporto. An25 che in sede nazionale si è quindi affermata una programmazione relativa all’area meridionale fortemente incentrata sugli aspetti territoriali, presenti anche in quelle politiche orientate ad interventi ti tipo settoriale. Nei documenti di orientamento e programmazione per il Mezzogiorno si afferma esplicitamente un modello di “sviluppo endogeno compatibile” con una forte enfasi sul concetto di valutazione ambientale strategica, sulla concertazione, l’integrazione tra i programmi. L’assunzione del principio di sussidiarietà adottato dalle istituzioni comunitarie e trasferito nella programmazione nazionale deve rappresentare la logica necessaria alla definizione “dal basso” di una responsabilità diffusa verso obiettivi condivisi. Una logica che implica la produzione di un flusso di decisioni di tipo circolare e non gerarchico-verticale, e basata su processi di osservazione dei fenomeni rilevanti idonei a fornire le informazioni necessarie. Donolo (2003) propone un approccio istituzionale allo sviluppo locale. Nel presentare questo approccio, evidenziandone le attuali difficoltà di tematizzazione dovute e dati culturali e politici, l’autore delinea un quadro critico che, differenziando il livello teorico da quello applicativo, vede le politiche di sviluppo come una sostanziale applicazione di teoremi di teoria della crescita. Afferma inoltre, in questo differenziando la sua posizione rispetto alle altre proposte, che una vera e propria teoria economica dello sviluppo non esiste proprio in quanto l’analisi economica contestualizza il tema dello sviluppo solo nell’ambito della crescita. Se questo è vero, allora il problema sarebbe relativo alla traduzione della crescita in sviluppo. Se le teorie della crescita sono in grado di spiegare differenziali di crescita nelle aree geografiche, e se le politiche di sviluppo che applicano i modelli di quelle teorie sostengono sostanzialmente obiettivi di crescita, d’altra parte alcuni fattori politici ed istituzionali (capacità di governo, leadership, coalizioni di interessi, pratiche prevalenti, atteggiamenti locali nei confronti di innovazioni tecniche e organizzative, ecc.) sono entrati nelle politiche di sviluppo sempre più affidate all’azione locale nell’ambito di un quadro politicoistituzionale definito a livello nazionale e sovranazionale. La successiva, più o meno consapevole, introduzione di elementi istituzionali più marcati, soprattutto le capacità di cooperazione degli attori locali e il capitale sociale locale ha quindi prodotto il tentativo, da parte delle teorie della crescita, di tenere insieme tutte le variabili e di fornire indicazioni operative per le politiche. Tuttavia, sostiene l’autore, l’aspetto istituzionale viene introdotto, come è possibile desumere dai documenti dell’OCSE e della Banca Mondiale, per alcune ragioni specifiche, che lascerebbero fuori aspetti decisivi. Questa circostanza assegna di fatto alle componenti istituzionali un ruolo marginale e non portante dell’azione diretta allo sviluppo locale. Un ruolo che l’approccio istituzionale utilizzato dall’autore tenta di recuperare. Infatti, le ragioni principali dell’ingresso delle componenti istituzionali sarebbero, da una parte, la necessità di rendere la crescita locale compatibile con i processi di globalizzazione, dall’altra, quella di operare secondo governance; necessità che contemplano le istituzioni come risorse o come capitale, non come vincoli, e sono strumentali e funzionali al raggiungimento di obiettivi più ampi che trascendono la dimensione locale. In fin dei conti, tutti gli aspetti, compresi lo sviluppo delle capacità e le stesse specificità e peculiarità locali, il patrimonio ambientale e culturale, non sono rilevanti in sé, ma diventano valutabili solo in quanto incidono su processi primariamente economici. Anche il discorso sulla governance sarebbe solo un di26 scorso retorico, allo stato attuale un processo più ideologico che reale, che tenta di aggirare quegli ostacoli attraverso l’enfatizzazione della dimensione strategica. Donolo vede nella dimensione istituzionale un tratto distintivo della dimensione sociale. In questo approccio, gli assetti normativi, le regole del gioco, gli habitus, il capitale sociale, sarebbero condizioni portanti, coesione e sostenibilità principi-guida dell’agire; i beni comuni, e quindi anche le istituzioni, il motore dello sviluppo. Prendere sul serio governance e globalizzazione significa che la crescita è pensabile solo come sviluppo, che “il locale è legato trasversalmente al globale e che lo sviluppo esige forme di governance. Il vocabolario essenziale per il passaggio dalla crescita allo sviluppo sta in queste parole:”, conclude l’autore, “regolazioni locali, capitale sociale, sostenibilità, potenziamento delle capacità, apprendimento socioistituzionale” (p. 17). In tema di politiche e strumenti per lo sviluppo locale, si segnala il contributo di S. Brusco (2002), che esamina il comportamento dei protagonisti della politica industriale in Italia (ministero dell’Industria e Ministero del Tesoro), per avanzare delle proposte di integrazione o modifica del loro operato. Una proposta che si sostanzia, in estrema sintesi, nel trasferimento della programmazione negoziata, ispirata alla esperienza dei comprensori, in tutti i sistemi locali italiani. Concludiamo questa sezione con una suggestione che chiude il saggio di Cicciotti e Spaziante (2000). Secondo gli autori l’enfasi posta sulla governance, la costruzione del consenso e della condivisione degli obiettivi, la rete degli attori interni ed esterni al sistema locale dimostra una stretta relazione tra gli approcci alle politiche in ambito istituzionale, la cui innovazione fondamentale, tuttavia, è rappresentata dal mutamento della cultura della PA: “è probabile che in ultima analisi il vero fattore differenziale di competitività finisca per essere proprio questo” (p. 38). Segnaliamo, inoltre, dallo stesso testo i contributi relativi: 1) ai fattori strutturali dello sviluppo locale dedicati ai case studies dei poli industriali del Mezzogiorno e dell’industria manifatturiera; 2) alla programmazione; 3) ai rapporti tra i livelli di governo. III Lo sviluppo endogeno Il testo di Stornaiuolo (1996), sebbene non tra i contributi più recenti, rappresenta uno strumento utile per interpretare l’emersione dei modelli territoriali rispetto a quelli tradizionali. Gli studi regionali e territoriali mettono in una nuova luce l’analisi del territorio distaccandosi nettamente dai vecchi modelli regionali. Come abbiamo visto, le teorie dello sviluppo economico, o teorie economiche dello sviluppo, si inquadrano sostanzialmente nell’ambito della letteratura economica sulla crescita. Anche Stornaiuolo mette in evidenza come tradizionalmente le teorie dello sviluppo economico avessero assunto un approccio a-spaziale e a-temporale e come, quindi, l’inserimento delle caratteristiche geografiche, economiche, sociali e istituzionali del territorio all’interno dello studio dell’economia regionale abbia rappresentato una novità nell’approccio alla crescita economica. Il modello della crescita regionale endogena, che rappresenta una evoluzione 27 dell’analisi delle dinamiche dello sviluppo di aree territoriali basata su fattori endogeni, attribuisce così allo spazio il ruolo di elemento in grado di spiegare l’origine e l’evoluzione dei divari territoriali di sviluppo. La critica ai modelli di crescita di tipo neoclassico e keynesiano si accompagna ad un superamento, afferma Stornaiuolo (p. 6) , dei modelli di crescita endogena della “Nuova teoria della crescita”, dai quali, pur recependo l’importanza di alcuni fattori endogeni, i modelli di sviluppo regionale endogeno si differenziano per un’analisi della dimensione spaziale che, accanto ai “fattori” che caratterizzano un territorio, introduce: 1) lo studio dei “fenomeni”, cioè “del contesto socio-economico ed istituzionale spazializzato, quale componente del processo produttivo non riducibile né a contenitore passivo delle attività economiche, né a ulteriore fattore di produzione”; 2) “lo studio del comportamenti dei soggetti economici ed istituzionali […] , poiché l’ambiente ed il territorio sono variabili che vengono strutturate da parte degli agenti”. Un’analisi che, secondo l’autore, se da un lato, attraverso l’ “approccio per fenomeni” evidenzia la coesistenza di itinerari di sviluppo differenti, dall’altro, attraverso l’ “approccio per soggetti” individua lo specifico percorso di sviluppo disegnato dal comportamento dei soggetti. Anche rispetto alle indicazioni per le politiche regionali e territoriali, questi approcci mettono in discussione il comportamento dei soggetti e delle istituzioni come considerati tradizionalmente. Un comportamento che diventa un fattore di successo dello sviluppo regionale, e che, in base al cambiamento degli obiettivi degli interventi e delle politiche nel senso della innovazione e della territorializzazione dei sistemi produttivi, attribuisce ai soggetti pubblici e privati il ruolo di attori dello sviluppo di una regione. L’approccio endogeno allo sviluppo economico è, allora, una interpretazione dello sviluppo dal “basso”, a partire dai fattori che costituiscono il capitale sociale e che determinano la crescita dei sistemi produttivi. L’aver collegato la crescita all’ambiente attribuisce ai fattori istituzionali e sociopolitici di un territorio un ruolo determinante nei processi di innovazione in grado di migliorare i fattori interni, il sistema dei servizi e sostenere l’integrazione sociale e politica, favorendo lo sviluppo endogeno e creando le condizioni per attrarre investimenti esterni. Che questo implichi uno spostamento dell’ottica di intervento istituzionale a favore delle istituzioni locali, è un fatto evidente, ma ormai anche un dato empiricamente assunto. Principio di sussidiarietà nella distribuzione degli strumenti della politica di sviluppo regionale tra Stato e Regioni e forme di cooperazione tra le istituzioni garantiscono inoltre la coerenza degli obiettivi micro e macroeconomici. Quando “gli economisti scoprono lo spazio”, rileva Garofoli, lo spazio si trasforma in territorio, il luogo in cui si incontrano forze di mercato e forme di regolazione sociale. In un testo (Tagliacarne 2003) dedicato al dibattito degli ultimi anni sul tema dello sviluppo incentrato sul contesto territoriale, la preoccupazione è soprattutto, come nel testo precedentemente analizzato, quella di fornire indicazioni di policy, analizzando le complesse relazioni tra impresa, sviluppo economico e territorio. Come osserva l’autore, esiste una questione di fondo che sottende la dinamica relativa a quei rapporti: “è l’impresa il motore dello sviluppo […] o è il contesto complessivo che determina le condizioni essenziali per la nascita e lo sviluppo dell’impresa?” (p. 21). Se concretamente le due dimensioni interagiscono, tale questione 28 emerge drammaticamente nell’ambito dell’analisi e dello studio degli obiettivi e degli strumenti di politica economica. Elaborazioni teoriche ed analisi empiriche nazionali e internazionali rivelano come l’attenzione per il territorio si sia ormai stabilizzata nella produzione scientifica non solo di economisti, sociologi, geografi ma anche degli aziendalisti. L’autore distingue tre principali filoni di analisi nei contributi innovativi sui rapporti tra impresa, sviluppo economico e territorio: i distretti industriali, i sistemi territoriali innovativi, l’industrial organization. Questa distinzione, sostanzialmente sovrapponibile all’analisi di Stornaiuolo (1996), offre contributi più recenti. Sulla rilevanza della prima analisi, come rottura rispetto agli schemi tradizionali di analisi, e sul ruolo della letteratura italiana nel contesto del dibattito internazionale, si è già detto. Già Stornaiuolo ha ben messo in evidenza la diversa considerazione del territorio, del ruolo degli attori sociali, della considerazione stessa dei rapporti tra economia e società e dello sviluppo nell’analisi dei distretti. Il territorio diventa qui fattore attivo dello sviluppo che acquista il carattere di “processo sociale” non più meramente tecnico. Il secondo filone di analisi, secondo Garofoli, consente di analizzare il ruolo del territorio nell’innovazione. Innovazione e apprendimento vengono sviluppati in relazione alla specificazione territoriale del trasferimento tecnologico, dando luogo all’analisi del distretto tecnologico e del milieu innovateur (cfr. Rullani 2002). Importanza dei fattori esterni al mercato, la prossimità delle imprese e le loro relazioni per il cambiamento tecnologico da una parte, capacità del milieu territoriale di innovare secondo le esigenze locali di sviluppo dall’altra parte, sono in estrema sintesi i caratteri salienti di questi approcci. Il filone dell’industrial organization ragiona invece in termini di riduzione dei costi di transazione derivanti da una organizzazione della produzione basata su un’articolazione territoriale ristretta della divisione del lavoro tra imprese. Il concetto di reti di imprese, introducendo la valenza organizzativa del territorio, si oppone alla rigida distinzione tra gerarchia e mercato, e propone la soluzione alternativa dell’organizzazione di rete, enfatizzando il ruolo della cooperazione basata sulla conoscenza condivisa e sulla fiducia. Il concetto di “sistema produttivo locale” rappresenta un prodotto della evoluzione dell’attenzione delle scienze sociali per l’analisi delle relazioni tra organizzazione produttiva e territorio. Ragionare in termini di reti e network locali e di competenze localizzate sostiene l’idea della costruzione di una identità socio-economica locale in cui le dinamiche del sistema produttivo e del sistema socio-istituzionale sono strettamente interconnesse. Come per i “sistemi industriali localizzati” della letteratura francese, l’importanza del territorio si sostanzia nel suo ruolo attivo per lo sviluppo sulla base dell’esistenza di caratteristiche specifiche (risorse), che è interesse comune difendere, di conoscenze e di forme di regolazione sociale introdotte a livello locale che non sono trasferibili. In questa sezione utilizzeremo ancora il testo dell’Istituto Tagliacarte (2003) per ricomporre il dibattito attuale sul nostro tema ricongiungendolo alle questioni precedentemente analizzate e seguendo la divisione del testo in esame al fine di definire un quadro complessivo. Il testo ricompone il dibattito internazionale recente sul ruolo degli attori dello sviluppo, che si caratterizza per nuove variabili ed analisi, in tre parti 29 sostanzialmente riferibili a tre piani di analisi che affrontano: 1) la questione organizzativa dell’impresa; 2) la questione del sistema delle imprese e dei processi di sviluppo e innovazione; 3) la questione della governance del sistema delle imprese e del sistema locale. III.1 La questione organizzativa Il blocco di analisi così identificato rileva ai nostri fini in relazione all’attenzione per le opportunità di crescita legate alle strategie di sviluppo della piccola impresa: le capacità strategiche sono infatti “legate alla capacità di mettere in rete conoscenze e competenze complementari”. Nella riflessione teorica, analisi di network e analisi dei distretti trovano un punto di contatto nell’importanza attribuita alle relazioni formali e informali tra imprenditori, tra imprese, tra questi e le istituzioni.. Particolarmente completo e significativo in questa sezione è il contributo di Michael Storper (i riferimenti sono relativi alla versione pubblicata nel 2002). A fronte dei cambiamenti in atto che aumentano la complessità del quadro delle relazioni fra variabili rilevanti, si può parlare, nell’ambito della scienza economica, della nascita di un approccio eterodosso al problema dello sviluppo economico, che si fonda su una nuova “santissima trinità” dell’economia regionale: tecnologie/organizzazioni/territori. Questa definizione di Storper si riferisce ad un paradigma che ha integrato gli sviluppi teorici più significativi dagli ultimi anni relativamente a ciascun elemento. Emerso negli anni Settanta, con l’identificazione dei suoi tre elementi costitutivi, il paradigma ha sviluppato nel corso degli anni la sua portata analitica inizialmente non colta ancora appieno. Questo passo richiede un avvicendamento, afferma Storper, nella metafora meccanica applicata dall’economia regionale e dalla scienza economica allo studio dei sistemi economici. Un cambiamento che attribuisce un nuovo contenuto agli elementi indicati, superando le intenzioni iniziali del paradigma. Così, il mutamento teorico consistente nell’aver individuato in tecnologie/organizzazioni/territori i campi di interesse indipendenti dei meccanismi dello sviluppo economico, a livello regionale, nazionale e globale, tentandone una interpretazione a più livelli, dispiega le sue potenzialità solo se si associa ad una metafora diversa dalla interpretazione di fondo dei sistemi economici come macchine con input e output quantitativi di obiettiva determinazione. La nuova metafora che si accompagna al paradigma eterodosso è quella che vede “l’economia come relazioni, interpretando il processo economico come conversazione (cioè scambio di idee e di informazioni) e coordinamento, i soggetti del processo economico non come fattori della produzione, ma come attori umani riflessivi, sia individuali che collettivi, e la natura dell’accumulazione economica non solo come costituita da beni materiali, ma da beni relazionali” (p. 181). In questo modo ciascun elemento acquista un nuovo contenuto: la tecnologia si struttura sulla contrapposizione tra codificabilità e non-codificabilità della conoscenza ed opera nell’ambito dell’apprendimento e dell’evoluzione; le organizzazioni non hanno confini stabili ed articolano le loro relazioni reciproche sulla base di interdipendenze non-mercantili; le economie locali e la loro integrazione territoriale si realizzano non per prossimità geografica degli scambi mercantili, ma soprattutto per la prossimità degli aspetti relazionali delle orga- 30 nizzazioni e delle tecnologie: esse trovano posto all’interno di questo contesto come capitale di beni relazionali. L’articolo di Storper propone una definizione rigorosa dei tre elementi e alcune combinazioni tra essi come strumento di analisi e soluzione dei più complessi problemi concreti dello sviluppo economico. Pur riconoscendo come questo approccio non sia in grado di fornire risposte a problemi standard, tuttavia, conclude l’autore, si rivela molto fecondo in relazione ai temi della differenziazione territoriale dello sviluppo, delle performance economiche e delle istituzioni; in particolare, sul ruolo della prossimità per la formazione delle convenzioni; sul ruolo delle convenzioni per la definizione dell’identità economica dei luoghi e delle regioni, sulla loro importanza come bene collettivo localizzato e come interdipendenze non mercantili; sulla spiegazione delle difficoltà ad adottare convenzioni o istituzioni di altri luoghi. Parimenti significativi ci sembrano i saggi di Rullani e Johannisson (2003) che si integrano con il quadro fornito da Storper. I due saggi, come afferma Garofoli, consentono “di affrontare sia la questione dei network e dei beni relazionali come basi cognitive per la crescita dell’impresa, sia la questione delle reti tra imprese per rafforzare i meccanismi di apprendimento e la capacità strategica delle imprese” (p. 26). La rilevanza delle reti di relazioni sono analizzate da Johannisson dal punto di vista dei network personali dell’imprenditore come indispensabili all’attività imprenditoriale, costituendo una sorta di capability imprenditoriale collettiva. L’autore conclude con una indicazione per l’attività dei policy makers, nel senso di non limitarsi a supportare l’accesso al capitale finanziario e l’investimento in capitale umano, ma di intervenire anche al livello della costruzione di capitale sociale. Abbiamo precedentemente analizzato le conclusioni del contributo di Rullani, la sua idea di intelligenza collettiva è in certo senso sovrapponibile, osserva Garofoli, alla capability collettiva di Johannisson, in quanto determinata da reti di relazioni, che Rullani analizza in riferimento alle reti tra imprese e al contesto in cui l’impresa è integrata. Chiude questa sezione del testo un contributo dedicato alla questione della relazione tra competitività e dotazione infrastrutturale (Rinaldi, Pittau, Zelli 2003). Gli autori propongono una definizione del concetto di infrastruttura nell’ambito della teoria dello sviluppo regionale potenziale in cui “le possibilità di sviluppo della regione sono legate alle condizioni praticate dal lato dell’offerta, ossia dalla capacità da parte delle imprese locali di far fronte alla domanda a condizioni competitive, e ciò risulta possibile solo se la regione possiede un adeguato volume di risorse costituite, oltre che dalla dotazione infrastrutturale, dall’ubicazione, dal livello di agglomerazione (struttura urbana) e dalla struttura settoriale” (p. 211). Caratteristiche comuni alle definizioni di infrastruttura, con peso differente da caso a caso, sarebbero: l’immobilità; la non sostituibilità; la polivalenza; l’essenzialità; l’indivisibilità. Per lo sviluppo dell’analisi relativa alla determinazione degli indicatori infrastrutturali territoriali, gli autori indicano la proprietà ulteriore della prossimità, cioè la vicinanza della risorsa infrastrutturale ai suoi utilizzatori potenziali. 31 III.2 Il sistema delle imprese, i processi di sviluppo e innovazione A questo proposito è rilevante la letteratura sui distretti industriali e sui sistemi produttivi locali (Garofoli 2003), in quanto il riferimento al concetto di efficienza collettiva sposta il piano dell’analisi dalla singola impresa a logiche di sistema territorialmente o settorialmente delimitato. Questa posizione vede il bilanciamento dell’analisi del comportamento delle imprese con l’analisi delle variabili e delle relazioni del sistema territoriale. Fa parte di questa sezione il dibattito sullo sviluppo endogeno, che molto deve all’esperienza pratica e alla riflessione teorica sui distretti industriali, estendendosi qui anche a contesti differenti dai distretti, e variamente caratterizzati, come nel caso della scuola del milieu innovateur. Questo dibattito si incentra sulla critica alle politiche di sostegno allo sviluppo nelle aree depresse. La considerazione critica degli strumenti della politica economica sposta l’attenzione sulle risorse locali e sulla crescita delle capacità degli attori locali, secondo il paradigma dello sviluppo dal basso. Nel caso del milieu innovateur, oltre alle risorse locali si esalta il ruolo dell’interazione tra attori privati e istituzionali nei meccanismi di apprendimento collettivo In relazione ai rapporti tra sviluppo locale e innovazione, segnaliamo in questa sezione del testo i contributi di Asheim e Isaksen e di Cicciotti e Rizzi (2003). I primi affrontano l’importanza dell’attività innovativa a livello regionale per le piccole e medie imprese, che dipendono dalla loro localizzazione più delle grandi imprese. Il processo d’innovazione e quello di apprendimento vengono qui elaborati come “processo d’apprendimento interattivo”. Il livello regionale dell’analisi rappresenta il riconoscimento dell’attività innovativa come fenomeno territoriale, stimolata dalla cooperazione tra attori e risorse di luoghi specifici, non facilmente trasferibili né riproducibili altrove. L’approccio evoluzionistico dell’innovazione, come l’analisi dei distretti industriali in particolare e dello sviluppo locale in generale, fanno emergere la dimensione del sistema innovativo regionale, che si costituisce grazie all’intervento delle istituzioni volto al radicamento dell’innovazione sul territorio. L’analisi delle condizioni per l’organizzazione di un sistema innovativo regionale e indicazioni per le politiche di sostegno all’innovazione concludono il saggio in esame. Il contributo di Cicciotti e Rizzi si segnala per la costruzione di una tipologia di modelli innovativi locali, basata su un indice che aggrega 10 indicatori distinti tra quelli relativi al mercato (input e output) e quelli relativi al settore pubblico e alle economie esterne. Questa mappatura consente poi l’analisi della situazione italiana relativa ai sistemi regionali di innovazione, e delle relative prestazioni regionali negli anni 90, al fine di cogliere le dinamiche di cambiamento, le specializzazioni territoriali ed anche i divari di innovazione. Questo ultimo aspetto, in particolare, rappresenta un rischio non indifferente per le regioni, proprio a fronte della “crescente capacità di condivisione e comunicazione introdotta dalla ICT” (Information and Communication Technologies). L’attenzione per la ricerca e la diffusione della conoscenza, per l’innovazione, sia tecnologica che di contesto, per i processi di costruzione e apprendimento della ricerca e dell’innovazione da parte del contesto sociale, presente nelle politiche europee deve essere implementato a livello regionale e globale al fine di aumentare la capacità di trarre vantaggio dai nuovi contesti strutturati dalle ICT. “La conoscenza 32 del posizionamento regionale e dei gap territoriali in materia di innovazione è il supporto conoscitivo essenziale per progettare e implementare opportune politiche regionali per l’innovazione al fine di consolidare i pattern di successo o definire modelli di riorientamento strategico” concludono gli autori (p. 346). Un riorientamento dei processi di creazione e diffusione delle innovazioni specifici per le peculiarità del territorio. Ruolo delle regioni nella produzione e diffusione del sapere nei cluster territoriali di impresa è il tema del contributo di P. Maskell (2003). Particolarmente interessato alla questione dell’apprendimento localizzato, l’autore discute in questo saggio i meccanismi di creazione, implementazione e diffusione di conoscenze nelle strutture organizzative dei network di imprese che operano in regioni diverse e nei cluster di imprese localizzate nello stesso territorio. La tesi sostenuta esalta il ruolo della prossimità nella trasmissione delle conoscenze in virtù della riduzione degli investimenti. Riguardo alle indicazioni per i policy makers, Maskell raccomanda i legislatori nazionali, a fronte della spinta a livello globale verso la conoscenza e l’innovazione, la non interferenza diretta sui mercati e sulle imprese. Mentre in tema di politiche regionali per lo sviluppo economico, le sollecitazioni sono sostanzialmente rivolte all’aderenza della politica regionale al contesto, alle caratteristiche peculiari delle istituzioni economiche ed extraeconomiche delle regioni; al sostegno di attività già selezionate dal mercato; alla focalizzazione sull’apprendimento, sul superamento del gap cognitivo, sull’accumulazione ed il mantenimento di capitale sociale. Tra gli interventi che chiudono questa sezione del testo segnaliamo il contributo di Capuano dedicato a “La valutazione di impatto delle leggi di incentivazione sulla crescita delle imprese e del territorio” (2003), in cui l’autore adotta un metodo di valutazione dell’impatto degli strumenti di agevolazione agli investimenti per favorire lo sviluppo (leggi 488/1992 e 46/1982) sul comportamento imprenditoriale e sui risultati in termini di differenziali di sviluppo tra territori con agevolazioni differenti. Da ultimo, il saggio di Girardi (2003) su “Diffusione delle tecnologie di rete e servizi per lo sviluppo delle imprese”, sviluppa il tema delle sfide della new economy e delle opportunità per le piccole e medie imprese. 33 III.3 La governance del sistema economico decentrato e dello sviluppo locale È un approccio sviluppato soprattutto all’estero che ha portato l’attenzione sull’analisi del contesto sociale e istituzionale, sui meccanismi di apprendimento e sull’implementazione delle politiche. In questa sezione si segnalano due saggi dedicati alla questione dello sviluppo endogeno. “Lo sviluppo endogeno” chiarisce Garofoli (p. 29) “rappresenta una famiglia di modelli che sono basati sul controllo del processo di trasformazione da parte degli attori locali dello sviluppo”. I sostenitori di questo approccio si concentrano sulle risorse locali, sulle interdipendenze tra gli attori economici locali, sulla innovazione e la conoscenza. Il saggio di A. Vázquez Barquero (2003) affronta il rapporto tra globalizzazione e sviluppo. Definito il quadro delle trasformazioni conseguenti alla globalizzazione dell’economia e della società, individua i fattori che condizionano i processi di accumulazione del capitale e di sviluppo: “la diffusione delle innovazioni e della conoscenza tra le imprese e le organizzazioni, l’adozione di forme più flessibili di organizzazione della produzione, lo sviluppo delle economie di urbanizzazione e la densità del tessuto istituzionale” (p. 461). Sottolinea inoltre come i percorsi di sviluppo di città e regioni incidano “sui fattori che determinano i processi di accumulazione del capitale” (p. 462). Sulla base di questi elementi, l’autore sostiene che “lo sviluppo endogeno è una interpretazione che aiuta a comprendere il ruolo determinante dell’interazione tra tecnologia, organizzazione della produzione, sviluppo urbano e istituzioni nella dinamica economica e si rivela utile per proporre misure che stimolino i processi di accumulazione del capitale” (p. 462). Solo con la sinergia tra tutti i fattori che determinano l’accumulazione di capitale si può parlare di sviluppo autosostenuto per le economie locali e di miglioramento della competitività nel sistema. Lo sviluppo endogeno qualifica, in ultima analisi, quelle azioni della società civile in risposta alle sfide della globalizzazione attraverso politiche di sviluppo locale. Il saggio di Maillat, Kebir e Bailly esamina gli effetti della globalizzazione economica sulle decisioni relative alla ristrutturazione e alla localizzazione delle attività e le loro conseguenze sulle economie territoriali. In questo quadro, le condizioni per lo sviluppo endogeno, che sono condizioni specifiche dei luoghi, e in questo senso sono risorse locali, devono essere rese più dinamiche. Gli autori descrivono gli elementi necessari ai sistemi locali per attivare questo processo, analizzando i sistemi produttivi locali, le loro dinamiche organizzative e la funzione del ruolo dell’ambiente. La conclusione è la necessità di prendere atto della logica territoriale che si sostanzia: • • • 34 nei valori dell’interdipendenza e della fiducia, che consentono sinergia e complementarietà; nell’identità regionale, che genera solidarietà e responsabilità,; nella coesione territoriale assicurata da regole e codici sociali. L’effetto ambiente, che migliora il legame tra l’impresa e l’area, si definisce, allora, come “le capacità di sviluppo endogeno delle regioni che sono attivate attraverso la mobilitazione degli attori locali ed istituzioni pubbliche” (p. 492). Tuttavia, se è indispensabile una politica di sostegno all’ambiente locale da parte dello Stato, delle regioni e degli attori economici, componenti fondamentali del milieu, concludono gli autori, restano quelli che danno corpo alla logica territoriale, rispetto ai quali le politiche rappresentano “solo” degli input esterni. Al tema della governance è dedicato il saggio di Couplet (2003) dal titolo “Il territorio come componente permanente dello sviluppo”. La centralità del territorio nell’analisi determina necessariamente la considerazione della pluralità dei percorsi di sviluppo, come delle realtà produttive che non possono esser valutate secondo lo schema dualistico efficiente/non efficiente. Le nuove variabili introdotte dall’analisi dei distretti industriali, e in generale dall’analisi dei territori nei processi di trasformazione economica, spiegano le dinamiche dello sviluppo a partire fattori critici radicati nella realtà sociale e non facilmente trasferibili. Se lo sviluppo è un fenomeno sociale, il territorio è un fattore privilegiato dello sviluppo in quanto luogo storicamente, culturalmente e socialmente determinato, in cui si compie l’interazione tra sfera economica e sfera sociale. Per questo, il territorio è non solo “il punto di incontro tra gli attori dello sviluppo, ma è anche il luogo in cui si organizzano volontariamente o spontanemate le forme di cooperazione tra le imprese, gli individui e le attività. In definitiva,” conclude l’autore, “il territorio è il punto d’incontro tra le forme di mercato e le forme di regolazione sociale” (pp. 580-581). Nel saggio dal titolo “Le regioni come laboratorio: l’ascesa dello sperimentalismo regionale in Europa” che chiude la raccolta curata da Garofoli per l’Istituto Tagliacarne, il tema delle politiche dello sviluppo locale è affrontato con riferimento alla “svolta istituzionale” negli studi di sviluppo regionale. L’approccio istituzionale, che abbiamo già affrontato (cfr. Donolo 2003) e sul quale torneremo più avanti (cfr. Poma 2003), enfatizza l’importanza dei beni relazionali. Le categorie dello Stato e del mercato in questa prospettiva lasciano spazio ad “un approccio teorico storicamente più adeguato ai tempi, nel quale le questioni fondamentali sono la qualità delle reti istituzionali che mediano lo scambio di informazioni e la creazione di sapere, la capacità di azione collettiva, il potenziale per l’acquisizione di sapere interattivo e l’efficacia dei meccanismi di diffusione” (Henderson e Morgan 2003, p. 584). Questa prospettiva, sostengono gli autori, rappresenta una presa di posizione contro lo svilimento delle istituzioni intermedie tra stato e mercato tipica dei repertori classici. Al contrario, sarebbero proprio le reti di associazioni, le istituzioni intermedie auto-organizzate come i network tra aziende, le associazioni di categoria, le camere di commercio, le associazioni civiche, gli enti di sviluppo regionale, i sindacati ecc., a rendere stati e mercati più efficaci, in quanto complessivamente costituiscono la base istituzionale per l’azione collettiva. Sulla base dell’analisi delle dimensioni istituzionali dello sviluppo in Europa, gli autori sostengono la tesi della nascita di un nuovo modello di politica regionale nella UE orientata all’apprendimento collettivo e all’innovazione istituzionale. Si tratta di una forma di sperimentalismo regionale per la costruzione di capitale sociale, cioè di “infrastrutture relazionali per l’azione collettiva basata sulla fiducia, 35 la reciprocità e la disposizione a collaborare per il raggiungimento di fini reciprocamente benefici” (p. 613), che prelude alla costruzione di capacità istituzionali per le regioni. Si tratta di una svolta radicale rispetto ai precedenti programmi di sviluppo regionali, di una rottura con la logica dei piani infrastrutturali con una attenzione alle cause dello sviluppo disomogeneo, ai problemi delle regioni meno favorite, alla domanda delle imprese locali. La strategia di fondo non è rivolta a colmare solo i differenziali di sviluppo, ma anche il “deficit innovativo” dell’UE rispetto ai suoi competitori, che si ritiene dovuto da un problema di capacità di networking nel trasferimento del sapere fra ricerca e industria, tra imprese e tra regioni, particolarmente acuto nelle regioni meno favorite. Queste nuove politiche di innovazione puntano a risolvere i problemi istituzionali più gravi dello sviluppo regionale: formazione dell’opinione, collaborazione e azione collettiva, soprattutto nelle regioni meno favorite, attraverso il sostegno a “nuovi processi di apprendimento interattivo, a larga base consensuale, all’interno e fra i settori pubblici e privati” (p. 587). Si tratta di una forma di sperimentalismo regionale con una nuova logica di governance interattiva e basata sui network, i cui risultati rispetto al miglioramento della capacità innovativa delle regioni meno favorite andranno valutati nel lungo termine, ma che, sostengono gli autori, fornisce un indicatore a breve termine per monitorarne il valore sulla base della durata del coinvolgimento dei principali partecipanti. Il saggio si conclude con l’invito alla Commissione Europea ad applicare maggiormente il principo di sussidiarietà: “l’efficacia di questa governance multilivello dipenderà in gran parte dal rispetto che ogni livello di governo – regionale, nazionale e sopranazionale – avrà delle competenze degli altri e dal riconoscimento della loro interdipendenza sistemica” (p. 617). Certamente, osserva Garofoli a conclusione della sua ricostruzione del dibattito, “resta un po’ di amaro in bocca, quando si rifletta sulla capacità di comprensione dei processi di sviluppo decentrato e sulla capacità di seguire i consigli degli studiosi della società post-fordista da parte dei paesi (e delle regioni) del Nord Europa e quando si rifletta, invece, sulle difficoltà mostrate dalle politiche regionali in Italia nell’internalizzare i risultati delle riflessioni sui sistemi produttivi e sui sistemi innovativi locali, nonostante gli studiosi italiani abbiano agito da apripista nel dibattito internazionale su questi temi” (p. 31). IV Economia e Società La riflessione sulle politiche di reti, sui networks come punto di forza per la competitività dei sistemi locali è parte di un ambito interdisciplinare di ricerca in cui economisti, geografi e sociologi vedono lo sviluppo socioeconomico come un processo risultante dall’interazione tra ambiente, istituzioni e imprese. Si può a questo punto delineare un quadro in cui i concetti di sistema e di rete esprimono i necessari rapporti di interazione che definiscono una dimensione territoriale identificata non solo geograficamente ed economicamente, ma anche dal punto di vista dell’appartenenza, della condivisione, della identità. Il territorio diventa dunque una dimensione da costruire, frutto della progettazione istituzionale, e la dimensione locale esprime al meglio quella sintesi tra ambiente e impresa proprio a fronte dei 36 mutamenti delle coordinate spazio-temporali innescati dalla globalizzazione della società e dei mercati. Apprendimento e innovazione sono gli strumenti per la comprensione della realtà e la sperimentazione di forme di azione collettiva orientate verso obiettivi condivisi. IV.1 Il sistema Rullani (2002), che prende in considerazione la riforma delle istituzioni, si interroga sulle implicazioni della criticità dell’interazione tra sistema economico e sistema sociale, e quindi di una nuova nozione di territorio, per lo sviluppo economico. La criticità di questa interazione, come specifico rapporto storico tra economia e società, è stata resa evidente proprio dagli studi sui distretti industriali. Il fatto che questa evidenza sia risultata inizialmente come una «disubbidienza dei fatti ai comandi della teoria economica», non può risolversi, sostiene l’autore, nel perseverare nell’uso di strumenti teorici standard per l’analisi di sistemi complessi come i sistemi locali, che trascurano l’interazione tra aspetti economici e socio-economici la cui rilevanza è stata empiricamente dimostrata. Inoltre, si chiede Rullani, quale innovazione socio-istituzionale è in grado di governare i cambiamenti dell’economia globale e le nuove forme di relazioni basate sull’interazione in tempo reale. A queste condizioni la comprensione dei mutamenti in atto è una necessità non solo teorica. Lo sviluppo di una teoria dei sistemi locali dovrebbe offrire una chiave per la comprensione della nuova geografia del territorio. Un’altra necessità è nel recupero di una dimensione progettuale consapevole relativa al territorio al fine di costruire una identità con la condivisione di conoscenze, linguaggi e significati. Questa trasformazione può essere compiuta superando gli ostacoli che la concezione geometrica dello spazio propria dell’economia del territorio poneva alla considerazione del comportamento degli attori e considerando il territorio come forma dell’azione. Un altro ostacolo era rappresentato dal determinismo, ormai superato dalle teorie dell’evoluzione, in particolare grazie alla concezione che vede, in una versione avanzata del milieu innovateur, il territorio come presupposto per la nascita e lo sviluppo di economie di produzione basate su dinamiche di apprendimento localizzato. L’evoluzione è frutto di continui atti di apprendimento. Tuttavia, nota Rullani, se ciò esclude il determinismo causale, potrebbe sostituirlo con “una sorta di determinismo storico che chiude gli attori nella storia già vissuta e usa il territorio come mezzo fisico attraverso cui si trasmette la pathdependence” (p. 226), incentrato sulle scelte effettuate nel passato, sulla base di condizioni contingenti, piuttosto che in base alle condizioni ed ai fattori attuali. Il rapporto tra economia e società nel territorio, già evidenziato dall’analisi dei distretti, è molto più complesso e dinamico di quanto l’immagine espressa nell’idea di “destino” del territorio, contenuta nella sua riduzione ad un modello deterministico, lascia intendere. La dinamica dell’apprendimento localizzato deve associarsi alla considerazione degli attori del territorio e delle loro relazioni, non come soggetti passivi all’interno di un processo evoluzionistico che ne prescinde, ma come soggetti che agiscono in vista della progettazione e costruzione del futuro con una razionalità complessa che non è meramente casuale né adattiva, ma comunque azione intenzionale che supera la path-dependece ed il cui risultato non è predeterminabile a priori. Attori individuali e collettivi ed istituzioni che regolano le loro interazioni devono entrare in una teoria del territorio. La 37 comprensione dell’accadere e la condivisione degli obiettivi trova nella teoria “uno strumento di design per l’azione”, mentre l’apprendimento evolutivo diventa “un mezzo di sperimentazione, orientato e diretto verso uno scopo” (p. 227). In questo, le istituzioni, in quanto ordinano le forme dell’interazione fra gli attori, costituiscono un fattore critico: sono queste che mediano quella sintesi complessa tra economia e società che chiamiamo territorio, e lo articolano in reti globali e nodi locali. I fenomeni di globalizzazione dell’economia e la dimensione istituzionale sovranazionale nel caso dell’Unione Europea mutano la rilevanza delle variabili e ridisegnano i loro rapporti in relazione alle analisi ed agli obiettivi. Tutto ciò si sostanzia in un nuova dimensionalità del locale che deve confrontarsi con una dimensione globale di nuova portata rispetto al passato. D’altra parte, se è possibile individuare nello scenario globalizzato quali sono i mutamenti strutturali dei paesi più sviluppati, risultano invece di più difficile individuazione le loro conseguenze per lo sviluppo locale. Soprattutto per le imprese, affermano Cicciotti e Spaziante (2000), si evidenziano tre fenomeni strettamente collegati: l’emersione di nuovi modelli organizzativi; una nuova connessione tra territorio e imprese; competitività territoriale di tipo nuovo. Le forme organizzative di tipo reticolare, reti di imprese, nel caso di integrazione di imprese di piccole dimensioni, e impresa a rete, nel caso delle grandi imprese, rappresenterebbero esempi di integrazione, la prima dal basso, la seconda dall’alto, tra gerarchia e mercato. Tali cambiamenti organizzativi, associati alla globalizzazione dei mercati, trasformano i rapporti tra imprese e territorio, soprattutto in termini di dissociazione tra lo sviluppo delle imprese e lo sviluppo del territorio nei sistemi locali. Gli autori auspicano una evoluzione dei sistemi distrettuali in direzione di una valorizzazione congiunta delle reti di sfondo (locali e di prossimità), e delle reti di specializzazione (mercato globale). Sviluppo endogeno e sviluppo esogeno, globale e locale, andrebbero allora integrati a partire da un’analisi dei sistemi locali per definirne la corretta composizione. In questo modo, le differenze territoriali iniziali e la capacità di metterle in sinergia definiscono una nuova competitività territoriale che si basa sulla costruzione di una rete di cooperazione tra i differenti sistemi territoriali e urbani a livello regionale. Anche il testo di Lucio Poma (2003) riprende il tema della tradizionale mancanza della dimensione territoriale nella riflessione economica. L’opera di Becattini (cfr. 2002) come già ricordato, dà vita in Italia ad una vasta letteratura sui distretti industriali. Se ciò ha avuto l’indubbio merito di innovare la riflessione attraverso la considerazione dell’ambito territoriale quale componente strategica, d’altra parte, afferma Poma, in quanto incentrata soprattutto sulle realtà delle piccole imprese e delle imprese artigiane, ha finito per far sostanzialmente coincidere l’elemento territoriale solo con quelle realtà. Inoltre, concepite come stabili, queste realtà devono affrontare un dinamismo che invece rimane fuori dai loro fondamenti teorici. Se questi limiti sono stati superati nel contributo teorico sulle reti tra imprese, sia network e cluster, sia multinazionali e transnazionali, tuttavia, sostiene l’autore, questa analisi finisce per trascendere il territorio. Come dimostra l’approccio istituzionale, il territorio è l’elemento che condiziona la possibilità ed il tipo di relazioni fra gli attori. Tuttavia, questo approccio, incentrato su valori condivisi ed elementi fiduciari, rischia di fallire se si ridu38 ce ad una mera interpretazione delle relazioni formali e informali, dei comportamenti e delle scelte, e dello stesso ruolo delle istituzioni, condotta esclusivamente in termini di costi di transazione, proprio a scapito di una “dinamica” del mercato, delle istituzioni e del progresso tecnico, non necessariamente valutabile solo in termini di efficienza economica, e da ultimo del significato della parola “sviluppo”. Il senso della rilevanza delle istituzioni formali e informali, secondo l’autore, è da rinvenire non nella possibilità di ridurre i costi di transazione tra i soggetti, ma nella possibilità di costruire transazioni basate su consuetudini, norme, routine, procedimenti e valori condivisi, e produrre sviluppo. La dimensione territoriale è centrale in quanto è nel territorio, come dimensione intermedia tra l’individuo e lo stato, che si può sviluppare e stabilizzare un sistema di valori condivisi, procedure e norme necessari all’instaurarsi del mercato e al prodursi dello sviluppo. La riflessione, conclude Poma, andrebbe quindi condotta sui “valori dello sviluppo” così intesi, ripensando in chiave istituzionale la rilevanza economica del territorio al di fuori dell’analisi delle economie esterne. In questo modo la proposta teorica supera non solo l’analisi dei distretti, ma anche i sistemi produttivi locali e le reti di imprese, proponendo una “sintesi tra lo spazio relazionale proprio delle reti di imprese e lo spazio geografico proprio dei distretti, ponendo a fulcro non più la produzione fisica dei beni, ma la produzione di conoscenza” (97). Un “sistema istituzionale di imprese” o “sistema istituzionale territoriale”, a fronte della dinamica dei mercati e dell’evoluzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, che trasformano la stessa struttura della conoscenza, va considerato come una totalità: un sistema “aperto” con confini statici e dinamici che interagisce con altri sistemi territoriali. La conoscenza condivisa a livello territoriale diventa così una dimensione ulteriore, oltre alla tecnologia, la produzione, l’organizzazione, le risorse umane, che definisce il territorio come “un network interorganizzativo di relazioni, attraverso le quali circola conoscenza all’interno e all’esterno dell’impresa”, tra attori economici ed istituzionali, rinnovandosi nel confronto con le diversità. IV.2 Le reti Nel “Rapporto Nomisma sulla politica industriale” (2003) la dimensione locale viene enfatizzata come esigenza di riconsiderare i rapporti tra i soggetti produttivi ed il loro ambiente, in seguito allo spostamento della competitività a livello dei sistemi economici e territoriali: l’interazione tra i singoli agenti ed il contesto socio-economico, a queste condizioni, diventano infatti fattori di sviluppo e vantaggio competitivo. Nella definizione delle variabili strutturali rilevanti del contesto socio-economico figurano, secondo gli autori: le istituzioni, i settori produttivi, il mix pubblico-privato, le risorse umane e naturali, le infrastrutture, le reti. Le reti, in particolare, sulla base delle esperienze analizzate, sarebbero un fattore strategico nella competizione tra sistemi territoriali, migliorando sia l’efficienza del sistema territoriale, sia la sua interconnessione con l’esterno. Il vantaggio competitivo derivante dalla presenza di reti in un territorio si determina, allora, anche come qualificazione dell’ambiente socio-economico e qualità della vita offerta: non solo le infrastrutture energetiche, di trasporto e di comunicazione, ma anche la presenza di infrastrutture per l’istruzione (la rete della formazione professionale, ad esempio), sia le infrastrutture materiali, sia quelle immateriali. 39 Che cos’è una rete? Nelle Considerazioni introduttive al Rapporto Nomisma (2003), viene assunta un’accezione del concetto basata su tre aspetti, che cito testualmente (pp. 16-17): - - un insieme di punti (i nodi della rete: persone, nodi ferroviari, ponti radio); i legami (connessioni) fra questi punti, che possono essere materiali o immateriali (i binari, il senso di appartenenza ad un gruppo); i flussi che attraversano la rete da un punto ad un altro punto (acqua, passeggeri, informazioni, dati). Questa accezione di rete, mutuata dalla tecnologia e dalla comunicazione, nella coesistenza dei tre aspetti è caratterizzata da peculiarità che la rendono applicabile sia ad infrastrutture materiali come anche ad “un insieme organizzato di persone (nodi) legate da un’appartenenza codificata (connessioni) e che scambiano fra loro idee, cose e servizi (flussi)”. Nello studio, la moltiplicazione, la varietà e maggiore articolazione delle reti, sia materiali che immateriali, vengono assunte come fenomeno caratterizzante la realtà globalizzata contemporanea. La sempre maggiore complessità della rete caratterizzerebbe la sua ulteriore evoluzione. L’indagine si concentra sulle reti che costituiscono un fattore di competitività per le imprese, allo scopo di mettere in evidenza le relazioni rete-competitività (pp. 1718). Disponibilità/funzionalità delle reti a livello territoriale: è questo il fattore di sviluppo essenziale per i soggetti economici locali nelle analisi sulle policy per lo sviluppo locale realizzate da Nomisma. In particolare, fra le ricerche empiriche nel Mezzogiorno, per i settori tessile, abbigliamento e calzature della provincia di Lecce “oltre il 60% delle imprese individua […] nelle rigidità del mercato del lavoro e nella carenza di infrastrutture e di servizi alle imprese i vincoli critici allo sviluppo legati alla localizzazione all’interno del contesto economico leccese” (p. 50). La stessa enfasi sull’importanza delle infrastrutture come fattore strategico di competitività, di integrazione, di connessione tra imprese, di sviluppo, emerge dalle associazioni di categoria di imprenditori e industriali. Nel 2001 Confindustria individua nel rafforzamento delle infrastrutture una delle quattro priorità per lo sviluppo del paese, oltre alla riforma fiscale, la sicurezza e la flessibilità del lavoro: si afferma nell’imprenditoria italiana una nuova “cultura delle reti”, nel senso di una domanda di integrazione/interazione tra infrastrutture diverse, una “rete delle infrastrutture: acqua, energia, rete viaria, trasporti, telecomunicazioni” (p. 48). A livello istituzionale la domanda di reti ha trovato accoglienza, almeno in linea di principio, nelle politiche strutturali 2000-2006 per le aree depresse del Sud e del Centro-Nord, anche grazie all’attenzione dedicata dai fondi comunitari al tema delle reti. Anche le politiche infrastrutturali dello Stato e degli Enti locali e i nuovi strumenti per il finanziamento delle infrastrutture costituiscono, almeno sulla carta, una risposta alla domanda di reti. Sembra opportuno evidenziare come, tra gli assi prioritari di intervento per le regioni dell’Obiettivo I (Mezzogiorno d’Italia) dei fondi strutturali, figuri l’asse “Reti e nodi di servizio”. È altrettanto importante rilevare come uno 40 degli indirizzi strategici dell’asse, per quanto riguarda i collegamenti materiali o “fisici”, sia “la necessità dello sviluppo e dell’innovazione tecnologica a beneficio dell’intero sistema dei trasporti e delle sue componenti”; mentre relativamente ai collegamenti immateriali “obiettivo primario resta quello di accelerare la realizzazione della Società dell’Informazione” (p. 54). Riportiamo testualmente, ritenendola particolarmente esplicativa, la strategia dell’asse “Reti e nodi di servizio” come indicato dal rapporto Nomisma: “L’obiettivo globale […] è migliorare e creare le condizioni di contesto (nei trasporti, nelle comunicazioni) per lo sviluppo imprenditoriale e la localizzazione di nuove iniziative e per aumentare la competitività e la produttività strutturale dei sistemi economici territoriali, mediante interventi che assicurino la sostenibilità ambientale, promuovano la riduzione degli impatti (riequilibrio modale dei trasporti), rispettino la capacità di carico dell’ambiente e del territorio in generale e favoriscano i processi di recupero della fiducia sociale” (p. 55). La strategia così delineata va attuata attraverso il perseguimento di obiettivi specifici, per i quali rimandiamo al testo (pp. 55-59), così come per la parte relativa alle politiche nazionali (pp. 61-67). Sulla base della definizione di rete, dell’analisi condotta sullo stato delle reti in Italia e sulle esigenze espresse dai soggetti economici in termini di una maggiore disponibilità/funzionalità delle reti, dello studio delle condizioni di operatività delle reti di trasporto, delle reti energetiche e delle reti di telecomunicazione, la pubblicazione di Nomisma conclude delineando un set di “fattori chiave di successo” delle reti e tracciando il quadro delle esigenze di policy per il paese. In estrema sintesi, rimandando al testo, citiamo i quattro fattori di successo dell’impatto di una rete sullo sviluppo economico di un territorio: 1. La visione strategica della rete: “il disegno strategico della rete dei suoi obiettivi e di quelli che le hanno disegnate, del rapporto tra reti e destinatari” (p. 184). Questa pianificazione strategica deve consentire di rendere efficaci due tipologie di azione che costituiscono il secondo fattore di successo: 2. “Risposte mirate: la rete per lo sviluppo o la sviluppo per la rete?”. Questa indicazione scaturisce dalla constatazione che, pur nell’ambito di un disegno strategico, occorre distinguere tra le strutture che nascono da un’offerta mirata alla promozione dello sviluppo e quelle realizzate da una domanda esplicita, in quanto nettamente differenti sono i problemi posti da queste due tipologie di strutture, e dunque le risposte. Nel primo caso (offerta) si tratta sostanzialmente di rafforzare il coordinamento interno, sulla base della definizione degli obiettivi; nel secondo caso (domanda) di dirimere le conflittualità. Il terzo fattore è rappresentato da: 3. La rilevanza dell’insieme nodi-connessioni-flussi. 41 Il quarto fattore viene identificato come: 4. I ruoli, gli attori. Una volta individuati i ruoli essenziali per il funzionamento di una rete, e tenuto conto che più funzioni possono esser svolte da uno stesso attore, per la realizzazione di un mix corretto di ruoli ed attori si indicano i due punti essenziali da salvaguardare: a) “un corretto equilibrio tra efficienza e democrazia”; b) “la tutela della concorrenza e del consumatore” (p. 186). Le indicazioni di policy per le reti sono individuate in quattro aree tematiche che riportiamo sinteticamente, rimandando al testo (alle pp. 183193): 1) Pubblico e reti: ruolo dell’autorità pubblica per lo sviluppo e il governo delle reti; 2) Reti e regole: arretramento del pubblico dalla gestione delle reti, incremento della regolazione, progressivo arretramento della regolazione e aumento del mercato; 3) Regole e democrazia: tutela della concorrenza e del mercato, impatto sui consumatori; 4) Democrazia e sviluppo: possibilità di scelta tra reti e operatori, fruibilità piena senza vincoli geografici e sociali, innovatività dei servizi, competitività dei prezzi a livello europeo. V La conoscenza del territorio e l’analisi del contesto Abbiamo concluso la parte relativa alla bibliografia ragionata con le indicazioni del Rapporto Nomisma sulla politica industriale relative ai fattori di successo delle reti e alle esigenze di policy per il Paese. In questa parte continueremo a riferirci a studi ed analisi rilevanti ai fini della definizione del contesto socioeconomico del territorio del PIT. Si tratta di indagini da cui deriviamo dati e variabili, ma anche di contributi teorici relativi alla nuova concezione dello sviluppo locale in cui la conoscenza e l’analisi del contesto territoriale costituiscono le basi per la progettazione di interventi calibrati sulle specifiche esigenze locali. La pubblicazione di Sistema/Italia, promossa da Unioncamere, affronta il tema della dimensione territoriale dello sviluppo. Il rapporto si basa sulla individuazione di 10 modelli di sviluppo locale, frutto delle edizioni del 2002 e 2003, articolati per tipologie: a. I poli urbani 1. Le capitali funzionali 2. Le vetrine del made in Italy b. Le aree organizzate a rete 3. Le grandi imprese in piccoli distretti 4. I distretti multispecializzati 5. I distretti dedicati 42 c. La ricerca di qualità 6. Lo sviluppo integrato d. La potenzialità espressa 7. Le aree urbane a modernità incompiuta 8. Le aree in cerca di vocazione 9. Gli accenni di qualità e. Lo sviluppo da costruire 10.Lo sviluppo da costruire Nell’edizione del 2003 l’analisi interpretativa inseriva la provincia di Brindisi nel modello n. 9 Gli accenni di qualità, caratteristico del Meridione, ma sintomatico dell’ “esistenza di “un altro Sud”, basato su sistemi dinamici di piccola a media impresa ai quali si affiancano realtà locali dove invece la media e grande impresa può ancora svolgere un ruolo significativo nel dar vita a processi di sviluppo endogeno e nel favorire la crescita di investimenti solidi e duraturi” (p. 51). L’edizione del 2004 si caratterizza per lo sforzo di comprendere le dinamiche e le prospettive di crescita attraverso: 1) l’interpretazione delle direttrici e delle policy di sviluppo future, l’individuazione delle criticità da superare, degli ambiti di sviluppo e la valutazione del dialogo tra gli attori locali; 2) il coinvolgimento diretto delle Camere di Commercio nella riflessione sul futuro dei 10 modelli di sviluppo; 3) la predisposizione di una “lettura prospettica dei 10 modelli attraverso l’elaborazione di uno strumento di analisi previsiva in grado di integrare le tesi emerse nel corso delle interviste con le Camere di Commercio” (p. 30). Il risultato di questi sforzi è un’immagine dinamica dei modelli di sviluppo. Solo in poche eccezione il movimento costante che caratterizza i 10 modelli si risolve in una trasformazione radicale dell’identità territoriale, mentre nella gran parte dei casi si tratta del rafforzamento della propria identità, investendo in innovazione, ricerca e conoscenza. Ed è un dato unanimemente condiviso dagli interlocutori la difficoltà di mettere in atto una trasformazione radicale delle vocazioni territoriali, e, di conseguenza, la necessità di investire su queste ultime. Restano da individuare le variabili chiave e le modalità di massimizzazione del rapporto investimenti/risultati. Per il modello n. 9, che comprende la Provincia di Brindisi, i testimoni privilegiati delle Camere di Commercio interpellati hanno identificato nell’integrazione dei comparti produttivi e nel dialogo interistituzionale la strada da seguire per lo sviluppo futuro dei territori di riferimento, puntando sul rafforzamento della competitività con investimenti in ricerca, innovazione, differenziazione e specializzazione, sulla condivisione degli obiettivi e di soluzioni organizzative innovative, come sulla cooperazione degli attori locali nella fase di progettazione dello sviluppo. 43 Nell’analisi previsiva si mostra l’evoluzione possibile dei 10 modelli di sviluppo identificati nel rapporto Sistema/Italia 2003, all’anno 2010. Rispetto all’appartenenza di una provincia ad un modello, è stato adottato un modello di previsione che, fra le dinamiche possibili, privilegia quella relativa al passaggio di una provincia ad un altro modello di sviluppo. Attraverso l’interpretazione delle caratteristiche di ogni modello, ne sono state individuate le variabili chiave che definiscono le appartenenze e la cui evoluzione rispetto a determinati valori critici può determinare spostamenti verso altri modelli. Gli “alberi di classificazione” di questo modello di previsione si articolano su nove variabili significative: 1) tasso di occupazione; 2) densità di imprese per 100 abitanti; 3) incidenza degli addetti delle grandi imprese sul totale; 4) incidenza degli addetti delle medie imprese sul totale; 5) percentuale di addetti ai distretti sul totale; 6) numero di imprese certificate per 100 abitanti; 7) incidenza degli addetti alle attività ricreative, culturali e sportive sul totale del terziario; 8) Investimenti diretti esteri; 9) arrivi di turisti. Ciò che discrimina i modelli risulta essere primariamente il tasso di occupazione, seguono la densità imprenditoriale e la distrettualità. I modelli di sviluppo deboli sono tutti caratterizzati da un tasso di occupazione al disotto della soglia critica individuata. D’altra parte, si nota nel rapporto, oltre ad una politica nazionale dell’occupazione, le Province appartenenti a questi modelli “possono darsi obiettivi “su misura”, fortemente motivanti perché realistici”, per transitare verso modelli più evoluti (p. 61). Nell’ambito di questi modelli deboli, dato come acquisito il tasso di occupazione, è possibile cambiare il modello di sviluppo agendo su una pluralità di condizioni, come la densità imprenditoriale, se inferiore alla soglia critica. In caso contrario, si dovrebbe agire sugli Investimenti diretti esteri (Ide). È questo il caso del modello “accenni di qualità”, al quale appartiene anche la provincia di Brindisi, con “Ide ridotti ed addetti ai settori della cultura, dello sport inferiori al 2,2%”, dove una ulteriore possibilità di mutare il modello di sviluppo consisterebbe nell’ “attrazione degli investimenti” e nel “rafforzamento del sistema culturale allargato”, con uno sguardo alla “presenza di medie imprese che coltivino legami significativi col tessuto imprenditoriale e sociale locale” (p. 63). Politiche per l’imprenditorialità e l’occupazione sono, in generale, le leve più incisive per agire sul modello di sviluppo. Questo è il quadro analitico rispetto al quale, con alcune assunzioni, il Rapporto costruisce una proiezione al 2010 dell’appartenenza delle province ai diversi modelli di sviluppo, in base alla vicinanza delle variabili alle soglie critiche. Le assunzioni riguardano: a) gli andamenti macroeconomici del Sistema Paese; b) il federalismo fiscale; c) la capacità di utilizzazione di consistenti risorse locali. Di queste assunzioni viene preso in considerazione uno scenario ottimistico che “considera raggiunte le pre-condizioni economico-finanziarie di una politica di sviluppo intenzionale, concepita e gestita da partnership strategiche tra tutti i soggetti rilevanti” (p. 66). Con riferimento alla provincia di Brindisi si delineerebbe un consolidamento dell’appartenenza al modello “accenni di qualità” (rilevato al 2001), con l’indicazione delle policy chiave principali così ordinata: 1) grandi imprese; 2) medie imprese; 3) occupazione. Si tratta di una previsione, viene ribadito nel Rapporto, e non di una prescrizione, una potenzialità e non un destino irreversibile, una riflessione 44 sulle opportunità ed i rischi. L’applicazione di uno stesso modello di previsione per tutte le Province non può tener conto delle soggettività locali e della loro capacità progettuale. Resta valida una indicazione generale relativa alla necessità di riflettere sul proprio modello di sviluppo: quali caratteristiche implementare e quali eliminare? “Se ad una analisi approfondita e dedicata risulta che addirittura è necessario cambiare in profondità la fisiologia del proprio sistema, la strada è predisporre piani d’azione misti (pubblici e privati) che incidano su alcune variabili chiave e su una serie di variabili collaterali, riprendendo in mano il filo del proprio destino” (p. 75). La conoscenza del territorio, anche in questa ottica, è indispensabile per poter riflettere sul modello di sviluppo. L’analisi del contesto territoriale presuppone una visione dello sviluppo locale alternativa a quella assunta in analisi tradizionali che vedevano nel settore industriale un modello di crescita universalmente applicabile, indipendentemente dal contesto geografico particolare. Seguendo una strategia di sviluppo che si basa sulla conoscenza del territorio, i sistemi territoriali “vengono analizzati come un insieme di relazioni complesse tra ambiente naturale, ambiente antropico (società insediata) e ambiente costruito. La risorse da valorizzare sono di natura diversa, e allo stesso modo sono numerose le componenti da analizzare al fine della realizzazione di un’analisi territoriale” (Celata 2002: p. 87). La consapevolezza della complessità delle relazioni fra gli elementi del sistema territoriale, della specificità di ciascun territorio, come della non esportabilità “meccanica” dei modelli di sviluppo, impone che anche le metodologie di analisi del contesto siano adeguate alle esigenze interpretative. Nel nostro caso, la dimensione locale coincide con l’unità amministrativa provinciale. Ciò richiede una utilizzazione degli indicatori e dei dati che dia conto dell’area di riferimento come una realtà non necessariamente omogenea a tutti i livelli. Riguardo alle fonti statistiche, data la determinazione dell’area, sono utili rilevazioni a livello provinciale, sub-provinciale e comunale, in dipendenza dal tipo di indicatori e dalla disponibilità delle fonti, tenuto anche conto del fatto che l’analisi territoriale è un fenomeno recente. L’utilizzo di indagini campionarie a questo livello territoriale deve tener presente la possibilità di una significatività dei campioni scarsamente rappresentativa. La nostra rappresentazione del territorio si avvarrà dei dati statistici disponibili, integrata, secondo le metodologie proprie della ricerca/azione, da un’analisi di campo, strutturata sulla base di interviste a testimoni privilegiati, che mira ad individuare gli elementi che possono concorrere allo sviluppo del territorio e che saranno discussi all’interno dei focus group. In generale i dati statistici nazionali, pur costituendo una rappresentazione dei dati territoriali troppo generica, hanno il vantaggio della validità scientifica. Per questo motivo, riteniamo opportuno esporre dei dati relativi allo sviluppo locale aggregati per macro-aree di maggiore estensione rispetto a quella di riferimento. Ciò sia allo scopo di individuare indicatori specifici che consentano, eventualmente, una comparazione geografica tra aree differenti o storica rispetto alla stessa area, sia per evidenziare come le logiche relative al cambiamento degli orientamenti teorici si siano eventualmente riflettute negli strumenti di indagine. 45 Nella pubblicazione di Unioncamere, L’atlante dello sviluppo locale (2003), la ricostruzione dello scenario socio-economico parte da una cluster analysis comunale e provinciale che precede l’analisi dei sistemi. L’analisi comunale mira a delineare a livello micro le caratteristiche strutturali del Paese; quella provinciale fornisce un’immagine delle dinamiche comportamentali in essere sul territorio. Da entrambe emerge l’immagine di un Mezzogiorno debole. I risultati sono articolati in contesti tematici distinti tra a) sistemi: ambiente, cultura, turismo, sistema produttivo; e b) infrastrutture: materiali e immateriali, e così definiti: Ambiente: entità e distribuzione del patrimonio ambientale secondo la sua articolazione regionale. Cultura: entità e distribuzione sul territorio del patrimonio culturale riconosciuto dall’Unesco. Produzione: entità e distribuzione sul territorio di insediamenti produttivi articolati per dimensioni e di distretti industriali, individuati su base normativa e dati Istat. Turismo Infrastrutture materiali: rete viaria, ferroviaria, traffico aereo, offerta portuale, interporti. Infrastrutture immateriali: Università, centri di ricerca, poli scientifici e tecnologici, credito (banche e sportelli), new economy. Dall’analisi comunale vengono desunti gli indicatori di tipo strutturale: demografici, produttivi e occupazionali. Il maggior livello di dettaglio di questi indicatori fa emergere un territorio meno compatto rispetto alla cluster provinciale. L’immagine mostra una polarità centro-periferia (o industriaterziario o industria-agricoltura) tra Nord e Sud. Difatti, il Meridione appare caratterizzato per lo più da aree marginali, dunque da debolezze strutturali, dove un alto tasso di natalità si associa ad indicatori relativi al sistema produttivo inferiori alla media generale. Anche la penisola salentina ed i territori di Brindisi e Lecce (sempre su base comunale) risultano caratterizzati come aree marginali, con alcune zone a baricentro discendente, dove tutte le variabili sono tendenzialmente inferiori alla media, ad eccezione di quella relativa alla presenza di lavoratori agricoli, ed altre zone a specializzazione produttiva, con indicatori positivi per il sistema produttivo e il mercato del lavoro. L’analisi provinciale, oltre ai suddetti indicatori di tipo strutturale, fornisce gli indicatori di performance: cultura, sanità, ambiente, criminalità, servizi. Questa analisi mostra una situazione di maggiore omogeneità articolata secondo assi dello sviluppo: quello longitudinale per lo sviluppo industriale e lungo l’asse trasversale del Nord per una maggiore qualità della vita e uno sviluppo più equilibrato. La distribuzione dei 10 gruppi individuati dall’analisi comunale viene ricomposta in “sei macro-aree sufficientemente 46 compatte ed equilibrate nella riarticolazione del territorio in modalità processuali-comportamentali omogenee”. Nel Meridione, la quasi totalità delle province, e dunque anche quelle di Brindisi e Lecce, “rientrano nell’ultimo gruppo, sponda debole, contraddistinto da dinamiche sociali ed economiche piuttosto deludenti” (p. 63). Nessuna delle due province viene inserita tra i poli a vocazione chiaramente turistica, né fra i sistemi attrattivi. Possiamo senz’altro prendere questo quadro come sfondo per la nostra analisi, tenendo conto che la sua rilevanza è limitata per i nostri fini, poiché le stime statistiche mirano a fornire un quadro d’insieme della situazione italiana. I risultati hanno valore in un contesto di comparazione, ma non sono sufficientemente dettagliati, né le loro aggregazioni corrispondono alla nostra unità territoriale di riferimento. Teniamo tuttavia presente la definizione del contesto territoriale più ampio all’interno del quale si situa il territorio del PIT, poiché divari e specificità possono emergere dal confronto di alcuni aspetti con i territori confinanti e con la struttura regionale e/o nazionale, e solo in questo modo è possibile indicarli come punti di forza o di debolezza. Terremo inoltre conto anche della scelta degli indicatori che confrontiamo con quanto esposto da Celata (2002) a questo proposito. In questo caso, per la definizione generale dell’area, a titolo esemplificativo, si dovranno definire (cito testualmente): le dotazioni dell’area (risorse naturali, culturali, umane); i luoghi di aggregazione civile e produttiva; le strutture di funzionamento del territorio – mobilità, informazione e sicurezza – necessarie all’organizzazione della vita economica e sociale (reti e nodi di servizio); il mercato del lavoro; la situazione ambientale (pp. 91-92). In particolare, dovranno emergere: gli aspetti demografici e sociali: la struttura produttiva; il mercato del lavoro; la situazione ambientale. 47 Bibliografia 1986, R. Koselleck, Futuro passato, Genova. 1996, G. Stornaiuolo, Lo sviluppo endogeno nei modelli territoriali e le politiche di sviluppo regionale, Napoli. 1998, W. Wieland, Entwicklung, in O. Brunner - W. Conze - R. Koselleck, a cura di, Geschichtliche Grundbegriffe. Historisches Lexikon zur politisch-sozialen Sprache in Deutschland, vol. II, Stuttgart, pp. 199228. 2000, E. Cicciotti, A. Spaziante, Economia, territorio e istituzioni, in id., a cura di, Economia, territorio e istituzioni, Milano, pp. 11-40; G. Pellegrini, I fattori strutturali dello sviluppo locale nelle recenti analisi teoriche ed empiriche della crescita, in Cicciotti, Spaziante, op. cit., pp. 41-61; E. Ercole, I fattori strutturali dello sviluppo locale nella recente riflessione sociologica, in Cicciotti, Spaziante, op. cit., pp. 62-76; F. Boscacci, F. Mazzola, Politiche territoriali e programmazione in una prospettiva di integrazione europea, in Cicciotti, Spaziante, op. cit., pp. 123-150. 2002, G. Becattini, F. Sforzi, a cura di, Lezioni sullo sviluppo locale, Torino; A. Bagnasco, Fatti sociali formati spazialmente, ovvero l’organizzazione della società nello spazio, in Becattini, Sforzi, op. cit., pp. 65-78; G. Becattini, F. Sforzi, Introduzione. 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Rapporto 2004 sulle economie e le società locali, Milano; 2006, Istat, Atlante statistico dei comuni, Roma; Censis, 40° Rapporto sulla situazione sociale del paese, Milano 49 Il potere territoriale come legame e come risorsa Di Luca Carbone Sono dell’avviso che un’analisi di campo possa essere di una qualche utilità agli operatori territoriali, nell’ambito della progettazione per lo sviluppo locale, e per l’internazionalizzazione di un territorio, se pone l’accento, l’attenzione, su aspetti dei fenomeni meno evidenti oppure meno evidenziati, nelle discussioni e nell’ampia messe documentale che accompagnano quei processi. Dal punto di vista della proposta presente nel progetto iniziale, è emerso con sempre maggiore chiarezza dall’analisi, come mostrerò, che la trasferibilità, eventuale, delle buone prassi dipende dalla cognizione dei contesti. Con questo si vuole dire una cosa semplice quanto decisiva: non è la best practice, non è la sua replicabilità e/o trasferibilità (come recita il linguaggio della progettazione europea) il fattore determinante per la progettazione dello sviluppo territoriale; ma è la cognizione, pertinente, estesa e, soprattutto spregiudicata, del contesto territoriale, a rendere possibile azioni efficaci, ri-modellate su esperienze che altrove abbiano “funzionato”, ma anche creativamente elaborate a partire dai potenziali individuati nei contesti. Questo approccio è stato messo, d’altra parte, ben in evidenza da Magnolo nella sua sintesi degli studi sullo sviluppo locale, inclusa nel presente volume: “Il «riconoscimento dei luoghi» è…una operazione preliminare alla definizione delle politiche adatte in ciascun luogo”; e ciò in quanto, seguendo Messina, “la capacità di fare progetto… si basa su alcune precondizioni…: non esistono modelli riproducibili sic et simpliciter; è opportuno integrare azioni e risorse diverse; è indispensabile partire dalle specificità territoriali locali; è determinante integrare politiche diverse” (cfr. Magnolo). In pratica, e detto chiaramente: l’expertise d’importazione cui troppo spesso e volentieri si ricorre, in ogni fase della realizzazione e gestione della programmazione e gestione territoriale, mixando nell’opzione la ricerca della qualità con una dose (presa da scorte, si direbbe, inesauribili) di provincialismo poco globalizzato; tale expertise non produce qualità diffusa, ma rafforza ulteriormente le già troppo forti polarizzazioni intra-territoriali. Ottenendo l’effetto opposto a quello che viene configurato quale obiettivo principale di tutta la progettazione territoriale, soprattutto in aree “arretrate”, quali le regioni italiane meridionali, gli ormai proverbiali “fare sistema” e/o “mettersi in rete”; ottenendo cioè l’effetto di frammentare, quando non fratturare, ulteriormente i “nostri” territori. Il consulente esterno, cui, a livello istituzionale e imprenditoriale ci si affida, sia per le analisi e le ricerche sia per la messa a punto e l’implementazione di strategie d’intervento territoriale, quasi sempre proviene, cioè si è formato ed opera, in realtà più “avanzate”, (che spesso significa più urbanizzate, definite da grandi e infrastrutturate aree metropolitane, connesse da maggiori le interdipendenze sistemiche) nelle quali raggiungimento della massa critica imprenditoriale, o integrazione interistituzionale, sono processi sperimentati e spesso con successo, motivo quest’ultimo per il quale si è scelto quell’esperto, quel manager. Ma una volta a contatto con un territorio specifico, e difficile, 50 come senza farci illusioni possiamo definire quello pugliese, il potere d’intervento, cioè d’applicazione, delle sue conoscenze e competenze viene ridimensionato dalla mancata esperienza e cognizione delle dinamiche relazionali proprie del territorio. Dinamiche relazionali, peculiari del territorio e che, pur facendo capo a processi socioculturali, incidono profondamente sulle dinamiche economiche. Le differenze storiche non si superano con le buone intenzioni, o con le buone “istruzioni” – ma neanche soltanto con “buoni” investimenti in infrastrutture e in impianti innovativi di produzione. Ciò che afferma molto nettamente N. Luhmann (nell’approccio teorico del quale pure non mi identifico) per la società in generale, vale anche per società territorialmente delimitate, quanto meno, come tendenza dominante. In un saggio molto rilevante del 1995, Causalità nel Sud1, al quale ritornerò più avanti, così Luhmann caratterizza, icasticamente, i processi sociali: “La società è un sistema storico, una «macchina storica», che, riproducendosi operativamente, di situazione in situazione si orienta sempre a se stessa, e questo significa che si orienta sempre a ciò che essa fa di se stessa. Oppure, per dirla con Nietzsche: il suo «divenire» irreversibile viene trasformato da «volontà di potenza» in «ritorno dell’identico». Almeno grosso modo”. Una posizione teorica quale questa spesso viene utilizzata per legittimare a senso unico l’esistente: così c’è un accordo teorico di massima sul fatto che non ci si possa sottrarre alla globalizzazione come processo attivo su scala mondiale. Viceversa, nel saggio di Luhmann e qui in particolare (e modestamente!) questa posizione pone l’accento sul fatto che ogni territorio può avere una propria storicità, una propria, circoscritta ma non eludibile, sedimentazione storica che lo differenzia dallo sviluppo storico “generale”, pur ovviamente non isolandolo. “Un” territorio è, quindi, una realtà socialmente dinamica, culturalmente complessa, nel seducente linguaggio di un’urbanista: l’intreccio di molteplici piste anacroniche. Anacroniche perché, per quanto simultaneamente compresenti, non sono affatto sincroniche, non sono il prodotto provvisoriamente attuale di un percorso evolutivo lineare. Ma per fugare il dubbio che non si tratti di disquisizioni vagamente estetico-esoteriche, ripropongo una definizione di territorio come sistema culturale, che potrebbe apparire in verità piuttosto anacronica rispetto all’aggiornamento degli studi, risalendo ormai a più di un quarto di secolo fa la sua formulazione, elaborata da Giannotti per un Convegno e poi inserita in chiusa del suo Un fiore nel deserto (Giannotti, 1982) con il titolo, appunto “Il territorio come sistema culturale”; ma che forse ha acquistato in validità quello che ha perso in attualità. L’aggettivo “culturale”2 non deve trarre in inganno, l’accezione in cui lo utilizza Giannotti è quella “antropologica”, per cui abbraccia tutte le forme di autocostituzione e autoproduzione sociali, compresa la nostra percezione Il saggio di Luhmann è incluso nel volume di Giancarlo Corsi e Raffaele De Giorgi, Ridescrivere la questione meridionale, Pensa, Lecce, 1998. Tutte le citazioni seguenti sono tratte dalle pagine 91-121. 2 Per correttezza segnalo che Luhmann, invece, critica gli approcci basati sul concetto di cultura perché troppo estensivi. Ma in questa sede, le differenze e le opposizioni teoriche cedono il passo alla necessità di far emergere le dinamiche territoriali. 1 51 della/interazione con la “natura”. Pertanto, scriveva Giannotti, “un concetto adeguato del territorio [implica]: la nozione del termine ultimo di incidenza concreta e di verifica temporale di un lavoro, di una praxis, che media e fonda la materializzazione di una forma storicamente specifica della comunicazione inter-soggettiva intessuta di strategie cooperative e conflittuali”. Il territorio, quindi, come luogo dove si attuano le prassi e dove, nel tempo, le si verifica negli effetti e nelle conseguenze; prassi che materializzano, che sono la materializzazione del lato “invisibile” del sociale, la comunicazione inter-soggettiva (quella verbale e quella comportamentale) con le sue proprie dinamiche, e cooperative e conflittuali. Da questa prospettiva, secondo Giannotti il territorio appare “Un’istituzione sempre culturalmente terminale perché sempre materialmente preliminare. La componente costituzionale di una «costruzione di realtà sociale» veramente radicale3, perché seleziona uno spazio fisico e trasforma queste cose qui e quelle cose lì in queste parole, in questi strumenti e/o valori, condizioni, mezzi, e norme delle pratiche interattive, che divengono «istituzioni» e dinamica della struttura sociale, della quale, anche come ordinamento e modello culturale, il territorio, appunto, è alla fine prodotto e rappresentazione materiale globale”. Il territorio quindi come spazio – biotico e abiotico – delimitante le pratiche e le interazioni sociali, e perciò le istituzioni, qui non solo e forse non soprattutto quelle formali, che determinano le dinamiche della struttura sociale; ed al tempo stesso il territorio come spazio delimitato e individuato dalle pratiche e dalle istituzioni che in esso e per esso vi hanno luogo, dando e prendendo una specifica forma storica, quotidianamente visibile e tangibile. “Questo territorio, che non è più «natura vergine», ma che è culturastoria, patrimonio e valore d’identità in senso spirituale e materiale e quasi corpo e personificazione d’ogni comunità umana”. Il territorio quindi come spazio del riconoscimento, della riconoscibilità, dell’appartenenza: questi muri, queste strade, questi alberi, questi bar, questi cibi, questi cerimoniali, questi suoni, questi sconci: costellazioni relazionali come fitte trame di figure e cose. Tutto ciò appare lontano dall’analisi della progettazione territoriale e delle sue eventuali “best practices”; tuttavia questa apparenza è un’impressione che deriva da un costume teorico diffuso e dominante, consistente in una sorta di inconsapevole “riduzionismo analitico”, quando si affronta la questione “territorio”. Se la condizione preliminare per la progettazione di interventi efficaci nell’ottica dello sviluppo economico locale, è il “riconoscimento dei luoghi”, e lo è, poiché senza una conoscenza esperienziale e riflessiva di qualcosa, con quel qualcosa non si può operare; allora diventa necessario definire che cosa intendiamo per luogo, cioè territorio. E la tendenza dominante, 3 Non condivido l’approccio costruttivista al quale qui accenna Giannotti, ma ciò non toglie che resta valida la determinazione dell’ambiente come – anche, ma mai soltanto o prevalentemente –co-costruzione collettiva. 52 che si manifesta chiaramente nei documenti di programmazione nazionali e regionali (presumibilmente nella completa buona fede dei loro estensori) è quella di definire i territori, i loro potenziali e i loro vincoli, nei termini di variabili socioeconomiche, quasi esclusivamente, e comunque prioritariamente. Mentre guardando al territorio come ad un sistema insieme delimitato ed in mutamento, emerge che le variabili socioeconomiche sono incorporate (embedded) nelle variabili socioculturali complesse e complessive che lo caratterizzano come “questo” territorio. Incorporate qui vuol dire anche determinate-da. Un’analisi dello sviluppo locale/territoriale in termini, anche in senso lato, soltanto economico-poduttivi, rimane un’analisi parziale e forse insufficiente per riconoscere le potenzialità di un territorio e quindi anche le sue possibili dinamiche di sviluppo. La risposta alla domanda riportata da Magnolo “è l’impresa il motore dello sviluppo […] o è il contesto complessivo che determina le condizioni essenziali per la nascita e lo sviluppo dell’impresa?” (una domanda che, a livello di macroanalisi, accompagna la sociologia da un secolo, dalla pubblicazione del celebre saggio di Weber L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo) ha la sua risposta, su scala territoriale nella proposta di “cominciare a pensare di potere e di dovere «leggere» il territorio come il nostro «corpo sociale», ed, insieme, come il nostro campo d’azione; condizione-risultato e risultatocondizione della nostra libertà condizionata”. È, quindi, al “nostro” corpo sociale come contesto complessivo, che qui si propone di guardare, per comprendere limiti e potenzialità dello sviluppo locale. La proposta teorica di Giannotti si presta a diversi livelli di approfondimento tuttavia qui basti rilevare come la delimitazione del territorio quale campo d’azione, è quella a tutt’oggi riconosciuta e proposta come la più valida per interventi a livello di progettazione per lo sviluppo locale, come apprendiamo da un ambizioso documento di sintesi dei tre principali approcci allo sviluppo locale promossi dalla World Bank, Linking Community Empowerment, Decentralized, and Public Service. Provision Through a Local Development Framework (Helling, Serrano, Warren, 2005): “Qualunque sia l’estensione fisica lo “spazio locale” è un concetto di scala intermedia, al di sopra del livello della famiglia e della comunità, e al di sotto del livello regionale e nazionale. Lo spazio locale è un luogo per collegare le comunità con i loro ambienti naturali, l’interpersonale con l’istituzionale, e le società con i mercati. L’organizzare il processo di sviluppo a questo livello offre una serie di vantaggi, alcuni risultanti dal suo essere più piccolo dello stato, ed altri risultanti dall’essere più grande che la comunità”. Lo “spazio locale” è definito più che da una limitazione geo-fisica, da una scala relazionale. Lo spazio locale è: • • Abbastanza piccolo da facilitare la comunicazione così che i processi di management e di governance possano ben alimentarsi per mezzo di informazione rilevante e tempestiva Abbastanza grande da permettere di sostenere un po’ di specializzazione delle funzioni per professionisti tecnici e amministrativi e le relative tecnologie il cui contributo sia diffuso 53 • • • Abbastanza prossimo in scala ai network sociali informali, alle associazioni, alle istituzioni di governance tradizionale da facilitare l’impegno del loro capitale sociale Abbastanza grande da racchiudere molte comunità e così beneficiare di economie di scala e più efficiente allocazione delle risorse, specialmente per strutture richiedenti più grande popolazione o basi economiche di domanda Coincidente con i più basso livello delle gerarchie amministrative e di governance del settore pubblico – il primo livello o il secondo al di sopra delle unità base dei servizi4. Comunicazione agevole, specializzazione presente ma contenuta, interscambio tra livelli formali e informali dell’interazione sociale e dell’istituzionalizzazione, capacità di sostenere un certo livello di domanda e offerta economica, livelli contenuti di burocratizzazione – tutti questi sono punti di forza, potenziali, del territorio come campo d’azione per lo sviluppo locale. Sono dovuti alla scala politico-spaziale, geografica in senso ampio, a livello della quale un territorio è riconoscibile e definibile. Decisiva non è tuttavia la delimitazione geo-fisica del territorio, ma quella relazionale – poiché nei sistemi sociali lo spazio non è mai irrelato al tempo, come questo non lo è a quello. E ciò in quanto il territorio “è definibile come sistema culturale perché non la sua fisicità, nel senso di un qualche determinismo geografico, ha pregnante rilevanza sociale, ma il senso che questa fisicità acquisisce ed istituzionalizza nelle forme di condizioni e mezzi della produzione e riprodu4 Pp. 11/12: Whatever its physical extension the “local space” is a concept of intermediate scale, above household and community scale and below regional and national scale. The local space is a venue for linking communities with their natural environments, the interpersonal with the institutional, and societies with markets. Organizing the development process at this level offers a series of advantages, some resulting from its being smaller than the state and some resulting from it being larger than the community. The local space is: • Sufficiently small to facilitate communication so that management and governance processes are well nourished by relevant and timely information. • Sufficiently large to permit supporting some specialization of functions for technical and administrative professionals and associated technology whose contribution is spread across several service delivery units. • Sufficiently near in scale to informal social networks, associations, and institutions of traditional governance to facilitate engaging their social capital. • Sufficiently large to encompass several communities and so to benefit from economies of scale and more efficient allocation of resources, especially for facilities requiring greater population or economic bases of demand. • Coincident with the lowest levels of the public sector’s administrative and governance hierarchies—the first level or two above the service delivery unit (Traduzione mia). 54 zione sociale, attraverso le incessanti mediazioni del lavoro, nei termini insormontabili e variamente intrecciati dello scambio e del potere”. Qui Giannotti prende accortamente le distanze da qualsiasi riduzionismo determinista e, tuttavia, rimane un punto da discutere se la “fisicità” del territorio sia e possa essere solo e/o prioritariamente mezzo e condizione della produzione e riproduzione sociale; il fatto, storicamente innegabile, che i nostri territori siano il prodotto di lunghissimi processi di antropizzazione, sulla base del lavoro sociale, non può, né deve far dimenticare che le società coevolvono, sempre e necessariamente negli ecosistemi, in dinamiche reciprocamente adattive. Queste definizioni sono state aggiornate nella teoria dei Sistemi Locali Territoriali (SLoT) visti come entità territoriali dotate di autonomia, identità, capacità auto-organizzativa che si definisce e si costruisce nell’interazione fra i soggetti, organizzati nelle reti locali, e le componenti del milieu; quest’ultimo a sua volta definito, come appunto quell’insieme di condizioni fisiche e socio-culturali che si sono sedimentate in un territorio come risultato di processi di lunga durata (a partire dal rapporto coevolutivo originario con l’ecosistema naturale) e che vengono messe in valore da progetti locali condivisi. Ad ogni modo, da un punto di vista storico-sociale, nei processi di lunga durata “il territorio incorpora e rappresenta anche la struttura e la dinamica del potere, come sistema di rapporti che è insieme cultura e gerarchia”. Quest’ultima ulteriore specificazione dovrebbe essere sufficiente ad allontanare il residuo del dubbio, anche legittimo, che quando si parla di “territorio” e di “locale” si abbia a che fare con una dimensione astorica, idillica, con le “buone cose dei vecchi tempi”. I potenziali del territorio sono sempre mediati e filtrati da un sistema di rapporti gerarchici, e questa stessa gerarchia è profondamente culturalizzata; nel senso che incarna e rappresenta insieme sia la configurazione urbanistico/architettonica (basti pensare alla centralità dell’edificio chiesa in tutti i nostri centri urbani) che la stratificazione sociale del territorio, e pertanto modella attivamente i processi di socializzazione primaria e secondaria; concorrendo a modellare anche la formazione umanistica, scientifica, artistica… Il sistema di rapporti che si materializzano in una cultura e in una gerarchia getta luce su un altro aspetto molto discusso a proposito dello sviluppo locale, il ruolo che vi “giocano” le istituzioni locali. Non si può non convenire sull’importanza delle istituzioni e organizzazioni locali (Province, Camere di Commercio, Associazioni di categoria etc.) come anello intermedio e mediatore tra lo Stato e il Mercato, nello sviluppo dei territori (cfr. Magnolo), quali sedi privilegiate dei processi di governance. Ma, nella pratica, tra il riconoscere questa centralità, “decentrante” rispetto allo Stato, ed il riconoscere il ruolo effettivo che giocano e le strategie operative messe in atto dalle stesse, con l’obiettivo dichiarato di contribuire fattivamente allo sviluppo sostenibile del territorio, la differenza non è lieve. Proprio l’indubbia influenza che esse esercitano sul territorio fa sì che essa possa essere, nei fatti, altrettanto negativa che positiva ai fini dell’accrescimento 55 della competitività territoriale, prodotta dall’incrocio tra applicazione estesa delle innovazioni e cura della sostenibilità sociale e ambientale. Di nuovo, è utile ribadirlo: le “differenze” territoriali storicamente sedimentate non si superano sulla base della programmazione per lo sviluppo, che non tenga conto della loro incidenza quotidiana e concreta. L’insieme di quanto sopra accennato, sulla scorta delle indicazioni teoriche elaborate e proposte da Giannotti, mira a rendere visibile una dimensione che, nella analisi dello sviluppo, sembra non emergere, e cioè, quella che, con un certo gusto del paradosso, parafrasando la Commissione Europea, potremmo chiamare “coesione territoriale”. Un territorio, questo “nostro” territorio è coeso. Quest’affermazione è ampiamente controintuitiva. Se qualcosa sembra caratterizzare le regioni meridionali, questo qualcosa è sicuramente, per gli analisti, la loro frammentazione. E questo spiega, d’altronde, i continui appelli al “fare sistema”, al “creare sinergie” alla necessità di coordinare le attività e simili. Ma lo spiega soltanto sino a quando come modello di coesione sociale viene assunto un modello sviluppatosi storicamente e riconosciuto in altre realtà storico-nazionali. Il nostro è un territorio coeso nel suo essere in una sorta di transizione permanente da quella che – astrattamente dicotomizzando – i sociologi definivano “società tradizionale” a quella che definiscono “società moderna”, con i suoi aggiornamenti “post-” (società post-industriale, post-moderna, post-materialista ). Con questa formulazione leggermente paradossale intendo mettere in rilievo il fatto che è inutile, controproducente ed, al limite, dannoso promuovere interventi territoriali senza tematizzare ed affrontare apertamente la “realtà” che molte dinamiche relazionali, molte interazioni, tanto cooperative che conflittuali, sono strutturate e si riproducono sulla base di canoni valoriali e comportamentali che poco, quando nulla, hanno a che fare con, per esempio, l’agire razionale sia esso rivolto allo scopo, oppure al valore; che utilità e funzione, che universalismo e realizzazione, poco spiegano dei comportamenti sociali e delle motivazioni individuali, delle azioni che concretamente modificano il territorio al di là (o al di qua) delle espressioni verbali ed anche della buona fede e delle rappresentazioni di sé che gli attori sociali si costruiscono. Forse meglio che di permanente transizione, sarebbe il caso di parlare di transizione sospesa, quale condizione permanente. Questo non vuol dire che l’innovazione non sia possibile, o non venga adottata, tutt’altro. Vi sono esempi di eccellenza di livello internazionale, nella ricerca ed anche nell’impresa. Il punto è che l’eccellenza non si diffonde. L’eccellenza non diventa patrimonio condiviso e diffuso dal territorio. Il buon esempio, da solo, non basta; come non basta la “buona prassi”; anche perché senza bisogno d’importarle, ne abbiamo di prim’ordine. Per il territorio di Brindisi è sufficiente l’esempio della Cantina Due Palme, la prima Cantina Sociale della storia italiana recente, a vincere il primo premio assoluto al Concorso Nazionale Vinitaly di Verona, con un proprio prodotto, un proprio vino. Per mostrare direttamente l’ambiguità storico-sociale del territorio, è altamente indicativo un dato, che da un lato è leggibile come evidenza della frammentazione territoriale, e dall’altro come evidenza della sua coesione; 56 la lettura dipendendo da quali modelli fungono da comparazione. Uno dei limiti sempre rilevati nelle analisi del contesto territoriale è, infatti, la parcellizzazione delle attività industriali, (dato confermato anche nel settore terziario), al punto che spesso l’impresa coincide con il nucleo famigliare:...“il tessuto imprenditoriale delle regioni della convergenza…è caratterizzato da dimensione aziendale oltremodo modesta; dalla gestione dell’azienda quasi esclusivamente da parte dell’imprenditore e di altri componenti del nucleo familiare; da un modello di capitalizzazione dell’azienda poco evoluto, che prevede un ricorso quasi esclusivo al capitale familiare; dall’assenza di una pianificazione strategica; dalla modesta attenzione alla programmazione operativa delle attività (investimenti e fabbisogni finanziari); dalla scarsa cultura finanziaria sia a livello imprenditoriale che di responsabile amministrativo” [QUADRO STRATEGICO NAZIONALE 2007-2013 PER LE REGIONI DELLA CONVERGENZA PROGRAMMA OPERATIVO NAZIONALE RICERCA E COMPETITIVITA’ (CCI: 2007IT161PO006) 30 novembre 2007 (pagina 31/252)]. Se traduciamo queste osservazioni in un’elencazione, ne risulta qualcosa del genere: l’impresa “meridionale” è – mediamente – incapace di crescita; incapace di gestione; incapace finanziariamente; incapace di pianificare e programmare; incapace nel management e nell’amministrazione. (Verrebbe da chiedersi: è un’impresa?) Quest’analisi ha come presupposto un modello d’impresa – tratto da altre realtà produttive, a certe condizioni, senz’altro più efficienti ed efficaci sul mercato – al quale quelle meridionali mediamente non corrispondono. Se quello è il presupposto, è del tutto conseguente che gli interventi proposti si pongano l’obiettivo di avvicinare nella misura del possibile, le imprese territoriali al modello efficiente sul mercato. Ma proprio impegnandosi in questo sforzo “in sé” positivo, si viene meno all’istanza di “riconoscere i luoghi”; i territori. Si evita di porre a fondo la domanda dirimente: come è possibile che, nonostante tutte le controindicazioni, l’attività imprenditoriale nel meridione, rimanga confinata alle dimensioni dell’impresa familiare prevalentemente? Sin quando non si cerchi e si ottenga una risposta – storica e strutturale e perciò in grado di orientare le policies – a questa domanda, questa “omissione” significa un rifiuto: nonostante tutte le cautele critiche e analitiche, quello che non si vuole accettare, che si rifiuta, è che vi possano essere differenti modi per conseguire lo stesso sviluppo; quello che non si vuole domandare è se vi possano essere altri modelli di sviluppo, che tengano conto della specifica coesione territoriale. Quello che sembra difficile fare è “pensare il sud dal sud”; per usare quella che troppo presto è diventata quello che non è affatto, una formula rituale tanto abusata quanto inefficace – e, cioè, tra molto altro: la necessità di“…non pensare più il sud o i sud come periferia sperduta e anonima dell’impero, luoghi dove non è ancora successo niente e dove si replica tardi e male ciò che celebra le sue prime altrove”. La sfida sarebbe allora: pensare lo sviluppo locale dei nostri territori non come una replica tardiva ed approssimativa di quanto fatto altrove. Come si può rendere tangibile, e dare una valenza operativa a queste indicazioni “metapolitiche”? Senz’altro approfondendo lo studio della coesione territoriale, ma dopo aver selezionato un altro modello per la comparazione. Comparando, cioè, non più soltanto a realtà “più sviluppate”, il nostro territorio; ma comparandolo ai così detti paesi in via di sviluppo; o, se pre57 feriamo una definizione meno precisa ma anche meno implicitamente razzista, agli altri sud del mondo. Per uno dei molti paradossi che accompagnano qualunque percorso di conoscenza, alcuni documenti che appaiono utilizzabili per delineare un quadro complessivo delle problematiche legate allo sviluppo locale nel sud del mondo, sono prodotti dagli studiosi e ricercatori di organismi tra i più criticati a scala globale per le loro proposte economiche per lo sviluppo di stati o aree “arretrati”, le Banche per lo Sviluppo, e la Banca Mondiale in primis; già prima chiamata in causa attraverso un documento mirante a tracciare linee-guida per lo sviluppo territoriale. Ma in questa sede, non abbiamo l’obbligo di adottare le soluzioni, ci interessano invece le analisi di contesto e di metodo. Certo per accettare questo cambiamento di prospettiva è necessario non abbandonarsi interamente ai propri saldi pregiudizi euro-centrici, da una parte; e dall’altra, operazione non meno complessa, riconoscere e accettare di portare a consapevolezza una serie di interazioni sociali quotidiane – cooperative e conflittuali – nelle quali siamo per lo più immersi; che costituiscono ciò che più diamo per scontato e che perciò sono quelle che strutturano la coesione e i poteri territoriali. Bisogna anche stare in guardia dalle generalizzazioni della critica sociale, non solo dalle generalizzazioni ideologicamente compiacenti. È innegabile che ci sia del vero in quello che scrive Cassano in merito alla modernizzazione del Sud: “Ci si è modernizzati rendendo tutto vendibile e rendendo sistematico l’osceno, prostituendo il territorio e l’ambiente, i luoghi pubblici e le istituzioni. La mobilità sociale si è esercitata in forme perverse attraverso la crescita delle attività malavitose e criminali…[si è verificata] la vendita trasformistica delle classi dirigenti, la loro corruzione sistematica, una furbizia estorsiva più raffinata e trasformistica nei gradi più alti e più violenta ed evidente nelle classi più povere” (Cassano, p. 4). Ma, anche riconoscendo come questo sia stato un “destino…comune a tutti i sud del mondo”, rimane il dubbio che queste prese di posizione siano troppo estensive, per così dire, troppo comprendenti, e troppo poco intensive, troppo poco penetranti. I rapporti di potere, insieme di cultura e gerarchia, sono stati (e sono) anche quelli “denunciati” da Cassano, ma sono anche altri, sono più sottili, sfumati e più pervasivi, meno facilmente identificabili con i soli detentori del potere come “capri espiatori” alla rovescia. Anzi, probabilmente in parte coincidono con comportamenti formalmente legali, o che derogano solo marginalmente dal rispetto per regolamenti, disposizioni di legge, ed anche norme non scritte sui comportamenti onesti. E Prima di approfondire la questione dei rapporti di potere, è bene fissare il criterio dell’approccio all’intera problematica dello sviluppo locale nei sud del mondo, e nel nostro sud. Come già rilevato, si tratta di rinunciare all’idea, ma anche alla convinzione, che vi sia un unico modello di sviluppo applicabile. Ed un unico modello finale da raggiungere. L’approccio alle dinamiche di governance che alcuni tra gli esperti e consulenti della World Bank suggeriscono si basa, proprio, sulla non generalizzazione dell’approccio. E in proposito, qualcuno, come Anirudh Krishna, non lascia spazio a dubbi. Una volta riconosciuto che tra gli attori chiave dello sviluppo locale, ci sono le istituzioni locali, formali e informali, 58 le modalità con cui queste cooperano allo sviluppo dei territori vanno vagliate e selezionate di volta in volta, tenendo conto delle specificità del territorio in questione: “Le azioni dei governi locali possono infondere energia nelle comunità, e l’impegno della comunità può migliorare le performance dei governi locali su molteplici indicatori. La co-produzione – nella quale i cittadini e le agenzie di governo agiscono insieme per produrre risultati – è l’accordo migliore in molti se non nella maggior parte dei settori. L’efficienza insieme con la conformità – i due requisiti per istituzioni appropriate… – possono entrambe essere ottenute in questa maniera. Le associazioni comunitarie possono incoraggiare il consenso e la partecipazione che le amministrazioni locali spesso non possono raccogliere intorno a sé. E le amministrazioni locali possono fornire risorse tecniche ed organizzare il coordinamento con più alti livelli di governo, che le associazioni comunitarie trovano difficile gestire in base a propri accordi. Strutturate appropriatamente, le partnership tra associazioni comunitarie e amministrazioni locali possono fornire una base per il consolidamento istituzionale a livello locale”. Raggiungere un livello di coproduzione cooperativa è un lavoro difficile: normalmente lo scenario è infatti l’opposto. Le istituzioni formali sono più o meno arroccate nei “palazzi”, dai quali orientano anche le sortite territoriali e la società civile e le imprese, soprattutto le piccole imprese, si auto-organizzano in modi e forme più o meno fluidi e più o meno in polemica con le Istituzioni, producendo la situazione opposta a quella prefigurata da Krishna: che le attività istituzionali sono prive di consenso e quelle informali, incapaci di darsi un coordinamento che ne renda l’azione più duratura ed efficace. Il superamento di queste difficoltà non è affidabile ad una qualche “mano invisibile, come sottolinea Krishna: “Nessun programma-modello sarà sufficiente per strutturare queste partnership in ogni caso dato. E mentre è utile imparare dall’esperienza di altri paesi, i programmi-modello importati avranno bisogno di essere “filtrati attraverso le pratiche e i bisogni locali”. Sperimentazione e adattamento a livello locale saranno necessari prima che le istituzioni realizzino il desiderato bilanciamento di efficienza e legittimazione e prima che esse possano adeguatamente giovare agli obiettivi sopra delineati. Uno studio del decentramento partecipativo in America Latina enfatizza come questi miglioramenti e queste riforme fossero “per la maggior parte indigeni ai sistemi politici [e culturali] nei quali erano prodotti, e non il risultato di interventi deliberati dei governi nazionali. Neanche le ONG e le agenzie internazionali di assistenza offrono molto aiuto nell’avviare le cose”. Questa disamina suggerisce che nessuno può imporre una struttura appropriata, pianificata dall’esterno. Ciò che importa in ogni singolo caso è la natura del processo (corsivo autore) che riunifica le amministrazioni locali e le organizzazioni comunitarie per dare forma a soluzioni innovative e pertinenti al contesto, che continuino ad essere riadattate al cambiare delle situazioni. (…) Qui è necessaria una bilancia sottile. Piani standardizzati imposti 59 dall’alto possono soffocare l’innovazione istituzionale a livello locale” (enfasi aggiunta)5. Prendere le distanze dalle generalizzazioni vuol dire anche prendere le distanze dal presupposto che le sottigliezze siano riservate alla teoria, mentre nelle pratiche come si dice “non si va tanto per il sottile”. Come rileva Krishna, la bilancia necessaria a pesare gli interventi sulle dinamiche istituzionali è sottile, il territorio è una stratificazione complessa di interdipendenze storicamente auto-determinatesi, e proprio per questo rischia di risultare arbitrario (anche se non da escludere del tutto) l’intervento dall’esterno, e dall’alto. Ciò che vale per le dinamiche istituzionali, vale anche per quelle imprenditoriali, come affermano gli autori di studi condotti per la Inter-American Development Bank, con due “conclusioni” che suonano come due formule, ma che sintetizzano anni di studi ed esperienze (inclusi probabilmente molti fallimenti): “La lezione più generale e più importante è che non c’è alcuna ricetta che garantisce la crescita”; e ““L’organizzazione istituzionale per la competittività manca di una formula pre-stabilita…”6. 5 P. 4: “Local governments’ actions can energize communities, and community engagement can improve local governments’ performance on multiple indicators. Coproduction – in which citizens and government agencies act together to produce results – is the preferred arrangement in many if not most sectors. Efficiency along with compliance – the two requirements for appropriate institutions, as seen above – can both be achieved in this manner. Community associations can help foster consent and participation that local governments cannot often muster on their own. And local governments can provide technical resources and arrange for coordination with higher levels of government, which community associations find hard to manage of their own accord. Appropriately structured, partnerships between community associations and local governments can provide a basis for institutional strengthening at the local level. No blueprints will suffice for structuring these partnerships in any given case. And while it is useful to learn from other countries’ experience, imported blueprints will need to be “filtered through local practices and needs”. Local-level experimentation and adaptation will be required before institutions achieve the desired balance of efficiency and legitimacy and before they can adequately serve the objectives outlined above. A study of participatory decentralization in Latin America emphasizes how these improvements and reforms were “for the most part indigenous to the political [and cultural] systems in which they were produced, and not a result of deliberate interventions by national governments. Neither did NGOs and international assistance agencies offer much help to get things started”. No one can impose an appropriate structure designed from the outside, this examination suggests. What is important in each case is the nature of the process that brings local governments and community organizations together for fashioning innovative and contextually relevant solutions that continue to be refashioned as circumstances change. A fine balance will be required here. Standardized designs imposed from above can stifle institutional innovation at the local level”. SOCIAL DEVELOPMENT PAPERS Community Driven Development Number 52/February 2004 “Partnerships between Elected Local Governments and Community-Based Organizations: Exploring the Scope for Synergy” (Traduzione mia). 6 Riporto qui in nota un più esteso stralcio dei documenti da cui ho tratto le due formulazioni evidenziate nel testo: “Diverse decadi di esperienza dell’IDB e alter istituzioni finanziarie, così come numerosi studi, forniscono preziose lezioni circa le difficoltà che comporta il raggiungere una crescita economica sostenibile. La lezi- 60 L’accrescimento della complessità nel campo d’azione territoriale è dovuto al fatto che i fattori concorrenti a strutturare i processi istituzionali non sono tutti sullo stesso piano, come già accennato: sono, al tempo stesso, formali (legislativi, regolativi, procedurali etc.) ed informali (familiari, di comunità, culturali, religiosi); in un intreccio costante e continuamente adattabile. Per dirlo, quindi, in prima approssimazione: la coesione territoriale di un territorio, va riconosciuta e indagata, anche sempre, sul piano delle relazioni informali, cooperative e/o conflittuali che siano, e del loro intreccio con le relazioni formali. Uno degli ambiti in cui emergono queste dinamiche è quello del potere su scala territoriale, della governance del territorio. Parafrasando Weber possiamo riconoscere quale nostra condizione abituale, una sorta di politeismo dei poteri. Come scrivono Georg Lutz e Wolf Linder, membri dell’Institute of Political Science dell’Università di Berna in Traditional Structures and Local Governance for Local Development, documento di una desk-analysis, commissionata dal World Bank Institute’s Community Empowerment: “Tutti noi accettiamo simultaneamente differenti forme di autorità per cose differenti in maniera flessibile. Le autorità possono includere gli anziani, i genitori, i leader religiosi come i leader tradizionali o i funzionari governativi eletti. Per alcune questioni noi conteremo sui leader religiosi, per altre noi possiamo fare assegnamento sullo stato e accettare forme democratiche di decisione, a per alcune altre materie noi possiamo accettare l’autorità dei nostri genitori. Differenti autorità coesistono ovunque e a volte esse possono persino competere l’una con l’altra” 7. Cioè one più generale e più importante è che non c’è alcuna ricetta che garantisce la crescita (“Several decades of experience of the IDB and other financial institutions, as well as numerous studies, provide valuable lessons about the difficulties involved in achieving sustainable economic growth. The most general and most important lesson is that there is no recipe that guarantees growth” (Sustainable Economic Growth Strategy Document Inter-American Development Bank Washington, D.C. August 2003, “…prepared … by Eduardo Lora with support from Ricardo Quiroga and César Patricio Bouillon as part of a team led by Carlos M. Jarque; p. 1); nell’altro, addirittura in merito alla competitività : “L’organizzazione istituzionale per la competitività manca di una formula pre-stabilita: piuttosto, è necessario che si adatti alle condizioni geografiche, storiche, culturali e istituzionali e allo stadio di sviluppo di ogni paese o regione. La maniera in cui sono organizzati i differenti tipi di commissioni per la competitività, nazionali, sub-nazionali, o settoriali dipende dal livello della maturità istituzionale all’inizio e dai ruoli attribuiti agli attori coinvolti” Institutional organization for competitiveness lacks a preestablished formula: rather, it needs to adapt to each country’s or region’s geographical, historical, cultural and institutional conditions and stage of development. The manner in which different types of national, sub national or sector competitiveness commissions are organized depends on the level of institutional maturity at the outset and on the roles assigned to the actors involved.” – TOWARD SUSTAINABLE AND EQUITABLE DEVELOPMENT – Competitiveness; This document was prepared by an Inter-Departmental Working Group... Eduardo Lora (RES) coordinated the drafting of the document, with the participation of César Bouillón (SDS/POV) and Luis Fierro (SDS/SDS), under the guidance of Carlos M. Jarque (Manager, SDS). Traduzioni mie). 7 “We all simultaneously accept different forms of authority for different things in a flexible way. Authorities can include the elders, parents, religious leaders as well 61 l’una contro l’altra, e forse più spesso che “a volte”; ma, soprattutto, la coesistenza delle differenti autorità, non avviene in sfere separate, né socialmente, né psicologicamente. Non sembrerebbe esserci grande spazio nell’interazione sociale quotidiana per le dicotomie molto care ai teorici della società: i sistemi sociali sono troppo complessi per “funzionare” solo sulla base delle loro operazioni “interne”, compreso lo stesso sottosistema dell’economia. Le differenti autorità interagiscono, cooperando e/o confliggendo nelle stesse sfere; come esplicita molto chiaramente Dele Olowu, della African Development Bank, nel contributo Introducing Invisible Local Governance, Contribution to the Parallel Session on Traditional Structure and Local Governance: “Io penso che abbiamo bisogno di mettere in questione la fondamentale tesi sulla modernizzazione che sembra aver costituito la base per questo lavoro [cfr. il lavoro a proposito del quale lui presenta osservazioni critiche]. L’idea, avanzata nel paper, che i paesi occidentali abbiano lasciato alle spalle i sistemi tradizionali di governance come una fase dell’evoluzione della società, dell’economia, della politica verso moderne direzioni. Perciò lo studio dell’amministrazione tradizionale sarebbe rilevante principalmente nei paesi in via di sviluppo. Benché nessuno contesti il fatto che i sistemi tradizionali di governance siano più diffusi in alcuni paesi in via di sviluppo, penso che noi abbiamo bisogno di mettere alla prova questa supposizione. La governance tradizionale è attiva oggi in molti paesi dell’Unione Europea al livello nazionale della governance”8. Sarebbe materia di un’analisi politica interessante l’ultima affermazione di Olowu, ma ciò che per noi risulta immediatamente rilevante è che, a livello locale, anche in paesi occidentali industrialmente avanzati, e nel Mezzogiorno d’Italia senz’altro, il sistema di governance tradizionale non è stato semplicemente “superato”, e, pertanto, abbandonato, quanto piuttosto si è integrato e si integra ai moderni metodi, più formali e visibili, di governance. Si tratta di cominciare a vagliare e misurare l’incidenza dell’IIGS nelle politiche di sviluppo. L’acronimo esplicitato – Informal Indigenous Governance Systems – potrebbe risultare provocatorio. Tuttavia, dal punto di vista del vocabolario italiano, “indigeno” vuol dire semplicemente: appartenente ad un dato luogo da che se ne abbia memoria storica. Può risultare illusorio as traditional leaders or elected governmental officials. For some issues we will rely on religious leaders, for others we might rely on the state and accept democratic forms of decision making, and for some other matters we might accept the authority of our parents. Different authorities co-exist everywhere and sometimes they might even compete with each other (p. 4)”. (Traduzione mia). 8 “I think we need to challenge the fundamental modernization thesis that seems to have constituted the theoretical basis for this work. The idea is advanced in the paper that western countries have left behind traditional systems of governance as a part of the evolution of the society, economy and polity in modern directions. Hence, the study of traditional administration finds relevance mainly in developing countries. While not disputing the fact that traditional systems of governance is more pervasive in some developing countries, I think we need to challenge this assumption. Traditional governance is active today in several countries of the European Union at the national level of governance”. (Traduzione mia) 62 proporre di vagliare i Sistemi di Governance Informali Indigeni del nostro territorio, per coinvolgerli nelle politiche di sviluppo, attivamente e apertamente; ma forse non è meno irrealistico proporre ed implementare delle politiche di sviluppo locale sulla base di driving forces operanti solo “in mente dei”, o comunque altrove, in altri contesti territoriali. Come è un esercizio abbastanza stereotipo continuare ad utilizzare, quasi come un timbro, la fortunata formula semi-scientifica e semi-moralistica del Banfield, a proposito del “familismo amorale” che caratterizzerebbe la struttura sociale del Sud. È singolare come, su certi argomenti, la pretesa alla scientificità “oggettivante” si arrenda ad una definizione che contiene un aggettivo come “amorale”, l’utilizzo del quale presuppone si sappia quale sia la morale, e quindi presuppone che ve ne sia una soltanto, e che questa morale unica, grosso modo, coincida con la visione del mondo di un antropologo statunitense come il Banfield. Perché insistere su questo punto? Perché fondamentalmente, in forme aggiornate, si continuano a informare la progettazione, ed altre azioni di policies, sul presupposto che si debba combattere e contrastare l’influenza dei legami familisti che innervano le dinamiche istituzionali territoriali – sulla carta; mentre nella vita, cioè nelle azioni, nei comportamenti, nelle scelte di ogni giorno la razionalizzazione familista viene, più e meno inconsapevolmente, non soltanto riprodotta, ma anche rafforzata e raffinata. Giova ripeterlo, poiché purtroppo l’approccio alle dinamiche sociali risulta molto approssimativo nei documenti della programmazione nazionale e regionale: i legami sociali sono influenti, almeno, tanto quanto quelli economici, nel determinare le configurazioni territoriali, quelle attuali e quelle possibili. Un ulteriore passaggio analitico del documento PON 2007-2013, prima richiamato, recita: “Rispetto… al totale dei laureati che ogni anno affluisce sul mercato del lavoro il sistema produttivo delle Regioni della Convergenza riesce ad assorbirne solo una minima parte. Questo è dovuto, in primo luogo, alla scarsa utilizzazione di figure professionali di alto profilo da parte delle imprese locali, specializzate in settori a basso contenuto tecnologico e caratterizzate da un assetto organizzativo fortemente destrutturato. In un sistema basato sulla piccola impresa, spesso a conduzione familiare, in cui il titolare accentra gran parte delle funzioni, non si avverte la necessità di dotarsi di un apparato manageriale qualificato o comunque di assumere figure professionali che possano coadiuvare l’imprenditore nella gestione dell’impresa. A questo si aggiunge l’innata diffidenza che le imprese di tipo familiare hanno nei confronti di figure manageriali da impiegare nel processo decisionale dell’azienda” (enfasi aggiunte). Non solo queste osservazioni confermano che la base sociale, anche economica, delle regioni meridionali, è (ancora) la famiglia, come modello, oltre che come concreta entità relazionale; ma, inoltre, se un ragionamento di tipo utilitarista/funzionalista, vorrebbe che l’obiettivo dell’imprenditore fosse quello di massimizzare i profitti, accrescendo, al tempo stesso, l’impresa e quindi che, in omaggio ad una razionalità strumentale, si adottassero tutti i mezzi più adeguati a conseguire i fini prescelti; nella realtà quotidiana le logiche familiste, prevalgono sulle logiche produttive. L’imprenditore – che agisce e si comporta come un, magari eccellente, pater familias – è riluttante nel prendere in considerazione la riduzione della sua sfera d’influenza e di potere (incluso il prestigio) in favore di personale qualificato (manageriale), o 63 di un’associazione tra colleghi, che potenzierebbero le capacità produttive e commerciali della sua azienda. Il modello familiar-familista ha, quindi, ripercussioni immediate sul mercato del lavoro locale, ma anche indirettamente sugli investimenti per la formazione. Se il personale più qualificato non trova lavoro, è costretto all’emigrazione o a dequalificarsi: nell’un caso e nell’altro l’investimento in formazione si rivela improduttivo. Ma la spia della scarsa attenzione alla coesione territoriale da parte dei programmatori, è l’utilizzo di un aggettivo quale “innato” per definire un atteggiamento diffuso nell’impresa familiare rispetto alle figure manageriali. Innato, cosa significa, di grazia? Alla lettera, nulla; dovunque si parli di processi storici ed economici, il riferimento immediato a caratteristiche “genetiche” risulta quanto meno fuori luogo; ma metaforicamente, “innato” è l’indice semantico molto chiaro di un comportamento profondamente strutturato e coeso. Di una strategia di direzione, che gli imprenditori familiar-familisti, ritengono – nei fatti, anche se magari non nei detti – la più adatta alle loro imprese. Lo stesso pattern informa9 tutti i territori meridionali, in ambito produttivo; e, come vedremo, non solo in questo. I dati, riguardanti Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, lo confermano: “In queste Regioni la presenza di un’attività manifatturiera particolarmente frammentata e caratterizzata dalla presenza di imprese sotto i dieci addetti, è particolarmente accentuata: le piccole imprese rappresentano oltre l’87% del totale in Puglia, per aumentare in Campania e raggiungere un massimo in Sicilia e Calabria (93% e 94% rispettivamente). In tutte le quattro Regioni la percentuale delle piccole imprese supera quindi largamente non solo la media nazionale (82,4%), ma anche quella delle Regioni appartenenti all’ex-Obiettivo 1 (87,2%)”10. Come sappiamo, questo dato conferma un trend storico, e due criticità da tempo rilevate: l’incapacità delle imprese meridionali di raggiungere una massa critica tale da renderle competitive sul mercato globalizzato; e l’incapacità di investire in innovazione, l’altro fattore strategico che incide sulla competitività, poiché l’investimento è troppo oneroso per i capitali familiari. Nell’identica situazione si trova il settore agricolo, come confermano le analisi delle criticità del PIT 7: “Manca, soprattutto, il dialogo tra le aziende, elemento imprescindibile per la definizione di strategie produttive integrate capaci di cogliere, interpretare e addirittura influenzare i trend commerciali. Troppo spesso, infatti, si assiste ad una semplice concorrenza cieca tra piccole aziende che, invece che unire le proprie forze, aggrediscono gli stessi potenziali clienti con prodotti identici e con tecniche commerciali rapportate alle irrisorie dimensioni aziendali. L’andamento e- 9 Uso il verbo in un’accezione desueta, nel significato di “dar foma a”, come in quei versi del Petrarca, Ed è sì spento ogni benigno lume/ Del ciel, per cui s’informa umana vita, che Leopardi interpreta: “E ogni benigno influsso degli astri, dai quali la vita umana riceve qualità e forma, è venuto meno…” 10 [QUADRO STRATEGICO NAZIONALE 2007-2013 PER LE REGIONI DELLA CONVERGENZA PROGRAMMA OPERATIVO NAZIONALE RICERCA E COMPETITIVITA’ (CCI: 2007IT161PO006) 30 novembre 2007 (pagina 31/252)]. (p. 37 di 252). 64 conomico del settore agricolo, dunque, appare evidentemente influenzato dalla più volte richiamata “frammentazione aziendale”11. Queste “incapacità” incidono direttamente sulla produttività, come ben esplicita il documento PON, assumendo quali esempi quelle realtà imprenditoriali italiane che si stanno affermando a livello globale: “la nuova vitalità che i prodotti italiani riescono ad esprimere è il risultato di processi di riorganizzazione e di riposizionamento delle imprese su fasce di mercato a più elevato contenuto qualitativo. Quindi, c’è necessità di socializzare la consapevolezza che l’aggancio al ciclo economico favorevole non può avvenire reiterando comportamenti imprenditoriali di tipo routinario: occorre innovare e, in questo quadro, occorre rafforzare la propensione a investire in R&S”. Senza questi correttivi il rischio conseguente è quello “di una ulteriore marginalizzazione delle imprese del Mezzogiorno come conseguenza di comportamenti inadeguati a dare risposte alla pressione competitiva che viene dal mercato. Se non si rompe il circolo vizioso “debolezze strutturali e culturali – scarsa competitività – comportamenti conservativi delle imprese” il salto che si intende perseguire rimane un miraggio”. Indipendentemente dalle analisi sviluppate per il QSN (Quadro Strategico Nazionale) le stesse criticità sono state rilevate nell’analisi del documento di programmazione per il PIT 7, già citato, e pressoché con le stesse espressioni; il tratto caratterizzante appare appunto la “frammentazione della struttura produttiva dei principali settori produttivi e la bassa capacità di risposta alle innovazioni organizzative dei settori-chiave dello sviluppo locale”. E di seguito vengono elencate le caratteristiche salienti della “frammentazione” produttiva, organizzativa, amministrativa: a) “Inadeguato sviluppo di nodi e reti di innovazione tecnologica di fruizione pubblica e/o privata; b) Carenza di coordinamento tra gli Enti Locali istituzionalmente preposti alla programmazione degli interventi sul territorio; c) Scarso sviluppo delle reti informatiche e telematiche, soprattutto nella Pubblica Amministrazione, che ostacola una più accentuata diffusione delle informazioni relative alle opportunità rivenienti dall’attuazione di programmi di sviluppo; d) Eccessiva frammentazione aziendale che è di ostacolo all’ottimale dimensionamento delle imprese e alla loro adeguata patrimonializzazione; e) Scarsa integrazione delle filiere produttive e basso grado di associazionismo e cooperazione tra aziende di settore; f) Scarsa integrazione delle filiere produttive e basso grado di associazionismo e cooperazione tra aziende agricole ed agro-industriali”. Dal punto di vista dell’ottimizzazione produttiva, il territorio, quindi, non appare affatto coeso, mentre appare coeso dal punto di vista dei sistemi di governance informali che concorrono a frammentare, pressoché in ogni settore, il territorio dal punto di vista della produttività, mentre lo rafforzano, sino a renderlo pressoché impenetrabile, dal punto di vista delle reti relazionali. Tutto ciò tenendo anche conto del fatto che coeso non vuol dire pacificato. “…Occorre” – pertanto – “sottolineare che nello SLoT possono convivere soggetti diversi, diverse rappresentazioni, diversi interessi: “i sistemi locali territoriali non sono ambiti territoriali pacificati, territori dell’armonia, della mancanza di differenza e conflitti”; l’accezione “comunitaria” non va quindi letta come una 11 PIT 7 documento di analisi, p. 40 di 264. 65 statica omogeneità ma come una assetto identitario e territoriale soggetto a dinamiche evolutive dalla geometria variabile”. Questa è una delle ambiguità della condizione meridionale con la quale è forse necessario confrontarsi apertamente. La domanda, non retorica, da porre, rispetto alla sfida imposta ai territori dalla “pressione competitiva” del mercato, è: quali fattori determinano e conducono alla riproduzione delle debolezze strutturali e culturali? Quali fattori cioè, impediscono o ritardano l’adattamento delle imprese e dei territori alle nuove sfide produttive, alla necessità di elevare la qualità della produzione sulla base dell’innovazione di prodotti e processi, e quindi degli investimenti in Ricerca & Sviluppo? E con questo non si intende dire, che questi fattori ritardanti vadano affrontati e, se non eliminati, almeno attenuati, applicando un approccio unilateralmente “sviluppista”. Come dimostrano ampiamente il caso storico del Giappone, e quelli recenti, molto aggressivi dal punto di vista del mercato, di Cina ed India, le vie alla competizione economica globale, sono molto differenziate. Le risposte del Mezzogiorno d’Italia potrebbero essere tanto “creative” e, perciò, uniche, quanto efficaci, anche riguardo alla sostenibilità dello sviluppo, a patto che ci si impegnasse realmente nell’adottarle. Senza trascurare in alcun modo la rilevanza delle organizzazioni e delle autorità (amministrative, politiche, produttive) formali, il punto è che si può e si deve portare a visibilità l’incidenza delle organizzazioni e autorità informali, nei processi decisionali e, ancor più, se possibile, in quelli gestionali. Quanto afferma Olowu, in merito, ritengo metta in luce sia la difficoltà, sia la delicatezza dei processi attivabili: “Ho accentuato l’importanza dell’IIGS, non perché le strutture formali non siano rilevanti ma per completare il focus [della ricerca] sulle Regole Tradizionali, formali. La conoscenza e i sistemi di governance indigeni sono stati le basi dei sistemi di governo locale nella maggior parte del mondo e i sistemi di conoscenze indigene sono fidati ed è questo il motivo per cui sono stati così resilienti12 nella governance anche se le loro regole non sono codificate – come lo sono le regole costituzionali inglesi. (…) Ogni tentativo di sviluppare un framework per lo sviluppo locale e la governance locale non può permettersi di lasciarle nell’invisibilità. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno di assicurarci è di renderle visibili senza distruggerle” (enfasi aggiunte)13. 12 Resilienza viene definita quella capacità degli ecosistemi di subire un certo carico di disturbo, e di ritornare da sé nello stato di equilibrio, precedente al disturbo. 13 “I have stressed the IIGS, not because the formal structures are not relevant but to complement the focus of the paper on formal TR. Indigenous knowledge and systems of governance have been the basis of local government systems in most parts of the world and indigenous knowledge systems are trusted and that is why they have been so resilient in governance even though their rules are not codified –as are the British constitutional rules--.(…) Any attempt at developing a framework for local development and local governance cannot afford to keep them invisible. All that we need to ensure is to make them visible without destroying them” (traduzione mia). 66 La caratteristica dei poteri territoriali è quella di essere “invisibili” perché non codificati; o meglio non codificati in forma pubblica e cartacea o, magari, digitale: non sono riproducibili al di fuori dei corpi e delle voci degli abitanti di un territorio; al di fuori dei loro “abiti”. In tale dimensione vale ciò che Luhmann rileva acutamente come dinamica generale della comunicazione: “La comunicazione è sempre paradossale, in quanto comunica qualcosa di non comunicato: ma ci si aspetta che si capisca – e che non si facciano domande”. Sulla scorta delle classiche ricerche di Watzlawick, Luhmann individua due livelli comunicativi. Al primo livello si comunicano esplicitamente temi e informazioni, al secondo si comunica – manifestandolo implicitamente – l’atteggiamento reciproco dei partecipanti, “il reciproco volersi bene e la reciproca disponibilità” – e, sottolinea Luhmann “anche che un sì significa no”. Queste dinamiche fanno supporre che “nel contesto dell’Italia Meridionale proprio la comunicazione che attiva organizzazioni si orienti a questo problema della comunicazione paradossale, precisamente spostando il baricentro verso il livello della comunicazione latente di atteggiamenti – qualunque sia il motivo e in qualunque informazione”. Queste modalità comunicative, che, in quanto tali, hanno sempre come loro pre-condizione delle modalità espressive, delle forme, concorrono a definire degli aspetti, magari meno visibili, e a volte poco gradevoli, del “pensare meridiano”, del pensare e dell’agire meridiani. Proprio per questo, l’aspetto che mi pare rilevantissimo nell’analisi di Olowu è che il tentativo di rendere visibili questi codici informali, che regolano la governance dei territori, e danno coesione ai territori, deve badare a non distruggerli. Comprendere questo vuol dire abbandonare sia la fede nel progresso per il progresso, nella modernizzazione per la modernizzazione; sia la critica pessimistica ed evasiva del moderno e della società di mercato; significa accettare che il “progresso” è un difficile e quotidiano lavoro di bilanciamento tra resistenze conservative e spinte innovative; e che, soprattutto, abbiamo bisogno di entrambe – per conseguire uno sviluppo umano e sostenibile. Significa, d’altro canto, accettare di fare consapevolmente quello che già facciamo tutti i giorni, ma inconsapevolmente. Sarebbe anche il principio di un processo di formazione e maturazione di una classe dirigente, che facendo leva sulla coesione territoriale, resista attivamente alle logiche più estreme delle concezioni e delle pratiche neoliberiste: non permettendo che le logiche di mercato, che prevedono e promuovono la privatizzazione non dei soli beni ma anche dei servizi, prevalgano in ogni ambito del sociale, senza per questo rinunciare alle opportunità che un mercato globalizzato offre anche alle piccole e medie imprese. Senza affrontare esplicitamente questi temi, il rischio concreto è che le problematiche degli intrecci tra sistemi di governance formale e informale si acuiscano con l’implementazione delle politiche di decentramento fiscale, amministrativo, politico – con il decentramento delle funzioni di programmazione e pianificazione. Sarebbe corretto ed auspicabile non farsi illusioni su questa possibilità presente nei processi in atto. I sistemi di governance informale possono potenziarsi, proprio per mezzo di quelle politiche di de67 centramento, uno dei cui obiettivi prioritari è avvicinare i cittadini ai processi decisionali e gestionali, rendendo questi più trasparenti e valutabili; più visibili. Il rischio che si corre è, addirittura, un ispessimento dell’invisibilità, ed un conseguente aggravamento degli squilibri territoriali. Sarebbe da citare quasi per intero, a questo proposito, lo studio di Jose Edgardo Campos and Joel S. Hellman “Governance Gone Local: Does Decentralization Improve Accountability?”, pubblicato in EAST ASIA DECENTRALIZES. Making Local Government Work. I due autori, partendo dall’assunto del tutto condivisibile che “in pratica, il decentramento non accade in un vuoto” e che “molti fattori – includendo tendenze storiche, inerzia istituzionale, e “spaccature” di classe – possono minare i semplici legami tra decentramento e governance migliorata”14 si propongono di descrivere: “…cinque rischi chiave della governance che potrebbero mitigare i presupposti vantaggi del decentramento: “occupazione” [della cosa pubblica], clientelismo, restrizione della “capacità”, competizione sulla bilancia del potere tra livelli di governo, e debolezze dei flussi interregionali d’informazione – che sono critici per una concorrenza efficace”15. Esamino solo i primi tre rischi elencati poiché mi appaiono più immediatamente rilevanti ai fini del discorso qui sviluppato. L’occupazione/conquista dello stato si riferisce ad “azioni di individui, gruppi, o aziende, dei settori pubblico e/o privato per esercitare un’influenza sulla formazione di leggi, regolamenti, decreti ed altre politiche governative, a proprio vantaggio attraverso illecite e non trasparenti forniture di benefits privati, a politici e/o impiegati dello stato”16. Come rilevano gli autori, queste azioni si possono verificare ad ogni livello di governo, il problema è se i livelli di governo locale ne siano più colpiti che i livelli nazionali; e propendono per la prima ipotesi. Infatti la “state capture” tende a prosperare “in un ambiente dove gruppi d’interesse altamente concentrati – specialmente aziende e famiglie potenti – dominano il mercato per mezzo dell’influenza politica, e dove la competizione politica è debole”17. 14 P. 239: “In practice, decentralization does not occur in a vacuum. Many factors—including historical trends, institutional inertia, and class cleavages—may undermine the simple links between decentralization and improved governance” (Traduzione mia). 15 P. 238: “… five key governance risks that could mitigate the posited advantages of decentralization: capture, clientelism, capacity constraints, competition over the balance of power between levels of government, and weaknesses in the interregional information flows that are critical for effective competition.” (Traduzione mia). 16 P. 240: “State capture refers to “actions of individuals, groups, or firms either in the public and/or private sectors to influence the formation of laws, regulations, decrees and other government policies to their advantage through the illicit and nontransparent provision of private benefits to politicians and/or civil servants” (Traduzione mia). 17 Ibidem: “…state capture thrives in an environment where highly concentrated interest groups— especially powerful firms and families—dominate the market for political influence, and where political competition is weak” (Traduzione mia). 68 Questi due fattori, il primo in particolar modo, associati alla debolezza a livello locale della legislazione, della magistratura, delle ONG e dei media, cioè dei poteri di controllo e dell’opinione pubblica – fanno sì che i potentati locali siano privilegiati dal punto di vista dell’accesso ai fondi, e delle politiche di sviluppo, rispetto ad un più diffuso welfare territoriale. E ciò è quello che abbastanza abitualmente è accaduto anche nei nostri territori. Ed il gioco “regge” sino a quando le imprese favorite a livello territoriale, rimangono, grazie anche agli incentivi pubblici “canalizzati”, competitive sul mercato internazionale. Ma, paradossalmente, la sovvenzione “garantita” può diventare un disincentivo all’innovazione ed alla competizione, e portare ad un indebolimento dell’impresa, insieme all’arricchimento, temporaneo, della proprietà ed all’impoverimento delle imprese meno garantite: nel complesso un investimento in perdita per il territorio. E sul medio-lungo termine anche per le elite produttive. Questi elementi potrebbero far riflettere i decisori politici, sulla necessità di resistere alle pressioni o anche alle istanze delle elite produttive territoriali, in favore di una crescita nonpolarizzata del territorio e delle stesse imprese, in rapporto al mercato mondiale. Tutto questo sullo sfondo di processi che, in maniera molto comprensibile, illustra Giannotti nelle sue lezioni di sociologia: “Il fatto che in ogni parte del mondo tutti sono immediatamente informati di quello che in ogni momento accade, accresce a tal punto l’interdipendenza che tutti sono in ogni momento impegnati a reagire alle medesime sollecitazioni ed a dover tenere conto delle reazioni degli altri. Dal punto di vista economico, questo significa che ogni impresa deve tener conto di un orizzonte mondiale e può e deve considerare sempre la possibilità di dislocare le sue attività e funzioni dove risulti più conveniente. Così molte imprese tenderanno a spostare i loro impianti in regioni molto distanti o anche in altri Stati dove esista un mercato di lavoro a loro più favorevole e caratterizzato da salari più bassi e da minori vincoli sindacali o legislativi. Così le imprese potranno avvicinarsi ai propri mercati di acquisto e di sbocco, là dove sia più facile disporre delle materie prime o conquistare nuove fasce di consumatori o anche assicurarsi nuovi investimenti e facilitazioni fiscali o di altro genere. Questo aumenta enormemente la competitività complessiva perché località distanti tra loro entrano in concorrenza per cercare di attrarre imprese di altri paesi o comunque investimenti di vario genere. Questa accresciuta mobilità di merci e di lavoratori non fa che stimolare continuamente mutamenti del genere sicché le società pressate, da questa continua interconnessione, alle innovazioni ed al mutamento sono trascinate e coinvolte in un processo di continua trasformazione. I vecchi concetti di centro e di periferia sono ormai eliminati. Ogni località, dei vecchi centri, a seguito dei nuovi continui flussi e riflussi, può divenire sotto certi aspetti periferia e viceversa (enfasi aggiunta)18. Su questi processi si misura la capacità di qualsiasi territorio storicamente periferico, e quindi anche del nostro, di prospettare e progettare il proprio prossimo futuro sviluppo. Sulle capacità di riprogettarsi come centro di produzioni globalizzate. Questo riorientamento necessita una modificazione degli assetti territoriali interni: in termini ecologici, su scala territoriale, si può affermare che dovrebbe e potrebbe ridursi la competizione “intraspecifica”, ed intensificarsi quella “in18 “SOCIOLOGIA E MODERNIZZAZIONE Le trasformazioni del capitalismo occidentale”. La lezione: Sviluppi del dibattito sulla globalizzazione. In corso di pubblicazione. 69 terspecifica”. Si dovrebbe comprendere che non i comparti produttivi ed i settori istituzionali sono in competizione tra loro, ma tutti insieme sinergicamente come territorio, sono in competizione con altri territori, che possono essere a migliaia di chilometri di distanza da noi. Ed è un errore pensare che questa possibilità necessiti di un indebolimento dei vincoli territoriali; questo è relativamente vero quando si compete per le quantità, ma “noi”, come viene sottolineato anche nel PON 2007-2013, siamo, possiamo essere, in competizione per la qualità, per le produzioni qualitativamente differenziate, e queste richiedono un territorio qualificato, dal punto di vista delle infrastrutture e, soprattutto, delle tecnostrutture. E la carenza delle tecnostrutture ci conduce al secondo punto, del documento che stiamo utilizzando come base di comparazione. Delle pratiche clientelari abbiamo una competenza fin troppo sviluppata e non possiamo che concordare con gli autori quando affermano: “Come la state capture, il clientelismo è comune a molti differenti tipi di sistemi politici e a tutti i livelli di governo. Comunque, esso può essere più diffuso a livello locale, per molte ragioni”19. Tra queste una è particolarmente rilevante ai fini della nostra analisi, perché riporta in primo piano, l’influenza dei sistemi informali di governance, anche se certo non nella loro luce migliore: “…le elite locali in comunità più omogenee hanno la tendenza a legarsi insieme per mezzo di un fitto network di legami familiari, etnici, sociali, e culturali che incoraggiano i comportamenti clientelari a, più in generale, la corruzione”. Campos ed. Hellman fanno dei riferimenti alle famiglie aristocratiche e ai leader tribali, sostenendo che questi rappresentano “network clientelari locali già pronti che costruiscono su eredità pre-democratiche. Queste eredità si sono dimostrate completamente adattabili a nuove forme di competizione politica”20. E ciò che aggiungono riguarda non solo il nostro recente passato, o il presente attuale, ma anche il nostro futuro prossimo: “Dove il clientelismo è predominante, il decentramento può gravemente inasprire le inefficienze e le disuguaglianze nel servizio pubblico. I governi clientelari tendono a favori quegli investimenti che generano posti di lavoro, che loro possono poi distribuire per costruire reti di “patronage”21. Questo punto mi appare veramente decisivo, perché affonda il coltello dentro una delle vere piaghe della governance delle regioni meridionali: i processi di gestione. La gestione quotidiana, come si scrive (ma non si fa) co- 19 P. 241: “Like state capture, clientelism is common to many different types of political systems and at all levels of government. However, it might be more pervasive at the local level, for several reasons” (Traduzione mia). 20 Ibidem: “… local elites in more homogeneous communities tend to be bound together by a dense network of familial, ethnic, social, and cultural ties that encourage clientelist behavior and, more generally, corruption (…) are all ready-made local clientelist networks that build on predemocratic legacies. These legacies have proven quite adaptable to new modes of political competition” (Traduzione mia). 21 Ibidem: “Where clientelism is prevalent, decentralization can seriously exacerbate inefficiencies and inequalities in public services. Clientelist governments tend to favor investments that generate jobs, which they can then distribute to build patronage networks” (Traduzione mia). 70 stante e sistematica, delle attività di cui un ente, o un’organizzazione risultano responsabili, mediante la tecnostruttura. Ricorrendo ancora una volta alle, magistralmente illustrative, lezioni del Giannotti possiamo precisare il concetto di tecnostruttura: “La tecnostruttura è data dall'insieme, anzi dalla combinazione, dalla combinazione e interpenetrazione, di quelle competenze specialistiche, ruoli e funzioni, che governano le funzioni…[delle Pubbliche Amministrazioni], in relazione alle politiche di sviluppo e di quelle altre competenze, ruoli e funzioni che assicurano la gestione efficiente e innovativa delle… imprese. Nei fatti la tecnostruttura assume l'aspetto di tutte quelle commissioni, quei comitati in cui esperti funzionari pubblici e managers delle imprese collaborano e lavorano insieme scambiandosi informazioni e consigli per predisporre e gestire la pianificazione degli apparati. Questo significa che la tecnostruttura vede, da un lato, il … management delle... imprese, dall'altro, i dirigenti pubblici e gli esperti specialisti. E quindi tutto il settore di rapporto con la ricerca e con l'alta formazione universitaria, quello che Galbraith chiama "scientific and educational estate", patrimonio formativo e scientifico; è la disponibilità di tutte queste persone di tutte queste competenze, ma è soprattutto la disponibilità di un personale addestrato a realizzare queste sinergie, questa integrazione in mancanza della quale la direzione e la gestione del nuovo … sarebbe molto difficile22. La tecnostruttura, pur essendo guidata da manager, dirigenti, e specialisti, comprende anche tutti i gruppi di funzionari di livello medio e di base che sono spesso i responsabili delle pratiche gestionali correnti. Ed è a questo livello intermedio che è ravvisabile l’influenza maggiore del clientelismo. Ciò che sembra sfuggire all’attenzione politica, ed anche dell’opinione pubblica è che proprio la conformazione delle pratiche clientelari (peraltro diffuse in tutta Italia, non solo al Sud), impedisce la formazione di un “personale addestrato a realizzare…sinergie” a livello locale, tra ambiti amministrativo, imprenditoriale e della ricerca. Sembra sfuggire poiché sembra confondersi il piano dell’ideazione con quello della gestione. O, nei termini della pianificazione sociale, il piano della pianificazione con quello della programmazione. Non passa giorno che, pur nel considerevole ritardo che le Regioni meridionali registrano nella messa a punto degli strumenti di pianificazione e gestione territoriale, rispetto alla media nazionale, non vengano formulati e promossi attraverso i media dell’informazione ambiziosi piani di ammodernamento delle infrastrutture, di rilancio di comparti produttivi, di miglioramento dei servizi, etc.. Spesso questi piani sono anche ottimi piani, ottimi modelli; vengono premiati a livello nazionale ed europeo. Il problema quindi, non sta in un’incapacità di pianificazione, di ideazione. Il problema sta nel trasferimento delle idee e dei piani in programmi operativi ed attuativi. Perché questo trasferimento avvenga è necessaria la maggior efficienza possibile nella tecnostruttura, preposta alla direzione e gestione dei processi – al loro controllo funzionale. Ma la tecnostruttura espressa dal territorio, è spesso co-prodotta da reti clientelari, ed ha pertanto la tendenza a riprodurle. Le competenze ed il merito non sono 22 Giannotti, op. cit., cap. XVII – La nozione di tecnostruttura. Citazione riadattata al contesto discorsivo. 71 esclusi a priori dai criteri di reclutamento, ma non sono certamente tra i fattori determinanti. Questo “sistema di cooptazione” nel Sud, ha garantito la “sistemazione” di una certa fascia generazionale, in posizioni di lavoro non troppo esposte all’innovazione ed alla competizione. Ha impedito, al tempo stesso, lo svilupparsi di una concreta cultura del servizio pubblico, a danno della cittadinanza, ma non ha inciso direttamente sullo sviluppo delle attività produttive. E lo stesso vale per le attività di formazione e ricerca, al Sud prevalentemente orientate a riprodurre le logiche interne alle sedi universitarie, con scarsa o nulla attenzione alle driving forces territoriali. Si trattava di ambiti relativamente separati (anche se lì dove hanno funzionato, ed in accordo, lo sviluppo locale ne è stato molto rafforzato), che nelle nuove condizioni competitive “imposte” dal mercato globale, non possono più rimanere tali. La gestione è un nodo chiave della sfida all’innovazione ed alla competitività, per le imprese come per le amministrazioni; per il territorio come per la cittadinanza. Il plesso di questioni che sto trattando sono state per tempo individuate, dal Giannotti, che afferma: “In ultima analisi… la resistenza della cultura del sottosviluppo trova il suo punto di maggior forza nella tendenza della politica, soprattutto locale, a privilegiare il tradizionale modello clientelare e nel privilegiare quelle pratiche che determinano la “privatizzazione” delle istituzioni e dei servizi pubblici. È quindi la dimensione culturale-politica che risulta essere il punto debole, il maggior ostacolo alla vera modernizzazione” (enfasi aggiunte)23. La “privatizzazione” delle istituzioni amministrative è il processo equivalente alla parcellizzazione delle imprese produttive, come indice della dimensione culturale-politica. L’uno e l’altro processo sono condeterminati da tendenze storiche che, anche nelle distorsioni, rispondono sempre a delle necessità; nel processo in questione la necessità di collegare il potere centrale all’amministrazione delle “periferie” territoriali: “Come le ricerche hanno dimostrato, all'origine troviamo la grande difficoltà di un collegamento fra la struttura centrale (nazionale) dello stato moderno e la società locale e periferica, in tutte le sue diverse articolazioni. L'esistenza di questa sorta di diaframma culturale e politico ha reso necessaria la costruzione di una rete di intermediari in grado di operare il ricongiungimento funzionale fra istituzioni centrali e periferiche. Questi intermediari hanno acquistato un potere enorme e si sono trincerati nelle istituzioni che hanno potuto facilmente piegare ai loro interessi. Si è così di fatto operata una capillare “privatizzazione” delle istituzioni pubbliche ed i gruppi di potere costituiti dagli intermediari e gravitanti intorno agli intermediari hanno acquisito il controllo dei processi e funzioni pubbliche fondamentali, sostituendosi e adattando ai propri scopi le strutture del sistema politico-amministrativo. Questo rappresenta uno degli ostacoli maggiori per lo sviluppo” (enfasi aggiunte)24. Insieme ai fattori strutturali e agli interessi economici e di potere, rilevati dal Giannotti, ritengo che la tendenza alla “privatizzazione” del pubblico sia dovuta proprio alla persistenza di modelli socio-culturali di governance informale, per i quali, in generale vale una sorta di rovesciamen23 CORSO DI SOCIOLOGIA DELLO SVILUPPO DEL MEZZOGIORNO, Introduzione (in corso di pubblicazione). 24 Op. cit., 1 a Lezione Caratteristiche sociologiche del sottosviluppo. 72 to della razionalizzazione burocratica: le regole e i ruoli sono adattati alle persone, ai gruppi d’influenza, alle comunità; e non questi a quelli; come inconsapevolmente ed efficacemente sintetizzato da un vigile urbano di un comune salentino: “Qui, vale la regola/non-regola”. Le regole hanno validità, per così dire, on demand: dipende dalle esigenze, dai bisogni, dalle imposizioni di singoli e gruppi che vengano applicate e riconosciute, oppure ignorate e violate; anche nei comportamenti più banalmente quotidiani. C’è congruenza, e non è sorprendente, tra l’esperienza riflessiva del vigile urbano e la riflessione teorica di Luhmann che, nel merito, scrive, con la sua elegante ironia: “Non si può dire che non si può. E se ci sono limiti giuridici a ciò che è consentito, scavalcare gli ostacoli offre tante più occasioni per dimostrare buona volontà e disponibilità all’aiuto”. Questa logica comportamentale è radicata nella quotidianità, è la normalità; non l’eccezione. Avendo presente questo stato di cose, Luhmann ha buon gioco nell’affermare: “Il reticolo (cfr. la rete relazionale) paga perché “onora”, cioè perché permette l’autoriproduzione delle proprie asimmetrie… Evidentemente sono coinvolte anche immense somme di denaro che vengono immesse nello scambio di disponibilità e di favori: d’altra parte, come si potrebbe provare meglio l’amicizia e allo stesso tempo il potere se non aprendo un accesso al denaro? Ma la corruzione in questo senso legale…non è un problema da considerare isolatamente. Piuttosto bisogna supporre che il reticolo sfuma il confine tra corruzione e non corruzione mediante una propria supercodificazione, e soprattutto mediante la supercodificazione che distingue tra inclusione ed esclusione”. Questo passaggio è dirimente. Troppo facilmente si imputa infatti alla “malavita organizzata”, e alla politica collusa un comportamento illegale, come se ne avessero il monopolio esclusivo. In realtà è in ogni momento della relazione sociale che il confine tra legalità formale e illegalità e tra queste e la legalità informale, non è facilmente definibile, e non è imputabile al solo movente del profitto. Importante quanto questo è il movente dell’inclusione nelle reti territoriali, del riconoscimento da parte di queste, e delle partecipazione alle loro dinamiche. Come, sempre col suo disarmante disincanto scrive Luhmann: “«Individualmente» è da intendersi in modo che sia riferito al reticolo, cioè non limitato ai bisogni e ai desideri delle singole persone; in questo contesto sopravvivono piuttosto la famiglia così come rapporti patrono/clienti: ci si impegna non solo per i propri interessi, ma in misura notevole, e con tanta più cura, per gli interessi di altri. Il sistema vive di connessioni e le onora distribuendo prestigio”. E da queste dinamiche, Luhmann risale ad un processo storico più generale, individuando una delle chiavi di volta, probabilmente, dell’intera, vessata questione meridionale: “La distinzione tra pubblico e privato, che compare solo nel XVIII secolo, qui non ha ancora messo radici: il «privato» è ancora l’«idiota» che si autoesclude”. Senza tener presente questo “fatto”, è piuttosto improbabile che piani non sporadicamente efficaci d’intervento siano attuabili. Avendo presenti contesti affini è evidente che gli studiosi delle dinamiche di decentramento individuano quale rischio principale, la possibilità che il decentramento possa rafforzare i gruppi di potere territoriali. Che 73 l’accountability25, la necessità che i decisori rispondano in maniera responsabile e trasparente delle loro azioni, ai cittadini, agli abitanti dei territori, quali fruitori finali, e che facciano propri anche i punti di vista dei cittadini, diminuisca invece che accrescersi. Ricorrendo ad un altro studio recentissimo, “Administrative Capacity in the New EU Member States. The Limits Of Innovation?”, condotto da Tony Verheijen, e riguardante i paesi dell’Est Europa, in cui la leadership e le strutture tradizionali sono largamente presenti, vediamo emergere le stesse difficoltà, riscontrate in Asia, e rilevate in merito allo sviluppo locale dal Giannotti e da Luhmann: “Il problema principale è l’indisponibilità dei politici a rinunciare alle loro tradizionali relazioni di potere e “patronage” sul sevizio pubblico nell’interesse di creare un’amministrazione basata sul merito professionale. (…) Questo è probabilmente l’unica questione estremamente seria identificata dallo studio”26. Come ribadisce ulteriormente l’autore: “La maggior parte dei paesi ha bisogno di migliorare una gestione “orizzontale” delle politiche e l’egovernment, ma la priorità principale che riguarda tutti i paesi è il bisogno urgente di sviluppare un’amministrazione pubblica indipendente e basata sul merito…lo sviluppo di una comprensione comune tra i politici che un’amministrazione ben funzionante è un bene pubblico piuttosto che un ampliamento delle forze politiche…Senza l’impegno dei politici di accettare la nozione di amministrazione come bene pubblico, piccoli progressi possono essere fatti su questa questione. Purtroppo sembra che non vi sia alcun efficace drivers di cambiamento in azione al momento”27. 25 Il termine viene reso con responsabilità, ma in Inglese ha più ampio significato: “What is Accountability? Accountability is about holding people to account for their impacts on the lives of people and the planet. When it works, it means those impacted have the right to be heard and their views taken into account. It means those with power have the obligation to listen and respond. It means that there are adequate sanctions to enforce these rights and obligations”. “Che cos’è l’Accountability? L’Accountability, riguarda il fatto che i detentori del potere rendano conto per i loro effetti sulle vite della gente e del pianeta. Quando l’accountability funziona significa che quelli “impattati” hanno il diritto di essere ascoltati e che i loro punti di vista vanno presi in considerazione. Significa che quelli con il potere hanno l’obbligo di ascoltare e rispondere. Significa che ci sono sanzioni adeguate a rinforzare questi diritti ed obbligazioni” Reinventing Accountability for the 21st Century, p. 6 (Traduzione mia). 26 “The major problem is the unwillingness of politicians to give up their traditional relationship of power and patronage over the civil service in the interests of creating a professional merit based administration. (…) This is probably the single most serious issue identified by the study” (Traduzione mia). 27 P. XVIII: “Most countries need to improve horizontal policy management and egovernment but the main priority affecting all countries is the urgent need to develop professional merit based and independent civil services… the development of a common understanding among politicians that a well functioning civil service is a public good rather than an extension party politics… Without a commitment by politicians to accept the notion of the civil service as a public good, little progress can be made on this issue. Unfortunately it appears that there are no effective drivers of change in operation at present”. 74 L’autore ritiene che neanche l’Unione Europea sia in grado di esercitare pressioni sufficienti a promuovere i cambiamenti necessari nelle parte pubblica della tecnostruttura. Questi ultimi rilievi, confermano – sul piano empirico – quelle tendenze dominanti già enucleate per tempo da Luhmann e ribadite, sulla base di un approccio teorico opposto, da Giannotti. Come scrive Luhmann: “…il sistema non è più fondato [solo] su economie familiari e… i ruoli di mediazione sono dipendenti dalle organizzazioni e disturbano, quando non sabotano, le disposizioni regolative delle organizzazioni. Così dal centro diventa difficile controllare le organizzazioni mediante organizzazioni, perché i reticoli non sono accessibili ai centri «ufficiali»; non sono concepiti in modo gerarchico ma eterarchico. Si giunge allora ad una curiosa simbiosi tra organizzazioni e reticoli che fa saltare ogni causalità di intervento che risponda a un piano…”. Forse, indirettamente, la conoscenza di queste dinamiche ci suggerisce che un drivers of change può diventare proprio la consapevolezza sociale, politica, culturale di non voler subire i processi di privatizzazione dei servizi e della gestione del bene pubblico, conseguenze molto probabili dell’indebolimento dello Stato. Certo il compito non è semplice, tra l’incudine dei poteri territoriali tradizionali e il martello del capitalismo deregolamentato, lo sviluppo locale può apparire un’opzione illusoria. Certo è che se non affrontata con le debite consapevolezza e determinazione (e una deve concorrere a rinforzare l’altra) essa rischia di arenarsi sulle difficoltà già rilevate nei paesi asiatici, a proposito dei processi di decentramento, illustrando le quali è stato necessario approfondirne alcuni aspetti. Un’ultima, particolarmente rilevante ai fini del nostro discorso, è quella evidenziata da Campos ed. Hellman con una locuzione ossimorica: l’amplificazione delle restrizioni (dei vincoli) delle capacità. Per capacità i due autori intendono una serie di elementi interrelati. I processi di decentramento sono tali per cui, piuttosto che potenziare le capacità delle amministrazioni locali, le indeboliscono, in quanto “spostano la responsabilità dell’amministrazione locale dal puramente implementare le politiche al formularle ed implementarle. Questo necessita un più ampio range di capacità ed esperienza, che i politici e i burocrati locali possono dover sviluppare”. La capacità implica anche un appropriato sistema di management – rendicontare, redigere bilanci, commesse, fiscalità, audit, stesura di rapporti, e gestione del personale”. Tutte queste funzioni dovrebbero lavorare al meglio e perché ciò possa avvenire sono necessari risorse economiche aggiuntive: “Le amministrazioni locali hanno bisogno di fondi per formare il personale, sviluppare sistemi e processi, rafforzare l’accountability, e in definitiva consegnare beni pubblici e sevizi”28. 28 “Decentralization shifts the responsibilities of local government from purely implementing policy to both formulating and implementing policy. This requires a wider range of skills and experience, which local politicians and bureaucrats may have to develop. …capacity also implies appropriate management systems— accounting, budgeting, procurement, tax administration, auditing, reporting, and personnel management. To train personnel, develop systems and processes, 75 Di nuovo, anche se in negativo, emerge in generale l’importanza, decisiva, della tecnostruttura amministrativa, nei processi di sviluppo territoriale; ed in particolare riemerge la centralità del fattore “gestionale”. Senza un raccordo ponderato tra processi di pianificazione e processi di gestione, la sfida dello sviluppo territoriale si prefigura ad alto rischio. Ma, come abbiamo evidenziato, è proprio al livello gestionale, del personale gestionale, che si articola il politeismo dei poteri. Che strutture informali di governance si intrecciano e sovrappongono alle strutture formali. Clientelismo e corruzione sembrano proprio essere soltanto gli epifenomeni dell’intero processo. Ma, in chiusa di questo mio contributo, per poter osservare gli stessi fenomeni da altre prospettive, vorrei richiamare alcune delle avvertenze dei già citati Lutz e Linder: “Molte persone vivono in entrambi i mondi, moderno e tradizionale, e si trovano spesso di fronte a dilemmi morali. In molti casi si dovrebbe stare attenti con i giudizi sulla mancanza di moralità. La corruzione non deve ma può essere un dilemma di moralità in competizione”. E, per quanto questo possa apparire inaccettabile, anche lo stesso clientelismo, può – come giustamente sottolineano gli autori, non deve – essere la risultante dell’incrocio tra differenti sistemi morali e di leadership. Avviandomi alle conclusioni vorrei ribadire, in quanto mi appare appropriato, quanto affermano Lutz e Linder: "Senza tener conto delle strutture tradizionali, l'ingegneria sociale e politica molto probabilmente fallirà al livello locale". E rimarcano: "Una delle migliori maniere di descrivere lo stato in molti paesi in via di sviluppo è quello di un pluralismo legale e costituzionale. Mentre la maggior parte di questi stati hanno una costituzione moderna con rappresentanze elettive, hanno anche strutture tradizionali che determinano e influenzano la vita quotidiana della gente"29. Ritengo che - mutatis mutandis - questi assunti corrispondano pienamente alla situazione meridionale. La nostra concezione - illuminista - che il diritto e la legalità si identifichino unicamente con principi, leggi, norme, regolamenti solo formali e razionali, ci impedisce di concettualizzare nella prassi la presenza di altre forme di "diritto"; anche quando con esse dobbiamo fare i conti ad ogni passo. Attraverso quali strategie comunicative e operative si può entrare in rapporto con l’intreccio tra dimensione formale e informale? In che modo la coesione territoriale che produce frammentazione – può essere trasformata per produrre cooperazione? Abbiamo già accennato al fatto che un territorio coeso, non vuol dire un territorio pacificato. In realtà, probabilmente, e questo non emerge dall’analisi proposta da Luhmann, la frammentazione è un sottoprodotto di un aspetto determinante delle reti relazionali e del loro essere eterarchiche. Le reti sono fortemente localizzate, a livello territoriastrengthen accountability, and ultimately deliver public goods and services, local governments need funds”. 29 P. 27: “Without taking traditional structures into account, social and political engineering are likely to fail at the local level. one of the best ways to describe states in many developing countries is that of constitutional and legal pluralism. While most of these states have a modern constitution with elected representatives, they also have traditional structures that determine and influence people’s everyday lives”. 76 le, e sono altamente conflittuali tra loro. Questa conflittualità intraterritoriale è talmente elevata da non consentire azioni cooperative, se non in misura molto limitata, comunque sempre accessoria, quando non del tutto marginale. Un’analisi socio-antropologica di questa condizione è stata avanzata da Arjun Appadurai nell’ultimo capitolo della Modernità in polvere, dal titolo La produzione della località. I vicinati, sostiene, sono le forme realizzate, storico-situate, della località. Questa sarebbe, ed è un primo punto rilevante, una struttura di sentimento. È un punto rilevante, poiché, quando verificato, permette di suggerire che della vita quotidiana, dell’insieme di ambienti, pratiche, relazioni ed universi di senso, è parte anche un “universo di sentimento”; strutturalmente parte, e con funzioni non meno rilevanti degli “universi di senso”. Secondo Appadurai quella struttura di sentimento sarebbe costituita da legami multipli tra “la sensazione d’immediatezza sociale, le tecnologie dell’interattività e la relatività dei contesti”. La località è intrinsecamente fragile; gli appartenenti ai vicinati la producono e rafforzano attraverso pratiche rituali, ad esempio i riti di iniziazione, autoproducendosi come “soggetti locali”, come appartenenti. Ma, come quasi tutto ciò che è umano, la località ha tratti ambigui. Non la caratterizza solo la fragilità, poiché, sostiene ancora Appadurai, la costruzione di un vicinato, la sua fondazione, implica una volontà non scevra da violenza, “un’attività intrinsecamente colonizzante”; carattere che “permane nella ripetizione rituale di questi momenti anche a distanza di molto tempo dall’evento fondativo della colonizzazione”. Nella produzione della località sarebbe sempre implicata una “teoria del contesto…una teoria di ciò da cui, contro cui, nonostante cui, e in relazione a cui un vicinato viene prodotto (Appadurai, 2001). Sarebbe sempre implicata quindi anche una teoria dell’esclusione, della separazione. I territori comprendono più località, e più vicinati; co-producono quindi anche sempre separazioni ed esclusioni. Come dunque intervenire in contesti che, sotto questo riguardo, sono assimilabili a campi minati? Per quanto, all’interno di discorsi miranti ad analizzare le condizioni per l’implementazione dello sviluppo locale, la proposta seguente possa apparire persino ridicola, l’ipotesi più conseguente e più plausibile è che si faccia leva sulle strutture di sentimento. Che si lavori a dialogare non solo sulla base di argomentazioni utilitariste, funzionaliste, razionaliste. La deriva di questo approccio, in Italia ben esemplificata dalla Lega Nord, è quella di una sorta di fondamentalismo territoriale. Da un punto di vista più “tecnico” tutto quello sin qui esposto guarda ai processi sociali che emergono nella fase della modernità compiuta, ed in particolare a quel passaggio illustrato, nelle sue Lezioni da Giannotti, quando, sebbene a proposito di altri ambiti, scrive: “Nei conflitti sociali si è verificato un importante cambiamento. Fino a qualche anno fa l’oggetto principale dei conflitti sociali era la redistribuzione e cioè quei gruppi sociali che si percepivano svantaggiati nella distribuzione delle risorse, premevano per ottenere delle politiche d’intervento che correggessero le disuguaglianze più gravi ed equilibrassero le posizioni messe in atto dalla società. Questo, per lo meno, era un compito del Welfare State, correggere le disuguaglianze necessarie. Da qualche anno a questa parte l’oggetto principale dei conflitti sociali sembra essere cambiato, da quelli della redistribuzione si è passati ai problemi del riconoscimento. In un certo senso, è come se il conflitto fosse passato da una questione sostanzialmente economico-sociale a una questione di carattere morale o meglio etico-politico. Coloro che richiedono riconoscimento, infatti, chiedono innanzitutto di porre una questione di ri77 spetto, cioè denunciano la inadeguata considerazione della loro identità reale. In molti casi la richiesta di riconoscimento implica anche il riconoscimento di una diversità specifica, per essere trattato con equità in ragione di essa” (enfasi mia). Le analisi e i documenti di programmazione dello e per lo sviluppo locale sembrano ancora redatti nell’ottica welfarista – che nel Sud Italia, come sappiamo, è stata tradotta in pratica assistenzialista – della redistribuzione, della correzione delle sole disuguaglianze economiche. L’ipotesi che ho tentato di illustrare con tutta la durezza necessaria alle difficoltà della sfida, e con riguardo alle enormi, quanto ancora inespresse, potenzialità territoriali è che nell’affrontare le questioni dello sviluppo locale non si possono ignorare la specificità del pensare, ma anche dell’agire meridiani. Non si può ignorarle e neanche edulcorarle. Questo non vuol dire sottovalutare le disuguaglianze tutt’ora presenti, né cercare giustificazioni nella “storia”; vuol dire non accettare l’omologazione socioeconomico-culturale ai grandi centri finanziari mondiali; vuol dire riconoscere, appunto, che la contiguità adriatica con paesi come l’Albania e la Grecia, e la comune appartenenza al Mediterraneo possono tradursi da entità più o meno astratte e formali, in campi dell’azione di uno sviluppo territoriale, che nel reggere le sfide del mercato globale sappia anche custodire e coltivare le proprie millenarie tradizioni relazionali, quelle che lo accomunano ai Sud del mondo, e che, anche in forme “non-ortodosse” rappresentano una resistenza ed un rifiuto della società di mercato globalizzata, come unico modello di civilizzazione possibile. 78 BIBLIOGRAFIA 1982, G. Giannotti, Un fiore nel deserto: la crisi post-industriale dal punto di vista della transizione socialista, Lecce. 1996, F. Cassano, Il pensiero meridiano, Roma-Bari. 1998, N. Luhmann, Causalità nel Sud, in G. Corsi, R. De Giorni, Ridescrivere la Questione Meridionale, Lecce. 2001, A. Appadurai Modernità in polvere, Roma. 2003, E. Lora et alii, Sustainable Economic Growth Strategy Document, Inter-American Development Bank Washington DC. 2003, E. Lora et alii, Toward Sustainable And Equitable Development – Competitiveness, Inter-American Development Bank, Washington DC. 2003, Brun Service Holding S.p.A, Sviluppo di un sistema integrato di servizi di logistica e distribuzione in grado di favorire la connessione tra l’asse Nord-Sud interno alla regione e la comunicazione con le altre direttrici dei Corridoi internazionali n. 8 e n. 10, Brindisi. 2004, D. Olowu, Introducing Invisible Local Governance, Contribution to the Parallel Session on Traditional Structure and Local Governance, African Development Bank. 2004, A. Krishna, Partnerships between Elected Local Governments and Community-Based Organizations: Exploring the Scope for Synergy in Social Development Papers. Community Driven Development, Number 52, The World Bank, Washington DC. 2004, G. Lutz, W. Linder, Traditional Structures in Local Governance for Local Development, Berne. 2005, Helling, Serrano, Warren, Linking Community Empowerment, Decentralized, and Public Service. Provision Through a Local Development Framework, The World Bank. 2005, J. E. Campos, Joel S. Hellman, Governance Gone Local: Does Decentralization Improve Accountability?, in AA.VV., East Asia Decentralizes. Making Local Government Work, The World Bank, Washington DC 2005, AA. VV., Exploring Partnerships between Communities and Local Governments in Community Driven Development: A Framework, The World Bank, Washington DC. 2006, T. Burgis, S. Zadek, Reinventing Accountability for the 21st Century, London. 2007, Quadro Strategico Nazionale 2007-2013 Per Le Regioni Della Convergenza Programma Operativo Nazionale Ricerca E Competitivita’ (Cci: 2007it161po006). 2007, T. Verheijen, Administrative Capacity in the New EU Member States. The Limits Of Innovation?”, The World Bank, Washington DC. 2008, G. Giannotti, Lezioni Sociologiche, Nardò, (in corso di pubblicazione). 79 SVILUPPO TERRITORIALE BRINDISINO Prospettive e difficoltà secondo alcuni testimoni privilegiati. Giuseppe Gaballo e Carla Izzi I Introduzione Il presente report di ricerca è complementare ai due saggi di carattere teorico che lo hanno preceduto (Cfr. Magnolo e Carbone nella presente pubblicazione). In esso sono presentati i risultati di alcune interviste sullo sviluppo locale somministrate a venti soggetti, pubblici e privati, operanti sul territorio di riferimento del PIT n.7. Si è cercato, così, di tracciare il quadro socio-economico dell’area Pit secondo l’esperienza e la conoscenza degli interlocutori raggiunti, sottolineando i punti di forza e i punti di debolezza dell’economia locale, al fine di delineare possibili strategie di sviluppo a partire dalle potenzialità economiche già presenti sul territorio. Ai cosiddetti testimoni privilegiati, distinti in 4 categorie basilari, politici, manager pubblici e manager privati, capitani d’impresa, è stato, quindi, chiesto di mettere a disposizione la loro conoscenza e competenza nel “raccontare” le condizioni economiche del territorio brindisino attuali (cosa già avviene), quelle possibili (su cosa puntare, chi deve attuarlo), ma anche quelle difficili da attuare (limiti ed ostacoli esistenti). Il ricorso alla visione della realtà economica del territorio, di quelli che sono i soggetti, protagonisti del successo e dell’insuccesso di una Provincia, è rilevante perché è a partire proprio dalle loro conoscenze, valide o distorte, che dipendono le strategie vincenti o perdenti di un “sistema territoriale”, sembra quindi pertinente conoscere cosa e come pensano coloro che, per il fatto di rivestire diversi ruoli strategici, sono chiamati a migliorare le sorti del proprio territorio. La tipologia dei soggetti intervistati ha consentito una rappresentazione espressiva del territorio di riferimento, la Provincia di Brindisi, che, se pur modesta come estensione, è assolutamente diversificata nelle sue manifestazioni economiche, politiche e sociali. Per una più facile comprensione dei risultati, l’analisi delle interviste è preceduta da un breve paragrafo introduttivo in cui si presenta la situazione socio-economica della Provincia di Brindisi “fotografata” mediante dati quantitativi. II Alcuni dati quantitativi sulla situazione socio-economica Aspetti geografici e demografici Il territorio del PIT 7 coincide con la Provincia di Brindisi, e si estende su una superficie pari a 1.839 Kmq, meno del 10% della superficie totale della Puglia (19.366 Kmq), nella quale si colloca a Sud Est, confinando a Nord con la Provincia di Bari, a Ovest con quella di Taranto e a Sud con quella di Lecce; la costa che si presenta sul lato orientale, prevalentemente sabbiosa, è bagnata dal Mare Adriatico. Due terzi del territorio, in particolare la fascia costiera e l’entroterra, sono pianeggianti, mentre la restante 80 parte, interna ai confini con le province di Taranto e Bari, è collinare (Murge Salentine). In fig. 1 è rappresentata la distribuzione percentuale della popolazione sul territorio. Come si può vedere, l’area di studio, dal punto di vista demografico, è caratterizzata da una concentrazione principale a SudEst, nel capoluogo, e da altri centri di dimensioni significative a Nord (Fasano, Ostuni, Francavilla Fontana) e a Ovest (Mesagne). Al 1° gennaio 2007, secondo dati ISTAT, la popolazione totale della Provincia è pari a 402.831 abitanti (poco meno del 10% del totale regionale). Alla stessa data i nuclei familiari erano 147.683, oltre a 135 convivenze, con una dimensione media di 2,72 componenti, di poco inferiore al dato regionale (2,74) ma leggermente superiore a quello nazionale (2,69). Gli stranieri residenti risultano 4180 (poco più dell’1%) con prevalenza di donne (2132 su 2048). Fig. 1 – Distribuzione percentuale della popolazione Fonte: ns. elaborazione su dati ISTAT. Amministrativamente, il territorio provinciale è suddiviso in 20 comuni, dei quali 14 con popolazione superiore a 20.000 abitanti. Tra questi è compreso anche il capoluogo, Brindisi, che risulta il centro più popoloso con 90.222 abitanti (Tab. 1). 81 Tab. 1 – Popolazione nei comuni della Provincia di Brindisi, valore assoluto al 1° gennaio 2007. Maschi FemmiComuni Totale Maschi Totale Femmine ne Brindisi 43.278 46.944 90.222 Carovigno 7.707 8.026 15.733 Ceglie Messapica 9.823 10.855 20.678 Cellino San Marco 3.218 3.564 6.782 Cisternino 5.757 6.187 11.944 Erchie 4.370 4.616 8.986 Fasano 18.511 19.759 38.270 Francavilla Fontana 17.532 18.937 36.469 Latiano 7.375 7.769 15.144 Mesagne 13.182 14.720 27.902 Oria 7.405 7.961 15.366 Ostuni 15.372 17.219 32.591 San Donaci 3.365 3.637 7.002 San Michele Salenti3.089 3.188 6277 no San Pancrazio Salen5.102 5.380 10.482 tino San Pietro Vernotico 6.869 7.798 14.667 San Vito dei Nor9.457 10.360 19.817 manni Torchiarolo 2.467 2.568 5.035 Torre Santa Susanna 5.096 5.456 10.552 Villa Castelli 4.423 4.489 8.912 TOTALE 193.398 209.433 402.831 Fonte: ISTAT, 2008. Se paragonata al dato medio registrato per la regione Puglia e a livello nazionale, dal punto di vista anagrafico la provincia di Brindisi risulta più “vecchia”: infatti, la fascia di popolazione con età superiore a 64 anni è pari al 18,11%, mentre quella con età inferiore a 15 anni, è pari al 15,08% (Fig. 2). Fig. 2 – Provincia di Brindisi, distribuzione anagrafica al 1 gennaio 2006 <15 15-64 >64 Fonte: ns. elaborazione su dati ISTAT. 82 Aspetti economici Per quanto riguarda l’occupazione, la provincia di Brindisi ha dimostrato una particolare tradizione agricola, almeno rispetto a quanto registrato nelle altre province pugliesi e italiane. Tuttavia il trend vede l’impiego nel settore agricolo in diminuzione e ciò vale tanto per l’Italia tanto per la Puglia. Se nel 1995 gli occupati nel settore agricolo erano, infatti, il 16% sul totale (dato superiore a quello pugliese, pari al 13%, e a quello nazionale, pari al 6%), 8 anni dopo, nel 2003, la percentuale di occupati in agricoltura scendeva al 12% (frazione comunque superiore a quella pugliese pari al 10% e a quella nazionale, pari invece al 4%, come si evince dalle Figg. 3 e 4). Il settore preponderante è quello dei servizi che negli anni ha registrato una crescita al punto da rappresentare ormai oltre i 2/3 dell’occupazione totale. Questo è vero tanto per la provincia di Brindisi quanto per il dato nazionale. Fig. 3 – Occupati per settore di attività economica nel 1995. Occupati per settore di attività economica (1995) 100% 80% Servizi 60% Industria 40% Agricoltura 20% 0% Brindisi Puglia Italia Fonte: ISTAT Fig. 4 – Occupati per settore di attività economica nel 2003. Occupati per settori di attività economica (2003) 100% 80% Servizi 60% Industria 40% Agricoltura 20% 0% Brindisi Puglia Italia Fonte: ISTAT. I dati disponibili relativamente al valore aggiunto (Fig. 5) dimostrano un valore superiore a quello pugliese ma inferiore rispetto al dato medio nazionale. Peraltro, sul finire degli anni ’90, si è registrata un’interruzione del trend modestamente crescente rilevato negli anni precedenti, acuendo il distacco con quanto prodotto da altre province italiane, la cui curva di crescita ha continuato ad avere un orientamento positivo. 83 Fig. 5 – Valore aggiunto a prezzi base per abitante. Valori a prezzi correnti (euro dal 1999, euro lire per gli anni precedenti). 20.000,0 18.000,0 16.000,0 14.000,0 12.000,0 10.000,0 8.000,0 6.000,0 4.000,0 2.000,0 0,0 Brindisi Puglia Italia 1995 1996 1997 1998 1999 2000 Fonte: Istituto Tagliacarne. Dal punto di vista della natività-mortalità delle imprese, la provincia di Brindisi ha registrato un trend positivo. Il numero di imprese è risultato in crescita negli ultimi anni, come si evince dalle Tabelle 2, 3 e 4. Nel settore industriale è in calo la piccolissima impresa (1 addetto) ed è in crescita quella piccola (2-9 addetti). In crescita, sia pur minore, il numero di imprese industriali che comprendono un numero di addetti tra 10 e 49 dipendenti, mentre le grandi imprese (più di 50 addetti) hanno presentato un andamento altalenante, alternando ad una moderata crescita un rallentamento nel 2003 (v. Fig. 7). Territorio Italia Sud Puglia Brindisi Territorio Italia Sud Puglia Brindisi Territorio Italia Sud Puglia Brindisi 84 Tab. 2 – Numero di imprese totali. 1999 2000 2001 2002 4.012.638 4.097.915 4.184.582 4.224.769 771.568 788.189 807.504 817.948 224.281 228.683 233.694 235.957 20.394 20.849 21.415 21.570 Fonte: Unioncamere 2003 4.235.385 820.313 236.830 21.564 Tab. 3 – Numero di imprese del settore industriale. 1999 2000 2001 2002 2003 1.045.127 1.067.397 1.083.236 1.085.540 1.089.383 176.893 180.803 184.935 185.699 186.668 54.132 55.216 56.481 56.350 56.558 4.435 4.544 4.682 4.696 4.693 Fonte: Unioncamere Tab. 4 –Numero di imprese del settore alberghiero (comprende la ristorazione). 1999 2000 2001 2002 2003 241.681 246.098 252.172 252.136 256.549 44.425 45.448 47.140 47.982 49.395 11.319 11.754 12.285 12.598 13.053 1.205 1.255 1.289 1.304 1.334 Fonte: Unioncamere 2500 2000 1 addetto 1500 2-9 addetti 10-49 addetti 1000 +50 addetti 500 0 1999 2000 2001 2002 2003 Fig. 6 –Andamento del numero di addetti nelle imprese industriali. Fonte: ISTAT (Sistema Indicatori Territoriali). Un dato significativo per la provincia di Brindisi si rileva dall’indice generale delle infrastrutture economiche e sociali, calcolato da Unioncamere, che si riferisce alla dotazione infrastrutturale per le famiglie e per le imprese: si ha un sostanziale incremento nell’arco che va dal 1991 al 2004, in controtendenza rispetto all’andamento della regione Puglia e del Mezzogiorno (Fig. 7). In particolare, il punto di forza di Brindisi è la rete dei trasporti, che gode di un porto, un aeroporto con voli comunitari e una viabilità valutata meglio rispetto a quella delle province contigue. Difatti, il valore dell’indice della dotazione infrastrutturale di trasporto, al netto dei porti, nel rapporto Unioncamere 2006, risulta pari a 139,5, superiore al dato medio nazionale (100) ma anche a quello delle altre province pugliesi. Fig. 7 – Indice generale infrastrutture economiche e sociali (Italia =100). 100 75 Brindisi Puglia 50 Mezzogiorno Italia 25 0 1991 2004 Fonte: Unioncamere. Nel commercio la provincia di Brindisi registra un saldo negativo della bilancia commerciale: nel 2006 le importazioni (€ 1.225.985.587) hanno superato le esportazioni (€ 844.722.005). Lo stesso andamento si registra tanto in Puglia quanto in Italia. Tra i settori trainanti del commercio internazionale (Figg. 8 e 9), predomina quello legato ai prodotti chimici, dove le 85 importazioni superano la metà (evidentemente si tratta di materie prime e/o semilavorati destinati al polo petrolchimico di Brindisi) e le esportazioni rappresentano addirittura oltre i due terzi del totale merci esportato dalla provincia, guadagnando quindi un saldo positivo. Altro settore importante per quanto riguarda le esportazioni è quello metalmeccanico (Brindisi tra le altre cose vanta la presenza di un polo aeronautico). Tra gli altri aspetti positivi si rileva il saldo registrato dal sistema moda, mentre negativo quello dei prodotti alimentari. Fig. 8 – Importazioni per settore di attività economica (2006). Alimentare Moda - Agricoltura e pesca Agricoltura/pesca Altro industria - Alimentare - Sistema moda - Legno/carta - Chimica gomma plastica - Metalmeccanico - Altro industria Chimica Fonte: Unioncamere. Al pari di quanto visto in Fig. 5 (valore aggiunto), anche per quanto riguarda i consumi si denota l’ampliamento della forbice che segna il distacco tra l’area oggetto di studio e la media nazionale. Infatti la crescita in questo caso, sebbene ancora positiva, è inferiore a quella registrata a livello nazionale e segue maggiormente l’andamento registrato in Puglia e, in generale, nelle regioni del Sud Italia (Fig. 10). Il freno nei consumi, rispetto ad altre regioni italiane, è dovuto al divario del reddito disponibile procapite, addirittura inferiore a quello mediamente registrato in Puglia (Tab. 6). Questi dati quantitativi si riflettono negli indici qualitativi elaborati annualmente dalla stampa economica nazionale. Sulle 103 province italiane considerate nel 2006, infatti, Brindisi occupa il 75° posto nella graduatoria dell’indice di qualità ambientale elaborato da Legambiente, il 76° in quello di qualità della vita elaborato da “Italia Oggi” e il 90° nel medesimo indice elaborato da “Il Sole 24 Ore”. 86 Fig. 9 – Esportazioni per settore di attività economica (2006). Agricoltura/pesca Altro industria Alimentare Metalmeccanico Moda - Agricoltura e pesca - Alimentare - Sistema moda - Legno/carta - Chimica gomma plastica - Metalmeccanico - Altro industria Chimica Fonte: Unioncamere. Fig. 10 – Confronto tra i consumi finali pro-capite nel 1995 e 2005. 16.000 14.000 12.000 Brindisi 10.000 Puglia 8.000 Mezzogiorno 6.000 Italia 4.000 2.000 0 1995 2005 Fonte: Istituto Guglielmo Tagliacarne. Tab. 6 – Reddito disponibile pro-capite nel 2004 (valori in euro). Prov. Brindisi Puglia Mezzogiorno Italia Reddito disp. 11.059,56 11.097,26 11.580,25 16.075,09 pro-capite Fonte: Istituto Guglielmo Tagliacarne. 87 Aspetti turistici La provincia di Brindisi vede la presenza accentuata di strutture turistiche di villeggiatura in pochi centri importanti come Ostuni, che oltre a godere del caratteristico centro storico denominato “la Città Bianca”, nel suo territorio vede anche la marina che presenta strutture termali (Torrecanne). Inoltre, Fasano, che pure dispone di una costa attrezzata, oltre alla zona collinare denominata “Selva di Fasano” e le strutture ludiche (Zoosafari e Fantasilandia), presenta un significativo numero di strutture ricettive. Da segnalare anche Carovigno che presenta un turismo prevalentemente balneare, legato, tuttavia ad eventi culturali tradizionali. Viceversa, la città di Brindisi presenta una prevalenza di strutture alberghiere tradizionali, con finalità prevalentemente di affari, agevolata dai servizi di trasporto presenti. In provincia di Brindisi nel 2005 operavano 75 Bed and Breakfast e 68 Alberghi, i primi concentrati prevalentemente a Fasano (18), poi Ostuni (16) quindi Cisternino (14) e Carovigno (5), i secondi, invece, presenti soprattutto ad Ostuni (23), a Brindisi (15), a Fasano (11) e a Carovigno (6). In quest’ultimo caso vi sono anche le uniche strutture alberghiere a 5 stelle del territorio (3). Le strutture agroturistiche, invece, nello stesso anno di rilevazione risultavano pari a 44, concentrate in particolare a Ostuni (13) e a Fasano (12). Da segnalare infine 9 campeggi di cui 4 a Carovigno, 4 a Fasano e 1 a Ostuni, 20 alloggi privati gestiti in forma imprenditoriale (di cui la metà a Ostuni), un ostello della gioventù a Brindisi, più un numero elevato di esercizi complementari (152 dei quali 43 a Ostuni). Rispetto al 2002 si è registrato un notevole incremento di Bed and Breakfast (da 18 a 75) e un andamento lievemente crescente dei settori alberghiero tradizionale (da 65 a 68) e agrituristico (da 40 a 44). Stabile il numero dei campeggi (9). III Le opinioni dei testimoni privilegiati Industria In termini produttivi il territorio si presenta molto diversificato con fenomeni produttivi accentuati in parti specifiche della provincia. Esso, al pari della Puglia, sembra presentarsi con un quadro meno drammatico rispetto agli anni precedenti: il Pil sembra aver ripreso a crescere e con esso la produzione e l’occupazione. Ciò è dovuto soprattutto ai punti di eccellenza del settore industriale, nel quale si segnano delle vittorie nella internazionalizzazione delle imprese: il riferimento va fatto innanzitutto ai poli energetico, aeronautico e chimico. Si tratta di settori industriali che pur avendo subito negli anni un processo di destrutturazione e ristrutturazione si sono comunque mantenuti vitali. La crescita maggiore rispetto alle altre province pugliesi sembra essere dovuta alla intraprendenza imprenditoriale e alla storica vocazione industriale. Il polo chimico si è sviluppato soprattutto a partire dagli anni Cinquanta e, sebbene abbia subito lo smantellamento del vecchio stabilimento 88 Eni, mantiene oggi una presenza sul territorio di Brindisi davvero rilevante a livello nazionale, soprattutto perché, «rispetto ad altre aree dove esiste l’industria chimica, il sito di Brindisi è probabilmente il sito più interessante per l’utilizzo di impianti tecnologicamente avanzati per ridurre ai minimi termini l’impatto ambientale» (Esponente Confindustria). Secondo settore d’eccellenza è quello energetico, rappresentato dalla presenza dei principali produttori di energia del paese ENEL, EDISON, POWER, ENIPOWER. Si tratta di presenze importanti ma anche molto discusse per le modalità di insediamento che hanno avuto gli impianti. È un discorso questo che conduce alle polemiche sull’impatto ambientale su cui gli intervistati si sono ampiamente espressi sia in termini assolutamente positivi evidenziando come sia necessario «essere molto pragmatici e quindi sfruttare e utilizzare adeguatamente questa risorsa presente sul territorio; anche perché forse si esagera sulle valutazioni dell’impatto ambientale di questi siti, poiché le tecnologie messe in atto sono tra le migliori consentite oggi dallo sviluppo tecnologico» (Esponente Confindustria), sia, comunque, parlandone in termini più problematici, evidenziandone sicuramente l’importanza per il territorio, ma, in più, sottolineando come le modalità di insediamento che hanno avuto gli impianti di produzione di energia elettrica «creano notevoli handicap al territorio, in particolare su Brindisi città e sull’hinterland, sottraendo possibilità di sviluppo che, invece, avrebbero dovuto essere notevoli” (Esponente Provincia n.1). Probabilmente, il punto di forza assoluto dell’economia industriale del territorio è il settore aeronautico; presente sul territorio oramai dagli anni Venti, è oggi competitivo a livello nazionale e internazionale con la presenza di tre grandi aziende e di oltre venti piccole medio-aziende. È il settore ritenuto la punta più avanzata in un processo di sviluppo territoriale che mira al futuro tanto che Brindisi si è ultimamente candidata a promuovere un distretto produttivo insieme alla Campania, che rappresenta il sistema produttivo aeronautico più sviluppato nell’ambito del Mezzogiorno, con il quale Brindisi già da tempo si interfaccia e si integra nella produzione. Nel mondo della produzione industriale si rilevano eccellenze anche nel settore della produzione della plastica leggera, aziende che hanno da tempo intrapreso un cammino internazionale e che collaborano anche con le Università, facendo affidamento su personale giovane e altamente qualificato. Tale tipo di aziende, anche al fine di ovviare la difficoltà di natura infrastrutturale e geografica, ha puntato sin dall’inizio all’integrazione di tutti i processi produttivi non demandando all’esterno specifiche fasi. Inoltre, esse offrono lavoro al territorio in cui operano, ciò soprattutto perché, per evitare trasporti costosi e lunghi, creano joint venture locali all’estero (Usa, Albania, Thailandia, Spagna, Romania). Anche i settori innovativi e delle telecomunicazioni hanno un ruolo non trascurabile nel sistema produttivo del territorio, questo vale per Brindisi ma anche per la Cittadella della Ricerca di Mesagne, che di fatto è diventato un incubatore di imprese innovative. Inoltre, proprio nei PIT sono previsti i pacchetti integrati di agevolazione con cui si stanno erogando contributi importanti; nello specifico sono previsti venti milioni di euro di contributi pubblici che vanno alle imprese per attività di ricerca e innovazione. Tra le potenzialità, infine, sono da annoverare le competenze esistenti nelle circa venti aziende del TAC (Tessile, Abbigliamento, Calzaturiero), che hanno lavorato per le grandi firme internazionali e conservato abilità artigianali molto qualificate. Su 89 questa realtà occorrerebbe investire mettendo insieme le aziende esistenti per farle concorrere a livello mondiale con un marchio proprio, facendo leva sulla fama del Made in Italy e puntando su altri mercati comunque ricettivi. Nel settore industriale, la debolezza è sopratutto nella formazione tecnica delle nuove leve, cioè nella capacità di tradurre le varie competenze in uno strumento di sviluppo e in capitale umano, fatto di giovani che potrebbero essere impiegati nei comparti più interessanti per l’occupazione e per lo sviluppo del territorio. A ciò si aggiunga l’isolazionismo e la chiusura ancora esistente delle piccole e medie imprese, le quali non riescono e non possono, talvolta, investire in occupazione e, soprattutto, in formazione di eccellenza. Gli operatori delle grandi aziende industriali ritengono, inoltre, fortemente carente il sistema dei trasporti pubblici. Tecnici e dirigenti lamentano che i loro operai giungono sul posto di lavoro solo con i propri mezzi privati; infatti, anche se circa l’80% è costituito da operai del luogo in cui è ubicata l’azienda, essi non possono usufruire di mezzi pubblici per raggiungere la zona industriale; il settore dei trasporti sembra, a detta degli intervistati, essere pensato soprattutto per i flussi degli studenti, costringendo il personale delle entità produttive a organizzarsi con trasporti propri. Questa carenza si riflette anche nel trasporto di prodotti e merci: si rileva, infatti, un eccesso di trasporto su gomma, tendente al 100%, anche se questo non è solo un problema della provincia di Brindisi, ma una tendenza italiana e soprattutto del Sud Italia. Infine, viene più volte sottolineato dagli intervistati come ulteriore punto di debolezza, che anche le grosse aziende di produzione di materiali stanno soffrendo le crisi internazionali e la concorrenza a livello mondiale, soprattutto a causa di competitors nostrani e stranieri non sempre corretti, che riescono a immettersi sul mercato con oggetti di scarsa qualità, che alla fine rendono di più rispetto a quelli prodotti con tecnologia avanzata. Uno dei rappresentanti di un’azienda leader a livello mondiale nella produzione della plastica lamenta che se «fino a otto anni addietro c’era una costante crescita percentuale a due cifre, ora invece si viaggia a livelli davvero bassi». Oltre che dalla concorrenza mondiale e talvolta sleale, queste difficoltà sono causate anche dal costo del lavoro, dalle ripetute crisi del petrolio, dai certificati di qualità che occorre rispettare (ad es., ISO 9000/9001, ecc.) e dalla già citata mancanza di servizi e di manodopera qualificata. Probabilmente, sospetta un manager privato, il rischio più grande proviene dall’interno della stessa Provincia brindisina: il riferimento va alla permanente mentalità isolazionista, fatta di gelosie e scontri talvolta gratuiti, che sfocia in eccessiva e sterile litigiosità e che non favorisce l’economia locale, minacciandone seriamente la sua competitività. Agricoltura La parte interna della provincia ha nella produzione agro-alimentare il suo settore trainante, pur tuttavia rimanendo molto lontana dai livelli raggiunti dall’industria a ridosso della città. L’agro-alimentare ha una sua caratterizzazione territoriale che investe la collina di Brindisi soprattutto per quanto riguarda l’olio, mentre la fascia a sud della provincia – Cellino 90 San Marco, San Donaci, San Pietro Vernotico – è interessata da produzioni enologiche di alta qualità portate avanti con passione e determinazione. Nonostante le enormi difficoltà, conosciute dal settore primario, sono presenti produzioni agroindustriali rilevanti, legate alla coltivazione dei pomodori (anche se questi vengono prodotti di meno rispetto al passato), dei carciofi, del vino e dell’olio: soprattutto questi ultimi due prodotti rappresentano motivo di vanto, tanto da essere presentati alle manifestazioni nazionali e internazionali. I produttori di vino, in particolare, costituiscono la maggiore forza trainante, perché puntano soprattutto sulla qualità, fino a venire premiati in manifestazioni nazionali e non: è il caso, ad esempio, di una Cantina Sociale di Cellino San Marco che lavora 100-150 mila quintali di uva all’anno e dieci anni fa è riuscita a investire su un prodotto e sul suo imbottigliamento affrontando con grande successo il mercato estero. Nella Provincia di Brindisi esistono forme giuridiche che consentono modalità organizzative tra le aziende agricole, come la Confcooperative. Tali realtà aggregative si sono da tempo istituzionalizzate su tutto il territorio nazionale, organizzando i propri uffici in base alla differenziazione amministrativa italiana in regioni e province. Nello specifico, queste organizzazioni fanno capo alle cooperative, nei cui confronti svolgono le funzioni di rappresentanza, tutela e osservatorio economico. Rispetto alle altre forme giuridiche aziendali, il mondo delle cooperative si presenta non legato esclusivamente al profitto, perché la logica di cooperazione implica innanzitutto la mutualità dei soci cooperatori (indipendentemente dalla grandezza della cooperativa) e la sussidiarietà; tale prerogativa tende alla formazione di una mentalità di forte collaborazione solidaristica tra i soci. In conseguenza di ciò, la strutturazione in cooperative – e la loro aggregazione federale – consente la compartecipazione di risorse materiali (tecnologia, terreni, ecc.) e umane (braccia, competenze e capacità) che può risultare fondamentale in vista dell’internazionalizzazione della produzione e delle imprese. Inoltre, in Puglia esiste un organo manageriale che si occupa della formazione per i soci delle cooperative che aderiscono alla Confederazione per puntare alla internazionalizzazione delle imprese. Tali caratteristiche, se proficuamente coltivate e incentivate, possono costituire un parziale ma indispensabile rimedio all’enorme presenza di terreni di piccole e medie dimensioni, i cui proprietari basano la produzione sulla tradizione e sulle contingenze del mercato locale, quest’ultimo oramai sempre più influenzato dalla concorrenza mondiale. Tuttavia, negli ultimi 15 anni alcune organizzazioni confederali sono riuscite a scardinare con buon successo questa vecchia mentalità. In un certo senso, la globalizzazione ha “costretto” i proprietari agricoli a tale processo d’innovazione culturale, prima che economica, perché ha indotto a competere su un terreno molto più vasto e difficile. Ciò è stato possibile anche perché l’unione delle cooperative ha consentito e consente di osservare i fenomeni economici in atto: ciò ha, infatti, permesso alle aziende, che prima del 2000 hanno avviato il processo di aggregazione e di collaborazione, di ottenere un buon successo, al contrario di coloro che hanno adottato tale nuova strategia solo da poco tempo30. 30 Oltre che nel settore agricolo e agro-industriale, l’aggregazione delle cooperative costituisce un modello vincente anche in quello dei servizi: ad esempio, sebbe- 91 Infine, per il settore agricolo una grossa opportunità proverrà dai fondi disponibili: due miliardi di euro circa accompagneranno le aziende che intendono e saranno capaci di internazionalizzarsi. Solo 1 miliardo e 200 milioni riguarderanno la logistica e le infrastrutture portuali e aeroportuali. Tutto è messo a disposizione delle tre Province jonico-salentine. In più, «“pezzi” di Università saranno chiamati per offrire formazione e ricerca: elemento in più per competere adeguatamente in capo internazionale» (esponente Provincia n. 3). Il settore agricolo, nonostante le diverse eccellenze produttive e la capacità aggregativa di diversi enti, è caratterizzato soprattutto da piccole e piccolissime imprese che resistono alle strategie organizzative e manageriali rappresentate da realtà come la Confcooperative: vige ancora una cultura fortemente individualistica e soggettivistica e di decisa diffidenza verso forme avanzate di cooperazione e collaborazione tra produttori, il che consentirebbe, tra l’altro, un proficuo scambio di competenze, nonché una formazione permanente. Si può fare un esempio di quanta strada occorre percorrere: tutti i produttori di mele del Trentino fanno parte di un’unica organizzazione di produttori. Uno degli intervistati ha raccontato un episodio significativo in tal senso. Alcuni anni fa un grosso gruppo di produttori di succhi di frutta del nord, voleva impiantare uno stabilimento per la produzione di succhi di frutta nel brindisino, per la precisione a Mesagne. Voleva, tuttavia, investire in uno stabilimento che producesse 360 giorni all’anno, programmando una produzione agricola coerente con i piani produttivi industriali di uno stabilimento del genere. Alla fine «non si è potuto fare niente perché non si è riusciti a mettere d’accordo neppure le associazioni agricole a trovare imprese che fossero interessate a questo discorso. Quindi i fatti climatici non possono essere considerati il vero motivo. Il vero motivo è un eccesso di individualismo di aziende che restano troppo piccole e che sono capaci anche di fare un’ottima produzione ma niente altro che quella, sono poi incapaci di fare marketing, di fare promozione, commercializzazione e quindi automaticamente delegano ad altri il vero valore aggiunto» (Esponente Confindustria). Gli intervistati sono tutti d’accordo sulla qualità della produzione, anzi è oggettivamente di qualità, tuttavia ci sono, una serie di problemi legati alla dimensione delle imprese, legati alla presenza di un management aziendale che appartiene ad una certa generazione che ha difficoltà a rinnovarsi e a cercare nuovi mercati. Un intervistato ha definito l’organizzazione ne il numero delle cooperative per i servizi alla persona sia diminuito, ciò non significa l’implosione di questa forma imprenditoriale, piuttosto la fusione di cooperative di minori dimensioni in entità più grandi che riescono a raccogliere più appalti e a dare più lavoro anche ai non soci. Inoltre, le cooperative sembrano rappresentare un forte catalizzatore per l’occupazione delle fasce più deboli del mondo del lavoro: giovani e donne. La realtà delle cooperative, sempre che prosegua sul versante dell’aggregazione confederale, può costituire un ottimo strumento per reagire alle difficoltà viarie della provincia, dovute alla non ancora adeguata viabilità: stanno nascendo e si stanno sviluppando, infatti, delle cooperative di trasporto. Al momento, alcune cooperative, strategicamente di concerto, stanno istituendo le proprie basi logistiche lungo i maggiori snodi viari – porti e aeroporti, ferrovie e arterie stradali – per risparmiare costi e tempo di trasporto. 92 attuale del settore primario come “la palla al piede dell’agricoltura”: «noi in questa provincia, abbiamo bisogno che i coltivatori si organizzino per agire insieme, la logica di continuare in modo esageratamente individualistico, non consente di avere quella forza per incidere significativamente nei mercati nazionali ed internazionali. Questo è il punto più critico dell’attuale situazione agricola» (Esponente Provincia n.1). A ciò si aggiunga una serie di punti di debolezza come l’evidente bassa presenza di giovani che investono in imprese agricole, dovuta, in parte, secondo alcuni degli intervistati, al pregiudizio giovanile secondo cui l’agricoltura è un settore per anziani basato sulla tradizione, piuttosto che un’importante opportunità imprenditoriale; non meno rilevante è l’eccessiva parcellizzazione delle proprietà agricole, che causa un bassissimo tasso occupazionale. Questi due fattori aumentano i rischi per il settore, che si traduce inizialmente nell’impossibilità di far fronte alla concorrenza internazionale, resasi inoltre più difficile dal fatto che la riconversione delle terre e delle produzioni agricole è ostacolata da impedimenti legislativi e limiti finanziari provenienti dalla Comunità Europea; ciò riguarda i beni agricoli che da sempre hanno caratterizzato il territorio: vino, olio, pomodori, carciofi. (Tra l’altro, tali difficoltà hanno consentito a paesi esteri di inserire i propri prodotti spacciandoli per produzioni italiane). Infine, non va assolutamente trascurato un altro elemento che va a svantaggio della produzione agricola, soprattutto nell’area a ridosso della città di Brindisi, il rischio ambientale; esso è talmente elevato che l’amministrazione comunale ha emanato un’ordinanza di interdizione sui terreni circostanti il polo energetico. Altri terreni, invece, possono essere utilizzati solo attraverso investimenti industriali e dopo aver proceduto alla loro bonifica. Queste nuove disposizioni scoraggiano naturalmente gli investimenti in agricoltura in quella zona favorendo, invece un grande interesse per l’installazione di pale eoliche. La conclusione delle interviste sembra essere chiara: il settore agricolo e agro-industriale va supportato puntando sulla qualità di prodotti non di massa, che possano trovare sbocchi significativi sul mercato. Per ottenere questo occorre far attenzione ad una serie di accorgimenti quali: la salvaguardia e la tutela delle coltivazioni, la promozione con marchi significativi che “leghino” i prodotti alla storia del territorio e che siano identificati da un “marchio delle tipicità”. Questa consapevolezza sta maturando lentamente tra gli amministratori locali tanto che in tale prospettiva, ma anche per andare in aiuto alle aziende in difficoltà, la Camera di Commercio di Brindisi sta tentando di creare un Consorzio di Tutela per le tipicità come, ad esempio, il consorzio per i vini DOC di Brindisi e per il Negroamaro (si sta sfruttando anche il discorso dell’olio per quanto riguarda il DOP legato alla collina del brindisino). Una presa di coscienza che salvaguardia le produzioni locali, che soprattutto mira a promuoverle e che, comincia a dare loro il giusto peso nella prospettiva di un processo di internazionalizzazione. Turismo Il settore del turismo rappresenta un’altra grande potenzialità del territorio che andrebbe maggiormente sfruttata anche se con discorsi differenti a secondo delle zone del brindisino. La zona dell’entroterra nord, Ostuni soprattutto, rappresenta sicuramente la punta di eccellenza del setto- 93 re turistico. La visione di chi amministra questi territori è chiara: «Noi puntiamo sulla capacità di far intendere ai mercati che in questa zona si può fare qualità sia nell’agro-alimentare, che nell’artigianato locale e soprattutto ritengo di dire il vero quando dico che Ostuni è nota a livello nazionale ed europeo, abbiamo ogni anno presenze maggiori che comunque ci soddisfano, magari concentrate troppo in alcuni periodi dell’anno. Noi stiamo lavorando molto sulla capacità di rispondere a questa domanda aumentando la nostra offerta di qualità e quindi soprattutto allestendo cooperative nuove, bed & breakfast, aziende alberghiere, una serie di possibilità per gli imprenditori locali. Dobbiamo incontrare una domanda che cerca qualità, perché stiamo valorizzando oltre la costa, la nostra collina. Noi puntiamo a un tipo di turismo che non è il cosiddetto turismo di massa come era inteso negli anni ’60-’70, ma un turismo che chiede servizi, che chiede la possibilità di passare un periodo di vacanze in un posto che offre tante cose ma soprattutto, la bellezza paesaggistica, la qualità del territorio, la qualità del mangiare, la qualità del bere, stare lontano dal traffico che si trova normalmente nella città in cui si vive, cioè un’offerta turistica fatta di tante cose messe insieme che però possono dare la possibilità al turista e ai nostri visitatori l’idea di vivere in un posto raro» (Esponente Comune di Ostuni) . A ciò si aggiungano le strutture alberghiere di alta qualità, capaci di diversificare le offerte a seconda della stagione annuale: non solo turismo, quindi, ma anche eventi congressuali, spazi per una clientela d’affari esigente, il tutto in grado di attirare gente da varie provenienze, non solo nazionali. La consapevolezza che il turismo non può essere limitato solo a queste realtà più avanzate è forte. È vero anche che, se parliamo di turismo balneare, una prospettiva di sviluppo a ridosso della città di Brindisi e quindi del suo immediato hinterland, è sicuramente priva di significato a causa del problema dell’impatto che hanno le centrali energetiche e gli insediamenti industriali in generale. Il territorio brindisino è però così diversificato e ricco che le zone prive della costa e comunque quelle più soggette al rischio ambientale potrebbero sfruttare, e molte realtà sono già su questa strada, sia il turismo paesaggistico, sia quello culturale perché come sottolinea uno degli intervistati, «contrariamente a quello che si pensa le risorse culturali della provincia sono significative, sia quelle di carattere archeologico, sia quelle a carattere monumentale. E questo riguarda tutto il territorio della provincia, non solo le zone che oggi sono le più attive nel campo del turismo. Io faccio qualche esempio. Comuni come Mesagne, che non hanno una tradizione turistica possiedono al giorno d’oggi un patrimonio di beni monumentali che è significativo e lo stesso discorso vale per esempio, per un Comune come Oria, ma anche per altri comuni che possono essere meno conosciuti quali Cellino S.Marco e S.Pietro Vernotico. Quindi ripeto, uno dei punti importanti è fare in modo che sia il turismo di carattere paesaggistico sia di carattere culturale possa essere un settore diffuso nell’hinterland provinciale. Le potenzialità per farlo ci sono, sia perché le risorse naturali sono interessanti, pensi per esempio a tutta la rete delle vecchie masserie e dei paesaggi rurali della nostra provincia, sia a tutti i beni archeologico, architettonici e culturali in generale di cui questo territorio è proprietario» (Esponente Provincia n.1). Le proposte avanzate dagli intervistati sono tante, ma sembra che anche in questo caso sia basilare il discorso sulla sinergia di forze. Il turi94 smo è, infatti, uno di quei temi su cui finora non si sono definite strategie comuni né strategie di intervento/investimento pubblico-privato; tuttavia sia i politici, sia gli operatori del settore sono concordi sulla necessità di realizzare un sistema turistico regionale o, almeno provinciale. Ad esempio, «fare una valutazione di Brindisi a se stante rispetto a Lecce non ha senso, bisogna ragionare con una logica di sistema. Inoltre, il turista culturale è disposto a muoversi in un raggio anche di 100 chilometri, per cui per lui passare da Lecce a Ostuni, a Fasano, ad Alberobello, ad Otranto è cosa facile» (Esponente Provincia n.2). Si fa sempre più necessario parlare di consorzi tra i comuni, urge ragionare secondo una logica di sistema che coinvolga non solo il pubblico ma anche il settore privato e le associazioni di categoria. Questa non è comunque un’idea nuova, perché la Legge Regionale n.1 del l’11 febbraio 2002- Organizzazione turistica regionale- parlava proprio di sistemi turistici locali. Essa non è riuscita nel suo intento e il suo fallimento potrebbe essere attribuito, a detta degli intervistati, alla mancanza di una volontà politica a provare a mettere in atto quanto legiferato. Questo ha spinto molti operatori del settore a guardarsi bene dal fare discorsi di collaborazione con gli enti, mettendo su iniziative private spesso conseguendo risultati altrimenti irraggiungibili. Nonostante il territorio abbia notevoli e invidiabili risorse paesaggistiche, infrastrutture stradali sufficienti, un porto e un aeroporto, non si è ancora riusciti, comunque, a programmare un’azione seria e organizzata che avesse come obiettivo lo sviluppo del settore turistico. Tranne che per alcune aziende turistiche, che, come già evidenziato, vedono incrementare il loro fatturato e mantenere alti i livelli di occupazione, il settore turistico manca completamente di un programma complessivo che consenta di affermare un’identità territoriale precisa. Una reale politica turistica, infatti, sembra, a detta degli intervistati, non esserci mai stata e, sembra che tarderà ad arrivare visto, ad esempio, qual è l’atteggiamento nei confronti di una serie di disservizi che continuano a persistere come l’inesistenza del sistema idrico, fognante e di approvvigionamento di acqua potabile in alcune zone della costa, così come l’atteggiamento nei confronti del grande potenziale di infrastrutture. «Il problema delle infrastrutture è chiaro che pesa sul turismo perché la loro inadeguatezza non consente di avere determinati servizi o di averli in maniera concorrenziale. Esempio la rete ferroviaria, anche le rotte dell’aeroporto, la situazione del porto, la rete stradale hanno la loro incidenza, così come ce l’ha la rete ricettiva che spesso è inefficiente e in certi casi anche inesistente e non competitiva» (Esponente Provincia n.1). Spesso i clienti delle strutture alberghiere devono affrontare spese aggiuntive per spostarsi dalla stazione, dall’aeroporto, dal porto, per giungere all’albergo prenotato; per non parlare degli spostamenti sul territorio per godere delle bellezze paesaggistiche e dei prodotti eno-gastronomici. E, dal loro canto, gli operatori si sentono per certi versi isolati nelle iniziative e negli sforzi che fanno per incrementare il flusso dei visitatori; agli albergatori è, infatti, chiesto di fare un po’ tutto: il tour operator, l’azienda di trasporti, inventarsi itinerari turistici e quindi confezionare pacchetti che non spetta soltanto loro confezionare. Infine, il discorso turistico si lega, com’è già emerso, a quello dell’inquinamento provocato dagli assetti industriali. Più di qualcuno tra gli intervistati ha rilevato come i problemi legati al tanto discusso inquinamento industriale abbiano avuto ripercussioni negative sul flusso turistico, fa95 cendo perdere, soprattutto nell’ultimo anno, molte prenotazioni minacciando un calo della presenza di visitatori nella stagione successiva. La conseguenza primaria di questi atteggiamenti è di correre realmente il rischio di perdere il treno dello sviluppo turistico, nonostante la tendenza degli ultimi anni ad un aumento delle presenze sul territorio provenienti da più parti di Italia e del mondo. Recuperare la realizzazione di un territorio turisticamente interessante sembra molto difficile, visto che oltretutto Bari è dotata di traffico portuale e aeroportuale, di navi da crociera, tendendo, così, sempre più a spostare tutto l’asse dei traffici verso il centro della Puglia. Il settore ha dunque bisogno di un coordinamento e di una reale programmazione che coinvolga le istituzioni, le associazioni di categoria e i diversi operatori. È necessario delineare strategie che mirino a rendere l’offerta turistica del territorio sia competitiva, sia di qualità. Politica Nella politica territoriale sembra essere in corso un cambiamento che, sebbene molto lento, sta producendo i primi benefici effetti. Ad esempio, l’Amministrazione provinciale locale si sta muovendo verso altri enti e livelli istituzionali (regione, federazioni di industriali e imprenditori, ecc.) in favore di un’area più vasta, il grande Salento, con l’intenzione di mettere a disposizione di tutte e tre le Province implicate (Brindisi, Taranto, Lecce) infrastrutture importanti – porto, aeroporto e snodi ferroviari – in connessione con le altre. Questo, consentendo la compartecipazione delle risorse materiali e umane, consentirebbe al territorio dell’area jonico-salentina di uscire da una situazione di residualità e marginalità geopolitica ed economica all’interno del panorama internazionale. I contatti con la Regione sono stati già avviati da tempo: la risposta è stata pronta su alcuni punti, ma non su altri. La prima questione affrontata è stata quella inerente gli effetti inquinanti dell’area industriale: si sono ottenuti qualche centinaio di milioni di euro per risanare aree e per investire in nuove tecnologie e nella formazione. Il polo aeronautico è un punto fermo della politica provinciale: a riguardo il governo della Provincia sta studiando una serie d’interventi amministrativi, burocratici e finanziari che hanno permesso e stanno permettendo a tale settore di uscire dalla produzione “passiva” su commesse dello Stato. Da qualche tempo, il polo aeronautico sta immettendosi nel mercato attraverso filiere attivissime anche nella creazione di pezzi specifici della meccanica avionica. Insieme a un’altra azienda aeronautica, sita nella zona di Taranto, è stato richiesto al governo un riconoscimento per l’innovazione tecnologica e la ricerca, affinché si possa competere con i grandi colossi internazionali dello stesso settore. Soprattutto quello che è emerso è che oggi si sta puntando molto sui Piani Territoriali Strategici (P.I.T.), necessari per il conseguimento dello sviluppo economico del territorio, ma anche per lo sviluppo di una nuova mentalità, quella concertativa e compartecipativa, perché tali strumenti “obbligano” al superamento dei campanilismi. 96 Il cambiamento è dunque percepibile, rimane il fatto che le amministrazioni politiche costituiscono tuttora un punto di debolezza, come afferma un soggetto istituzionale del pubblico: la classe dirigente di questo Mezzogiorno, perlomeno di questa area territoriale, non sembra pronta ad affrontare i processi e i fenomeni legati alla globalizzazione. Manca managerialità, per cui a Brindisi, come in tutta la Puglia, si ha un’enorme carenza di soggetti pubblici che non riescono a garantire assistenza e servizi alle imprese, provocandone la diffidenza. Manca soprattutto la garanzia per la internazionalizzazione almeno delle eccellenze, quindi una politica complessiva del territorio a fronte di numerosi e vari punti forti nei vari settori esaminati. Si parla troppo, ci si confronta e ci si scontra sui diversi modelli di sviluppo, ma non si giunge mai ad accordi e a obiettivi comuni. Questa mancanza e questa arretratezza non incide solo sullo sviluppo delle aziende, ma anche sull’occupazione dei cittadini brindisini. Questo sta facendo perdere terreno rispetto al resto dell’Italia e del mondo in termini di prestigio e di concorrenza. Qualcuno si sofferma più specificamente sul rapporto conflittuale tra la classe politica e alcuni operatori del settore industriale: soprattutto nei confronti delle grandi aziende produttrici sembra che i politici non siano in grado di mettersi al servizio dello sviluppo territoriale con strategie politiche idonee. In alcuni casi, sembra mancare totalmente il senso del tempo. Ad esempio, è stata chiesta la concessione per spostare uno stabilimento di 1 km: dopo sei mesi a causa dei continui rimpalli di competenza tra Regione e Provincia non è stata data la concessione e lo stabilimento si è trovato a occupare il suolo abusivamente. (del resto non avrebbe potuto fermare la produzione). Tutto ciò è dipeso da una legge del 2006, che ha spostato le competenze dalla Regione alla Provincia, quest’ultima è costretta a convocare una Conferenza dei Servizi, al cui interno non si sa quali siano le competenze e le responsabilità. Infine, la debolezza dell’azione politica si rileva attraverso due altri indicatori: da un lato, il non aver difeso i brindisini dall’espropriazione delle terre favorendo i produttori del Centro e del Nord Italia; dall’altro, il non essere ancora riuscita a mettersi sui binari manageriali oltre che politici della tutela dei prodotti del territorio. Inoltre, c’è stata anche una scarsa presenza di contributi finanziari che avrebbero consentito un incoraggiamento agli imprenditori autoctoni. A tutto ciò si aggiunga che l’UE sembra legiferare contro le identità produttive italiane, omologando i vari prodotti e obbligandoli all’adozione di criteri per il loro trattamento (es.: lo zuccheraggio del vino, l’aumento del burro nel cioccolato, il diverso trattamento dei formaggi, ecc.). Una nota dolente, come è emerso dalla quasi totalità delle interviste è rappresentata dallo Sportello Unico per le Attività Produttive (SUAP), che dovrebbe essere l’interlocutore unico per tutto il complesso di atti amministrativi che sono a carico di un impresa; creato, quindi, per rendere efficiente e efficace il servizio alle imprese e ai nuovi imprenditori, ha invece complicato i meccanismi amministrativi e burocratici. L’unica opportunità per le aziende, prima dello Sportello, era quella di costruire una rete di relazioni con soggetti istituzionali, i quali poi si occupavano delle diverse pratiche amministrative di competenza. Con la nascita dello Sportello sta accadendo che le pratiche vengono addirittura smarrite costringendo le a- 97 ziende a rimediare. Inoltre, non c’è collegamento tra SUAP e le altre realtà amministrative, per cui risulta difficile anche risalire al numero di protocollo delle pratiche per riprendere documenti importanti. In sostanza, lo SUAP di Brindisi non sembra avere una capacità di funzionamento ottimale, non tutti gli imprenditori lo utilizzano, ma quelli che lo fanno non spendono nei suoi confronti parole favorevoli. «Si esiste e noi ce ne serviamo. Non dico che funzioni o non funzioni, sicuramente è giusto che ci siano relativi controlli, che si seguano determinate regole però c’è sempre un parere di quell’altro, il parere di quell’altro ancora… il comune dice si però, poi chiede il parere al vigile del fuoco, quell’altro dice si però ha bisogno di un altro parere e così via. È un rimbalzo continuo per poi tornare indietro e poter dire: “puoi partire”. È tutto abbastanza complicato» (Dirigente azienda aeronautica Brindisi). Il malfunzionamento dello SUAP è ammesso anche da un esponente del Comune che dichiara come siano stati spesi un sacco di soldi in questi anni per fare la rete dello sportello unico territoriale delle attività produttive, lo SUTAP, mettere cioè insieme lo Sportello unico di Brindisi insieme a quello di Ostuni e di San Pancrazio anche se «il risultato non sembra essere soddisfacente e sembra necessario puntare ad una carta dei servizi dello Sportello Unico e ad eliminare sacche di potere burocratico e non politico che gestiscono le autorizzazioni in maniera clientelare» (Esponente Comune di Brindisi). Un chiaro indicatore che fa dello SUAP un grave punto di debolezza è la non conoscenza di tale strumento da parte di molti operatori politici e imprenditoriali. Del resto esso non ha né semplificato le procedure, né diminuito i costi e forse non tanto per mancanza di volontà, ma per la carenza di strumenti, di personale e soprattutto di collaborazione tra i diversi enti. Qualcuno cerca di dare una spiegazione e, con essa, un rimedio: c’è un problema generazionale, in quanto è vero che serve l’esperienza amministrativa (e non solo), ma occorre poter sfruttare anche la “freschezza d’età e intellettuale dei giovani”, la loro voglia di fare e di fare in modo diverso, che punta all’innovazione. “Piuttosto le personalità innovative ci sono, ma spesso sono chiamate in extremis”. Infrastrutture Il discorso sulle infrastrutture, trasversale a tutti i settori economici, si manifesta subito molto complesso. Come già emerso nell’analisi quantitativa, Brindisi con un indice di infrastrutturazione pari a 139,5, superiore al dato nazionale, è tra le realtà più infrastrutturate di Italia considerando il porto, l’aeroporto, ma considerando anche la dotazione in termini energetici. Il problema, a detta sia dei gestori del territorio che degli imprenditori, è un non adeguato sfruttamento delle stesse. Si pensi alla strada statale 7, che rappresenta, secondo il Ministero dei Trasporti, la fascia portante, la nuova piattaforma transnazionale soprattutto dal punto di vista della logistica, una tra le prime sei d’Italia – 4 sono sulle Alpi e una in Sicilia: infatti, essa collega Taranto a Brindisi dal punto di vista infrastrutturale, ma non da quello strategico-produttivo. 98 Il discorso del sottoutilizzo vale anche per l’aeroporto. Indubbiamente il fatto che l’aeroporto sia diventato del Salento dà un’idea più forte della sua centralità rispetto ad un’area più vasta di quella brindisina; è un aeroporto con piste ortogonali dove possono atterrare e sono già atterrati jumbo, però l’esistenza di pochissime tratte internazionali e nazionali penalizza non solo gli imprenditori ma anche un potenziale flusso turistico che spesso preferisce servirsi dell’aeroporto di Bari. Il porto di Brindisi, inoltre, non rappresenta una realtà polifunzionale. La sua storica vocazione a carattere commerciale e turistica è andata nel tempo dissolvendosi ed oggi è un porto totalmente asservito al carbone, indispensabile per il funzionamento delle centrali Enel e di Power. È, infatti, piuttosto scarso il traffico dei container, così come quello dei passeggeri. La realtà imprenditoriale, ad esempio, è costretta a servirsi di altri porti, uscendone chiaramente penalizzata sia dal punto di vista dei costi, sia dei tempi. «Noi, più o meno, sdoganiamo un contenitore ogni due giorni. Siamo costretti ad andare a Gioia Tauro, a Salerno, a Genova, a Ancona, a Livorno. Abbiamo i porti di Brindisi, Taranto e Bari che non sono utilizzabili per quanto ci riguarda ed è un peccato a livello di logistica e a livello di costi. Perché una cosa è scaricare la merce utilizzando i porti locali ed altro è fare come siamo costretti a fare noi» (Imprenditore agro-alimentare Francavilla Fontana). Il PIT 7 sta lavorando proprio sull’aspetto delle infrastrutture, mediante un progetto di internazionalizzazione che comporterà un investimento di circa un milione e mezzo di euro. Inoltre, lo stesso programma PIT prevede finanziamenti già ottenuti dal territorio, così come delibere di finanziamento specifiche del CIPE, che hanno finanziato le piattaforme intermodali e il potenziamento di quelle già esistenti. Le possibilità di sviluppo sono tante e la loro realizzazione oltre ad essere sostenuta da finanziamenti, deve fondarsi su di un discorso di rete interistituzionale che nel territorio brindisino oltre a prevedere la Regione, la Provincia e i Comuni, contempla un altro soggetto rilevante dal punto di vista delle decisioni: l’Autorità portuale. Solo così la grande potenzialità infrastrutturale potrà portare benefici all’economia locale. Formazione e ricerca Un ruolo importante ai fini dello sviluppo del territorio è riconosciuto da tutti alla formazione partendo dal presupposto che non si può scollegare la formazione dalle risorse territoriali. La formazione rappresenta quindi, per tutti gli intervistati, un’ancora di salvezza e, al contempo, un trampolino di lancio per tutto il territorio brindisino, nonché per l’intera area jonicosalentina. Tuttavia, anche se lentamente, quella che dagli intervistati è stata definita un’offerta formativa carente sembra stia migliorando sia per il settore industriale, a partire dagli istituti tecnici che formano periti industriali 99 meccanici aeronautici31, sia per il settore turistico con le scuole alberghiere nella zona del nord brindisino che puntano alla alta qualificazione delle competenze. La formazione universitaria, in particolare, è quella su cui gli intervistati hanno maggiormente espresso le loro opinioni lamentandosi del fatto che un’Università non radicata sul territorio ne ha sicuramente penalizzato e rallentato lo sviluppo. Per tale motivo, è stato ben accolto che l’Università di Lecce sia divenuta Università del Salento, con insediamenti brindisini, offrendo interessanti prospettive per il territorio. L’Università si presenta, infatti, quale importante opportunità non solo per alzare il livello culturale dei giovani brindisini, ma anche per fare ricerca nel campo ambientale, nella produzione tecnologica, in proposte concretamente spendibili in sede politica e economica. Fondamentale per il mondo imprenditoriale è che le competenze si formino oltre che nei luoghi della conoscenza anche direttamente nelle aziende; le imprese sembrano pronte a questo discorso: «Guardi la nostra azienda propone continuamente degli stage. Se la Camera di Commercio, se la Provincia, se l’Associazione Industriali avessero bisogno di mandare personale qui da noi per conoscere una realtà produttiva aziendale, noi siamo ben contenti. Ad esempio a fine anno noi chiediamo agli istituti tecnici, di mandarci gli elementi più validi a cui un discorso del genere potrebbe interessare; li ospitiamo proprio per sensibilizzare su questo tipo di discorso. È chiaro che facciamo anche i nostri interessi prendendo dei soggetti che possono rappresentare una valida collaborazione» (Imprenditore agro-alimentare Francavilla Fontana). «Noi facciamo stage a ragazzi che vengono inviati dall’Università del Salento, magari da Ingegneria dei materiali; anche questo discorso degli stagisti andrebbe visto secondo un discorso più ampio. Ci devono essere dei lavori di reciproco interesse per l’università, per lo studente e per l’impresa; sono discorsi veramente grossi. Noi abbiamo avuto fortuna perché abbiamo trovato ingegneri che hanno fatto qui lo stage pre laurea e poi sono diventati nostri dipendenti. Ma sono stati casi molto sporadici e fortunati per entrambi: per noi perché abbiamo preso una persona cui interessava il lavoro dell’azienda e per loro perché hanno trovato subito lavoro» (Dirigente azienda aeronautica Brindisi). L’importanza di tirocini e stage nelle aziende, d’intesa con l’Università, è rilevata da chi è preoccupato dalla scarsità di competenze specializzate nei diversi settori economici. Infatti, precisa un consulente di enti pubblici e privati, Brindisi ha bisogno di Facoltà e Corsi di Laurea che servono al territorio, sfruttando quei settori di eccellenza per i quali occorrono competenze precise come, ad esempio, nel nautico e nell’aeronautico: infatti, le imprese nautiche sono rimaste allo stato artigianale perché manca il know how necessario per produrre industrialmente. Ciò favorirebbe lo sviluppo del porto di Brindisi, che tornerebbe a sfruttare la buona posizione geografica nel Mediterraneo. Tuttavia, secondo l’intervistato, finora 31 Realtà presente a Francavilla Fontana ma assente a Brindisi, dove è presente soprattutto la formazione per periti termo-tecnici, elettronici, informatici: «tutte belle cose che però all’industria manifatturiera che lavora in nicchie tecnologiche particolari interessano ben poco» (Dirigente azienda aeronautica Brindisi). 100 l’Università pugliese non è riuscita e, comunque, non ha influito sulla possibilità di sviluppare nuove strategie, né di stimolare alla deprovincializzazione del territorio di riferimento. Gli intellettuali accademici hanno dimostrato ottime capacità analitiche e descrittive, ma in molti casi non sono riusciti a tradurre i risultati delle loro ricerche e dei loro studi in operatività, in risultati implementabili per lo sviluppo delle risorse e delle competenze sul territorio regionale. Alla ricerca, infatti, è chiesto di avere anche una funzione politica di sviluppo, tale che proponga e fecondi idee, divenendo snodo fondamentale sia per chi intende sviluppare conoscenze e tecnologie utili per la crescita in campo mondiale, sia per aiutare le aziende con dei corsi professionali ad hoc formando delle figure già presenti o introducendone delle nuove. Infine, l’Università dovrà costituire un osservatorio per monitorare le situazioni economiche, sociali e ambientali. In tutto questo discorso sembra che il rischio sia nella mancanza di una mentalità che faccia da humus fertile per la creazione di relazioni interistituzionali stabili tra il territorio e l’Università, rimanendo tali rapporti spesso legati alle sole esperienze soggettive, talvolta contingenti, alle conoscenze personali. Qualche intervistato rileva come spesso sia il singolo docente a portare avanti un discorso serio con le aziende e non i Dipartimenti o le Facoltà, quale enti di studio e di ricerca, così come d’altro canto accade che il territorio non risponda con solerzia alle singole sollecitazioni provenienti dal mondo universitario. IV Conclusioni: la chiave dello sviluppo tra concertazione e internazionalizzazione Dalle interviste emerge chiaramente come il discorso sullo sviluppo territoriale sia trasversale a diversi settori non solo economici, ma anche politici e mass mediatici32. Il pubblico, l’imprenditoria, le associazioni di categoria, tutti devono essere coinvolti in questa prospettiva. Dagli interlocutori si percepisce la consapevolezza che lo sviluppo locale richieda stabili collaborazioni tra i diversi attori operanti sul territorio e ciò emerge anche dalla presa di coscienza, dichiarata dagli amministratori locali, delle proprie responsabilità. Un esempio a tal riguardo è lo sviluppo del polo aeronautico: esso presenta un mercato in crescita con forti potenzialità di sviluppo, sembra non avere problemi d’impatto ambientale, può coinvolgere il settore della ricerca facendone un elemento determinante di lancio, portando anche crescita occupazionale. Tutti questi motivi spingono i diversi attori – le istituzioni, le parti sociali, gli imprenditori – a lavorare in modo coeso. Tuttavia, ciò non significa che la classe dirigente e il personale che lavora nelle pubbliche amministrazioni sia maggiormente responsabile e compe32 Per quanto riguarda la sfera pubblica e il monitoraggio della situazione socioeconomica di Brindisi, qualcuno lamenta che il controllo sociale su quanto avviene è piuttosto debole: infatti, Brindisi, pur avendo tre quotidiani locali e tre televisioni, non ha la possibilità di verificare lo stato di depressione sociale, economica e culturale in cui versa. Al contrario, i giornalisti potrebbero costituire un’ottima opportunità di sviluppo di una nuova mentalità, propagandando non solo le debolezze del territorio, ma soprattutto quel che c’è di buono, ciò su cui si può investire. Inoltre, i mass media potrebbero diventare strumento per la costruzione di un’identità territoriale. 101 tente nel suo complesso rispetto al passato, né che si possa parlare di un coordinamento e di sinergie collaudate; piuttosto, gli intervistati denunciano sia l’assenza di una rete, sia di una strategia complessiva che coinvolgano tutti gli attori operanti sul territorio. Qualcuno spinge oltre l’analisi, chiamando in causa non solo il senso civico e morale di chi governa, ma anche l’importanza delle comunità locali che, comunque, scelgono chi deve governare; quindi, una responsabilità della situazione attuale da condividere tra istituzioni e società civile. Il tutto non permette un’unità d’intenti né un adeguato coordinamento: «questo è un punto critico. C’è un eccesso di individualismo e di protagonismo, non c’è sempre capacità di fare sistema, non sempre capacità di definire strategie e obiettivi» (Esponente Confindustria). «Attualmente si registra una certa tendenza di ogni ente ad una forte indipendenza. La Provincia va per conto suo, il Comune va per conto suo, la Regione anche. Non c’è alla base una programmazione intesa vera e propria per poter pianificare, programmare e quant’altro. C’è un certo discorso che l’assessore regionale al turismo vuol fare affidando alle Camere di Commercio il coordinamento della promozione territoriale, però bisogna vedere, se va in porto» (Esponente Camera di Commercio). «C’è ancora una logica di egoismi che limita questa cooperazione. Il punto è che questa logica investe soprattutto la classe dirigente» (Esponente Provincia n.2). «Guardi, non voglio essere pessimista perché essere pessimista significa non vedere il futuro. Soltanto faccio una critica a determinate politiche che si stanno attuando a discapito del territorio brindisino» (Esponente Provincia n.1). Gli intervistati lamentano uno sviluppo molto parlato e molto meno sviluppato, realizzato e attuato. Ciò su cui l’opinione degli intervistati è unanime è l’auspicabilità ad uno sviluppo che si basi sulla coesione territoriale che però tenga conto della eterogeneità del territorio, senza dissolvere le diversità in una indistinta generalità. Chi opera soprattutto istituzionalmente sul territorio, ma anche chi opera in termini economici, deve dunque cominciare a ragionare in una logica di sistema: lavorare come sistema territoriale, organizzare il territorio considerandolo nella sua ampiezza, guardarlo attraverso una scala che non sia prettamente locale. Anche se questo è difficile da realizzare, non ha più, comunque, senso pensare in termini individuali. A questo tipo di discorso, sembra chiaro che bisogna comunque adattarsi se, ad esempio, non si vuole essere fuori dai finanziamenti europei che rappresentano i mezzi attraverso i quali è possibile delineare strategie di sviluppo del territorio. Infatti, la programmazione dei fondi strutturali avviene su aree vaste, prima vera forma di rete che si sta costituendo: ad esempio, a Brindisi, dove l’Area Vasta corrisponde proprio all’intera Provincia, questa rete è stata formalizzata con una convezione con delega al comune capofila e con l’inserimento di uno strumento tecnico che è la “cabina di regia” in cui è coinvolta la Provincia. Ragionare con la logica dell’area vasta significa indirizzare la classe politica verso modalità d’azione non più campanilistiche; significa, ad esempio, che «il comune A deve capire che un investimento sul comune B, potrebbe portare benefici anche a lui» (Esponente Provincia n.2). Come già è emerso, anche i PIT ragionano e “obbligano” a pensare in termini di rete: anche se in alcuni casi, «l’esperienza si è semplicemente 102 tradotta nel formulare un elenco della spesa senza una valutazione ex ante, senza una definizione di vision, di quello che si vuole raggiungere, senza una matrice di finanziabilità fatta bene» (Esponente Comune). La logica di sistema deve, invece, puntare ad uno sviluppo che tenga conto di tutte le risorse del territorio, quelle già sfruttate e quelle potenziali, dalla produzione industriale, che tenga però conto della tutela ambientale, all’agricoltura, alla logistica, ai trasporti, al turismo e alle attività di formazione. «Se noi utilizzassimo quello che il territorio già possiede saremmo già avanti» (Imprenditore agro-industriale). La programmazione e l’agire concertato non sono, comunque, l’unica chiave di sviluppo del territorio che deve altresì puntare seriamente alle opportunità fornite dai processi d’ internazionalizzazione, opportunità più volte sottolineate dagli intervistati nei loro diversi discorsi. Anche in questo caso, però la questione è complessa e influenzata da più fattori. Sebbene, infatti, la globalizzazione rappresenti uno stimolo per l’aggregazione delle aziende e, per certi versi, un fattore inevitabile per quanto concerne la concorrenza mondiale, essa può al contrario impedire o rendere molto difficile l’internazionalizzazione di quelle imprese brindisine che non hanno saputo o che solo ora stanno avviando un percorso aggregativo e manageriale adeguato. Un esempio proviene dalle vicende del petrolchimico, un tempo faro produttivo e occupazionale dell’area jonicosalentina: la concorrenza e la crisi della chimica si sono fatte sentire e non ci sono stati studi per nuove strategie. I rischi provengono certamente dall’instabilità politica nazionale e da quella economica europea e mondiale, che fanno crescere i costi della produzione e della vita impedendo di fatto il recupero di risorse per lo sviluppo delle aree svantaggiate e periferiche del Mezzogiorno. Da ciò può conseguire l’impossibilità di adeguare le infrastrutture di comunicazione la cui insufficienza impedirebbe o renderebbe difficoltoso il collegamento del territorio con il resto del mondo rendendolo maggiormente periferico se non proprio del tutto marginale. Un altro caso riguarda il settore agricolo e agro-industriale: la perdita di terreno sul fronte nazionale e mondiale ha accentuato il rischio di una nuova colonizzazione da parte di grosse imprese del Nord Italia e non solo. Ciò può ulteriormente de-potenziare l’autonomia territoriale e far “abortire” l’identità produttiva brindisina in questo settore. Tuttavia, se la globalizzazione dei mercati ha reso più difficile e complicato costruire nuove basi per lo sviluppo della provincia brindisina, l’internazionalizzazione rimane comunque, a detta di molti intervistati, una scelta strategica fondamentale per l’economia locale, una via di sviluppo che oramai non è più soltanto viva nelle parole e nelle opinioni dei nostri interlocutori, ma comincia a essere intrapresa in maniera fattiva per far conoscere il proprio territorio e per creare proficui rapporti con istituzioni e province fuori dal contesto nazionale. L’estero, dunque, rappresenta una grande opportunità perché i prodotti e le eccellenze non mancano e «potrebbero addirittura trionfare». Sarebbe sufficiente realizzare 2-3 filiere di 7-8 aziende per settore, afferma un manager privato, per vedere Brindisi nel mercato mondiale: «Avverrebbe una vera e propria rivoluzione culturale con conseguente riorganizzazione del territorio, perché andare fuori farebbe scattare dei meccanismi mentali e culturali che obbligherebbero a 103 riorganizzarsi» (manager, consulente per aziende private e enti pubblici)33. Inoltre, se per molte imprese nazionali ed estere globalizzazione significa poter sfruttare manodopera a basso costo nei paesi svantaggiati o in via di sviluppo, per i Brindisini l’Est europeo, a detta degli intervistati, deve essere considerato mercato esso stesso, in cui vendere e vendersi in quanto territorio; infatti, gli ex paesi del socialismo sovietico hanno una grande propensione verso il Made in Italy e sarebbe un grande errore pensare solo all’Ovest, strada già battuta da inglesi, francesi e dagli italiani del Nord. Per capire la ricettività dell’Europa orientale nei confronti del mercato, è sufficiente al momento rilevare che Bulgaria e Romania hanno finanziato una parte del Corridoio 8 con i fondi propri. Manca solo la parte meridionale, frontale alla Puglia. Un altro passaggio è costituito dal Danubio, che permette all’Italia meridionale di poter proficuamente esportare e contrarre alleanze con i Paesi dell’Est in via di sviluppo. L’economia brindisina, tuttavia, non deve guardare all’estero solo come un’opportunità di sviluppo per alcune aziende, magari quelle economicamente più vivaci; piuttosto, l’internazionalizzazione deve diventare prassi consueta e di fondo dell’intero territorio di Brindisi soprattutto rispetto a due settori su cui si potrebbe maggiormente puntare per promuovere e “vendere” il territorio: quello agro-alimentare e quello del turismo, che, pur non rappresentando le punte d’eccellenza del sistema economico brindisino, in un ottica di promozione del territorio sono sicuramente i più rappresentativi e “identificanti”. Inoltre, ciò che dovrebbe spingere a orientare l’internazionalizzazione in questa direzione è la presenza di percorsi e progetti già attivi, soprattutto con paesi come l’Albania e la Grecia che, non a caso, rappresentano per i settori specificati partner privilegiati del nostro paese. Diverse operazioni sono, quindi, già in corso e su altre si potrebbe investire. In tal senso gli esempi e le occasioni non mancano. Pensando dunque al manifatturiero agro-alimentare, ci si potrebbe muovere in tale direzione puntando alla salvaguardia della tipicità e dell’identità produttiva locale del settore agricolo, aggredendo il mercato con un’adeguata strategia di marketing, che faccia leva anche sugli eventi e sulle manifestazioni regionali, nazionali e internazionali. A tal proposito, si può sfruttare quello che è già conosciuto nel mondo come il Made in Italy, che costituisce un ottimo biglietto per il settore agroalimentare brindisino. Si potrebbe, dunque, realizzare un percorso per la valorizzazione dei prodotti locali nel settore dell’alimentazione. Si pensi alla Toscana, dove agricoltura e turismo sono diventati un tutt’uno guidando l’economia regionale nel mercato internazionale. A tal proposito, si potrebbe cogliere l’invito che la Spagna ha rivolto all’Unesco nel proporre la Dieta Mediterranea come “patrimonio dell'umanità”, inserendola a pieno titolo nella categoria delle culture tutelate alla stregua dei tesori dell'artigianato, della musica, della danza e del teatro: «Da noi non ci hanno pensato – scrive il giornalista, Marco Zatterin – e, se l'hanno fatto, non si sono mossi, così la primogenitura s'è persa. Il progetto, intavolato lunedì sera al Consiglio dei Ministri agricoli dell'Unione, 33 A tutto ciò si aggiunga il fenomeno dell’aggregazione tra imprese-cooperative che, se incentivato, consentirebbe un maggiore investimento in tecnologia, risorse manageriali e forza lavoro, quindi l’internazionalizzazione delle imprese e dei prodotti. Esempio ne sono i consorzi per l’export di prodotti agroalimentari in Romania. Infatti, è stato realizzato uno studio di fattibilità con l’aiuto di enti locali e dell’Università di Bari (Facoltà di Agraria). 104 ha ora il bollino giallorosso iberico e non quello tricolore. Siamo spiazzati, ma c'è tempo per recuperare, anche se i portoghesi già cavalcano l'iniziativa, a pieno titolo visto che per il semestre hanno la presidenza dell’Ue . “Un’ottima idea da uno stato membro che ha un'ottima cucina, come noi, Francia, Italia e Grecia” ha commentato con l'acquolina in bocca il responsabile verde di Lisbona Jaime Silva»34. Inoltre, la Dieta Mediterranea costituirebbe un punto d’incontro nuovo con l’estero per una terra, quella brindisina e pugliese in genere, che ha fatto della solidarietà e dell’incontro tra culture un “marchio” riconosciuto a livello internazionale: infatti, un nostro intervistato, manager e consulente di aziende pubbliche e private, ha suggerito che le iniziative e gli indirizzi politici improntati al solidarismo nei confronti dei paesi stranieri possono essere completati da una strategia d’incontro di ampio respiro, in cui ci sia un’intesa coi medesimi paesi anche sul piano economico e culturale in genere. Ebbene, al primo Congresso sull'alimentazione delle tre religioni monoteiste (cristiana, ebraica e musulmana), organizzato nel 2005 a Roma presso l’Università “La Sapienza”, i partecipanti hanno trovato quale punto comune la Dieta Mediterranea: «Ogni scienziato di ciascun Paese, di tutto il bacino toccato dalle acque di questo grande mare, ha presentato un modello alimentare che, pur con cibi diversi, ha trovato similarità, se non coincidenza, di ingredienti nutritivi»35. Prendendo spunto da tali iniziative, il territorio di Brindisi può valorizzare la propria posizione geografica guardando, ad esempio, alla Grecia quale partner privilegiato nel settore agroalimentare mediterraneo, tenendo oltretutto presenti i numerosi e interessanti progetti INTERREG che consentono lo sviluppo trasversale di importanti settori del proprio territorio in partenariato con paesi trans-adriatici. Diversi progetti sono stati attuati, altri sono in corso di attuazione e coinvolgono sia Comuni, sia l’intera provincia di Brindisi con il territorio greco. PRO.BIO.SIS, ad esempio, è un progetto che mira allo sviluppo rurale sostenibile, compatibilmente con la vocazione turistica dei territori, attraverso lo sviluppo e la promozione multidisciplinare tra università, centri di ricerca e aziende. Altri progetti, come TRIA.NET, intendono migliorare la competitività delle imprese operanti nel settore dei prodotti tipici integrando il processo di qualificazione del prodotto e con le forme di turismo rurale alternativo. Inoltre, si sta attuando un interessante progetto che ben s’inserisce nel discorso sulla Dieta Mediterranea, ossia quello che mira al recupero, alla valorizzazione e alla fruizione di un bene storico-culturale di interesse pubblico per destinarlo ad ospitare la Scuola Internazionale della Gastronomia Mediterranea e che vede quali partner internazionali l’Italia, con Ceglie Messapica quale comune Capofila, e la Grecia. Non mancano, infine, i progetti sempre tra Italia e Grecia che mirano allo sviluppo di conoscenze e tecnologie per favorire la competitività nell’ambito dello sviluppo sostenibile del territorio (CO-BIO). La posizione geografica è certamente una grande opportunità, ma non basta essere al centro del Mediterraneo: la posizione geo-economica è piuttosto vantaggiosa per le merci provenienti da diverse nazionalità, ma occorre pensare anche ai servizi. Un esempio pro34 Zatterin M., La dieta scippata. Gli spagnoli propongono di tutelare per sempre la Mediterranea. Strategia in chiave Unesco. L’Italia al palo, in www.dietamediterranea.it (visitato il 10 marzo 2008). 35 Calabrese G., Dovevamo pensarci noi italiani, in www.dietamediterranea.it (visitato il 10 marzo 2008). 105 viene da un manager privato: l’ortofrutta che dall’Egitto arriva in Italia passa da Ancona, mentre se arriva a Brindisi fa un giro completamente differente, mettendoci meno della metà del tempo; il che significa per gli esportatori egiziani un risparmio in termini di costo. Tuttavia, se i prodotti arrivano a Brindisi, ma non esistono i servizi a supporto della lavorazione degli stessi e della loro movimentazione per mandarli nel resto d’Europa, è chiaro che a quel punto la dotazione fisica, infrastrutturale, naturale brindisina rischia ancora di rimanere inutilizzata. Il settore del turismo, per le enormi potenzialità presenti sul territorio, potrebbe essere l’altro settore su cui puntare in una prospettiva d’internazionalizzazione. Il turismo rappresenta ormai una risorsa economica fondamentale per il territorio nazionale e diviene sempre più una strategia di sviluppo per le economie locali che devono sia favorire un’attività di promozione e marketing sui mercati esteri, sia attivare sul lungo periodo programmi di sviluppo e di sostegno. Il fatto che sia una strada da percorrere è comunque già ben chiaro alla Regione Puglia che, nel programma comunitario INTERREG III A ITALIA – ALBANIA36, pone tra gli obiettivi quello di “Rafforzare e qualificare il sistema della cooperazione transfrontaliera tra i due paesi nei settori produttivi, del turismo e della cultura” e quello di “Potenziare e qualificare la cooperazione nella protezione, promozione e valorizzazione dei beni culturali e turistici”, considerando quali possibili aree di intervento il territorio della regione Puglia, con riferimento alla tre province di Bari, Brindisi e Lecce, e l’intero territorio dell’Albania. Con questi obiettivi il programma punta alla valorizzazione dei beni culturali ed artistici partendo dal presupposto che questi possono rappresentare il denominatore comune di uno sviluppo e di iniziative di cooperazione culturali e turistiche. Puntare sull’Albania vuol dire quindi puntare su un paese non solo con una tradizione culturale, ma anche con risorse naturalistiche e paesaggistiche di grande interesse; in più è geograficamente vicina, il che rappresenta una condizione assolutamente vantaggiosa. Questa è una delle strade che le diverse strategie territoriali di sviluppo potrebbero percorrere e, come già evidenziato, in parte questo già sta accadendo. Ritornando al già citato Interreg Italia-Albania, infatti, diversi sono i progetti che sono stati approvati e che mirano ad una cooperazione turistica tra l’Albania, Bari, Brindisi e Lecce. Soltanto per citarne qualcuno: il Mare delle Aquile che considera le diverse destinazioni turistiche dell`area costiera delle Provincie di Bari, Brindisi e Lecce e quelle delle coste Albanesi della zona di Durazzo, Valona e il comprensorio di Saranda, al fine di promuoverne lo sviluppo attraverso lo studio e l’offerta di strumenti di analisi dei vantaggi competitivi, delle potenzialità e delle prospettive di miglioramento del comparto turistico marino. E ancora il progetto denominato La Riviera dei fiori costieri, che si pone come obiettivo generale lo sviluppo di servizi integrati al turismo marino, l’aumento della competitività turistica territoriale e dell’imprenditoria turistica locale, il miglioramento delle ricadute socio-economiche delle attività turistiche sul sistema territoriale. E ancora il progetto Valt che punta al patrimonio culturale dei due territori; obiettivo specifico è, infatti, quello di promuovere lo sviluppo 36 Disponibile on line all’indirizzo http://www.europuglia.it/ 106 e la diffusione del patrimonio culturale comune attraverso la valorizzazione di un insieme di luoghi e di tradizioni presenti nell’area transfrontaliera della Puglia e dell’Albania che possano rivestire un forte valore simbolico e che possano essere catalizzatori in grado di generare attrattiva turistica, nell’ottica di una gestione partecipata, di strategie e di politiche di sviluppo sostenibile. È opinione diffusa che l’internazionalizzazione dei processi economici è oramai la “via obbligata” per lo sviluppo di un territorio. Questo aspetto è ben evidenziato in un documento della European Commission Enterprise And Industry Directorate-General37, che definisce alcune linee guida per l’internazionalizzazione e, la cui idea fondante è che i processi di internazionalizzazione non devono essere considerati come un momento residuale di rilancio dell’economia di un territorio, piuttosto devono essere valutati come una strategia a monte, come parte integrante delle politiche di sviluppo e di crescita di un territorio. V Quadro sinottico sulla situazione economica brindisina emersa dalle interviste ai testimoni privilegiati Punti di forza • • • • • Polo aeronautico, polo energetico, aziende leader in campo internazionale per la produzione della plastica leggera. Produzione viti-vinicola e olearia. Dotazione infrastrutturale. Risorse paesaggistiche. Prodotti enogastronomici. Punti di debolezza • • • • • • • • Opportunità Apertura di nuovi mercati come quelli dell’Est Europeo: ad. es., Albania per il settore turistico e Grecia per il settore agroalimentare. Finanziamenti provenienti dalla Comunità europea, dal governo nazionale e dalla Regione. Nuova e pressoché, stabile presenza dell’Università quale polo di formazione, ricerca e monitoraggio del territorio. • • • • Mondo agricolo: eccessiva frammentazione dei terreni e insufficienza delle aggregazioni tra aziende. Classe politica arretrata e impreparata. Assenza dell’idea di turismo in termini di strategia organica di promozione del territorio. Utilizzo inadeguato delle infrastrutture. Insufficienza di reti di collaborazione tra istituzioni e imprenditoria. Rischi/Minacce Crisi economico-politiche nazionali e internazionali. Inquinamento dovuto ai grandi poli industriali. Micro-clima spesso sfavorevole per l’agricoltura Concorrenza di realtà economiche nazionali e straniere su territorio locale e internazionale. 37 Disponibile on line all’indirizzo: http://ec.europa.eu/enterprise/entrepreneurship/support_measures/cluster/final_r eport_clusters_en.pdf (visitato il 15 marzo 2008). 107 I potenziali dell’Internazionalizzazione in Provincia di Brindisi Maria Pia Brienza e Simona Trento PREMESSA Il presente documento nasce con il duplice obiettivo di fornire un riscontro programmatico agli esiti delle indagini territoriali svolte nell’ambito del Progetto, mirate ad individuare settori economici e paesi esteri ritenuti strategici per l’avvio di azioni pilota di internazionalizzazione del territorio brindisino del PIT 7, e di fornire agli operatori locali potenzialmente interessati a processi di internazionalizzazione uno strumento ricognitivo dell’attuale panorama degli strumenti programmatici e finanziari di sostegno ai processi di internazionalizzazione dei territori e delle imprese, finanziati da diverse fonti a livello comunitario, nazionali e regionale. A tal fine, il documento si articola in quattro sezioni: - la prima sintetizza i risultati delle analisi desk e delle indagini sul campo svolte; - la seconda ricostruisce il contesto programmatico di riferimento e il quadro delle priorità e degli obiettivi strategici individuati a livello regionale e provinciale per le azioni di internazionalizzazione territoriale ed evidenzia il livello di coerenza delle indicazioni emerse dalle analisi; - la terza contiene la presentazione, in forma di schede informative sintetiche dei singoli strumenti, del quadro complessivo delle opportunità di sostegno e finanziamento delle azioni di internazionalizzazione derivanti dall’attuale contesto programmatico; - la quarta ed ultima sezione del documento contiene la presentazione dei due Paesi Obiettivo individuati, Albania e Grecia, che fornisce dati statistici di tipo macroeconomico, settoriale e di interscambio con l’estero. Con riferimento alla presentazione degli strumenti di finanziamento a sostegno delle azioni di internazionalizzazione, è doveroso precisare che non essendosi ancora concluso il processo regionale di programmazione unitaria delle risorse comunitarie, nazionali e regionali per le politiche di sviluppo e coesione, e con esso l’iter di pianificazione delle risorse per la cooperazione internazionale (poste finanziarie, specifiche modalità di attuazione, etc…), il quadro delle informazioni fornite per i vari strumenti sarà prevalentemente di carattere generale. I. SINTESI DEI RISULTATI DELLE ANALISI CONDOTTE DALL’UNIVERSITÀ DEL SALENTO Rimandiamo naturalmente alla lettura dei primi tre contributi raccolti nel volume, per i chiarimenti necessari all’approfondimento delle opzioni qui sviluppate. Dalle analisi desk è emersa sia la centralità che la complessità del concetto e delle pratiche di “sviluppo locale”; è altresì emersa la complessità delle reti formali e informali, e dei reciproci intrecci, che concorrono a fare di un territorio, questo territorio, con le sue specificità, caratterizzate da vincoli e opportunità proprie. Alle analisi desk ha fatto seguito un’indagine sul campo, condotta mediante interviste qualitative a te- 108 stimoni privilegiati. Sulla base del materiale raccolto, come esplicitato nelle conclusioni del precedente contributo, sono stati individuati due settori, e un paese per settore, nei quali si ritiene strategico promuovere i processi di internazionalizzazione dell’area PIT 7. I due settori sono: l’agroalimentare, in rapporto alla Grecia; il turismo, in rapporto all’Albania. Non sono settori trainanti in questo momento, ma presentano grandi potenzialità, soprattutto in vista dell’apertura del mercato euro-mediterraneo, prevista per il 2010. Recenti ricerche sui processi di internazionalizzazione, promosse dalla Commissione Europea, rilevano che il successo dell’internazionalizzazione dipende anche dal fatto che la si valuti come il core-business dell’azienda e/o del servizio, e non più come uno strumento solamente compensativo. Questo, tradotto, nei due settori presi in esame, vuol dire che l’offerta turistica della Provincia di Brindisi può e dovrebbe essere inclusa in “pacchetti” di offerta internazionali che prevedano viaggi e spostamenti dei turisti tra due e più paesi. E quale migliore opportunità di un paese così vicino e così lontano come l’Albania, le cui bellezze naturalistiche, la pescosità del mare, le tradizioni culturali e culinarie, sono elementi preziosi per un’offerta differenziata, per offrire pacchetti integrati? E quale migliore opportunità di quella offerta dalla Grecia nell’ambito del settore agro-alimentare, per disegnare un marchio d’area mediterranea per i nostri prodotti della terra. Nell’ottica del mercato globale i nostri territori sono molto vicini, sono contigui – e questa contiguità è intessuta di storie durate secoli, che noi possiamo percorrere nuovamente, con gli strumenti che ci offre la programmazione politicoeconomica più avanzata. Strumenti qui di seguito esposti ed illustrati accuratamente, e soprattutto raccolti in un unico documento. Poiché, se è vero che si possono in gran parte reperire attraverso il web, non è meno vero che i tempi per le ricerche e una selezione ragionata di ciò che può servire sono spesso estenuanti. PRIORITÀ E STRUMENTI II. STRATEGIE, INTERNAZIONALIZZAZIONE REGIONALE DELLA POLITICA DI II.1 Quadro di sintesi dell’attuale azione internazionale della Regione Puglia L’azione internazionale delle Regioni europee assume oggi una nuova collocazione in virtù del contributo che i territori sono chiamati a fornire per la costruzione ed articolazione della politica europea di sviluppo e coesione sociale (e di prossimità), da un lato e delle nuove competenze, concorrenti ed esclusive, delle Regioni italiane su materie che contribuiscono all’apertura internazionale del territorio amministrato, dall’altro. Questo nuovo processo ha portato l’attuale Amministrazione regionale della Regione Puglia a riconsiderare tanto l’approccio quanto la sua azione futura in campo internazionale. Il nuovo approccio strategico pone il territorio pugliese al centro degli interventi regionali e porta necessariamente a superare la tradizionale concezione dell’internazionalizzazione limitata ai soli aspetti commerciali e 109 produttivi per adottare il concetto di internazionalizzazione capace di coniugare ed integrare, in un’ottica internazionale, tutti gli interventi in campo economico, culturale e sociale. E’ necessario sostituire la logica degli interventi una tantum e finalizzati alle sole imprese esportatrici con interventi “di sistema” a beneficio delle reti di relazioni a valenza territoriale. L’azione internazionale della Regione Puglia è caratterizzata, attualmente, da tre leggi regionali che disciplinano ruoli ed impegni in campo internazionale e da una serie di impegni negoziali e progettuali con enti nazionali e subnazionali esteri: 1) la Legge regionale n. 20 del 25 agosto 2003 “Partenariato per la cooperazione”, che stabilisce i criteri, le modalità di programmazione delle attività e gli organismi preposti a questo tema, intende rafforzare il suo ruolo soprattutto nell’area dei Balcani occidentali con l’obiettivo di stabilire e radicare nel territorio pugliese un processo di buone prassi di partenariato attraverso la “costruzione di una coscienza regionale dell’altro, base imprescindibile per una crescita condivisa ed equilibrata nell’area geografica”. L’elemento innovativo della normativa regionale speciale è il ruolo prioritario riconosciuto alle comunità locali e alla società civile nei diversi settori d’intervento di cooperazione (partenariati fra comunità, cooperazione allo sviluppo, cultura e promozione dei diritti umani). 2) la Legge Regionale n.23/2000, “Interventi a favore dei pugliesi nel mondo”. La comunità dei pugliesi emigrati all’estero vede nella Regione Puglia un partner istituzionale per la promozione delle proprie iniziative, culturali e sociali, che sedimentano la tradizione anche presso le nuove generazioni. Sono, infatti, circa 400.000 gli emigrati pugliesi iscritti alle anagrafi consolari e ben 104 le associazioni di pugliesi all’estero. Proprio su queste associazioni si punta per creare occasioni di promozione del territorio pugliese, della sua cultura e della sua economia. La valorizzazione dei pugliesi emigrati è ritenuta fondamentale per le strategie di internazionalizzazione economica e culturale della Regione, in quanto la presenza pugliese all’estero opera come canale preferenziale con i paesi ospitanti. Le associazioni, in particolare, consentono alla Regione di potersi avvalere di una rete di operatori già presenti nei luoghi di maggiore attrazione per l’internazionalizzazione del territorio pugliese; 3) la Legge regionale n. 26 del 15 dicembre 2000, “Conferimento di Funzioni e Compiti Amministrativi in materia di Immigrazione Extracomunitaria”. La Legge sostiene azioni concrete ai bisogni ed alle necessità degli immigrati rilevate dagli enti locali e dalle associazioni di volontariato. La Regione inoltre, si impegna a partecipare ad iniziative comunitarie e nazionali e a promuovere con propria dotazione finanziaria specifici progetti. Mentre, per quanto riguarda i protocolli d’intesa internazionali firmati dalla Regione (potere che si inquadra nel processo di regionalizzazione delle competenze avviato con la Legge n.59/1997 “Bassanini” ma non ancora strutturato secondo i principi dettati dalla Legge n.131/2003 “La Loggia” e della L.11/2005 “Buttiglione”), a partire dal 1999, per promuovere attività di scambio e di reciproca collaborazione nello sviluppo economico, culturale ed istituzionale con i Paesi dell’Europa, dell’area mediterranea e mediorientale, dell’America e dell’Asia, troviamo tra i più rilevanti per gli impegni sul piano economico e politico: 110 - l’accordo di collaborazione siglato con l’Albania che rappresenta il partner privilegiato per le politiche regionali di partenariato e cooperazione, anche in virtù dell’esperienza comune di cooperazione transfrontaliera maturata nell’ambito del PIC INTERREG, nonché della presenza in Albania di molti imprenditori pugliesi; - gli accordi di collaborazione sottoscritti con la Grecia, la Macedonia, l’Armenia, la Moldavia e la Polonia, per quanto riguarda l’area dei Balcani e dell’Europa centrale; - il protocollo d’intesa con la Provincia di Henan della Repubblica Popolare Cinese. La sottoscrizione di questa intesa ha un valore particolare, in quanto segna l’avvio di relazioni istituzionali con un paese che rappresenta non solo un partner economico rilevante, ma un interlocutore chiave per i processi di internazionalizzazione della cultura e della formazione professionale, della ricerca e dell’innovazione nel prossimo futuro. Altro importante atto di internazionalizzazione compiuto dalla Regione Puglia è l’adesione avvenuta il 6 febbraio 2006 all’Associazione “Euroregione Adriatico-Ionica”, costituita tra enti regionali, enti locali, istituzioni del territorio italiano con pari enti del territorio sloveno, croato, bosniaco, erzegovino, serbo, montenegrino e albanese che ha per obiettivi: instaurare e sviluppare dei rapporti reciproci fra gli abitanti e le istituzioni del territorio quali presupposti per una migliore conoscenza e collaborazione bidirezionale; - realizzare le condizioni per lo sviluppo economico nel rispetto dell’ambiente; - stabilire gli interessi di sviluppo comuni, la preparazione, la definizione e l’armonizzazione di una comune strategia di sviluppo; - promuovere gli scambi culturali; - realizzare le condizioni per un efficace scambio di esperienze e le loro applicazioni ai programmi dell’Unione Europea. Oltre ai livelli di azione sopra descritti in diretta attuazione degli strumenti normativi regionali, la politica regionale di sostegno ai processi di internazionalizzazione viene attuata attraverso una molteplicità di strumenti programmatici e finanziari riconducibili a fonti di finanziamento sia nazionali che comunitarie. In particolare, nella fase di programmazione delle risorse pubbliche per lo sviluppo regionale 2000-2006, l’internazionalizzazione è stata perseguita attraverso i seguenti strumenti: • il Programma Operativo Regionale (POR) 2000-2006 ed i suoi sottostrumenti (PIT, PIS); • i Programmi d’Iniziativa Comunitaria (Interreg III, Leader Plus, Equal, Urban II); • l’Accordo di Programma Quadro con il Ministero del Commercio Internazionale a sostegno della promozione delle imprese italiane all’estero; • la partecipazione al “Programma di sostegno alla cooperazione regionale” nell’ambito dell’Accordo di Programma Quadro paesi della sponda 111 sud del Mediterraneo e paesi dei Balcani occidentali” con il Ministero degli Affari Esteri; • la Legge 84/2001 Ai fini Progettuali, appare opportuno evidenziare che nell’ambito del Programma comunitario Interreg III la Regione Puglia ha già avviato ed attuato specifiche azioni di cooperazione con l’Albania e la Grecia. In particolare, la regione ha rivestito il ruolo di Autorità di Gestione del Programma d’Iniziativa Comunitaria transfrontaliera Interreg IIIA ItaliaAlbania (oggi Nuovo Programma di Prossimità Italia-Albania), i cui obiettivi e priorità sono stati definiti, di concerto con le Autorità albanesi, prendendo in considerazione gli orientamenti e gli obiettivi della Commissione Europea: • rafforzare il sistema della cooperazione transfrontaliera nei settori delle infrastrutture di trasporto, di comunicazione e della sicurezza, sviluppando reti e nodi di servizio, dando seguito a quanto già fatto nell’ambito di Interreg II; • lo sviluppo e la cooperazione per valorizzare, tutelare e migliorare le condizioni ambientali e qualificare il sistema socio – sanitario, con particolare attenzione all’ecosistema marino; • rafforzare e qualificare il sistema della cooperazione transfrontaliera tra i due Paesi nei settori produttivi tra i quali: turismo e cultura, produzione agricola, mercato del lavoro, collaborazione con i centri di ricerca e servizi alle imprese, sono i principali focus; • potenziare e qualificare la cooperazione nella protezione, promozione e valorizzazione dei beni culturali e turistici; potenziare la cooperazione istituzionale, tentando il più ampio coinvolgimento con le istituzioni albanesi che operano nel settore (ad es. il Comitato Albanese del Turismo e l’Ente Albanese Albturist). La strategia di intervento del Programma ha tenuto conto degli obiettivi indicati nei più importanti accordi di collaborazione Italia – Albania, sia a livello nazionale che regionale nei diversi campi della cooperazione istituzionale in materia di politiche sociali, ambientali, economiche e culturali. Nel corso dell’attuazione del Programma è emersa con chiarezza la necessità di inquadrare gli interventi in una logica di condivisione delle scelte e delle priorità, al fine di considerare l’impatto sul territorio albanese come complementare all’impatto sul territorio UE e viceversa. L’obiettivo è stato quello di rafforzare lo sviluppo armonioso ed equilibrato delle aree transfrontaliere attraverso un confronto bilaterale continuo. I risultati più rilevanti del Programma riguardano la capacità di attivare forme di cooperazione istituzionale, anche con le Autorità centrali albanesi, finalizzate a sostenere l’adattamento degli operatori pubblici alla normativa ed alle procedure comunitarie. L’analisi delle esperienze compiute ha messo in evidenza i maggiori nodi critici rimasti insoluti e che riguardano: 112 • l’insufficienza dei servizi e nodi di interconnessione tra i due Paesi con riferimento alle diverse modalità di trasporto; • la scarsa conoscenza reciproca della cultura, della storia e delle tradizioni locali a causa dell’ancora limitata interazione delle civiltà su entrambe le sponde; • l’insufficiente sviluppo dei rapporti economici, dell’interscambio di beni e servizi e della cooperazione tra imprese, anche se apprezzabili progressi sono stati recentemente compiuti in questo campo. Con riguardo alla cooperazione con la Grecia, la Puglia ha partecipato al Programma Interreg III A Grecia-Italia, il cui obiettivo generale è rappresentato dal “rafforzamento del sistema di cooperazione transfrontaliera tra i due paesi, al fine di accrescere la competitività dell’intera area e di preservare e valorizzare le comuni risorse ambientali e culturali”. In particolare, attraverso il Programma sono state realizzate azioni di potenziamento e miglioramento delle strutture portuali del Porto di Brindisi, del Nuovo Porto di Patrasso e del Porto di Corfù, oltre che promosse azioni di cooperazione rivolte all’imprenditorialità, all’ambiente e al patrimonio culturale. L’attuazione del Programma ad oggi ha permesso di realizzare parzialmente gli obiettivi attesi e riguardanti: - il potenziamento della comunicazione fra le regioni tramite il miglioramento dell’accessibilità e la sicurezza dei trasporti; - il rafforzamento della competitività delle economie; - la valorizzazione-preservazione delle risorse ambientali e culturali comuni o similari. Riprendendo il tema dell’azione del governo regionale in materia internazionale e delle nuove sfide lanciate dagli attuali processi politici ed economici, si evidenzia come l’Amministrazione regionale, anche in un quadro di coerenza con gli obiettivi strategici del nuovo ciclo di programmazione comunitaria 2007-2013, abbia ritenuto necessario individuare un modello di governo capace di indirizzare le scelte di investimento economico e culturale del territorio pugliese ed abbia attivato in seno alla Giunta regionale un percorso di riforma ed adeguamento delle strutture preposte al governo di tali politiche, individuando al suo interno una Cabina di regia sulle politiche di internazionalizzazione territoriale (D.G.R. 734 del 30/05/2006). Inoltre, l’esigenza di garantire una forma organica alle iniziative di internazionalizzazione avviate e partecipate dall’Ente Regione ed assicurare la complessa azione di coordinamento con le altre politiche strutturali a livello regionale e con le politiche di internazionalizzazione a livello centrale, ha condotto alla definizione del Piano Regionale per l’Internazionalizzazione della Regione Puglia 2006-2013 (PRINT) che, come descritto nei paragrafi seguenti, rappresenta il Documento unico di Programmazione delle politiche di internazionalizzazione a livello regionale. 113 II.2 Le politiche di internazionalizzazione nel nuovo scenario di programmazione regionale 2007-2013 L’esperienza maturata nel ciclo di programmazione 2000-2006 in materia di promozione dell’internazionalizzazione si riconduce prevalentemente alla gestione di risorse ed interventi intesi a: - incentivare l’accesso delle P.M.I. e dei consorzi export a servizi qualificati e specializzati di sostegno ai percorsi di internazionalizzazione d’impresa; - promuovere l’economia territoriale, attraverso azioni di marketing territoriale e/o settoriale, anche al fine dell’attrazione degli investimenti; - attivare e rafforzare la diffusione dei servizi informativi specializzati per gli operatori economici regionali, sia attraverso l’istituzione dello sportello regionale per l’internazionalizzazione delle imprese della Puglia (SPRINT Puglia), sia tramite il potenziamento del portale internet regionale di servizi alle imprese. Le principali criticità che sono emerse dalla precedente fase di programmazione e che frenano, di fatto, una reale apertura del territorio pugliese ai processi di internazionalizzazione, possono essere così riassunte: - Il rischio di “spiazzamento” dei sistemi produttivi locali rispetto all’evoluzione della dinamica economica internazionale. - La scarsa valorizzazione del potenziale del territorio pugliese in termini di fruizione turistica. - Una cooperazione internazionale viziata della “sindrome comunitaria” del riequilibrio ad Est. Dal punto di vista della cooperazione territoriale, la Regione Puglia ha destinato pochissime risorse (finanziarie e di personale) alla costruzione politica dell’area euromediterranea, nonostante l’imminente nascita del mercato comune di libero scambio euromediterraneo (2010). Poco è stato fatto per promuovere l’adeguamento delle strutture logistiche e produttive locali e per garantire una loro più efficace partecipazione ai vantaggi indotti dalla creazione dell’area di libero scambio euromediterranea, attraverso una politica che miri all’integrazione delle filiere produttive, commerciali e di servizi alle imprese e allo sviluppo dei territori. - La “polverizzazione” degli interventi di formazione per l’internazionalizzazione e il disallineamento tra il mondo della formazione e quello imprenditoriale. - L’assenza di un adeguato modello di governance a sostegno dell’internazionalizzazione del territorio. Le lezioni apprese nel corso della gestione degli interventi 2000-2006 hanno fatto emergere con chiarezza la necessità, già evidenziata, di inquadrare la politica di promozione dell’internazionalizzazione in una logica più ampia ed integrata delle strategie di sviluppo e di competitività locale ed hanno orientato la fissazione degli obiettivi e delle priorità per il nuovo ciclo 2007-2013. 114 Gli obiettivi generali politiche di sviluppo regionale per il periodo di programmazione 2007-2013 sono stati fissati dalla Regione nel Documento Strategico Regionale 2007-2013 adottato con Delibera n. 1139 dell’ 1 agosto 2006. Sul tema dell’internazionalizzazione il DSR Puglia affronta l’evoluzione del ruolo e posizionamento della Regione Puglia nel contesto del mercato globale sottolinea che il ruolo potenziale di protagonista nei processi di internazionalizzazione del “sistema Puglia”, dovrà esplicarsi sui seguenti versanti: a. lo sviluppo e la promozione di reti di relazioni, accordi partenariali e di collaborazione tra soggetti istituzionali ed economici in ambito internazionale; b. la promozione e diffusione di strutture e servizi qualificati in grado di facilitare l’accesso delle imprese a strumenti e know-how specifici in relazione alle opportunità d’affari presenti sui mercati esteri; c. il coordinamento e l’integrazione delle politiche ed iniziative di promozione dell’internazionalizzazione a favore del “sistema Puglia” poste in essere dai vari soggetti istituzionali a livello locale e nazionale; d. il sostegno all’attrazione degli investimenti esteri, selezionati in funzione della loro capacità di qualificare i sistemi regionali in termini di contributo occupazionale, apporto di conoscenze, potenzialità innovative; e. il sostegno alla diffusione della Società dell’informazione e dei processi di innovazione all’interno dei sistemi produttivi locali al fine di accrescere i rispettivi vantaggi competitivinel mercato globale; f. l’integrazione tra le politiche a sostegno dell’internazionalizzazione e quelle finalizzate al consolidamento delle infrastrutture economiche a favore dei sistemi produttivi locali, specie in relazione ai collegamenti infrastrutturali ed immateriali verso l’estero; g. la creazione di migliori condizioni di accesso a fonti e mezzi di finanziamento, soprattutto per la realizzazione di programmi di internazionalizzazione. Inoltre, il DSR nell’inquadrare lo scenario geopolitico di riferimento sottolinea l’assoluta rilevanza della dimensione mediterranea e balcanica della futura azione regionale. La piattaforma pugliese, infatti, per la sua collocazione geografica, rappresenta per i territori circostanti, un punto di riferimento fondamentale e un crocevia d’obbligo verso le terre dell’Adriatico e del Mediterraneo. In questo contesto, essa potrebbe assurgere al ruolo di protagonista del processo di stabilizzazione e associazione dell’area balcanica, come pure potrebbe collocarsi all’avanguardia nella piena attuazione nella nuova politica di vicinato, che completa e rafforza il processo di Barcellona, al fine di realizzare un vero spazio comune euromediterraneo. Inoltre, inserita nel Corridoio VIII, la Puglia beneficia della posizione strategica anche nell’ambito del “Corridoio Meridiano” che rappresenta l’asse di interconnessione marittima tra Mediterraneo, Mar Nero e Balcani, configurandosi come area naturale di incontro di merci e persone in collegamento tra il Nord ed il Sud e tra l’Est e l’Ovest d’Europa. Ciò comporta per la Regione Puglia la necessità di partecipare in modo sempre più attivo ai programmi e alle iniziative che riguardano l’area mediterranea sia per quanto 115 riguarda l’ipotesi di un’estensione della frontiera dell’Unione alla Turchia, una volta completato il processo di preadesione, sia per quanto riguarda più in generale l’ipotesi di istituire entro il 2010 l’area di libero scambio eutromediterranea che porrebbero la regione in una posizione di nuova centralità. In questo contesto gli ambiti prioritari di cooperazione individuati dalla regione sono i seguenti: - le politiche di innovazione-infrastrutturazione immateriale connesse al rafforzamento di partnership produttive e territoriali; - le politiche di cooperazione territoriale e di partenariato locale, prestando particolare attenzione all’analisi dei vantaggi comparati delle filiere e delle localizzazioni produttive nelle diverse realtà economiche; - azioni più mirate ad un maggiore coordinamento e collegamento funzionale tra politiche di sostegno all’internazionalizzazione e le politiche di cooperazione territoriale. La Regione deve dunque sviluppare una programmazione strategica di tutte le fonti finanziarie, ordinarie e straordinarie, regionali, nazionali e comunitarie, dirette al sostegno delle politiche di sviluppo regionale, di rafforzamento della struttura economica locale e di potenziamento dei fattori competitivi territoriali. Tale programmazione si esplica nell’ambito della politica di coesione economica e sociale dell’UE che per il periodo di programmazione 2007-2013 limita le priorità, rispetto al periodo di programmazione 2000-2006, istituendo tre Obiettivi: 116 • l’Obiettivo Convergenza, che tende a migliorare le condizioni per la crescita e l'occupazione nelle regioni in ritardo di sviluppo. Esso si concentra in particolare sull’innovazione e la società della conoscenza, l'adattabilità ai cambiamenti economici e sociali, la tutela e il miglioramento della qualità dell'ambiente e l'efficienza amministrativa. Questo obiettivo è finanziato dal FESR, dal FSE e dal Fondo di Coesione. La Regione Puglia è territorio ammissibile a questo obiettivo (in quanto il suo PIL pro-capite è inferiore al 75% della media UE); • l’Obiettivo Competitività regionale e occupazione, che riguarda le zone UE che non rientrano nel precedente obiettivo. Esso mira a rafforzare la competitività e l'occupazione, anticipando i cambiamenti economici e sociali. Questo obiettivo è finanziato dal FESR e dal FSE; • l’Obiettivo Cooperazione territoriale europea, che è inteso a rafforzare la cooperazione transfrontaliera mediante iniziative congiunte, locali e regionali, a rafforzare la cooperazione transnazionale mediante azioni volte allo sviluppo territoriale integrato connesse alle priorità comunitarie ed a rafforzare la cooperazione interregionale e lo scambio di esperienze a livello territoriale. Interviene in modo complementare agli altri due obiettivi, poichè le regioni ammissibili a questo obiettivo possono altresì utilizzare fondi relativi agli Obiettivi Convergenza o Competitività regionale ed occupazione. La cooperazione territoriale è finan- ziata dal FESR, fatta eccezione per i Paesi esterni all’UE, per i quali sono stati istituiti due nuovi strumenti: il Programma Europeo di vicinato e partenariato (ENPI) e il Programma di pre-adesione (IPA). Dopo l’esperienza dell’iniziativa comunitaria Interreg che, in forma sperimentale, ha stimolato lo scambio di esperienze tra regioni di diversi paesi dell’UE, la cooperazione territoriale è diventata uno strumento effettivo della politica regionale ed appare come obiettivo esplicito della politica di coesione. La Commissione Europea ha previsto tre modalità di cooperazione territoriale: • la cooperazione transfrontaliera, il cui obiettivo è quello di integrare zone separate da confini nazionali, con problemi comuni, e per cui proporre soluzioni comuni; • la cooperazione transnazionale, che ha lo scopo di promuovere la cooperazione tra gli Stati Membri su questioni di importanza strategica; • la cooperazione interregionale, la quale punta a rafforzare ed innovare i sistemi regionali. La Puglia, come noto, è beneficiaria degli strumenti ed interventi previsti dagli Obiettivo 1 e 3 e figura quale unica regione italiana ad essere territorio eleggibile sia nell’ambito della Cooperazione Territoriale con l’area balcanica, sia con l’area mediterranea. I principali Programmi di Cooperazione Territoriale Europea di interesse per la Regione Puglia sono: Programmi operativi dell’ Obiettivo 3: - Programma transfrontaliero tra Italia-Grecia; - Programmi transnazionali Europa Sud-Est (abbraccia i territori UE dell’Europa dell’Est e dei Balcani, inclusa la sponda adriatica italiana); - Programma Transnazionale Mediterraneo (si tratta di tutti i territori frontalieri dei Paesi membri che si affacciano sul bacino del Mediterraneo); - Programma interregionale comunitario (interessa tutti i territori dei Paesi membri - UE, in un unico programma operativo europeo). Programmi operativi nello Spazio di vicinato - Programma Multilaterale Transadriatico di pre-adesione, tra la sponda adriatica dei Paesi membri UE e i territori dei Paesi extra-UE potenziali o di futura adesione all’Unione (CBC IPA); 117 - Programma Multilaterale Mediterraneo di prossimità, tra i territori frontalieri dei Paesi membri UE e i territori costieri dei Paesi extraUE del Mediterraneo (CBC ENPI). Nell’ambito del Programma di Cooperazione Transfrontaliera ENPI Mediterraneo, la Regione Puglia, in accordo con le altre Regioni ed i competenti Ministeri nazionali, ha assunto la funzione di presidenza del Comitato Nazionale, una funzione di coordinamento delle Regioni finalizzata a rafforzare coordinare la partecipazione dell’Italia al Programma. Inoltre, nell’ambito del Programma di Cooperazione Transfrontaliera IPA Adriatico, si è voluta riconoscere la valenza strategica della pregressa cooperazione Puglia – Albania quale asse portante delle relazioni dell’area adriatica; pertanto, i Paesi partecipanti hanno ufficialmente sostenuto l’avvio del Progetto Strategico Italia-Albania, attribuendo alla Regione Puglia la titolarità dell’intervento. Tra i vari strumenti di cooperazione territoriale, la Commissione Europea ha istituito il GECT- Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale. Il GECT è un nuovo soggetto con personalità giuridica europea, che consente ad autorità territoriali, appartenenti a Stati diversi, di istituire gruppi di cooperazione territoriale. II.3 Le Linee direttrici 2008-2010 del Ministero del Commercio Internazionale Le Linee Direttrici 2008-2010 si caratterizzano per il passaggio ad una programmazione triennale, al fine di accrescere la continuità e l’intensità dell’approccio di sistema soprattutto riguardo a mercati complessi come quelli delle economie emergenti. Le linee definiscono quattro livelli di strategia: - geografica - settoriale - di sistema - operativa La strategia geografica del prossimo triennio dovrà essere costruita in coerenza con i seguenti orientamenti: a) mantenere l’azione promozionale ai livelli attuali nei confronti dei cosiddetti “mercati maturi”, rappresentati dall’Europa, Stati Uniti, Canada e Giappone. b) incrementare le iniziative verso i Paesi dell’area danubianobalcanica, quelli dell’Europa Orientale, l’Africa Mediterranea, ovvero dell’ area “di vicinato” a livello europeo: particolarmente accessibile alle PMI italiane e che fruisce del supporto di numerosi programmi UE. In questo quadro, una particolare attenzione dovrà essere prestata alla Turchia, già oggi meta privilegiata di molte piccole e medie imprese e di importanti investimenti industriali; c) considerare quali aree geografiche prioritarie per il prossimo triennio i cosiddetti Paesi BRIC (Brasile, India, Russia e Cina); 118 d) sviluppare azioni verso nuovi Paesi o aree geografiche (Focus). I Paesi Focus proposti per il 2008 sono il SudAfrica ed i Paesi produttori di energia nell’area Caucaso/Asia Centrale (in particolare: Azerbajian, Kazakhistan). Per gli anni successivi le linee guida prevedono l’identificazione dei Paesi Focus a partire da un gruppo ristretto costituito da Paesi del Golfo, Messico, Vietnam; Malesia/Indonesia. La strategia settoriale delineata prevede di concentrare il 70% le risorse per la promozione dei seguenti macro settori, focalizzando lo sforzo promozionale, all’interno di questi, su gruppi di settori più specifici, che rappresentano i comparti più maturi dell’export e che nello stesso tempo sono quelli che maggiormente contribuiscono a formarlo: • Automazione meccanica (Macchinari Vari, Meccanica e Alta Tecnologia) • Agro-alimentare • Abbigliamento-moda • Arredamento-casa Inoltre, le attività promozionali dovranno essere indirizzate (destinando il restante 30% delle risorse) ai seguenti settori focus, che presentano notevole potenzialità di espansione sui mercati internazionali: • Chimica (cosmetica) e Specialità farmaceutiche • Diagnostica e biomedicale • Audiovisivo e cinema • Nautica • Impiantistica • Infrastrutture e logistica La strategia settoriale deve favorire aggregazioni di filiera o di distretto per superare uno dei vincoli più rilevanti per il sistema produttivo italiano, cioè quello dimensionale. Le iniziative promozionali che prevedano azioni intersettoriali o multidistrettuali, sono quindi da considerarsi prioritarie. Nell’ambito della Strategia di Sistema viene ribadita la necessità per un paese come l’Italia di “fare sistema” mediante: - la concentrazione delle risorse finanziarie; - maggiori sinergie ed integrazione tra le iniziative dei molteplici interlocutori responsabili dell’internazionalizzazione delle imprese italiane; - maggior utilizzo degli strumenti esistenti – incluso il Tavolo Strategico fra Ministero e Regioni di recente creazione e gli Accordi di Programma rinnovati – per migliorare la cooperazione e il coordinamento delle iniziative promozionali; - maggior coinvolgimento dell’ICE e di tutti gli enti che a livello decentrato operano per l’internazionalizzazione; - individuazione di nuove e più efficaci modalità di lavoro e di dialogo strutturato tra l’ICE e gli altri enti preposti a favorire 119 l’internazionalizzazione delle imprese italiane (SACE, SIMEST, BuonItalia). Con riferimento alle Missioni di sistema dell’ICE, è richiesto che nel prossimo triennio queste prevedano un maggiore coinvolgimento delle Regioni, affinché si determini un modello efficace ed inclusivo di rappresentanza degli interessi del sistema Paese. Infine, si ribadisce l’importanza di rafforzare collaborazione tra pubblico e privato confermando quale elemento essenziale ad una efficace attività di promozione la cooperazione sia con Confindustria e il sistema bancarioassicurativo, sia con le rappresentanze degli altri interessi del mondo imprenditoriale (artigiani, cooperative, sistema camerale) che sviluppano una sempre più intensa attività internazionale. Infine, nell’ambito della strategia operativa, le Linee evidenziano che l’azione di sostegno all’internazionalizzazione delle imprese è tesa ad agevolare in maniera particolare l’accesso e la presenza delle piccole e medie imprese italiane sui mercati mondiali. La strategia operativa includerà una molteplicità di strumenti ed assets già disponibili o da costruire/rafforzare: • Accordi di settore: occorre rivederne la funzione e l’efficacia; • Accordi di programma: garantire maggiore coerenza, un ciclo di programmazione definito e procedure più snelle, nell’ambito del coordinamento con le Regioni; • Promozione delle aggregazioni di imprese e dei distretti • Partecipazione privata: attrarre maggiore compartecipazione privata alle iniziative pubbliche, soprattutto per le attività più tradizionali e i mercati maturi; • Azioni di network con università e istituzioni scientifiche • Rafforzamento del rapporto con gli investitori finanziari a sostegno della internazionalizzazione, quale metodo per l’individuazione dei mercati o dei settori emergenti; • Rilancio dell’iniziativa di creazione di una Rete informativa unica al servizio delle imprese e dell’internazionalizzazione, • Monitoraggio ex-post delle iniziative promozionali e valutazione dei programmi e delle iniziative. 120 II.4 Il Piano Regionale per l’Internazionalizzazione della Regione Puglia 2006-2013 (PRINT) Il PRINT che, come anticipato nei paragrafi che precedono, rappresenta il Documento unico di Programmazione delle politiche di internazionalizzazione a livello regionale e rappresenta lo strumento che permette alla Regione Puglia di: - razionalizzazione gli interventi (identificare, monitorare e valutare le iniziative di internazionalizzazione rilevanti per il territorio regionale); - promuovere l’azione sinergica delle attività di internazionalizzazione finanziate con risorse regionali, nazionali e comunitarie, favorendo l’integrazione delle risorse e strumenti finanziari e garantendo il coordinamento delle azioni; - adeguare l’organizzazione regionale al nuovo ruolo istituzionale che essa intende svolgere in termini di promozione dei processi di collaborazione ed integrazione internazionale. In sostanza, l’obiettivo specifico del PRINT Puglia è quello di definire le strategie e le azioni di governo in tema di internazionalizzazione, ponendo al centro del processo il “territorio” ed i sistemi locali di sviluppo, evitando che l’Amministrazione regionale agisca in futuro in modo poco “strutturato” con il resto della sua azione amministrativa programmata (il PRINT porta a ricomporre lo iato tra “ciclo dei progetti” e “ciclo dei fondi”). Esso, inoltre indica le priorità di breve, medio e lungo periodo, per l’attività di relazioni istituzionali all’estero e funge da indirizzo per le iniziative del territorio, pubbliche e private, caratterizzate dal moltiplicarsi di attori pubblici diversi (anche non specializzati) e da risultati modesti. Il Piano è stato elaborato dalla Cabina di regia regionale per l’internazionalizzazione attraverso un processo che ha visto la redazione preliminare di un documento di indirizzo strategico e una successiva fase di concertazione tra la Regione, gli enti locali e il partenariato economico e sociale propedeutica alla stesura della versione finale. Si rileva che l’Amministrazione regionale non ha ancora provveduto ad individuare con specificità la dimensione finanziaria del piano, gli indicatori di risultato ed impatto delle azioni pubbliche da intraprendere, il processo di gestione, monitoraggio e controllo del Piano, e che tali adempimenti costituiscono certamente oggetto di impegno attuale della Regione, in concomitanza ed unitamente al processo di programmazione dei fondi, ordinari e straordinari, per lo sviluppo regionale e l’azione amministrativa della Regione nel periodo 2007-2013. Priorità e linee di intervento per l’internazionalizzazione della Regione Puglia A partire dall’analisi dei risultati di diversi studi sull’effettivo potenziale di sviluppo dell’apertura internazionale del territorio pugliese, il Piano propone una prima identificazione degli obiettivi ed indirizzi politici da perseguire negli interventi a sostegno dei processi di internazionalizzazione dei sistemi territoriali (produttivi, culturali e sociali locali), da collocare su più livelli 121 (locale, nazionale, comunitario ed internazionale) e con il coinvolgimento di più soggetti (pubblici, privati, associativi, interistituzionali). Le indagini e le analisi valutative condotte dalla Regione a tal fine evidenziano quanto segue. L’attuale scenario di riferimento internazionale in cui si inserisce l’azione programmatica dell’Amministrazione regionale porta alla luce, per i sistemi locali, numerose sfide e opportunità, al cospetto dei relativi vantaggi e svantaggi competitivi del “Sistema Puglia”. In particolar modo, si delinea: - un contesto di relazioni geopolitiche ed economiche a livello globale in forte evoluzione, - la difficoltà crescente nella capacità di tenuta delle quote di mercato dell’Italia determinata dall’inserimento di paesi emergenti nelle principali “catene” delle produzioni “Made in Italy”, - le conseguenti rilevanti ricadute sui sistemi economici locali, incluso quello pugliese, che determinano fabbisogni di innovazione e di riposizionamento strategico-competitivo dell’attuale sistema territoriale pugliese. - alcune carenze intrinseche delle strutture del sistema territoriale regionale, specie in relazione ai modelli economici ed imprenditoriali più diffusi, costituiscono fattori di ostacolo all’apertura verso maggiori relazioni esterne. Obiettivo principale dell’azione internazionale della Regione è quello di implementare, consolidare e sviluppare processi di apertura internazionale dei sistemi produttivi e territoriali locali, attivando tutte le opportunità finanziarie (regionali, nazionali, comunitarie ed internazionali) e gli strumenti programmatici possibili. Tale obiettivo si esplica su due vettori di sviluppo: - la proiezione dell’immagine della regione sui principali mercati mondiali ed il consolidamento della relativa posizione internazionale attraverso la valorizzazione delle eccellenze territoriali, settoriali e culturali ed il rafforzamento della partecipazione ai processi di partenariato, soprattutto nella prospettiva del ruolo centrale dell’Italia e, della Puglia, nella realizzazione e partecipazione al mercato di libero scambio nel Mediterraneo, previsto per il 2010 in funzione degli obiettivi del Processo di Barcellona; - il rafforzamento della capacità proattiva degli attori regionali nei vari settori economici, culturali ed istituzionali in relazione alla partecipazione sia ai processi di internazionalizzazione, guardando ai Paesi esterni all’Europa, con particolare attenzione ai mercati emergenti, sia ai vantaggi del mercato interno europeo, per via di un maggiore e migliore accesso alle conoscenze, alle competenze ed agli strumenti finanziari necessari. In questo contesto ed in coerenza con quanto emerge dai lavori sulla definizione del quadro strategico nazionale 2007-2013 e degli orientamenti della futura strategia regionale di sviluppo, convergenza ed integrazione territoriale, il PRINT definisce le seguenti priorità strategiche: 122 1. Sviluppare un’adeguata apertura internazionale e capacità di attrazione degli investimenti e risorse dall’estero; 2. Rafforzare la competitività internazionale del “Sistema Puglia”; 3. Accelerare il miglioramento e la valorizzazione delle risorse umane, attraverso la diffusione della conoscenza e della cultura dell’internazionalizzazione. Il perseguimento di tali priorità deve essere sviluppato attraverso la dialettica fra apparati amministrativi chiamati a sostenere lo sforzo attuativo richiesto nella fase di realizzazione degli interventi e mediante continue e permanenti coalizioni – per la progettazione e l’attuazione di interventi integrati di sviluppo del loro territorio - di enti, soggetti, organismi tecnici ed agenzie territoriali. Questo approccio dovrà portare a sistematizzare le iniziative di internazionalizzazione già attivate e attivabili dalle strutture regionali, all’interno dello schema programmatico specifico, qual è appunto il Piano Regionale per l’Internazionalizzazione, Gli obiettivi generali della politica di internazionalizzazione definiti dal PRINT sono: 1. ammodernamento delle strategie di breve, medio e lungo periodo, di approccio ai mercati esteri, con una più efficace capacità di valutazione dell’Amministrazione; 2. promozione di sistemi di relazione internazionale stabili tra le imprese e tra queste e i vari Enti preposti all’ambiente, alla ricerca e ai servizi collettivi; 3. valorizzazione, nell’ambito del partenariato internazionale, del sistema territoriale per lo sviluppo locale; 4. supporto, in termini qualitativi, alle iniziative internazionali intraprese tanto dal sistema dell’istruzione scolastica ed universitaria, quanto dal sistema della formazione professionale. Rispetto ai citati obiettivi generali, l’azione internazionale della Regione Puglia deve essere accompagnata dal preordinato e/o contestuale rafforzamento della sue capacità amministrativa sui temi interessati dal processo di internazionalizzazione territoriale. Sulla scorta quindi delle priorità strategiche e degli obiettivi generali individuati , nonché delle considerazioni svolte il PRINT definisce quattro Direttrici strategiche, ciascuna di esse articolata al suo interno in obiettivi, linee di intervento ed ipotesi di azioni di seguito descritte: 1 Internazionalizzazione dei Sistemi Produttivi Locali 2 Sviluppo internazionale degli asset materiali ed immateriali del territorio 3 Valorizzazione degli “asset” sociali nei percorsi di internazionalizzazione 4 Formazione per l’internazionalizzazione 123 Nel seguito si riportano i contenuti delle 4 Direttrici. La descrizione di dettaglio delle linee di intervento sarà limitata alle Direttrici 1 e 2. Direttrice strategica: l’internazionalizzazione dei sistemi produttivi locali Lo sviluppo economico regionale dipende in misura crescente dal modello di interazione tra sviluppo locale e mercato globale che viene a crearsi sul territorio e dalla relativa capacità dei diversi attori coinvolti, a tutti i livelli del sistema imprenditoriale ed istituzionale, di inserirsi attivamente nei processi di internazionalizzazione e di presidiare le opportunità di integrazione e collaborazione presenti sui mercati esteri. Nello specifico, le politiche regionali di promozione e di sviluppo dei processi di internazionalizzazione del sistema economico locale, coerentemente con i principi di base delle politiche di intervento dell’attuale governo regionale e con gli orientamenti del DSR, si fondano prioritariamente sulla necessità di rafforzare la competitività internazionale del “sistema Puglia”, specie attraverso il rafforzamento dei relativi fattori di attrattività. In particolare, tali politiche devono inserirsi in una politica più generale di sostegno alla competitività del “Sistema Puglia” che possa indirizzare ed agevolare l’evoluzione verso nuovi e più efficaci modelli di sviluppo e settori o mercati di specializzazione più dinamici, privilegiando l’eccellenza, l’innovazione tecnologica, il rafforzamento del capitale umano e l’adeguamento delle infrastrutture economiche, materiali ed immateriali. Tenendo in debito conto le barriere allo sviluppo, sia interne che esterne alle imprese, le politiche regionali da attuarsi a sostegno della competitività internazionale delle imprese pugliesi si basano sui seguenti principi: - inquadrare la politica di promozione dell’internazionalizzazione in una logica più ampia ed integrata delle strategie di sviluppo e di competitività locale; - assicurare l’integrazione tra gli interventi regionali a sostegno della promozione dell’internazionalizzazione e quelli finalizzati al potenziamento delle infrastrutture economiche, con particolare riferimento alle reti di collegamento internazionale (comunicazioni, trasporti, strutture logistiche, ecc.); - favorire programmi di sviluppo internazionale dei sistemi produttivi locali, intesi a consolidare la posizione internazionale delle imprese già attive sui mercati esteri e, soprattutto, ad avvicinare imprese con buone potenzialità di sviluppo alle opportunità di crescita offerte dall’inserimento nei processi di internazionalizzazione attraverso l’acquisizione di esperienza e knowhow, il potenziamento delle proprie strutture interne dedicate a tali funzioni (creazione di ufficio estero con l’assunzione di personale qualificato) oppure la creazione di strutture di servizi comuni funzionali (consorzi, centri servizi specializzati); - sostenere programmi di innovazione aziendale che possano effettivamente rafforzare la capacità delle imprese locali di rinnovare il proprio sistema di offerta ed acquisire vantaggi competitivi nel mercato globale (accesso a 124 brevetti, collaborazione con il sistema universitario e centri di ricerca, partecipazione a progetti di ricerca e sviluppo in ambito internazionale); - rafforzare la presenza degli operatori locali nei settori più innovativi e della ricerca, specie a livello internazionale, attraverso una maggiore partecipazione ai programmi comunitari ed internazionali di ricerca e sviluppo tecnologico per rafforzare il tema della ricerca scientifica, dell’innovazione tecnologica e del miglioramento della disponibilità delle energie alternative; - sostenere l’integrazione delle filiere produttive locali, anche su base transnazionale, e l’inserimento delle PMI pugliesi nei circuiti produttivi (“global supply chain”) e distributivi internazionali; - potenziare la funzione istituzionale di attrazione degli investimenti attraverso interventi mirati di marketing localizzativo intesi ad attrarre operatori economici che possano effettivamente contribuire a rafforzare il tessuto economico preesistente, specie tramite l’apporto di nuovo know-how e i tecnologia; - facilitare la diffusione e la creazione di strumenti finanziari innovativi (venture capital, project financing, valorizzazione delle rimesse degli immigrati, ecc.) che rafforzano o creano nuove posizioni più stabili all’estero per imprese e lavoratori; - rafforzare i rapporti con il sistema bancario locale, nazionale ed internazionale al fine di sostenere i piani di sviluppo internazionale delle imprese regionali, attraverso la creazione di condizioni più favorevoli di accesso al credito e a strumenti assicurativi. In questo contesto, le politiche di intervento regionale nel settore della promozione economica e del sostegno ai più ampi processi di internazionalizzazione assumono un rilievo sempre maggiore. Le azioni di sostegno diretto alle imprese al fine di accrescerne la competitività sui mercati regionali, si inseriscono in un quadro di intervento pubblico che risulta essere fortemente soggetto a restrizioni per via delle normative internazionali ed europee in materia di concorrenza. Pertanto, il PRINT evidenzia come il nuovo approccio nell’azione di sostegno regionale all’internazionalizzazione delle imprese che persegue una logica più ampia ed integrata delle strategie di sviluppo e di competitività locale, oltre ad essere strategicamente corretta, si configura anche quale scelta necessaria. Tale approccio implica delle scelte strategiche ed operative connesse prioritariamente a: - le strutture e funzioni di governance e organizzazione richieste per l’elaborazione ed il coordinamento delle politiche di intervento a monte, e quindi per la gestione ed il monitoraggio degli strumenti di intervento, a valle (SPRINT Puglia); - l’identificazione di specifici obiettivi in relazione ai Paesi e/o Settori destinatari degli interventi (Progetti Paese e Progetti Settore); - l’ampiezza della gamma di strumenti e dei programmi di intervento; - l’integrazione delle fonti e le modalità di finanziamento; 125 - le modalità di raccordo e coinvolgimento dei sistemi produttivi e territoriali; - le procedure di monitoraggio e verifica dei risultati. Direttrice Strategica: Sviluppo internazionale degli asset materiali ed immateriali del territorio La strategia del PRINT relativamente allo sviluppo internazionale degli asset territoriali non economici, mira specificamente alla valorizzazione su scala internazionale del territorio pugliese, e delle sue specificità in termini di asset fisici con particolare riferimento alle reti di collegamento internazionali ed al patrimonio culturale ed ambientale, materiale ed immateriale. Il Piano evidenzia come, in questo ambito, l’aspetto culturale giochi un ruolo chiave, non solo in quanto veicolo di conoscenza nello spazio globale, ma anche come strumento di sviluppo socio-economico, generatore di vantaggi comparati su scala internazionale, specie in relazione all’identità ed alle caratteristiche distintive del territorio non facilmente replicabili all’esterno. Solo attraverso un processo integrato ed avanzato di internazionalizzazione è, tuttavia, possibile trasformare tali potenzialità in concreti vantaggi competitivi sul mercato internazionale. Per far ciò occorre quindi la predisposizione di strategie ed azioni finalizzate alla valorizzazione, ancora una volta in un’ottica integrata, delle risorse del territorio, che dovrà avvenire in stretto collegamento con gli altri programmi regionali. L’obiettivo generale della Direttrice è la valorizzazione in chiave internazionale del territorio pugliese, con le sue specificità fisiche ed immateriali, in termini di reti di collegamento infrastrutturali e di patrimonio culturale ed ambientale, materiale ed immateriale, favorendo il suo sviluppo “sostenibile”, al fine di realizzare percorsi innovativi di internazionalizzazione, centrati sulle specificità degli asset regionali, e capaci di generare vantaggi comparati basati su attività economiche “intrinsecamente sostenibili” e non altrove facilmente riproducibili. L’idea di fondo è che sempre di più in futuro la promozione dell’internazionalizzazione non privilegi esclusivamente le dinamiche legate alle “catene del valore” economico-produttive, ma l’insieme delle relazioni economiche e sociali che caratterizzano un determinato territorio/comunità, a loro volta funzione diretta del proprio patrimonio culturale ed ambientale. A tal fine, la Priorità in esame, mira a promuovere azioni capaci di realizzare: • un’effettiva valorizzazione delle risorse esistenti, • un’integrazione reale di tali risorse all’interno del tessuto territoriale locale (fisico, sociale ed economico) • ed una rete “diffusa” di immateriali, con l’estero. 126 relazioni e collegamenti, materiali ed Poiché ambiente e turismo, in quest’ottica, rappresentano due elementi chiave di tale processo culturale verso l’esterno, con tale Direttrice si persegue inoltre l’obiettivo di fornire una visione complessiva degli interventi e programmi nei settori delle reti di collegamento, della cultura e dell’ambiente, aventi ricadute sul territorio regionale, al fine di migliorarne gli effetti in termini di efficacia ed efficienza, attraverso la messa a sistema delle diverse iniziative progettuali che rientrano nella sfera di interesse della Regione Puglia. La Direttrice si pone, infine, il compito di promuovere una coerenza complessiva fra le azioni regionali sul tema, costituendo un’azione strategica di riferimento e di indirizzo per tutti gli interventi promossi in materia nei principali programmi regionali. In quest’ottica, si allinea alle direttrici programmatiche della Giunta Regionale che associano l’opportunità di una forte politica di rilancio del turismo in Puglia ai fattori quali “la tutela dell’ambiente, un nuovo assetto del territorio, la valorizzazione del patrimonio culturale e l’integrazione nell’area del Mediterraneo”, enfatizzando il carattere di trasversalità e di inter-connessione che contraddistingue gli aspetti “cultura, turismo ed ambiente”. Inoltre, i relativi gli interventi si potranno integrare con le politiche di intervento settoriali previste dal DSR e che troveranno attuazione nel PO FESR 2000- 2007 e per quel che concerne il settore agro-alimentare nel Piano di Sviluppo Rurale 2007-2013 finanziato dal Fondo FEASR, che mirano a valorizzare i fattori di attrattività del contesto regionale e qualificare i sistemi produttivi, culturali e turistici locali nella “dimensione globale” del mercato. Direttrice strategica: Valorizzazione degli “asset sociali” nei percorsi di internazionalizzazione Partendo dalla valutazione, stimolata e resa strategica dalla politica dell’UE per la crescita e la competitività, che vede il capitale sociale quale uno degli elementi centrali della competitività del sistema territoriale su scala internazionale, al pari del progresso tecnologico e del capitale fisico, il Piano valuta strategico adottare linee d’intervento innovative capaci, di: • favorire una diversa e migliore “cultura dell’internazionalizzazione”, attraverso l’individuazione di percorsi di integrazione sociale ed economica specifici; • adottare strategie specifiche di promozione delle reti di relazioni culturali sia all’interno, valorizzando la presenza e la partecipazione attiva delle diverse comunità di immigrati presenti sul territorio regionale, sia su scala internazionale, valorizzando il ruolo delle comunità dei pugliesi nel mondo che costituiscono un importante veicolo di trasmissione dei valori, saperi e relazioni del territorio regionale. Nel perseguimento degli obiettivi di apertura internazionale della Regione Puglia, un ruolo essenziale va attribuito al capitale sociale locale, anche in relazione alla relativa incidenza dei flussi migratori che interessano la Puglia, che contribuisce a creare un terreno favorevole allo sviluppo di professionalità competenti, culturalmente vivaci e capaci di adattarsi ad una società in rapida evoluzione. Tale finalità risulta importante anche 127 nell’ottica di una progressiva integrazione culturale e sociale, a beneficio dell’arricchimento del capitale umano. Il percorso di crescita ed integrazione del capitale sociale non si genera spontaneamente, ma va accompagnato da una “strategia di sistema” a livello istituzionale, per cui l’obiettivo strategico di questa linea si riconduce alla necessità di valorizzare i processi di immigrazione e di integrazione sociale ed economica in un ottica sociale di accoglienza e di crescita ed istaurare rapporti con i paesi di provenienza dei flussi migratori per attivare e valorizzare le potenzialità di contatto culturali, sociale ed economico con le realtà di provenienza, oltre a valorizzare la partecipazione attiva delle comunità di pugliesi nel mondo ai processi di promozione ed integrazione internazionale della Puglia sia in campo economico, sia in campo culturale. Direttrice strategica: Formazione per l’internazionalizzazione Un ulteriore elemento preso in considerazione dal Piano nella definizione delle politiche di sostegno ai percorsi di internazionalizzazione della Puglia è l’approccio “culturale” tipicamente adottato dal sistema imprenditoriale ed istituzionale in relazione alla gestione di opportunità di relazioni economiche con i mercati esteri. Dal lato delle imprese, specie di piccole e medie dimensioni, il grado di strategicità assegnato ad obiettivi di internazionalizzazione risulta spesso piuttosto limitato e correlato ad opportunità contingenti di esportazione. Questo tipo di approccio, di mera estensione delle vendite tradizionali, non ha un apporto determinante sulle direttrici di sviluppo dell’attività aziendale, motivo per cui i rapporti con l’estero vengono tendenzialmente subordinati all'operato del reparto commerciale che cura normalmente il mercato domestico senza prevedere investimenti in risorse aziendali utili per lo studio, la definizione e l’implementazione di progetti più ampi di integrazione con i mercati esteri che tengano conto non solo delle opportunità di export, bensì anche delle possibilità di collaborazione e di accesso a nuovi fattori di competitività (fonti di approvvigionamento, capitali, fattori produttivi, e così via). Inoltre, gli operatori tendono a sfruttare poco le numerose fonti e reti di informazioni in grado di fornire indicazioni e notizie, affidabili ed in tempo utile, sulle opportunità di collaborazione presenti sui mercati esteri, sui finanziamenti e strumenti di sostegno ai processi di internazionalizzazione e sulle procedure da attivarsi nell’approccio ai mercati esteri, aggravando il rischio di perdere delle occasioni di sviluppo e di integrazione nel contesto di mercato internazionale. D’altro canto, però, le imprese maggiormente propense ad attuare programmi più strutturati di internazionalizzazione, incontrano spesso delle forti difficoltà nell’accesso a competenze e professionalità adeguate alle esigenze di lavoro in un contesto di mercato internazionale. Sul versante istituzionale, l’esperienza maturata sinora dall’Amministrazione regionale in materia di promozione dell’internazionalizzazione si riconduce soprattutto alla gestione di risorse ed iniziative che, concordate con gli enti locali preposti e con i rappresentanti del sistema imprenditoriale locale, hanno tipicamente posto l’enfasi 128 sulla promozione territoriale, intesa ad intensificare gli scambi commerciali con l’estero. Considerando che il processo di decentramento amministrativo in atto, dà facoltà all’Amministrazione regionale di assumere un ruolo più proattivo, nel quadro della politica di cooperazione internazionale regionale, il Piano prevede che l’attuazione di politiche nuove di promozione dei processi di internazionalizzazione dei sistemi economici ed istituzionali locali sia accompagnata da azioni di diffusione di una nuova cultura dell’internazionalizzazione, sia all’interno del mondo delle imprese, sia all’interno dell’Amministrazione regionale, al fine di preparare adeguatamente il capitale umano locale alle opportunità ed alle sfide che si presentano, poste in essere dalla globalizzazione economica e sociale. A tal fine, appare necessario prevedere degli interventi di adeguamento del sistema di formazione e valorizzazione delle risorse umane locali, in funzione delle esigenze specifiche di sviluppo internazionale del tessuto imprenditoriale ed istituzionale regionale. Tali azioni potrebbero inoltre risultare importanti anche allo scopo di realizzare una progressiva riduzione dell’emigrazione di risorse umane locali qualificate e di creare opportunità occupazionali per figure high-skilled, un obiettivo particolarmente significativo, all’interno del territorio pugliese. In sintesi, l’obiettivo della Direttrice è quello di concepire l’internazionalizzazione territoriale, economica ed istituzionale come il risultato finale di un percorso più ampio di internazionalizzazione socioculturale della realtà locale che inizia fin dalla prima età scolare e che comprende tutti gli interventi che riguardano in senso lato la promozione di una “cultura dell’internazionalizzazione” e non solo la predisposizione di corsi di preparazione professionale specifica. LE LINEE DI INTERVENTO PREVISTE DAL PRINT Linee di intervento per l’internazionalizzazione dei sistemi produttivi locali Le line d’intervento previste dalla prima direttrice strategica del Piano sono 4: a) Sostegno ai percorsi di internazionalizzazione dei sistemi produttivi locali b) Attrazione degli investimenti c) Proiezione internazionale del “Sistema Puglia” d) Valorizzazione del sistema turistico pugliese all’interno dei circuiti nazionali ed internazionali a) Sostegno ai percorsi di internazionalizzazione dei sistemi produttivi locali Tale linea di intervento mira a superare l’idea che il sostegno all’internazionalizzazione sia legato esclusivamente alla promozione dell’export o degli scambi commerciali di un settore e/o territorio per arri- 129 vare a soluzioni in grado di stimolare ed incentivare i sistemi produttivi e territoriali locali a partecipare attivamente e cogliere i benefici della globalizzazione. A tal fine le tipologie di azione previste sono: 1. La messa a punto del programma di promozione economica su base annuale, che identificherà le specifiche azioni e le iniziative promozionali da realizzarsi, specie nell’ambito dei Progetti Paese/settore, per la valorizzazione dei sistemi produttivi locali e delle relative opportunità di collaborazione nei principali mercati esteri di interesse. In tale ambito confluirà l’esperienza maturata nell’ambito dell’Accordo di Programma corrente tra Regione Puglia ed il Ministero del Commercio Internazionale (ex Ministero delle Attività Produttive) nel settore della promozione economica regionale, descritto nella sezione III del presente documento. 2. La diffusione di servizi informativi maggiormente specializzati e qualificati sulle dinamiche ed opportunità di sviluppo internazionale per le imprese locali, attraverso il potenziamento delle relative funzioni dello SPRINT Puglia e del portale internet della Regione Puglia, specie in collegamento con le reti nazionali ed internazionali. 3. L’attivazione di servizi “a sportello”, in grado di rispondere alle specifiche esigenze delle imprese regionali in termini di orientamento (verifica del potenziale di sviluppo internazionale attraverso check-up aziendali ed identificazione/segnalazione delle opportunità di sviluppo e di collaborazione nei mercati esteri più indicati) e di tutoraggio nell’attuazione dei rispettivi percorsi di internazionalizzazione. 4. La messa a punto di pacchetti di incentivi ed agevolazioni, in grado di sostenere l’acquisizione da parte delle imprese di competenze, know-how e servizi tecnici qualificati richiesti per l’implementazione di programmi di promozione internazionale e di internazionalizzazione, sia a livello di singole imprese, sia e soprattutto a livello di raggruppamenti e consorzi. 5. La messa a punto di strumenti in grado di facilitare l’accesso a mezzi e fonti di finanziamento per la realizzazione di progetti di collaborazione e di investimenti all’estero. 6. La messa a punto di pacchetti di incentivi ed agevolazioni, in grado di favorire l’inserimento delle imprese nei settori più innovativi a livello internazionale, soprattutto attraverso l’accesso a brevetti e knowhow, la partecipazione a progetti di ricerca e sviluppo in ambito internazionale e forme di collaborazione con il sistema universitario e centri di ricerca, anche a livello internazionale. b) Attrazione degli investimenti L’apertura agli investimenti esteri costituisce un’importante leva di sviluppo locale. La politica di intervento a favore dell’attrazione di investimenti percorrerà una logica selettiva, puntando ad individuare ed ad attrarre tipologie di investimenti, prioritariamente nei settori ritenuti “chiave” per lo sviluppo locale, in grado di garantire buone prospettive in termini di impatto occupazionale, specie dal punto di vista qualitativo, e di integrazione e collaborazione con i sistemi produttivi locali e con il sistema univer130 sitario e della R&ST, al fine di generare opportunità di scambio e di trasferimento di know-how e competenze specifiche all’interno sia dei nuovi insediamenti sia di quelli esistenti. In tale contesto, l’obiettivo primario della Regione Puglia diventa quello di accrescere la capacità di marketing territoriale, mediante la promozione, in stretto raccordo con gli enti locali e nazionali interessati, dei fattori di attrattività del sistema regionale sia territoriale, sia settoriale che di filiera, e quindi delle opportunità localizzative sui principali mercati internazionali. A tal fine le tipologie di intervento previste sono: 1. La messa a punto di un piano di marketing localizzativo regionale, inteso a valorizzare le specificità sia territoriali che settoriali e le relative opportunità di investimento, collaborazione e/o insediamento, tenendo conto delle linee di indirizzo per la promozione del “Sistema Puglia”, da attuarsi anche in collaborazione con gli enti locali e nazionali preposti. 2. La realizzazione di un programma di iniziative specifiche di promozione rivolte ai mercati esteri ritenuti prioritari ai fini dell’attrazione di investimenti diretti, tenendo conto delle sinergie da attivarsi nell’ambito dei Progetti Settore e dei Progetti Paese. 3. La messa a punto di strumenti e servizi informativi integrati per i potenziali investitori, finalizzati a fornire informazioni qualificate sul sistema territoriale ed imprenditoriale regionale, nonché sulle opportunità e modalità di investimento, oltre a fornire assistenza ai potenziali investitori. c) Proiezione internazionale del “Sistema Puglia” L’obiettivo prioritario quello di elevare l’immagine e la conoscenza della Puglia nei principali mercati internazionali al fine di rafforzare la relativa posizione internazionale, attraverso la proiezione di una chiara identità, basata sulla valorizzazione delle eccellenze in tutti i settori dell’economia, in stretto collegamento ai punti di forza dei sistemi culturali e territoriali. Tale obiettivo è attualmente declinato attraverso la realizzazione di una serie di programmi di intervento che tipicamente, su base annuale, finalizzano le risorse disponibili alla realizzazione di eventi ed iniziative promozionali a favore di settori specifici (comparti produttivi, turismo, sistema fieristico e così via) relativamente a diversi obiettivi “ad hoc”, anche dal punto di vista geografico. In questa nuova fase di programmazione, si presenta l’opportunità di superare la logica degli interventi distinti, e per lo più disgiunti, per passare alle azioni sistemiche, partendo da un’ampia condivisione degli obiettivi di sviluppo internazionale e dei Paesi e/o aree geografiche ritenuti prioritari per lo sviluppo dei processi di internazionalizzazione della Puglia. Per il raggiungimento di tale obiettivo, il Piano individua le seguenti tipologie di intervento: 131 1. L’istituzione dell’osservatorio regionale sui processi di internazionalizzazione, presso lo SPRINT Puglia, con il compito di monitorare le performance regionali rispetto alle varie dimensioni dell’apertura ed integrazione internazionale dei sistemi territoriali, produttivi ed istituzionali locali ed elaborare i relativi dati statistici al fine di fornire indicazioni utili per la definizione di strategie ed indirizzi per le innumerevoli attività regionali, inclusa lapromozione. 2. La predisposizione di un “Piano di comunicazione” che definisca le linee guida per la proiezione del “Sistema Puglia” all’estero, inteso come momento fondamentale di proiezione di un’identità chiara e di un’immagine coordinata delle diverse componenti regionali (sistemi produttivi, turistici, culturali, territoriali, fieristici, logistici, universitari e della ricerca). Tale piano dovrebbe quindi definire le azioni, gli strumenti e le modalità di intervento in relazione sia alla comunicazione integrata (“Sistema Puglia”), sia alla comunicazione inerente i singoli settori di intervento (sistemi produttivi locali, asset territoriali, sistema della formazione e ricerca, politiche migratorie) al fine di garantire la diffusione di un’immagine unitaria della Puglia nel mondo. 3. Il consolidamento degli strumenti di raccordo con il territorio, con particolare riferimento allo Sportello regionale per l’internazionalizzazione (SPRINT Puglia) che assume un ruolo primario, quale punto di contatto per gli enti ed imprenditori locali ai fini della diffusione di programmi e strumenti di intervento regionali e nazionali nel campo della promozione economica e di sostegno all’internazionalizzazione; 4. La definizione ed implementazione degli interventi nell’ambito dei “Progetti Paese”, basati sulla realizzazione di programmi regionali integrati, indirizzati verso quelle aree geografiche considerate prioritarie per le relazioni istituzionali, economiche e sociali della Puglia, e verso le quali le opportunità di collaborazione istituzionale ed economica risultano ampie, sebbene ancora sostanzialmente poco conosciute e/o sottosviluppate a livello regionale. 5. La definizione ed implementazione degli interventi nell’ambito dei “Progetti Settore” finalizzata alla valorizzazione in ambito internazionale di specifici settori economici e turistici, filiere e/o distretti produttivi regionali. Tale modello, in stretto raccordo con gli obiettivi dei Progetti Paese, si sviluppa attraverso una serie di azioni di sensibilizzazione degli operatori locali in relazione alle opportunità e modalità di integrazione con i mercati esteri individuati e quindi di predisposizione di strumenti ed interventi specifici di accompagnamento e di promozione a sostegno dei percorsi di integrazione internazionale prospettati. 6. L’attivazione di “Desk Apulia” nei principali Paese-obiettivo per lo sviluppo dei percorsi di internazionalizzazione e di consolidamento della posizione competitiva internazionale del “Sistema Puglia”. Tali desk svolgeranno tendenzialmente funzioni di rappresentanza e di promozione, in raccordo con le reti istituzionali italiane già rappresentate all’estero (ambasciate italiane, ICE, ENIT, Camere di Commercio all’estero, e così via) e soprattutto con i costituendi Sportelli unici per 132 l’internazionalizzazione, al fine di costituire un punto di contatto e di riferimento per gli operatori istituzionali ed economici regionali che intendono intraprendere e consolidare le proprie relazioni nei mercati esteri di riferimento. d) Valorizzazione del sistema turistico pugliese all’interno dei circuiti nazionali ed internazionali del turismo “sostenibile” Questa azione recepisce gli orientamenti aggiornati in materia di politica turistica regionale che pone al centro dell’attenzione la necessità di mettere a punto gli strumenti normativi ed attuativi idonei ad individuare ed attivare i Sistemi Turistici Locali (STL), considerati il perno della riorganizzazione e della riqualificazione dell’offerta turistica regionale in quanto strumento di identificazione ed aggregazione di ambiti territoriali omogenei ed integrati, vocati al turismo sostenibile e caratterizzati da elementi di specializzazione dell’offerta turistica. L’obiettivo dell’azione è quello di favorire lo sviluppo del turismo e la connessa crescita dei flussi di presenza e della durata della permanenza attraverso la trasmissione di valori e di esperienze strettamente legate all’identità dei luoghi, del patrimonio e delle relazioni locali. Coerentemente con le attuali politiche di sviluppo del turismo in Puglia, tale obiettivo si percorre attraverso l’individuazione e la promozione dei Sistemi Turistici Locali (STL), vocati ad un turismo sostenibile, in grado di valorizzare le forti potenzialità, in termini di sviluppo economico e sociale dell’intero comparto e di garantire visibilità alle destinazioni turistiche nella regione su scala nazionale ed internazionale. Per il raggiungimento di tali obiettivi, s’individuano le seguenti tipologie di intervento: 1. La predisposizione del piano di promozione turistica che, su base annuale, identifica le specifiche azioni e le iniziative promozionali da realizzarsi, anche in sinergia con i Progetti Paese e Progetti Settore, per la valorizzazione dei sistemi turistici locali e l’incremento dei flussi turistici rispetto ai mercati esteri di interesse. 2. La predisposizione di strumenti e modalità di intervento in grado di valorizzare e promuovere, con il coinvolgimento degli operatori locali, soluzioni e pacchetti di turismo sostenibile in Puglia, funzionali a rafforzare i processi di internazionalizzazione dei flussi turistici. 3. La predisposizione di strumenti ed interventi per incrementare il livello qualitativo dell’offerta turistica regionale, anche attraverso l’individuazione e la promozione di standard omogenei di servizio (“carta dei servizi turistici”). 4. La promozione e la messa a punto di strumenti ed interventi finalizzati ad accrescere il livello qualitativo delle risorse umane impiegate nel settore turistico, garantendo la presenza sul mercato del lavoro di figure professionali specializzate, attraverso percorsi formativi idonei e mirati. 133 5. La promozione e l’attivazione di partenariati sui temi della pianificazione e l’attuazione di interventi di recupero turistico-ambientale quale “attrattori” turistici. Le linee di intervento per l’internazionalizzazione del territorio Anche nell’ambito della presente Direttrice strategica sono state individuate 4 distinte linee di intervento: a) Potenziamento delle reti di collegamento internazionale b) Promozione di interventi strategici in campo culturale ed ambientale in linea con l’evoluzione del contesto culturale su scala internazionale c) Implementazione di azioni di cooperazione internazionale in materia ambientale d) Promozione della cultura pugliese all’estero a) Potenziamento delle reti di collegamento internazionale Nel settore dei collegamenti internazionali, la strategia regionale punta alla creazione di una rete dei trasporti integrata e funzionale per la mobilità e lo sviluppo dell’intermodalità, sia passeggeri sia merci, al fine di allestire lo “snodo territoriale ed infrastrutturale Puglia” in funzione anche della realizzazione e attivazione delle relazioni sul “Corridoio Adriatico-Baltico” per l’asse nord-sud, sul “Corridoio VIII” per l’asse est-ovest e dello sviluppo del traffico marittimo lungo le “autostrade del mare” , cosiddetto “Corridoio Meridiano”. Tale strategia è correlata agli obiettivi di promozione e di sostegno all’apertura internazionale dei sistemi produttivi regionali e viene declinata prioritariamente attraverso il Piano regionale dei Trasporti, al quale si rimanda per eventuali approfondimenti. b) Promozione di interventi strategici in campo culturale ed ambientale in linea con l’evoluzione del contesto culturale su scala internazionale L’azione si propone di promuovere l’innovazione dei processi culturali ed ambientali del territorio regionale attraverso forme nuove di valorizzazione al fine di: • valorizzare l’arte contemporanea e più in generale la cultura contemporanea come elementi costruttivi di un processo di sviluppo locale in evoluzione ed in grado di elaborare una autonoma chiave di lettura dei contesti internazionali; • promuovere la tutela e la valorizzazione delle risorse culturali, ambientali e turistiche presenti sul territorio in chiave internazionale, e favorire l’esternalità positive di tali risorse in termini di relazioni; • proporre percorsi innovativi di internazionalizzazione territoriale fondati su vantaggi comparati intrinsecamente sostenibili” e “non facilmente riproducibili” all’estero. 134 Gli interventi proposti sono: 1. La valorizzazione e promozione della cultura pugliese contemporanea. 2. L’attuazione di convenzioni con i Ministeri competenti (ad esempio, per la gestione e selezione dei progetti in ambito culturale). 3. La realizzazione di azioni di Sistema e di sviluppo di reti fra i processi di sviluppo locale, gli elementi di capitale sociale culturale e il patrimonio materiale (es. Distretti culturali, Percorsi turistici, Sistemi museali, Reti di cultura immateriale, etc.). c) Implementazione di azioni di cooperazione internazionale in materia ambientale L’azione si propone di potenziare il ruolo dell’ambiente come “attrattore” internazionale e valorizzare le partnership con l’estero per i programmi di gestione ambientale attraverso al realizzazione dei seguenti interventi: 1. Il rafforzamento del partenariato con l’estero in materia ambientale. 2. La partecipazione a progetti internazionali legati alla fornitura di servizi di progettazione, assistenza tecnica e formazione, in campo ambientale. 3. L’attuazione di interventi a favore del miglioramento dell’uso e della tutela delle risorse naturali al fine di acquisire nuove tecniche per la gestione e la soluzione di problematiche legate alla difesa della biodiversità, rinaturalizzazione delle aree degradate, tutela e valorizzazione del paesaggio naturale, tutela e gestione della risorsa idrica, difesa e monitoraggio idrogeologico del territorio, protezione civile. d) Promozione della cultura pugliese all’estero Questa azione propone di promuovere la cultura pugliese a livello internazionale in tutte le sue forme, tangibili ed intangibili, attraverso la valorizzazione dei vantaggi comparati specifici derivanti dalla dotazione relativa di capitale culturale. Ciò dovrà avvenire non solo attraverso la valorizzazione del patrimonio culturale, architettonico, archeologico, storico-artistico, paesaggistico e urbano, ma anche attraverso la valorizzazione ed il rafforzamento delle reti, materiali ed immateriali, a livello internazionale. La Puglia può vantare un territorio ricco di valori paesaggistici e monumentali dove isole, spiagge, casali, dimore storiche, si integrano con grande armonia attorno ad un territorio con connotazioni specifiche e le produzioni tipiche dell’agro-alimentare e dell’enogastronomia possono costituire elementi di grande attrazione per una clientela interessata alle tipicità del territorio, dai vini locali ai formaggi caratteristici. La valorizzazione internazionale di questo patrimonio può realizzarsi attraverso la promozione turistica, la cooperazione con enti stranieri, gli scambi e di trasferimenti di esperienze. Obiettivo dell’azione è quello di costruire azioni di comunicazione e promozione per proporre il territorio pugliese ai mercati, agli investitori, ai consumatori internazionali attraverso i seguenti interventi: 135 1. La predisposizione del “Piano di comunicazione” per la rappresentazione del territorio pugliese all’estero, in linea con gli indirizzi di comunicazione e promozione del “Sistema Puglia”. E’, infatti, evidente come la Puglia goda di scarsa visibilità e di una incompleta “proiezione all’estero”, con ricadute negative, oltre che da un punto di vista dell’attrazione economicoproduttiva, anche per quanto concerne il mercato dei viaggi e del tempo libero. 2. L’attuazione di apposite convenzioni con gli “Istituti di cultura italiana” all’estero, per la diffusione della cultura pugliese, in tutte le sue forme. Ciò permetterebbe di valorizzare al meglio le azioni di comunicazione a valenza regionale rendendole complementari con le attività culturali realizzate a livello istituzionale dal sistema paese nel mondo, tramite il coordinamento sinergico con le attività portate avanti dalle nostre rappresentanze diplomatiche. 3. La valorizzazione della componente “culturale” e di “identità territoriale” nell’ambito dei “Progetti Paese”, da attivarsi nei Paesi obiettivo considerati strategici per lo sviluppo delle opportunità di sviluppo e collaborazione per il “Sistema Puglia”. 4. La messa in rete delle risorse culturali, ambientali e turistiche regionali e la messa a sistema delle proprie esternalità economiche e relazionali attraverso la definizione di “distretti” culturali e turistici omogenei. Le linee di intervento per la valorizzazione degli “asset sociali” Le linee di intervento individuate dalla strategia sono 4: a) Potenziamento delle politiche migratorie regionali b) Valorizzazione dei legami sociali tra comunità estere c) Valorizzazione del ruolo dei pugliesi nel mondo d) Sviluppo di strumenti di formazione all’internazionalizzazione rivolti ad immigrati ed alle comunità di origine italiana residenti all’estero Per una descrizione di dettaglio si rimanda alla consultazione del PRINT, disponibile in versione elettronica sul portale regionale www. europuglia.it Le linee di intervento per la formazione per l’internazionalizzazione Le linee di intervento individuate dalla strategia sono 4: a) Promozione di percorsi di internazionalizzazione all’interno del sistema della formazione e della ricerca della Puglia b) Sostegno alla formazione all’internazionalizzazione all’interno dei sistemi economici locali c) Accrescimento degli strumenti di formazione all’internazionalizzazione a disposizione all’interno della Pubblica Amministrazione Per una descrizione di dettaglio si rimanda alla consultazione del PRINT, disponibile in versione elettronica sul portale regionale www. europuglia.it 136 Il ruolo dei territori e del partenariato locale e gli strumenti progettuali definiti per la costruzione degli interventi. Le politiche di internazionalizzazione che la Regione Puglia si appresta ad implementare riguardano due tipologie di intervento che sono tra loro complementari e che vanno ad integrare quelle autonome di sostegno diretto alle singole imprese: a) gli interventi sul territorio regionale nel quale, attraverso un articolata azione della Regione, l’insieme degli attori del territorio sviluppa relazioni internazionali ed istituzionali per promuovere il proprio sviluppo economico, sociale e culturale (in questo campo si collocano le azioni di formazione, le azioni di sistema verso le imprese, gli interscambi culturali, etc.); b) gli interventi sui territori esteri che richiedono l’identificazione in forma concertata da parte dell’insieme della collettività regionale dei territori partner e che implicano non solo accordi ed intese internazionali ma anche partnership esecutive a carattere settoriale ed intersettoriale (in questo campo si collocano i cosiddetti “Progetti Settore” ed i “Progetti Paese) Gli attori locali, sempre in una logica integrata e formulata per obiettivi, dovranno assicurare la partecipazione diretta in ogni fase – dalla progettazione alla realizzazione – delle imprese e delle loro associazioni, dei sistemi locali di sviluppo e dei distretti industriali, delle Camere di Commercio ma anche dell’insieme del sistema della formazione superiore e della ricerca, del sistema della cultura e dell’ambiente, del sistema bancario e della logistica, così come la vasta area della solidarietà sociale. In tal senso, l’azione strategica regionale verso i territori esteri va sempre di più assumendo un’articolazione strutturata definita “Progetto Paese”. Principale finalità del “Progetto Paese” è concentrare territorialmente ed integrare le varie fonti finanziarie attivabili (regionali, nazionali, comunitarie) su un obiettivo circoscritto e rilevante per le strategie di apertura e di partenariato internazionale della Regione. Il Progetto Paese assume così una connotazione di progettazione territoriale integrata di importanza transnazionale, capace di: • concentrare e integrare le risorse dedicate all’internazionalizzazione verso obiettivi specifici (settori o paesi) al fine di massimizzare l’impatto e verificare l’efficacia dell’azione nel medio periodo; • integrare le esperienze e i programmi dei diversi rami dell’Amministrazione regionale realizzati all’estero al fine di massimizzare l’impatto e l’immagine verso gli operatori regionali e internazionali (imprese, cultura, turismo, artigianato, cooperazione ecc.); • rendere effettivamente trasversale e servente la politica internazionalizzazione regionale rispetto alle politiche settoriali. di Tra i “Progetti Paese” che la Regione intende promuovere nel prossimo futuro, due assumono la rilevanza di progetti speciali (o di cooperazione bilaterale) nell’ambito dei programmi di cooperazione transfrontaliera esterna: uno tra l'Italia e l'Egitto (per la parte sud-Mediterraneo) e l’altro, tra l'Italia e l'Albania (per la parte est-Balcani). Sono inoltre in via di definizione altri “Progetti Paese” con territori degli Stati Uniti d’America, Brasile e Russia. 137 L’azione esterna della Regione deve puntare inoltre ad attivare, consolidare, rilanciare e rafforzare il dialogo e la cooperazione socio-economica con altri territori oltre che con quelli al centro dei “Progetti Paese”. Il riferimento è al resto dei territori dei Paesi dei Balcani occidentali (Serbia, Montenegro, Croazia, Macedonia, Bosnia-Erzegovina, e Grecia) per rafforzare la vocazione ad Est, ai territori costieri della Romania e dell'Ucraina per allacciare relazioni all’interno del bacino del Mar Nero, ed infine ai territori costieri della Turchia, della Libia, della Tunisia, dell’Algeria e del Marocco per quanto riguarda i rapporti con i Paesi del Sud Mediterraneo. Accanto ai “Progetti Paese”, la regione ha definito un altro strumento operativo di programmazione quello dei “Progetti Settore” che sostituirà lo strumento di programmazione delle azioni di cooperazione a carattere settoriale in aree geografiche/paesi d’interesse strategico, verso i quali non sono configurabili azioni di cooperazione multisettoriale nella logica del progetto paese. La relazione funzionale e strategica tra “Progetti Paese/Settore” ed iniziative di cooperazione territoriale transfrontaliere, transnazionale ed interregionale consentirà alla Puglia di svolgere quel ruolo di nodo di interconnessione nel Mediterraneo che si prefigge di ricoprire. II.5 Il Piano di cooperazione territoriale e di internazionalizzazione dell’economia della Provincia di Brindisi. La Camera di Commercio di Brindisi si è dotata di un Documento Strategico per il periodo di programmazione 2007-2013 denominato “Piano di Cooperazione Territoriale e di internazionalizzazione dell’economia brindisina”, nel quale, a seguito dell’ analisi dello scenario geopolitico e del contesto programmatico (comunitario, nazionale e regionale) si delinea, la possibilità di un utilizzo dei tre nuovi strumenti comunitari per le politiche di vicinato e di prossimità e di cooperazione esterna: l’IPA, strumento di assistenza preadesione, l’ENPI, strumento europeo di vicinato e partenariato e il DCI, strumento di cooperazione allo sviluppo. Tale indicazione, nel prendere atto di uno spostamento dell'asse dell'Unione Europea verso sud-est, con la conseguente perdita di centralità dell'Europa baltico-renana, definisce una visione innovativa del Mediterraneo e della Puglia in particolare, consentendo di concepire una vera rivoluzione nell'approccio al Meridione italiano, in cui quest'ultimo diventi a tutti gli effetti "il Nord del Sud", piuttosto che restare il Sud rispetto all'Italia settentrionale e ancor più rispetto alla vecchia Europa. In questo senso, nel Piano viene considerato il fatto che la sfida della competizione territoriale che a partire dal 2010 si giocherà nell'area euro mediterranea, spinge a rafforzare e connettere ampi partenariati transnazionali che possano adeguatamente sfruttare l'attivazione di un Corridoio Meridiano intermodale est-ovest, che esalti le funzioni di attivatore di nuove reti e di potenziatore di sistemi locali, contribuendo ad una più generale "ricentralizzazione" del Mediterraneo in un'ottica di riequilibrio competitivo del sistema integrato euro-mediterraneo. 138 In questo quadro, le attività di promozione internazionale del territorio brindisino dovranno basarsi su un’azione azione preliminare di sviluppo ed organizzazione di partenariati transnazionali così articolata: - un partenariato politico-istituzionale fortemente incentrato sul criterio di institutional building, per la creazione di uno spazio comune di relazioni stabili e durature nel tempo con le Autorità Locali di ognuno dei Paesi interessati; - un partenariato economico e commerciale da sviluppare tra le rispettive Camere di Commercio, Organizzazioni imprenditoriali e del lavoro, che sia fondato sui principi dell’investment support - un partenariato sociale, culturale e solidaristico attraverso il quale gli Enti Pubblici e le diverse ONG possano valorizzare e sviluppare le rispettive esperienze. Di conseguenza emerge dal Piano che l'interesse della Camera di Commercio di Brindisi risiede nell'instaurare relazioni stabili e formali con Camere di Commercio, Enti economici, Associazioni Imprenditoriali e Organizzazioni dei Lavoratori dei seguenti Paesi e per i seguenti Programmi: 1) Albania e Serbia Montenegro, potenziali partners per il Programma Multilaterale Trans-Adriatico - IPA 2) Turchia; Portogallo; Tunisia; Marocco; Algeria; Egitto, potenziali partners per il Programma Multilaterale di prossimità Mediterranea ENPI - CBC ; 3) Macedonia (Fyrom); Bulgaria; Romania. potenziali partners per il Programma Transnazionale Europa Sud-Est; ENPI -CBC 4) Ucraina; Russia; Argentina; Brasile; Emirati Arabi Riuniti, potenziali partners per il Programma DCI Development Cooperation Instrument Gli obiettivi di questa iniziativa Internazionale possono essere sintetizzati nei seguenti punti: - Portare a sistema una serie di iniziative e interventi di promozione concordati con l'Istituto per il Commercio Estero (ICE), Unioncamere, le Associazioni di categoria imprenditoriale e il sistema provinciale degli Enti Locali, tenendo conto anche delle linee di indirizzo per l'attività promozionale nazionale formulati dal Ministero del Commercio Internazionale, al fine di promuovere un approccio coordinato, coerente e focalizzato nella proiezione dell'economia provinciale sui mercati esteri; - Sostenere l'espansione del grado di apertura dell'economia locale verso i mercati internazionali in riferimento allo sviluppo della capacità dei sistemi produttivi locali di intraprendere sia rapporti di tipo commerciale, sia rapporti basati sulla collaborazione industriale, tecnologica e così via; - Rafforzare il sistema di offerta di strumenti informativi e servizi a sostegno dei processi di internazionalizzazione aziendale, oltre a facilitarne l'accesso; 139 - Intensificare la partecipazione delle istituzioni locali ai processi di partenariato e di cooperazione transfrontaliera e transnazionale; - Promuovere la diffusione di una cultura maggiormente orientata all'internazionalizzazione, sia all'interno delle istituzioni locali, sia presso gli attori dello sviluppo locale e gli operatori economici, attraverso la creazione di reti di collegamento, servizi e strumenti, basati anche sulle applicazioni dell'ICT, finalizzati ad accrescere le conoscenze e competenze specifiche a supporto dei processi di sviluppo internazionale. Il Piano, in linea con gli indirizzi strategici identificati, ma anche tenendo conto delle indicazioni del Ministero del Commercio Internazionale e dalla Regione Puglia, fissa inoltre i propri obiettivi per priorità geografica, ponendo in evidenza che il territorio brindisino è naturalmente orientato ad intensificare le relazioni con: a) I Paesi dei Balcani occidentali (tra i quali Grecia e Albania); b) i territori costieri della Bulgaria, della Romania, e dell’Ucraina per allacciare rapporti all’interno del bacino del Mar Nero; c) i territori costieri della Turchia, Egitto, Libia, Tunisia ed Algeria in relazione dai rapporti con i paesi del Sud Mediterraneo. Lo strumento di programmazione territoriale privilegiato, in linea con gli indirizzi Regionali, è il “Progetto Paese”. II. 6 Coerenza degli esiti delle analisi con le priorità e gli obiettivi strategici regionali L’individuazione di Albania e Grecia quali Paesi-obiettivo per la realizzazoione di azioni di cooperazione internazionale con il territorio del PIT, rispettivamente nei settori turistico ed agro-alimentare, formulata a seguito dell’analisi desk e dell’indagine territoriale realizzate dall’Università nell’ambito del Progetto, appare in linea con gli obiettivi strategici per l’internazionalizzazione dei territori che emergono dal contesto programmatico di scala europea, nazionale, regionale e, infine, provinciale. In particolare: - la coerenza strategica con le politiche comunitarie appare chiara in riferimento all’articolazione delle priorità geografiche nell’ambito dei programmi previsti dall’Obiettivo cooperazione territoriale europea; - a livello nazionale, le scelte operate appaiono in linea con le indicazioni contenute nelle Linee Direttrici ministeriali per l’attività di promozione 2008-2010 sia a livello di strategia geografica “incrementare le iniziative verso i Paesi dell’area danubiano-balcanica, quelli dell’Europa Orientale, l’Africa Mediterranea, ovvero dell’ area “di vicinato” a livello europeo…” che a livello di strategia settoriale che individua tra i macrosettori prioritari quello dell’agroalimentare; - con riferimento alla programmazione strategica regionale si ravvisa una perfetta coerenza con le priorità geografiche individuate nel DSR che sottolinea l’assoluta rilevanza della dimensione mediterranea e 140 balcanica della politica internazionale della Puglia, che si declina in particolare nella partecipazione della Regione al Programma transfontaliero Italia-Grecia e al Programma Multilaterale Transadriatico, nell’ambito del quale assume particolare rilevanza il nuovo Progetto Paese Italia-Albania. Inoltre, le azioni di cooperazione ipotizzate ben si integrano con le Direttrici strategiche 1 e 2 del PRINT Puglia. - Infine, il Piano di cooperazione territoriale e di internazionalizzazione dell’economia della Provincia di Brindisi, nel delineare gli obiettivi per priorità geografica, pone in evidenza che “il territorio brindisino è naturalmente orientato ad intensificare le relazioni con i Paesi dei Balcani occidentali (tra i quali Grecia e Albania)….”. 141 III GLI STRUMENTI DI SOSTEGNO ALL’INTERNAZIONALIZZAZIONE DEI TERRITORI E DELLE IMPRESE: PROGRAMMI COFINANZIATI DALL’UE, LEGGI E PROVVEDIMENTI NAZIONALI Questa sezione contiene delle schede informative sintetiche relative ai programmi di finanziamento inerenti le politiche di cooperazione internazionale di specifico interesse per la regione Puglia e agli strumenti di sostegno all’internazionalizzazione delle imprese di maggior rilevanza ai fini della realizzazione di azioni di internazionalizzazione strutturate e sistemiche, di seguito elencati. III.1 Strumenti di sostegno comunitari (Obiettivo Cooperazione Territoriale Europea) Programmi di Cooperazione transfrontaliera • Programma di Cooperazione transfrontaliera Grecia-Italia 2007-2013 • Programma di Cooperazione transfrontaliera IPA-Adriatico (Strumento di preadesione) • Programma di Cooperazione transfrontaliera CBC ENPI – Bacino del Mediterraneo (Strumento di vicinato e partenariato) Programmi di Cooperazione transnazionali • Programma di Cooperazione Transnazionale MED • Il Programma di Cooperazione Transnazionale – SEE (Europa Sud Orientale) Programmi Comunitari di Cooperazione interregionale • Programma INTERREG IVC • Programma URBACT II • Programma INTERACT • Programma ESPON (European Spatial Planning Observation Network) III.2 Strumenti di sostegno nazionali Programmi nazionali di cooperazione interregionale • Programma di sostegno alla cooperazione regionale – MAE/MISE Accordo di programma quadro Paesi del Mediterraneo Accordo di programma quadro Paesi dei Balcani • Strumenti nazionali di sostegno alla cooperazione internazionale Legge 84/2001 Strumenti di sostegno all’internazionalizzazione delle imprese • Strumenti di sostegno specificamente volti a l’internazionalizzazione delle imprese DM 136/2000 Legge 394/81 art. 2 Legge 304/90 art. 3 D.Lgs 143/98 D.Lgs 143/98 (integrato con il D.Lgs n. 170/99) 142 favorire • Sostegno alle attività promozionali di Enti, Istituti, Associazioni, Consorzi e Camere di Commercio Italiane all’estero e in Italia Legge 394/81 • Incentivi alla costituzione di società all’estero Legge 100/9o Legge 49/87 art. 7 • Finanziamento pubblico per studi di fattibilità all’estero Per insediamenti commerciali/produttivi all'estero di distretti, consorzi, raggruppamenti di imprese Le fonti informative sui programmi comunitari sono state tratte dal portale regionale www.europuglia.it, mentre le informazioni relative agli strumenti nazionali di supporto all’internazionalizzazione delle imprese sono tratte dal sito web del Ministero del Commercio Internazionale (http://www.mincomes.it/strumenti/indice.htm). 143 III.1 Strumenti di sostegno comunitari (Obiettivo Cooperazione Territoriale Europea) Programma di Cooperazione Transfrontaliera Grecia-Italia Tipologia di Programma di Cooperazione transfrontaliera programma Strumento di Fondo FESR finanziamento Sintesi scrittiva de- Il Programma rappresenta il nuovo strumento della Politica di Coesione 20072013 attraverso cui prosegue la cooperazione transfrontaliera tra la Puglia e le Regioni Epiro, Grecia occidentale e Isole Ioniche della Grecia. Obiettivi priorità e Obiettivo del Programma è quello di rafforzare la competitività e la coesione territoriale tra i territori coinvolti, attraverso uno sviluppo sostenibile e la valorizzazione delle potenzialità di entrambe le sponde della frontiera marittima. Paesi e terri- Per la Grecia: tori eleggibili • Grecia Occidentale: Prefetture di Etoloakarnania, Achaia; • Isole Ioniche: Prefetture di Corfu, Lefkada, Cephalonia, Zakynthos; Per l’Italia: • Regione dell’Epiro: Prefetture di Ioannina, Preveda, Thesprotia; • Regione Puglia: Province di Bari, Brindisi, Lecce Altri territori “adiacenti” e pertanto eleggibili entro i limiti del 20% delle risorse del Programma sono le Prefetture di Ilia e Arta le Province di Taranto e Foggia. Autorità gestione di Directorate General for Regional Policy Development Programming & Public Investments General Secretariat for Investments and Development Ministry of Economy and Finance, Greece 65 Georgikis Scholis Ave, PC 57001 – Thessaloniki, Greece Tel.: +30-2310 469600, Fax: +30-2310 469602, e-mail: [email protected] Principali do- Programma Operativo cumenti http://www.europuglia.it/portal/dmdocuments/PO_GRECIA_ITALIA_approvato.pdf Scheda sintetica Programma (Task force internazionalizzazione Regione Puglia) http://www.europuglia.it/portal/dmdocuments/schedasinteticagreciaitalia.pdf Siti web di riferimento http://www.interreg.puglia.it/grecia http://www.interreg.gr/en/ 144 Programma di Cooperazione Transfrontaliero CBC IPA-Adriatico Tipologia di programma Strumento mento di Programma di Cooperazione transfrontaliera finanzia- Strumento di Pre-adesione IPA (Instrument of Pre-Accession) Sintesi descrittiva Il rappresenta la prosecuzione del Programma Interreg IIIA Transfrontaliero Adriatico 2000-2006. All'interno del Programma CBC IPA Adriatico, è stata riconoscuta la valenza strategica della pregressa cooperazione Puglia – Albania quale asse portante delle relazioni dell’area adriatica; pertanto, i Paesi partecipanti hanno ufficialmente sostenuto l’avvio del Progetto Strategico Italia-Albania, attribuendo alla Regione Puglia la titolarità dell’intervento Obiettivi e priorità Il Programma è incentrato sullo sviluppo di tre priorità tematiche: • cooperazione economica, sociale e istituzionale; • sviluppo delle risorse naturali e culturali, e prevenzione dei rischi; • accessibilità e reti. Paesi e eleggibili territori Il programma interviene su: • 3 Stati Membri (Italia, Slovenia, Grecia), • 1 Stato candidato (Croazia), • 3 Stati potenziali candidati (Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Albania). E’ inoltre prevista la partecipazione della Serbia, ma solo per progetti congiunti di cooperazione istituzionale. Autorità di gestione Principali documenti Regione Direzione affari piazza santa giusta, palazzo email: [email protected] Centi Abruzzo internazionali – L’aquila Programma Operativo http://www.europuglia.it/portal/dmdocuments/200842126160.COMM_ NATIVE_C_2008_1073_F_EN_ANNEXE_1.pdf Scheda sintetica Programma (Task force internazionalizzazione Regione Puglia) http://www.europuglia.it/portal/dmdocuments/schedasinteticaipa.pdf Regolamento (CE) n.1085/2006 del 17 luglio 2006 che istituisce uno strumento di assistenza preadesione (IPA) Regolamento (CE) n. 718/2007 del 12 giugno 2007 che attua il regolamento (CE) n. 1085/2006 Decisione della Commissione 766/2007 che stabilisce l’elenco delle regioni e delle zone ammissibili a finanziamenti a titolo della componente cooperazione transfrontaliera dello strumento di assistenza preadesione ai fini della cooperazione transfrontaliera tra Stati membri e paesi beneficiari per il periodo 2007-2013 Siti web di riferimento http://www.interregadriatico.it 145 Programma di Cooperazione CBC ENPI - Bacino del Mediterraneo Tipologia gramma di pro- Programma di Cooperazione transfrontaliera Strumento di finan- Strumento di Vicinato e Partenariato ENPI (European Neighbourhood and ziamento Partnership Instrument) Sintesi descrittiva Il Programma è finalizzato a promuovere una cooperazione armoniosa e sostenibile nel Bacino del Mediterraneo, individuando soluzioni congiunte per sfide comuni, rafforzando il potenziale endogeno dei territori coinvolti e rendendo più sicuri i confini marittimi Mediterranei dell’Unione Europea. Obiettivi e priorità Il Programma CBC ENPI persegue le seguenti priorità: • • • • Promuovere lo sviluppo socio-economico e la crescita dei territori coinvolti; Promuovere la sostenibilità ambientale dello sviluppo; Promuovere migliori condizioni di vita ed individuare modalità di sviluppo che assicurino la mobilità di merci, persone e capitali. Promuovere il dialogo culturale e la governance locale Paesi e territori e- Le aree di cooperazione ammissibili nell’ambito del Programma CBC leggibili ENPI sono le seguenti: • Stati Membri: Cipro, Francia, Grecia, Italia, Malta, Portogallo, Spagna, UK (solo alcune aree costiere); • Paesi Terzi: Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Libia, Marocco, Autorità Palestinese, Siria, Tunisia (solo alcune aree costiere). Autorità di gestione Regione Autonoma della Sardegna Viale Trento, 69 09123 Cagliari - Italia Tel. +39 070 606 2482 – 2505 – 7504 Fax +39 070 606 2458 email: [email protected] Principali documen- Programma Operativo ti http://www.europuglia.it/portal/dmdocuments/poenpiinglese_201207.pdf (Inglese) http://www.europuglia.it/portal/dmdocuments/poenpifrancese_201207.pdf (Francese) Scheda sintetica Programma (Task force internazionalizzazione Regione Puglia) http://www.europuglia.it/portal/dmdocuments/schedasinteticaenpi.pdf Regolamento (CE) n.1638/2006 del 24 ottobre 2006 recante disposizioni generali che istituiscono uno strumento europeo di vicinato e partenariato Regolamento (CE) n.951/2007 del 9 agosto 2007 che stabilisce le misure di esecuzione dei programmi di cooperazione transfrontaliera finanziati nel quadro del regolamento (CE) n. 1638/2006 Regolamento (CE) n.951/2007 del 9 agosto 2007 che stabilisce le misure di esecuzione dei programmi di cooperazione transfrontaliera finanziati nel quadro del regolamento (CE) n. 1638/2006 Siti web di riferimento http://www.regione.sardegna.it/speciali/enpicbc/ Programma di Cooperazione Transnazionale MED Tipologia gramma di pro- Programma di Cooperazione transnazionale Strumento di finan- Fondo FESR ziamento 146 Sintesi descrittiva Il programma MED rappresenta l’evoluzione di precedenti Programmi di Iniziative Comunitarie (MEDOCC e ARCHIMED), allargando la partecipazione ad un maggior numero di regioni europee, ed finalizzato ad accrescere la competitività dei territori Mediterranei. Inoltre, esso mira a creare le condizioni per assicurare l’occupazione per le generazioni future, a promuovere la coesione territoriale ed a realizzare interventi di protezione ambientale Obiettivi e priorità Il Programma sviluppa quattro assi prioritari di intervento: • • • • Rafforzamento delle capacità di innovazione dei territori; Protezione dell’ambiente e promozione di uno sviluppo territoriale sostenibile; Miglioramento della mobilità e dell’accessibilità dei territori; Promozione di uno sviluppo policentrico ed integrato. Paesi e territori e- Sono infatti ammissibili al Programma: leggibili • alcune regioni del Portogallo (Algarve e Alentejo), • della Spagna (Andalusia, Aragona, Catalonia, • le Isole Baleari, Mursia, Valencia e due città Ceuta e Melilla); • della Francia (Corsica, Languedoc- Roussillon, Provenza-Alpi-Costa Azzurra e la Regione Rhone-Alpes), • dell’Italia ( Molise, Abruzzo, Puglia, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Umbria, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Toscana, Veneto) • ed infine l’intero territorio nazionale di Grecia, Malta, Slovenia, Cipro e Gibilterra. Hanno aderito anche due paesi non membri, la Croazia ed il Montenegro Autorità di gestione Direction Générale Adjointe des Relations Internationales et des Affaires Européennes Autorité Unique de Gestion MED Région Provence-Alpes-Côte d'Azur 27, Place Jules Guesde – 13481 MARSEILLE Cedex 20 Tel. 0033 04 88 10 76 14 - Fax :0033 04 91 57 55 05 email: [email protected] Principali documen- Programma Operativo ti http://www.europuglia.it/portal/dmdocuments/OP_MED_adopted_12_20_07_ ing.pdf (Inglese) http://www.europuglia.it/portal/dmdocuments/PO_MED_adopte_fr.pdf (Francese) Scheda sintetica Programma (Task force internazionalizzazione Regione Puglia) http://www.europuglia.it/portal/dmdocuments/schedasinteticamed.pdf Siti web di riferimento http://www.programmemed.eu 147 Il Programma di Cooperazione Transnazionale South East Europe - SEE Tipologia gramma di pro- Programma di Cooperazione transnazionale Fonte di mento finanzia- Fondo FESR Sintesi descrittiva Il Programma SEE rappresenta la prosecuzione del Programma INTERREG III B CADSESe mira a migliorare il processo di integrazione territoriale, economica e sociale delle aree coinvolte, contribuendo alla coesione, alla stabilità ed alla competitività dei Paesi coinvolti, implementando azioni congiunte su questioni di importanza strategica. L’area di programma è una delle più complesse e variegate aree di cooperazione transnazionale in Europa, comprendendo il più ampio territorio europeo di cooperazione, nonché il maggior numero di Paesi non Europei (tra candidati, potenziali candidati e Paesi Terzi). Obiettivi e priorità Obiettivi specifici del Programma sono: • Sostenere l’innovazione, l’imprenditorialità, l’economia della conoscenza e la società dell’informazione; • Migliorare il potenziale attrattivo delle regioni e delle città, secondo una logica di sviluppo sostenibile, di accessibilità fisica e della conoscenza, di qualità ambientale; • Supportare i processi di integrazione attraverso uno sviluppo equo delle capacità di cooperazione transnazionale a tutti i livelli. Gli obiettivi specifici si traducono nelle seguenti priorità di azione: • Supporto all’innovazione ed all’imprenditorialità; • Protezione e miglioramento dell’ambiente naturale; • Sviluppo dell’accessibilità; • Sviluppo di sinergie per una crescita sostenibile delle aree coinvolte. Paesi e territori e- Il Programma ricopre sedici Paesi: Croazia, Macedonia, Albania, Serbia, leggibili Montenegro, Bosnia Erzegovina, Moldova, Ucraina (Chernivetska Oblast, Ivano-Frankiviska Oblast, Zakarpatska Oblast, Odessa Oblast) Austria, Bulgaria, Romania, Grecia, Ungheria, Italia (Lombardia, Provincia Autonoma Bolzano/Bozen, Provincia Autonoma Trento, Veneto, Friuli-VeneziaGiulia, Emilia Romagna, Umbria, Marche, Abruzzo, Molise, Puglia Basilicata) Slovacchia, Slovenia. Autorità di gestione National Development Agency H – 1133 Budapest Pozsonyi út 56. Hungary Punto di contatto nazionale in Italia è Luca Rosselli - Regione Emilia Romagna - Direzione Generale, Programmazione territoriale e negoziata, Intese. - Relazioni Europee e internazionali Tel: +39 051 64 50 423 - Fax: +39 051 64 50 310 - Email: [email protected] Principali documen- Programma Operativo ti http://www.europuglia.it/portal/dmdocuments/see_programme_approved_fin al_version.pdf Scheda sintetica Programma (Task force internazionalizzazione Regione Puglia) http://www.europuglia.it/portal/dmdocuments/schedasinteticasee2.pdf Siti web di riferimento 148 http://www.southeast-europe.net Programma INTERREG IV C Tipologia gramma di pro- Programma Comunitario interregionale Fonte di mento finanzia- Fondo FESR Sintesi descrittiva Il Programma mira, attraverso il finanziamento di iniziative di cooperazione regionale, a migliorare l’efficacia delle politiche di sviluppo regionali europee ed a contribuire alla modernizzazione economica ed alla competitività dell’Unione Europea. Autorità pubbliche e stakeholder privati giocano un ruolo vitale a livello locale e regionale nell’implementazione delle strategie europee di crescita economica, di modernizzazione del mercato del lavoro e di sviluppo sostenibile. La condivisione, lo scambio ed il trasferimento di esperienze, di conoscenza e di buone pratiche dovranno, dunque, contribuire proprio al raggiungimento di tali obiettivi. Obiettivi e priorità Gli interventi previsti nell’ambito del Programma sono finalizzati a: • • • Sostenere gli attori locali e regionali europei a condividere le proprie esperienze e conoscenze; Far incontrare regioni con politiche deboli in taluni settori, con altre più avanzate negli stessi settori; Assicurare il trasferimento di buone pratiche nei programmi di mainstreaming dei Fondi Strutturali. Paesi e territori e- Tutti gli Stati Membri più Norvegia e Svizzera. leggibili Autorità di gestione Conseil Régional Nord - Pas de Calais Hôtel de Région 59555 Lille Cedex France Principali documen- Programma Operativo ti http://www.europuglia.it/portal/dmdocuments/2007_07_26_INTERREG_IVC_ OP_final.pdf Scheda sintetica Programma (Task force internazionalizzazione Regione Puglia) http://www.europuglia.it/portal/dmdocuments/schedasinteticaivc.pdf Siti web di riferimento http://www.interreg4c.net 149 Programma URBACT II Tipologia gramma di pro- Programma comunitario interregionale Fonte di mento finanzia- Fondo FESR Sintesi descrittiva Il Programma URBACT II prosegue l’esperienza dell’URBACT 2000-2006, e focalizza il proprio campo di azione sulle città ed i relativi sobborghi, e sui problemi di disoccupazione, delinquenza, povertà ed inadeguati livelli di servizi pubblici, che in questi contesti quotidianamente si sperimentano. Obiettivi e priorità Obiettivo principale di URBACT II, infatti, è di migliorare l'efficacia delle politiche di sviluppo urbano, integrato e sostenibile, in ambito Europeo e nel contesto delle strategie di Lisbona e Goteborg. Il Programma individua e sviluppa le seguenti priorità d’azione: • • Città, motori di crescita e di lavoro (Promozione dell’Imprenditorialità, Supporto all’Innovazione ed alla diffusione dell’Economia della Conoscenza, Occupazione e Capitale Umano); Città attrattive ed inclusive (Sviluppo Integrato di Aree Sottosviluppate ed Aree a Rischio, Azioni di Interazione Sociale, Azioni di Supporto per Questioni Ambientali, Governance e Pianificazione Urbana). Paesi e territori e- Possono beneficiare del programma le città, le autorità nazionali e regionali e leggibili le Università e centri di ricerca appartenenti ai seugenti paesi: • • • Segretariato programma Tutti gli Stati Membri Norvegia, Svizzera ed altri paesi, con finanziamento a proprio carico Paesi i pre-adesione (con finanziamento a carico dell’IPA) del URBACT Secretariat 194, av. du Président Wilson 93217 Saint-Denis La Plaine Cedex Tel: 00 33 1 49 17 46 40 ax: 00 33 1 49 17 45 55 Principali documen- Programma Operativo ti http://www.europuglia.it/portal/dmdocuments/URBACT_II_Operational_Progr amme_EN.doc Manuale del Programma http://www.europuglia.it/portal/dmdocuments/URBACT_II_Programme_Manu al.doc Siti web di riferimento 150 http://urbact.eu/no_cache/home.html Programma INTERACT Tipologia gramma di pro- Programma comunitario interregionale Fonte di mento finanzia- Fondo FESR Sintesi descrittiva Il Programma INTERACT è stato approvato dalla Commissione Europea il 16 Dicembre 2002. Attualmente è in corso la II fase, relativa alla Programmazione 2007-2013. Esso è stato ideato all’interno dell’Iniziativa Comunitaria INTERREG, con lo scopo di valorizzarne le esperienze e capitalizzarne le lezioni. Disseminare informazioni relative alle buone pratiche INTERREG e stimolarne lo scambio tra i Paesi Membri è la principale attività sviluppata all’interno del programma INTERACT. Obiettivi e priorità Obiettivo principale di INTERACT è la creazione di reti di comunicazione, finalizzate a declinare i flussi di informazione nell’ambito dell’INTERREG, ed a costruire le cornici nell’ambito delle quali tali informazioni si sviluppano e si integrano. Il Programma si sviluppa secondo le seguenti Priorità di azione: • • • Paesi e territori e- • leggibili • Segretariato Programma Siti web di riferimento Priorità 1: Supporto alla gestione dei Programmi INTERREG; Priorità 2: Sviluppo dei Programmi INTERRREG – Iniziative locali e regionali; Priorità 3: Cooperazione e gestione della transizione nelle regioni confinanti e tra i nuovi Stati Membri Tutti gli Stati Membri più Norvegia e Svizzera Paesi dello Spazio di Vicinato del INTERACT Programme Secretariat c/o Metis Donau-City-Strasse 6 A - 1220 Wien t: +43 1 533 87 47 31 f: +43 1 533 87 47 66 [email protected] http:// www.interact-eu.net 151 Programma ESPON 2013 Tipologia gramma di pro- Programma comunitario interregionale Fonte di mento finanzia- Fondo FESR Sintesi descrittiva Il Programma ESPON (European Spatial Planning Observation Network), già avviato nella programmazione 2000-2006, sviluppa un sistema permanente di monitoraggio territoriale, avente come obiettivo principale l’attivazione di ricerche applicate e studi sulle trasformazioni del territorio europeo. I risultati di tali analisi, intesi come trend di crescita ed impatto delle Politiche territoriali sull’Europa allargata, sono poi utilizzati a supporto delle politiche di sviluppo comunitarie. Obiettivi e priorità Scopo principale del programma è di fornire elementi che orientino nella scelta delle politiche a supporto della coesione territoriale e favoriscano uno sviluppo armonioso del territorio europeo. Le cinque priorità del Programma prevedono • • • attività di ricerca, di analisi mirate e di sensibilizzazione sui principali temi dello sviluppo territoriale, analisi dei trend di competitività europea, studi sui processi di coesione e sostegno scientifico agli interventi dei Fondi strutturali. Paesi e territori e- Tutti gli Stati Membri leggibili I Paesi candidati sono invitati a partecipare al programma in qualità di osservatori Programma Opera- http://www.espon.eu/mmp/online/website/content/programme/1455/1470/fi tivo le_3263/espon_2013_op-7-11-2007-approved.pdf Autorità di gestione MINISTÈRE DE L'INTÉRIEUR ET DE L’AMENAGEMENT DU TERRITOIRE Direction de l’Amenagement du Territorie, DATer Director General Romain Diederich Responsible contact: Thiemo W. Eser 1, Rue du Plébiscite L - 2341 Luxembourg GRAND-DUCHÉ DE LUXEMBOURG Tel: +352 478-6936 (Diederich) Tel: +352 478-6934 (Eser) Fax: +352 40-8970 E-mail: [email protected] Siti web di riferimento 152 http:// www.espon.eu III.2) Strumenti di sostegno nazionali - Strumenti nazionali di stegno alla cooperazione internazionale so- Programma di sostegno alla cooperazione regionale - MAE Il "Programma di sostegno alla cooperazione regionale”, è finanziato con risorse nazionali (FAS - Fondo Aree Sottoutilizzate – CIPE) ed gestito e coordinato dal Ministero degli Affari Esteri in collaborazione con il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Con il programma MAE e MEF intendono valorizzare il ruolo del sistema Italia e delle Regioni e Province Autonome nell'ambito della politica Europea di sostegno ai processi di crescita dei Paesi della sponda sud del Mediterraneo e dei Balcani Occidentali. Le azioni previste sono tese a favorire l’internazionalizzazione dei sistemi territoriali nel Bacino del Mediterraneo, predisporre il sistema Italia all’area di libero scambio mediterraneo prevista per il 2010 ed aiutare i sistemi regionali ad accedere con efficacia ai nuovi strumenti comunitari ENPI ed IPA. In quest'ottica, il MAE e le Regioni/Province Autonome hanno sottoscritto un Protocollo di Intesa, approvato dalla Conferenza Stato, Regioni e Province Autonome in data 24/11/2005, che definisce le modalità di utilizzo della somma di 28 milioni di euro complessivamente stanziata dal CIPE con tre delibere, rispettivamente n. 17 e n. 83 del 2003 e n. 20 del 2004. Le • • • azioni previste sono tese a: favorire l’internazionalizzazione dei sistemi territoriali nel Bacino del Mediterraneo; predisporre il sistema Italia all’area di libero scambio mediterraneo prevista per il 2010; aiutare i sistemi regionali ad accedere con efficacia ai nuovi strumenti comunitari di assistenza esterna. L'attuazione del programma è disciplinata da due distinti Accordi di Programma Quadro (APQ), uno per i Paesi del Mediterraneo ed uno per il Paesi dei Balcani. Entrambi gli APQ svilupperanno l'azione di intervento nei paesi individuati attraverso iniziative intersettoriali di ampio respiro e reciproco vantaggio, articolate su cinque linee di intervento macrotematiche: • • • • • Sviluppo socio-economico (articolata in tre filoni: Integrazione delle filiere e dei sistemi produttivi e finanziari; Rafforzamento istituzionale integrato; Innovazione, ricerca, formazione e mercato del lavoro) Interconnessioni materiali e immateriali Ambiente e sviluppo sostenibile Dialogo e cultura Sanità e welfare APQ Paesi del Mediterraneo APQ Paesi dei Balcani Sintesi descrittiva L’Accordo di Programma Quadro (APQ) Paesi dei Balcani riguarda la realizzazione di linee di intervento di cooperazione internazionale di mutuo interesse, da realizzare in favore dell’area dei Balcani occidentali, in partnership con le Regioni e con altri soggetti pubblici e privati anche esteri. Responsabile dell’attuazione dell’APQ Paesi dei Per l’APQ Mediterraneo è prevista l’attivazione di Tavoli di coordinamento degli interventi diretti ver- Balcani è la Regione Piemonte so i Paesi di prioritario interesse (Egitto, Marocco, Algeria, Tunisia e Giordania). Responsabile dell’attuazione per l’APQ Paesi del Mediterraneo è la Regione Sardegna. L’Accordo di Programma Quadro (APQ) Paesi del Mediterraneo riguarda la realizzazione di azioni di cooperazione internazionale di mutuo interesse, da realizzare in favore dei Paesi della sponda sud del Mediterraneo, in partnership con le Regioni e con altri soggetti pubblici e privati anche esteri. APQ Paesi del Mediterraneo APQ Paesi dei Balcani Ruolo della Regione Puglia 153 La Regione Puglia, attraverso il Settore Mediterraneo, ha assunto il ruolo di: • • Regione coordinatrice degli interventi progettuali verso l’ Egitto; Responsabile della progettazione e dell’attuazione degli interventi per la linea tematica “Dialogo e cultura” La Regione Puglia, attraverso il Settore Mediterraneo, ha assunto il ruolo di: • Responsabile della progettazione e dell’attuazione degli interventi per la linea tematica “Sviluppo socio-economico”; • Responsabile della progettazione e dell’attuazione degli interventi per la linea tematica “Dialogo e cultura”. Linea di intervento 1 – Sviluppo Socio economico La Regione Puglia è responsabile della progettazione e della attuazione degli interventi per la linea di intervento “Sviluppo Socio-economico”. In questa linea di intervento, le Regioni e le Province autonome sono impegnate nella progettaVerso il Marocco, per la valorizzazione delle com- zione di interventi verso tutti i Paesi dei Balpetenze tipiche di operatori provenienti da compar- cani Occidentali (Serbia Montenegro, Bosniati dell'artigianato e dell'agroindustria, per supporta- Erzegovina, Albania, Macedonia, Croazia). re il miglioramento produttivo in quei comparti, e Obiettivo degli interventi in corso di progettaziopromuovere l'integrazione dei mercati italiano e ne è quello di: marocchino. Verso l’Algeria, per contribuire allo sviluppo della • sostenere la cooperazione con le istituzioni filiera lattiero-casearia, ed aumentare il livello di locali balcaniche in tema di programmaziocooperazione con le imprese italiane; sostenere la ne, servizi avanzati alle PMI e mercato del creazione delle condizioni per lo sviluppo dei dilavoro; stretti agro-alimentari e l’attrazione nuovi investitori nei distretti locali; per promuovere lo sviluppo aumentare il livello di cooperazione econodell'innovazione e della ricerca nel lattiero-caseario • mica tra i sistemi produttivi italiani e quelli (sicurezza alimentare). locali individuati nell’area Balcanica Verso la Tunisia, per la promozione dello sviluppo nell’ottica dell’integrazione delle filiere prosocio-economico ed il supporto ai processi di rafduttive. forzamento istituzionale delle controparti che operano a livello decentrato sui temi dello sviluppo socio-economico. Verso l’Egitto, per il sostegno allo sviluppo regionale attraverso la riorganizzazione e l'ammodernamento della filiera ortofrutticola e la costruzione e lo sviluppo di accordi e partenariati tra operatori italiani ed operatori egiziani. Per la linea di intervento Sviluppo socio-economico, le Regioni e le Province autonome sono impegnate nella progettazione di interventi verso il Marocco, l’Algeria, la Tunisia e l’Egitto. In questo contesto, la Regione Puglia si avvale del supporto dell’Istituto Agronomico del Mediterraneo di Bari (IAMB). 154 APQ Paesi del Mediterraneo APQ Paesi dei Balcani Line di intervento 2 - Interconnessioni materiali e immateriali Per la linea di intervento Interconnessioni materiali e immateriali, le Regioni e le Province autonome sono impegnate nella progettazione di azioni rivolte all’intero arco Mediterraneo (Progetto integrato Balcani/ Mediterraneo). Per la sponda sud del Mediterraneo gli interventi saranno diretti verso il Marocco, l’Algeria, l’Egitto e la Tunisia. Obiettivi degli interventi in corso di progettazione sono: • Ricostruzione del quadro conoscitivo di base • Riorganizzazione dei processi logistici e del trasporto per distretti e/o filiere produttive • Attivazione/implementazione di collegamenti di linea intermodali, marittimi ed aerei • Formazione, assistenza tecnica e trasferimento di conoscenze di settore Per la linea di intervento Interconnessioni materiali e immateriali, le Regioni e le Province autonome sono impegnate nella progettazione di azioni rivolte all’intero arco Mediterraneo (Progetto integrato Balcani/ Mediterraneo). Nell’area balcanica, i paesi coinvolti saranno: Albania, Serbia-Montenegro, Bosnia Erzegovina e Croazia con l’obiettivo di: • Ricostruzione del quadro conoscitivo di base • Riorganizzazione dei processi logistici e del trasporto per distretti e/o filiere produttive • Attivazione/implementazione di collegamenti di linea intermodali, marittimi ed aerei • Formazione, assistenza tecnica e trasferimento di conoscenze di settore Line di intervento 3 – Ambiente e Sviluppo Sostenibile Per la linea di intervento Ambiente e sviluppo sostenibile, le Regioni e le Province autonome sono impegnate nella progettazione di interventi verso il Marocco, la Tunisia e l’Egitto con l’obiettivo di: • creare rapporti stabili di cooperazione istituzionale, per lo scambio di buone prassi quale presupposto per l’integrazione euromediterranea su tematiche di prossimità; • contribuire allo sviluppo di filiere integrate nell’ottica della lotta alla desertificazione nelle regioni mediterranee; • contribuire a sviluppare un sistema razionale di pianificazione gestione della risorsa idrica. • In questo contesto, la Regione Puglia si avvale dell’esperienza maturata dall’Acquedotto Pugliese (AQP) in diverse aree strategiche dei paesi del Mediterraneo. Per la linea di intervento Ambiente e sviluppo sostenibile, le Regioni e le Province autonome sono impegnate nella progettazione di interventi verso Bosnia – Erzegovina e Serbia – Montenegro con l’obiettivo di rafforzare la cooperazione interistituzionale in materia di monitoraggio, gestione e bonifica di siti inquinati; facilitare l'avvio di opere di risanamento di aree contaminate alla luce dei futuri finanziamenti IPA. La Regione Puglia ha contribuito alla formulazione di una proposta integrata nell’area grazie al supporto tecnico dell’Acquedotto Pugliese, presente da anni nell’area dei Balcani con programmi di cooperazione ed assistenza tecnica. 155 APQ Paesi del Mediterraneo APQ Paesi dei Balcani Line di intervento 4 – Dialogo e cultura La Regione Puglia è responsabile della progetta- La Regione Puglia è responsabile della progetzione e della attuazione degli interventi per la linea tazione e della attuazione degli interventi per la linea di intervento “Dialogo e Cultura”. di intervento “Dialogo e Cultura”. Sulle tematiche del dialogo culturale, le Regioni e le Province autonome sono impegnate nella progettazione di interventi verso Albania, Serbia - Montenegro, Bosnia – Erzegovina e Macedonia. Obiettivi degli interventi saranno: • la promozione di una metodologia integrata di sviluppo socio-economico territoriale a la promozione del dialogo interculturale; partire dalla valorizzazione delle reti di mula valorizzazione del patrimonio archeologico e sei, anche minori; culturale nel contesto territoriale di riferimen• l’accrescimento della conoscenza reciproca e to; delle relazioni tra le comunità locali italiane la realizzazione di partnership tra istituzioni e le comunità locali balcaniche; culturali; la facilitazione dell’incontro tra domanda e lo sviluppo di metodologie di valorizzazione e- • offerta di cooperazione nel settore dello svisportabili; luppo dei sistemi museali e dell’accesso del la formazione di una rete integrata di teatri ansistema delle scuole alle risorse museali; tichi. • la promozione dell’innovazione organizzativa e tecnologica nei processi di apprendimento informali nei musei nel settore dell'arte contemporanea (Serbia - Montenegro e Macedonia) e la valorizzazione delle reti di biblioteche (Albania); • l’innovazione ed il miglioramento delle fasi a monte ed a valle delle visite scolastiche attraverso il ricorso a tecnologie di comunicazione avanzate o attraverso l’utilizzo di kit didattici, coinvolgendo artigiani e/o microimprese. Sulla tematica del dialogo culturale, le Regioni e le Province autonome sono impegnate nella progettazione di interventi verso l’Egitto, la Giordania, la Tunisia e il Marocco. Obiettivi dell’intervento saranno: • • • • • 156 APQ Paesi del Mediterraneo APQ Paesi dei Balcani Line di intervento 5 – Sanità e welfare Per la linea di intervento Sanità e Welfare, le Regioni e le Province autonome sono impegnate nella progettazione di interventi verso l’Egitto, il Marocco e la Tunisia. Obiettivi generali degli interventi saranno: • il rafforzamento delle competenze e delle capacità organizzative e gestionali delle amministrazioni e degli operatori del settore; • la promozione di partnership per contribuire all'omogeneizzazione di modelli per la valutazione dei bisogni e la pianificazione degli interventi. Per la linea di intervento Sanità e Welfare, le Regioni e le Province autonome sono impegnate nella progettazione di interventi verso Albania, Serbia - Montenegro, (Bosnia -Erzegovina) e Macedonia per: • • • In Egitto si lavorerà più in particolare per la defini- • zione di un modello di servizi di salute mentale di comunità integrato nel sistema di Primary Health • Care. In Marocco, invece, per la promozione di interventi nel settore dei servizi di salute mentale di comunità. Gli interventi in Tunisia avranno per obiettivo specifico l’accrescimento delle competenze e delle capacità organizzative e gestionali delle amministrazioni e degli operatori del settore in materia di chirurgia micro-invasiva e chirurgia sperimentale APQ Paesi del Mediterraneo il consolidamento del partenariato internazionale in vista della nuova programmazione UE; la valorizzazione delle attività di rete tra le regioni italiane e balcaniche; la promozione dell’innovazione nei sistemi socio-sanitari locali; la promozione dell'economia sociale quale strumento di integrazione ed inclusione all’interno delle comunità locali; il consolidamento delle capacità locali di programmazione di interventi sanitari e di welfare. APQ Paesi dei Balcani http://www.europuglia.it/portal/dmdocuments/APQ http://www.europuglia.it/portal/dmdocuments/A _Med.pdf PQ_Balcani.pdf 157 Legge n. 84 del 21.3.2001 DISPOSIZIONI PER LA PARTECIPAZIONE ITALIANA STABILIZZAZIONE, ALLA RICOSTRUZIONE E ALLO SVILUPPO DI PAESI DELL’AREA BALCANICA ALLA Che cos’è La legge disciplina le forme di partecipazione italiana al processo di stabilizzazione, ricostruzione e sviluppo di Paesi dell’area balcanica, anche al fine di coordinare gli interventi nazionali con le iniziative assunte in sede comunitaria e multilaterale. Beneficiari Da individuare tra i soggetti promotori di progetti di cooperazione e di iniziative di promozione e sviluppo delle imprese. Paesi di destinazione Albania, Bosnia Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, Serbia e Montenegro, Romania. Ministeri ed Enti competenti per la gestione Ministero Affari Esteri, Ministero del Commercio Internazionale, Ministero Ambiente, Regioni, Province e Comuni. Tipologia di intervento ed attività Cooperazione allo sviluppo (MAE): formazione, assistenza tecnica, crediti d'aiuto e sicurezza Promozione e assistenza alle imprese (Ministero del Commercio Internazionale): informazione e comunicazione, assistenza tecnica, formazione, partecipazioni societarie e finanziamenti agevolati, con particolare riferimento ai settori: energia - ambiente, servizi e strutture di pubblica utilità - sviluppo delle PMI - turismo e conservazione del patrimonio culturale, artistico e urbano - cooperazione economica nel settore agricolo, della pesca e dell'acquacoltura. Cooperazione decentrata (Regioni ed Enti locali): formazione, assistenza tecnica e altri importanti campi di intervento di azione. Struttura organizzativa Per gli indirizzi e la destinazione dei fondi tra i Ministeri attuatori è istituito un Comitato dei Ministri presieduto dal Presidente del Consiglio (o suo delegato) composto dai Ministri degli Affari Esteri, dell’Interno, dell'Economia e delle Finanze, del Commercio Internazionale, della Difesa e per le Politiche Comunitarie. Compiti del Comitato: a) - Definizione delle linee generali, indirizzi strategici, priorità geografiche e settoriali b) - Ripartizione del fondo Balcani tra MAE e Ministero del Commercio Internazionale - Area Internazionalizzazione c) - Verifica a posteriori dell’attuazione degli indirizzi adottati sulla base di relazioni semestrali dei Ministri "attuatori" MAE e Ministero del Commercio Internazionale e degli altri enti coinvolti (Regioni, Enti Locali) Il Comitato è assistito da un’Unità Tecnico Operativa per i Balcani (UTOB) composta da esperti e da rappresentanti dei Ministeri coinvolti. Il Comitato ha emanato in data 5 luglio 2002 la delibera contenente le Direttive relative ai punti a) e b), in seguito aggiornata dalla delibera del 20 novembre 2003. Procedura relativa alla Con decreto del Ministro del Commercio Internazionale, è definita, gestione di competenza tenendo conto degli indirizzi del Comitato dei Ministri, la ripartizione delle Ministero del Commer- risorse finanziarie tra i seguenti soggetti: cio Internazionale • A SIMEST per finanziamenti senza interessi (relativi a: parteciDipartimento per l'Inpazione a gare internazionali; programmi di penetrazione comternazionalizzazione merciale; studi di prefattibilità e fattibilità connessi delle imprese all’aggiudicazione di commesse per la realizzazione di investimenti, programmi di assistenza tecnica e formazione del personale); per la concessione ai soggetti beneficiari dei predetti finanziamenti di una garanzia integrativa e sussidiaria (non oltre 80% dell’ammontare del finanziamento); per la costituzione di un Fondo autonomo e distinto con la finalità di VENTURE CAPITAL (possibilità di partecipazioni societarie fino al 49% del capitale 158 Legge n. 84 del 21.3.2001 DISPOSIZIONI PER LA PARTECIPAZIONE ITALIANA STABILIZZAZIONE, ALLA RICOSTRUZIONE E ALLO SVILUPPO DI PAESI DELL’AREA BALCANICA ALLA della società estera; limite massimo dell’intervento di € 516.456,00 per operazione e comunque non superiore al doppio della partecipazione connessa all'intervento SIMEST; cessione entro 8 anni, ai valori correnti) • All’ICE per attività di promozione e assistenza alle imprese; costituzione di centri di monitoraggio e informazione, in Italia e nell’area Balcani; formazione di giovani laureati sui processi di internazionalizzazione e commercio estero, sia per imprese italiane che dell’area Balcani; attivazione dell’Antenna Adriatica, o strutture analoghe) • A INFORMEST per attività di promozione e di assistenza alle imprese • A FDL Servizi srl (Finanziaria della Fiera del Levante di Bari) per attività di promozione e di assistenza alle imprese • A UNIONCAMERE per promuovere e finanziare progetti presentati dal sistema camerale o da enti a questi facenti capo di provata esperienza e qualificazione • A FINEST SpA (Pordenone) per la costituzione di un FONDO autonomo e distinto con finalità di VENTURE CAPITAL (possibilità di partecipazioni societarie fino al 49% del capitale sociale dealla società estera; limite massimo di intervento di € 516.456,00 per operazione e comunque non superiore al doppio della partecipazione connessa all'intervento SIMEST; cessione entro 8 anni, ai valori correnti) Le proposte progettuali di promozione e assistenza alle imprese possono essere presentate esclusivamente dagli enti attuatori previsti dall’articolo 5, comma 2 lettere d), e) ed f) (ICE, INFORMEST, FDL Servizi, UNIONCAMERE) della L. 84/01. Una quota del fondo totale assegnato al Ministero del Commercio Intenazionale è inoltre destinata alla Costituzione di un fondo destinato all’attività di MICROCREDITO a sostegno di iniziative imprenditoriali e di forme associative e cooperativistiche locali. Punto di contatto Ministero del Commercio Internazionale Viale America 341 – 0144 ROMA Tel. 06/59931 Direzione Generale per la Promozione degli Scambi Direttore Generale: Dr. Gianfranco Caprioli Contatto: - Dott. Domenico Guardabascio - Dirigente Segreteria unità di coordinamento per i Balcani Tel. 06 5993 2507 e-mail: [email protected] Sito web di riferimento http://www.mincomes.it/strumenti/indice.htm 159 Strumenti di sostegno nazionale - Strumenti nazionali di sostegno all’internazionalizzazione delle imprese DLGS 143/98 art. 22, comma 5, lett. a) - D.M. 23 marzo 2000, n. 136 FINANZIAMENTO AGEVOLATO DELLE SPESE PER LA REALIZZAZIONE DI STUDI DI PREFATTIBILITA’ E DI FATTIBILITA’ CONNESSI ALL’AGGIUDICAZIONE DI COMMESSE IN PAESI NON U.E. A cosa serve E’ la norma che ha introdotto la possibilità di concedere finanziamenti a tasso agevolato per la realizzazione di studi di prefattibilità e di fattibilità, connessi all’aggiudicazione di commesse, il cui corrispettivo consista nei proventi derivanti dalla gestione dell’opera realizzata. Ai fini del finanziamento, si intende per commessa ogni incarico per l’esecuzione di forniture o di lavori, ovvero per la prestazione di servizi, in Paesi non appartenenti all’Unione Europea. Beneficiari Imprese italiane, loro consorzi o associazioni. Hanno priorità le piccole e medie imprese, nonché le imprese in possesso di certificazione di qualità. Paesi di destinazione Paesi non appartenenti all'Unione Europea. Tipo di agevolazione Finanziamento a tasso agevolato, pari al 25% del tasso di riferimento vigente alla data di stipula del contratto di finanziamento, stabilito dal Ministero del Tesoro, ai sensi del Decreto Ministeriale 21 dicembre 1994. I Spese finanziabili Sono ammissibili, nei limiti del 50% dell’importo preventivato ed approvato dal Comitato, le spese sostenute nel periodo di sei mesi a decorrere dalla data della delibera di concessione del finanziamento. In particolare, sono finanziabili le spese relative a salari, emolumenti dovuti a consulenti od esperti, viaggi, studi di supporto, test, altre spese di natura tecnica che risultino strettamente collegate allo studio da effettuare. Eventuali spese derivanti dalle operazioni di finanziamento della commessa sono finanziabili se relative alla fase di acquisizione del finanziamento stesso. Non sono finanziabili i programmi posti in essere da imprese appartenenti ai settori di cui all’art. 1, comma 1, lettere a), b), c), ed f) del Regolamento (CE) N. 1998/2006 della Commissione del 15 dicembre 2006 relativo all’applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato agli aiuti d’importanza minore. Massimali Il limite massimo del finanziamento concedibile è pari a 361.000,00 euro. del finanziamento Il D.M. 136/2000 prevede, inoltre, massimali in relazione al singolo beneficiario, rispetto alla stessa commessa, alla complessiva esposizione verso il Fondo ed alla singola gara internazionale. Ai fini della compatibilità dell’agevolazione con la disciplina comunitaria in tema di aiuti di Stato, in attuazione del Regolamento (CE) N. 1998/2006, l’ammontare complessivo di aiuti concessi ad ogni singola impresa non può superare impresa non può superare il limite massimo di euro 200.000,00 euro, (euro 100.000,00 per le imprese attive nel settore del trasporto su strada) per tre esercizi finanziari. Durata Il periodo di utilizzo del finanziamento dura 6 mesi a partire dalla stipula del contratto di finanziamento. Rimborso Il finanziamento è rimborsato in 6 rate semestrali posticipate, a quote costanti di capitale, più gli interessi sul debito residuo. La prima rata scade diciotto mesi dopo la stipula del contratto di finanziamento. Punto di contatto MINISTERO DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE Direzione Generale per le Politiche di Internazionalizzazione - Div. II Viale Boston 25 - 00144 ROMA Dott.ssa Anna Maria Forte Tel.: 06.59932605 - Fax 06.5993.2620 e-mail: [email protected] Sito web di riferimento 160 http://www.mincomes.it/strumenti/indice.htm LEGGE 29.7.1981, n. 394 - art. 2 FINANZIAMENTI AGEVOLATI DI PROGRAMMI DI PENETRAZIONE COMMERCIALE VOLTI A COSTITUIRE INSEDIAMENTI DUREVOLI ALL'ESTERO Che cos'è E' la legge che prevede il finanziamento a tasso agevolato delle spese sostenute nella realizzazione di programmi volti a costituire insediamenti durevoli in Paesi non membri dell'Unione europea. Beneficiari Imprese esportatrici di beni e servizi. Hanno priorità sui fondi: le PMI, i loro consorzi e raggruppamenti, societa' a prevalente capitale pubblico che operano per la commercializzazione all'estero dei prodotti delle piccole e medie imprese del Mezzogiorno. Ai fini della classificazione delle PMI, sono adottati i parametri definiti dal Decreto del Ministero delle Attività Produttive del 18.4.2005 di adeguamento dei criteri di individuazione delle PMI alla disciplina comunitaria (Raccomandazione della Commissione Europea 2003/361/CE). Paesi di destinazione Il programma può essere realizzato in un solo Paese non appartenente all'Unione Europea. Possono essere ammesse spese da sostenere in Paesi di proiezione, cioè paesi appartenenti alla stessa area geoeconomica a quello in cui viene realizzato il programma. Tipo di agevolazione Finanziamento a tasso agevolato, pari al 40% del tasso di riferimento. Il tasso di riferimento è fisso ed è quello vigente alla data di stipula del contratto di finanziamento. Esso viene fissato mensilmente ed è rilevabile nel sito INTERNET dell’ABI della SIMEST SpA. Caratteristiche del programma oggetto del finanziamento e modalità di realizzazione del programma I programmi devono avere come obiettivo la realizzazione di un insediamento durevole, cioè la costituzione di una presenza stabile e qualificata dell'impresa nel Paese di destinazione del programma. Spese finanziabili Non sono finanziabili i programmi posti in essere da imprese appartenenti ai settori di cui all’art. 1, comma 1, lettere a), b), c), ed f) del Regolamento CE 1998/2006 “de minimis”. Sono ammissibili al finanziamento le spese sostenute nel periodo di realizzazione, che decorre dalla data di approvazione del programma e termina due anni dopo la stipula del contratto. Le spese ammissibili devono risultare coerenti con: • i programmi: a titolo indicativo, si ritengono coerenti le spese volte a favorire una presenza stabile e qualificata, attraverso la costituzione di un ufficio, show room, magazzino e un solo negozio, e quelle destinate a studi di mercato, promozione, dimostrazione, pubblicità; • le capacità organizzative, economiche e finanziarie del soggetto richiedente. Nel caso in cui il programma sia volto al potenziamento di strutture già operanti all'estero, la spesa è ammissibile a condizione che risultino chiaramente le spese straordinarie ed aggiuntive rispetto alla normale attività commerciale e promozionale, derivanti dall'ampliamento delle strutture permanenti e/o del personale in loco. Il DM 467/99 (art.3) fornisce ulteriori specificazioni riguardo alle spese ammissibili e ai relativi poteri del Comitato. Massimali d l fi i Il finanziamento può coprire fino all'85% dell'importo delle spese complessivai d l I programmi possono essere realizzati mediante: • gestione diretta, tramite la costituzione all'estero o il potenziamento di insediamenti durevoli, gestiti direttamente con l'impiego di proprio personale; • una società partecipata di diritto locale; • collaborazione con importatori, distributori, rappresentanti o altri tipi di imprese di diritto locale (in questo caso l'impresa darà specifiche informazioni riguardo all'operatore locale, all'utilizzo di locali dell'operatore stesso e di personale stabile in loco). 161 LEGGE 29.7.1981, n. 394 - art. 2 FINANZIAMENTI AGEVOLATI DI PROGRAMMI DI PENETRAZIONE COMMERCIALE VOLTI A COSTITUIRE INSEDIAMENTI DUREVOLI ALL'ESTERO del finanziamento mente previste dal programma approvato. Ciascun finanziamento può essere concesso per un importo non superiore a 2.065.000,00 euro, fatte salve eventuali riduzioni di importo determinate dall’applicazione dell’art. 2, comma 2, del Regolamento CE “de minimis” che fissa in 200.000,00 euro nell’arco di tre esercizi finanziari l’importo complessivo degli aiuti “de minimis” concessi al richiedente. Il limite di 2.065.000,00 euro si applica anche quale importo complessivo a favore di imprese facenti parte di un gruppo. L’importo è ridotto a 100.000,00 euro qualora il beneficiario sia un’impresa attiva nel settore del trasporto su strada. Erogazione In via generale, la SIMEST SpA eroga il finanziamento a fronte di idonea docudel finanziamento mentazione delle spese inserite nel programma approvato. Le erogazioni possono essere ottenute anche mediante ricorso all'autocertificazione delle spese. A tal fine, la distinta analitica delle spese è firmata dal legale rappresentante dell’impresa e dal presidente del Collegio sindacale, ove esistente. Le richieste di erogazione e relativa documentazione devono essere presentate dall'impresa alla SIMEST SpA entro il periodo di utilizzo del finanziamento, che corrisponde al biennio decorrente dalla data di stipula del contratto più due mesi. La richiesta della prima erogazione deve essere presentata entro il termine di 2 mesi dalla data di stipula del contratto di finanziamento, salvo motivata proroga di altri due mesi. La mancata richiesta nei termini può comportare la revoca del finanziamento. Anticipo Qualora richiesto nella domanda di finanziamento, il Comitato può concedere un anticipo pari al massimo al 10% dell'importo del finanziamento approvato. Garanzie Per garantire il rimborso del capitale, dei relativi interessi e di altri oneri accessori, l'impresa beneficiaria del finanziamento, a copertura dei singoli importi da erogare, deve prestare alla SIMEST SpA una o più delle seguenti tipologie di garanzia, da sottoporre, unitamente alla richiesta di finanziamento, all'approvazione del comitato: fideiussione bancaria, assicurativa, pegno su titoli, o fideiussione dei consorzi di garanzia collettiva fidi, convenzionati con la SIMEST SpA. Riduzione garanzia Possono accedervi, nella misura massima deliberata dal Comitato Agevolazioni, le PMI che superino i criteri valutativi individuati dal Comitato stesso (disponibili sul sito Internet www.simest.it) a condizione: 1. che l’importo della riduzione di garanzia non superi il patrimonio netto dell’impresa; 2. che l’impresa sia operativa da almeno tre anni, dove l’operatività deve riguardare l’attività caratteristica rispetto alla quale è richiesto l’intervento e fare riferimento a tre esercizi completi con bilancio depositato. Durata Il periodo di realizzazione del programma decorre dalla data di approvazione del programma e termina 2 anni dopo la stipula del contratto. Il periodo di utilizzo del finanziamento corrisponde al biennio decorrente dalla data di stipula del contratto più 2 mesi. I finanziamenti sono concessi per una durata non superiore a sette anni, di cui due di preammortamento e cinque di ammortamento. Rimborso Il finanziamento ha una durata non superiore a sette anni, di cui 2 di preammortamento durante il quale sono pagati solo gli interessi e 5 di ammortamento. Il rimborso è effettuato entro i cinque anni successivi al termine del periodo di utilizzo (su richiesta dell'impresa, il Comitato può ridurre il periodo di rimborso del finanziamento) in rate semestrali posticipate a quote costanti di capitale più gli interessi sul debito residuo da corrispondere al tasso di interesse deciso dal Comitato in sede di consolidamento. Dalla data dell'erogazione e fino alla data del consolidamento, gli interessi sono calcolati e corrisposti provvisoriamente al tasso agevolato. 162 LEGGE 29.7.1981, n. 394 - art. 2 FINANZIAMENTI AGEVOLATI DI PROGRAMMI DI PENETRAZIONE COMMERCIALE VOLTI A COSTITUIRE INSEDIAMENTI DUREVOLI ALL'ESTERO Cumulabilità dei benefici Le agevolazioni della Legge 394/81 - art. 2 - sono alternative ad ogni altro beneficio che abbia ad oggetto le medesime voci di spesa incluse nel programma approvato dal Comitato. E' escluso dal divieto di cumulabilità il beneficio relativo alla garanzia assicurativa pubblica. Contatti MINISTERO DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE Direzione Generale per le Politiche di Internazionalizzazione Div. II Viale Boston 25 - 00144 ROMA Dott.ssa Anna Maria Forte Tel.: 06.59932605 e-mail: [email protected] Fax 06.5993.2620 Segreteria 06.5993.2380 Oppure si può contattare: SIMEST SPA Corso Vittorio Emanuele II, 323 - 00186 ROMA Tel. 06.686351 Sito Internet: www.simest.it e-mail: [email protected] Sito web di riferimento http://www.mincomes.it/strumenti/indice.htm 163 Legge 20.10.1990, n. 304 - art. 3 FINANZIAMENTO AGEVOLATO DELLE SPESE DI PARTECIPAZIONE A GARE INTERNAZIONALI Che cos’è E’ la legge che prevede il finanziamento a tasso agevolato delle spese da sostenere per la predisposizione delle offerte di partecipazione a gare internazionali. Sono considerate internazionali le gare indette in Paesi non appartenenti all’Unione Europea. Sono, in particolare, escluse le gare riservate alle imprese italiane e quelle indette da organismi europei, anche se per commesse da realizzare in paesi non facenti parte dell’Unione Europea. Beneficiari Imprese italiane, loro Consorzi o Associazioni. Hanno priorità le imprese in possesso di certificazione di qualità, in base ai criteri fissati dal Comitato. Paesi di destinazione Paesi non appartenenti all’Unione Europea Tipo di agevolazione Finanziamento a tasso agevolato, pari al 40% del tasso di riferimento applicabile alle operazioni di credito agevolato alle esportazioni a tasso variabile. Il tasso di riferimento è rilevabile ogni mese dal sito Internet della SIMEST SpA. Spese finanziabili Le spese di partecipazione alla gara, sostenute nell’arco di tempo compreso tra la data di arrivo alla SIMEST SpA della domanda di finanziamento ed il termine di scadenza per la presentazione dell’offerta definitiva. Per le fasi temporali dell’offerta (pre-qualifica, offerta e negoziazione dell’offerta) in cui possono essere effettuate le spese sono previste disposizioni particolari (DM 441/99, art. 5). Massimali Il limite massimo dell’importo del finanziamento è determinato in rapporto al del finanziamento valore della commessa per la quale concorre l’impresa (1% per i primi Euro 25.822.000,00; 0,70% per i successivi Euro 25.822.000,00; 0,50% per i successivi Euro 51.645.000,00; e 0,25% per l’eccedenza) Laddove il valore della commessa sia suddiviso in porzioni o lotti, ai fini del calcolo dell’importo del finanziamento verrà considerato il valore del singolo lotto o porzione della commessa per il quale l’impresa presenti la propria offerta, a condizione che tale valore figuri nel bando di gara o in altro documento ufficiale. Il D.M. n. 441/1999 prevede, inoltre, massimali in relazione all’importo ottenibile per ciascuna gara e all’esposizione complessiva di ciascuna impresa verso il Fondo. Sono, inoltre, previste ipotesi particolari per le imprese che costituiscono joint-venture, ATI o fanno parte di un gruppo. Stipula del contratto di finanziamento Per la stipula del contratto l'impresa deve presentare la documentazione prevista a tale scopo entro 3 mesi dalla comunicazione della concessione del finanziamento, pena decadenza dai benefici. La stipula deve avvenire entro i successivi 30 giorni. Garanzie Per garantire il rimborso del capitale, dei relativi interessi e degli oneri accessori, l’impresa deve prestare alla SIMEST SpA una o più delle sottoindicate tipologie di garanzia a copertura dei singoli importi da erogare. Il tipo di garanzia, indicato dall’impresa, viene sottoposto all’approvazione del Comitato, unitamente alla domanda di finanziamento La tipologia è la seguente: fideiussione bancaria, fideiussione assicurativa; fideiussione di consorzi di garanzia collettiva fidi, convenzionati con la SIMEST SpA, pegno su titoli. Durata Il periodo di utilizzo del finanziamento dura 18 mesi a partire dalla stipula del contratto di finanziamento (scaduto il periodo di utilizzo la SIMEST SpA non può effettuare ulteriori erogazioni). I beneficiari sono tenuti a comunicare, anche tramite autocertificazione, alla SIMEST SpA, nei 30 giorni successivi alla data di conoscenza dell’esito della gara, il relativo esito o l’eventuale ritiro o esclusione. Gli stessi devono, inoltre, inviare entro i successivi 60 giorni una dichiarazione nella quale sia riportata 164 Legge 20.10.1990, n. 304 - art. 3 FINANZIAMENTO AGEVOLATO DELLE SPESE DI PARTECIPAZIONE A GARE INTERNAZIONALI la distinta di tutte le spese effettivamente sostenute, resa dal legale rappresentante e confermata, per quanto attiene alla concordanza con le scritture contabili e con la documentazione agli atti dell’impresa, dal presidente del collegio dei sindaci, ove esistente. Rimborso Uffici incaricati Sito web di riferimento Le modalità di rimborso del capitale erogato variano in relazione alla posizione del beneficiario rispetto all’esito della gara. In linea generale, il capitale è rimborsato in 5 rate semestrali posticipate, uguali e consecutive, la prima delle quali scade 24 mesi dalla data della prima erogazione. Gli interessi, corrisposti in via semestrale posticipata, sono calcolati, al tasso agevolato, sul debito residuo (salvo alcuni casi particolari disciplinati dall’art. 10, comma 7, del D.M. 441/1999). • SIMEST SPA Corso Vittorio Emanuele II, 323 - 00186 ROMA Tel. 06686351 Sito Internet: www.simest.it e-mail: [email protected] • Ministero delle Attività Produttive Viale America, 341 - 0144 ROMA Tel. 0659931 - Fax 0659932153 Direzione Generale per le Politiche di Internazionalizzazione Segreteria - Tel. 0659932380 http://www.mincomes.it/strumenti/indice.htm 165 D.Lgs 31.3.1998, n. 143 FINANZIAMENTO DEI CREDITI ALL’EXPORT Che cosa è E’ il sostegno pubblico ai crediti accordati dagli esportatori italiani ai loro clienti esteri espresso sotto forma di contributo agli interessi. Beneficiari Esportatori di prodotti e servizi di origine italiana o, entro determinati limiti, comunitaria, aventi carattere di beni di investimento o collegabili ad un investimento. Gli esportatori possono beneficiare dell’intervento agevolato sia a fronte di un credito fornitore che di un credito acquirente. Paesi di destinazione Tutti. Tipo di intervento L’intervento di SIMEST SpA riguarda i finanziamenti di crediti all’esportazione (eventualmente estesi anche alla fase di approntamento della fornitura) concessi da banche italiane o estere a operatori nazionali (crediti fornitori) o agli acquirenti esteri (crediti acquirenti) anche sotto forma di smobilizzo di titoli di credito. La durata dei crediti deve essere superiore a 24 mesi, salvo il caso degli smobilizzi a tasso fisso relativi a crediti fornitore per i quali il rimborso può anche essere compreso tra 18 e 23 mesi. Ammontare del contributo L’agevolazione consiste in un contributo che copre la differenza tra il tasso di riferimento, stabilito dalla SIMEST SpA in relazione alla situazione di mercato e il tasso d’interesse posto a carico del debitore estero che non può essere inferiore al tasso CIRR (commercial interest reference rate) stabilito mensilmente in sede internazionale. Il tasso CIRR è quello vigente al momento del contratto, ma può anche essere prefissato, in sede di affidamento SIMEST SpA, previa maggiorazione dello 0,20%. L’importo agevolabile è al massimo pari all’85% della fornitura, il 15% dovendo essere regolato in contanti e coprire eventuali esborsi all’estero. Cosa fare per ottenere i benefici I criteri, le modalità e le procedure per l’ammissione all’intervento agevolativo sono definiti nella Circolare n. 7/2000, consultabile sul sito Internet della SIMEST SpA (www.simest.it) o del Ministero del Commercio Internazionale (www.mincomes.it) Le richieste di contributo agli interessi sui finanziamenti concessi devono essere presentate dai soggetti interessati (banche italiane o estere o esportatori) alla SIMEST SpA utilizzando apposito modulo. Esse sono esaminate entro 90 giorni dal completamento della documentazione necessaria, ivi comprese le comunicazioni o informazioni prefettizie antimafia. Uffici incaricati SIMEST SPA Corso Vittorio Emanuele II, 323 - 00186 ROMA Tel. 06686351- e-mail: [email protected] Ministero del Commercio Internazionale Viale America, 341 – 00100 ROMA Tel. 0659931 - Fax. 0659932153 Direzione Generale per le Politiche di Internazionalizzazione Tel. 0659932380 Sito web di riferimento 166 http://www.mincomes.it/strumenti/indice.htm D.Lgs 31.3.1998, n. 143 integrato con il D.Lgs 27.5.1999, n. 170 ASSICURAZIONE DEI CREDITI ALL’EXPORT Che cosa è E’ il sostegno pubblico all’esportazione concesso sotto forma di assicurazione dei rischi politici, catastrofici, economici, commerciali e di cambio. Beneficiari Operatori nazionali (esportatori ed investitori italiani all’estero) per credito fornitore; Banche italiane, Banche e Finanziarie estere per credito acquirente Paesi di destinazione Tutti, tranne quelli dichiarati in sospensiva dalla SACE, e, relativamente ai rischi commerciali riguardanti i crediti fino a 24 mesi, i Paesi UE e alcuni altri Paesi OCSE. Organismo prepo- Istituto per i servizi assicurativi del commercio estero (SACE). sto a intervento assicurativo Tipo di intervento Promessa di garanzia e/o garanzia assicurativa sui contratti di esportazione di merci e servizi, esecuzione di lavori, studi e progettazione all’estero; crediti a breve e a medio/lungo termine concessi a soggetti esteri, pubblici e privati; conferma di apertura di credito; crediti per il rifinanziamento del debito estero; finanziamenti di banche italiane ad esportatori nazionali; fidejussioni, cauzioni, depositi e anticipazioni prestati all’estero a vario titolo dagli esportatori nazionali; investimenti all’estero; locazioni finanziarie e di beni; crediti derivanti da prestiti obbligazionari. Rischi assicurabili Mancato recupero di costi di produzione; mancato rimborso del credito, parziale o totale; mancata o ritardata restituzione di cauzioni, depositi, o anticipazioni; escussione di fidejussioni; distruzione o danneggiamento dei beni oggetto dell’operazione; requisizione e confisca dei beni; rischi connessi agli investimenti all’estero; variazioni del corso del cambi; variazione dei prezzi internazionali delle merci in counter trade; mancato rimborso dei finanziamenti all’export. N.B. Le tipologie di rischio sopra elencate sono ammesse alla "copertura" SACE in vista degli eventi generatori di sinistro (EGS) stabiliti dalla vigente normativa (Art. 2 deliberazione CIPE del 9 giugno 1999, n. 93/99). Ammontare dell’intervento Copertura massima: 95% Cosa fare per ottenere i benefici La "promessa di garanzia" (prima della stipula del contratto) e la "garanzia assicurativa" (dopo la stipula del contratto) vanno richieste su appositi moduli disponibili presso la SACE, la VISCONTEA e il sistema bancario; Nessun importo è dovuto per le operazioni di valore inferiore a 258.000,00 euro.Per le medie e piccole imprese non è necessario alcun versamento a titolo di apertura "dossier". Gli altri operatori devono effettuare un versamento, non rimborsabile, a mezzo assegno circolare non trasferibile, intestato alla SACE. Sito web di riferimento http://www.mincomes.it/strumenti/indice.htm 167 Legge 29.7.1981 n.394 - art. 10 CONCESSIONE DI CONTRIBUTI FINANZIARI AI CONSORZI AGRO-ALIMENTARI E TURISTICO-ALBERGHIERI Che cos’è E’ la norma che consente di erogare contributi finanziari annuali in rapporto alle spese sostenute dai consorzi multiregionali appartenenti alle seguenti tipologie: - agroalimentari; turistico-alberghieri; agro-ittico-turistici. Scopo della concessione dei contributi I contributi sono finalizzati ad incentivare lo svolgimento di specifiche attività promozionali di rilievo nazionale e la realizzazione di progetti volti a favorire l'internazionalizzazione delle piccole e medie imprese. Beneficiari A) Consorzi e società consortili a carattere multiregionale(1), anche in forma cooperativa, costituiti da imprese agroalimentari aventi come scopo esclusivo l’esportazione dei prodotti agroalimentari; B)Consorzi e società consortili a carattere multiregionale, anche in forma cooperativa, costituiti da imprese turistiche e alberghiere limitatamente alle attività volte ad incrementare la domanda turistica estera. C) Consorzi e società consortili a carattere multiregionale, anche in forma cooperativa, costituiti da piccole e medie imprese agroalimentari, ittiche e turistico-alberghiere aventi come scopo esclusivo l’attrazione della domanda estera. D)Consorzi monoregionali di cui alle lettere A),B), C), ubicati in Sicilia e Valle d’Aosta (provvisoriamente, in attesa della definizione dell’iter di trasferimento delle competenze alle rispettive Regioni). E’ fatto divieto di presentare domanda per i consorzi che presentino contestualmente domanda sulla legge 83/89. (1) Sono considerati multiregionali i consorzi di cui almeno il 25% delle imprese associate abbiano la sede legale in una o più regioni diverse da quella delle restanti imprese. Per i consorzi che abbiano più di 60 imprese associate, il requisito minimo è fissato in 15 imprese aventi sede legale in una o più regioni diverse dalle restanti imprese. Il requisito della multiregionalità deve essere posseduto dal momento della presentazione della domanda di approvazione del programma sino al 31 dicembre dell’anno di realizzazione del programma stesso. Paesi interessati dalle azioni promozionali In linea generale, l’attività dei consorzi può riguardare tutti i paesi esteri Requisiti I requisiti seguenti devono essere posseduti dai consorzi ininterrottamente dalla data della domanda di presentazione del programma sino al 31 dicembre dell’anno di realizzazione del programma stesso: a)multiregionalità (ad eccezioni dei monoregionali di Sicilia e Valle d’aosta); b) i soci devono essere piccole e medie imprese ai sensi della normativa U.E. (le PMI sono definite dal D.M. 18 aprile 2005 –G.U. 238 del 12 ottobre 2005) c)deve espressamente risultare dallo statuto del proponente il divieto di distribuzione degli avanzi di esercizio di ogni genere e sotto qualsiasi forma alle consorziate anche in caso di scioglimento del consorzio o della società consortile; d)il numero di imprese associate deve essere non inferiore a 8; tale limite può essere ridotto a 5 qualora le imprese abbiano sede nelle regioni dell’ex obiettivo 1 (Campania, Puglia, Calabria, Basilicata, Sicilia, Sardegna); e) il fondo consortile deve risultare interamente sottoscritto, formato dalle quote di partecipazione dei singoli soci; f) per i consorzi di cui alle lettere A) e C) nello statuto deve essere espressamente indicato lo scopo esclusivo verso l’estero dell’attività consortile. La mancanza anche di uno solo dei requisiti suddetti comporta l’inammissibilità della domanda. Tipo di intervento Finanziamento a fondo perduto, commisurato all’importo delle spese ammissibili sostenute per l’esecuzione del programma promozionale. 168 Legge 29.7.1981 n.394 - art. 10 CONCESSIONE DI CONTRIBUTI FINANZIARI AI CONSORZI AGRO-ALIMENTARI E TURISTICO-ALBERGHIERI Sono ammissibili a contributo solo le azioni promozionali volte a sostenere le esportazioni verso l’estero ed il flusso turistico estero in Italia. A titolo esemplificativo si indicano alcune tipologie di progetti: partecipazione a fiere estere; partecipazione a fiere internazionali in Italia riconosciute come tali in base al Calendario pubblicato dalla conferenza dei Presidenti delle Regioni, consultabile al sito www.regioni.it ; realizzazione, stampa e distribuzione materiale pubblicitario in lingua estera; pubblicità su riviste specializzate, spot radio e televisivi esteri; workshop e incontri promozionali con operatori esteri; azioni dimostrative e degustazioni; ricerche di mercato; missioni di operatori esteri in Italia; formazione ed educational per operatori esteri; apertura e aggiornamento sito internet anche in lingua estera; realizzazione e promozione all’estero del marchio consortile; attività preparatoria per la partecipazione a programmi comunitari o di organismi internazionali. Importo dell’intervento • Entro il 40% dei costi del programma. • Entro il 60% dei costi del programma, per i Consorzi che hanno sede legale e almeno 4/5 delle imprese nelle regioni dell’obiettivo 1 (Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna). • Entro il 70% dei costi del programma, per i Consorzi che al momento della richiesta di liquidazione risultino costituiti da meno di cinque anni. L’importo del contributo non può superare: - € 77.468,53 per i Consorzi aventi fino a 24 soci; - € 103.291,38 per i Consorzi costituiti da 25 a 74 soci; - € 154.937,07 per i Consorzi costituiti da più di 74 soci N.B. La liquidazione del contributo è comunque effettuata nei limiti della dotazione finanziaria assegnata al Ministero; pertanto è possibile la riduzione del contributo spettante per insufficienza di fondi. Altri contributi Se l’intero programma o alcuni progetti sono finanziati da altri enti pubblici, l’importo complessivo dei contributi non può superare il 70% del totale delle spese ammesse. Spese generali e di personale Le spese generali e di personale imputabili alle iniziative possono essere ammesse limitatamente alla misura massima del 20% delle spese vive di ogni progetto. Ufficio competente Ministero del Commercio Internazionale Viale Boston, 25 - 00144 ROMA Tel. 0659931 - Fax 0659932153 Direzione Generale per la promozione degli scambi Tel. 0659932602 Sito web di riferimento http://www.mincomes.it/strumenti/indice.htm 169 LEGGE 24.4.1990, n. 100 SOCIETA’ ALL’ESTERO - SIMEST SpA Che cos’è E’ la legge istitutiva della SIMEST S.p.A., finanziaria di sviluppo a partecipazione pubblica e privata, creata per incentivare la formazione di società o imprese all’estero. Dopo l’emanazione del Decreto n. 113 del 1 marzo 2000 (G.U. del 10 maggio 2000, n. 107) la legge può essere definita come lo strumento di sostegno degli investimenti italiani all’estero. La SIMEST S.p.a. è controllata dal Ministero del Commercio Internazionale. Ad essa è affidata la gestione degli strumenti per l’internazionalizzazione. Beneficiari Imprese italiane - ovvero imprese aventi stabile organizzazione in uno Stato dell’Unione Europea, controllate da imprese italiane - con preferenza per quelle di piccole e medie dimensioni, anche in forma cooperativa, comprese quelle commerciali, artigiane e turistiche - interessate a costituire una società estera o sottoscrivere un aumento di capitale sociale o acquisire quote di partecipazione in una impresa estera già costituita. Paesi di destinazione Tutti, esclusa l’Unione Europea. Tipo di intervento PROMOZIONE: SIMEST • indirizza gli operatori verso iniziative e partecipazioni in paesi esteri, promuovendo società locali ed individuando opportunità di investimento. CONSULENZA: SIMEST • assiste le imprese fornendo servizi personalizzati di carattere tecnico, finanziario, amministrativo, organizzativo, anche in relazione al possibile accesso ai programmi internazionali di finanziamento delle jointventures, quali JOP/PHARE, TACIS, ECIP della Comunità europea. FINANZIAMENTO: SIMEST • partecipa al capitale di società estere con quote di minoranza (max 25%) e per un periodo massimo di 8 anni. Entro questo termine SIMEST dovrà procedere alla cessione delle sue quote ai valori di mercato; • a fronte di finanziamenti concessi dal sistema bancario alle imprese per la loro partecipazione al capitale di rischio della società estera, la SIMEST SpA concede contributi agli interessi nei limiti del 90% della quota complessiva italiana di partecipazione entro il 51% del capitale della società estera partecipata; • concede finanziamenti alle imprese estere partecipate, anche nell’ambito di operazioni di cofinanziamento con istituti internazionali (BERS, BEI, I.F.C.), ovvero altri enti sovranazionali, sempre entro la misura massima del 25% dell’impegno finanziario previsto dal programma economico della impresa o società estera; • partecipa a società, italiane o estere, aventi finalità strumentali correlate al perseguimento degli obiettivi di promozione e sviluppo da parte di imprese italiane di iniziative di investimento e collaborazione commerciale ed industriale all’estero, quali società finanziarie, assicurative, di leasing e di factoring. Inoltre, SIMEST, quale gestore unico di fondi pubblici, corrisponde, direttamente alle imprese italiane, contributi agli interessi (nella misura massima del 50% del tasso di riferimento) a fronte di finanziamenti concessi da banche, italiane o estere, della quota di capitale di rischio nelle società estere partecipate dalla stessa SIMEST. All’intervento diretto di SIMEST si aggiunge, quindi, la possibilità di accedere ai finanziamenti agevolati concessi dalle citate banche, nel rispetto comunque dei parametri stabiliti dall’U.E. in materia di intensità di aiuto pubblico alle imprese. Oltre alla suddetta agevolazione creditizia, le imprese italiane possono ricorrere alla garanzia assicurativa di SACE per la copertura dei rischi politici e commerciali derivanti dal mancato trasferimento dei fondi a loro spettanti, nei limiti della quota sottoscritta nella società estera partecipata da SIMEST, in base alle modalità operative e condizioni di polizza stabilite dalla stessa SACE. 170 LEGGE 24.4.1990, n. 100 SOCIETA’ ALL’ESTERO - SIMEST SpA • Importo dell’intervento SIMEST per l’assunzione di partecipazione nel capitale dell’impresa o società estera: in misura non superiore al 25%; • BANCHE (italiane o estere) per la concessione del finanziamento agevolato: non superiore al 90% della quota di partecipazione dell’impresa italiana nella società estera, fino al 51% del capitale di quest’ultima. Detti finanziamenti sono ammissibili entro l’importo massimo di: • 40.000.000,00 di euro, per impresa e per anno solare; • 80.000.000,00 di euro, per gruppo economico (insieme di imprese i cui bilanci rientrano in uno stesso bilancio consolidato) e per anno solare. Cosa fare per ottenere i benefici L’operatore proponente presenta direttamente a SIMEST il progetto di società estera corredata da documentazione e da informazioni di carattere tecnico, industriale, economico, finanziario riguardanti sia l’impresa italiana sia, nel caso di joint venture, il partner estero. Per richiedere il contributo agli interessi, l’operatore presenta alla SIMEST SpA la richiesta di agevolazione completa della documentazione indicata nel modulo di domanda. Procedura e tempi I tempi medi per la conclusione dell’istruttoria e per un riscontro ufficiale con la valutazione di SIMEST sulle proposte di partecipazione sono contenuti in circa tre mesi. Non oltre tre mesi dalla data della delibera di partecipazione SIMEST, l’operatore può richiedere l’intervento agevolato della stessa SIMEST, utilizzando un apposito modulo, reperibile presso quest’ultima. Il finanziamento è deliberato entro 6 mesi dalla presentazione della domanda da parte dell’operatore. Uffici incaricati SIMEST SPA Corso Vittorio Emanuele II, 323 - 00186 ROMA Tel. 06686351 Sito Internet: www.simest.it e-mail: [email protected] Altro punto di contatto Ministero del Commercio Internazionale Viale America, 341 - 00144 ROMA Tel. 0659931 - fax 0659932153 Direzione Generale per le Politiche di Internazionalizzazione Tel. 0659932380 Sito web di riferimento http://www.mincomes.it/strumenti/indice.htm 171 Legge 26.2.1987, n. 49 - art. 7 SOCIETA’ MISTE ALL’ESTERO Che cosa è L’art. 7 della legge 49/87 prevede, nell’ambito della cooperazione dell’Italia con i paesi in via di sviluppo, la possibilità di incentivare la creazione di imprese miste nei PVS. Beneficiari Aziende italiane che acquisiscono quote di capitale di rischio in imprese miste da realizzare in Paesi in via di sviluppo. Paesi di destinazione Tutti i PVS, con reddito annuo pro-capite inferiore a 3.250 $ USA. Tipo di intervento Finanziamento di conferimenti in denaro e/o in natura al capitale di rischio delle imprese miste. Sono finanziabili conferimenti in denaro e/o in natura al capitale di rischio delle imprese miste per iniziative riguardanti i settori agricolo, industriale e delle infrastrutture, queste ultime relative ai trasporti, telecomunicazioni, energia, acqua e sanità. La partecipazione delle imprese italiane dovrà avere una consistenza significativa sia nel capitale di rischio, sia nella gestione dell’impresa, sia nella formazione e sviluppo del "management" locale. La partecipazione degli investitori locali non potrà comunque essere inferiore al 25%. Importo dell’intervento Non superiore a 10.329.000,00 di euro: fino al 70% dei primi 5.164.000,00 di euro di partecipazione e fino al 50% della quota eccedente (quest’ultima nel caso di iniziative di particolare rilievo ai fini degli obiettivi di sviluppo dei PVS). Il finanziamento ottenuto sarà rimborsato in 8 anni, oltre ad un periodo di grazia (per capitale e interessi) non superiore a 2 anni, ad un tasso fisso pari al 30% del tasso di riferimento. A totale copertura del finanziamento, l’azienda beneficiaria dovrà presentare fideiussione bancaria o assicurativa, oppure altre forme di garanzie reali, accettate dal Mediocredito Centrale. Procedura L’istruttoria è effettuata congiuntamente dal Ministero degli Affari Esteri - Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo (gradimento del Governo del PVS, rispondenza del progetto alle direttive generali in materia di cooperazione, validità tecnico-economica del progetto) e dal Mediocredito centrale (affidabilità dell’impresa italiana richiedente in generale e in rapporto all’iniziativa, acquisizione certificazione antimafia). Al termine dell’istruttoria, il Comitato Direzionale, operante presso il Ministero degli Affari Esteri, esprime un parere, che consente di dare avvio alla procedura di autorizzazione alla concessione (da parte del Mediocredito centrale) del finanziamento Uffici incaricati MINISTERO AFFARI ESTERI Direzione Generale Cooperazione allo Sviluppo Piazzale della Farnesina, 1 - 00100 ROMA Tel. 0639611 - Fax. 063235982/36914193 MEDIOCREDITO CENTRALE S.p.A. Servizio Agevolazioni Estero Via Piemonte, 51 - 00187 ROMA Tel. 0647911 - Fax. 064791577 Altri punti di con- Ministero del Commercio Internazionale tatto Viale America, 341 - 00144 ROMA Tel. 0659931 - fax 0659932153 Direzione Generale per le Politiche di Internazionalizzazione Tel. 0659932380 Sito web di riferimento 172 http://www.mincomes.it/strumenti/indice.htm FINANZIAMENTO 75% - 25% DEI COSTI RELATIVI A STUDI DI FATTIBILITA’ FINALIZZATI A: a) insediamenti commerciali/produttivi all’estero di distretti, consorzi, raggruppamenti di imprese Che cos’è Una modalità innovativa di intervento Ministero Commercio Internazionale/ICE, con la quale si vuole stimolare l’internazionalizzazione delle PMI organizzate in distretti, raggruppamenti, o consorzi. L’intervento consiste nel cofinanziamento fino al 75% delle spese relative a studi di fattibilità direttamente finalizzati ad investimenti congiunti di più imprese sui mercati esteri. Lo stanziamento disponibile per il presente bando ammonta a € 4 milioni Finalità Incentivare la presenza stabile e aggregata all’estero di piccole imprese, tramite il finanziamento di studi di fattibilità preliminari ad investimenti relativi a insediamenti permanenti collettivi di natura commerciale o produttiva. Richiedenti Almeno 5 PMI organizzate in distretti, in consorzi, in raggruppamenti (RTI). I raggruppamenti di imprese possono costituirsi per l’occasione, con l’impegno di formalizzare l’aggregazione in RTI o altra forma al momento dell’eventuale finanziamento. Le richieste potranno essere presentate anche tramite Regioni, Associazioni settoriali di categoria, nazionali o territoriali, Camere di commercio, purché sottoscritte anche da almeno 5 imprese. Nel caso di Consorzi il cui Presidente sia legalmente autorizzato a rappresentare le imprese associate, sarà sufficiente la sottoscrizione del Presidente, ma dovranno essere indicate le ragioni sociali di almeno 5 imprese che realizzeranno il futuro investimento. Paesi di destinazione dello S.d.F. e dell'investimento Paesi non appartenenti all’Unione Europea. Tipo di agevolazione Lo studio di fattibilità deve essere finalizzato al successivo investimento all’estero, riguardante strutture stabili, quali: a. show room collettive (esclusi uffici di rappresentanza e punti vendita al dettaglio); b. centri collettivi di servizi che svolgano funzioni di: assistenza post vendita, formazione, gestione di /magazzini/ricambi, assistenza tecnica; c. impianti produttivi di beni o servizi (comprese reti distributive). I risultati dello studio restano a disposizione del Ministero e dell’ICE. Ammontare del finanziamento La percentuale dei costi dello studio di fattibilità assunta a carico pubblico è del 75%, fino ad un massimo di € 100.000 nel caso di studi concernenti i precedenti punti a) e b); fino ad un massimo di € 150.000 per quelli concernenti il precedente punto c). I costi residui sono a carico dei richiedenti, ripartiti tra le imprese secondo le percentuali e le modalità che dovranno essere specificamente indicate nella domanda. Le voci di costo previste devono essere qualitativamente e quantitativamente coerenti con il tipo di investimento programmato (vedi apposita scheda). Ulteriore azione pubblica Lo sviluppo dello studio sarà seguito dal Ministero e dall’ICE, per assicurarne l’efficacia rispetto all’investimento previsto. I richiedenti dovranno informare sulle successive fasi dell’investimento il Ministero, che lo potrà sostenere nell’ambito delle proprie attività istituzionali all’estero, nei contatti con le Autorità del paese interessato - anche in occasione delle missioni di diplomazia commerciale - nonchè attraverso l’assistenza dell’ICE in loco e l’eventuale supporto finanziario della SIMEST e della FINEST all’investimento. Condizioni per l'erogazione Il finanziamento sarà erogato in via anticipata per il 50% delle spese ammesse, dietro presentazione di fideiussione bancaria di pari importo e il saldo a con- 173 FINANZIAMENTO 75% - 25% DEI COSTI RELATIVI A STUDI DI FATTIBILITA’ FINALIZZATI A: a) insediamenti commerciali/produttivi all’estero di distretti, consorzi, raggruppamenti di imprese clusione dello studio, su presentazione di documentazione giustificativa delle spese sostenute e previo invio di copia dello studio realizzato. Spese ammissibili Le tipologie di spese ammissibili sono indicate in allegato. Saranno ammesse al finanziamento soltanto le spese effettuate successivamente alla comunicazione di approvazione del progetto da parte dell’ufficio ICE responsabile del procedimento. Mancato investimento Qualora lo studio abbia dato risultati positivi, entro un anno dalla sua conclusione dovrà essere comunicato al Ministero e all’ICE l’avvio dell’investimento, salvo il caso di impedimento dovuto a forza maggiore, che dovrà essere adeguatamente documentato. La mancata realizzazione dell’investimento costituirà elemento negativo di valutazione per l’ammissione a futuri analoghi bandi. Intervento della SIMEST/FINEST Gli interessati, visto l’esito dello studio di fattibilità, potranno richiedere l’intervento della SIMEST o della FINEST, che valuteranno, secondo le proprie procedure, la possibilità di un intervento di sostegno finanziario per la realizzazione dell’investimento Referenti Ministe- Ministero Commercio Internazionale - D.G. Promozione Scambi - Div. II ro/ICE [email protected] ICE - Dip. Promozione - Area collaborazione industriale [email protected] Sito web di riferimento http://www.mincomes.it/strumenti/indice.htm Nota "Per Paesi non appartenenti all' Unione Europea vanno intesi anche quelli che alla data di scadenza di presentazione delle domande (31.10.2006), pur avendo avviato i negoziati di ingresso nell' Unione, non hanno ancora perfezionato la procedura di adesione con la sottoscrizione del relativo Trattato oppure l'adesione non è ancora operativa come nel caso di Romania e Bulgaria" 174 IV Inquadramento statistico dei Paesi-obiettivo individuati: Albania e Grecia IV.1 ITALIA-GRECIA ● Inquadramento macroeconomico e settoriale. L’economia greca è cresciuta negli ultimi anni a ritmi sostenuti con incrementi del PIL ben superiori alla media europea. Nel 2007, in linea con il trend positivo, il Prodotto Interno Lordo si è attestato a 230 miliardi di euro, con un incremento in termini reali del 3,9% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Tale risultato è stato possibile grazie alla sostenuta domanda interna determinata, soprattutto, da un robusto aumento della spesa per beni di consumo e dalla crescita degli investimenti. Come risulta dalla composizione del PIL, la Grecia è un Paese caratterizzato da una netta prevalenza del terziario (71%) rispetto all’industria (22%) ed all’agricoltura (7%). In particolare, nel terziario, i settori trainanti risultano i trasporti marittimi ed il turismo che, nel 2007, hanno generato entrate rispettivamente di 17 e di 11,4 miliardi di euro. Nell’industria manifatturiera i comparti principali sono l’agro-alimentare, i prodotti industriali per materie prime, i prodotti artigianali, i macchinari e sistemi di trasporto. Nel comparto relativo all’agricoltura le produzioni più importanti riguardano l’olio d’oliva, l’uva, il vino, i cereali ed il cotone. La considerevole crescita dell’economia greca negli ultimi anni, a ritmi superiori alla media europea, ha contribuito in modo positivo alla convergenza reale con gli altri Paesi della Comunità Europea. Gli scenari disponibili, in effetti, prospettano una crescita sostenuta anche nei prossimi anni valutabile intorno al 4%; al contempo, per il 2008 si prospetta una crescita sostenuta degli investimenti privati, valutabile intorno al 10,5%; effetti benefici sono previsti anche per l’occupazione (+7,4%), fermi restando i rischi di spinte inflative legate alla crescita della domanda interna. (dati dell’Istituto del Commercio Estero). Il grado d’apertura della Grecia al commercio internazionale è piuttosto significativo, rappresentando oltre un terzo del PIL. Nel 2006 l’interscambio della Grecia con il resto del mondo si è attestato a 67,4 miliardi di euro, con un incremento del 16,5% rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente. In particolare, le importazioni sono cresciute del 15,6% (a fine 2005 erano aumentate soltanto del 3,5%) e le esportazioni del 19,2%. Il saldo della bilancia commerciale, cronicamente negativo, è ammontato a 34,1 milioni di euro (+13,9%). Nel periodo gennaio – giugno 2007 le importazioni ammontato a 27,6 miliardi di euro e le esportazioni a 8,5 miliardi di euro. Interscambio della Grecia con il resto del mondo (Valori espressi in milioni di euro) FLUSSI 2004 2005 Var.% 05/04 2006 Var.% 06/05 2006 gen/giu 2007 gen/giu Var.% 07/06 INTERSCAMBIO IMPORTAZIONI ESPORTAZIONI SALDO 54.635 42.406 12.229 30.178 57.860 43.897 13.964 29.933 5,9% 3,5% 14,2% -8,8% 67.386 50.734 16.652 34.083 16,5% 15,6% 19,2% 13,9% 33.483 25.351 8.132 -17.219 36.180 27.656 8.524 -19.132 8,1% 9,1% 4,8% 11,1% Fonte: eleborazioni ICE Atene si dati dell’Ente Ellenico Statistiche 175 I Paesi dell’Unione Europea sono stati nel periodo in esame i più importanti partners commerciali della Grecia, precedendo i Paesi dell’Europa Centro Orientale, dell’Asia e del Nord America. Importazioni della Grecia dai principali partners commerciali (Valori espressi in milioni di euro) 2004 PAESE DI ORIGINE 2005 2006 Var. '06/'05 (%) Valore Quota Valore Quota Valore Quota TOTALE di cui: Germania 42.406 100% 43.897 100% 50.734 100% 15,6% 5.661 13,3% 5.796 13,2% 6.339 12,5% 9,4% Italia 5.462 12,9% 5.366 12,2% 5.900 11,6% 9,9% Russia 2.303 5,4% 3.390 7,7% 3.577 7,1% 5,5% Francia 2.712 6,4% 2.507 5,7% 3.006 5,9% 19,9% Paesi bassi 2.351 5,5% 2.410 5,5% 2.615 5,2% 8,5% Corea del Sud 1.724 4,1% 1.179 2,7% 2.124 4,2% 80,2% Arabia Saudita 1.284 3,0% 1.806 4,1% 1.939 3,8% 7,4% Regno Unito 1.769 4,2% 1.629 3,7% 1.897 3,7% 16,4% Cina 1.419 3,3% 1.703 3,9% 1.819 3,6% 6,8% Iran 1.155 2,7% 1.489 3,4% 1.815 3,6% 21,9% 2006 Gen/Giu PAESE DI ORIGINE 2007 Gen/Giu Var. '06/'07 (%) TOTALE Valore 25.351 Quota 100% Valore 27.656 Quota 100% 9,1% di cui: Germania 3.107 12,3% 3.423 12,4% 0,0% Italia 2.861 11.3% 3.099 11,2% 8,3% Russia 1.859 7,3% 1.596 5,8% -14,1% Francia 1.580 6,2% 1.545 5,6% -2,2% Paesi bassi 1.291 5,1% 1.262 4,6% -2,2% Corea del Sud 1.120 4,4% 1.243 4,5% 11,1% Arabia Saudita 1.199 4,7% 612 2,2% -49,0% Regno Unito 919 3,6% 996 3,6% 8,4% Cina 930 3,7% 1.326 4,8% 42,6% Iran 1.029 4,0% 1.051 3,8% 2,1% Fonte: elaborazioni ICE Atene su dati dell'Ente Ellenico Statistiche 176 Sul versante delle importazioni si sono confermati quali principali interlocutori la Germania e l’Italia, che detengono insieme il 24,1% delle quote di mercato nel 2006, mentre per il periodo dei primi 6 mesi del 2007 detengono il 23,6% . Infatti, i due Paesi hanno esportato, nel 2006, rispettivamente 6,3 e 5,9 miliardi di euro e 3,4 e 3,1 miliardi di euro nel periodo indicato del 2007. La composizione merceologica delle importazioni greche dal mondo rivela la posizione prioritaria del comparto delle ”Macchine e attrezzature industriali, mezzi di trasporto” i cui acquisti, nel 2006, sono ammontati a 14,5 miliardi di euro, con un incremento del 14,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e nel 1° semestre del 2007 sono ammontati a 8,1 miliardi di euro (+12,8%). La voce più rappresentativa di tale comparto è risultata quella relativa a Mezzi di trasporto (4,3 miliardi di euro nel 2006 e 2,6 nel periodo considerato del 2007). Seguono il comparto dei “Minerali e combustibili” (9,7 miliardi di euro, +23,2% e 4,2 miliardi nel periodo considerato del 2007 ,-14,7%), dei “Prodotti industriali classificati per materia prima” (7,2 miliardi di euro, +21,8% nel 2006 e 4,1 miliardi di euro nel periodo considerato del 2007, +19,1%), dei “Prodotti chimici e affini” (6,9 miliardi di euro, +9,1% nel 2006 e 3,9 miliardi di euro nel periodo considerato del 2007 , +8,9%), dei “Vari prodotti industriali” (5,8 miliardi di euro, +12,4% nel 2006 e 3,3 nel periodo considerato del 2007,+18,3%), dei “Prodotti agro-alimentari e animali vivi” (4,4 miliardi di euro, +10,8% nel 2006 e 2,3 miliardi di euro nel periodo considerato 2007, +5,6%). Importazioni greche di "PRODOTTI AGROALIMENTARI E ANIMALI VIVI" (Valori espressi in milioni di euro) 2006 Gen/Giu PAESE DI ORIGINE 2007 Gen/Giu Var. '06/'07 (%) TOTALE Valore 2.205 Quota 100% Valore 2.328 Quota 100% 5,6% di cui: Francia 397 18,0% 321 13,8% -19,1% Olanda 315 14,3% 319 13,7% 1,3% Germania 313 14,2% 348 14,9% 11,2% Italia 225 10,2% 231 9,9% 2,7% Spagna 96 4,4% 126 5,4% 31,3% Fonte: elaborazioni ICE Atene su dati dell'Ente Ellenico Statistiche La Francia, nel periodo gennaio-dicembre 2006, incrementando le proprie esportazioni verso la Grecia del 25,3%, ha aumentato la propria quota di mercato dell’1,9%, rappresentando, così, il 16,4% del totale degli 177 acquisti ellenici del comparto in esame. Per il periodo del 1° semestre del 2007 si mantengono quasi le stesse quote. La massiccia presenza in Grecia della Grande Distribuzione Alimentare (GDO) francese (es. Carrefour) ha favorito, senza dubbio, la crescita vertiginosa dei prodotti agro-alimentari transalpini. Anche l’Olanda e la Germania hanno incrementato le proprie vendite ma in misura minore rispetto alla Francia; le loro quote di mercato sono rimaste pressochè inalterate (14,8 e 14,5% 2006 e 13,7% e 14,9% 2007 ). L’Italia ha esportato prodotti per 468 milioni di euro (+9,6%), perdendo leggermente la propria quota di mercato (10,6%) e nel 1° semestre del 2007 ha esportato prodotti per un totale di 231 milioni di euro (9,9%). È opportuno rilevare che le esportazioni greche verso l’Italia sono aumentate nel periodo di riferimento, del 27,8%, ossia di 406 milioni; conseguentemente il gap nei confronti della Germania si e’ quasi annullato (1.878 milioni di euro contro 1.862 milioni di euro). La struttura merceologica delle esportazioni greche verso il mondo ha interessato in prima misura il comparto dei ”Prodotti industriali classificati per materia prima” le cui vendite, nel 2006, sono ammontate a 3,4 miliardi di euro, con un incremento del 18,8% rispetto all’anno precedente; mentre nel 1° semestre del 2007 le vendite sono ammontate a 1,9 miliardi di euro, con un incremento del 10,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. La voce quantitativamente più rappresentativa di tale comparto è risultata quella relativa ai metalli non ferrosi (1,2 miliardi di euro nel 2006 e 0,7 miliardi di euro nel 1° semestre del 2007). Seguono il comparto dei “Prodotti agro-alimentari e animali vivi” (2,3 miliardi di euro, +14,2% e circa 1,1 miliardi gen/giu 2007 , +1,7% ), dei “Prodotti chimici e affini” (2,2 miliardi di euro, +6,8% e 1,2 miliardi gen/giu 2007 , +14,7%), dei “Minerali e combustibili” (2,2 miliardi di euro, +64,1% e 1,0 miliardi di euro gen/giu ,-3,9%), delle “Macchine e attrezzature industriali, mezzi di trasporto” (2,1 miliardi di euro, +18,2% e 1,1 miliardi di euro gen/giu 2007, +13,7%), dei “Vari Prodotti Industriali” (2 miliardi di euro, +2,3% e 0,9 miliardi di euro, - 6,4%). ● Interscambio Italia-Grecia. L’interscambio tra Italia e la Grecia è favorito da fattori strutturali di carattere economico, geografico, storico e culturale. Se sul fronte storico e culturale le affinità sono ben note, su quello economico va evidenziato il rapporto di complementarità tra i vari comparti dei rispettivi sistemi produttivi. Infatti la vicinanza geografica ha tradizionalmente agevolato le relazioni commerciali tra i due paesi. 178 Scambi commerciali tra Grecia e Italia (Valori espressi in milioni di euro) 2005 2006 Var. % '06/'05 2007 Var. % '07/'06 INTERSCAMBIO 6.822 7.762 13,8% 8.308 7,0% IMPORTAZIONI DALL'ITALIA ESPORTAZIONI VERSO L'ITALIA SALDO 5.366 5.900 10,0% 6.467 9,6% 1.456 1.862 27,9% 1.841 -1,1% -3.910 -4.038 3,3% -4.626 14,6% FLUSSI Fonte: elaborazioni ICE Atene su dati dell'Ente Ellenico Statistiche I dati forniti dall’Ente Ellenico di Statistica, relativi al periodo gennaiodicembre 2007, evidenziano che il commercio bilaterale tra l’Italia e la Grecia ha registrato un incremento del 7% rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente, attestandosi su un valore di 8,3 miliardi di euro. Nel periodo in esame le esportazioni italiane sono ammontate a 6,5 miliardi di euro (+9,6% rispetto ai 12 mesi precedenti) mentre le importazioni hanno superato 1,8 miliardi di euro (-1,1%). Il saldo, tradizionalmente favorevole all’Italia, è cresciuto ancora e si è attestato ad oltre 4,6 miliardi di euro. La maggior parte della presenza italiana in Grecia è costituita da numerose piccole-medie imprese italiane, che sfuggono a qualsiasi rilevamento statistico e curano (tramite rivenditori ed agenti locali) una capillare diffusione dei beni di consumo e dei prodotti italiani in genere (abbigliamento, mobili, articoli per la casa, prodotti alimentari, etc.). La strada è stata aperta dai grandi gruppi (FIAT, FIAT CREDIT, ENI, PIRELLI CAVI e PIRELLI PNEUMATICI, BARILLA, ALITALIA, LUXOTTICA, MONTEDISON, ENEL), che, all’inizio degli anni ’90, incominciarono ad avviare iniziative di cooperazione industriale volte al consolidamento della loro presenza nel Paese. Nella seconda metà degli anni ’90, si sono affacciate sul mercato anche le piccole e medie imprese che spesso hanno stipulato “joint-ventures” con soci greci anche in funzione di una penetrazione commerciale in mercati limitrofi. Le presenze imprenditoriali più rilevanti sono da annoverare nei seguenti settori di attività. Nel settore dell'Industria agro-alimentare e ristorazione: COOPERLAT, EURICOM, CAMPARI, FERRERO, AUTOGRILL. BARILLA, Il grado di penetrazione dei prodotti italiani è quantitativamente e qualitativamente elevato, essendo l’Italia il secondo partner commerciale della Grecia. I comparti in cui maggiore è il flusso proveniente dall’Italia sono quelli dell’abbigliamento ed accessori, dell’agro/alimentare, dei mezzi di trasporto, delle attrezzature industriali, delle macchine utensili; cui si aggiungono il settore dei materiali da costruzione, telecomunicazioni, tessile, prodotti chimici e prodotti di largo consumo. Il radicamento delle imprese italiane sul territorio greco, al contrario, è piuttosto modesto anche se negli ultimi anni sono sempre più numerose le aziende del nostro paese che, in forma autonoma o in Joint Venture, hanno spostato il ramo principale della propria attività in Grecia. Si ritiene che i settori in cui permangono buone opportunità commerciali e di nuovi investimenti da parte delle nostre aziende siano: agro-industria, 179 edilizia, infrastrutture, grandi opere, siderurgia, autoveicoli, veicoli industriali, macchine utensili, prodotti chimici, tessili, materie plastiche, ristorazione, beni di largo consumo e di lusso. Un settore ancora poco esplorato dalle imprese italiane che merita su tutti di essere ricordato per le opportunità d’inserimento che esso appare destinato ad offrire nel prossimo futuro è l’industria del turismo (forniture e servizi) estesa ai sub-settori dell’agriturismo, dell’ecoturismo e “termalismo”. Scambi commerciali tra Grecia e Italia (Valori espressi in milioni di euro) Flussi Interscambio 2006 Gen/Giu 3.853 2007 Gen/Giu 4.038 Var% 06/07 4,8% Importazioni dall’Italia 2.861 3.099 8,3% Importazioni l’Italia SALDO 974 939 -3,6% -1.887 -2.160 14,5% verso Fonte: elaborazioni ICE Atene su dati dell'Ente Ellenico Statistiche Nel periodo in esame le esportazioni italiane sono ammontate a 5,9 miliardi di euro (+9,9% rispetto ai 12 mesi precedenti) mentre le importazioni hanno raggiunto quasi l’1,9 miliardi di euro (+27,8%). Il saldo, tradizionalmente favorevole all’Italia, è cresciuto ancora e si è attestato ad oltre 4 miliardi di euro. Nel periodo gennaio – giugno 2007 le esportazioni italiane sono ammontata a 3,0 miliardi di euro (+8,3% rispetto allo stesso periodo del 2006), mentre le importazioni hanno registrato 0,9 miliardi di euro (-3,6%). I risultati fatti registrare dalle nostre esportazioni derivano sia dall’attività di un nutrito e crescente numero di PMI italiane, sia dalla ormai tradizionale presenza dei grandi gruppi industriali nazionali. Per quanto concerne la composizione merceologica delle esportazioni greche verso l’Italia, relativamente al 2006, circa il 27,2% delle vendite è rappresentato dai “Prodotti industriali classificati per materia prima”, in particolare dai Metalli non ferrosi; mentre per il periodo del primo semestre del 2007 la stessa voce rappresenta il 33,9%. Seguono il comparto dei “Prodotti agro-alimentari e animali vivi” (355 milioni di euro, +15,1%), in particolare di Pesci, crostacei, molluschi ; mentre nel periodo del 1° semestre 2007 le esportazioni elleniche di tale comparto hanno registrato 158 milioni di euro (-10,2%) rispetto allo stesso periodo del anno precedente. Seguono i settori “ Olii e grassi vegetali”, “Minerali e combustibili” e “prodotti chimici e affini”. ● Valutazione della penetrazione commerciale dei prodotti italiani e pugliesi sul mercato locale. Il grado di penetrazione dei prodotti italiani e’ di massimo livello, essendo l’Italia il secondo partner commerciale della Grecia. A fronte di esportazioni greche dirette nel nostro paese che riguardano principalmente i settori dell’agricoltura (olio di oliva, frumento, tabacco) e della pesca e, a completamento, quelli dell’acciaio, dei laminati, del cemento e dell’alluminio, i comparti in cui maggiore è il flusso proveniente dall’Italia sono quelli dell’abbigliamento ed accessori, dei mezzi di trasporto, delle at- 180 trezzature industriali, delle macchine utensili; cui si aggiungono il settore agro-alimentare, materiali da costruzione, telecomunicazioni, tessile, prodotti chimici e prodotti di largo consumo. Di sicuro interesse anche il settore delle infrastrutture ferroviarie, stradali, portuali e aeroportuali. I settori in cui è concentrata la presenza italiana non appaiono, allo stato, saturi. Essi rappresentano di conseguenza quelli in cui si riscontano a tutt’oggi le migliori opportunità di nuovi inserimenti da parte delle nostre aziende. Nel commercio la provincia di Brindisi registra un saldo negativo della bilancia commerciale: nel 2006 le importazioni (€ 1.225.985.587) hanno superato le esportazioni (€ 844.722.005). Lo stesso andamento si registra tanto in Puglia quanto in Italia. Tra i settori trainanti del commercio internazionale, predomina quello legato ai prodotti chimici, dove le importazioni superano la metà (evidentemente si tratta di materie prime e/o semilavorati destinati al polo petrolchimico di Brindisi) e le esportazioni rappresentano addirittura oltre i due terzi del totale merci esportato dalla provincia, guadagnando quindi un saldo positivo. Altro settore importante per quanto riguarda le esportazioni è quello metalmeccanico (Brindisi tra le altre cose vanta la presenza di un polo aeronautico). Tra gli altri aspetti positivi si rileva il saldo registrato dal sistema moda, mentre negativo quello dei prodotti alimentari. Anche per quanto riguarda i consumi si denota l’ampliamento della forbice che segna il distacco tra l’area oggetto di studio e la media nazionale. Infatti la crescita in questo caso, sebbene ancora positiva, è inferiore a quella registrata a livello nazionale e segue maggiormente l’andamento registrato in Puglia e, in generale, nelle regioni del Sud Italia. Il freno nei consumi, rispetto ad altre regioni italiane, è dovuto al divario nel reddito disponibile pro-capite, addirittura inferiore a quello mediamente registrato in Puglia. IV.2 ITALIA-ALBANIA ● Inquadramento macroeconomico e settoriale L’Albania ha una superficie pari ad una media regione italiana, con un territorio in gran parte montuoso-collinare e limitate pianure lungo la costa adriatica. E’ divisa amministrativamente in 12 regioni. La popolazione ammonta a 3,2 milioni di abitanti, di cui il 28,1% di età compresa tra 0 e 14 anni, il 64,6% di età compresa tra 15 e 64 anni, il 7,3% di età superiore a 65 anni. Il Paese dispone di risorse naturali quali petrolio, gas naturale, carbone, cromo, rame, nickel, energia idroelettrica e legname, ma tutte queste risorse sono non sfruttate o sottostimate. Il Paese sta realizzando una difficile transizione ad una moderna economia di mercato, supportato anche dalle rimesse dall’estero per oltre 232 miliardi di $ annui, in gran parte provenienti dalla Grecia e dall’Italia, dove risultano presenti piu’ di 321 mila albanesi con regolare permesso di soggiorno. Ciò consente di compensare totalmente il considerevole disavanzo commerciale. L’accesso dell’Albania alla Organizzazione Mondiale del Commercio, nel settembre 2000, ha permesso l’applicazione in loco delle politiche e delle regole del commercio internazionale che assicurano agli investitori stranieri la parità di trattamento nei rapporti commerciali. Il Paese gode di un accesso preferenziale al mercato dell’Unione Europea, beneficiando di agevo- 181 lazioni fiscali sulle esportazioni. Il 12 giugno 2006 l’Unione Europea e l’Albania hanno firmato un accordo di stabilizzazione e associazione (ASA) ed un ulteriore Interim Agreement che consente la libera importazione delle merci dai Paesi dell’Unione Europea. Tali Accordi sono stati ratificati dal Parlamento albanese il 3 agosto 2006. L’Interim Agreement è entrato in vigore il 1° dicembre 2006 ed in base alla nuova normativa l’83% dei prodotti industriali importati in Albania dai Paesi dell’Unione Europea è esentato dalle tasse doganali. Per il restante 17% (che comprende idrocarburi, fertilizzanti, prodotti plastici, ecc.) è prevista invece una graduale riduzione dei dazi d’ingresso in un periodo di cinque anni. Inoltre, nel quadro del Patto di Stabilità, l’Albania ha concluso, negli anni scorsi, accordi di libero scambio con alcuni Paesi dell’area balcanica. Dal 1° maggio 2007 l’Albania fa parte del CEFTA (Accordo centroeuropeo di libero scambio) al quale aderiscono anche la Croazia, FYROM, la Serbia, la Bosnia- Herzegovina, il Montenegro e la Moldova. Tale Accordo è importante sia per la creazione di una zona di libero scambio regionale sempre più avanzata sia per attuare un’armonizzazione della normativa doganale e fiscale dei Paesi aderenti, propedeutica ad una futura adesione alla UE. ● Interscambio Italia-Albania I rapporti commerciali tra Italia ed Albania ammontano a circa 1 mld di euro con un forte saldo positivo per l’Italia, primo partner commerciale del piccolo Paese balcanico. Dunque i rapporti economici e commerciali con l’Italia sono molto importanti per l’Albania, soprattutto ai fini della sua integrazione europea. I principali prodotti esportati verso l’Italia sono: abbigliamento e calzature (lavorazioni a façon), semilavorati in legno, tabacco, minerali, piante medicinali, cemento, materiali da costruzione e metalli. Le importazioni dall’Italia riguardano invece macchinari industriali, attrezzature elettriche, prodotti alimentari e bevande, carburanti, materiali edili, abbigliamento e calzature, prodotti farmaceutici. Sono oltre 500 le imprese italiane stabilmente operanti in Albania, suddivise tra quelle con casa madre in Italia, con socio e/o capitale italiano ed organizzazioni non governative (ONG) e quelle non lucrative di utilità sociale (ONLUS). Nel primo semestre del 2007 il deficit della bilancia commerciale è aumentato del 23,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, incidendo in modo rilevante le importazioni di prodotti energetici per far fronte alla continua pesante crisi che il Paese sta affrontando. Nel 2006, il commercio estero albanese ha avuto un incremento del 14,9% raggiungendo 2.946 milioni di Euro. In particolare le importazioni sono aumentate del 15,4% e le esportazioni del 18,8% rispetto all’anno precedente. Il deficit commerciale ha raggiunto 1.686 milioni di Euro con un incremento de 14,1% rispetto al 2005. Le importazioni hanno riguardato soprattutto macchinari ed attrezzature (20% del totale); alimentari e bevande (17,9%), materiali edili (16,%) tessili e calzature (11,7%). Circa la composizione delle esportazioni, al primo posto ci sono tessili e calzature (lavorazioni à façon) con il 54,7%, seguiti da materiali da costruzione e metalli (16,7%) e da alimentari, bevande e tabacco (7,9%). I principali partner commerciali dell’Albania sono: Italia, Grecia, Turchia, Germania, Cina e FYROM. Anche a seguito di recenti Accordi per la crea182 zione di un’area di libero scambio sono in netto aumento le percentuali di interscambio con i partners balcanici, in particolare Bulgaria, Romania, Croazia; in forte crescita anche il commercio con la Russia e l’Ucraina. Commercio estero albanese (valori espressi in milioni di euro) Importazioni albanesi Esportazioni albanesi interscambio SALDO 2003 1.638 2004 1.762 2005 2.007 2006 2.316 2007 I Q 629,5 395 485 530 630 181,9 2.033 - 1,243 2.247 - 1,277 2.537 - 1,477 2.946 - 1,686 811,4 - 447,6 Fonte: Banca di Albania (rielaborata) IMPORT ALBANESE 2005-2006 (% sul totale) 2005% 29,28 16,43 7,48 6,6 5,46 4,03 2,86 0,72 ITALIA GRECIA TURCHIA CINA GERMANIA RUSSIA UCRAINA ROMANIA 2006% 28,07 15,72 7,62 5,97 5,66 4,07 3,83 1,72 EXPORT ALBANESE 2005-2006 (% sul totale) ITALIA GRECIA GERMANIA MACEDONIA TURCHIA CINA 2005% 72,43 10,46 3,32 1,57 1,72 0,18 2006% 72,61 9,6 3,16 1,6 1,27 1,14 Come già detto l’Italia rappresenta il principale partner commerciale dell’Albania, con una quota di circa il 37% dell’intero commercio estero albanese. Nel 2006 le importazioni albanesi dall’Italia sono aumentate del 9,3%, mentre le esportazioni sono aumentate del 18,2%, ma la quota delle importazioni rispetto al totale è diminuita dal 29,31% al 28%, mentre la quota delle esportazioni si è mantenuta sostanzialmente sullo stesso livello del 2005, registrando un lieve aumento percentuale (dal 72,4% al 72,6%). 183 INTERSCAMBIO ITALIA-ALBANIA (percentuale sul totale albanese) ANNO IMPORT EXPORT 1996 40 58 1997 46 51 1998 44 60 1999 37 67 2000 37 71 2001 31,9 70,6 2002 34,5 72,4 2003 33,5 74,9 2004 32,5 73,0 2005 29,3 72,4 2006 3,28 72,6 DATI ISTAT ● Valutazione della penetrazione commerciale dei prodotti italiani e pugliesi sul mercato locale. La penetrazione commerciale dei prodotti italiani in Albania è buona, ma può essere estesa ad altre fasce di mercato soprattutto nei settori emergenti. Infatti, oltre un terzo delle importazioni albanesi proviene dall’Italia. Il “made in Italy” esercita un forte fascino sul consumatore albanese. In sostanza, al crescere del tenore di vita, cresce anche l’orientamento verso il prodotto italiano di maggiore qualità, non solo nell’abbigliamento e nei prodotti alimentari, ma anche in altri settori (arredamento, materiali per edilizia, ecc.). L’Italia occupa il primo posto per quanto riguarda il numero delle imprese con capitale partecipato (51,1%) seguita dalla Grecia (24,3%); per quanto attiene al volume degli investimenti, la Grecia occupa il primo posto con il 48%, seguita dall’Italia con il 30%. Gli investimenti provenienti dai Paesi UE sono pari all’82% del totale. Circa i settori economici di destinazione al primo posto è il commercio (67%), quindi l’industria (17%) e i servizi (6%). Gli investimenti italiani sono concentrati principalmente nella parte Ovest del paese, lungo la costa adriatica. Si tratta di interventi di piccole-medie imprese che operano per il 35% nel settore edile; per il 21% nel settore tessile e calzaturiero (produzione “a façon”); per il 16% nel commercio e servizi; per l’8% nell’industria agro-alimentare. I principali punti di forza che attirano l’interesse degli investitori italiani sono in particolare: la vicinanza geografica; le favorevoli condizioni climatiche; la diffusione della lingua italiana nella popolazione locale; il basso costo della mano d’opera semi-qualificata con salari molto più bassi di quelli italiani. Alcuni dei settori nei quali sarebbe auspicabile sviluppare una forte azione di promozione degli investimenti diretti sono: infrastrutture, settore energetico e delle public utilities, settore tessile ed abbigliamento, strutture stradali e portuali, che sono in rapido miglioramento (sostenuti anche dalla cooperazione italiana). Rappresenta inoltre un punto di forza da sviluppare e supportare, il settore del turismo, anche alla luce dei progetti che sono stati messi in essere grazie a finanziamenti comunitari e nazionali. Tra i più noti il progetto INTERREG III - ITALIA- ALBANIA “IL MARE DELLE AQUILE” che, mira a considerare le diverse destinazioni turistiche dell'area costiera che insiste nelle provincie di Bari, Brindisi e Lecce e le corrispondenti aree costiere dell'Albania situate nella zone di Durazzo, Valona fino al comprensorio di Saranda. L'0biettivo del progetto è quello di promuovere lo sviluppo delle suddette aree attraverso lo studio e l'offerta di strumenti di analisi dei vantaggi competitivi, delle potenzialità e delle prospettive di miglioramento del comparto turistico marino concepito nel contesto degli 184 attuali processi di globalizzazione, con un costante riferimento ai concetti di territorio e sostenibilità, intesi come elementi chiave del nuovo "prodotto turismo". I dati rilevati dai questionati somministrati, nel corso del progetto, a turisti e operatori del settore rilevano nel 2006, per la provincia di Brindisi, 265.842 arrivi e 1.323.661 presenze con una permanenza media di 5 notti a persona. Gli arrivi e le presenze provinciali rappresentano rispettivamente il 10,3% e l’11,8% di quelle regionali. Per quanto riguarda la distribuzione di arrivi e presenze sul territorio provinciale, i comuni che hanno registrato la quota maggiore di arrivi e presenze sono Ostuni (29,39% degli arrivi sul totale provinciale, 36,87% delle presenze), Fasano (29,70% degli arrivi sul totale provinciali, 28,56% delle presenze), Carovigno (7,74% degli arrivi sul totale provinciale, 18,11% delle presenze) e Brindisi (21,01% degli arrivi sul totale provinciale, 9,86% delle presenze) che, complessivamente, rappresentano oltre il 90% del flussi turistici provinciali. La provincia, in funzione dell’offerta rilevante di “tipo balneare” e delle caratteristiche delle strutture ricettive (es. presenza significativa di numerosi villaggi turistici), è caratterizzata da una forte stagionalità: nei quattro mesi giugno-settembre, infatti, si registrano il 60% degli arrivi e quasi l’80% delle presenze. La provenienza dei turisti è prevalentemente italiana: i principali bacini di provenienza sono Puglia, Lazio, Campania e Lombardia. Tra i turisti stranieri, invece, si evidenzia la prevalenza di tedeschi e inglesi. Nel confronto tra il 2006 e il 2005, infine, si sottolinea che la provincia di Brindisi ha registrato un incremento degli arrivi pari allo 0,8% e un aumento delle presenze del 1,4%. In particolare si segnala il dato positivo di incremento delle presenze dei turisti stranieri, equivalente ad un +15,4%. La domanda turistica, in linea con il comportamento della domanda a livello regionale, conferma una forte stagionalità, sottolineando il ruolo determinante giocato dal segmento di offerta turistico balneare. Nell’ambito di un giudizio sul sistema ricettivo dell’area piuttosto positivo, Brindisi si colloca su livelli inferiori alle altre due province (Bari-Lecce) sotto il profilo qualitativo, quantitativo e di varietà dell’offerta; esistono quindi degli spazi di crescita in tale ambito il cui miglioramento può contribuire anche a rendere più “appetibile” l’area. In relazione alle necessità realizzative, Brindisi risulta scarseggiare soprattutto di bed & breakfast ed agriturismo rispetto alle altre due province. L’analisi dei risultati per tipologia di impresa ha permesso di evidenziare le differenze che si delineano nella specializzazione verso i singoli prodotti: o il mare è un valore importante per tutte le tipologie di imprese. In particolare rappresenta l’offerta principale per le agenzie di viaggio, per gli alberghi ed è quasi l’unico per i campeggi e gli stabilimenti balneari. Esso è rilevante per gli agriturismo. o l’enogastronomia estende i suoi impatti prevalentemente alle imprese più direttamente coinvolte, che sono rappresentate dalle cantine e dagli agriturismo. 185 o la cultura: rappresenta la prima leva, in ordine di importanza per gli alberghi con servizio di ristorazione e la seconda per le agenzie di viaggio e i ristoranti. Si rileva una incidenza anche per le cantine, le enoteche e gli agriturismo. o la natura: assume una rilevanza sempre crescente per l’offerta turistica in generale ed in particolare incide sulla destagionalizzazione dell’offerta, grazie alle aree protette, i parchi, le riserve naturali, ecc. Tutti gli elementi qui sopra indicati si incontrano, con potenzialità ampiamente inesplorate in Albania. E, con un adeguato sviluppo delle infrastrutture, le montagne dell’Albania, visibili dalle nostre coste, potrebbero diventare, per così dire, le montagne del Grande Salento! La costa albanese si estende per 450 km ed è bagnata dal mare Adriatico e dal mar Ionio. I suoi territori sono attraversati da 1.243 km di fiumi e la superficie dei laghi è 1.032 kmq. E proprio per il suo aspetto paesaggistico, per la sua natura “selvaggia” e non ancora del tutto esplorata, l’Albania é un paese con un grande potenziale turistico: con le sue montagne, le vaste foreste, i laghi, le coste rocciose e le spiagge di sabbia fine. Il territorio dell’Albania si può dividere in tre zone principali: la zona costiera; la zona montuosa con monti che toccano i 2000 m ; ed una zona interna pianeggiante. I prodotti turistici e le opportunità potrebbero essere sviluppate in zone ed aree chiaramente identificate. Uno schema possibile è il seguente: la costa adriatica, lungo la costa di Durrazzo Valona e Shengjin; la costa ionica, una molto protetta verso Saranda e Himara, la più interessante per la Provincia di Brindisi; le zone montane nelle Alpi albanesi, da Scutari a Korca; le zone lacustri di Ohrid, Scutari, Pograde e Prespa. Altri fattori rilevanti sono il clima favorevole, paragonabile al nostro; la vicinanza con La Puglia (35 minuti di volo da Bari a Tirana); la diffusione della lingua italiana tra la popolazione (quasi il 70 %); e la facilità di ingresso nel paese per i cittadini straneri. Nel marzo 2006 in occasione di una delle fiere più importanti dedicate al turismo a Berlino, il governo albanese ha aperto le trattative con l’Organizzazione Mondiale del Turismo, istituzione intergovernativa legata all’Onu, che ha permesso alla Croazia di quadruplicare gli ingressi turistici in soli tre anni. A Berlino il ministro per il turismo albanese Leskaj ha incontrato il segretario generale dell’OMT con lo scopo di presentare un piano improntato ad una promozione culturale e ad un turismo sostenibile che si leghi alle tradizioni dell’Albania. Lo slogan dello stand presente in fiera era, non a caso, “Albania, ultimo segreto da svelare in Europa”. Ed il governo italiano, tramite l’agenzia del Ministero degli Affari Esteri Cooperazione sviluppo Italia, ha offerto 900 mila euro per la formazione al turismo. Nella relazione annuale dell’Istituto del Commercio Estero si legge che questo settore è ritenuto ad “alto potenziale”. Uno dei due istituti di formazione per gli operatori turistici in Albania è gestito da una ong italiana tenuta da religiose. Il Centro Sociale Santa Marcellina di Saranda, ha scelto come focus delle proprie attività la formazione per il turismo, che potrebbe 186 collegarsi al Corso di Laurea in Scienze del Turismo, in corso di attivazione a Brindisi, “…perché Saranda è una città in cui già c’è turismo. Da almeno un anno il governo sta investendo in questa zona: sia sulle infrastrutture, risistemando le strade, sia sul parco nazionale archeologico di Butrinto, dove stanno aprendo altri scavi. L’idea è quella di puntare sul turismo culturale oltre che su quello balneare”. In questo come in molti altri casi, il primo passo da fare è quello di superare le proprie resistenze culturali, ed i propri pregiudizi. Come sottolinea qualcuno: “«Non avere paura, noi siamo albanesi buoni, non come quelli che in Italia vengono a fare i delinquenti e ci fanno fare brutta figura». Non è difficile sentirsi dire questa frase in Albania. Non durante un’intervista o uno scambio di opinioni sul Paese di oggi e di ieri: semplicemente chiedendo indicazioni stradali. La percezione di se stessi e il rapporto che i suoi abitanti hanno con l’Italia e gli italiani è un dato che colpisce immediatamente quando si arriva nel paese delle aquile. Una persona su due parla italiano e spesso ha vissuto in una città italiana, ha un figlio o un cugino che ci abita. Per questo sa anche bene che cosa dicono i media italiani degli albanesi”. 187 c) Fonti di approfondimento e webgrafia o o o o o o o o o o o www. mincomes. it Sito del Ministero per il Commercio Estero utile al reperimento delle schede paese, prodotto/paese, linee guida al commercio estero e dati statistici di import-export. www. ice. gov. it Sito dell’Istituto per il Commercio Estero, ente pubblico con il compito di sviluppare, agevolare e promuovere i rapporti economici e commerciali italiani con l’estero. www. esteri. it Sito del Ministero degli affari esteri con sezioni dedicate ai servizi, alle opportunità ed al viaggiare di interesse sia per il cittadinoturista che per l’imprenditore. www. regione. puglia. it Sito della regione Puglia www. europuglia. it Portale realizzato in collaborazione con la Regione Puglia - assessorato al Mediterraneo e la UE, al fine di promuovere progetti comunitari da e verso la Puglia www. provincia. brindisi. it Sito istituzionale della provincia di Brindisi www. br. camcom. it Sito istituzionale della camera di Commercio di Brindisi con una sezione interamente dedicata all’internazionalizzazione del Paese Puglia e dei Prodotti Puglia, in linea con le linee e gli strumenti comunitari, nazionali e regionali. www. maredelleaquile. it Portale del progetto INTERREG III ITALIA-ALBANIA www. isnart. it Sito della Società Consortile per Azioni del Sistema camerale che approfondisce tematiche, realizza studi e pubblicazioni sul turismo, indagini, rilevazioni e progetti di fattibilità, elaborazione dati, costituzione e forniture di banche dati ed Osservatori, svolgimento di attività editoriali e di promozione, convegni, seminari e dibattiti in ambito turistico. www. enit. it Sito dell’Agenzia Nazionale per il Turismo www. viaggiareinpuglia. it Portale ufficiale della regione Puglia - Assessorato al Turismo e Industria Alberghiera. Il Portale, destinato ad utenti nazionali ed esteri, intende proporre assieme all’erogazione di informazioni e servizi un brand unico e riconoscibile dell’intera Puglia. 188