Press - CNDCEC
Transcript
Press - CNDCEC
Press aprile 2013 / no.54 ISSN 2039-540X Professione Economica e Sistema Sociale Si riparte Press Sommario/aprile CNDCEC REPORT 26 Pronto Ordini, le risposte del Cndcec DIAMO I NUMERI EDITORIALE Maria Luisa Campise 3 42 Progetto RSO Rilevazione statistica INTERNAZIONALE 20 Turchia PEOPLE 4 Angelo Antonio Genise PROFESSIONE E TEMPO LIBERO 48 Letti per voi L’INTERVENTO 8 12 16 18 20 24 Maurizio Villani, Francesca Giorgia Romana Sannicandro Luca D’Amore Annalisa De Vivo Filippo Maria Invitti Marina Augello Riccardo Ricci La speranza di tempi migliori ra che la lunga e drammatica fase post elettorale ha finalmente trovato uno sbocco, prima con la rielezione di Giorgio Napolitano alla Presidenza della Repubblica, poi con la nascita del nuovo governo guidato da Enrico Letta, il compito di tutte le classi dirigenti, non solo di quella politica, deve essere quello di provare a dare, dalle rispettive postazioni, una mano al Paese. L’Italia fotografata dal risultato delle elezioni è un Paese in frantumi, stretto nella tenaglia di una crisi della politica senza precedenti e di un drammatico aggravarsi della crisi economica, che morde sempre più le famiglie e il tessuto vitale del nostro sistema imprenditoriale, come noi commercialisti possiamo quotidianamente riscontrare. Alle soluzioni emergenziali adottate (la prima volta di un presidente della Repubblica al secondo mandato e la prima volta di un governissimo di natura prettamente politica) non c’era forse alternativa. L’auspicio è però quello che da questa anomalia, probabilmente destinata a suscitare, almeno nell’immediato, ulteriore disorientamento nell’opinione pubblica, possa finalmente nascere una reale consapevolezza dell’imperativo morale del cambiamento, a questo punto davvero non più rinviabile, pena la tenuta stessa della nostra democrazia e della nostra economia. Un cambiamento di regole, assetti, facce, di interi gruppi dirigenti ma anche di mentalità. Probabilmente la ragione principale del collasso del sistema è da riscontrare nella sua ormai ultra decennale incapacità di decidere, di autoriformarsi, di produrre novità. Se da questa crisi si uscisse con una ritrovata volontà/capacità di fare, il difficile passaggio che stiamo vivendo non sarà stato vano. Potrebbe essere questa l’ultima opportunità da cogliere per mettere in campo una serie di riforme attese da anni. Costituzionali, certo, ma anche economiche. Perché non pensare ad esempio, nella prospettiva di un insperato scatto di reni, di mettere finalmente mano, proprio ora, al nostro sistema fiscale, della cui riforma si parla in maniera inconcludente ormai da diversi lustri? Sarebbe un esempio, uno tra i tanti possibili, dell’invocato passaggio dalle chiacchiere ai fatti, dal dibattito improduttivo alle scelte. Certo, si tratta di un tema che richiederebbe il contributo fattivo dei commercialisti italiani e che ci porta inevitabilmente a pensare al travaglio che la nostra Categoria sta attraversando ormai da lungo tempo... Per tutti noi la speranza è che si faccia in fretta a ridare una governance, qualunque essa sia, ad una professione, la nostra, ormai da troppo tempo oppressa da decisioni politico-ministeriali, dettate da opinioni di un contesto socio-economico-professionale a dir poco miope e lontano mille miglia dalla realtà. Non mi attardo sulla valutazione delle dimissioni del Commissario straordinario, dottor Giampaolo Leccisi, nominato dal Ministero della giustizia con decreto del 12 dicembre 2012, e tantomeno sulla nomina del dottor Giancarlo Laurini a Commissionario straordinario del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, ma ritengo utile sottolineare che la sua lunga appartenenza al mondo della professione, anche in misura apicale, può indurre il mondo esterno ad avere maggiore rispetto del commercialista. In tal senso, ci sembrano rassicuranti le sue dichiarazioni all’indomani della sua nomina: “… per spirito di servizio“ ed altrettanto rassicuranti in ordine alla tempistica: “… il meno possibile”. È pacifico che comunque ciò non ci soddisfa, ma è il minimo che si possa chiedere in attesa di tempi migliori che tutti auspichiamo!. O Maria Luisa Campise Direttore Press Genise: “È ora di pensare ad una ‘professionalizzazione’ della magistratura tributaria Un compito così impegnativo e delicato non può essere affidato soltanto al sacrificio, all’impegno e alla competenza dei giudici di Maria Luisa Campise People Quale componente del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, ci spiega in sintesi come è strutturato e le sue funzioni? Il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria (CPGT) è l’organo di autogoverno degli oltre 4000 magistrati tributari italiani: è, per dirla in altri termini, il CSM dei giudici tributari. È composto da 15 membri, 11 dei quali eletti, in un collegio unico nazionale, da tutti i magistrati tributari e 4 nominati dal Parlamento, due dalla Camera e due dal Senato. I suoi componenti durano in carica 4 anni e non sono rieleggibili. I suoi compiti sono il riflesso della sua funzione di organo di autogoverno e, dunque, il CPGT si occupa dei concorsi per l’accesso alla magistratura tributaria, della formazione, dei trasferimenti, dei procedimenti disciplinari e di quelli attinenti alle incompatibilità. A proposito di tali funzioni, il tema della incompatibilità dei giudici tributari è stato, forse, quello maggiormente dibattuto negli ultimi tempi. Sì, in effetti, è un tema di grande attualità e molto dibattuto. Il problema nasce dal fatto che la funzione di giudice tributario può essere svolta in contemporanea con l’esercizio di altre attività, anche attinenti alle libere professioni (avvocati, commercialisti, ecc.). Ciò ha comportato, e comporta, anche per il rispetto dei presupposti di indipendenza ed imparzialità imposti dalla Costituzione per l’esercizio della funzione giurisdizionale, che il giudice tributario non svolga alcuna attività che possa ledere tali presupposti. Il legislatore è, recentemente, intervenuto su tale tema, non solo ribadendo il divieto assoluto, pena la decadenza dall’incarico, per il magistrato tributario di ogni tipo di consulenza o assistenza tributaria, anche occasionale e per tutto il territorio nazionale, ma anche la decadenza del giudice che abbia il coniuge o parenti fino al secondo grado, o affini in primo grado che siano iscritti in albi professionali ed esercitino la consulenza o assistenza tributaria nella stessa regione dove il magistrato esercita la sua funzione e nelle province o regioni limitrofe. Non solo, in un primo momento, il legislatore aveva previsto la decadenza del magistrato tributario sul presupposto della semplice 5 “Il timore è che la necessaria ricerca di mezzi e strumenti volti alla riduzione di un contenzioso eccessivo possa andare a scapito del diritto alla tutela giurisdizionale delle parti e, in particolare, dei contribuenti.” iscrizione dello stesso ad un albo professionale. Tale condizione avrebbe comportato la immediata scomparsa dalle Commissioni tributarie di tutti i componenti provenienti dalle libere professioni, in particolare commercialisti e avvocati, con grave impoverimento di quello che era, e che è, il buon livello di professionalità raggiunto dalla magistratura tributaria. Sul punto basti solo riflettere sul fatto che nei processi tributari è quasi assente la consulenza tecnica d’ufficio, per rendersi immediatamente conto dell’importanza dei componenti non provenienti dalle altre magistrature, in particolare dei commercialisti. Naturalmente tale peculiarità della Magistratura tributaria necessita non solo di una rigorosa disciplina delle cause di incompatibilità, onde prevenire episodi di malcostume e garantire alle parti del processo tributario l’assoluta indipendenza e imparzialità del giudice, ma anche di un’attenta e vigile azione del CPGT volta a verificare la scrupolosa osservanza delle norme sulla materia. Quali sono gli ultimi dati sul contenzioso tributario anche rispetto agli altri paesi? Il Italia il contenzioso tributario è alto, molto più alto di quello degli altri Stati UE, e ciò è dovuto, in buona parte, ad una legislazione tributaria complessa e poco coordinata che, da un lato consente, in verità sempre meno, ai più furbi di sottrarsi al pagamento dei tributi e dall’altro punisce in modo eccessivamente severo anche gli errori commessi in buona fede. Anche il legislatore sembra essere consapevole di tale stato di cose tanto da prevedere la possibilità di non irrogazione delle sanzioni nel caso di oggettiva incertezza 6 People della normativa tributaria (art. 6 del d.lgs. 472/97, art. 3 legge 212/2000 e art. 8 d.lgs. 546/1992); anche se, a ben vedere, la presenza di una norma di tal contenuto certifica, in un certo senso l’impossibilità, o l’incapacità, del legislatore di predisporre una disciplina chiara e facilmente applicabile dei tributi. Sul punto è bene aggiungere che la Cassazione ha ripetutamente affermato che, nonostante la norma sulla inapplicabilità delle sanzioni sia anche contenuta nel d.lgs. 472/97 e cioè in un testo legislativo che, in buona sostanza è rivolta agli enti impositori perché ne disciplina e regola l’attività, solo il giudice può accertare l’oggettiva incertezza della normativa e, quindi, disporre, la non applicazione delle sanzioni. unita ad una riduzione della pressione fiscale, ma anche il potenziamento degli strumenti cd. deflativi che possiamo ricomprendere nel vasto alveo dell’autotutela tributaria. In questo modo non vi è alcuna speranza che gli enti impositori possano eliminare le sanzioni in autotutela. Quale il futuro della magistratura tributaria? Sì, con questo orientamento della giurisprudenza è molto difficile che lo facciano, così come è pure da escludersi che possano evitare di sanzionare un determinato comportamento tributario per mancanza dell’elemento soggettivo della colpa (art. 5 del d.lgs. 472/1997), considerato che, in tema di sanzioni amministrative in genere, la Cassazione ha affermato che accertata la violazione la colpa si presume. Viste le dimensioni del contenzioso tributario, quali potrebbero essere i mezzi per ridurlo? Sicuramente l’aumento degli organici, del personale delle segreterie, l’avvio del processo telematico. Sugli organici siamo a buon punto: un recente concorso ha immesso nella magistratura tributaria oltre 1600 nuovi magistrati, mentre sta per essere completato un concorso interno che servirà a coprire buona parte delle funzioni di Presidente di Commissione, Presidente di Sezione e Vice Presidente di Sezioni ancora scoperti. Vanno, invece, decisamente potenziati gli organici del personale amministrativo, assolutamente insufficienti a sostenere la mole di lavoro loro affidato. È, invece, ad uno stadio avanzato la telematizzazione del processo, avviato in via sperimentale, anche grazie alla collaborazione degli Ordini dei commercialisti e degli avvocati che, si spera, entro qualche anno, possa andare a regime, consentendo di gestire tutte le fasi del processo in via telematica. Tutto ciò per quel che riguarda la gestione delle dimensioni attuali del contenzioso. Per una riduzione, o, per meglio dire, di una prevenzione di esso, potrebbero essere utili non solo, una normativa più chiara e di più semplice applicazione, magari A proposito, e la cd. mediazione tributaria? Vedremo che esiti avrà, sempreché sopravviva al giudizio di costituzionalità, recentemente sollevato. Indubbiamente una riduzione del contenzioso lo ha prodotto, così come lo stesso risultato lo ha provocato l’istituzione del contributo unificato. Il timore, però, al riguardo è che la necessaria ricerca di mezzi e strumenti volti alla riduzione di un contenzioso eccessivo possa andare a scapito del diritto alla tutela giurisdizionale delle parti e, in particolare, dei contribuenti. Al momento è difficile intravedere il disegno del legislatore. Alla luce dell’ormai ventennale esperienza in questa magistratura ritengo che sia giunto il momento di pensare ad una sua “professionalizzazione”. E ciò non perché l’attuale assetto della magistratura tributaria non abbia dato buoni risultati, anzi, come dicevo prima, questi sono stati tutto sommato più che buoni, ma perchè un compito così impegnativo e delicato, in una fase altrettanto delicata, non può essere svolto come secondo o, peggio, terzo lavoro, affidando al sacrificio e all’impegno dei giudici tributari la preparazione e l’impegno, anche e soprattutto di tempo, indispensabili per un corretto e adeguato svolgimento della stessa. Naturalmente tale cambio di rotta dovrebbe salvaguardare le professionalità oggi presenti all’interno di questa magistratura. Per concludere, quali saranno i temi della prossima giornata celebrativa della Giustizia tributaria? L’incontro, fissato per il 9 maggio prossimo, presso la Corte di Cassazione, sarà l’occasione per riflettere, assieme ai colleghi delle altre magistrature, agli esperti, ai rappresentati del Parlamento e ai rappresentanti del mondo delle professioni non solo delle recenti modifiche apportate dal legislatore alla magistratura e alla giurisdizione tributaria, ma anche del loro futuro, anche alla luce della sempre più urgente riforma dell’ordinamento tributario. Angelo Antonio Genise è Vice Presidente del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria. È docente a contratto di diritto processuale tributario e diritto amministrativo alla Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze, Ezio Vanoni. Vogliamo lavorare per qualcosa, non contro qualcuno. Crediamo che sia giunto il momento di ragionare come una comunità. Servono regole certe, riforme del sistema fiscale e giudiziario. Serve un pensiero tecnico, imparziale, non schierato che affianchi le istituzioni: per lavorare, non più contro qualcuno, ma a favore di tutti. 8 Il nuovo redditometro, prospettive e criticità Maurizio Villani, Francesca Giorgia Romana Sannicandro Avvocati in Lecce Ben venga la lotta all’evasione, ma il Fisco non può perdere di vista i principi in base ai quali sono state istituite fino ad oggi tutte le norme regolatrici del diritto tributario onostante i passi in avanti rispetto alla disciplina datata 2010, la nuova formulazione del redditometro, così come introdotta dal decreto ministeriale del 24 dicembre 2012, ha suscitato notevoli ed aspre polemiche che mettono seriamente a rischio la legittimità e l’applicabilità dell’istituto. Ciò che balza subito all’occhio è il quantitativo di voci che sono inserite nel decreto (100 voci) e la significatività delle spese prese in considerazione che vengono associate alla tipologia di nucleo familiare e all’area geografica di appartenenza. Pur garantendo, differentemente da quanto avveniva con la disciplina previgente, il contraddittorio obbligatorio e, alla luce della recente sentenza della Corte di Cassazione - n. 23554 del 2012 - che ha qualificato le presunzioni da redditometro come “semplici”, sembra, tuttavia, che ci sia ancora qualcosa che non torna. È importante, infatti, soprattutto nella materia tributaria, stabilire un punto di partenza comune per tutte le tipologie di accertamenti che l’ufficio può effettuare nei confronti dei N contribuenti. Possiamo affermare con assoluta certezza che le fonti del diritto tributario sono contenute nella Costituzione italiana, che appunto fissa i principi oltre i quali nessun ramo giuridico si deve esporre, ai fini della legittimità delle norme applicate. Ci riferiamo, in particolare, alle due norme fondamentali di cui agli artt. 53 e 23 della Costituzione che, rispettivamente, recitano: (art. 53): “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”; (art. 23): “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”. L’indagine che si sta svolgendo, in relazione alle due citate norme costituzionali - in quanto fonti primarie del diritto tributario, e dunque, dell’istituto del redditometro - è volta a verificare, appunto, la natura giuridica dei testi di legge nei quali si inseriscono le regole di condotta degli uffici chiamati a svolgere le loro funzioni “impositive”, e dei contribuenti, ai quali è garantito il diritto di difesa, spesso connotato di “armi” non adatte al tipo di accertamento subìto. Invero, andando a ritroso nel tempo, non può non osservarsi come, fino al 1993 - ovvero nella formulazione originaria della norma istitutiva del redditometro - l’art. 38 comma 4 recitava così: “L'ufficio, indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi precedenti e dall'articolo 39, può, in base ad elementi e circostanze di fatto certi, determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato. A tal fine, con decreto del Ministro delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, sono stabilite le modalità in base alle quali l'ufficio può determinare induttivamente il reddito o il maggior reddito in relazione agli elementi indicativi di capacità contributiva di cui al secondo e terzo comma dell'articolo 2, quando il reddito dichiarato non risulta congruo rispetto ai predetti elementi per due o più periodi d'imposta”. È importante notare come, nell’ultimo L’intervento periodo, è stabilito che gli elementi indice di capacità contributiva sono inseriti nel comma 2 dell’art. 2 del d.P.R. 600/73 e che il decreto ministeriale stabiliva solo le modalità operative dello strumento accertativo. Questo ha permesso, fino al 1993, il legittimo utilizzo del redditometro, in base al principio di cui all’art. 23 della Costituzione, che tassativamente regola il principio della riserva di legge. Negli anni, la norma ha subìto svariate modifiche, fino ad arrivare alla formulazione odierna che indica, quale unica fonte sia di natura operativa che di natura contenutistica, gli elementi di capacità contributiva e il metodo secondo cui vengono applicati ai fini della determinazione dello scostamento. A ben vedere, infatti, l’odierno decreto ministeriale, contiene un grave ampliamento delle voci elementi indice di capacità contributiva (quelle attuali sono ben 100), non supportate da nessuna regola normativa né fiscale né costituzionale. Infatti, occorre precisare che i decreti ministeriali sono spesso dei veicoli attraverso i quali introdurre delle nuove discipline o estendere quelle già in vigore, ma non hanno natura regolamentare e, pertanto, non possono costituire fonti di rango primario. Nel caso di specie, il decreto del 24 dicembre 2012, oltre ad estendere immotivatamente le voci elementi indici di capacità contributiva violando il principio costituzionale di riserva di legge - pretende di determinare: “Il contenuto induttivo degli elementi indicativi di capacità contributiva, indicato nella tabella A, è determinato tenendo conto della spesa media, per gruppi e categorie di consumi, del nucleo familiare di appartenenza del contribuente; tale contenuto induttivo corrisponde alla spesa media risultante dall'indagine annuale sui consumi delle famiglie compresa nel Programma statistico nazionale, ai sensi dell'art. 13 del decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322, effettuata su campioni significativi di contribuenti appartenenti ad undici tipologie di nuclei familiari distribuite nelle cinque aree territoriali in cui è suddiviso il territorio nazionale. Le tipologie di nuclei familiari considerate sono indicate nella tabella B, che fa parte integrante del presente decreto.” (art. 1, comma 3 del d.m. 24 dicembre 2012). In buona sostanza, in assoluta violazione dell’art. 53 - principio di capacità contributiva - gli accertamenti da redditometro saranno basati sulle indagini Istat effettuate 9 sul territorio nazionale, senza minimamente tenere conto dell’effettiva capacità contributiva di ogni soggetto che, in realtà, “partecipa alla spesa pubblica in ragione della propria capacità contributiva”. Senza contare gli altri due elementi dissonanti: il nucleo familiare e l’area geografica. Sembra totalmente assurdo che uno strumento come il redditometro, che, come gli altri mezzi a disposizione del Fisco, è impegnato nella lotta all’evasione fiscale, possa perdere di vista sic et simpliciter i principi in base ai quali, fino ad oggi, sono state istituite tutte le norme regolatrici del diritto tributario. Forse il momento critico e l’aria tesa che si respira negli ultimi due anni ha completamente offuscato le menti che hanno istituito la riforma di questo strumento. Prevedere uno screening selettivo 10 L’intervento sulla base di un indice Istat configura una illegittima, oltre che anticostituzionale, applicazione delle norme fiscali, il cui compito ricordiamo - è garantire la partecipazione di tutti i contribuenti alla spesa pubblica e non entrare in casa degli Italiani a dire quanti caffè si debbano bere in base al numero dei familiari e alla zona di residenza. I tecnici del settore sono da sempre tenuti a svolgere funzioni di filtro tra contribuenti e Amministrazione finanziaria; in base alla nuova normativa, un buon professionista dovrebbe comunicare al proprio cliente una sorta di tabella comportamentale per cercare di non essere catturato dalle ganasce fiscali. Ma come? In quale modo? Di certo non è possibile scendere in lunghe spiegazioni dottrinali e specifiche relative alle gravi odierne violazioni delle misure accertative attualmente in vigore, né tantomeno si può discernere dei metodi di difesa del contribuente, che, ad oggi, sono pressoché inesistenti in materia di redditometro. Già, inesistenti; il contraddittorio obbligatorio che è stato inserito nella nuova formulazione della norma, sicuramente apre uno spiraglio comunicativo con il Fisco, ma non dimentichiamoci che il contraddittorio è solo una conseguenza di un accertamento basato sulla violazione di norme costituzionali costituenti fonti di rango primario. Anche la Cassazione, con una recente sentenza (n. 23554/2012) - tra l’altro un procedimento a cura degli scriventi- , ha finalmente cambiato orientamento circa la natura delle presunzioni da redditometro stabilendo che si tratta di presunzioni semplici, dunque gravi precise e concordanti. Tocca dunque al fisco, in qualità di organo esercente attività di controllo delle posizioni contributive, corredare gli accertamenti con prove certe, elementi precisi, dati circostanziati relativi a ciascuna posizione da verificare; elementi dai quali possa inequivocabilmente desumersi una reticenza contributiva totale o parziale. Fatta salva questa rilevante pronuncia, è importante che venga rispettato l’iter di determinazione delle posizioni da accertare, in quanto il ricorrente è spesso costretto ad effettuare delle prove diaboliche relative alla dimostrazione di non capacità contributiva e, in moltissimi casi, di non sostenimento della spesa (il che è assurdo, perché se una spesa non si è sostenuta, non si può dimostrare!). Ai fini della correttezza legislativa e, di conseguenza, di una legittima difesa, si rende necessario, come già accaduto in alcune sedi di merito (come la Commissione tributaria provinciale di Torino con la sentenza n. 39/04/13) disapplicare il redditometro in quanto incostituzionale e illegittimo. Nella recente sentenza, spiccatamente e minuziosamente motivata, si legge che: “il sistema di valutazione previsto dal DM sul redditometro, esprime un abuso del diritto, poiché impone l’uso di indici e coefficienti astrattamente applicati (previsti in tabelle preconfezionate) al fine di far scaturire un presunto valore di reddito non supportato da ragionevolezza e duttilità, che invece deve essere esaminato volta per volta e caso per caso, così come il contribuente lo prospetta ed avvalora attraverso la documentazione prodotta a difesa”. Come sottolineano i giudici piemontesi, il redditometro non può avere la pretesa di dimostrare la capacità contributiva del ricorrente mediante l’applicazione di indici astratti riferibili ad una indagine di mercato nazionale; altrimenti, per par condicio, sarebbe anche opportuno che le imposte fossero versate sulla base degli stessi indici, in relazione anche all’area geografica e al nucleo familiare, tradotto: ci spostiamo tutti nelle zone con più alta densità e disoccupazione!. Infine, sorvolando su noiose disquisizioni tecniche sulla formazione dei decreti ministeriali e sulla valenza regolamentare o no - degli stessi, come può un contribuente mantenere la documentazione relativa ad ogni singola spesa effettuata dal 2009 ad oggi? Perché, a fronte di un nucleo familiare non regolarizzato mediante un matrimonio civile dovrebbe considerarsi contribuente da accertare colui che convive con una donna disoccupata? In base a cosa è garantito l’effettivo prelievo fiscale? Quali strumenti di difesa ha a disposizione il contribuente sottoposto ad un avviso di accertamento da redditometro basato su elementi di capacità contributiva riferibili ad indagini Istat? Domande ancora senza risposta... o forse, come sempre, ci si aspetta che siano le domande a cambiare?! Una cosa è certa, i contribuenti hanno diritto alla trasparenza e alla correttezza dell’applicazione delle norme che gravano sui loro patrimoni; intanto la risposta che viene garantita al momento è: “Le faremo sapere”. Rappresentiamo una minoranza del 99,9%. In Italia le PMI sono il 99,9% della forza economica, eppure vengono trattate come una minoranza. Il mondo produttivo e le istituzioni funzionano solo grazie alle libere professioni, eppure queste ultime non vengono prese in considerazione dai poteri forti. Essere utili al Paese significa cambiare anche questi squilibri, ma soprattutto lavorare per le cose che contano. 12 L’evoluzione della normativa antimafia Luca D’Amore Avvocato – esperto in materia di misure di prevenzione La legge di Stabilità ha colmato alcune gravi lacune legislative. Rimangono, però, ancora grandi criticità nel processo di amministrazione, destinazione e utilizzazione dei beni immobili e delle aziende sequestrate e confiscate a confisca dei patrimoni illecitamente acquisiti ha sempre assunto un forte valore, anche simbolico, sia sotto il profilo della lotta alla criminalità organizzata, perché costituisce il risultato palmare del duro lavoro svolto dalle Forze dell’ordine e dalla magistratura, sia sotto il profilo sociale, poiché consente di restituire i beni oggetto di ablazione alle territorialità che subiscono il fenomeno criminale. Dall’entrata in vigore del Codice antimafia, tuttavia, tanto gli operatori, quanto la società civile, stanno mutando il modo di concepire questo fondamentale strumento di contrasto alle mafie, attribuendogli sempre maggiore importanza, anche mediatica. Emblematico, al riguardo, è quanto riportato nella relazione sull’amministrazione della giustizia relativa all’anno 2012 ove è stato evidenziato, tra l’altro, il significativo L “incremento del numero delle procedure relative alle misure di prevenzione patrimoniali e il crescente ammontare del valore dei sequestri e delle confische” che recentemente, grazie alla Procura della Repubblica di Lanciano, ha trovato per la prima volta applicazione anche nei confronti “dell’evasore fiscale socialmente pericoloso”. Nell’ambito di questo scenario in continua evoluzione, l’anno 2012 è stato caratterizzato da importanti modifiche alla vigente legislazione antimafia e, segnatamente, al codice antimafia che, come noto, aveva tentato di riportare ad unità, una pletora di norme, disperse in numerosi testi e più volte emendate nel corso degli anni, attraverso l’introduzione di una disciplina tesa a rendere efficace l’attività di amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati, nonché ad elevare il livello di tutela dei terzi coinvolti nel procedimento. Invero autorevoli esponenti del mondo giudiziario e dottrinale, hanno da subito espresso profonde perplessità sull’effettiva efficacia delle norme introdotte dal legislatore del 2011. Una prima occasione di modificare il testo unico si è avuta con il primo correttivo al Codice antimafia (decreto legislativo 15 novembre 2012, n. 218). Tale normativa, tuttavia, non ha recepito le istanze emendative provenienti dagli operatori del settore, limitandosi ad intervenire soltanto su taluni aspetti marginali della disciplina in materia di misure di prevenzione. L’opportunità di apportare modifiche al Codice antimafia di più ampio respiro si è avuta tramite un emendamento governativo presentato al Senato, mentre era in fase avanzata la discussione della c.d. Legge di stabilità. In effetti il serrato dibattito L’intervento nelle competenti commissioni, nonostante i tempi estremamente contenuti e la mancata interlocuzione di tutti gli operatori di settore, ha consentito di apportare alcune modifiche al testo unico. In particolare, la legge 228/2012 ha recepito, almeno in parte, le proposte emendative degli operatori di settore. Tra queste va anzitutto ricordata la modifica all’art. 24, comma 2 del Codice antimafia, ove si è opportunamente chiarito che l’inosservanza del termine ivi previsto, rende meramente inefficace il provvedimento di sequestro e si è inserita, altresì, una ulteriore causa di sospensione del termine per il tempo necessario all’espletamento di accertamenti peritali sui beni dei quali la persona nei cui confronti è iniziato il procedimento risulta poter disporre, direttamente o indirettamente. Vanno poi ricordate le modifiche del Codice relative ai beni mobili registrati e, in particolare, all’art. 40 ove è stato inserito, nel comma 5 bis, quanto già prevedeva il vecchio testo dell’art. 48, comma 12, in materia di affidamento in giudiziale custodia dei beni mobili sequestrati. Inoltre, è stata introdotta una peculiare disciplina (commi 5-ter, quater e quinquies) che consente al Tribunale di destinare alla vendita i beni mobili sottoposti a sequestro se gli stessi non possono essere amministrati senza pericolo di deterioramento o con rilevanti diseconomie. La legge di stabilità ha colmato anche la grave lacuna legislativa che limitava le competenze dell’Agenzia nazionale alle fattispecie di reato che, seppur ricomprese nell’art. 12 sexies del d.l. 13 306/92, non erano annoverate nell’art. 51, comma 3 bis, del c.p.p.. Questa limitazione, come noto, aveva determinato non pochi problemi gestori, in prima battuta apparentemente e peraltro parzialmente risolti dal legislatore con una norma di interpretazione autentica della disposizione che, prima dell’istituzione dell’Agenzia nazionale, attribuiva la competenza ad amministrare e destinare i beni confiscati al precedente Ente, all’uopo introducendo una norma di chiusura del sistema, tesa a garantire la limitata gestione dei beni immobili confiscati per le fattispecie di reato non ricomprese nell’art. 51, comma 3 bis del c.p.p.. Il nuovo articolato normativo ha espunto dall’art. 110 del Codice antimafia il riferimento alle fattispecie 14 L’intervento delittuose contenute nell’art. 51, comma 3 bis, del c.p.p. ed ha effettuato un coordinamento con l’art. 12 sexies, riscrivendone totalmente il 4 comma bis. La legge di stabilità ha effettuato anche un parziale restyling dell’art. 48 del Codice antimafia che, come noto, detta la disciplina per la destinazione dei beni definitivamente confiscati, ivi esplicitando anche le modalità e i possibili destinatari dei beni confiscati. A tal proposito va subito evidenziato che il legislatore, inopinatamente, ha anche soppresso l’ultimo periodo dell’art. 48, comma 1, lett. b), che prevedeva «la cessione gratuita o la distruzione del bene» mobile, anche registrato, a cura dell’Agenzia nazionale qualora la procedura di vendita fosse risultata antieconomica. Con tale abrogazione sembrerebbe che il legislatore abbia voluto escludere la cessione gratuita o la distruzione dei beni mobili, di talché potrebbero determinarsi futuri problemi gestori nei casi, non infrequenti, in cui i beni mobili non possano essere utilmente alienati. Apprezzabile, invece, è la modifica dell’art. 48 del Codice nella parte in cui estende la platea dei possibili destinatari dei beni mobili, anche registrati, in favore degli enti territoriali e delle associazioni di volontariato che operano nel sociale. I lavori parlamentari, invece, probabilmente a causa del mancato dibattito tra gli operatori del settore e le forze parlamentari, reso impossibile dall’urgenza di approvare la Legge di stabilità, hanno espunto dall’emendamento governativo la proposta di modifica legislativa finalizzata all’alienazione, seppur in via residuale, dei beni immobili confiscati ai privati. L’idea, in sostanza, era quella di superare la contraddizione oggi presente nel testo unico tra la destinazione dei beni immobili e di quelli aziendali, prevedendo una disciplina unitaria a prescindere dalla natura del bene. Inoltre, la vendita residuale dei beni immobili ai privati, avrebbe consentito di risolvere tutti quei casi, come la confisca in quota indivisa, in cui il bene è di fatto indestinabile allo Stato o agli enti territoriali. Si auspica che nella nuova legislatura venga introdotta una procedura di destinazione dei beni snella che, fatta salva la prioritaria destinazione per finalità di pubblico interesse (mantenimento all’Erario o trasferimento agli enti territoriali), consenta una concreta restituzione alla collettività dei patrimoni sottratti alla criminalità organizzata, facilitando la destinazione di tutte le tipologie di beni, ivi compresi quelli con criticità. Sul punto la proposta potrebbe essere non solo quella di riproporre la vendita ai privati, ma anche di estendere alle aziende la disciplina oggi dettata per i beni immobili, onde consentire allo Stato e agli enti territoriali di acquisire a titolo gratuito i beni aziendali confiscati. Va poi ricordata l’importante modifica in tema di regime fiscale da applicare ai beni immobili sequestrati e confiscati, introducendo nell’art. 51, il comma 3 bis il quale prevede espressamente che, durante la vigenza dei provvedimenti di sequestro e confisca e comunque fino alla assegnazione o destinazione, i beni sono esenti da imposte, tasse e tributi. Diversamente nel caso in cui venga disposta la revoca della confisca, l’amministratore giudiziario (o l’ANBSC), ne dà comunicazione all’Agenzia delle entrate e agli altri enti competenti che provvedono alla liquidazione delle imposte, tasse e tributi, dovuti per il periodo di durata dell’amministrazione giudiziaria, in capo al soggetto cui i beni sono stati restituiti. Con riferimento alla tutela dei terzi, come noto, il Codice antimafia ha introdotto una disciplina organica, da un lato prevedendo la citazione in giudizio di alcuni terzi, dall’altro disciplinando i presupposti e le modalità della tutela attraverso un procedimento in cui sono risolte tutte le “vicende” che riguardano il bene, acquisito dallo Stato depurato di qualsiasi problematica che potrebbe comportare oneri o spese(1). Tale disciplina(2), invero, essendo applicabile, a norma dell’art. 117, comma 1, ai procedimenti instaurati dal 13 ottobre 2011, lasciava privi di copertura normativa tutti i beni che, pur essendo interessati da criticità, risultavano o già definitivamente confiscati ovvero sub-iudice alla data di entrata in vigore del Codice antimafia. A tal proposito si è scelto, invero, di introdurre una procedura amministrativo-giurisdizionale, che prevede il coinvolgimento dell’ANBSC all’inizio e al termine della procedura, oltre all’intervento del giudice che ha disposto la confisca, per verificare la sussistenza del credito ed accertare la buona fede del creditore ipotecario o pignoratizio. Da ultimo occorre effettuare un breve riferimento alle prospettive di riforma della disciplina in materia di misure di prevenzione. A tal proposito è evidente che la normativa antimafia, nel corso degli anni, è stata interessata da numerosi L’intervento interventi legislativi diretti a colmare le lacune riscontrate nell’applicazione pratica delle norme, nonché a tentare di rispondere efficacemente al modus procedendi, sempre più sofisticato, della criminalità organizzata(3). Tuttavia, nel processo di amministrazione, destinazione e utilizzazione dei beni immobili e aziendali sequestrati e confiscati, il legislatore non ha dedicato la necessaria attenzione a talune criticità che riscontrano, sovente, gli operatori del settore. Con riferimento ai beni immobili, come noto, le principali criticità si riscontrano, oltre che nell’esistenza dei gravami ipotecari e nelle confische in quota indivisa, anche nel pessimo stato di manutenzione in cui spesso si trovano i cespiti sottratti alla criminalità organizzata. A tal proposito sarebbe auspicabile istituire un fondo di rotazione per la gestione, utilizzazione, manutenzione e valorizzazione dei beni sequestrati e confiscati alimentato, in parte da un contributo statale ed in parte dai rientri derivanti dalla vendita dei beni confiscati anche aziendali. Ciò consentirebbe agli aventi diritto (Stato o enti territoriali) di utilizzare (1) Cosi concretamente il bene(4). Con riferimento ai beni aziendali, già con il sequestro, possono riscontrarsi tre grandi criticità: - revoca dei fidi bancari; - azzeramento delle commesse; - innalzamento dei costi di gestione. Quanto al primo punto, accade sovente che gli istituti di credito revochino gli affidamenti bancari, con la naturale conseguenza che l’ex azienda mafiosa, che già opera in un contesto territoriale difficile, non può proseguire la propria attività di impresa. In questi casi, al fine di scongiurare la chiusura aziendale e di evitare messaggi negativi alla cittadinanza(5), potrebbe essere prevista l’istituzione di un fondo di rotazione che, ricorrendone i presupposti(6), verrebbe utilizzato dall’Autorità giudiziaria per finanziare le aziende che presentino concrete possibilità di rimanere sul mercato. Inoltre sarebbe utile attivare protocolli di intesa per utilizzare manager esperti del mercato(7) di riferimento per la gestione imprenditoriale. L’ulteriore criticità riscontrata è quella dell’azzeramento delle commesse: a tal proposito, oltre a specifiche proposte di legge(8), si 15 potrebbe creare, da un lato, una sinergia tra le aziende sequestrate e confiscate per la rotazione delle commesse e, dall’altro, una rete virtuosa che, coinvolgendo le associazioni rappresentative degli imprenditori, farebbe rientrare l’ex azienda mafiosa in un circuito di legalità tramite le commesse provenienti dalle società facenti parte della rete stessa. Infine, per quanto concerne l’innalzamento dei costi di gestione, come noto, già nella fase del sequestro, l’azienda sconta il c.d. “costo della legalità” derivante dalla regolare fatturazione delle commesse e dalla regolarizzazione dei rapporti di lavoro. Sul punto potrebbero essere introdotte delle specifiche agevolazioni, sia sotto il profilo della defiscalizzazione delle imprese sequestrate e confiscate, sia sotto quello della decontribuzione dei rapporti di lavoro, onde consentire il mantenimento dei dipendenti o, addirittura, nuove assunzioni. Inoltre, nel caso di chiusura di azienda, sarebbe auspicabile prevedere dei sistemi di welfare in deroga, tesi a consentire ai lavorati dell’ex azienda mafiosa di essere utilmente ricollocati nel mercato del lavoro. testualmente F. Menditto, in “Prime modifiche al c.d. codice antimafia: d.lgs. n. 218/12 e l. n. 228/12”, in “Diritto penale contemporaneo”. (2) Peraltro fortemente criticata in quanto eccessivamente garante dei diritti dei terzi addirittura arrivando a subordinare l’interesse pubblico all’acquisizione del bene confiscato (cfr. art. 47, comma 2, ultimo capoverso). (3) Si pensi al Trust e altri strumenti attentamente esaminati da P. Grasso, in “Soldi Sporchi”, Baldini Castoldi Dalai editore S.p.A., Milano. (4) Soprattutto gli enti territoriali, infatti, una volta acquisito il bene confiscato al proprio patrimonio, non possono utilmente utilizzarlo perché non hanno alcuna fonte economica per la relativa ristrutturazione. (5) È noto lo slogan “la mafia dà lavoro lo Stato no”. (6) Ad esempio dopo un’attenta analisi della relazione di cui all’art. 41, comma 1 del Codice antimafia. (7) Nella relazione dell’amministratore, ad esempio, potrebbe essere previsto, dopo uno start up almeno triennale, un piano di rientro del finanziamento. (8) Ad esempio, in deroga alla vigente disciplina, anziché appaltare all’esterno, si potrebbe prevedere l’obbligo per tutte le Pubbliche amministrazioni di avvalersi, per l’affidamento delle commesse, di società sequestrate e confiscate. 16 Antiriciclaggio, nuovi obblighi di adeguata verifica Annalisa De Vivo Istituto di ricerca dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili La proposta di Quarta Direttiva approvata dalla Commissione europea estende l’ambito di applicazione per accrescere trasparenza e chiarezza lla vigilia della emanazione della quarta direttiva comunitaria in materia di antiriciclaggio, la notizia di nuovi e stringenti controlli sui professionisti da parte della Guardia di Finanza, diffusa nei giorni scorsi, ha ulteriormente contribuito ad aumentare la preoccupazione in merito alla correttezza dei presidi adottati negli studi professionali in adempimento a quanto disposto dal d.lgs. 231/2007. Quest’ultimo, com’è ormai noto, impone ai soggetti che ne sono destinatari la predisposizione di stringenti misure finalizzate alla adeguata verifica della clientela, alla registrazione e alla conservazione delle informazioni, nonché alla segnalazione di eventuali operazioni sospette di riciclaggio o finanziamento del terrorismo. L’inosservanza, o l’adempimento non corretto, dei suddetti obblighi espone i professionisti destinatari della normativa all’applicazione di pesanti sanzioni. È in tale cornice che vanno ad A inserirsi le ulteriori modifiche previste dalla quarta direttiva, le quali di fatto potrebbero tradursi in un notevole aggravio degli obblighi già esistenti. In dettaglio, la proposta di direttiva recepisce le ultime raccomandazioni del gruppo di azione finanziaria internazionale (GAFI), ma su taluni aspetti va ben oltre, nel dichiarato scopo di affinare le attuali modalità di contrasto al riciclaggio di denaro e al finanziamento del terrorismo. Analogamente a quanto previsto dalla vigente Direttiva 2005/60/CE, la proposta di nuova direttiva ribadisce la necessità di tenere in considerazione, nell’applicazione della normativa, le peculiarità dei “piccoli enti obbligati”, garantendo un trattamento normativo commisurato alla loro natura e alle loro specifiche esigenze. Detto principio di proporzionalità delle misure antiriciclaggio è attualmente previsto dal quarto comma dell’art. 3 del d.lgs. 231/2007, ove si evidenzia che queste ultime devono essere conformate alle diverse caratteristiche di ciascuna professione, nonché ai parametri dimensionali dei soggetti tenuti all’adempimento. In conformità a quanto già disciplinato, dunque, nel ridisegnare il sistema preventivo dei reati di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo il legislatore interno non potrà omettere di considerare la profonda diversità dei soggetti destinatari degli obblighi. Questa potrebbe essere l’occasione per riconsiderare le modalità di adempimento dell’obbligo di adeguata verifica della clientela e, in dettaglio, per impostare in modo più corretto il c.d. approccio basato sul rischio, tenendo conto delle peculiarità delle professioni rispetto agli altri soggetti obbligati (ad esempio gli intermediari finanziari). Nel caso dei professionisti, infatti, la valutazione delle procedure antiriciclaggio poste in essere non può prescindere da una attenta considerazione delle differenze di scala (in termini di strutture organizzative) e dell’equilibrio dei costi/benefici per i soggetti obbligati, con una conseguente semplificazione degli obblighi, nel rispetto dei principi generali comunitari di necessità e L’intervento proporzionalità. L’emananda direttiva incide altresì sugli obblighi di adeguata verifica della clientela, ritenendosi necessario un accrescimento della chiarezza e della trasparenza delle relative norme, al fine di disporre di controlli e procedure adeguate che consentano una migliore conoscenza del cliente e una maggiore comprensione della natura delle attività svolte da quest’ultimo. Nel riaffermare alcuni principi già presenti nel nostro ordinamento, la proposta di Direttiva conferma altresì l’obbligo, per tutti i soggetti destinatari della normativa, di dimostrare alle autorità competenti ovvero agli Ordini professionali - che le misure adottate sono adeguate rispetto al rischio di riciclaggio/finanziamento del terrorismo che essi stessi abbiano valutato. La proposta prevede che gli Stati membri richiedano ai destinatari della normativa di effettuare la verifica dell’identità del cliente e del titolare effettivo prima che si instauri il rapporto o che sia svolta la transazione. In deroga a tale previsione, la suddetta verifica potrà essere effettuata anche nel corso del rapporto o in fase di svolgimento della transazione, ove ciò sia necessario per non comprometterne il normale svolgimento e sempre che il rischio di riciclaggio/finanziamento del terrorismo sia minimo: in situazioni del genere, le procedure di verifica dovranno essere portate a termine quanto prima possibile rispetto al contatto iniziale con il cliente. Sono poi da evidenziare le misure previste dal legislatore comunitario al fine di garantire una maggiore trasparenza e accessibilità dei dati del titolare effettivo (c.d. beneficial owner). Al riguardo, deve peraltro ricordarsi che proprio in questi giorni la Banca d’Italia ha emanato l’atteso provvedimento in materia di adeguata verifica antiriciclaggio destinato agli intermediari finanziari, con esclusione delle imprese di assicurazione: le istruzioni dell’autorità di vigilanza troveranno applicazione a partire dal 1° gennaio 2014. Tornando alla proposta di Direttiva, le informazioni acquisite nel corso della adeguata verifica dovranno essere conservate e messe a disposizione delle autorità competenti mentre, con riferimento alla definizione di titolare effettivo, sono confermati pressoché integralmente i contenuti della direttiva vigente. In relazione a tale circostanza, ben può affermarsi che il legislatore europeo ha perso un’importante occasione per far luce su alcuni aspetti a dir poco controversi, come quello relativo alla individuazione del titolare effettivo in caso di entità giuridiche quali le fondazioni e di istituti giuridici quali i trust, che amministrano e 17 distribuiscono fondi: in tale ipotesi, se le persone che beneficiano dell’entità giuridica non sono ancora state determinate, il titolare effettivo coincide con “la categoria di persone nel cui interesse principale è istituita o agisce l’entità giuridica”. Questa precisazione, già vigente e confermata nella proposta di direttiva, non agevola certo l’individuazione del titolare effettivo, rendendo a dir poco complesso il corretto adempimento dell’obbligo di adeguata verifica. Ponendo rimedio ad una evidente carenza dell’attuale disciplina antiriciclaggio, la proposta estende poi le disposizioni in materia di persone politicamente esposte (c.d. PEP) anche ai cittadini residenti in ciascuno degli Stati attuatori: in altre parole, oltre alle persone fisiche cittadine di altri Stati comunitari o di Stati extracomunitari, potranno essere ritenute “politicamente esposte” anche quelle nazionali. Un doveroso cenno merita infine la prevista - e da tempo preannunciata inclusione dei reati fiscali tra quelli presupposto del reato di riciclaggio. Sul punto, in tempi recenti il CNDCEC non ha mancato di evidenziare, in linea con l’aggiornamento delle raccomandazioni FAFT-GAFI, la necessità di distinguere gli illeciti fiscali di natura fraudolenta, che comportano un effettivo ingresso di denaro o di altri beni (ad esempio l’emissione di fatture per operazioni inesistenti), da quelli che danno luogo esclusivamente ad un risparmio di imposta e non alla realizzazione di un incremento patrimoniale. Il buon senso vorrebbe, infatti, che solo i primi venissero considerati quali reati presupposto del riciclaggio, con conseguenze di non poco peso sull’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette. 18 Turchia, il nuovo che avanza Filippo Maria Invitti Odcec di Roma Commercialisti, avvocati e imprenditori in missione. Il secondo passo di un progetto per favorire e alimentare il percorso di internazionalizzazione di professionisti e imprese a chiamano la Cina vicina, perché tra i paesi ex emergenti del cosiddetto BRICST è quello che maggiormente compete con l’inarrestabile marcia del dragone rosso; la Turchia, paese di appena 75 milioni di abitanti affacciato da un lato sul mar Mediterraneo e ponte con l’emisfero asiatico, rappresenta oggi la nuova frontiera del business mondiale. Una rappresentanza di professionisti, tra i quali tanti commercialisti, ha deciso di unirsi all’iniziativa promossa dall’Associazione VICINA e approfittare di una Instant mission ad Istanbul. L’arrivo nella capitale dell’impero ottomano ha lasciato tutti piacevolmente sorpresi nello scoprire una realtà nella quale convivono la cultura cristiana con quella islamica e dove la magnifica basilica di Santa Sofia ne rappresenta il connubio perfetto; attraversare Istanbul ha un sapore particolare, da un lato la splendida cornice dello stretto del Bosforo costeggia l’intera città delineandone il profilo con paesaggi mozzafiato, dall’altro colline spesso esageratamente ripide e che si L susseguono con numerosi saliscendi suscitano nel visitatore l’idea di girare sulle montagne russe. Il mercato rappresenta poi il primo “banco di prova” con lo spirito di naturale attitudine al commercio propria della popolazione turca. La sera, infine, le luci della città illuminano un contesto urbano che appare improvvisamente diverso e incredibilmente suggestivo con le due sponde orientale ed occidentale della città, unite dallo straordinario ponte icona della capitale. L’interesse dei partecipanti, oltre che dall’innegabile fascino di Istanbul, è stato poi sollecitato nel corso della giornata di workshop durante la quale sono state illustrate le opportunità offerte dal paese, i profili legislativi e fiscali e la possibilità di ottenere dalle rappresentanze istituzionali italiane locali sia pubbliche che private forme di supporto ed incentivo allo sviluppo del business in Turchia. È emerso con chiarezza che l’ultimo decennio ha visto crescere l’economia del paese in modo esponenziale con indici di incremento del Pil spesso a doppia cifra e con una costante progressione allo sviluppo degli scambi internazionali tali da portare la nazione tra le prime 15 del ranking mondiale. Una popolazione giovane poi, con una età professionale media di 35 anni, alto tasso di scolarizzazione e conoscenza diffusa della lingua inglese, garantiscono alla Turchia la possibilità di recitare un ruolo da player strategico nei mercati internazionali. Altro interessante aspetto, illustrato durante i lavori dai relatori che si sono susseguiti, è il piano di sviluppo nazionale, che attraverso un programma di incentivi sapientemente distribuito in tutti i territori del paese, ne accresce l’appeal nei confronti degli investitori esteri che guardano con particolare interesse alla possibilità di avviare iniziative produttive e commerciali in loco. Il contatto con la realtà del tessuto imprenditoriale turco si è avuto nei giorni successivi con la visita al distretto industriale di Bursa, distante qualche ora di viaggio da Istanbul. Una realtà modernamente organizzata, con una infrastruttura viaria e ferroviaria che assicura il rapido trasferimento delle merci e delle materie prime nei vicini porti ed L’intervento aeroporti dai quali verranno poi inviate in tutto il mondo. Dai colloqui, tenutisi con i responsabili del parco industriale nonché con i titolari delle efficienti imprese visitate, si è avuta conoscenza dei costi per l’avvio di insediamenti produttivi in quel territorio e che, seppur prevedono un ammontare di almeno il doppio di quelli necessari per analoghe iniziative in altri paesi in via di sviluppo, possono considerarsi ben oltre la metà di quelli stimabili in Italia e con performance qualitative in termini di prodotti finiti niente affatto invidiabili rispetto al nostro prodotto nazionale. La collega Marina Augello ha illustrato, al margine dei lavori con grande soddisfazione, l’Istant guide sulla Turchia preparata dai componenti di VICINA, in collaborazione con gli studenti del dipartimento di finanza internazionale dell’Università “La Sapienza” di Roma, diretto dall’esperto prof. Giovanni Palomba, un documento che verrà messo a disposizione di tutti i commercialisti italiani per avere una prima informazione sulla Turchia e che rappresenterà, per coloro che ne avranno interesse, una traccia da cui partire per i successivi e opportuni 19 approfondimenti professionali. Il presidente di VICINA ha manifestato infine la sua soddisfazione unita a quella dei colleghi co-organizzatori della missione, tra i quali l’infaticabile Leonardo Maria Caputo, per la splendida esperienza umana vissuta durante il viaggio da tutti i partecipanti, auspicandosi una altrettanto numerosa partecipazione alle prossime iniziative che saranno realizzate con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo della cultura dell’internazionalizzazione tra i commercialisti, gli altri professionisti e per il loro tramite delle imprese. 20 Turchia... Sistema Paese Marina Augello, ODCEC Roma GEO-FISICA La Turchia si estende su una superficie di circa 779 mila Km². Bagnata dal Mar Egeo, dal Mar Mediterraneo e dal mar Nero, in posizione strategica al centro tra Europa ed Asia tanto da essere considerata il ponte naturale tra i due continenti. Il Canale del Bosforo, dove confluiscono le acque del mar nero e del mare di Marmara, separa la Turchia europea dalla Turchia asiatica collegate tra loro da due ponti (un terzo è attualmente in costruzione). POPOLAZIONE L’ultimo censimento del 2011 ha registrato una popolazione di circa 75 milioni di abitanti con un’età media di 28,5 anni, elemento, questo, che spiega il dinamismo ed il possibile ulteriore sviluppo dell’economia. La popolazione è distribuita soprattutto nelle grandi città, quali Istanbul, Ankara (la Capitale) ed Izmir. RELIGIONE La Religione predominante è l’Islam, con minoranze Cristiane, Cattoliche Ortodosse ed Ebraiche. Lingua. Ufficiale è il Turco ma viene parlato anche il Kurdo ed il Zazaki. VALUTA Lira turca (TRY) liberamente convertibile. Gli scambi commerciali con partner esteri vengono normalmente regolati in Dollari ed Euro. Internazionale 21 STORIA DEL ‘900 BREVI CENNI SULLE TAPPE FONDAMENTALI L’Armistizio di Mundros, nel 1918 , seguito all’imposizione del trattato di Sevres, pone fine a 600 anni di Impero Ottomano. Il Sultanato viene abolito formalmente nel 1922 ad opera del Generale Mustafà Kemal, conosciuto con il nome di Ataturk, ossia padre dei turchi. Ataturk, fondatore della Repubblica, imprime al Paese un’apertura moderna introducendo il Principio di Laicità dello Stato relegando la religione alla sfera personale dell’individuo e slegando, di conseguenza, le scelte politiche dal precetto religioso. Il 24 luglio 1923, con il Trattato di Losanna la Turchia ottiene il riconoscimento Internazionale di “Repubblica di Turchia”. Il 29 ottobre 1923 viene ufficialmente proclamata la Repubblica con capitale Ankara. Il Partito CHP, guidato dal carismatico Ataturk, occupa la scena politica nazionale incontrastato fino alla morte del generale, avvenuta nel 1938. Anni di confronto bipolare con partiti, che nel frattempo avevano cavalcato l’ascesa, decretrano l’indebolimento e l’uscita di scena, a seguito delle elezioni del 1950, del movimento CHP. Da questo momento e fino al 2002 il Paese è caratterizzato da una forte instabilità politica, tre colpi di Stato militari che ne bloccano di fatto lo sviluppo. SISTEMA POLITICO Il sistema di governo Turco, introdotto con la Costituzione del 1982, attualmente in corso di modifica, è rappresentato da una democrazia parlamentare ad una sola Camera, la “Grande Assemblea Nazionale”, che detiene il potere legislativo mentre il potere esecutivo è demandato al Primo Ministro ed al Consiglio dei Ministri. ATTUALE GOVERNO Dal 2002 il Governo è guidato dal Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) il cui Presidente Recep Tayyip Erdogan è, dal 2003, Primo Ministro. Il partito AKP, nonostante un background integralista, dopo anni di buio, ridona al Paese la luce attraverso una politica estera rivoluzionaria il cui filo conduttore è la solidificazione delle relazioni internazionali che, a differenza del passato, non sono imposte dall’alto, ma frutto di pianificazione strategica tanto sul piano regionale quanto su quello globale. Dieci anni di stabilità politica e fermezza economica e l’inizio dei negoziati per l’adesione all’Unione Europea hanno fatto registrare una crescita economica costante supportata da una valida strategia macroeconomica, da importanti riforme strutturali (varo della legge quadro sugli investimenti esteri, normativa che disciplina la creazione di imprese, nuovo codice di commercio in vigore da luglio 2012), e da oculate politiche fiscali. La combinazione di questi fattori ha consentito al paese di potersi integrare in un quadro economico globale e di trasformarsi in uno dei principali poli attrattivi per gli investimenti diretti esteri. Dopo un biennio di crescita sostenuta con un Pil a quasi due cifre, il paese sta attraversando una fase di moderazione della performance economica, con tassi di crescita del Pil positivi (3% circa) ma più contenuti e sostenibili rispetto al passato. Oggi la Turchia si colloca al 16° posto tra le maggiori economie mondiali ed al 6° posto tra i paesi dell’area UE. SETTORI E MERCATI REALI Nel corso degli ultimi venti anni il Paese è passato da un regime di economia chiusa ad uno di economia libera, regolata da una legislazione liberale. I settori che presentano grandi potenzialità di sviluppo ed opportunità per le imprese estere sono l’energetico, le infrastrutture, il TIC e la meccanica. La Turchia è diventata uno dei mercati energetici in più rapida crescita nel mondo. Lo Stato si sta preparando, nei prossimi anni, ad avviare gare per un valore di circa 900 milioni di euro nel settore dell’energia solare. La legge che regolamenta l’energia da fonti rinnovabili (Low n. 6094/2010, on utilization of renewable Energy Resources Electricity Generation) favorisce con incentivi l’energia prodotta da fonti rinnovabili nei settori eolico, solare da biomassa, idroelettrico e geotermico. Il mercato delle energie rinnovabili è ancora allo stato iniziale e considerando la giornata media di radiazione solare (7,2 ore/giorno) per un totale di 1,311 Kwh/mq per anno, le potenzialità del paese restano ancora ampie e non sfruttate. L’importo degli investimenti da effettuare, per soddisfare il fabbisogno energetico entro il 2023,è stimato in circa 130 miliardi di dollari. Il settore Infrastrutture attrae quotidianamente sempre più investitori. Sono stati realizzati molti progetti nei rami dell’istruzione, dell’energia, della sanita e dei trasporti. Nel settore dei trasporti il Governo sta attuando una serie di politiche volte a rendere più sicura ed efficiente l’infrastruttura dei trasporti. Si segnala, per ciò che attiene alle infrastrutture aeroportuali, progetti del Governo per la costruzione di 3 nuovi Aeroporti e l’ampliamento dell’aeroporto Sabiha Gokcen di Istanbul. 22 Internazionale L’industria meccanica, così come nel resto del mondo, assume in Turchia un ruolo strategico. Negli ultimi venti anni il comparto è cresciuto a ritmi sostenuti, grazie alla disponibilità di una forza lavoro a basso costo e, al contempo, altamente qualificata nonché all’autonomia nell’approvvigionamento dei fattori produttivi che ha ridotto il ricorso a risorse estere. Nonostante la produzione di macchinari nel Paese costituisca una sempre maggiore fetta di esportazioni, queste ultime non superano la domanda nazionale, la quale comprende i principali comparti della economia locale (macchine per la lavorazione dei metalli, macchine tessili, macchine per la lavorazione delle pelli e calzature, macchine per l’imballaggio per la lavorazione della plastica del legno e dei marmi). Il Ministro turco dell’Industria, scienza e tecnologia, Nihat Ergun, intervenendo al vertice di IBM Software, tenutosi nell’ottobre del 2011 a Istanbul, ha enunciato i piani per il primo dei parchi tecnologici speciali da costruire nella Turchia nordoccidentale (Kocaeli). L’Obiettivo è quello di creare un Ecosistema, costituito da imprese ad alta tecnologia impegnate in R&S nel campo dell’informatica, delle telecomunicazioni e dello sviluppo di software. Gli investitori potranno beneficiare di una serie di incentivi che comprendono l’assegnazione gratuita o a basso costo dei terreni, l’esenzione del reddito e le imposte sulle società fino al 2023, il dimezzamento dei premi di previdenza sociale del datore di lavoro per il personale di ricerca, l’esenzione totale dalle imposte di bollo e Iva per dodici anni e l’esenzione dalle tasse per il trattamento delle acque reflue. Sul piano degli incentivi il Governo ha articolato il programma di riforme in quattro punti: Programma generale di incentivi agli investimenti; Programma regionale di incentivi agli investimenti; Programma di incentivi di investimento su larga scala; Programma strategico di incentivi agli investimenti. Il Programma prevede la suddivisione della Turchia in 6 regioni fiscali fissando un tetto minimo di investimento pari ad un milione di lire turche per le zone più depresse rientranti nelle Regioni 1 e 2 ; 500.000 lire turche per le regioni 3-4-5-6. DIRITTO SOCIETARIO, TUTELA DELLA PROPRIETÀ INDUSTRIALE E FISCALITÀ Il nuovo Codice di Commercio è sicuramente una novità di grande rilevanza per l’intero sistema economico, reso necessario dall’aumento degli investimenti stranieri al fine di armonizzare la normativa interna a quella europea. Il nuovo Codice Commerciale, composto da 1535 articoli, è entrato in vigore il 1° luglio 2012, come parte integrante del Codice Civile, che quindi continuerà ad applicarsi nei casi non previsti dalla nuova legge. Il nuovo testo si caratterizza per l’introduzione di una serie di norme ispirate a principi di trasparenza e responsabilità degli attori. Per l’avvio di un’attività in Turchia sono necessari circa dieci giorni con i seguenti step: compilazione del modulo di registrazione presso il Registro delle Imprese della Camera di Commercio locale; deposito delle firme autenticate dei rappresentanti della società e presentazione dello statuto vidimato da un notaio; deposito di un anticipo del capitale sociale pari allo 0,4% presso l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, una Banca statale o la Banca Centrale della Repubblica di Turchia. La disciplina dei diritti di proprietà intellettuale è stata aggiornata nel 1995 con il DL 551 protezione dei brevetti, DL 556 protezione dei marchi, DL 554 protezione dei disegni industriali e DL 555 protezione delle denominazioni geografiche. Gli organismi preposti alla tutela sono l’Istituto turco dei Brevetti responsabile per l’applicazione della normativa, le Corti Speciali per la tutela dei diritti di privativa, la Polizia e le Dogane, i detentori dei diritti, inclusi i consulenti dei brevetti e dei marchi abilitati a depositare le domande di registrazione. La tassazione è caratterizzata da un sistema di imposte dirette ed indirette. Le principali: imposta sul valore aggiunto, in turco Deger Vergisi (KDV), applicata sulla fornitura di beni e servizi e sulle importazioni, assolve l’aliquota ordinaria del 18%. Sono previste due aliquote speciali dell’1% sui prodotti agricoli come cibi secchi, cotone e grano ed una aliquota dell’8% sulla carne ovina e bovina, giornali e quotidiani, olio, pasta, latte. La norma originaria che regola la tassazione dei redditi individuali è la legge 1960. È prevista una tassazione a scaglioni con aliquota del 15% per redditi da 0 a 10.000, del 20% da 10.001 a 25.000, del 27% da 25.001 a 58.000 e del 35% oltre i 58.001. Per quanto concerne la tassazione del reddito delle persone giuridiche il testo di riferimento è la legge n. 1949. Sono possibili due regimi di tassazione. Il regime della tassazione piena previsto per le società residenti che sono tassate in base al principio del reddito mondiale. Il regime di tassazione limitata previsto per le società non residenti, che operano attraverso una branch o una joint venture, soggette a tassazione solo sui redditi conseguiti in Turchia. L’aliquota fiscale di tassazione per le Società è del 20%. L’ottimismo prevede un duro lavoro. Essere ottimisti oggi non significa credere semplicemente che sarà possibile uscire dalla crisi. Significa piuttosto, trasformare questa crisi in opportunità di cambiamento: non solo in termini di riforme del sistema, ma anche di responsabilità. Chi, come noi, non reputa il lavoro come un diritto acquisito, sa che solo attraverso l’impegno e i sacrifici possiamo lasciarci la crisi alle spalle, senza farla ricadere su quelle dei nostri figli. 24 Qatar, una visione di business Riccardo Ricci Commissione Internazionalizzazione dell’ODCEC e dell’UGDCEC di Roma La stabilità politica, il basso livello di corruzione, i piani di investimenti in mega infrastrutture e un vantaggioso sistema fiscale fanno dell’Emirato un paese molto attraente per le aziende italiane aison di Valentino, Costa Smeralda, Mondiali di Calcio 2022, sono queste le cose che vengono maggiormente accostate al Qatar. Ma il Qatar non è solo questo. Il Qatar è un paese che gioca attualmente un ruolo significativo su tematiche di interesse sia regionale che planetaria. È uno dei paesi più dinamici dell’aerea del Golfo con una crescita economica ed una lungimirante politica di riforme volte a favorire lo sviluppo basato su diversificazione, competitività e sostenibilità, guardando alle generazioni future, così come enunciato nella Qatar National Vision (QNV) 2030, varata dal governo nel 2008. Questa “visione” ha proiettato il Qatar in un piano di investimenti in mega infrastrutture (stimati in circa 110 miliardi di dollari nel quinquennio 2013-2017) volte a diversificare l'economia e aumentare la competitività nel settore non idrocarburi. Secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale, il Qatar vanta il Pil pro capite più elevato del M mondo (98.000 USD) e la crescita del Pil totale si è assestata nell’anno 2012 al 6,6%, mentre la crescita del Pil nel settore non idrocarburi si è assestata di poco al disotto del 10%. Di recente, inoltre, per finanziare la sua agenda di diversificazione, il Qatar ha iniziato una sistematica emissione di titoli di Stato denominati in valuta locale con l’obiettivo dichiarato di ridurre la dipendenza del Paese dai finanziamenti esteri e dunque dalla corrente incertezza dell’ambiente globale. Le accorte politiche economiche hanno riscosso il consenso delle agenzie internazionali di rating quali Standard & Poor’s che ha elevato la sua valutazione da ‘A+’ a ‘AA-’. Tra gli investimenti più importanti occorre citare il progetto QIRP (Qatar Integrated Railways Project), sviluppato dalla società ferroviaria nazionale tedesca Deutsche Bahn su incarico dell’Agenzia di sviluppo nazionale Qatari Diar Real Estate Investment, che si basa su un volume di investimenti di circa 43 miliardi di dollari e prevede una Rete metropolitana e una Rete ferroviaria a lunga distanza, in grado di collegare l'Emirato con il resto dei paesi del GCC (Goulf Cooperation Council: Oman, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Kuwait e Bahrain). Approfondimenti geopolitici Il Qatar è un Emirato, situato in una piccola penisola (grande quanto l’Abruzzo) facente parte della ben più grande penisola arabica. La principale risorsa economica è rappresentata dal petrolio. L’Emirato, inoltre, è il maggior esportatore mondiale di gas naturale liquefatto. Infatti nel Golfo Persico si trova il più grande giacimento al mondo di gas naturale (South Pers/North Dome), che si estende su una superficie di 9.700 Km2, di cui 6.000 in acque territoriali qatariote e 3.700 in acque territoriali iraniane. L’enorme ricchezza ha permesso al Riferimenti Ambasciata del Qatar in Italia, Via Bosio n. 14, 00161 Roma, www.qataremassy.it [email protected] telefono 06-44249450. Ambasciata Italiana in Qatar, District 66, Street 913, Plot 83, Villa 31, P.O. Box 4188, Doha, www.ambdoha.esteri.it/Ambasciata_Doha mailto:[email protected]" \o [email protected], Telefono +974.44831828. ItaQam (Associazione per lo sviluppo del Commercio e la Cultura tra Italia e Qatar www.itaqam.com, mailto:[email protected] - telefono +39 0645492248). L’intervento Qatar di non subire i contraccolpi dalle rivolte della cosiddetta “primavera araba” che hanno scosso la regione. L’Emirato può permettersi di mantenere il controllo della scarsa popolazione residente (circa 1,7 milioni di abitanti, ma l’aggiudicazione dei mondiali di calcio del 2022 fanno prevedere un forte incremento) attraverso sussidi e benefici economici. Un perfetto esempio di capitalismo autoritario. La sua stabilità, infatti, deriva principalmente dalla legittimazione politica della famiglia regnante Al-Thani e dalla omogeneità etnica e religiosa del paese che lo differenzia dagli altri paesi del Medio Oriente e del Maghreb. La straordinaria ricchezza energetica dell’Emirato lo espone anche alle mire dei due ingombranti vicini: Arabia Saudita e Iran. Di qui i pregevoli equilibrismi dell’Emiro per evitare che il paese rimanga schiacciato politicamente ed economicamente. Il Qatar intrattiene infatti ottimi rapporti diplomatici ed economici con i maggiori paesi occidentali e la presenza di una grande base aerea della US Air Force - costruita a spese della famiglia reale Al-Thani durante gli anni ‘90 - rende lo Stato praticamente inattaccabile dal punto di vista militare. Un altro importante strumento di politica internazionale è costituito dall’emittente TV, Al Jazeera. Il sistema giudiziario dell’Emirato, originariamente basato sulla Sharia islamica, ha subìto negli ultimi anni una radicale trasformazione orientandosi verso un sistema misto di diritto civile e Sharia islamica. Le corti civili, in particolare, hanno la competenza in materia contrattuale, societaria e del lavoro. Il Qatar ha altresì aderito alle principali organizzazioni internazionali (ONU, GCC, Fondo Monetario Internazionale, Organizzazione Mondiale del Commercio, OPEC, e Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale). Nel paese, in cui un litro di acqua costa il doppio di un litro di benzina, l’approvvigionamento di generi alimentari è essenziale. Il Qatar importa infatti il 95% degli alimenti e la sua economia, in generale, dipende dalle importazioni e la diversificazione dei partner è uno specchio della sua politica internazionale. Dunque il Qatar, con il piano di investimenti in mega strutture, la stabilità politica, il basso livello di corruzione e, non da ultimo, un 25 vantaggioso sistema fiscale, offre numerose opportunità di business, che le aziende italiane possono cogliere con una presenza stabile in loco. Si tratta di una sfida straordinaria e significativa, soprattutto per le piccole e medie imprese (pmi) le quali, tuttavia, spesso non dispongono delle adeguate risorse manageriali e finanziarie per rispondere alla concorrenza internazionale. Per affrontare l’internazionalizzazione in modo organico ed efficace e cogliere le opportunità che offrono i mercati internazionali le Pmi devono superare queste criticità investendo consapevolmente in un processo di internazionalizzazione che miri allo sfruttamento di sinergie che si possono creare attraverso l’aggregazione. Tra i Paesi avanzati con surplus fiscale, il Qatar presenta un rapporto tra debito pubblico e Pil, paragonabile a quello di Australia e Norvegia mentre in valore assoluto (26 miliardi di US dollari) la consistenza del debito pubblico è sostanzialmente inferiore. Paesi con surplus fiscale AUSTRALIA FINLANDIA HONG KONG NORVEGIA QATAR SINGAPORE Debito Pubblico 239 92 93 84 26 118 DP/ PIL 16% 38% 38% 18% 15% 44% Valori in miliardi USD. Fonte FMI Main Budgeted Capital Projects: Total Costs until 2020 Railway Public Works Authority (Ashghal) Industry, Water and Electricity (includes port) Airport Education (including Qatar Foundation) Ministry of Interior and Interior Security Forces FIFA-related Health Other Total Fonte Qatar Ministry of Economics and Finance Total Cost 44.3 27.8 11.1 7.4 7.1 3.9 1.6 1.5 12.06 117.5 (U.S. dollar billions) 2012 Balance 1.1 1.9 1.9 3.3 1.6 0.4 0.5 0.3 6.0 17.1 Until 2020 43.2 19.7 9.2 4.1 5.1 3.5 1.1 0.7 6.2 92.9 CNDCEC-Report Pronto Ordini, le risposte del Cndcec Continuano numerosi i quesiti all’ufficio Pronto Ordini del Cndcec. Su questo numero pubblichiamo le risposte fornite sui più rilevanti argomenti a cura della Redazione Quesito Odcec di Gela Quesito Odcec di Locri Oggetto: PO 77/2013_Tirocinio In relazione al quesito formulato in data 13 marzo 2013 in tema di tirocinio, si osserva quanto segue. In generale e con riferimento ai tirocini contestuali agli studi, si precisa che ai fini del rilascio del certificato di compiuto tirocinio per l’accesso all’esame di Stato per la sezione A è comunque necessario che un anno di tirocinio sia compiuto dopo il conseguimento della laurea specialistica o magistrale (informativa n. 75 del 3 ottobre 2012). Ciò premesso e con riferimento specifico al caso in questione, si rileva che il tirocinante non ha diritto ad essere trasferito dalla sezione B alla sezione A del registro, in quanto la disciplina del tirocinio non consente passaggi di sezione(1) ma, avendo completato i 18 mesi, potrà ottenere il certificato di compiuto tirocinio per l’esame di abilitazione da esperto contabile e dovrà, quindi, essere cancellato dal registro. Una volta conseguita, poi, la laurea specialistica e se vorrà essere ammesso a sostenere l’esame di Stato da dottore commercialista, dovrà iscriversi nella sezione A del registro per svolgere un ulteriore anno di tirocinio secondo quanto previsto dall’articolo 14 del D.M. 7 agosto 2009, n. 143. 8 aprile 2013 Oggetto: PO 55/2013_Incompatibilità_società_di_mediazione_civile_ commerciale_società_di_servizi. Si fa seguito alla richiesta di parere del 20 febbraio nella quale l’Ordine chiede di sapere se versi in una situazione di incompatibilità con l’esercizio della professione l’iscritto che sia socio di maggioranza e amministratore di una società a responsabilità limitata che svolge attività di mediazione civile e commerciale ai sensi del D.Lgs. n. 28/2010 regolarmente accreditata presso il Ministero di Giustizia, il cui fatturato individuale è prevalente rispetto alla quota parte di fatturato della società allo stesso imputabile. Si evidenzia preliminarmente che il decreto legislativo n. 28 del 4 marzo 2010, in attuazione dell’art. 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, ha introdotto la mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali(1). In tale ambito, l’art. 16 disciplina la costituzione degli organismi di mediazione prevedendo che questi siano costituiti esclusivamente da enti pubblici o privati (ovvero organi o articolazioni interne degli enti medesimi) che diano garanzie di serietà ed efficienza(2). Il Decreto del Ministero di Giustizia n. 180 del 18 ottobre 2010 ha successivamente disciplinato i criteri e le modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione individuando all’art. 4, co. 3, i requisiti dei mediatori(3). Alla luce di tale ultima disposizione si può dunque affermare che l’attività di mediazione rientra tra quelle oggetto della professione. Ciò premesso, in tema di incompatibilità, l’art. 4, co. 1, lett. c), del Decreto legislativo n. 139 del 28 giugno 2005 dispone l’incompatibilità tra l’esercizio della professione e (1) La circostanza che il divieto di passaggio tra sezioni è la regola è confermato dal fatto che in passato sono state necessarie norme di carattere transitorio (art. 15 reg. tirocinio) o interventi ad hoc (decreto MIUR 5 novembre 2010) per consentirlo nelle more della stipula della convenzione quadro del 2010. L’applicazione di tali norme, di natura chiaramente eccezionale, non può essere in alcun modo estesa in via analogica. Cndcec Report “l’esercizio, anche non prevalente, né abituale dell’attività di impresa, in nome proprio o altrui e, per proprio conto, di produzione di beni o servizi, intermediaria nella circolazione di beni o servizi, tra cui ogni tipologia di mediatore, di trasporto o spedizione, bancarie, assicurative o agricole, ovvero ausiliarie delle precedenti”. Come può osservarsi, la norma stabilisce una specifica ipotesi di incompatibilità tra l’esercizio della professione e l’esercizio di attività di impresa qualora questa sia esercitata per conto proprio, in nome proprio o altrui. Per “esercizio di attività di impresa” deve intendersi, infatti, il concreto svolgimento dell’attività d’impresa; ciò che risulta incompatibile con l’esercizio della professione è l’esercizio dell’impresa (intesa come gestione dell’impresa) svolto per conto proprio, ossia l’amministrazione effettuata a soli fini imprenditoriali per soddisfare un interesse commerciale proprio(4). Il secondo comma del citato articolo dispone, tuttavia, che, anche nel caso di esercizio per conto proprio di attività di impresa, l’incompatibilità è esclusa se tale attività “… è diretta alla gestione patrimoniale, ad attività di mero godimento o conservative, nonché in presenza di società di servizi strumentali o ausiliari all’esercizio della professione, ovvero qualora il professionista rivesta la carica di amministratore sulla base di uno specifico incarico professionale e per il perseguimento dell’interesse di colui che conferisce l’incarico”. Come può osservarsi, dunque, l’esercizio dell’attività d’impresa è consentito all’iscritto laddove sia strumentale all’esercizio dell’attività professionale(5), sempreché la società sia realmente strumentale e ausiliaria dell’attività del professionista secondo quanto chiarito nelle Note interpretative sulla disciplina delle incompatibilità. A tal proposito le Note interpretative hanno precisato che l’incompatibilità è senz’altro esclusa qualora la società di servizi, nella quale l’iscritto abbia un interesse economico prevalente e ricopra la carica di amministratore con ampi o tutti i poteri, abbia come unico cliente il professionista stesso(6). Laddove, come nel caso prospettato, la società di servizi fatturi anche a terzi (clienti e non del professionista), l’esclusione della causa di incompatibilità si avrà solo nell’ipotesi in cui il fatturato ascrivibile al singolo professionista (di cui alla posizione Iva e/o, in caso di associazione professionale, di cui alla quota spettante del fatturato dello studio associato) sia superiore alla quota parte di fatturato della società di servizi imputabile all’iscritto stesso(7). 8 aprile 2013 (1) 27 Tale provvedimento introduce nell’ordinamento giuridico italiano il nuovo istituto della mediazione civile e commerciale come metodo di risoluzione delle controversie alternativo al tribunale. In base alle disposizioni ivi contenute, chiunque può rivolgersi dinanzi a un mediatore professionista “con requisiti di terzietà” al fine di addivenire in tempi ragionevoli o ad un accordo amichevole o alla formulazione di una proposta per la risoluzione di una controversia civile e commerciale. In alcune materie, ritenute particolarmente conflittuali il ricorso alla mediazione sarà obbligatorio prima di poter intraprendere una azione ordinaria davanti ai giudici. (2) L’art. 18 del citato decreto, disciplina, altresì, la costituzione degli Organismi da parte dei Consigli degli Ordini professionali per le materie riservate alle loro competenze, stabilendo che questi si debbano avvalere di proprio personale e utilizzare locali nella propria disponibilità. (3) Vd. art. 4, co. 1, del D.m. Giustizia n. 180/2010: “Nel registro sono iscritti, a domanda, gli organismi di mediazione costituiti da enti pubblici e privati”. (4) Come evidenziato nel citato comma 2 dell’art. 4, in deroga a tal previsione si consente l’amministrazione e liquidazione di aziende, patrimoni e singoli beni. Tale disciplina rispecchia l’orientamento giurisprudenziale (Cassazione civile, Sez. lav., sent. n. 8601 del 21 novembre 1987) secondo il quale l’attività di impresa (intesa come gestione dell’impresa) non è incompatibile con l’esercizio della professione qualora l’amministrazione si configuri come mero incarico professionale. Il discrimine, quindi, tra attività consentita e vietata, va ricondotto al concetto di amministrazione su mandato ricevuto dal cliente in considerazione della propria competenza professionale, in contrapposizione, come già evidenziato, con l’amministrazione di società svolta a soli fini imprenditoriali per soddisfare un interesse commerciale proprio. (5) Vd. “Note interpretative della disciplina delle incompatibilità di cui all’art. 4 del D.lgs. 28 giugno 2005 n. 139”, pag. 21, par. 4. (6) Vd. Note cit., par. 4.2, pag. 21. (7) Vd. Note cit., par. 4.2, pag. 21 e 22. Quesito Odcec di Pordenone Oggetto: PO 349/2012_Tirocinio In relazione al quesito formulato in data 10 ottobre 2012, con il quale si chiede se un tirocinante che ha iniziato il tirocinio il 2 ottobre scorso può sospenderlo per un anno al fine di poter frequentare un Master all’estero, si osserva quanto segue. 28 Cndcec Report La disciplina delle sospensioni applicabile al caso in questione è quella contenuta nel D.P.R. 7 agosto 2012, n. 137, in quanto si tratta di tirocinio iniziato dopo il 16 agosto 2012 (articolo 6, comma 14, D.P.R. citato). Ora, il comma 7 dell’articolo 6 del D.P.R. in questione prevede che “l’interruzione del tirocinio per oltre tre mesi, senza giustificato motivo, comporta l’inefficacia, ai fini dell’accesso, di quello previamente svolto. Quando ricorre un giustificato motivo, l’interruzione del tirocinio può avere una durata massima di nove mesi, fermo l’effettivo completamento dell’intero periodo previsto”. La norma prevede che per un periodo massimo di 3 mesi il tirocinio possa essere sospeso senza giustificato motivo, mentre per periodi superiori ai 3 mesi e fino ai nove mesi è richiesto un giustificato motivo. A differenza di quanto disposto dal D.M. 7 agosto 2009, n. 143, non sono previste ipotesi tassative di sospensione e viene lasciato agli Ordini un margine di discrezionalità nell’apprezzare le circostanze che costituiscono un “giustificato motivo” di sospensione del tirocinio. La durata della sospensione non può comunque essere superiore a 9 mesi, per cui nel caso di specie la sospensione per un periodo di 12 mesi determinerebbe la perdita del tirocinio già svolto. 18 gennaio 2013 Quesito Odcec di Genova Oggetto: PO 418/2012_Art. 4_D.lgs._139/2005_Incompatibilità_DPR_137_2012. Si fa seguito alla richiesta di parere del 5 dicembre nella quale l’Ordine chiede di sapere se siano da ritenersi ancora vigenti le disposizioni di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 139/2005 alla luce di quanto previsto dagli artt. 2 e 12 del d.P.R. n. 137 del 7 agosto 2012 e dell’art. 3, co. 7, del d.l. n. 138/2012. In riferimento alla questione sollevata si precisa quanto segue. Si osserva che il decreto del Presidente della Repubblica n. 137 del 7 agosto 2012, in attuazione dei principi previsti dall’articolo 3, co. 5, del decreto legge n. 138 del 13 agosto 2011 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 14 settembre 2011) ha introdotto norme regolamentari di riforma degli ordinamenti professionali con riguardo ai seguenti profili: Tirocinio (art. 6), Accesso ed esercizio dell’attività professionale (art. 2), Tenuta dell’Albo professionale (art. 3), Libera concorrenza e pubblicità informativa (art. 4), Assicurazione professionale (art. 5), Formazione continua (art. 7), Procedimento disciplinare (art. 8). Le nuove disposizioni, applicabili dallo scorso 16 agosto, hanno comportato l’abrogazione delle disposizioni con esse in contrasto(1) ovvero incompatibili(2). In riferimento a quanto previsto dall’art. 2 del d.P.R. n. 137/2012, laddove si vieta qualsiasi limitazione all’iscrizione ad albi professionali che non siano fondate “su espresse previsioni di legge inerenti al possesso o al riconoscimento dei titoli previsti dalla legge per la qualifica e l’esercizio professionale, ovvero alla mancanza di condanne penali o disciplinari irrevocabili o ad altri motivi imperativi di interesse generale”, si evidenzia che le disposizioni in tema di incompatibilità con l’esercizio della professione trova giustificazione proprio nella necessità di assicurare la piena autonomia ed efficienza della professione in relazione a interessi di ordine generale.(3) Tale disciplina, infatti, operando nei confronti del professionista una restrizione della generale libertà di iniziativa economica, introduce una compressione di diritti soggettivi costituzionalmente garantiti che trova fondamento nell’esigenza di tutelare l’indipendenza(4), l’onorabilità e l’imparzialità del professionista e garantire che questi agisca, nello svolgimento dell’attività professionale, per la cura di interessi pubblici(5). Alla luce di tali considerazioni, nulla appare aggiungere quanto previsto dall’art. 3, co. 7, del d.l. n. 138/2011 laddove prevede che le disposizioni limitative dello svolgimento di attività economiche debbano essere interpretate in senso restrittivo. Le disposizioni in tema di incompatibilità sono soggette, infatti, ai principi di legalità e tassatività: l’emanazione di tali norme è attribuita in via esclusiva al legislatore di rango primario e non possono individuarsi, in via interpretativa, fattispecie - dirette a limitare l’esercizio, da parte del professionista, di diritti soggettivi - ulteriori rispetto a quelle già indicate dalla legge. In tal senso la norma di cui all’art. 4 deve ritenersi (norma) di stretta interpretazione, non ammettendosi, in alcun caso, interventi interpretativi che, in via analogica o estensiva, ne amplino l’ambito di applicazione(6). Con riferimento alla questione sollevata, pertanto, si ritiene che l’Ordine possa proseguire nel procedimento di cancellazione dell’iscritto, avviato a seguito di accertamento della sussistenza di una situazione di incompatibilità con l’esercizio della professione rilevata in base alle disposizioni legislative attualmente esistenti in materia. 15 gennaio 2013 Cndcec Report (1) Vd. il co. 5-bis dell’ art. 3 del D.L. n. 138/2011: “5-bis. Le norme vigenti sugli ordinamenti professionali in contrasto con i princìpi di cui al comma 5, lettere da a) a g), sono abrogate con effetto dalla data di entrata in vigore del regolamento governativo di cui al comma 5 e, in ogni caso, dalla data del 13 agosto 2012.”. (2) Vd. art. 12 D.p.r. n. 137/2012: Art. 12 Disposizione temporale. “1. Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano dal giorno successivo alla data di entrata in vigore dello stesso. 2. Sono abrogate tutte le disposizioni regolamentari e legislative incompatibili con le previsioni di cui al presente decreto, fermo quanto previsto dall’articolo 3, comma 5-bis, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, e successive modificazioni, e fatto salvo quanto previsto da disposizioni attuative di direttive di settore emanate dall’Unione europea.” (3) Vedi anche Cass. Civ., Sez. Un., sentenze n. 1143 del 24 marzo e n. 2119 dell’11 aprile 1981. (4) In tal senso si evidenzia che il Codice Deontologico della Professione di Dottore Commercialista e di Esperto Contabile, dopo aver richiamato il rispetto delle norme in tema di indipendenza e incompatibilità previste dalla legge, stabilisce espressamente (art. 9) che il professionista non deve mai porsi in situazioni idonee a diminuire il proprio libero arbitrio o ad essere di ostacolo all’adempimento dei doveri. Il professionista deve, inoltre, evitare qualsiasi situazione di conflitto di interessi è più in generale qualsiasi circostanza in cui un terzo possa presumere la mancanza di indipendenza. In particolare al fine di scongiurare il rischio di una compromissione dell’indipendenza, il professionista deve evitare ogni legame di ordine personale, professionale o economico che possa essere interpretato come suscettibile di influenzare negativamente la sua integrità o la sua obiettività. (5) Come anche evidenziato dal Codice Deontologico (art. 5) il professionista ha il dovere e la responsabilità di agire nell’interesse pubblico, potendo soddisfare le necessità del proprio cliente solo nel rispetto del suddetto interesse. (6) Vd. R. Proietti.- G. Colavitti – S. Comoglio- A. Police “Dottori commercialisti ed esperti contabili”, Giuffrè, 2009, 232. Quesito Odcec di Ferrara Oggetto: PO 334/2012_Deontologia_Recesso_cliente_mandato_professi onale. 29 Si fa seguito alla richiesta di parere dell’11 ottobre nella quale l’Ordine chiede di sapere se la clausola inserita da un iscritto nel mandato professionale che preveda che in caso di recesso del cliente questi sia tenuto a versare al professionista una somma corrispondente ad una semestralità del corrispettivo pattuito sotto forma di “indennità per la risoluzione del mandato”, sia conforme alla legge e alle norme deontologiche. In riferimento alla questione sollevata si precisa quanto segue. In tema di contratto di prestazione d’opera intellettuale, il primo comma dell’art. 2237 cod.civ. prevede che il cliente possa recedere dal negozio in qualsiasi momento, rimborsando al prestatore d’opera le spese sostenute e pagando il compenso per l’opera svolta (c.d. recesso ad nutum). Il recesso può essere, dunque, effettuato dal cliente in qualunque momento nel corso dell’esecuzione del contratto e senza obbligo di indicarne il motivo; in caso di esercizio di tale diritto, questi è tenuto a corrispondere al professionista, a titolo di rimborso, unicamente l’ammontare pari alla somma delle spese sostenute e del compenso per l’opera svolta fino al momento del recesso. Tale disposizione deroga al principio generale stabilito dall’art. 2227 cod.civ. che riconosce al prestatore d’opera manuale, in caso di recesso del committente, il diritto a vedersi corrispondere un ammontare pari alle spese, all’opera eseguita e al mancato guadagno. Come può osservarsi, dunque, dall’analisi delle due diverse discipline contrattuali, nel caso di prestazione d’opera intellettuale il cliente receduto non è tenuto a corrispondere un compenso al professionista per il mancato guadagno, evincendosi, dunque, da tale disciplina, la volontà del Legislatore di sollevarlo sia dall’onere di provare la sussistenza di una giusta causa sia da remore di carattere economico. Tale norma si giustifica alla luce del carattere fiduciario e personale del rapporto avente ad oggetto una prestazione d’opera intellettuale, in cui rileva l’intuitus personae e la tutela del contraente più debole o meno organizzato, ossia il cliente, ed il suo affidamento al professionista(1). La diversa posizione sostanziale delle parti si riflette anche nella circostanza che la tutela di tale affidamento risulta unilaterale, considerato che al professionista è consentito recedere solo in presenza di una giusta causa(2). In tal senso, secondo una parte della dottrina(3) e della giurisprudenza(4), una diversa volontà o opinione del cliente stesso sulle conseguenze della propria 30 Cndcec Report dichiarazione di recesso (considerato elemento essenziale del contratto di prestazione d’opera intellettuale) anche se espressa formalmente, rimarrebbe priva di rilevanza. Secondo tale orientamento, infatti, l’esercizio da parte del cliente del potere di recesso ad nutum non può essere fonte di responsabilità né può legittimare la proposizione da parte del professionista dell’azione di risoluzione del contratto per inadempimento. Si osserva altresì che l’art. 20, co. 1, del Codice Deontologico, conformemente a quanto previsto dall’art. 2237, 1° co., cod.civ., dispone espressamente(5) che il cliente può sostituire in qualsiasi momento il professionista scelto. Ciò premesso, con particolare riferimento alla configurabilità, in capo al professionista, di un diritto al risarcimento del danno provocato dal recesso del cliente, si evidenzia che questo, di norma, non è dovuto(6). Come già osservato, il Legislatore, differentemente da quanto previsto per il caso di prestazione d’opera manuale(7), non ha ritenuto di prendere in considerazione, nel caso di recesso anticipato del cliente dal contratto di prestazione di opera intellettuale, il lucro cessante(8). Occorre, tuttavia, evidenziare che, secondo l’orientamento più recente(9) della Cassazione, l’art. 2237 cod.civ. non è una norma inderogabile e pertanto le parti del contratto d’opera professionale, stabilendo una durata minima del rapporto, possono escludere la possibilità per il cliente di recedere dall’incarico senza corrispondere un indennizzo per mancato guadagno(10). Secondo tale orientamento, pertanto, una volta esclusa la inderogabilità della regola di cui all’articolo 2237 cod.civ., l’apposizione di un termine finale alla prestazione varrebbe necessariamente - salve particolari fattispecie che in concreto possano presentarsi e nelle quali si renda possibile desumere inequivocabilmente una diversa previsione contrattuale quale patto che determina in modo vincolante la durata del rapporto; per cui, in assenza di pattuizioni diverse o di giusta causa, nella ipotesi di recesso unilaterale da un contratto al quale sia stato apposto dalle parti contraenti un termine finale, si riconoscerebbe il diritto anche del prestatore d’opera intellettuale a conseguire l’intero compenso contrattualmente previsto per l’intera durata del rapporto(11). Laddove non sia apposto un termine finale dalle parti ma comunque queste, come nel caso segnalato, prevedano il risarcimento in caso di recesso del cliente, si evidenzia in particolare che parte della dottrina ha indicato che tale risarcimento deve liquidarsi secondo le regole generali(12) previste dagli artt. 1223 ss. cod.civ.. Tale risarcimento si concreterebbe nell’importo derivante dalla mancata percezione da parte del professionista dei compensi spettanti durante il periodo corrente tra la data dell’anticipata cessazione del rapporto e quella della scadenza del contratto, con l’eventuale detrazione dell’importo dei lucri che egli si sia procurato o avrebbe potuto procurarsi con l’uso dell’ordinaria diligenza dopo la cessazione del rapporto(13). Alla luce di tali indicazioni si ritiene, pertanto, ammissibile, in deroga alla disciplina generale dell’art. 2237 cod.civ., la pattuizione tra le parti di un risarcimento per il professionista in caso di recesso del cliente, da disciplinarsi conformemente a quanto stabilito dall’art. 1223 cod.civ.. 15 gennaio 2013 (1) Così Lega C., Le libere professioni intellettuali, 1974, pag. 792. (2) Vd. art. 2237, 2° co., cod.civ.: “Il prestatore d’opera può recedere dal contratto per giusta causa. In tal caso egli ha diritto al rimborso delle spese fatte e al compenso per l’opera svolta, da determinarsi con riguardo al risultato utile che ne sia derivato al cliente”. (3) Vd. G. Musolino, Il contratto d’opera professionale – artt. 2229-2238, dal Commentario al Codice Civile di P. Schlesinger, 2009, pagg. 533 e 538-9. (4) Per quanto riguarda la rilevanza del recesso nell’economia del contratto di prestazione di opera intellettuale, alla luce del carattere fiduciario del rapporto cliente-professionista, Pret. Roma 21 aprile 1977, ha indicato la facoltà di recesso ad nutum da parte del cliente un elemento essenziale (e, conseguentemente, inderogabile) del contratto stesso; vd. anche Cass., sent. n. 5592 del 20 dicembre 1977. (5) Art. 20, co. 1, Codice Deontologico: “1. Il cliente ha il diritto di scegliere il suo professionista e di sostituirlo in qualsiasi momento.” (6) Il citato art. 2237 cod.civ., disciplina specifica del recesso dal contratto di opera intellettuale, attribuisce, infatti, al cliente il diritto di recedere unilateralmente dal contratto restando a suo carico esclusivamente l’obbligo di rimborsare al professionista l’ammontare delle spese sostenute e il compenso per l’opera prestata fino al momento del recesso. (7) Vd. art. 2227 cod.civ.: “Il committente può recedere dal contratto, ancorché sia iniziata l’esecuzione dell’opera, tenendo indenne il prestatore d’opera delle spese, del lavoro eseguito e del mancato guadagno.”. Cndcec Report (8) Vd. in giurisprudenza: App. Milano, sent. 13 febbraio 1970; vd. anche Cass. civ., sent. n. 10 del 10 gennaio 1962, secondo cui l’esercizio del diritto di recesso non è condizionato al pagamento d’una somma che risarcisca al professionista il rischio di recesso. Inoltre, come evidenziato da parte della giurisprudenza (Cass. sent. n. 3707/1989), all’opera intellettuale non sarebbe applicabile neanche la disposizione di cui all’art. 1725, 1° co., cod.civ., ai sensi del quale la revoca del mandato oneroso, conferito per un tempo determinato o per un determinato affare, obbliga il mandante al risarcimento dei danni qualora venga fatta prima della scadenza del termine o del compimento dell’affare, salvo che ricorra una giusta causa. (9) Vd. Cass., Sez. Lav., sent. n. 5738 del 6 maggio 2000. (10) In particolare la Suprema Corte ha affermato, a seguito di un mutamento di orientamento intervenuto nella propria giurisprudenza a partire dalle sentt. n. 7606/1995, n. 9701/1996 e n. 8690/1997, che “la disciplina del recesso del cliente nel contratto di prestazione d’opera intellettuale non ha carattere inderogabile - la deroga ben potendo ritenersi necessaria dalle parti per loro particolari esigenze - e l’apposizione di un termine a un rapporto di collaborazione professionale continuativa basta a integrare la deroga contrattuale alla facoltà di recesso, così come disciplinata dalla legge, senza che a tale fine sia necessario un patto specifico ed espresso, e comporta, senza necessità di altro, l’esclusione della facoltà di recesso ad nutum”. (11) In tal senso vd. Cass., sent. n. 1843 del 19 marzo 1980. (12) Vd. art. 1223 cod.civ.: “Il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta”. (13) Vd. Cass., sent. n. 1560 del 13 marzo 1979. Quesito Odcec di Savona Oggetto: PO 353/2012_tariffa_liquidazione parcelle a seguito emanazione DM 20 luglio 2012, n. 140 In relazione al quesito formulato lo scorso 23 ottobre, con il quale si chiedono chiarimenti in merito alla liquidazione delle parcelle che si riferiscono a prestazioni ultimate prima del 23 agosto 2012, si osserva quanto segue. L’art. 9 del DL 24 gennaio 2012, n. 1 che ha disposto l’abrogazione delle tariffe professionali ha altresì stabilito che le tariffe, limitatamente alla liquidazione delle spese giudiziali, continuino ad applicarsi fino alla data di entrata in vigore dei decreti ministeriali con cui sono fissati i nuovi 31 parametri e, comunque, non oltre il centoventesimo giorno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Orbene l’art. 41 del DM 20 luglio 2012, n. 140 prevede che le nuove disposizioni in tema di liquidazione dei compensi sulla base dei parametri debbano trovare applicazione alle liquidazioni successive alla data di entrata in vigore del decreto. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 17406 del 12 ottobre 2012 hanno evidenziato che “per ragioni di ordine sistematico e dovendosi dare al citato art. 41 del decreto ministeriale un'interpretazione il più possibile coerente con i principi generali cui è ispirato l'ordinamento, la citata disposizione debba essere letta nel senso che i nuovi parametri siano da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorchè tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta in epoca precedente, quando ancora erano in vigore le tariffe professionali abrogate”. Ne deriva che le tariffe abrogate possono trovare ancora applicazione qualora la prestazione professionale si sia completamente esaurita sotto il vigore delle precedenti tariffe. Deve invece applicarsi il D.M. n. 140/2012 con riferimento a prestazioni professionali, iniziate prima, ma ancora in corso alla data di entrata in vigore del suddetto decreto (23 agosto 2012). Alla luce di quanto sopra esposto occorre considerare se siano ancora valide le indicazioni fornite con l’informativa del Consiglio Nazionale n. 21/2012. Nell’informativa si evidenziava che i Consigli degli Ordini potessero continuare a liquidare le parcelle relative ad a) incarichi conclusi prima dell’entrata in vigore del decreto “liberalizzazioni” (24 gennaio 2012); b) incarichi assunti dai professionisti prima dell’entrata in vigore del decreto “liberalizzazioni” (24 gennaio 2012). Le indicazioni fornite rimangono certamente attuali per il caso sub a). Alcune precisazioni, invece, devono essere poste in relazione al caso sub b). Alla luce della sentenza delle Sezioni unite della Cassazione, infatti, la tariffa si applicherà per la liquidazione giudiziale dei compensi solo nei casi in cui la prestazione si sia conclusa prima dell’entrata in vigore del DM 140/2012 (23 agosto 2012, 32 Cndcec Report giorno successivo alla data di pubblicazione nella G. U.), qualora invece la prestazione si sia conclusa a decorrere dal 23 agosto 2012 si applicheranno i parametri di cui al DM 140/2012, senza la necessità di richiedere alcun parere di liquidazione all’Ordine. Più problematica appare la situazione relativa agli incarichi assunti successivamente al 24 gennaio 2012 per i quali le parti non abbiano concordato il compenso. L’articolo 9 del decreto liberalizzazione non prevede che la mancata pattuizione del compenso al momento del conferimento dell’incarico, ovvero la mancata formulazione del preventivo, configuri un’ipotesi di nullità del contratto. Pertanto, ogni qualvolta il compenso non sia stabilito fra le parti, il professionista potrà ricorrere al giudice per la liquidazione del compenso ai sensi dell’art. 2233 cod. civ . Considerato che l’art. 2233 cod. civ. non ha subito alcuna modifica, come evidenziato nell’informativa 21/2012, si ritiene che ai Consigli degli Ordini spetti ancora il compito di rilasciare il parere in base al quale il giudice è chiamato a determinare il compenso. Tale compito spetterà certamente fino a quando le tariffe professionali continueranno a costituire la base di riferimento per le liquidazioni giudiziali (come evidenziato dalla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, per la determinazione dei compensi spettanti per le prestazioni concluse entro il 23 agosto 2012). 30 novembre 2012 Quesito Odcec di Livorno Quesito Odcec di Ancona Quesito Odcec di Reggio Emilia Oggetto: PO 355/2012_Tirocinio In relazione al quesito formulato in data 30 ottobre 2012 con il quale si chiede se per i tirocini iniziati (o conclusi) anteriormente al giorno successivo all’entrata in vigore del D.P.R. 137/2012 (ossia dal 16 agosto 2012) si applica la norma del D.P.R. citato che prevede che il tirocinio perde efficacia trascorsi cinque anni dal suo compimento senza che venga superato l’esame di Stato, si osserva quanto segue. Il D.P.R. 7 agosto 2012 n. 137 per espressa previsione normativa (art. 6, comma 14 D.P.R. cit.) si applica ai tirocini iniziati dal giorno successivo alla sua entrata in vigore, vale a dire dal 16 agosto 2012 (data di presentazione della domanda). Per i tirocini iniziati anteriormente al 16 agosto, dunque, si applicano in toto le regole del D.M. 7 agosto 2009, n. 143. Ne consegue che il tirocinio non è soggetto a scadenza per coloro che lo hanno iniziato anteriormente al 16 agosto 2012. 23 novembre 2012 Oggetto: PO 274/2012_Acquisti_delle_Pubbliche_Amministrazioni. Si fa seguito alla richiesta di parere del 25 settembre nella quale l’Ordine chiede di sapere se gli Ordini territoriali, in considerazione di quanto disposto dall’art. 1, co. 7, del D.l. n. 95/2012, in quanto amministrazioni pubbliche, siano o meno tenuti: ad approvvigionarsi di beni e di servizi attraverso gli strumenti di acquisto e negoziazione messi a disposizione da Consip S.p.a. e dalle centrali di committenza regionali di riferimento costituite ai sensi della L n. 296/2006 relativamente alla fornitura di energia elettrica, gas, carburanti, telefonia, come previsto dall’art. 7 del D.l. n. 95/2012; a utilizzare, per le ulteriori categorie merceologiche, le convenzioni per l’acquisto di beni ovvero debbano utilizzare i parametri di prezzo-qualità come limiti massimi per la stipulazione di contratti come previsto Oggetto: PO 325/2012_Formazione professionale continua Facendo seguito al Vs. quesito del 12 ottobre u.s., nel quale si chiede se alla luce della riforma prevista dal DPR 7 agosto 2012, n. 137, quanto regolamentato autonomamente dall’Ordine in materia di esonero dallo svolgimento della formazione professionale continua sia da considerarsi attualmente in vigore, si osserva quanto segue. La riforma degli Ordinamenti professionali attribuisce al Consiglio Nazionale la disciplina della formazione professionale continua. Ai sensi dell’art. 7, co. 3, lettera a), questo Consiglio, entro il 15 agosto 2013 (un anno dall’entrata in vigore del decreto), previo parere favorevole del Ministro della Giustizia, dovrà emanare un regolamento in materia con cui disciplinare anche le modalità e le condizioni per l’assolvimento dell’obbligo di aggiornamento da parte degli iscritti e pertanto anche le eventuali ipotesi di esonero dallo svolgimento della formazione obbligatoria. Sino all’entrata in vigore della nuova normativa restano quindi efficaci le previsioni di cui al regolamento per la fpc adottato dall’Ordine in virtù della potestà regolamentare prevista dall’articolo 12, comma 1, lettera r) del D. Lgs. 28 giugno 2005, n. 139. 31 ottobre 2012 Cndcec Report dall’art. 1 co. 449, della L. n. 296/2006. In riferimento alla questione sollevata si precisa quanto segue. L’art. 1, co. 7, del Decreto Legge n. 95 del 6 luglio 2012 (cd. decreto spending review) stabilisce(1) che le amministrazioni pubbliche e le società inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione individuate dall’ISTAT(2), devono fare ricorso alle convenzioni Consip o a quelle delle centrali regionali per l’acquisto di una serie di beni e servizi a consumo intensivo (energia elettrica, gas, telefonia fissa e mobile, etc.) ovvero esperire proprie autonome procedure nel rispetto della normativa vigente, utilizzando i sistemi telematici di negoziazione sul mercato elettronico e sul sistema dinamico di acquisizione messi a disposizione dai soggetti sopra indicati. In riferimento a tale recente disposizione si deve osservare che la norma, volta al contenimento della spesa pubblica, trova applicazione esclusivamente nei confronti delle pubbliche amministrazioni e delle società a partecipazione pubblica incluse nel citato elenco ISTAT, considerato che si tratta di amministrazioni che beneficiano dei contributi economici dello Stato. Risultano, dunque, esclusi dall’ambito soggettivo di applicazione della norma gli Ordini territoriali per i quali continua a trovare applicazione la norma di cui all’art. 1, co. 449, della Legge n. 296 del 27 dicembre 2006(3). 23 ottobre 2012 33 negoziazione sul mercato elettronico e sul sistema dinamico di acquisizione messi a disposizione dai soggetti sopra indicati. La presente disposizione non si applica alle procedure di gara il cui bando sia stato pubblicato precedentemente alla data di entrata in vigore del presente decreto. È fatta salva la possibilità di procedere ad affidamenti, nelle indicate categorie merceologiche, anche al di fuori delle predette modalità, a condizione che gli stessi conseguano ad approvvigionamenti da altre centrali di committenza o a procedure di evidenza pubblica, e prevedano corrispettivi inferiori a quelli indicati nelle convenzioni e accordi quadro messi a disposizione da Consip S.p.A. e dalle centrali di committenza regionali. In tali casi i contratti dovranno comunque essere sottoposti a condizione risolutiva con possibilità per il contraente di adeguamento ai predetti corrispettivi nel caso di intervenuta disponibilità di convenzioni Consip e delle centrali di committenza regionali che prevedano condizioni di maggior vantaggio economico. La mancata osservanza delle disposizioni del presente comma rileva ai fini della responsabilità disciplinare e per danno erariale.” (2) L’elenco aggiornato delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato, predisposto ai sensi dell’articolo 1, co. 3, della Legge n. 196 del 31 dicembre 2009 (Legge di contabilità e di finanza pubblica) è stato pubblicato in G.U. n. 227 del 28 settembre 2012). Gli Ordini professionali non sono inclusi nell’elenco. (3) Vd. art. 1, co. 449, della L. n. 296/2006: “449. Nel rispetto del sistema delle convenzioni di cui agli articoli (1) Vd. art. 1, co. 7, D.l. n. 95/2012: 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e successive “Fermo restando quanto previsto all’articolo 1, commi 449 e modificazioni, e 58 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, tutte le 450, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e all’articolo 2, amministrazioni statali centrali e periferiche, ad esclusione degli comma 574, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, quale misura istituti e scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni educative di coordinamento della finanza pubblica, le amministrazioni e delle istituzioni universitarie, sono tenute ad approvvigionarsi pubbliche e le società inserite nel conto economico consolidato utilizzando le convenzioni-quadro. Le restanti amministrazioni della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto pubbliche di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 30 marzo nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’articolo 1 della 2001, n. 165, e successive modificazioni, possono ricorrere alle legge 31 dicembre 2009, n. 196, a totale partecipazione convenzioni di cui al presente comma e al comma 456 del pubblica diretta o indiretta, relativamente alle seguenti presente articolo, ovvero ne utilizzano i parametri di prezzo- categorie merceologiche: energia elettrica, gas, carburanti rete e qualità come limiti massimi per la stipulazione dei contratti. Gli carburanti extra-rete, combustibili per riscaldamento, telefonia enti del Servizio sanitario nazionale sono in ogni caso tenuti ad fissa e telefonia mobile, sono tenute ad approvvigionarsi approvvigionarsi utilizzando le convenzioni stipulate dalle attraverso le convenzioni o gli accordi quadro messi a centrali regionali di riferimento ovvero, qualora non siano disposizione da Consip S.p.A. e dalle centrali di committenza operative convenzioni regionali, le convenzioni-quadro stipulate regionali di riferimento costituite ai sensi dell’articolo 1, da Consip S.p.A”. comma 455, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, ovvero ad esperire proprie autonome procedure nel rispetto della normativa vigente, utilizzando i sistemi telematici di 34 Cndcec Report Quesito Odcec di Torino Oggetto: PO 154/2012_Albo Con il quesito formulato in data 14 giugno 2012, si domanda quali provvedimenti debbano essere adottati nei confronti degli iscritti che risultino irreperibili all’indirizzo di residenza noto alla segreteria dell’Ordine e confermato mediante accertamento presso l’Ufficio anagrafe del Comune. A tal proposito viene precisato che le raccomandate a.r. risultano in alcuni casi rese al mittente per compiuta giacenza mentre in altri ritirate ma prive di seguito. L’accertata e documentata irreperibilità dell’iscritto comporterebbe come conseguenza la necessità di apertura di un procedimento di cancellazione d’ufficio per perdita del requisito della residenza. Ciò detto, non si ritiene che nei casi descritti da codesto Ordine possa parlarsi di irreperibilità. Non può, infatti, considerarsi “irreperibile” un soggetto che abbia ritirato la raccomandata ma non abbia dato seguito alle richieste in essa contenute. In questo caso il soggetto è venuto a conoscenza del contenuto delle richieste avanzate dall’Ordine e ha deciso di non darvi seguito. Tale comportamento può essere valutato dall’Ordine che, esaminato ciascun caso concreto, potrà decidere in piena autonomia se aprire o meno un procedimento disciplinare. Anche nel secondo caso (raccomandate rese al mittente per compiuta giacenza) il soggetto non può considerarsi irreperibile, in quanto l’indirizzo di residenza è stato confermato mediante accertamento presso l’Ufficio anagrafe del Comune. Ciò nondimeno, anche in questa ipotesi, se comunque è trascorso un considerevole lasso di tempo senza che l’Ordine abbia potuto contattare l’iscritto, quest’ultimo in piena autonomia potrà valutare se aprire nei confronti dell’iscritto stesso un procedimento disciplinare qualora dovesse ritenere che la mancata comunicazione della variazione dei propri recapiti sia comportamento contrario a correttezza. A tal proposito, si ricorda che la legge 25 aprile 1938, n. 897 (“Norme sulla obbligatorietà dell’iscrizione negli albi professionali e sulle funzioni relative alla custodia degli albi”), attualmente in vigore, prevede all’articolo 2, che coloro che iscritti nell’albo non siano di specchiata condotta “debbono esserne cancellati, osservate per la cancellazione le norme stabilite per i provvedimenti disciplinari”. L’apertura dell’eventuale procedimento disciplinare dovrà essere comunicata all’indirizzo noto all’Ordine. In merito a ciò - ed in via generale - si precisa che qualora il destinatario delle comunicazioni previste dal regolamento disciplinare non provveda al ritiro delle relative raccomandate, può trovare applicazione la legge 20 novembre 1982, n. 890 che disciplina le notificazioni di atti e comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari. Ai sensi dell’articolo 8, comma 4, della suddetta legge “la notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata di cui al secondo comma ovvero dalla data di ritiro del piego se anteriore”. La lettera raccomandata di cui al secondo comma è la raccomandata a.r. con la quale l’agente postale dà notizia al destinatario del tentativo di notifica del piego e del suo deposito presso l’ufficio postale, corredando l’avviso di tutte le indicazioni previste dallo stesso comma 2 dell’articolo 8, con espresso invito a provvedere al ricevimento del piego mediante ritiro dello stesso entro il termine massimo di sei mesi assieme all’avvertimento che la notificazione si ha comunque per eseguita trascorsi 10 giorni dalla data del deposito e che – decorso inutilmente anche il predetto termine di sei mesi – l’atto sarà restituito al mittente(1) . 5 ottobre 2012 (1) Per completezza, l’articolo 8 della legge citata prevede che nel caso in cui l’agente postale non possa recapitare il piego per temporanea assenza del destinatario o per mancanza, inidoneità o assenza delle persone abilitate a riceverlo, il piego è depositato presso l’ufficio postale preposto alla consegna. Eseguito il deposito, l’agente postale provvede ad inviare al destinatario, con raccomandata a.r., l’avviso sopra indicato. Quesito Odcec di Padova Oggetto: PO 134/2012 - vigilanza del collegio sindacale in ordine al bilancio consolidato e relazione del collegio sindacale Il quesito sottoposto al Consiglio Nazionale si riferisce al caso di una società per azioni che redige il bilancio consolidato e nella quale il collegio sindacale svolge esclusivamente l’attività di vigilanza ex 2403 c.c., mentre l’attività di revisione legale dei conti è affidata al revisore legale dei conti. Considerato che il collegio sindacale intende esprimere proprie osservazioni in ordine al bilancio consolidato, nel quesito si chiede se sia possibile inserire dette Cndcec Report osservazioni nella relazione del collegio sindacale sul bilancio ordinario ovvero se esse debbano essere contenute in una separata relazione sul bilancio consolidato. Il quesito proposto impone di soffermarsi preliminarmente sulle disposizioni applicabili in tema di controllo sul bilancio consolidato. L’art. 41, co. 1, D.Lgs. n. 127/1991 dispone che «il bilancio consolidato è assoggettato alla revisione legale dei conti». La citata norma stabilisce, altresì, che detta attività di revisione è effettuata dal soggetto incaricato della revisione legale del bilancio d’esercizio della società che redige il bilancio consolidato (art. 41, co. 2, D.Lgs. n. 127/1991). Come si evince dal combinato disposto dell’art. 41 D.Lgs. n. 127/1991 e dell’art. 14 del D.Lgs. n. 39/2010, il revisore legale dei conti (o la società di revisione) della società che redige il bilancio consolidato è tenuto a predisporre, oltre alla relazione di revisione sul bilancio d’esercizio, un’apposita relazione di revisione sul bilancio consolidato. Nulla dispone, dunque, il citato decreto in merito a compiti e funzioni del collegio sindacale di società obbligate a redigere il bilancio consolidato. Sul punto, le Norme di comportamento del collegio sindacale, emanate dal Consiglio Nazionale, contengono una specifica disposizione (Norma 3.8.) destinata a chiarire in che modo l’obbligo di redazione del bilancio consolidato incida sull’attività di vigilanza svolta dal collegio sindacale. In analogia a quanto previsto con riferimento al bilancio d’esercizio, la Norma 3.8 stabilisce che, nel caso in cui la società rediga il bilancio consolidato, il collegio sindacale vigila sull’osservanza da parte degli amministratori delle disposizioni relative al procedimento di redazione e di pubblicazione del bilancio consolidato. Tale attività di vigilanza si intende, infatti, ricompresa nell’alveo del più generale dovere di vigilare sull’osservanza della legge e sul rispetto dei principi di corretta amministrazione affidato ex art. 2403 c.c. all’organo di controllo interno. Con riferimento al quesito proposto, la Norma 3.8. chiarisce inoltre che «in capo al collegio sindacale non incaricato della revisione legale dei conti non è previsto alcun obbligo di relazione né di formali espressioni di giudizio, che sono invece richiesti al revisore legale». Ciò non esclude che nell’ambito della sua attività di vigilanza ex art. 2403 c.c. «il collegio sindacale può esprimere (…) proprie osservazioni e proposte sul bilancio 35 consolidato», anche discordi rispetto a quelle formulate dal revisore legale dei conti Si tratta, dunque, di una facoltà riconosciuta al collegio sindacale in funzione dell’adempimento dei propri doveri di vigilanza (cfr. criteri applicativi e commento della Norma 3.8). Quanto alla sede nella quale formulare dette osservazioni e proposte, la Norma di comportamento stabilisce, da un lato, che le stesse possono essere espresse «in ambito assembleare o in altro ambito» e, dall’altro, che le conclusioni dell’attività di vigilanza in ordine al bilancio consolidato sono riassunte in un apposito paragrafo della relazione da proporre all’assemblea in occasione dell’approvazione del bilancio di esercizio (cfr. criteri applicativi e commento della Norma 3.8). In ossequio al principio discrezionalità tecnica che connota lo svolgimento dell’attività di vigilanza, la Norma dunque non delimita in maniera tassativa le modalità di esternazione delle osservazioni e delle proposte in ordine al bilancio consolidato, ma lascia al giudizio professionale dei sindaci la scelta di individuare le sedi nelle quali sia opportuno esprimere le proprie valutazioni. Deve ritenersi tuttavia che il riferimento agli “altri ambiti” contenuto nella citata Norma di comportamento sia da intendersi limitato alle “sedi” espressamente previste dalla legge. Si pensi ad esempio alla possibilità che il collegio sindacale rilevi delle criticità e esprima – nell’ottica di un controllo proattivo e preventivo – le proprie osservazioni e proposte nel corso delle partecipazioni alle riunioni del consiglio di amministrazione o del comitato esecutivo oppure in occasione dello scambio di informazioni con gli amministratori o con il revisore legale dei conti. Resta inteso che, in base a quanto previsto dall’art. 2429, co. 2, c.c., il collegio sindacale ha l’obbligo di redigere la relazione sul bilancio d’esercizio nella quale riferisce all’assemblea dei soci in merito ai risultati dell’esercizio sociale e all’attività di vigilanza svolta nell’adempimento dei propri doveri. Con riferimento al contenuto di detta relazione, la Norma di comportamento 7.1. stabilisce che la relazione sul bilancio d’esercizio include, tra l’altro, le valutazioni del collegio sindacale in ordine al bilancio consolidato e alla relazione consolidata di gestione. Alla luce del quadro normativo delineato deve, pertanto, ritenersi che le osservazioni del collegio sindacale in ordine al bilancio consolidato possono essere inserite nella relazione del collegio sindacale sul bilancio d’esercizio di cui all’art. 2429 c.c. 36 Cndcec Report Si ritiene, altresì, che la redazione di una relazione sul bilancio consolidato non rientri nell’area del “comportamento dovuto” del collegio sindacale, che svolge esclusivamente la vigilanza ex art. 2403 c.c., dal momento che non è configurabile alcun obbligo giuridico in tal senso. Nella prassi si registrano, tuttavia, alcuni casi - anche relativi a società quotate - nei quali il bilancio consolidato è accompagnato anche dalla “relazione del collegio sindacale sul bilancio consolidato”. Questa relazione, che si potrebbe definire “atipica”, in quanto - come già evidenziato - non espressamente prevista dalla legge, sembrerebbe rispondere all’esigenza di fornire un’informativa specifica in ordine all’attività di vigilanza svolta con riferimento al bilancio consolidato e, al contempo, distinta rispetto a quella riguardante il bilancio d’esercizio. 5 ottobre 2012 Quesito Odcec di Tivoli Inviato a mezzo e-mail Oggetto: PO 255/2012_Indice telematico Pubbliche Amministrazioni_Invio domanda di concorso tramite PEC Con il quesito pervenuto in data 12 settembre 2012 l’Ordine di Tivoli chiede un parere in merito all’obbligatorietà di iscrizione all’Indice delle Pubbliche Amministrazioni (IPA). La domanda assume un valore rilevante in relazione alla valutazione della posizione di un potenziale candidato al pubblico concorso bandito dall’amministrazione. Nella fattispecie, l’interessato avrebbe tentato di inviare la domanda attraverso il proprio indirizzo con dominio “postacertificata.gov.it”, ma il tentativo non sarebbe andato a buon fine a causa della mancata registrazione della PEC dell’Ordine presso l’IPA. Non vi sono dubbi in merito all’obbligatorietà dell’iscrizione in questione: l’Ordine, essendo ricompreso nella nozione di pubblica amministrazione di cui all’art. 1, comma 2 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, è tenuto a possedere un indirizzo di Posta Elettronica Certificata (PEC) e a pubblicizzarlo nei modi prescritti dalla normativa vigente in materia, vale a dire presso l’indice delle Pubbliche Amministrazioni oltre che sul proprio sito istituzionale. Le norme di riferimento sono varie e di diverso tenore. L’obbligo di registrazione in un indice nazionale è stato a suo tempo introdotto dalla normativa in materia di adozione del protocollo informatico (dPCM 31 ottobre 2000, artt. 11 e 12) in relazione a ciascun registro di protocollo delle pubbliche amministrazioni ed era originariamente rivolto a “ciascuna pubblica amministrazione che intenda trasmettere documenti informatici soggetti alla registrazione di protocollo” con la finalità di “facilitare la trasmissione dei documenti informatici tra le amministrazioni”. La stessa prescrizione è stata successivamente riproposta nelle Direttiva del Ministro per l’innovazione e le tecnologie del 27 novembre 2003 “Direttiva per l’utilizzo della posta elettronica nelle pubbliche amministrazioni” e nella successiva Direttiva del 18 novembre 2005 “Linee guida per la Pubblica amministrazione digitale”, che prevedeva l’inserimento e l’aggiornamento dei recapiti telematici delle amministrazioni, oltre che sul sito istituzionale, anche nell’indice gestito attraverso il portale www.indicepa.gov.it. L’obbligo è stato, poi, definitivamente fissato nell’art. 47, comma 3 del d.gs. 7 marzo 2005, n. 82, Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD), con una modifica introdotta dall’art. 32, d.lgs. 30 dicembre 2010 n. 235 che dispone: “Le pubbliche amministrazioni e gli altri soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, provvedono ad istituire e pubblicare nell’Indice PA almeno una casella di posta elettronica certificata per ciascun registro di protocollo”. In corrispondenza, l’art. 57 bis del CAD ha previsto l’onere di comunicare e aggiornare con cadenza semestrale l’Indice degli indirizzi delle P.A., nel quale sono indicati “gli indirizzi di posta elettronica da utilizzare per le comunicazioni e per lo scambio di informazioni e per l’invio di documenti a tutti gli effetti di legge fra le amministrazioni e fra le amministrazioni ed i cittadini”. Inoltre, l’art. 16, comma 8 della L. 2 gennaio 2009, n. 2 ha previsto espressamente - per le pubbliche amministrazioni non ancora in regola con gli obblighi di adeguamento l’obbligo di istituire almeno una casella di PEC e di darne comunicazione al Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione, per la pubblicazione degli indirizzi in un elenco consultabile per via telematica. Si rileva, in proposito, la mancanza di un corrispondente impianto sanzionatorio posto a garanzia dell’effettivo assolvimento degli obblighi, fatta eccezione per la responsabilità dirigenziale prevista dalla normativa sulla valutazione della performance nel pubblico impiego (d.lgs. Cndcec Report 27 ottobre 2009, n. 150). Una volta individuate le disposizioni che confermano l’obbligatorietà di iscrizione all’IPA, si ritiene opportuno, per ragioni di completezza, operarne l’inquadramento nel contesto più ampio delle normativa che prevede l’utilizzo e la diffusione della PEC nell’ambito delle comunicazioni tra amministrazioni pubbliche e tra queste e il cittadino. Sotto questo profilo rilevano principalmente alcune norme contenute nel CAD. In particolare, il Codice prevede per tutte le amministrazioni pubbliche: il riconoscimento del diritto all’uso delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni a favore dei cittadini e delle imprese (art. 3); l’obbligo di dotarsi di PEC e di utilizzarla in sostituzione della raccomandata a/r non solo nelle comunicazioni tra P.A. ma anche con tutti i privati che lo richiedono (art. 6); la necessità di indicare all’interno del sito web, oltre all’elenco completo delle caselle di posta elettronica istituzionali attive, anche un indirizzo istituzionale di posta elettronica certificata a cui il cittadino possa rivolgersi per qualsiasi richiesta effettuata ai sensi del codice (art. 54). Considerato, inoltre, che la domanda di partecipazione in questione è stata spedita dal dominio “@postacertificata.gov.it”, si richiamano anche le norme sul rilascio della cosiddetta CEC-PAC (Comunicazione Elettronica Certificata tra Pubblica Amministrazione e Cittadino). La normativa in questione, in estrema sintesi, prevede l’attribuzione di una casella di PEC (o analoga) al cittadino che ne faccia richiesta, e disciplina a livello regolamentare il rilascio e l’utilizzo esclusivo nei confronti degli uffici di P.A.. (art. 16-bis, comma 6 D.L. 29 novembre 2008, n. 185 e D.P.C.M. 6 maggio 2009). Con particolare riguardo alle istanze dei cittadini inviate tramite PEC, l’art. 4, comma 4 del DPCM chiarisce che “Le pubbliche amministrazioni accettano le istanze dei cittadini inviate tramite PEC nel rispetto dell’art. 65, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 82 del 2005. L’invio tramite PEC costituisce sottoscrizione elettronica ai sensi dell’art. 21, comma 1, del decreto legislativo n. 82 del 2005; le pubbliche amministrazioni richiedono la sottoscrizione mediante firma digitale ai sensi dell’art. 65, comma 2, del citato decreto legislativo”. Infine, si ricorda che la Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento della Funzione Pubblica è intervenuta in materia con la Circolare n. 12 del 3 settembre 2010 “Procedure concorsuali e informatizzazione, modalità di presentazione della 37 domanda di ammissione ai concorsi pubblici indetti dalle amministrazioni e chiarimenti interpretativi sull’uso della PEC”, proprio al fine di confermare la legittimità delle domande di concorso inviate alle pubbliche amministrazioni tramite Pec e di chiarire alcuni dubbi giuridici correlati. Tutto ciò posto solo per confermare l’esistenza di un sistema di norme volte a prevedere l’obbligo di dotarsi di PEC, di pubblicizzarla ai sensi di legge e di utilizzarla nei rapporti con il cittadino, anche in ambito di concorso pubblico. Resta sicuramente fuori dalla disamina effettuata ogni altra questione giuridica collegata alla fattispecie, relativa ad aspetti ulteriori rispetto al quesito posto (quali la legittimità e l’esistenza stessa dell’invio a destinatario errato o inesistente, gli eventuali profili di annullabilità del bando, le possibili soluzioni amministrative). 1° ottobre 2012 Quesito Odcec di Pordenone Oggetto: PO 223/2012_Art. 4_D.lgs._139/2005_Incompatibilità_Ricercatore_universi tari. Si fa seguito alla richiesta di parere del 31 agosto nella quale l’Ordine chiede di sapere se versi in una situazione di incompatibilità con l’esercizio della professione l’iscritto all’albo che sia ricercatore universitario a tempo pieno dall’anno accademico 1999-2000 e, dal 2004, professore associato a tempo pieno, possa rimanere iscritto nella sezione Ordinaria dell’Albo qualora l’Università abbia autorizzato a svolgere le singole specifiche attività di consulenza. In riferimento alla questione sollevata si precisa quanto segue. Si osserva preliminarmente che il Decreto legislativo n. 139 del 28 giugno 2005, non stabilisce alcuna incompatibilità tra l’esercizio della professione e l’assunzione di incarichi di ricercatore universitario, facendo, tuttavia, divieto di esercitare l’attività professionale ai soggetti ai quali, secondo gli ordinamenti loro applicabili, è vietato l’esercizio della libera professione(1). È questo il caso dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni per i quali l’art. 53, co. 1, del decreto legislativo n. 165 del 30 marzo 2001, richiamando quanto disposto dall’art. 60 del D.P.R. n. 3 del 10 gennaio 1957, 38 Cndcec Report sancisce, in via generale, il divieto di cumulo con l’esercizio di attività professionale(2). Tale limitazione ha subìto, tuttavia, una deroga nel caso di dipendenti pubblici con rapporto di lavoro a tempo parziale(3). L’art. 1, comma 56 e 56-bis, della legge n. 662 del 23 dicembre 1996, infatti, a seguito della pronuncia della Corte costituzionale n. 189/2001, rimodulando il sistema delle incompatibilità, ha stabilito la compatibilità dell’iscrizione in un albo professionale con lo status di dipendente pubblico in regime di part-time. Ciò detto, si evidenzia ancora che, con specifico riferimento all’ufficio di ricercatore universitario, sono previsti regimi di incompatibilità differenziati a seconda che il ricercatore abbia conseguito o meno la conferma e che abbia conseguentemente optato per il regime a tempo pieno ovvero a tempo definito. In particolare, l’art. 1, co. 3, del Decreto legge n. 57 del 2 marzo 1987 (convertito in legge con modificazioni dalla Legge n. 158 del 22 aprile 1987) prevede, in via generale, che il ricercatore non confermato non possa svolgere attività libero professionali connesse alla iscrizione ad albi professionali, esterne alle attività proprie o convenzionate della struttura di appartenenza. Per i ricercatori confermati, invece, la disciplina delle incompatibilità muta a seconda che questi abbiano optato o meno per il regime a tempo pieno o per il regime a tempo definito. Infatti, ai sensi del successivo co. 5-bis, del citato art. 1, solo i ricercatori confermati in regime a tempo definito possono svolgere attività professionali. Analogamente, per quanto riguarda l’ufficio di docente universitario, l’art. 11 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 382 del 1980 ha previsto un regime di incompatibilità con l’esercizio dell’attività professionale laddove tale ufficio sia svolto in regime di tempo pieno(4). A conferma di tale interpretazione del combinato disposto dagli co. 3 e 5 bis dell’art. 1 del D.l. n. 57/1987, si segnala che le Sezioni Unite della Cassazione Civile, con sentenza n. 389 dell’11 gennaio 2011, hanno affermato che per i ricercatori confermati e per i professori universitari, l’incompatibilità allo svolgimento di attività libero-professionali deve ritenersi esclusa “solo in caso di opzione per il tempo definito, mentre sussiste in caso di opzione per il tempo pieno”(5). Ciò detto, l’art. 6, del Legge n. 240 del 30 dicembre 2010, nel confermare l’incompatibilità tra l’ufficio di ricercatore universitario in regime a tempo pieno e lo svolgimento di attività libero-professionali(6), contiene, peraltro, una norma di liberalizzazione degli incarichi esterni consentendo(7) in particolare: lo svolgimento, senza autorizzazione, di una serie di attività oltre i limiti previsti dall’art. 53, co. 6, del D.lgs. n. 165/2001, quali attività di valutazione e di referaggio, lezioni e seminari di carattere occasionale, attività di collaborazione scientifica e di consulenza, attività di comunicazione e divulgazione scientifica e culturale, nonché attività pubblicistiche ed editoriali; lo svolgimento, previa autorizzazione del Rettore, di funzioni didattiche e di ricerca, nonché di compiti istituzionali e gestionali senza vincolo di subordinazione presso enti pubblici e privati senza scopo di lucro, purché non si determinino situazioni di conflitto di interesse con l’università di appartenenza, a condizione comunque che l’attività non rappresenti detrimento delle attività didattiche, scientifiche e gestionali loro affidate dall’università di appartenenza. Come può osservarsi, dunque, nel caso di ufficio di ricercatore ovvero di docente universitario a tempo pieno possono essere autorizzate esclusivamente singole e specifiche attività di consulenza esterna, rimanendo in ogni caso precluso l’esercizio di attività libero-professionale. Tale divieto è stato, peraltro recentemente ribadito anche dal giudice amministrativo(8). Alla luce di tali indicazioni si ritiene, pertanto, che, nel caso prospettato, l’iscritto, professore associato a tempo pieno, non possa rimanere iscritto nell’Albo. 1° ottobre 2012 (1) Vd. art. 4, co. 3, D.lgs. n. 139 del 28 giugno 2005: “L’iscrizione nell’Albo non è consentita a tutti i soggetti ai quali, secondo gli ordinamenti loro applicabili, è vietato l’esercizio della libera professione”. (2) Art. 53, co. 1, D.lgs. 30 marzo 2001 n. 165: “1. Resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, salva la deroga prevista dall’articolo 23-bis del presente decreto, nonché, per i rapporti di lavoro a tempo parziale, dall’articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 marzo 1989, n. 117 e dall’articolo 1, commi 57 e seguenti della legge 23 dicembre 1996, n. 662. Restano ferme altresì le disposizioni di cui agli articoli 267, comma 1, 273, 274, 508 nonché 676 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, all’articolo 9, commi 1 e 2, della legge 23 dicembre 1992, n. 498, all’articolo 4, comma 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, ed ogni altra successiva modificazione ed integrazione della relativa disciplina”. Cndcec Report 39 Vd. anche l’art. 60 del Decreto del Presidente della Repubblica n. l’incompatibilità con l’esercizio di attività libero - professionali. 3 del 10 gennaio 1957: Deve pertanto ritenersi che anche per i ricercatori confermati, “L’impiegato non può esercitare il commercio, l’industria, né come per i professori universitari, l’incompatibilità allo alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di svolgimento di attività libero - professionali sia esclusa solo in privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, caso di opzione per il tempo definito, mentre sussiste in caso di tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la opzione per il tempo pieno.» nomina è riservata allo Stato e sia all’uopo intervenuta (6) Vd. art. 6, co. 9, della L. n. 240/2010. l’autorizzazione del Ministro competente”. (7) Vd. art. 6, co. 10, l. cit.: (3) L’art. “10. I professori e i ricercatori a tempo pieno, fatto salvo il 1, co. 56, della legge 23 dicembre 1996 n. 662 dispone che “le disposizioni di legge e di regolamento che vietano rispetto dei loro obblighi istituzionali, possono svolgere l’iscrizione in albi professionali non si applicano ai liberamente, anche con retribuzione, attività di valutazione e dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di di referaggio, lezioni e seminari di carattere occasionale, lavoro a tempo parziale, con prestazione lavorativa non attività di collaborazione scientifica e di consulenza, attività di superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno”. comunicazione e divulgazione scientifica e culturale, nonché Il comma 56 bis del citato articolo 1, aggiunto dall’art. 6 del D.L. attività pubblicistiche ed editoriali. I professori e i ricercatori 28 marzo 1997, n. 79, precisa inoltre che “sono abrogate le a tempo pieno possono altresì svolgere, previa autorizzazione disposizioni che vietano l’iscrizione ad albi e l’esercizio di del rettore, funzioni didattiche e di ricerca, nonché compiti attività professionali per i soggetti di cui al comma 56 ...”. istituzionali e gestionali senza vincolo di subordinazione (4) presso enti pubblici e privati senza scopo di lucro, purché non La disciplina prevista dall’art. 11 del DPR n. 382/1980 per i professori universitari ordinari è applicabile, ai sensi dell’art. 22, si determinino situazioni di conflitto di interesse con co. 1, del medesimo provvedimento, anche ai professori associati. l’università di appartenenza, a condizione comunque che (5) l’attività non rappresenti detrimento delle attività didattiche, La Suprema Corte ha, infatti, precisato che l’interpretazione dell’art. 1 del D.l. n. 57/1987, per quanto riguarda l’incompatibilità scientifiche e gestionali loro affidate dall’università di all’iscrizione ad albi professionali, va compiuta nel quadro appartenenza.” sistematico del complesso normativo nel quale la norma (8) s’inserisce e, in particolare, con riferimento al D.P.R. n. 382/1980 corso di settembre 2012, in fase di pubblicazione (vd. news (recante riordinamento della docenza universitaria). In particolare http://www.corteconti.it/export/sites/portalecdc/_documenti/rass nella sentenza in evidenza, si è precisato che, seppur non egna_stampa/ocr/2012091222593783.txt). Vd. Sentenza della Corte dei conti di Bolzano, emessa nel espressamente indicata, l’incompatibilità con l’esercizio di attività libero-professionali, laddove il ricercatore universitario sia confermato a “tempo pieno”, risulta dal disposto del comma 5-bis, che fa esplicito riferimento all’esercizio, entro il termine ivi Quesito Odcec di Pordenone prescritto, dell’opzione fra “tempo pieno” e “tempo definito” per Oggetto: PO 224/2012 – Termini per convocazione procedimento disciplinare Con riferimento al Vostro quesito del 27 agosto 2012 (ns. prot. 8255 del 31/08/2012) con il quale si chiede: 1) se, in un procedimento disciplinare, l’Ordine potesse fissare nuova audizione nel caso in cui la raccomandata di convocazione sia tornata indietro per compiuta giacenza e l’iscritto, comunque comparso all’audizione, abbia eccepito il mancato rispetto dei termini a difesa, o se invece il mancato rispetto di detti termini facesse decadere il procedimento; 2) se possa l’Ordine, per i medesimi fatti, deliberare l’apertura di un secondo procedimento disciplinare stante il mancato rispetto dei termini della prima convocazione ovvero se il mancato rispetto di tali termini faccia decadere la possibilità di deliberare una ottenere la sanatoria delle “pregresse situazioni d’incompatibilità con l’ufficio di ricercatore, previste dal D.P.R. n. 382 del 1980, art. 34”. Come evidenziato nella sentenza, infatti, «detta norma, infatti, con la sua statuizione, manifesta in modo univoco la “voluntas legis” di considerare solo in caso di opzione per il “tempo definito” l’esercizio professionale compatibile con la qualifica di “ricercatore confermato” e l’eventuale situazione d’incompatibilità sanabile. Così esplicitando che il legislatore, nel prevedere anche per i ricercatori confermati, come già per i professori universitari, la possibilità di opzione per un regime di tempo definito, ha legiferato in proposito considerando coessenziale al regime del “tempo pieno”, anche per i ricercatori universitari in armonia sistematica con quanto stabilito dal D.P.R. n. 382 del 1980, art. 11, per i professori universitari - 40 Cndcec Report seconda volta l’apertura di un procedimento disciplinare per gli stessi fatti, si osserva quanto segue. Con riguardo al punto 1), sulla base delle informazioni contenute nella richiesta di parere può affermarsi che non vi è stato alcun mancato rispetto dei termini, atteso che la raccomandata di convocazione è tornata indietro per compiuta giacenza. L’iscritto inoltre è comunque comparso all’audizione e l’Ordine, nell’interesse del convocato e pur non essendovi tenuto, ha disposto il rinnovo della convocazione. Quest’ultima peraltro tornava indietro, una seconda volta, per compiuta giacenza. Non risulta pertinente l’eccezione dell’iscritto secondo il quale la rinnovazione della notifica può essere disposta solo dal giudice terzo e non dalla parte, atteso che non trattasi di procedimento giurisdizionale. Con riferimento al punto 2) non può l’Ordine aprire un nuovo procedimento disciplinare per i medesimi fatti a seguito del mancato rispetto dei termini di convocazione, questione che può ritenersi superata nel caso in esame dalla circostanza che la compiuta giacenza equivale a notifica e pertanto le eccezioni dell’iscritto – che è comparso anche alla seconda convocazione - non appaiono fondate. 21 settembre 2012 Quesito Odcec di Ragusa Oggetto: PO 217/2012_Tirocinio In relazione al quesito formulato in data 31 luglio 2012, si osserva quanto segue. Con riferimento all’informativa n. 61 del 27 luglio 2012 si chiarisce che l’affermazione che “le disposizioni che prevedono la durata di 18 mesi del tirocinio … devono trovare applicazione … alle situazioni in essere alla data del 24 gennaio 2012” significa che la disciplina del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1 si applica a tutti coloro che alla data del 24 gennaio risultano iscritti nel registro del tirocinio. Ne consegue che coloro che sono stati iscritti nel registro del tirocinio ante 24 gennaio 2012, essendo già in possesso della laurea triennale (tirocinio sez. B) o della laurea specialistica/magistrale o di una laurea quadriennale rilasciata dalla Facoltà di Economia (tirocinio sez. A), hanno diritto ad ottenere il rilascio del certificato di compiuto tirocinio se hanno già validamente compiuto (anche anteriormente al 24 gennaio 2012) o compiranno il diciottesimo mese di tirocinio. 21 settembre 2012 Quesito Odcec di Trani Oggetto: PO 117/2012_Tirocinio_Valutazione condotta In relazione al quesito formulato in data 10 maggio 2012 con il quale si chiede se può essere iscritto nel registro del tirocinio un soggetto che ha un procedimento penale in corso, si osserva quanto segue. Il regolamento del tirocinio (art. 7, comma 1, D.M. Miur 7 agosto 2009, n. 143) prevede che alla domanda di iscrizione nel registro devono essere allegati sia il certificato generale del casellario giudiziale che quello dei carichi pendenti (ovvero delle corrispondenti dichiarazioni sostitutive). Ciò sta chiaramente ad indicare la necessità di un giudizio sulla condotta dell’aspirante tirocinante, anche se il requisito della condotta irreprensibile non è espressamente indicato tra quelli richiesti per l’iscrizione nel registro del tirocinio. La sussistenza dei carichi pendenti assume autonoma rilevanza ai fini della valutazione della condotta, senza che sia necessario attendere la definizione della vicenda con sentenza definitiva. Se così non fosse, infatti, il regolamento avrebbe richiesto solo il certificato generale del casellario giudiziale e non anche quello dei carichi pendenti. Nel caso di specie, dunque, il Consiglio dell’Ordine non può sospendere la valutazione dell’istanza di iscrizione in attesa della definizione della vicenda penale ma deve pronunciarsi entro il termine previsto dal regolamento (30 giorni dalla presentazione dell’istanza di iscrizione, ai sensi dell’articolo 7 del D.M. 7 agosto 2009, n. 143). Ciò chiarito, si osserva che il requisito della condotta irreprensibile deve essere autonomamente valutato dal Consiglio dell’Ordine con riferimento al singolo caso concreto in sede di decisione in merito all’istanza di iscrizione senza che il Consiglio Nazionale possa esprimere in merito alcuna valutazione specifica, non potendosi pronunciare su questioni che potrebbero costituire oggetto di cognizione da parte dello stesso Consiglio in sede di esercizio delle proprie funzioni decisorie sul ricorso ad esso eventualmente proposto in caso di diniego di iscrizione da parte di codesto Ordine (articolo 7, comma 5 del D.M. Miur citato che richiama l’articolo il comma 4 dell’articolo 37 del decreto legislativo 28 giugno 2005, n. 139). 8 giugno 2012 Vogliamo dare una mano al Paese. Anzi centodiecimila. Crediamo nell’utilità sociale del pensiero tecnico e che non sia questo il momento di chiedere, ma di dare. E di mettere al servizio della comunità la competenza, la professionalità e l’esperienza dei Commercialisti Italiani. Possiamo essere utili al Paese perché siamo professionisti, vogliamo esserlo perché siamo cittadini. 42 Diamo i Numeri Progetto RSO Rilevazione Statistica Ordini Territoriali II-III Trimestre 2012 di Tommaso Di Nardo e Gianluca Scardocci - Irdcec Nel II-III trimestre 2012 le nuove iscrizioni all’albo sono diminuite del 18% rispetto allo stesso periodo del 2011, allorché la diminuzione sull’anno precedente era stata del 20%. Rispetto al 2010, le nuove iscrizioni avvenute nel II-III trimestre dell’anno sono diminuite del 34% (1.015 rispetto a 1.537). Le cancellazioni sono aumentate del 19% rispetto allo stesso periodo del 2011 con la conseguenza che il saldo incrementale è diminuito del 40%. Nei primi tre trimestri del 2012 le iscrizioni sono calate complessivamente dell’11% Nei primi tre trimestri del 2012 i neoiscritti all’Albo sono stati 2.444 contro i 2.745 dello stesso periodo del 2011 (-11%). Le cancellazioni sono state invece pari a 1.220 contro le 1.023 del 2011 (+9,5%). Il calo di iscrizioni verificatosi nel 2012 è concentrato nel II-III trimestre. Il tasso di crescita annuale La RSO, come è noto, compie due rilevazioni annuali, la prima relativa al I trimestre dell’anno, periodo nel quale si concentrano le iscrizioni all’Albo, la seconda relativa al II e III trimestre dell’anno, periodo nel quale le iscrizioni trimestrali tendono a diminuire risultando mediamente pari alla metà di quelle occorse nel I trimestre. Non è oggetto di rilevazione, invece, il IV trimestre dell’anno, periodo nel quale le iscrizioni si riducono a poche decine di unità mentre crescono sensibilmente le cancellazioni. Ciò spiega, naturalmente, il saldo negativo tra iscrizioni e cancellazioni del IV trimestre che si riflette su un decremento di iscritti totali alla fine dell’anno rispetto alla fine del III trimestre. Al netto di tale componente stagionale, la serie storica della RSO, iniziata nel I trimestre 2009, mostra come il tasso di crescita misurato su base annuale alla fine del III trimestre dell’anno rappresenti una buona proxy del tasso finale (nei casi precedenti il margine di aggiustamento è stati pari a +- 0,1%). Se il trend sarà confermato, alla fine del 2012 gli iscritti saranno pari a circa 113.800 unità. Analisi territoriale dei movimenti Albo: neoiscritti L’analisi territoriale dei movimenti dell’Albo mostra come il calo di neoiscritti manifestatosi nel II-III trimestre 2012 non sia diffuso in tutte le regioni; vi sono, infatti, ben sei regioni in controtendenza. È la prima volta, però, che il calo si manifesta allo stesso modo in tutte e tre le grandi macroaree e in tutte e cinque le aree regionali considerate. In particolare, è la prima volta che il calo si è manifestato anche nelle regioni centrali che fanno registrare questa volta il calo più sostenuto. È risultato determinante il forte calo subito dalla regione Lazio (-33%). Analisi territoriale dei movimenti Albo: iscritti Alla fine del III trimestre gli iscritti totali sono cresciuti a un tasso dello 0,7% al Nord, dello 0,4% al Centro e dello 0,4% al Sud. La crescita più elevata si è avuta nel Nord-est (+0,82%), mentre la più bassa si è avuta nelle regioni meridionali (+0,3%). Prosegue inarrestabile la diminuzione dei praticanti Il registro praticanti è in netta flessione alla fine del III trimestre del 2012: -12,9%. Le nuove iscrizioni sono calate del 7,6%, mentre le cancellazioni sono aumentate del 44%. 43 Andamento Iscritti Albo 1° gennaio 2008 - 30 settembre 2012 116.000 114.000 112.000 110.000 108.000 106.000 104.000 1.1. 1.1. 31.3. 30.9. 1.1. 31.3. 30.9. 1.1. 31.3. 30.9. 1.1. 31.3. 30.9. 2008 2009 2009 2009 2010 2010 2010 2011 2011 2011 2012 2012 2012 Tasso di crescita degli iscritti all’Albo 2008-2012 1,8% Riepilogo generale iscritti Albo e RSO Indicatore/Data/Periodo Valore 1,2% 1,2% Var. cong. Variazione rispetto all’ultimo periodo Var. tend. Variazione rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente ISCRITTI ISCRITTI RSO I TRIM. 2009 01/01/2008 01/01/2009 ISCRIZIONI CANCELLAZIONI SALDO 107.499 109.474 1.557 555 1.002 ISCRITTI RSO II-III TRIM. 2009 31/03/2009 ISCRIZIONI CANCELLAZIONI SALDO 110.476 1.397 441 956 0.92% -10,28% -20,54% -4,59% ISCRITTI ISCRITTI RSO I TRIM. 2010 30/09/2009 01/01/2010 ISCRIZIONI CANCELLAZIONI SALDO 111.432 110.787 1.570 570 1.000 0,87% 0,58% 12,38% 29,25% 4,60% 1,20% 0,83% 2,70% -0,20% ISCRITTI RSO II-III TRIM. 2010 31/03/2010 ISCRIZIONI CANCELLAZIONI SALDO 111.787 1.537 497 1.040 0.90% -2,10% -12,81% 4,00% 1,19% 10,02% 12,70% 8,79% ISCRITTI ISCRITTI RSO I TRIM. 2011 30/09/2010 01/01/2011 ISCRIZIONI CANCELLAZIONI SALDO 112.856 112.164 1.515 557 958 0,96% -0,61% -1,43% 12,07% -7,88% 1,28% -0,61% -3,50% -2,28% -4,20% ISCRITTI RSO II-III TRIM. 2011 31/03/2011 ISCRIZIONI CANCELLAZIONI SALDO 113.122 1.237 466 771 0.85% -18,35% -16,34% -19,52% 1,19% -19,52% -6,24% -25,87% ISCRITTI ISCRITTI RSO I TRIM. 2012 30/09/2011 01/01/2012 ISCRIZIONI CANCELLAZIONI SALDO 113.894 113.235 1.429 665 764 0,68% -0,58% 15,52% 42,70% -0,91% 0,92% 0,95% 5,68% 19,39% -20,25% 1.84% 1. 1. 2009 1,0% 1. 1. 2010 1. 1. 2011 1. 1. 2012 Tasso di crescita degli iscritti all’Albo alla fine del Primo Trimestre Anni 2009-2012 1.84% 1,2% 1,2% 0,8% 31. 3. 2010 Tasso di crescita degli iscritti all’Albo alla fine del Terzo Trimestre. Anni 2009-2012 1,2% 0,9% 0,5% 30. 9. 2010 1.557 113.122 1.015 555 460 0.67% -28,97% -16,54% -39,79% 0,78% -17,95% -19,10% -40,34% ISCRITTI 30/09/2012 114.459 0,40% 0,50% 1.570 1.515 1.429 I-2010 I-2011 I-2012 Nuove Iscrizioni all’Albo nel Secondo e Terzo Trimestre. Anni 2009-2012 1.397 31/03/2012 ISCRIZIONI CANCELLAZIONI SALDO 30. 9. 2012 30. 9. 2011 Nuove Iscrizioni all’Albo nel Primo Trimestre. Anni 2009-2012 I-2009 ISCRITTI RSO II-III TRIM. 2012 31. 3. 2012 31. 3. 2011 1.537 1.237 1.015 II-III-2009 II-III-2010 II-III-2011 II-III-2012 44 Diamo i Numeri MOVIMENTI ALBO DIMINUISCONO DEL 18% LE ISCRIZIONI ALL’ALBO NEL II-III TRIMESTRE 2012: I DOTTORI COMMERCIALISTI ED ESPERTI CONTABILI A FINE SETTEMBRE 2012 SONO 114.459. LE ISCRIZIONI SONO STATE 1.015 (-17,5% RISPETTO AL II-III TRIMESTRE 2011), LE CANCELLAZIONI SONO STATE 555 (+19,1% RISPETTO AL II-III TRIMESTRE 2011). IL SALDO È STATO DI +460 ISCRITTI (-39,8 % RISPETTO AL II-III TRIMESTRE 2011). II-III TRIM. 2011 II-III TRIM. 2012 Variazione assoluta Variazione Percentuale ISCRITTI INIZIALI 113.122 113.999 +877 +0,8% ISCRIZIONI TRIM. 1.237 1.015 -222 -18,0% 466 555 +89 +19,1% CANC. TRIM. SALDO TOT. TRIM. ISCRITTI FINALI 771 460 -301 -40,34% 113.894 114.459 +565 +0,5% II-III TRIM. 2011 II-III TRIM. 2012 Variazione assoluta ISCRITTI INIZIALI 26.125 23.952 -2.173 -8,3% ISCRIZIONI TRIM. 2.800 2.587 -213 -7,6% CANC. TRIM. 2.531 3.631 1.100 43,5% 269 -1.044 -1.313 -488% 26.394 22.908 -3.486 -13,2% SALDO TOT.TRIM. ISCRITTI FINALI Variazione Percentuale ISCRIZIONI AL REGISTRO PRATICANTI II-III TRIMESTRE ANNI 2009-2012 3.092 2.873 2.800 2.587 NUOVE ISCRIZIONI ALBO 1.537 1.397 1.237 1.015 2009 2010 2011 2012 ANNO II-III-2009 II-III-2010 II-III-2011 II-III-2012 MOVIMENTI REGISTRO PRATICANTI DIMINUISCONO DEL 7,6% LE ISCRIZIONI AL REGISTRO DEI PRATICANTI NEL II-III TRIMESTRE 2012: I TIROCINANTI A FINE SETTEMBRE 2012 SONO 22.908 (-13,2% RISPETTO AL II-III TRIMESTRE 2011). LE ISCRIZIONI AL REGISTRO SONO STATE 2.587 (-7,6% RISPETTO AL II-III TRIMESTRE 2011), LE CANCELLAZIONI SONO STATE 3.631 (+43,5% RISPETTO AL II-III TRIMESTRE 2011). IL SALDO FINALE È STATO DI -1.044 UNITÀ (-288%). L’INVERSIONE DEL TREND DEL SALDO FINALE RISPETTO AL 2011, ALLORCHÈ SI ERA VERIFICATO UN AUMENTO DI 269 UNITÀ, È DOVUTO AL MAGGIOR NUMERO DI CANCELLAZIONI AVVENUTE NEL CORSO DEL 2012. MOVIMENTI ALBO - DATI REGIONALI Nella pagina seguente è riportata la tabella con i valori per regione e macroarea territoriale del movimento degli iscritti all’albo nel II-III trimestre 2011 e nel II-III trimestre 2012. Sono quindi riportate la variazione delle “iscrizioni” nei due trimestri e la variazione degli “iscritti” alla fine dei due trimestri. L’andamento delle iscrizioni per macroarea territoriale mostra come il calo di iscrizioni sia più forte al Centro (-21%) che al Nord (-17%) e al Sud (-17%). È la prima volta che le nuove iscrizioni calano in tutte e tre le macroaree considerate. Nelle precedenti rilevazioni il Centro aveva mostrato di tenere la crescita delle iscrizioni. Da segnalare il calo particolarmente pronunciato nelle Isole (-32%) e nel Nord-ovest (-28%). Sul fronte regionale sono sei le regioni che fanno registrare un aumento di iscrizioni rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente: sono Liguria, Umbria, Marche, Emilia Romagna, Calabria e Trentino Alto Adige. In termini assoluti le diminuzioni più consistenti sono nel Lazio e nella Lombardia. Gli iscritti a fine settembre, cresciuti complessivamente dello 0,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, sono aumentati dello 0,7% al Nord, dello 0,4 % al Centro e dello 0,4% al Sud. Diamo i Numeri REGIONE/ MACROAREA II-III TRIMESTRE 2011 Canc. Trasf. Trasf. Trim. Entrata Uscita II-III TRIMESTRE 2012 Saldo Iscritti Trim. finali Iscritti iniziali Iscr. Trim. ABRUZZO BASILICATA CALABRIA CAMPANIA EMILIA R. FRIULI V.G. LAZIO LIGURIA LOMBARDIA MARCHE MOLISE PIEMONTE PUGLIA SARDEGNA SICILIA TOSCANA TRENTINO A.A. UMBRIA VALLE D’AOSTA VENETO 3.021 977 4.283 13.615 6.682 1.719 13.125 3.154 19.056 2.726 438 6.290 10.218 1.840 8.525 7.054 1.207 1.467 170 7.560 34 14 51 179 56 11 205 8 204 17 12 49 102 28 94 62 15 6 2 88 12 1 13 61 25 8 82 20 67 9 0 34 47 2 41 16 1 5 0 22 3 1 5 5 7 3 30 3 43 0 0 4 -2 0 4 6 2 1 1 11 4 2 3 11 10 1 24 2 43 1 0 4 4 2 2 4 1 0 0 11 21 12 40 112 28 5 129 -11 137 7 12 15 49 24 55 48 15 2 3 66 NORD NORD-EST NORD-OVEST CENTRO MERIDIONE ISOLE SUD 45.838 17.168 28.670 24.372 32.551 10.365 42.917 433 170 263 290 392 122 514 177 56 121 112 134 43 177 74 23 51 37 12 4 16 72 23 49 29 24 4 28 258 114 144 186 246 79 325 Iscritti iniziali Iscr. Trim. Canc. Trim. 3.042 989 4.323 13.727 6.710 1.724 13.254 3.143 19.193 2.733 450 6.305 10.267 1.865 8.580 7.102 1.222 1.469 173 7.626 3.047 993 4.314 13.673 6.703 1.736 13.280 3.143 19.278 2.726 457 6.338 10.253 1.902 8.546 7.096 1.241 1.474 172 7.647 26 6 59 159 91 8 137 23 143 28 7 23 89 14 69 50 16 15 0 54 3 3 24 43 38 10 90 24 70 14 0 32 113 1 26 34 4 6 1 21 1 0 2 9 12 1 17 3 36 1 0 3 6 0 2 4 1 1 1 4 46.096 17.282 28.814 24.558 32.798 10.444 43.242 46.258 17.327 28.931 24.576 32.737 10.448 43.185 358 169 189 229 345 83 428 199 73 127 144 186 27 212 61 18 43 23 18 2 20 MOVIMENTI REGISTRO PRATICANTI - DATI REGIONALI Nella tabella di seguito riportata sono indicati i valori regionali delle iscrizioni e delle cancellazioni al registro praticanti. Da segnalare il calo particolarmente marcato di iscrizioni nel Nord-est (-21,3%) seguito dal Centro (-11,1%), dalle Isole (-9,1%) e dal Nord-ovest (-7%). Il Meridione mostra un calo più contenuto pari a -1,5%. REGIONE/ MACROAREA II-III TRIMESTRE 2011 Canc. Trasf. Trasf. Trim. Entrata Uscita Iscr. Trim. ABRUZZO BASILICATA CALABRIA CAMPANIA EMILIA R. FRIULI V. G. LAZIO LIGURIA LOMBARDIA MARCHE MOLISE PIEMONTE PUGLIA SARDEGNA SICILIA TOSCANA TRENTINO A.A. UMBRIA VALLE D’AOSTA VENETO 756 229 1.948 5.883 811 236 3.348 326 2.804 607 213 885 2.584 583 2.297 962 230 362 12 1.049 117 26 164 418 137 26 358 45 405 63 19 122 322 32 232 116 35 27 6 130 82 21 180 236 115 29 305 39 318 70 19 112 417 1 267 125 26 24 0 145 8 0 7 17 13 1 16 2 36 2 3 7 10 1 13 4 2 0 0 14 6 1 4 7 11 2 20 2 31 1 1 6 8 0 4 6 3 0 0 12 37 4 -13 192 24 -4 49 6 92 -6 2 11 -93 32 -26 -11 8 3 6 -13 NORD NORD-EST NORD-OVEST CENTRO MERIDIONE ISOLE SUD 6.353 2.326 4.027 5.279 11.613 2.880 14.493 906 328 578 564 1.066 264 1.330 784 315 469 524 955 268 1.223 75 30 45 22 45 14 59 67 28 39 27 27 4 31 130 15 115 35 129 6 135 Variazione Iscrizioni Saldo Trim. Iscritti finali v.a. % v.a. % 2 1 4 12 8 0 14 -3 37 3 0 4 0 0 4 1 0 1 0 9 22 2 33 113 57 -1 50 5 73 13 7 -10 -18 13 41 19 13 9 0 28 3.069 995 4.347 13.786 6.760 1.735 13.330 3.148 19.351 2.739 464 6.328 10.235 1.915 8.587 7.115 1.254 1.483 172 7.675 -8 -8 8 -20 35 -3 -68 15 -61 11 -5 -26 -13 -14 -25 -12 1 9 -2 -34 -23,13% -58,62% 15,69% 11,26% 62,50% -27,27% -33,41% 187,50% -29,82% 65,56% -44,13% -53,06% -12,75% -50,00% -27,04% -19,74% 1 6,67% 150,00% -100,00% -38,87% 27 6 24 59 50 11 76 5 158 6 14 23 -32 50 7 3 32 14 -1 49 0,90% 0,60% 0,56% 0,43% 0,75% 0,64% 0,57% 0,16% 0,82% 0,21% 3,05% 0,36% -0,31% 2,68% 0,08% 0,18% 2,62% 0,95% -0,58% 0,64% 55 17 38 19 19 4 23 165 97 68 90 159 54 213 46.423 17.424 28.999 24.666 32.896 10.502 43.398 -75 -1 -74 -61 -47 -39 -86 -17,33% -0,71% -28,07% -20,89% -11,87% -32,31% -16,72% 327 142 185 108 98 58 156 0,71% 0,82% 0,64% 0,44% 0,30% 0,55% 0,36% Trasf. Trasf. Entrata Uscita Gli iscritti al 30 settembre mostrano un calo molto ampio nel Centro (-18,6%) seguito dal Meridione (-13%). Il calo nel Nord è allineato intorno al 9%. Mentre il Sud mostra un calo generale del 13%. Sul piano regionale, le iscrizioni hanno mostrato aumenti in Sardegna, Friuli Venezia Giulia, Campania e Umbria. Gli iscritti al 30 settembre 2012 sono in crescita in Sardegna, Toscana, Basilicata, Abruzzo e Valle d’Aosta. II-III TRIMESTRE 2012 Saldo Iscritti Trim. finali Iscritti iniziali Variazione Iscrizioni 45 Iscritti iniziali Iscr. Trim. Canc. Trim. 793 233 1.935 6.075 835 232 3.397 332 2.896 601 214 896 2.491 615 2.271 951 238 365 18 1.036 771 316 1.374 5.602 882 175 2.833 303 2.611 530 144 859 2.338 757 1.916 1.058 197 234 24 1.028 96 14 144 463 81 37 303 29 384 55 14 122 319 63 177 107 29 36 2 111 65 39 193 617 153 48 632 29 439 44 17 145 452 31 342 135 49 36 4 160 2 0 2 10 5 3 14 0 32 3 0 6 1 2 3 2 6 0 0 9 6.483 2.341 4.142 5.314 11.741 2.887 14.628 6.079 2.282 3.797 4.655 10.545 2.673 13.218 795 258 537 502 1050 240 1290 1027 410 617 847 1384 373 1757 61 23 38 19 15 5 20 Variazione Iscrizioni Variazione Iscrizioni Saldo Trim. Iscritti finali v.a. % v.a. % 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 1 5 0 0 0 0 0 0 0 34 -26 -47 -145 -67 -8 -315 0 -23 14 -3 -18 -137 34 -162 -26 -14 0 -2 -40 805 290 1327 5457 815 167 2518 303 2588 544 141 841 2201 791 1754 1032 183 234 22 988 -21 -12 -20 45 -56 11 -55 -16 -21 -8 -5 0 -3 31 -55 -9 -6 9 -4 -19 -17,67% -47,53% 12,20% 10,73% -40,88% 42,31% -15,31% -35,56% -5,09% -12,50% -25,00% 0,00% -0,93% 96,88% -23,72% -7,51% -17,14% 33,33% -66,67% -14,58% 12 57 -608 -618 -20 -65 -879 -29 -308 -57 -73 -55 -290 176 -517 81 -55 -131 4 -48 1,47 24,56% 31,42% -10,18% -2,40% -28,02% -25,87% -8,73% -10,62% -9,44% -34,19% -6,14% -11,64% 28,62% -22,78% 8,50% -23,11% -35,89% 22,22% -4,65% 1 0 1 0 6 0 6 -172 5.907 -111 -129 2.153 -70 -43 3.754 -41 -327 4.328 -62 -325 10.220 -16 -128 2.545 -24 -453 12.765 - 40 -12,21% -21,33% -7,03% -11,06% -1,49% -9,10% -3,00% -576 -8,88% -188 -8,04% -388 -9,36% -986 -18,55% -1521 -12,95% -342 -11,86% 1863 -12,74% Trasf. Trasf. Entrata Uscita Guida al controllo della qualità nei piccoli e medi studi professionali Traduzione della terza edizione inglese 180 pp. - in brossura – ISBN: 978-1-60815-097-7 Prezzo 18,00 euro (IVA e spese di trasporto incluse) La pubblicazione della traduzione italiana della terza edizione della “Guida al Controllo della Qualità nei piccoli e medi studi professionali” completa un progetto che ha impegnato, per oltre tre anni, l’ufficio traduzioni del CNDCEC e la commissione tecnico-scientifica che ha revisionato i lavori. La versione originale in lingua inglese della Guida ha incontrato in tutto il mondo un grande successo, completando l’offerta di strumenti di supporto all’attività degli studi professionali predisposti dal Comitato Piccoli e Medi Studi Professionali (Small and Medium Practices Committee) di IFAC (International Federation of Accountants). Questa pubblicazione rappresenta un valido aiuto per i professionisti che intendono affrontare l’attività di revisione legale in maniera conforme ai principi internazionali ISA, consentendo di implementare le prescrizioni internazionali in materia di controllo della qualità dell’attività di revisione in maniera semplice ed efficace, anche nella realtà dei piccoli e medi studi. Al fine di garantire la qualità del lavoro di revisione, i Principi Internazionali di Revisione ISA richiedono infatti l’adozione da parte del revisore di un sistema di qualità equivalente alle prescrizioni dello standard ISQC1; questa Guida consente di realizzare un sistema di qualità conforme ad ISQC1, in maniera proporzionata alle esigenze ed alle risorse di studi professionali di ridotta dimensione. L’esposizione della materia, semplice ed efficace, è riferita alle caratteristiche degli studi professionali piccoli e medi; la Guida è inoltre corredata da pratici modelli di manuali di controllo qualità, pensati per le esigenze di studi professionali anche composti da un solo professionista. La traduzione in lingua italiana giunge in un momento in cui la nostra professione si sta preparando all‘introduzione dei Principi Internazionali di Revisione ISA su scala europea e può costituire un prezioso supporto per la strutturazione di un’attività di revisione legale pienamente conforme ai Principi ISA. Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili compie così un ulteriore importante passo nel consentire alla professione italiana di adeguarsi ai migliori standard internazionali e continuare nella tradizione di qualità e competenza. Principi Internazionali di Revisione e Controllo della Qualità Edizione Italiana 2011 862 pp. - in brossura - ISBN 978-88-97361-00-8 Prezzo 50,00 Euro (IVA e spese di trasporto incluse) La versione italiana 2011 dei principi internazionali (edizione inglese 2009), contenuta nel presente volume, è il risultato di un complesso progetto di riscrittura, attuato da IFAC, per effetto del quale i 36 principi di revisione ed il principio sul controllo di qualità sono stati completamente riorganizzati in sezioni distinte e parzialmente modificati nei contenuti. I principi così aggiornati sono ampiamente migliorati, sia in termini di comprensibilità che in termini di semplificazione applicativa e sono destinati a divenire comune bagaglio professionale per tutti i colleghi impegnati nell'attività di revisione legale dei conti. La nuova struttura dei principi, mantenendo invariato l'originario approccio basato su regole generali, è ampiamente compatibile con i principi di revisione nazionali in vigore dal 2002. L'attività di revisione legale dei conti continuerà ad essere svolta sulla base di una preliminare identificazione e valutazione dei rischi di errori significativi nel bilancio, sulle cui risultanze verranno configurate le procedure di revisione più appropriate. Quindi non controlli casuali, che ripercorrono indistintamente tutte le operazioni contabili, ma verifiche mirate a quelle aree di bilancio che il revisore ha identificato come maggiormente problematiche e dalle quali può derivare un rischio concreto e significativo di errore nel bilancio. La fase transitoria del federalismo municipale Aspetti quantitativi, contabili e fiscali delle nuove entrate comunali 126 pp. - in brossura - ISBN 978-88-97361-01-5 Prezzo 15,00 Euro (IVA e spese di trasporto incluse) Il volume intende offrire un contributo al dibattito sul federalismo municipale effettuando un'analisi dei profili quantitativi, contabili e fiscali della riforma. A tal fine, il lavoro: espone i risultati di un'analisi quantitativa finalizzata a valutare gli effetti di gettito prodotti dall'adozione del modello federale di cui al D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23; illustra le modalità di rappresentazione nei bilanci degli Enti locali delle nuove entrate disciplinate dal medesimo decreto; nonché effettua un'analisi della normativa di riferimento, tesa a verificare l'effettiva capacità di realizzazione del principio vedo, voto e pago. La ricerca è rivolta ai professionisti impegnati nell'attività di revisione degli Enti locali, ma offre interessanti spunti di riflessione anche alla componente politica e amministrativa, proponendo una prima simulazione dell'impatto che la riforma in senso federale avrà sulle entrate degli Enti locali. Guida all’utilizzo dei principi di revisione internazionali nella revisione contabile delle piccole e medie imprese Volume I: Concetti fondamentali 242 pp. - ISBN 978-88-97361-02-2 Prezzo 25,00 Euro (IVA e spese di trasporto incluse) Volume II: Guida pratica 328 pp. - ISBN 978-88-97361-03-9 Prezzo 25,00 Euro (IVA e spese di trasporto incluse) Giunta alla terza edizione, la “Guida all’utilizzo dei principi di revisione internazionali nella revisione contabile delle piccole e medie imprese”, elaborata dallo Small and Medium Practices Committee dell’International Federation of Accountants (IFAC), è stata suddivisa in due volumi: Concetti fondamentali e Guida pratica. Nata da un’idea originale del 2005, la Guida è stata la prima di una fortunata serie di pubblicazioni del Comitato Piccoli e Medi Studi Professionali di IFAC (SMP Committee), che comprendono oggi anche la Guida al controllo della qualità nei piccoli e medi studi professionali e la Guida alla gestione dei piccoli e medi studi professionali. Tradotta nelle principali lingue e nota nel mondo come “ISA Guide”, la Guida è nata dall’esigenza di aiutare i professionisti ad utilizzare correttamente gli ISA - International Standards on Auditing - nella revisione contabile delle piccole e medie imprese, una necessità oggi di grande attualità, nel momento in cui l’adozione degli ISA nella revisione si profila come una concreta possibilità nell’ambito della riforma della regolamentazione della revisione in ambito europeo. Il primo volume presenta i fondamenti teorici dei principi ISA che più frequentemente trovano applicazione nella revisione delle PMI, con una tecnica espositiva che fa ampio uso di schemi e diagrammi e facilita la comprensione e l’apprendimento; il risultato è un testo che può essere utilizzato sia come manuale didattico, sia come riferimento operativo nell’attività professionale quotidiana. Il secondo volume presenta invece un approccio pratico alla revisione delle PMI, accompagnando il lettore attraverso tutte le fasi dell’incarico, e svolge completamente due casi pratici che illustrano la revisione di una microimpresa e di una piccola impresa. Guida alla gestione dei piccoli e medi studi professionali Traduzione della seconda edizione 2012 570 pp. - in brossura - ISBN 978-88-97361-05- 3 Prezzo 50,00 Euro (IVA e spese di trasporto incluse) Cinque anni di lavoro, una decina di autori, un comitato di redazione di oltre trenta persone sparse in tutto il globo, più di cento revisori provenienti da una ventina di paesi in tutti i continenti, oltre cinquanta teleconferenze per le riunioni del comitato di redazione, che hanno collegato gli angoli più remoti del pianeta nell’arco di due anni; un’opera che, nella versione originale in lingua inglese, è in testa alle classifiche dei download dal sito di IFAC, con traduzioni realizzate o in corso in sette tra le principali lingue del mondo. Queste cifre danno un’idea dell’impegno che lo Small and Medium Practices Committee di IFAC ha profuso nella realizzazione di quest’opera e della ricchezza di contributi che è stato possibile raccogliere in queste pagine. L’edizione italiana della Guida è una traduzione fedele della seconda edizione inglese, che ne riporta integralmente i contenuti. Con questa nuova edizione si è voluto aggiornare le sezioni sulle letture consigliate e le risorse reperibili nel sito IFAC, presenti alla fine dei moduli, nonché effettuare qualche miglioramento nella presentazione. Organizzata in otto moduli indipendenti, la Guida si propone di fornire ai piccoli e medi studi professionali una serie di principi gestionali ed alcune best practice in merito a numerose aree, tra cui pianificazione strategica, gestione delle risorse umane, rapporto con il cliente e passaggi generazionali. Per aiutare gli organismi membri e gli studi professionali ad utilizzare al meglio la Guida, lo Small and Medium Practices Committee ha elaborato la Companion Guide, Guida alla Gestione dei Piccoli e Medi Studi Professionali: Indicazioni per l’uso (www.ifac.org/publications-resources/guide-practice-management-small-and-medium-sized-practices-userguide), che fornisce indicazioni su come sfruttare al massimo la Guida. Le note bibliografiche sono state arricchite con i documenti più recenti editi dal CNDCEC e alle appendici del Modulo 1 sono state aggiunte le “Linee guida per l’introduzione di sistemi di gestione documentati negli studi dei dottori commercialisti ed esperti contabili”, redatte da una commissione del CNDCEC ma fino ad oggi ancora inedite. I volumi sono acquistabili unicamente on line sul sito “Press Store”all’indirizzo www.press-store.it oppure www.commercialisti.it > PRESS & INFORMA > Press Store Press S.r.l. - Società unipersonale soggetta all’attività di direzione e coordinamento del CNDCEC 00185 ROMA - Piazza della Repubblica, 59 C.F., P.Iva e N. Iscr. R.I. 09257291006 48 Letti per Voi IRAP E TUTELA DEL CONTRIBUENTE Risolo Luigi Tempo libero (Maggioli, 2013) Il testo analizza cinquanta casi concreti in materia di tutela del contribuente dall’imposizione dell’IRAP. Ogni caso esposto è comprensivo di un commento, di una scheda di riepilogo, del testo integrale dell’ordinanza o della sentenza (oltre ai riferimenti a tutte le precedenti pronunce che hanno disciplinato analogamente la fattispecie in questione), nonché delle annotazioni al Codice Civile, al Codice di Procedura Civile e al Codice Penale, estremamente utili in sede di contenzioso tributario. I casi trattati riguardano non solo le diverse tipologie di contribuenti, ma anche aspetti pratici sulla debenza del tributo e sulle formalità sostanziali del processo tributario. Vengono inoltre trattate fattispecie di particolare interesse quali: il risarcimento al contribuente per l’eccessiva durata del processo d’appello; il litisconsorzio tra i soci e la società; la regolare costituzione in giudizio dell’Ufficio; l’ammissione del credito IRAP nel passivo fallimentare; l’IRAP ed il rapporto con il diritto penale; l’onere della prova per il contribuente; l’inquadramento del soggetto passivo d’imposta alla luce degli interventi della Cassazione. L’edizione tiene conto della Legge di stabilità per il 2013 (Legge 24 dicembre 2012, n. 228), che ha disposto l’effettiva operatività - fin dal 1° gennaio 2013 - di alcuni articoli facenti parte del D.Lgs. n. 446/1997 (Decreto Irap), del D.P.R. n. 633/1972 (Decreto IVA), del D.Lgs. n. 546/1992 (Processo tributario), della Legge n. 111/2011 (Manovra finanziaria 2011) e della Legge n. 244/2007 (Legge finanziaria 2008). PROFESSIONISTI & STUDI, ASSOCIARSI PER COMPETERE C’è posto all’ultimo banco Arci Solidarietà Onlus (DeriveApprodi, 2013) Storie di bambini e adolescenti, che racchiudono al loro interno successi e fallimenti, tragedie e comicità, momenti di profondo scoramento e altri di infinita tenerezza. Bambini che nelle nostre scuole trovano posto solo all’ultimo banco, di coloro che non meritano di essere guardati e accompagnati verso una consapevole appropriazione del proprio futuro… Giuseppe Bernoni e Ignazio Marino (Ipsoa, 2013) Non so niente di te Le professioni intellettuali si trovano oggi di fronte ad eventi economico-sociali di grande portata (oltre, naturalmente, alla crisi economica). Il nuovo secolo ha introdotto fenomeni come la globalizzazione, l’avvento di nuove potenze industriali (Cina, India, Brasile, seguite da Russia, Sudafrica, Vietnam, Venezuela, Turchia, Polonia, ecc.), nonché modelli organizzativi riguardanti lo “studio professionale” la cui origine è riconducibile agli USA, anni ‘60 del XX secolo. Tutto ciò richiede un rinnovamento dell’esercizio professionale col passaggio dallo studio monocratico allo studio associato (o società di professionisti), all’assunzione di nuove funzioni, cioè campi di attività inediti e forse inesplorati con cui i professionisti devono cimentarsi. L'Autore tratteggia la situazione attuale delle professioni di commercialista, avvocato, consulente del lavoro, esponendone le esigenze organizzative e funzionali, e getta uno sguardo esplorativo sulle nuove funzioni, nella consapevolezza che per le professioni attuali occorre rispondere prontamente ai bisogni d’un pubblico vasto ed esigente, per essere rispettate e autorevoli nelle società industriali contemporanee. Paola Mastrocola (Einaudi, 2013) DETRAZIONI 2013 Altissima povertà Giorgio Confente, Massimo Grimaldi Giorgio Agamben (Neri Pozza, 2013) (Maggioli, 2013) La guida offre preziose indicazioni circa le modalità con cui portare in detrazione una serie di spese, oneri e liberalità sostenute durante l’anno solare precedente la Dichiarazione dei redditi, fornendo esemplificazioni pratiche e schemi a cui rifarsi per la propria specifica casistica. Il testo prende in esame sia le spese di maggior diffusione, come quelle relative agli immobili (interventi di ristrutturazione edilizia e per il risparmio energetico, oneri derivanti dall’acquisto, canoni di locazione) e quelle di natura sanitaria e assistenziale, sia gli esborsi dovuti a fattispecie sporadiche e contingenti (spese funebri, donazioni, cure veterinarie, adozioni, assegni periodici e così via), in modo da fornire all’operatore un quadro esaustivo e dettagliato delle varie ipotesi. Conclude ed arricchisce la trattazione un capitolo finale dedicato al modus operandi dell’Amministrazione finanziaria nell’espletamento dell’attività di controllo formale delle dichiarazioni ed alla rateizzazione delle somme dovute a seguito di tale controllo. CREARE VALORE A LUNGO TERMINE Davide Dal Maso, Giorgio Fiorentini (Egea, 2013) L’investimento sostenibile e responsabile è un Giano bifronte che riunisce due dimensioni distinte dell’attività di investimento: quella economica, di chi vuole accrescere il valore del proprio risparmio, e quella socioambientale, di chi vuole generare esternalità positive a vantaggio della comunità. Il volume offre un’occasione di riflessione e sistematizzazione a quanti siano incuriositi dal tema, siano essi operatori del mondo della finanza, utilizzatori degli strumenti finanziari, osservatori del mercato. L’approccio è concreto, attento più alle pratiche che alle teorie e adotta un linguaggio semplice e accessibile. Lo scopo non è quello di aprire un dibattito tecnico sui dettagli ma di allargare la platea dei soggetti in grado di prendere (o suggerire) scelte di investimento consapevole. Le tre parti del libro danno un inquadramento generale su: definizioni e classificazioni, modalità di gestione, caratteristiche del mercato, e affidano a capitoli specifici gli approfondimenti e la narrazione di esperienze significative. Ne esce un quadro completo, che dà voce alla varietà delle competenze professionali e scientifiche maturate in questi anni in Italia sull’argomento. «… Dovreste essere curiosi, voi genitori, molto curiosi dei vostri figli. Morire dalla curiosità di vedere come diavolo andrà a finire. Invece siete sempre così scontenti, così incontentabili. Sembra che conosciate già tutto. Non vi lasciate sorprendere. Peccato. Vi private di una grande felicità». Un’appassionata rilettura del fenomeno del monachesimo occidentale, dove l’Autore sostiene che la vera novità sta nella scoperta di una nuova dimensione, in cui la «vita» si afferma nella sua autonomia e la rivendicazione dell'«altissima povertà» e dell'«uso» lanciano al diritto una sfida con cui il nostro tempo deve ancora fare i conti. Solaris Stanisław Lem (Sellerio, 2013) Per la prima volta la traduzione integrale del capolavoro della fantascienza filosofica europea. Siamo nel lembo più estremo dell’universo esplorato dal genere umano. Un astronauta, dalla Terra, approda nella stazione spaziale che gira intorno al pianeta Solaris... A cura di Maria Pia Parenti Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili Press Professione economica e sistema sociale Rivista del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili Presidente Claudio SICILIOTTI Vice Presidente Francesco DISTEFANO Direttore Responsabile Maria Luisa Campise Capo Redattore Enrico Zanetti Segretario Giorgio SGANGA Tesoriere Giuliano BOND Consiglieri Giancarlo ATTOLINI Luciano BERZÈ Claudio BODINI Giosuè BOLDRINI Andrea BONECHI Roberto D’IMPERIO Marcello DANISI Flavio DEZZANI Enricomaria GUERRA Stefano MARCHESE Massimo MELLACINA Paolo MORETTI Giovanni Gerardo PARENTE Domenico PICCOLO Giulia PUSTERLA Felice RUSCETTA Emanuele VENEZIANI Piazza della Repubblica, 59 00185 - ROMA Tel +39 06.47863322 Fax +39 06.47863640 Sito internet: www.commercialisti.it e-mail: [email protected] Comitato di Redazione Alessio Berardino Alessandro Cotto Marcello Febert Umberto Lombardi Marilena Nasti Gianfrancesco Padoan Segreteria di Redazione Maria Pia Parenti Editore PRESS Srl Piazza della Repubblica, 59 00185 Roma Tel 06.478631 Progetto grafico e art direction Giuseppe Antonucci Impaginazione Hedrarte sas di Angelo Mastria Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 408/2006 Ogni articolo firmato esprime esclusivamente il pensiero di chi lo firma e pertanto ne impegna la responsabilità personale