Press - CNDCEC

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aprile 2013 / no.54
ISSN 2039-540X
Professione Economica e Sistema Sociale
Si riparte
Press
Sommario/aprile
CNDCEC REPORT
26 Pronto Ordini,
le risposte del Cndcec
DIAMO
I NUMERI
EDITORIALE
Maria Luisa Campise
3
42 Progetto RSO
Rilevazione statistica
INTERNAZIONALE
20 Turchia
PEOPLE
4
Angelo Antonio Genise
PROFESSIONE
E TEMPO LIBERO
48 Letti per voi
L’INTERVENTO
8
12
16
18
20
24
Maurizio Villani,
Francesca Giorgia
Romana Sannicandro
Luca D’Amore
Annalisa De Vivo
Filippo Maria Invitti
Marina Augello
Riccardo Ricci
La speranza di tempi migliori
ra che la lunga e drammatica fase post elettorale ha finalmente trovato uno sbocco,
prima con la rielezione di Giorgio Napolitano alla Presidenza della Repubblica,
poi con la nascita del nuovo governo guidato da Enrico Letta, il compito di tutte
le classi dirigenti, non solo di quella politica, deve essere quello di provare a dare, dalle
rispettive postazioni, una mano al Paese. L’Italia fotografata dal risultato delle elezioni è un
Paese in frantumi, stretto nella tenaglia di una crisi della politica senza precedenti e di un
drammatico aggravarsi della crisi economica, che morde sempre più le famiglie e il tessuto
vitale del nostro sistema imprenditoriale, come noi commercialisti possiamo
quotidianamente riscontrare. Alle soluzioni emergenziali adottate (la prima volta di un
presidente della Repubblica al secondo mandato e la prima volta di un governissimo di
natura prettamente politica) non c’era forse alternativa. L’auspicio è però quello che da
questa anomalia, probabilmente destinata a suscitare, almeno nell’immediato, ulteriore
disorientamento nell’opinione pubblica, possa finalmente nascere una reale
consapevolezza dell’imperativo morale del cambiamento, a
questo punto davvero non più rinviabile, pena la tenuta stessa
della nostra democrazia e della nostra economia. Un
cambiamento di regole, assetti, facce, di interi gruppi
dirigenti ma anche di mentalità. Probabilmente la ragione
principale del collasso del sistema è da riscontrare nella sua
ormai ultra decennale incapacità di decidere, di
autoriformarsi, di produrre novità. Se da questa crisi si
uscisse con una ritrovata volontà/capacità di fare, il difficile
passaggio che stiamo vivendo non sarà stato vano. Potrebbe
essere questa l’ultima opportunità da cogliere per mettere in
campo una serie di riforme attese da anni. Costituzionali,
certo, ma anche economiche. Perché non pensare ad esempio, nella prospettiva di un
insperato scatto di reni, di mettere finalmente mano, proprio ora, al nostro sistema fiscale,
della cui riforma si parla in maniera inconcludente ormai da diversi lustri? Sarebbe un
esempio, uno tra i tanti possibili, dell’invocato passaggio dalle chiacchiere ai fatti, dal
dibattito improduttivo alle scelte. Certo, si tratta di un tema che richiederebbe il contributo
fattivo dei commercialisti italiani e che ci porta inevitabilmente a pensare al travaglio che
la nostra Categoria sta attraversando ormai da lungo tempo... Per tutti noi la speranza è che
si faccia in fretta a ridare una governance, qualunque essa sia, ad una professione, la nostra,
ormai da troppo tempo oppressa da decisioni politico-ministeriali, dettate da opinioni di
un contesto socio-economico-professionale a dir poco miope e lontano mille miglia dalla
realtà. Non mi attardo sulla valutazione delle dimissioni del Commissario straordinario,
dottor Giampaolo Leccisi, nominato dal Ministero della giustizia con decreto del 12
dicembre 2012, e tantomeno sulla nomina del dottor Giancarlo Laurini a Commissionario
straordinario del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili,
ma ritengo utile sottolineare che la sua lunga appartenenza al mondo della professione,
anche in misura apicale, può indurre il mondo esterno ad avere maggiore rispetto del
commercialista. In tal senso, ci sembrano rassicuranti le sue dichiarazioni all’indomani
della sua nomina: “… per spirito di servizio“ ed altrettanto rassicuranti in ordine alla
tempistica: “… il meno possibile”.
È pacifico che comunque ciò non ci soddisfa, ma è il minimo che si possa chiedere in attesa
di tempi migliori che tutti auspichiamo!.
O
Maria Luisa Campise
Direttore Press
Genise: “È ora
di pensare ad una
‘professionalizzazione’
della magistratura
tributaria
Un compito così impegnativo e delicato non può essere
affidato soltanto al sacrificio, all’impegno e alla competenza
dei giudici
di Maria Luisa Campise
People
Quale componente del Consiglio di Presidenza della Giustizia
Tributaria, ci spiega in sintesi come è strutturato e le sue
funzioni?
Il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria (CPGT)
è l’organo di autogoverno degli oltre 4000 magistrati tributari
italiani: è, per dirla in altri termini, il CSM dei giudici
tributari. È composto da 15 membri, 11 dei quali eletti, in un
collegio unico nazionale, da tutti i magistrati tributari e 4
nominati dal Parlamento, due dalla Camera e due dal Senato.
I suoi componenti durano in carica 4 anni e non sono
rieleggibili. I suoi compiti sono il riflesso della sua funzione
di organo di autogoverno e, dunque, il CPGT si occupa dei
concorsi per l’accesso alla magistratura tributaria, della
formazione, dei trasferimenti, dei procedimenti disciplinari e
di quelli attinenti alle incompatibilità.
A proposito di tali funzioni, il tema della incompatibilità dei
giudici tributari è stato, forse, quello maggiormente
dibattuto negli ultimi tempi.
Sì, in effetti, è un tema di grande attualità e molto dibattuto.
Il problema nasce dal fatto che la funzione di giudice
tributario può essere svolta in contemporanea con l’esercizio
di altre attività, anche attinenti alle libere professioni
(avvocati, commercialisti, ecc.). Ciò ha comportato, e
comporta, anche per il rispetto dei presupposti di
indipendenza ed imparzialità imposti dalla Costituzione per
l’esercizio della funzione giurisdizionale, che il giudice
tributario non svolga alcuna attività che possa ledere tali
presupposti. Il legislatore è, recentemente, intervenuto su
tale tema, non solo ribadendo il divieto assoluto, pena la
decadenza dall’incarico, per il magistrato tributario di ogni
tipo di consulenza o assistenza tributaria, anche occasionale
e per tutto il territorio nazionale, ma anche la decadenza del
giudice che abbia il coniuge o parenti fino al secondo grado,
o affini in primo grado che siano iscritti in albi professionali
ed esercitino la consulenza o assistenza tributaria nella
stessa regione dove il magistrato esercita la sua funzione e
nelle province o regioni limitrofe. Non solo, in un primo
momento, il legislatore aveva previsto la decadenza del
magistrato tributario sul presupposto della semplice
5
“Il timore è che la
necessaria ricerca di mezzi e
strumenti volti alla riduzione
di un contenzioso eccessivo
possa andare a scapito
del diritto alla tutela
giurisdizionale delle parti e,
in particolare,
dei contribuenti.”
iscrizione dello stesso ad un albo professionale. Tale
condizione avrebbe comportato la immediata scomparsa
dalle Commissioni tributarie di tutti i componenti
provenienti dalle libere professioni, in particolare
commercialisti e avvocati, con grave impoverimento di
quello che era, e che è, il buon livello di professionalità
raggiunto dalla magistratura tributaria. Sul punto basti solo
riflettere sul fatto che nei processi tributari è quasi assente la
consulenza tecnica d’ufficio, per rendersi immediatamente
conto dell’importanza dei componenti non provenienti dalle
altre magistrature, in particolare dei commercialisti.
Naturalmente tale peculiarità della Magistratura tributaria
necessita non solo di una rigorosa disciplina delle cause di
incompatibilità, onde prevenire episodi di malcostume e
garantire alle parti del processo tributario l’assoluta
indipendenza e imparzialità del giudice, ma anche di
un’attenta e vigile azione del CPGT volta a verificare la
scrupolosa osservanza delle norme sulla materia.
Quali sono gli ultimi dati sul contenzioso tributario anche
rispetto agli altri paesi?
Il Italia il contenzioso tributario è alto, molto più alto di
quello degli altri Stati UE, e ciò è dovuto, in buona parte, ad
una legislazione tributaria complessa e poco coordinata che,
da un lato consente, in verità sempre meno, ai più furbi di
sottrarsi al pagamento dei tributi e dall’altro punisce in modo
eccessivamente severo anche gli errori commessi in buona
fede. Anche il legislatore sembra essere consapevole di tale
stato di cose tanto da prevedere la possibilità di non
irrogazione delle sanzioni nel caso di oggettiva incertezza
6
People
della normativa tributaria (art. 6 del d.lgs. 472/97, art. 3 legge
212/2000 e art. 8 d.lgs. 546/1992); anche se, a ben vedere, la
presenza di una norma di tal contenuto certifica, in un certo
senso l’impossibilità, o l’incapacità, del legislatore di
predisporre una disciplina chiara e facilmente applicabile dei
tributi. Sul punto è bene aggiungere che la Cassazione ha
ripetutamente affermato che, nonostante la norma sulla
inapplicabilità delle sanzioni sia anche contenuta nel d.lgs.
472/97 e cioè in un testo legislativo che, in buona sostanza è
rivolta agli enti impositori perché ne disciplina e regola
l’attività, solo il giudice può accertare l’oggettiva incertezza
della normativa e, quindi, disporre, la non applicazione delle
sanzioni.
unita ad una riduzione della pressione fiscale, ma anche il
potenziamento degli strumenti cd. deflativi che possiamo
ricomprendere nel vasto alveo dell’autotutela tributaria.
In questo modo non vi è alcuna speranza che gli enti
impositori possano eliminare le sanzioni in autotutela.
Quale il futuro della magistratura tributaria?
Sì, con questo orientamento della giurisprudenza è molto
difficile che lo facciano, così come è pure da escludersi che
possano evitare di sanzionare un determinato
comportamento tributario per mancanza dell’elemento
soggettivo della colpa (art. 5 del d.lgs. 472/1997), considerato
che, in tema di sanzioni amministrative in genere, la
Cassazione ha affermato che accertata la violazione la colpa
si presume.
Viste le dimensioni del contenzioso tributario, quali
potrebbero essere i mezzi per ridurlo?
Sicuramente l’aumento degli organici, del personale delle
segreterie, l’avvio del processo telematico.
Sugli organici siamo a buon punto: un recente concorso ha
immesso nella magistratura tributaria oltre 1600 nuovi
magistrati, mentre sta per essere completato un concorso
interno che servirà a coprire buona parte delle funzioni di
Presidente di Commissione, Presidente di Sezione e Vice
Presidente di Sezioni ancora scoperti. Vanno, invece,
decisamente potenziati gli organici del personale
amministrativo, assolutamente insufficienti a sostenere la
mole di lavoro loro affidato. È, invece, ad uno stadio
avanzato la telematizzazione del processo, avviato in via
sperimentale, anche grazie alla collaborazione degli Ordini
dei commercialisti e degli avvocati che, si spera, entro
qualche anno, possa andare a regime, consentendo di gestire
tutte le fasi del processo in via telematica. Tutto ciò per quel
che riguarda la gestione delle dimensioni attuali del
contenzioso. Per una riduzione, o, per meglio dire, di una
prevenzione di esso, potrebbero essere utili non solo, una
normativa più chiara e di più semplice applicazione, magari
A proposito, e la cd. mediazione tributaria?
Vedremo che esiti avrà, sempreché sopravviva al giudizio di
costituzionalità, recentemente sollevato. Indubbiamente una
riduzione del contenzioso lo ha prodotto, così come lo stesso
risultato lo ha provocato l’istituzione del contributo unificato.
Il timore, però, al riguardo è che la necessaria ricerca di mezzi
e strumenti volti alla riduzione di un contenzioso eccessivo
possa andare a scapito del diritto alla tutela giurisdizionale
delle parti e, in particolare, dei contribuenti.
Al momento è difficile intravedere il disegno del legislatore.
Alla luce dell’ormai ventennale esperienza in questa
magistratura ritengo che sia giunto il momento di pensare ad
una sua “professionalizzazione”. E ciò non perché l’attuale
assetto della magistratura tributaria non abbia dato buoni
risultati, anzi, come dicevo prima, questi sono stati tutto
sommato più che buoni, ma perchè un compito così
impegnativo e delicato, in una fase altrettanto delicata, non può
essere svolto come secondo o, peggio, terzo lavoro, affidando
al sacrificio e all’impegno dei giudici tributari la preparazione
e l’impegno, anche e soprattutto di tempo, indispensabili per un
corretto e adeguato svolgimento della stessa. Naturalmente
tale cambio di rotta dovrebbe salvaguardare le professionalità
oggi presenti all’interno di questa magistratura.
Per concludere, quali saranno i temi della prossima giornata
celebrativa della Giustizia tributaria?
L’incontro, fissato per il 9 maggio prossimo, presso la Corte
di Cassazione, sarà l’occasione per riflettere, assieme ai
colleghi delle altre magistrature, agli esperti, ai rappresentati
del Parlamento e ai rappresentanti del mondo delle
professioni non solo delle recenti modifiche apportate dal
legislatore alla magistratura e alla giurisdizione tributaria,
ma anche del loro futuro, anche alla luce della sempre più
urgente riforma dell’ordinamento tributario. Angelo Antonio Genise è Vice Presidente del Consiglio di
Presidenza della Giustizia Tributaria.
È docente a contratto di diritto processuale tributario e
diritto amministrativo alla Scuola Superiore
dell’Economia e delle Finanze, Ezio Vanoni.
Vogliamo lavorare per qualcosa,
non contro qualcuno.
Crediamo che sia
giunto il momento
di ragionare come
una comunità.
Servono regole certe,
riforme del sistema
fiscale e giudiziario.
Serve un pensiero
tecnico, imparziale,
non schierato
che affianchi
le istituzioni:
per lavorare, non più
contro qualcuno,
ma a favore di tutti.
8
Il nuovo redditometro,
prospettive e criticità
Maurizio Villani, Francesca Giorgia Romana Sannicandro
Avvocati in Lecce
Ben venga la lotta all’evasione, ma il Fisco non può perdere di vista
i principi in base ai quali sono state istituite fino ad oggi tutte
le norme regolatrici del diritto tributario
onostante i passi in
avanti rispetto alla
disciplina datata 2010, la
nuova formulazione del
redditometro, così come
introdotta dal decreto ministeriale del
24 dicembre 2012, ha suscitato
notevoli ed aspre polemiche che
mettono seriamente a rischio la
legittimità e l’applicabilità dell’istituto.
Ciò che balza subito all’occhio è il
quantitativo di voci che sono inserite
nel decreto (100 voci) e la
significatività delle spese prese in
considerazione che vengono associate
alla tipologia di nucleo familiare e
all’area geografica di appartenenza.
Pur garantendo, differentemente da
quanto avveniva con la disciplina
previgente, il contraddittorio
obbligatorio e, alla luce della recente
sentenza della Corte di Cassazione - n.
23554 del 2012 - che ha qualificato le
presunzioni da redditometro come
“semplici”, sembra, tuttavia, che ci sia
ancora qualcosa che non torna.
È importante, infatti, soprattutto
nella materia tributaria, stabilire un
punto di partenza comune per tutte le
tipologie di accertamenti che l’ufficio
può effettuare nei confronti dei
N
contribuenti.
Possiamo affermare con assoluta
certezza che le fonti del diritto
tributario sono contenute nella
Costituzione italiana, che appunto
fissa i principi oltre i quali nessun
ramo giuridico si deve esporre, ai fini
della legittimità delle norme applicate.
Ci riferiamo, in particolare, alle
due norme fondamentali di cui agli
artt. 53 e 23 della Costituzione che,
rispettivamente, recitano: (art. 53):
“tutti sono tenuti a concorrere alle
spese pubbliche in ragione della loro
capacità contributiva”; (art. 23):
“nessuna prestazione personale o
patrimoniale può essere imposta se
non in base alla legge”.
L’indagine che si sta svolgendo, in
relazione alle due citate norme
costituzionali - in quanto fonti primarie
del diritto tributario, e dunque,
dell’istituto del redditometro - è volta a
verificare, appunto, la natura giuridica
dei testi di legge nei quali si inseriscono
le regole di condotta degli uffici
chiamati a svolgere le loro funzioni
“impositive”, e dei contribuenti, ai quali
è garantito il diritto di difesa, spesso
connotato di “armi” non adatte al tipo
di accertamento subìto.
Invero, andando a ritroso nel tempo,
non può non osservarsi come, fino al
1993 - ovvero nella formulazione
originaria della norma istitutiva del
redditometro - l’art. 38 comma 4
recitava così: “L'ufficio,
indipendentemente dalle
disposizioni recate dai commi
precedenti e dall'articolo 39, può, in
base ad elementi e circostanze di
fatto certi, determinare
sinteticamente il reddito complessivo
netto del contribuente in relazione al
contenuto induttivo di tali elementi e
circostanze quando il reddito
complessivo netto accertabile si
discosta per almeno un quarto da
quello dichiarato. A tal fine, con
decreto del Ministro delle finanze, da
pubblicare nella Gazzetta Ufficiale,
sono stabilite le modalità in base alle
quali l'ufficio può determinare
induttivamente il reddito o il
maggior reddito in relazione agli
elementi indicativi di capacità
contributiva di cui al secondo e terzo
comma dell'articolo 2, quando il
reddito dichiarato non risulta
congruo rispetto ai predetti elementi
per due o più periodi d'imposta”.
È importante notare come, nell’ultimo
L’intervento
periodo, è stabilito che gli elementi
indice di capacità contributiva sono
inseriti nel comma 2 dell’art. 2 del
d.P.R. 600/73 e che il decreto
ministeriale stabiliva solo le modalità
operative dello strumento accertativo.
Questo ha permesso, fino al 1993, il
legittimo utilizzo del redditometro, in
base al principio di cui all’art. 23 della
Costituzione, che tassativamente
regola il principio della riserva di legge.
Negli anni, la norma ha subìto
svariate modifiche, fino ad arrivare
alla formulazione odierna che indica,
quale unica fonte sia di natura
operativa che di natura contenutistica,
gli elementi di capacità contributiva e
il metodo secondo cui vengono
applicati ai fini della determinazione
dello scostamento.
A ben vedere, infatti, l’odierno
decreto ministeriale, contiene un
grave ampliamento delle voci elementi indice di capacità
contributiva (quelle attuali sono ben
100), non supportate da nessuna
regola normativa né fiscale né
costituzionale.
Infatti, occorre precisare che i
decreti ministeriali sono spesso dei
veicoli attraverso i quali introdurre
delle nuove discipline o estendere
quelle già in vigore, ma non hanno
natura regolamentare e, pertanto, non
possono costituire fonti di rango
primario.
Nel caso di specie, il decreto del
24 dicembre 2012, oltre ad estendere
immotivatamente le voci elementi
indici di capacità contributiva violando il principio costituzionale di
riserva di legge - pretende di
determinare: “Il contenuto induttivo
degli elementi indicativi di capacità
contributiva, indicato nella tabella
A, è determinato tenendo conto della
spesa media, per gruppi e categorie
di consumi, del nucleo familiare di
appartenenza del contribuente; tale
contenuto induttivo corrisponde alla
spesa media risultante dall'indagine
annuale sui consumi delle famiglie
compresa nel Programma statistico
nazionale, ai sensi dell'art. 13 del
decreto legislativo 6 settembre 1989,
n. 322, effettuata su campioni
significativi di contribuenti
appartenenti ad undici tipologie di
nuclei familiari distribuite nelle
cinque aree territoriali in cui è
suddiviso il territorio nazionale. Le
tipologie di nuclei familiari
considerate sono indicate nella
tabella B, che fa parte integrante del
presente decreto.” (art. 1, comma 3 del
d.m. 24 dicembre 2012).
In buona sostanza, in assoluta
violazione dell’art. 53 - principio di
capacità contributiva - gli
accertamenti da redditometro saranno
basati sulle indagini Istat effettuate
9
sul territorio nazionale, senza
minimamente tenere conto
dell’effettiva capacità contributiva di
ogni soggetto che, in realtà, “partecipa
alla spesa pubblica in ragione della
propria capacità contributiva”.
Senza contare gli altri due
elementi dissonanti: il nucleo
familiare e l’area geografica.
Sembra totalmente assurdo che uno
strumento come il redditometro, che,
come gli altri mezzi a disposizione del
Fisco, è impegnato nella lotta
all’evasione fiscale, possa perdere di
vista sic et simpliciter i principi in
base ai quali, fino ad oggi, sono state
istituite tutte le norme regolatrici del
diritto tributario.
Forse il momento critico e l’aria
tesa che si respira negli ultimi due
anni ha completamente offuscato le
menti che hanno istituito la riforma di
questo strumento.
Prevedere uno screening selettivo
10
L’intervento
sulla base di un indice Istat configura
una illegittima, oltre che
anticostituzionale, applicazione delle
norme fiscali, il cui compito ricordiamo - è garantire la
partecipazione di tutti i contribuenti
alla spesa pubblica e non entrare in
casa degli Italiani a dire quanti caffè si
debbano bere in base al numero dei
familiari e alla zona di residenza.
I tecnici del settore sono da sempre
tenuti a svolgere funzioni di filtro tra
contribuenti e Amministrazione
finanziaria; in base alla nuova
normativa, un buon professionista
dovrebbe comunicare al proprio
cliente una sorta di tabella
comportamentale per cercare di non
essere catturato dalle ganasce fiscali.
Ma come? In quale modo?
Di certo non è possibile scendere in
lunghe spiegazioni dottrinali e
specifiche relative alle gravi odierne
violazioni delle misure accertative
attualmente in vigore, né tantomeno si
può discernere dei metodi di difesa
del contribuente, che, ad oggi, sono
pressoché inesistenti in materia di
redditometro.
Già, inesistenti; il contraddittorio
obbligatorio che è stato inserito nella
nuova formulazione della norma,
sicuramente apre uno spiraglio
comunicativo con il Fisco, ma non
dimentichiamoci che il
contraddittorio è solo una
conseguenza di un accertamento
basato sulla violazione di norme
costituzionali costituenti fonti di
rango primario.
Anche la Cassazione, con una
recente sentenza (n. 23554/2012) - tra
l’altro un procedimento a cura degli
scriventi- , ha finalmente cambiato
orientamento circa la natura delle
presunzioni da redditometro
stabilendo che si tratta di presunzioni
semplici, dunque gravi precise e
concordanti.
Tocca dunque al fisco, in qualità di
organo esercente attività di controllo
delle posizioni contributive, corredare
gli accertamenti con prove certe,
elementi precisi, dati circostanziati
relativi a ciascuna posizione da
verificare; elementi dai quali possa
inequivocabilmente desumersi una
reticenza contributiva totale o
parziale.
Fatta salva questa rilevante
pronuncia, è importante che venga
rispettato l’iter di determinazione
delle posizioni da accertare, in quanto
il ricorrente è spesso costretto ad
effettuare delle prove diaboliche
relative alla dimostrazione di non
capacità contributiva e, in moltissimi
casi, di non sostenimento della spesa
(il che è assurdo, perché se una spesa
non si è sostenuta, non si può
dimostrare!).
Ai fini della correttezza legislativa
e, di conseguenza, di una legittima
difesa, si rende necessario, come già
accaduto in alcune sedi di merito
(come la Commissione tributaria
provinciale di Torino con la sentenza
n. 39/04/13) disapplicare il
redditometro in quanto
incostituzionale e illegittimo.
Nella recente sentenza,
spiccatamente e minuziosamente
motivata, si legge che: “il sistema di
valutazione previsto dal DM sul
redditometro, esprime un abuso del
diritto, poiché impone l’uso di indici
e coefficienti astrattamente applicati
(previsti in tabelle preconfezionate)
al fine di far scaturire un presunto
valore di reddito non supportato da
ragionevolezza e duttilità, che invece
deve essere esaminato volta per volta
e caso per caso, così come il
contribuente lo prospetta ed avvalora
attraverso la documentazione
prodotta a difesa”.
Come sottolineano i giudici
piemontesi, il redditometro non può
avere la pretesa di dimostrare la
capacità contributiva del ricorrente
mediante l’applicazione di indici
astratti riferibili ad una indagine di
mercato nazionale; altrimenti, per par
condicio, sarebbe anche opportuno
che le imposte fossero versate sulla
base degli stessi indici, in relazione
anche all’area geografica e al nucleo
familiare, tradotto: ci spostiamo tutti
nelle zone con più alta densità e
disoccupazione!.
Infine, sorvolando su noiose
disquisizioni tecniche sulla formazione
dei decreti ministeriali e sulla valenza regolamentare o no - degli stessi, come
può un contribuente mantenere la
documentazione relativa ad ogni
singola spesa effettuata dal 2009 ad
oggi?
Perché, a fronte di un nucleo
familiare non regolarizzato mediante
un matrimonio civile dovrebbe
considerarsi contribuente da
accertare colui che convive con una
donna disoccupata?
In base a cosa è garantito
l’effettivo prelievo fiscale?
Quali strumenti di difesa ha a
disposizione il contribuente
sottoposto ad un avviso di
accertamento da redditometro basato
su elementi di capacità contributiva
riferibili ad indagini Istat?
Domande ancora senza risposta... o
forse, come sempre, ci si aspetta che
siano le domande a cambiare?!
Una cosa è certa, i contribuenti
hanno diritto alla trasparenza e alla
correttezza dell’applicazione delle
norme che gravano sui loro patrimoni;
intanto la risposta che viene garantita
al momento è: “Le faremo sapere”. Rappresentiamo una minoranza del 99,9%.
In Italia le PMI sono
il 99,9% della forza
economica, eppure
vengono trattate come
una minoranza. Il
mondo produttivo e le
istituzioni funzionano
solo grazie alle libere
professioni, eppure
queste ultime non
vengono prese
in considerazione
dai poteri forti.
Essere utili al Paese
significa cambiare
anche questi squilibri,
ma soprattutto
lavorare per le
cose che contano.
12
L’evoluzione
della normativa
antimafia
Luca D’Amore
Avvocato – esperto in materia di misure di prevenzione
La legge di Stabilità ha colmato alcune gravi lacune legislative.
Rimangono, però, ancora grandi criticità nel processo
di amministrazione, destinazione e utilizzazione dei beni immobili
e delle aziende sequestrate e confiscate
a confisca dei patrimoni
illecitamente acquisiti ha
sempre assunto un forte
valore, anche simbolico,
sia sotto il profilo della
lotta alla criminalità organizzata,
perché costituisce il risultato palmare
del duro lavoro svolto dalle Forze
dell’ordine e dalla magistratura, sia
sotto il profilo sociale, poiché
consente di restituire i beni oggetto di
ablazione alle territorialità che
subiscono il fenomeno criminale.
Dall’entrata in vigore del Codice
antimafia, tuttavia, tanto gli operatori,
quanto la società civile, stanno
mutando il modo di concepire questo
fondamentale strumento di contrasto
alle mafie, attribuendogli sempre
maggiore importanza, anche mediatica.
Emblematico, al riguardo, è
quanto riportato nella relazione
sull’amministrazione della giustizia
relativa all’anno 2012 ove è stato
evidenziato, tra l’altro, il significativo
L
“incremento del numero delle
procedure relative alle misure di
prevenzione patrimoniali e il
crescente ammontare del valore dei
sequestri e delle confische” che
recentemente, grazie alla Procura
della Repubblica di Lanciano, ha
trovato per la prima volta
applicazione anche nei confronti
“dell’evasore fiscale socialmente
pericoloso”.
Nell’ambito di questo scenario in
continua evoluzione, l’anno 2012 è
stato caratterizzato da importanti
modifiche alla vigente legislazione
antimafia e, segnatamente, al codice
antimafia che, come noto, aveva
tentato di riportare ad unità, una
pletora di norme, disperse in
numerosi testi e più volte emendate
nel corso degli anni, attraverso
l’introduzione di una disciplina tesa a
rendere efficace l’attività di
amministrazione e la destinazione dei
beni sequestrati e confiscati, nonché
ad elevare il livello di tutela dei terzi
coinvolti nel procedimento. Invero
autorevoli esponenti del mondo
giudiziario e dottrinale, hanno da
subito espresso profonde perplessità
sull’effettiva efficacia delle norme
introdotte dal legislatore del 2011.
Una prima occasione di
modificare il testo unico si è avuta con
il primo correttivo al Codice antimafia
(decreto legislativo 15 novembre 2012,
n. 218). Tale normativa, tuttavia, non
ha recepito le istanze emendative
provenienti dagli operatori del settore,
limitandosi ad intervenire soltanto su
taluni aspetti marginali della
disciplina in materia di misure di
prevenzione.
L’opportunità di apportare
modifiche al Codice antimafia di più
ampio respiro si è avuta tramite un
emendamento governativo presentato
al Senato, mentre era in fase avanzata
la discussione della c.d. Legge di
stabilità. In effetti il serrato dibattito
L’intervento
nelle competenti commissioni,
nonostante i tempi estremamente
contenuti e la mancata interlocuzione
di tutti gli operatori di settore, ha
consentito di apportare alcune
modifiche al testo unico.
In particolare, la legge 228/2012 ha
recepito, almeno in parte, le proposte
emendative degli operatori di settore.
Tra queste va anzitutto ricordata la
modifica all’art. 24, comma 2 del
Codice antimafia, ove si è
opportunamente chiarito che
l’inosservanza del termine ivi previsto,
rende meramente inefficace il
provvedimento di sequestro e si è
inserita, altresì, una ulteriore causa di
sospensione del termine per il tempo
necessario all’espletamento di
accertamenti peritali sui beni dei quali
la persona nei cui confronti è iniziato
il procedimento risulta poter disporre,
direttamente o indirettamente.
Vanno poi ricordate le modifiche
del Codice relative ai beni mobili
registrati e, in particolare, all’art. 40
ove è stato inserito, nel comma 5 bis,
quanto già prevedeva il vecchio testo
dell’art. 48, comma 12, in materia di
affidamento in giudiziale custodia dei
beni mobili sequestrati. Inoltre, è stata
introdotta una peculiare disciplina
(commi 5-ter, quater e quinquies) che
consente al Tribunale di destinare alla
vendita i beni mobili sottoposti a
sequestro se gli stessi non possono
essere amministrati senza pericolo di
deterioramento o con rilevanti
diseconomie.
La legge di stabilità ha colmato anche
la grave lacuna legislativa che limitava
le competenze dell’Agenzia nazionale
alle fattispecie di reato che, seppur
ricomprese nell’art. 12 sexies del d.l.
13
306/92, non erano annoverate nell’art.
51, comma 3 bis, del c.p.p.. Questa
limitazione, come noto, aveva
determinato non pochi problemi
gestori, in prima battuta
apparentemente e peraltro
parzialmente risolti dal legislatore con
una norma di interpretazione
autentica della disposizione che,
prima dell’istituzione dell’Agenzia
nazionale, attribuiva la competenza ad
amministrare e destinare i beni
confiscati al precedente Ente, all’uopo
introducendo una norma di chiusura
del sistema, tesa a garantire la limitata
gestione dei beni immobili confiscati
per le fattispecie di reato non
ricomprese nell’art. 51, comma 3 bis
del c.p.p..
Il nuovo articolato normativo ha
espunto dall’art. 110 del Codice
antimafia il riferimento alle fattispecie
14
L’intervento
delittuose contenute nell’art. 51,
comma 3 bis, del c.p.p. ed ha
effettuato un coordinamento con l’art.
12 sexies, riscrivendone totalmente il
4 comma bis.
La legge di stabilità ha effettuato
anche un parziale restyling dell’art. 48
del Codice antimafia che, come noto,
detta la disciplina per la destinazione
dei beni definitivamente confiscati, ivi
esplicitando anche le modalità e i
possibili destinatari dei beni confiscati.
A tal proposito va subito
evidenziato che il legislatore,
inopinatamente, ha anche soppresso
l’ultimo periodo dell’art. 48, comma 1,
lett. b), che prevedeva «la cessione
gratuita o la distruzione del bene»
mobile, anche registrato, a cura
dell’Agenzia nazionale qualora la
procedura di vendita fosse risultata
antieconomica. Con tale abrogazione
sembrerebbe che il legislatore abbia
voluto escludere la cessione gratuita o
la distruzione dei beni mobili, di
talché potrebbero determinarsi futuri
problemi gestori nei casi, non
infrequenti, in cui i beni mobili non
possano essere utilmente alienati.
Apprezzabile, invece, è la modifica
dell’art. 48 del Codice nella parte in
cui estende la platea dei possibili
destinatari dei beni mobili, anche
registrati, in favore degli enti
territoriali e delle associazioni di
volontariato che operano nel sociale.
I lavori parlamentari, invece,
probabilmente a causa del mancato
dibattito tra gli operatori del settore e
le forze parlamentari, reso impossibile
dall’urgenza di approvare la Legge di
stabilità, hanno espunto
dall’emendamento governativo la
proposta di modifica legislativa
finalizzata all’alienazione, seppur in
via residuale, dei beni immobili
confiscati ai privati.
L’idea, in sostanza, era quella di
superare la contraddizione oggi
presente nel testo unico tra la
destinazione dei beni immobili e di
quelli aziendali, prevedendo una
disciplina unitaria a prescindere dalla
natura del bene. Inoltre, la vendita
residuale dei beni immobili ai privati,
avrebbe consentito di risolvere tutti
quei casi, come la confisca in quota
indivisa, in cui il bene è di fatto
indestinabile allo Stato o agli enti
territoriali.
Si auspica che nella nuova
legislatura venga introdotta una
procedura di destinazione dei beni
snella che, fatta salva la prioritaria
destinazione per finalità di pubblico
interesse (mantenimento all’Erario o
trasferimento agli enti territoriali),
consenta una concreta restituzione
alla collettività dei patrimoni sottratti
alla criminalità organizzata,
facilitando la destinazione di tutte le
tipologie di beni, ivi compresi quelli
con criticità.
Sul punto la proposta potrebbe
essere non solo quella di riproporre la
vendita ai privati, ma anche di
estendere alle aziende la disciplina
oggi dettata per i beni immobili, onde
consentire allo Stato e agli enti
territoriali di acquisire a titolo gratuito
i beni aziendali confiscati.
Va poi ricordata l’importante
modifica in tema di regime fiscale da
applicare ai beni immobili sequestrati
e confiscati, introducendo nell’art. 51,
il comma 3 bis il quale prevede
espressamente che, durante la vigenza
dei provvedimenti di sequestro e
confisca e comunque fino alla
assegnazione o destinazione, i beni
sono esenti da imposte, tasse e tributi.
Diversamente nel caso in cui
venga disposta la revoca della
confisca, l’amministratore giudiziario
(o l’ANBSC), ne dà comunicazione
all’Agenzia delle entrate e agli altri
enti competenti che provvedono alla
liquidazione delle imposte, tasse e
tributi, dovuti per il periodo di durata
dell’amministrazione giudiziaria, in
capo al soggetto cui i beni sono stati
restituiti.
Con riferimento alla tutela dei
terzi, come noto, il Codice antimafia
ha introdotto una disciplina organica,
da un lato prevedendo la citazione in
giudizio di alcuni terzi, dall’altro
disciplinando i presupposti e le
modalità della tutela attraverso un
procedimento in cui sono risolte tutte
le “vicende” che riguardano il bene,
acquisito dallo Stato depurato di
qualsiasi problematica che potrebbe
comportare oneri o spese(1).
Tale disciplina(2), invero, essendo
applicabile, a norma dell’art. 117,
comma 1, ai procedimenti instaurati
dal 13 ottobre 2011, lasciava privi di
copertura normativa tutti i beni che,
pur essendo interessati da criticità,
risultavano o già definitivamente
confiscati ovvero sub-iudice alla data
di entrata in vigore del Codice
antimafia.
A tal proposito si è scelto, invero,
di introdurre una procedura
amministrativo-giurisdizionale, che
prevede il coinvolgimento dell’ANBSC
all’inizio e al termine della procedura,
oltre all’intervento del giudice che ha
disposto la confisca, per verificare la
sussistenza del credito ed accertare la
buona fede del creditore ipotecario o
pignoratizio.
Da ultimo occorre effettuare un
breve riferimento alle prospettive di
riforma della disciplina in materia di
misure di prevenzione.
A tal proposito è evidente che la
normativa antimafia, nel corso degli
anni, è stata interessata da numerosi
L’intervento
interventi legislativi diretti a colmare
le lacune riscontrate nell’applicazione
pratica delle norme, nonché a tentare
di rispondere efficacemente al modus
procedendi, sempre più sofisticato,
della criminalità organizzata(3).
Tuttavia, nel processo di
amministrazione, destinazione e
utilizzazione dei beni immobili e
aziendali sequestrati e confiscati, il
legislatore non ha dedicato la
necessaria attenzione a talune criticità
che riscontrano, sovente, gli operatori
del settore.
Con riferimento ai beni immobili,
come noto, le principali criticità si
riscontrano, oltre che nell’esistenza
dei gravami ipotecari e nelle confische
in quota indivisa, anche nel pessimo
stato di manutenzione in cui spesso si
trovano i cespiti sottratti alla
criminalità organizzata.
A tal proposito sarebbe
auspicabile istituire un fondo di
rotazione per la gestione,
utilizzazione, manutenzione e
valorizzazione dei beni sequestrati e
confiscati alimentato, in parte da un
contributo statale ed in parte dai
rientri derivanti dalla vendita dei beni
confiscati anche aziendali. Ciò
consentirebbe agli aventi diritto
(Stato o enti territoriali) di utilizzare
(1) Cosi
concretamente il bene(4).
Con riferimento ai beni aziendali,
già con il sequestro, possono
riscontrarsi tre grandi criticità:
- revoca dei fidi bancari;
- azzeramento delle commesse;
- innalzamento dei costi di gestione.
Quanto al primo punto, accade
sovente che gli istituti di credito
revochino gli affidamenti bancari, con
la naturale conseguenza che l’ex
azienda mafiosa, che già opera in un
contesto territoriale difficile, non può
proseguire la propria attività di
impresa. In questi casi, al fine di
scongiurare la chiusura aziendale e di
evitare messaggi negativi alla
cittadinanza(5), potrebbe essere
prevista l’istituzione di un fondo di
rotazione che, ricorrendone i
presupposti(6), verrebbe utilizzato
dall’Autorità giudiziaria per finanziare
le aziende che presentino concrete
possibilità di rimanere sul mercato.
Inoltre sarebbe utile attivare
protocolli di intesa per utilizzare
manager esperti del mercato(7) di
riferimento per la gestione
imprenditoriale.
L’ulteriore criticità riscontrata è
quella dell’azzeramento delle
commesse: a tal proposito, oltre a
specifiche proposte di legge(8), si
15
potrebbe creare, da un lato, una
sinergia tra le aziende sequestrate e
confiscate per la rotazione delle
commesse e, dall’altro, una rete
virtuosa che, coinvolgendo le
associazioni rappresentative degli
imprenditori, farebbe rientrare l’ex
azienda mafiosa in un circuito di
legalità tramite le commesse
provenienti dalle società facenti parte
della rete stessa.
Infine, per quanto concerne
l’innalzamento dei costi di gestione,
come noto, già nella fase del
sequestro, l’azienda sconta il c.d.
“costo della legalità” derivante dalla
regolare fatturazione delle commesse
e dalla regolarizzazione dei rapporti di
lavoro. Sul punto potrebbero essere
introdotte delle specifiche
agevolazioni, sia sotto il profilo della
defiscalizzazione delle imprese
sequestrate e confiscate, sia sotto
quello della decontribuzione dei
rapporti di lavoro, onde consentire il
mantenimento dei dipendenti o,
addirittura, nuove assunzioni. Inoltre,
nel caso di chiusura di azienda,
sarebbe auspicabile prevedere dei
sistemi di welfare in deroga, tesi a
consentire ai lavorati dell’ex azienda
mafiosa di essere utilmente ricollocati
nel mercato del lavoro. testualmente F. Menditto, in “Prime modifiche al c.d. codice antimafia: d.lgs. n. 218/12 e l. n. 228/12”, in “Diritto penale
contemporaneo”.
(2)
Peraltro fortemente criticata in quanto eccessivamente garante dei diritti dei terzi addirittura arrivando a subordinare l’interesse
pubblico all’acquisizione del bene confiscato (cfr. art. 47, comma 2, ultimo capoverso).
(3)
Si pensi al Trust e altri strumenti attentamente esaminati da P. Grasso, in “Soldi Sporchi”, Baldini Castoldi Dalai editore S.p.A., Milano.
(4)
Soprattutto gli enti territoriali, infatti, una volta acquisito il bene confiscato al proprio patrimonio, non possono utilmente utilizzarlo
perché non hanno alcuna fonte economica per la relativa ristrutturazione.
(5)
È noto lo slogan “la mafia dà lavoro lo Stato no”.
(6)
Ad esempio dopo un’attenta analisi della relazione di cui all’art. 41, comma 1 del Codice antimafia.
(7)
Nella relazione dell’amministratore, ad esempio, potrebbe essere previsto, dopo uno start up almeno triennale, un piano di rientro
del finanziamento.
(8)
Ad esempio, in deroga alla vigente disciplina, anziché appaltare all’esterno, si potrebbe prevedere l’obbligo per tutte le Pubbliche
amministrazioni di avvalersi, per l’affidamento delle commesse, di società sequestrate e confiscate.
16
Antiriciclaggio,
nuovi obblighi
di adeguata verifica
Annalisa De Vivo
Istituto di ricerca dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili
La proposta di Quarta Direttiva approvata dalla Commissione europea
estende l’ambito di applicazione per accrescere trasparenza e chiarezza
lla vigilia della
emanazione della
quarta direttiva
comunitaria in materia
di antiriciclaggio, la
notizia di nuovi e stringenti controlli
sui professionisti da parte della
Guardia di Finanza, diffusa nei giorni
scorsi, ha ulteriormente contribuito
ad aumentare la preoccupazione in
merito alla correttezza dei presidi
adottati negli studi professionali in
adempimento a quanto disposto dal
d.lgs. 231/2007.
Quest’ultimo, com’è ormai noto,
impone ai soggetti che ne sono
destinatari la predisposizione di
stringenti misure finalizzate alla
adeguata verifica della clientela, alla
registrazione e alla conservazione
delle informazioni, nonché alla
segnalazione di eventuali operazioni
sospette di riciclaggio o finanziamento
del terrorismo. L’inosservanza, o
l’adempimento non corretto, dei
suddetti obblighi espone i
professionisti destinatari della
normativa all’applicazione di pesanti
sanzioni.
È in tale cornice che vanno ad
A
inserirsi le ulteriori modifiche previste
dalla quarta direttiva, le quali di fatto
potrebbero tradursi in un notevole
aggravio degli obblighi già esistenti.
In dettaglio, la proposta di direttiva
recepisce le ultime raccomandazioni
del gruppo di azione finanziaria
internazionale (GAFI), ma su taluni
aspetti va ben oltre, nel dichiarato
scopo di affinare le attuali modalità di
contrasto al riciclaggio di denaro e al
finanziamento del terrorismo.
Analogamente a quanto previsto dalla
vigente Direttiva 2005/60/CE, la
proposta di nuova direttiva ribadisce
la necessità di tenere in
considerazione, nell’applicazione della
normativa, le peculiarità dei “piccoli
enti obbligati”, garantendo un
trattamento normativo commisurato
alla loro natura e alle loro specifiche
esigenze.
Detto principio di proporzionalità
delle misure antiriciclaggio è
attualmente previsto dal quarto
comma dell’art. 3 del d.lgs. 231/2007,
ove si evidenzia che queste ultime
devono essere conformate alle diverse
caratteristiche di ciascuna
professione, nonché ai parametri
dimensionali dei soggetti tenuti
all’adempimento.
In conformità a quanto già
disciplinato, dunque, nel ridisegnare il
sistema preventivo dei reati di
riciclaggio e di finanziamento del
terrorismo il legislatore interno non
potrà omettere di considerare la
profonda diversità dei soggetti
destinatari degli obblighi. Questa
potrebbe essere l’occasione per
riconsiderare le modalità di
adempimento dell’obbligo di adeguata
verifica della clientela e, in dettaglio,
per impostare in modo più corretto il
c.d. approccio basato sul rischio,
tenendo conto delle peculiarità delle
professioni rispetto agli altri soggetti
obbligati (ad esempio gli intermediari
finanziari). Nel caso dei professionisti,
infatti, la valutazione delle procedure
antiriciclaggio poste in essere non può
prescindere da una attenta
considerazione delle differenze di
scala (in termini di strutture
organizzative) e dell’equilibrio dei
costi/benefici per i soggetti obbligati,
con una conseguente semplificazione
degli obblighi, nel rispetto dei principi
generali comunitari di necessità e
L’intervento
proporzionalità.
L’emananda direttiva incide altresì
sugli obblighi di adeguata verifica
della clientela, ritenendosi necessario
un accrescimento della chiarezza e
della trasparenza delle relative norme,
al fine di disporre di controlli e
procedure adeguate che consentano
una migliore conoscenza del cliente e
una maggiore comprensione della
natura delle attività svolte da
quest’ultimo.
Nel riaffermare alcuni principi già
presenti nel nostro ordinamento, la
proposta di Direttiva conferma altresì
l’obbligo, per tutti i soggetti
destinatari della normativa, di
dimostrare alle autorità competenti ovvero agli Ordini professionali - che
le misure adottate sono adeguate
rispetto al rischio di
riciclaggio/finanziamento del
terrorismo che essi stessi abbiano
valutato. La proposta prevede che gli
Stati membri richiedano ai destinatari
della normativa di effettuare la
verifica dell’identità del cliente e del
titolare effettivo prima che si instauri
il rapporto o che sia svolta la
transazione. In deroga a tale
previsione, la suddetta verifica potrà
essere effettuata anche nel corso del
rapporto o in fase di svolgimento della
transazione, ove ciò sia necessario per
non comprometterne il normale
svolgimento e sempre che il rischio di
riciclaggio/finanziamento del
terrorismo sia minimo: in situazioni
del genere, le procedure di verifica
dovranno essere portate a termine
quanto prima possibile rispetto al
contatto iniziale con il cliente.
Sono poi da evidenziare le misure
previste dal legislatore comunitario al
fine di garantire una maggiore
trasparenza e accessibilità dei dati del
titolare effettivo (c.d. beneficial
owner). Al riguardo, deve peraltro
ricordarsi che proprio in questi giorni
la Banca d’Italia ha emanato l’atteso
provvedimento in materia di adeguata
verifica antiriciclaggio destinato agli
intermediari finanziari, con esclusione
delle imprese di assicurazione: le
istruzioni dell’autorità di vigilanza
troveranno applicazione a partire dal
1° gennaio 2014. Tornando alla
proposta di Direttiva, le informazioni
acquisite nel corso della adeguata
verifica dovranno essere conservate e
messe a disposizione delle autorità
competenti mentre, con riferimento
alla definizione di titolare effettivo,
sono confermati pressoché
integralmente i contenuti della
direttiva vigente. In relazione a tale
circostanza, ben può affermarsi che il
legislatore europeo ha perso
un’importante occasione per far luce
su alcuni aspetti a dir poco
controversi, come quello relativo alla
individuazione del titolare effettivo in
caso di entità giuridiche quali le
fondazioni e di istituti giuridici quali i
trust, che amministrano e
17
distribuiscono fondi: in tale ipotesi, se
le persone che beneficiano dell’entità
giuridica non sono ancora state
determinate, il titolare effettivo
coincide con “la categoria di persone
nel cui interesse principale è istituita
o agisce l’entità giuridica”. Questa
precisazione, già vigente e confermata
nella proposta di direttiva, non
agevola certo l’individuazione del
titolare effettivo, rendendo a dir poco
complesso il corretto adempimento
dell’obbligo di adeguata verifica.
Ponendo rimedio ad una evidente
carenza dell’attuale disciplina
antiriciclaggio, la proposta estende
poi le disposizioni in materia di
persone politicamente esposte (c.d.
PEP) anche ai cittadini residenti in
ciascuno degli Stati attuatori: in altre
parole, oltre alle persone fisiche
cittadine di altri Stati comunitari o di
Stati extracomunitari, potranno
essere ritenute “politicamente
esposte” anche quelle nazionali.
Un doveroso cenno merita infine la
prevista - e da tempo preannunciata inclusione dei reati fiscali tra quelli
presupposto del reato di riciclaggio.
Sul punto, in tempi recenti il CNDCEC
non ha mancato di evidenziare, in
linea con l’aggiornamento delle
raccomandazioni FAFT-GAFI, la
necessità di distinguere gli illeciti
fiscali di natura fraudolenta, che
comportano un effettivo ingresso di
denaro o di altri beni (ad esempio
l’emissione di fatture per operazioni
inesistenti), da quelli che danno luogo
esclusivamente ad un risparmio di
imposta e non alla realizzazione di un
incremento patrimoniale. Il buon
senso vorrebbe, infatti, che solo i
primi venissero considerati quali reati
presupposto del riciclaggio, con
conseguenze di non poco peso
sull’obbligo di segnalazione delle
operazioni sospette. 18
Turchia,
il nuovo che avanza
Filippo Maria Invitti
Odcec di Roma
Commercialisti, avvocati e imprenditori in missione.
Il secondo passo di un progetto per favorire e alimentare il percorso
di internazionalizzazione di professionisti e imprese
a chiamano la Cina vicina,
perché tra i paesi ex
emergenti del cosiddetto
BRICST è quello che
maggiormente compete
con l’inarrestabile marcia del dragone
rosso; la Turchia, paese di appena 75
milioni di abitanti affacciato da un
lato sul mar Mediterraneo e ponte con
l’emisfero asiatico, rappresenta oggi la
nuova frontiera del business
mondiale. Una rappresentanza di
professionisti, tra i quali tanti
commercialisti, ha deciso di unirsi
all’iniziativa promossa
dall’Associazione VICINA e
approfittare di una Instant mission ad
Istanbul. L’arrivo nella capitale
dell’impero ottomano ha lasciato tutti
piacevolmente sorpresi nello scoprire
una realtà nella quale convivono la
cultura cristiana con quella islamica e
dove la magnifica basilica di Santa
Sofia ne rappresenta il connubio
perfetto; attraversare Istanbul ha un
sapore particolare, da un lato la
splendida cornice dello stretto del
Bosforo costeggia l’intera città
delineandone il profilo con paesaggi
mozzafiato, dall’altro colline spesso
esageratamente ripide e che si
L
susseguono con numerosi saliscendi
suscitano nel visitatore l’idea di girare
sulle montagne russe. Il mercato
rappresenta poi il primo “banco di
prova” con lo spirito di naturale
attitudine al commercio propria della
popolazione turca. La sera, infine, le
luci della città illuminano un contesto
urbano che appare improvvisamente
diverso e incredibilmente suggestivo
con le due sponde orientale ed
occidentale della città, unite dallo
straordinario ponte icona della
capitale. L’interesse dei partecipanti,
oltre che dall’innegabile fascino di
Istanbul, è stato poi sollecitato nel
corso della giornata di workshop
durante la quale sono state illustrate
le opportunità offerte dal paese, i
profili legislativi e fiscali e la
possibilità di ottenere dalle
rappresentanze istituzionali italiane
locali sia pubbliche che private forme
di supporto ed incentivo allo sviluppo
del business in Turchia. È emerso con
chiarezza che l’ultimo decennio ha
visto crescere l’economia del paese in
modo esponenziale con indici di
incremento del Pil spesso a doppia
cifra e con una costante progressione
allo sviluppo degli scambi
internazionali tali da portare la
nazione tra le prime 15 del ranking
mondiale. Una popolazione giovane
poi, con una età professionale media
di 35 anni, alto tasso di
scolarizzazione e conoscenza diffusa
della lingua inglese, garantiscono alla
Turchia la possibilità di recitare un
ruolo da player strategico nei mercati
internazionali.
Altro interessante aspetto,
illustrato durante i lavori dai relatori
che si sono susseguiti, è il piano di
sviluppo nazionale, che attraverso un
programma di incentivi sapientemente
distribuito in tutti i territori del paese,
ne accresce l’appeal nei confronti
degli investitori esteri che guardano
con particolare interesse alla
possibilità di avviare iniziative
produttive e commerciali in loco.
Il contatto con la realtà del tessuto
imprenditoriale turco si è avuto nei
giorni successivi con la visita al
distretto industriale di Bursa, distante
qualche ora di viaggio da Istanbul.
Una realtà modernamente
organizzata, con una infrastruttura
viaria e ferroviaria che assicura il
rapido trasferimento delle merci e
delle materie prime nei vicini porti ed
L’intervento
aeroporti dai quali verranno poi
inviate in tutto il mondo.
Dai colloqui, tenutisi con i
responsabili del parco industriale
nonché con i titolari delle efficienti
imprese visitate, si è avuta
conoscenza dei costi per l’avvio di
insediamenti produttivi in quel
territorio e che, seppur prevedono un
ammontare di almeno il doppio di
quelli necessari per analoghe
iniziative in altri paesi in via di
sviluppo, possono considerarsi ben
oltre la metà di quelli stimabili in Italia
e con performance qualitative in
termini di prodotti finiti niente affatto
invidiabili rispetto al nostro prodotto
nazionale.
La collega Marina Augello ha
illustrato, al margine dei lavori con
grande soddisfazione, l’Istant guide
sulla Turchia preparata dai
componenti di VICINA, in
collaborazione con gli studenti del
dipartimento di finanza internazionale
dell’Università “La Sapienza” di Roma,
diretto dall’esperto prof. Giovanni
Palomba, un documento che verrà
messo a disposizione di tutti i
commercialisti italiani per avere una
prima informazione sulla Turchia e
che rappresenterà, per coloro che ne
avranno interesse, una traccia da cui
partire per i successivi e opportuni
19
approfondimenti professionali.
Il presidente di VICINA ha
manifestato infine la sua
soddisfazione unita a quella dei
colleghi co-organizzatori della
missione, tra i quali l’infaticabile
Leonardo Maria Caputo, per la
splendida esperienza umana vissuta
durante il viaggio da tutti i
partecipanti, auspicandosi una
altrettanto numerosa partecipazione
alle prossime iniziative che saranno
realizzate con l’obiettivo di
promuovere lo sviluppo della cultura
dell’internazionalizzazione tra i
commercialisti, gli altri professionisti
e per il loro tramite delle imprese. 20
Turchia...
Sistema Paese
Marina Augello, ODCEC Roma
GEO-FISICA
La Turchia si estende su una superficie di circa 779 mila Km². Bagnata dal Mar Egeo, dal Mar Mediterraneo e dal mar Nero,
in posizione strategica al centro tra Europa ed Asia tanto da essere considerata il ponte naturale tra i due continenti.
Il Canale del Bosforo, dove confluiscono le acque del mar nero e del mare di Marmara, separa la Turchia europea dalla
Turchia asiatica collegate tra loro da due ponti (un terzo è attualmente in costruzione).
POPOLAZIONE
L’ultimo censimento del 2011 ha registrato una popolazione di circa 75 milioni di abitanti con un’età media di 28,5
anni, elemento, questo, che spiega il dinamismo ed il possibile ulteriore sviluppo dell’economia.
La popolazione è distribuita soprattutto nelle grandi città, quali Istanbul, Ankara (la Capitale) ed Izmir.
RELIGIONE
La Religione predominante è l’Islam, con minoranze Cristiane, Cattoliche Ortodosse ed Ebraiche.
Lingua. Ufficiale è il Turco ma viene parlato anche il Kurdo ed il Zazaki.
VALUTA
Lira turca (TRY) liberamente convertibile.
Gli scambi commerciali con partner esteri vengono normalmente regolati in Dollari ed Euro.
Internazionale
21
STORIA DEL ‘900 BREVI CENNI SULLE TAPPE FONDAMENTALI
L’Armistizio di Mundros, nel 1918 , seguito all’imposizione del trattato di Sevres, pone fine a 600 anni di Impero Ottomano.
Il Sultanato viene abolito formalmente nel 1922 ad opera del Generale Mustafà Kemal, conosciuto con il nome di Ataturk,
ossia padre dei turchi.
Ataturk, fondatore della Repubblica, imprime al Paese un’apertura moderna introducendo il Principio di Laicità dello Stato
relegando la religione alla sfera personale dell’individuo e slegando, di conseguenza, le scelte politiche dal precetto religioso.
Il 24 luglio 1923, con il Trattato di Losanna la Turchia ottiene il riconoscimento Internazionale di “Repubblica di Turchia”.
Il 29 ottobre 1923 viene ufficialmente proclamata la Repubblica con capitale Ankara.
Il Partito CHP, guidato dal carismatico Ataturk, occupa la scena politica nazionale incontrastato fino alla morte del generale,
avvenuta nel 1938. Anni di confronto bipolare con partiti, che nel frattempo avevano cavalcato l’ascesa, decretrano
l’indebolimento e l’uscita di scena, a seguito delle elezioni del 1950, del movimento CHP. Da questo momento e fino al 2002 il Paese
è caratterizzato da una forte instabilità politica, tre colpi di Stato militari che ne bloccano di fatto lo sviluppo.
SISTEMA POLITICO
Il sistema di governo Turco, introdotto con la Costituzione del 1982, attualmente in corso di modifica, è rappresentato da una
democrazia parlamentare ad una sola Camera, la “Grande Assemblea Nazionale”, che detiene il potere legislativo mentre il
potere esecutivo è demandato al Primo Ministro ed al Consiglio dei Ministri.
ATTUALE GOVERNO
Dal 2002 il Governo è guidato dal Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) il cui Presidente Recep Tayyip Erdogan è, dal
2003, Primo Ministro.
Il partito AKP, nonostante un background integralista, dopo anni di buio, ridona al Paese la luce attraverso una politica estera
rivoluzionaria il cui filo conduttore è la solidificazione delle relazioni internazionali che, a differenza del passato, non sono
imposte dall’alto, ma frutto di pianificazione strategica tanto sul piano regionale quanto su quello globale.
Dieci anni di stabilità politica e fermezza economica e l’inizio dei negoziati per l’adesione all’Unione Europea hanno fatto
registrare una crescita economica costante supportata da una valida strategia macroeconomica, da importanti riforme strutturali
(varo della legge quadro sugli investimenti esteri, normativa che disciplina la creazione di imprese, nuovo codice di commercio
in vigore da luglio 2012), e da oculate politiche fiscali. La combinazione di questi fattori ha consentito al paese di potersi integrare
in un quadro economico globale e di trasformarsi in uno dei principali poli attrattivi per gli investimenti diretti esteri. Dopo un
biennio di crescita sostenuta con un Pil a quasi due cifre, il paese sta attraversando una fase di moderazione della performance
economica, con tassi di crescita del Pil positivi (3% circa) ma più contenuti e sostenibili rispetto al passato. Oggi la Turchia si
colloca al 16° posto tra le maggiori economie mondiali ed al 6° posto tra i paesi dell’area UE.
SETTORI E MERCATI REALI
Nel corso degli ultimi venti anni il Paese è passato da un regime di economia chiusa ad uno di economia libera, regolata da
una legislazione liberale.
I settori che presentano grandi potenzialità di sviluppo ed opportunità per le imprese estere sono l’energetico, le
infrastrutture, il TIC e la meccanica.
La Turchia è diventata uno dei mercati energetici in più rapida crescita nel mondo. Lo Stato si sta preparando, nei prossimi
anni, ad avviare gare per un valore di circa 900 milioni di euro nel settore dell’energia solare. La legge che regolamenta
l’energia da fonti rinnovabili (Low n. 6094/2010, on utilization of renewable Energy Resources Electricity Generation)
favorisce con incentivi l’energia prodotta da fonti rinnovabili nei settori eolico, solare da biomassa, idroelettrico e geotermico.
Il mercato delle energie rinnovabili è ancora allo stato iniziale e considerando la giornata media di radiazione solare (7,2
ore/giorno) per un totale di 1,311 Kwh/mq per anno, le potenzialità del paese restano ancora ampie e non sfruttate. L’importo
degli investimenti da effettuare, per soddisfare il fabbisogno energetico entro il 2023,è stimato in circa 130 miliardi di dollari.
Il settore Infrastrutture attrae quotidianamente sempre più investitori. Sono stati realizzati molti progetti nei rami
dell’istruzione, dell’energia, della sanita e dei trasporti.
Nel settore dei trasporti il Governo sta attuando una serie di politiche volte a rendere più sicura ed efficiente l’infrastruttura
dei trasporti.
Si segnala, per ciò che attiene alle infrastrutture aeroportuali, progetti del Governo per la costruzione di 3 nuovi Aeroporti
e l’ampliamento dell’aeroporto Sabiha Gokcen di Istanbul.
22
Internazionale
L’industria meccanica, così come nel resto del mondo, assume in Turchia un ruolo strategico. Negli ultimi venti anni il
comparto è cresciuto a ritmi sostenuti, grazie alla disponibilità di una forza lavoro a basso costo e, al contempo, altamente
qualificata nonché all’autonomia nell’approvvigionamento dei fattori produttivi che ha ridotto il ricorso a risorse estere.
Nonostante la produzione di macchinari nel Paese costituisca una sempre maggiore fetta di esportazioni, queste ultime non
superano la domanda nazionale, la quale comprende i principali comparti della economia locale (macchine per la lavorazione
dei metalli, macchine tessili, macchine per la lavorazione delle pelli e calzature, macchine per l’imballaggio per la lavorazione
della plastica del legno e dei marmi).
Il Ministro turco dell’Industria, scienza e tecnologia, Nihat Ergun, intervenendo al vertice di IBM Software, tenutosi nell’ottobre
del 2011 a Istanbul, ha enunciato i piani per il primo dei parchi tecnologici speciali da costruire nella Turchia nordoccidentale
(Kocaeli). L’Obiettivo è quello di creare un Ecosistema, costituito da imprese ad alta tecnologia impegnate in R&S nel campo
dell’informatica, delle telecomunicazioni e dello sviluppo di software. Gli investitori potranno beneficiare di una serie di incentivi
che comprendono l’assegnazione gratuita o a basso costo dei terreni, l’esenzione del reddito e le imposte sulle società fino al 2023,
il dimezzamento dei premi di previdenza sociale del datore di lavoro per il personale di ricerca, l’esenzione totale dalle imposte
di bollo e Iva per dodici anni e l’esenzione dalle tasse per il trattamento delle acque reflue.
Sul piano degli incentivi il Governo ha articolato il programma di riforme in quattro punti:
Programma generale di incentivi agli investimenti;
Programma regionale di incentivi agli investimenti;
Programma di incentivi di investimento su larga scala;
Programma strategico di incentivi agli investimenti.
Il Programma prevede la suddivisione della Turchia in 6 regioni fiscali fissando un tetto minimo di investimento pari ad un
milione di lire turche per le zone più depresse rientranti nelle Regioni 1 e 2 ; 500.000 lire turche per le regioni 3-4-5-6.
DIRITTO SOCIETARIO, TUTELA DELLA PROPRIETÀ INDUSTRIALE E FISCALITÀ
Il nuovo Codice di Commercio è sicuramente una novità di grande rilevanza per l’intero sistema economico, reso necessario
dall’aumento degli investimenti stranieri al fine di armonizzare la normativa interna a quella europea. Il nuovo Codice
Commerciale, composto da 1535 articoli, è entrato in vigore il 1° luglio 2012, come parte integrante del Codice Civile, che
quindi continuerà ad applicarsi nei casi non previsti dalla nuova legge.
Il nuovo testo si caratterizza per l’introduzione di una serie di norme ispirate a principi di trasparenza e responsabilità degli
attori.
Per l’avvio di un’attività in Turchia sono necessari circa dieci giorni con i seguenti step: compilazione del modulo di
registrazione presso il Registro delle Imprese della Camera di Commercio locale; deposito delle firme autenticate dei
rappresentanti della società e presentazione dello statuto vidimato da un notaio; deposito di un anticipo del capitale sociale
pari allo 0,4% presso l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, una Banca statale o la Banca Centrale della
Repubblica di Turchia.
La disciplina dei diritti di proprietà intellettuale è stata aggiornata nel 1995 con il DL 551 protezione dei brevetti, DL 556
protezione dei marchi, DL 554 protezione dei disegni industriali e DL 555 protezione delle denominazioni geografiche. Gli
organismi preposti alla tutela sono l’Istituto turco dei Brevetti responsabile per l’applicazione della normativa, le Corti
Speciali per la tutela dei diritti di privativa, la Polizia e le Dogane, i detentori dei diritti, inclusi i consulenti dei brevetti e dei
marchi abilitati a depositare le domande di registrazione.
La tassazione è caratterizzata da un sistema di imposte dirette ed indirette. Le principali: imposta sul valore aggiunto, in
turco Deger Vergisi (KDV), applicata sulla fornitura di beni e servizi e sulle importazioni, assolve l’aliquota ordinaria del
18%. Sono previste due aliquote speciali dell’1% sui prodotti agricoli come cibi secchi, cotone e grano ed una aliquota dell’8%
sulla carne ovina e bovina, giornali e quotidiani, olio, pasta, latte.
La norma originaria che regola la tassazione dei redditi individuali è la legge 1960. È prevista una tassazione a scaglioni con
aliquota del 15% per redditi da 0 a 10.000, del 20% da 10.001 a 25.000, del 27% da 25.001 a 58.000 e del 35% oltre i 58.001.
Per quanto concerne la tassazione del reddito delle persone giuridiche il testo di riferimento è la legge n. 1949.
Sono possibili due regimi di tassazione.
Il regime della tassazione piena previsto per le società residenti che sono tassate in base al principio del reddito mondiale.
Il regime di tassazione limitata previsto per le società non residenti, che operano attraverso una branch o una joint venture,
soggette a tassazione solo sui redditi conseguiti in Turchia.
L’aliquota fiscale di tassazione per le Società è del 20%. L’ottimismo prevede un duro lavoro.
Essere ottimisti oggi
non significa credere
semplicemente che sarà
possibile uscire dalla crisi.
Significa piuttosto,
trasformare questa crisi in
opportunità di cambiamento:
non solo in termini di
riforme del sistema,
ma anche di responsabilità.
Chi, come noi, non reputa
il lavoro come un diritto
acquisito, sa che solo
attraverso l’impegno e
i sacrifici possiamo lasciarci
la crisi alle spalle, senza
farla ricadere su quelle
dei nostri figli.
24
Qatar, una visione
di business
Riccardo Ricci Commissione Internazionalizzazione dell’ODCEC e dell’UGDCEC di Roma
La stabilità politica, il basso livello di corruzione, i piani di investimenti
in mega infrastrutture e un vantaggioso sistema fiscale fanno
dell’Emirato un paese molto attraente per le aziende italiane
aison di Valentino,
Costa Smeralda,
Mondiali di Calcio
2022, sono queste le
cose che vengono
maggiormente accostate al Qatar. Ma
il Qatar non è solo questo.
Il Qatar è un paese che gioca
attualmente un ruolo significativo su
tematiche di interesse sia regionale
che planetaria. È uno dei paesi più
dinamici dell’aerea del Golfo con una
crescita economica ed una
lungimirante politica di riforme volte
a favorire lo sviluppo basato su
diversificazione, competitività e
sostenibilità, guardando alle
generazioni future, così come
enunciato nella Qatar National
Vision (QNV) 2030, varata dal
governo nel 2008.
Questa “visione” ha proiettato il
Qatar in un piano di investimenti in
mega infrastrutture (stimati in circa
110 miliardi di dollari nel quinquennio
2013-2017) volte a diversificare
l'economia e aumentare la
competitività nel settore non
idrocarburi.
Secondo i dati del Fondo
Monetario Internazionale, il Qatar
vanta il Pil pro capite più elevato del
M
mondo (98.000 USD) e la crescita del
Pil totale si è assestata nell’anno 2012
al 6,6%, mentre la crescita del Pil nel
settore non idrocarburi si è assestata
di poco al disotto del 10%.
Di recente, inoltre, per finanziare la
sua agenda di diversificazione, il Qatar
ha iniziato una sistematica emissione di
titoli di Stato denominati in valuta
locale con l’obiettivo dichiarato di
ridurre la dipendenza del Paese dai
finanziamenti esteri e dunque dalla
corrente incertezza dell’ambiente
globale. Le accorte politiche
economiche hanno riscosso il consenso
delle agenzie internazionali di rating
quali Standard & Poor’s che ha elevato
la sua valutazione da ‘A+’ a ‘AA-’.
Tra gli investimenti più importanti
occorre citare il progetto QIRP (Qatar
Integrated Railways Project),
sviluppato dalla società ferroviaria
nazionale tedesca Deutsche Bahn su
incarico dell’Agenzia di sviluppo
nazionale Qatari Diar Real Estate
Investment, che si basa su un volume
di investimenti di circa 43 miliardi di
dollari e prevede una Rete
metropolitana e una Rete ferroviaria
a lunga distanza, in grado di collegare
l'Emirato con il resto dei paesi del
GCC (Goulf Cooperation Council:
Oman, Emirati Arabi Uniti, Arabia
Saudita, Kuwait e Bahrain).
Approfondimenti geopolitici
Il Qatar è un Emirato, situato in una
piccola penisola (grande quanto
l’Abruzzo) facente parte della ben più
grande penisola arabica.
La principale risorsa economica è
rappresentata dal petrolio. L’Emirato,
inoltre, è il maggior esportatore
mondiale di gas naturale liquefatto.
Infatti nel Golfo Persico si trova il più
grande giacimento al mondo di gas
naturale (South Pers/North Dome),
che si estende su una superficie di
9.700 Km2, di cui 6.000 in acque
territoriali qatariote e 3.700 in acque
territoriali iraniane.
L’enorme ricchezza ha permesso al
Riferimenti
Ambasciata del Qatar in Italia, Via Bosio n. 14, 00161 Roma, www.qataremassy.it [email protected]
telefono 06-44249450.
Ambasciata Italiana in Qatar, District 66, Street 913, Plot 83, Villa 31, P.O. Box 4188, Doha,
www.ambdoha.esteri.it/Ambasciata_Doha mailto:[email protected]" \o [email protected],
Telefono +974.44831828.
ItaQam (Associazione per lo sviluppo del Commercio e la Cultura tra Italia e Qatar
www.itaqam.com, mailto:[email protected] - telefono +39 0645492248).
L’intervento
Qatar di non subire i contraccolpi
dalle rivolte della cosiddetta
“primavera araba” che hanno scosso
la regione.
L’Emirato può permettersi di
mantenere il controllo della scarsa
popolazione residente (circa 1,7
milioni di abitanti, ma l’aggiudicazione
dei mondiali di calcio del 2022 fanno
prevedere un forte incremento)
attraverso sussidi e benefici economici.
Un perfetto esempio di capitalismo
autoritario. La sua stabilità, infatti,
deriva principalmente dalla
legittimazione politica della famiglia
regnante Al-Thani e dalla omogeneità
etnica e religiosa del paese che lo
differenzia dagli altri paesi del Medio
Oriente e del Maghreb.
La straordinaria ricchezza
energetica dell’Emirato lo espone
anche alle mire dei due ingombranti
vicini: Arabia Saudita e Iran. Di qui i
pregevoli equilibrismi dell’Emiro per
evitare che il paese rimanga
schiacciato politicamente ed
economicamente.
Il Qatar intrattiene infatti ottimi
rapporti diplomatici ed economici con
i maggiori paesi occidentali e la
presenza di una grande base aerea
della US Air Force - costruita a spese
della famiglia reale Al-Thani durante
gli anni ‘90 - rende lo Stato
praticamente inattaccabile dal punto
di vista militare.
Un altro importante strumento di
politica internazionale è costituito
dall’emittente TV, Al Jazeera.
Il sistema giudiziario dell’Emirato,
originariamente basato sulla Sharia
islamica, ha subìto negli ultimi anni
una radicale trasformazione
orientandosi verso un sistema misto
di diritto civile e Sharia islamica. Le
corti civili, in particolare, hanno la
competenza in materia contrattuale,
societaria e del lavoro. Il Qatar ha
altresì aderito alle principali
organizzazioni internazionali (ONU,
GCC, Fondo Monetario
Internazionale, Organizzazione
Mondiale del Commercio, OPEC, e
Organizzazione Mondiale per la
Proprietà Intellettuale).
Nel paese, in cui un litro di acqua
costa il doppio di un litro di benzina,
l’approvvigionamento di generi
alimentari è essenziale. Il Qatar
importa infatti il 95% degli alimenti e
la sua economia, in generale, dipende
dalle importazioni e la diversificazione
dei partner è uno specchio della sua
politica internazionale.
Dunque il Qatar, con il piano di
investimenti in mega strutture, la
stabilità politica, il basso livello di
corruzione e, non da ultimo, un
25
vantaggioso sistema fiscale, offre
numerose opportunità di business, che
le aziende italiane possono cogliere
con una presenza stabile in loco.
Si tratta di una sfida straordinaria
e significativa, soprattutto per le
piccole e medie imprese (pmi) le
quali, tuttavia, spesso non dispongono
delle adeguate risorse manageriali e
finanziarie per rispondere alla
concorrenza internazionale.
Per affrontare
l’internazionalizzazione in modo
organico ed efficace e cogliere le
opportunità che offrono i mercati
internazionali le Pmi devono superare
queste criticità investendo
consapevolmente in un processo di
internazionalizzazione che miri allo
sfruttamento di sinergie che si possono
creare attraverso l’aggregazione. Tra i Paesi avanzati con surplus fiscale, il Qatar presenta un rapporto tra debito pubblico e Pil,
paragonabile a quello di Australia e Norvegia mentre in valore assoluto (26 miliardi di US
dollari) la consistenza del debito pubblico è sostanzialmente inferiore.
Paesi con surplus fiscale
AUSTRALIA
FINLANDIA
HONG KONG
NORVEGIA
QATAR
SINGAPORE
Debito Pubblico
239
92
93
84
26
118
DP/ PIL
16%
38%
38%
18%
15%
44%
Valori in miliardi USD. Fonte FMI
Main Budgeted Capital Projects: Total Costs until 2020
Railway
Public Works Authority (Ashghal)
Industry, Water and Electricity (includes port)
Airport
Education (including Qatar Foundation)
Ministry of Interior and Interior Security Forces
FIFA-related
Health
Other
Total
Fonte Qatar Ministry of Economics and Finance
Total Cost
44.3
27.8
11.1
7.4
7.1
3.9
1.6
1.5
12.06
117.5
(U.S. dollar billions)
2012 Balance
1.1
1.9
1.9
3.3
1.6
0.4
0.5
0.3
6.0
17.1
Until 2020
43.2
19.7
9.2
4.1
5.1
3.5
1.1
0.7
6.2
92.9
CNDCEC-Report
Pronto Ordini,
le risposte del Cndcec
Continuano numerosi i quesiti all’ufficio Pronto Ordini del Cndcec. Su questo numero
pubblichiamo le risposte fornite sui più rilevanti argomenti
a cura della Redazione
Quesito Odcec di Gela
Quesito Odcec di Locri
Oggetto: PO 77/2013_Tirocinio
In relazione al quesito formulato in data 13 marzo 2013 in
tema di tirocinio, si osserva quanto segue.
In generale e con riferimento ai tirocini contestuali agli studi,
si precisa che ai fini del rilascio del certificato di compiuto
tirocinio per l’accesso all’esame di Stato per la sezione A è
comunque necessario che un anno di tirocinio sia compiuto
dopo il conseguimento della laurea specialistica o magistrale
(informativa n. 75 del 3 ottobre 2012).
Ciò premesso e con riferimento specifico al caso in
questione, si rileva che il tirocinante non ha diritto ad
essere trasferito dalla sezione B alla sezione A del registro,
in quanto la disciplina del tirocinio non consente passaggi
di sezione(1) ma, avendo completato i 18 mesi, potrà
ottenere il certificato di compiuto tirocinio per l’esame di
abilitazione da esperto contabile e dovrà, quindi, essere
cancellato dal registro. Una volta conseguita, poi, la laurea
specialistica e se vorrà essere ammesso a sostenere
l’esame di Stato da dottore commercialista, dovrà iscriversi
nella sezione A del registro per svolgere un ulteriore anno
di tirocinio secondo quanto previsto dall’articolo 14 del
D.M. 7 agosto 2009, n. 143.
8 aprile 2013
Oggetto: PO
55/2013_Incompatibilità_società_di_mediazione_civile_
commerciale_società_di_servizi.
Si fa seguito alla richiesta di parere del 20 febbraio nella
quale l’Ordine chiede di sapere se versi in una situazione di
incompatibilità con l’esercizio della professione l’iscritto
che sia socio di maggioranza e amministratore di una
società a responsabilità limitata che svolge attività di
mediazione civile e commerciale ai sensi del D.Lgs. n.
28/2010 regolarmente accreditata presso il Ministero di
Giustizia, il cui fatturato individuale è prevalente rispetto
alla quota parte di fatturato della società allo stesso
imputabile.
Si evidenzia preliminarmente che il decreto legislativo n.
28 del 4 marzo 2010, in attuazione dell’art. 60 della legge 18
giugno 2009, n. 69, ha introdotto la mediazione finalizzata
alla conciliazione delle controversie civili e commerciali(1).
In tale ambito, l’art. 16 disciplina la costituzione degli
organismi di mediazione prevedendo che questi siano
costituiti esclusivamente da enti pubblici o privati (ovvero
organi o articolazioni interne degli enti medesimi) che
diano garanzie di serietà ed efficienza(2). Il Decreto del
Ministero di Giustizia n. 180 del 18 ottobre 2010 ha
successivamente disciplinato i criteri e le modalità di
iscrizione e tenuta del registro degli organismi di
mediazione individuando all’art. 4, co. 3, i requisiti dei
mediatori(3). Alla luce di tale ultima disposizione si può
dunque affermare che l’attività di mediazione rientra tra
quelle oggetto della professione.
Ciò premesso, in tema di incompatibilità, l’art. 4, co. 1, lett.
c), del Decreto legislativo n. 139 del 28 giugno 2005 dispone
l’incompatibilità tra l’esercizio della professione e
(1) La
circostanza che il divieto di passaggio tra sezioni è la regola
è confermato dal fatto che in passato sono state necessarie
norme di carattere transitorio (art. 15 reg. tirocinio) o interventi
ad hoc (decreto MIUR 5 novembre 2010) per consentirlo nelle
more della stipula della convenzione quadro del 2010.
L’applicazione di tali norme, di natura chiaramente eccezionale,
non può essere in alcun modo estesa in via analogica.
Cndcec Report
“l’esercizio, anche non prevalente, né abituale dell’attività
di impresa, in nome proprio o altrui e, per proprio conto,
di produzione di beni o servizi, intermediaria nella
circolazione di beni o servizi, tra cui ogni tipologia di
mediatore, di trasporto o spedizione, bancarie,
assicurative o agricole, ovvero ausiliarie delle precedenti”.
Come può osservarsi, la norma stabilisce una specifica
ipotesi di incompatibilità tra l’esercizio della professione e
l’esercizio di attività di impresa qualora questa sia esercitata
per conto proprio, in nome proprio o altrui. Per “esercizio di
attività di impresa” deve intendersi, infatti, il concreto
svolgimento dell’attività d’impresa; ciò che risulta
incompatibile con l’esercizio della professione è l’esercizio
dell’impresa (intesa come gestione dell’impresa) svolto per
conto proprio, ossia l’amministrazione effettuata a soli fini
imprenditoriali per soddisfare un interesse commerciale
proprio(4). Il secondo comma del citato articolo dispone,
tuttavia, che, anche nel caso di esercizio per conto proprio
di attività di impresa, l’incompatibilità è esclusa se tale
attività “… è diretta alla gestione patrimoniale, ad attività
di mero godimento o conservative, nonché in presenza di
società di servizi strumentali o ausiliari all’esercizio della
professione, ovvero qualora il professionista rivesta la
carica di amministratore sulla base di uno specifico
incarico professionale e per il perseguimento dell’interesse
di colui che conferisce l’incarico”.
Come può osservarsi, dunque, l’esercizio dell’attività
d’impresa è consentito all’iscritto laddove sia strumentale
all’esercizio dell’attività professionale(5), sempreché la
società sia realmente strumentale e ausiliaria dell’attività
del professionista secondo quanto chiarito nelle Note
interpretative sulla disciplina delle incompatibilità. A tal
proposito le Note interpretative hanno precisato che
l’incompatibilità è senz’altro esclusa qualora la società di
servizi, nella quale l’iscritto abbia un interesse economico
prevalente e ricopra la carica di amministratore con ampi o
tutti i poteri, abbia come unico cliente il professionista
stesso(6). Laddove, come nel caso prospettato, la società di
servizi fatturi anche a terzi (clienti e non del
professionista), l’esclusione della causa di incompatibilità
si avrà solo nell’ipotesi in cui il fatturato ascrivibile al
singolo professionista (di cui alla posizione Iva e/o, in caso
di associazione professionale, di cui alla quota spettante
del fatturato dello studio associato) sia superiore alla
quota parte di fatturato della società di servizi imputabile
all’iscritto stesso(7).
8 aprile 2013
(1)
27
Tale provvedimento introduce nell’ordinamento giuridico
italiano il nuovo istituto della mediazione civile e commerciale
come metodo di risoluzione delle controversie alternativo al
tribunale. In base alle disposizioni ivi contenute, chiunque può
rivolgersi dinanzi a un mediatore professionista “con requisiti di
terzietà” al fine di addivenire in tempi ragionevoli o ad un accordo
amichevole o alla formulazione di una proposta per la risoluzione
di una controversia civile e commerciale. In alcune materie,
ritenute particolarmente conflittuali il ricorso alla mediazione
sarà obbligatorio prima di poter intraprendere una azione
ordinaria davanti ai giudici.
(2)
L’art. 18 del citato decreto, disciplina, altresì, la costituzione
degli Organismi da parte dei Consigli degli Ordini professionali
per le materie riservate alle loro competenze, stabilendo che
questi si debbano avvalere di proprio personale e utilizzare locali
nella propria disponibilità.
(3)
Vd. art. 4, co. 1, del D.m. Giustizia n. 180/2010:
“Nel registro sono iscritti, a domanda, gli organismi di
mediazione costituiti da enti pubblici e privati”.
(4)
Come evidenziato nel citato comma 2 dell’art. 4, in deroga a tal
previsione si consente l’amministrazione e liquidazione di
aziende, patrimoni e singoli beni. Tale disciplina rispecchia
l’orientamento giurisprudenziale (Cassazione civile, Sez. lav.,
sent. n. 8601 del 21 novembre 1987) secondo il quale l’attività di
impresa (intesa come gestione dell’impresa) non è incompatibile
con l’esercizio della professione qualora l’amministrazione si
configuri come mero incarico professionale. Il discrimine, quindi,
tra attività consentita e vietata, va ricondotto al concetto di
amministrazione su mandato ricevuto dal cliente in
considerazione della propria competenza professionale, in
contrapposizione, come già evidenziato, con l’amministrazione di
società svolta a soli fini imprenditoriali per soddisfare un
interesse commerciale proprio.
(5)
Vd. “Note interpretative della disciplina delle
incompatibilità di cui all’art. 4 del D.lgs. 28 giugno 2005 n.
139”, pag. 21, par. 4.
(6)
Vd. Note cit., par. 4.2, pag. 21.
(7)
Vd. Note cit., par. 4.2, pag. 21 e 22.
Quesito Odcec di Pordenone
Oggetto: PO 349/2012_Tirocinio
In relazione al quesito formulato in data 10 ottobre 2012,
con il quale si chiede se un tirocinante che ha iniziato il
tirocinio il 2 ottobre scorso può sospenderlo per un anno
al fine di poter frequentare un Master all’estero, si osserva
quanto segue.
28
Cndcec Report
La disciplina delle sospensioni applicabile al caso in
questione è quella contenuta nel D.P.R. 7 agosto 2012, n.
137, in quanto si tratta di tirocinio iniziato dopo il 16
agosto 2012 (articolo 6, comma 14, D.P.R. citato). Ora, il
comma 7 dell’articolo 6 del D.P.R. in questione prevede che
“l’interruzione del tirocinio per oltre tre mesi, senza
giustificato motivo, comporta l’inefficacia, ai fini
dell’accesso, di quello previamente svolto. Quando ricorre
un giustificato motivo, l’interruzione del tirocinio può
avere una durata massima di nove mesi, fermo l’effettivo
completamento dell’intero periodo previsto”.
La norma prevede che per un periodo massimo di 3 mesi il
tirocinio possa essere sospeso senza giustificato motivo,
mentre per periodi superiori ai 3 mesi e fino ai nove mesi è
richiesto un giustificato motivo. A differenza di quanto
disposto dal D.M. 7 agosto 2009, n. 143, non sono previste
ipotesi tassative di sospensione e viene lasciato agli Ordini
un margine di discrezionalità nell’apprezzare le circostanze
che costituiscono un “giustificato motivo” di sospensione
del tirocinio.
La durata della sospensione non può comunque essere
superiore a 9 mesi, per cui nel caso di specie la
sospensione per un periodo di 12 mesi determinerebbe la
perdita del tirocinio già svolto.
18 gennaio 2013
Quesito Odcec di Genova
Oggetto: PO 418/2012_Art.
4_D.lgs._139/2005_Incompatibilità_DPR_137_2012.
Si fa seguito alla richiesta di parere del 5 dicembre nella
quale l’Ordine chiede di sapere se siano da ritenersi ancora
vigenti le disposizioni di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 139/2005
alla luce di quanto previsto dagli artt. 2 e 12 del d.P.R. n.
137 del 7 agosto 2012 e dell’art. 3, co. 7, del d.l. n. 138/2012.
In riferimento alla questione sollevata si precisa quanto segue.
Si osserva che il decreto del Presidente della Repubblica n. 137
del 7 agosto 2012, in attuazione dei principi previsti dall’articolo
3, co. 5, del decreto legge n. 138 del 13 agosto 2011 (convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 148 del 14 settembre 2011) ha
introdotto norme regolamentari di riforma degli ordinamenti
professionali con riguardo ai seguenti profili:
Tirocinio (art. 6),
Accesso ed esercizio dell’attività professionale (art. 2),
Tenuta dell’Albo professionale (art. 3),
Libera concorrenza e pubblicità informativa (art. 4),
Assicurazione professionale (art. 5),
Formazione continua (art. 7),
Procedimento disciplinare (art. 8).
Le nuove disposizioni, applicabili dallo scorso 16 agosto,
hanno comportato l’abrogazione delle disposizioni con
esse in contrasto(1) ovvero incompatibili(2).
In riferimento a quanto previsto dall’art. 2 del d.P.R. n.
137/2012, laddove si vieta qualsiasi limitazione all’iscrizione
ad albi professionali che non siano fondate “su espresse
previsioni di legge inerenti al possesso o al
riconoscimento dei titoli previsti dalla legge per la
qualifica e l’esercizio professionale, ovvero alla mancanza
di condanne penali o disciplinari irrevocabili o ad altri
motivi imperativi di interesse generale”, si evidenzia che
le disposizioni in tema di incompatibilità con l’esercizio
della professione trova giustificazione proprio nella
necessità di assicurare la piena autonomia ed efficienza
della professione in relazione a interessi di ordine
generale.(3) Tale disciplina, infatti, operando nei confronti
del professionista una restrizione della generale libertà di
iniziativa economica, introduce una compressione di diritti
soggettivi costituzionalmente garantiti che trova
fondamento nell’esigenza di tutelare l’indipendenza(4),
l’onorabilità e l’imparzialità del professionista e garantire
che questi agisca, nello svolgimento dell’attività
professionale, per la cura di interessi pubblici(5).
Alla luce di tali considerazioni, nulla appare aggiungere
quanto previsto dall’art. 3, co. 7, del d.l. n. 138/2011 laddove
prevede che le disposizioni limitative dello svolgimento di
attività economiche debbano essere interpretate in senso
restrittivo. Le disposizioni in tema di incompatibilità sono
soggette, infatti, ai principi di legalità e tassatività:
l’emanazione di tali norme è attribuita in via esclusiva al
legislatore di rango primario e non possono individuarsi, in
via interpretativa, fattispecie - dirette a limitare l’esercizio,
da parte del professionista, di diritti soggettivi - ulteriori
rispetto a quelle già indicate dalla legge. In tal senso la
norma di cui all’art. 4 deve ritenersi (norma) di stretta
interpretazione, non ammettendosi, in alcun caso,
interventi interpretativi che, in via analogica o estensiva,
ne amplino l’ambito di applicazione(6).
Con riferimento alla questione sollevata, pertanto, si ritiene
che l’Ordine possa proseguire nel procedimento di
cancellazione dell’iscritto, avviato a seguito di accertamento
della sussistenza di una situazione di incompatibilità con
l’esercizio della professione rilevata in base alle disposizioni
legislative attualmente esistenti in materia.
15 gennaio 2013
Cndcec Report
(1) Vd.
il co. 5-bis dell’ art. 3 del D.L. n. 138/2011:
“5-bis. Le norme vigenti sugli ordinamenti professionali in
contrasto con i princìpi di cui al comma 5, lettere da a) a g),
sono abrogate con effetto dalla data di entrata in vigore del
regolamento governativo di cui al comma 5 e, in ogni caso,
dalla data del 13 agosto 2012.”.
(2) Vd.
art. 12 D.p.r. n. 137/2012:
Art. 12 Disposizione temporale.
“1. Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano dal
giorno successivo alla data di entrata in vigore dello stesso.
2. Sono abrogate tutte le disposizioni regolamentari e
legislative incompatibili con le previsioni di cui al presente
decreto, fermo quanto previsto dall’articolo 3, comma 5-bis, del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con
modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, e
successive modificazioni, e fatto salvo quanto previsto da
disposizioni attuative di direttive di settore emanate
dall’Unione europea.”
(3) Vedi
anche Cass. Civ., Sez. Un., sentenze n. 1143 del 24 marzo e
n. 2119 dell’11 aprile 1981.
(4) In
tal senso si evidenzia che il Codice Deontologico della
Professione di Dottore Commercialista e di Esperto Contabile,
dopo aver richiamato il rispetto delle norme in tema di
indipendenza e incompatibilità previste dalla legge, stabilisce
espressamente (art. 9) che il professionista non deve mai porsi in
situazioni idonee a diminuire il proprio libero arbitrio o ad essere
di ostacolo all’adempimento dei doveri. Il professionista deve,
inoltre, evitare qualsiasi situazione di conflitto di interessi è più in
generale qualsiasi circostanza in cui un terzo possa presumere la
mancanza di indipendenza. In particolare al fine di scongiurare il
rischio di una compromissione dell’indipendenza, il
professionista deve evitare ogni legame di ordine personale,
professionale o economico che possa essere interpretato come
suscettibile di influenzare negativamente la sua integrità o la sua
obiettività.
(5)
Come anche evidenziato dal Codice Deontologico (art. 5) il
professionista ha il dovere e la responsabilità di agire
nell’interesse pubblico, potendo soddisfare le necessità del
proprio cliente solo nel rispetto del suddetto interesse.
(6)
Vd. R. Proietti.- G. Colavitti – S. Comoglio- A. Police “Dottori
commercialisti ed esperti contabili”, Giuffrè, 2009, 232.
Quesito Odcec di Ferrara
Oggetto: PO
334/2012_Deontologia_Recesso_cliente_mandato_professi
onale.
29
Si fa seguito alla richiesta di parere dell’11 ottobre nella
quale l’Ordine chiede di sapere se la clausola inserita da un
iscritto nel mandato professionale che preveda che in caso
di recesso del cliente questi sia tenuto a versare al
professionista una somma corrispondente ad una
semestralità del corrispettivo pattuito sotto forma di
“indennità per la risoluzione del mandato”, sia conforme
alla legge e alle norme deontologiche.
In riferimento alla questione sollevata si precisa quanto
segue.
In tema di contratto di prestazione d’opera intellettuale, il
primo comma dell’art. 2237 cod.civ. prevede che il cliente
possa recedere dal negozio in qualsiasi momento,
rimborsando al prestatore d’opera le spese sostenute e
pagando il compenso per l’opera svolta (c.d. recesso ad
nutum). Il recesso può essere, dunque, effettuato dal
cliente in qualunque momento nel corso dell’esecuzione
del contratto e senza obbligo di indicarne il motivo; in caso
di esercizio di tale diritto, questi è tenuto a corrispondere
al professionista, a titolo di rimborso, unicamente
l’ammontare pari alla somma delle spese sostenute e del
compenso per l’opera svolta fino al momento del recesso.
Tale disposizione deroga al principio generale stabilito
dall’art. 2227 cod.civ. che riconosce al prestatore d’opera
manuale, in caso di recesso del committente, il diritto a
vedersi corrispondere un ammontare pari alle spese,
all’opera eseguita e al mancato guadagno.
Come può osservarsi, dunque, dall’analisi delle due diverse
discipline contrattuali, nel caso di prestazione d’opera
intellettuale il cliente receduto non è tenuto a
corrispondere un compenso al professionista per il
mancato guadagno, evincendosi, dunque, da tale
disciplina, la volontà del Legislatore di sollevarlo sia
dall’onere di provare la sussistenza di una giusta causa sia
da remore di carattere economico. Tale norma si giustifica
alla luce del carattere fiduciario e personale del rapporto
avente ad oggetto una prestazione d’opera intellettuale, in
cui rileva l’intuitus personae e la tutela del contraente più
debole o meno organizzato, ossia il cliente, ed il suo
affidamento al professionista(1). La diversa posizione
sostanziale delle parti si riflette anche nella circostanza
che la tutela di tale affidamento risulta unilaterale,
considerato che al professionista è consentito recedere
solo in presenza di una giusta causa(2). In tal senso,
secondo una parte della dottrina(3) e della
giurisprudenza(4), una diversa volontà o opinione del
cliente stesso sulle conseguenze della propria
30
Cndcec Report
dichiarazione di recesso (considerato elemento essenziale
del contratto di prestazione d’opera intellettuale) anche se
espressa formalmente, rimarrebbe priva di rilevanza.
Secondo tale orientamento, infatti, l’esercizio da parte del
cliente del potere di recesso ad nutum non può essere
fonte di responsabilità né può legittimare la proposizione
da parte del professionista dell’azione di risoluzione del
contratto per inadempimento.
Si osserva altresì che l’art. 20, co. 1, del Codice
Deontologico, conformemente a quanto previsto dall’art.
2237, 1° co., cod.civ., dispone espressamente(5) che il
cliente può sostituire in qualsiasi momento il professionista
scelto.
Ciò premesso, con particolare riferimento alla
configurabilità, in capo al professionista, di un diritto al
risarcimento del danno provocato dal recesso del cliente, si
evidenzia che questo, di norma, non è dovuto(6). Come già
osservato, il Legislatore, differentemente da quanto
previsto per il caso di prestazione d’opera manuale(7), non
ha ritenuto di prendere in considerazione, nel caso di
recesso anticipato del cliente dal contratto di prestazione
di opera intellettuale, il lucro cessante(8).
Occorre, tuttavia, evidenziare che, secondo l’orientamento
più recente(9) della Cassazione, l’art. 2237 cod.civ. non è
una norma inderogabile e pertanto le parti del contratto
d’opera professionale, stabilendo una durata minima del
rapporto, possono escludere la possibilità per il cliente di
recedere dall’incarico senza corrispondere un indennizzo
per mancato guadagno(10). Secondo tale orientamento,
pertanto, una volta esclusa la inderogabilità della regola di
cui all’articolo 2237 cod.civ., l’apposizione di un termine
finale alla prestazione varrebbe necessariamente - salve
particolari fattispecie che in concreto possano presentarsi
e nelle quali si renda possibile desumere
inequivocabilmente una diversa previsione contrattuale quale patto che determina in modo vincolante la durata del
rapporto; per cui, in assenza di pattuizioni diverse o di
giusta causa, nella ipotesi di recesso unilaterale da un
contratto al quale sia stato apposto dalle parti contraenti
un termine finale, si riconoscerebbe il diritto anche del
prestatore d’opera intellettuale a conseguire l’intero
compenso contrattualmente previsto per l’intera durata del
rapporto(11).
Laddove non sia apposto un termine finale dalle parti ma
comunque queste, come nel caso segnalato, prevedano il
risarcimento in caso di recesso del cliente, si evidenzia in
particolare che parte della dottrina ha indicato che tale
risarcimento deve liquidarsi secondo le regole generali(12)
previste dagli artt. 1223 ss. cod.civ.. Tale risarcimento si
concreterebbe nell’importo derivante dalla mancata
percezione da parte del professionista dei compensi
spettanti durante il periodo corrente tra la data
dell’anticipata cessazione del rapporto e quella della
scadenza del contratto, con l’eventuale detrazione
dell’importo dei lucri che egli si sia procurato o avrebbe
potuto procurarsi con l’uso dell’ordinaria diligenza dopo la
cessazione del rapporto(13).
Alla luce di tali indicazioni si ritiene, pertanto, ammissibile,
in deroga alla disciplina generale dell’art. 2237 cod.civ., la
pattuizione tra le parti di un risarcimento per il
professionista in caso di recesso del cliente, da
disciplinarsi conformemente a quanto stabilito dall’art.
1223 cod.civ..
15 gennaio 2013
(1)
Così Lega C., Le libere professioni intellettuali, 1974, pag. 792.
(2)
Vd. art. 2237, 2° co., cod.civ.:
“Il prestatore d’opera può recedere dal contratto per giusta
causa. In tal caso egli ha diritto al rimborso delle spese fatte e
al compenso per l’opera svolta, da determinarsi con riguardo al
risultato utile che ne sia derivato al cliente”.
(3)
Vd. G. Musolino, Il contratto d’opera professionale – artt.
2229-2238, dal Commentario al Codice Civile di P. Schlesinger,
2009, pagg. 533 e 538-9.
(4)
Per quanto riguarda la rilevanza del recesso nell’economia del
contratto di prestazione di opera intellettuale, alla luce del
carattere fiduciario del rapporto cliente-professionista, Pret.
Roma 21 aprile 1977, ha indicato la facoltà di recesso ad nutum
da parte del cliente un elemento essenziale (e,
conseguentemente, inderogabile) del contratto stesso; vd. anche
Cass., sent. n. 5592 del 20 dicembre 1977.
(5)
Art. 20, co. 1, Codice Deontologico:
“1. Il cliente ha il diritto di scegliere il suo professionista e di
sostituirlo in qualsiasi momento.”
(6) Il
citato art. 2237 cod.civ., disciplina specifica del recesso dal
contratto di opera intellettuale, attribuisce, infatti, al cliente il
diritto di recedere unilateralmente dal contratto restando a suo
carico esclusivamente l’obbligo di rimborsare al professionista
l’ammontare delle spese sostenute e il compenso per l’opera
prestata fino al momento del recesso.
(7)
Vd. art. 2227 cod.civ.:
“Il committente può recedere dal contratto, ancorché sia iniziata
l’esecuzione dell’opera, tenendo indenne il prestatore d’opera
delle spese, del lavoro eseguito e del mancato guadagno.”.
Cndcec Report
(8)
Vd. in giurisprudenza: App. Milano, sent. 13 febbraio 1970; vd.
anche Cass. civ., sent. n. 10 del 10 gennaio 1962, secondo cui
l’esercizio del diritto di recesso non è condizionato al pagamento
d’una somma che risarcisca al professionista il rischio di recesso.
Inoltre, come evidenziato da parte della giurisprudenza (Cass.
sent. n. 3707/1989), all’opera intellettuale non sarebbe applicabile
neanche la disposizione di cui all’art. 1725, 1° co., cod.civ., ai
sensi del quale la revoca del mandato oneroso, conferito per un
tempo determinato o per un determinato affare, obbliga il
mandante al risarcimento dei danni qualora venga fatta prima
della scadenza del termine o del compimento dell’affare, salvo
che ricorra una giusta causa.
(9)
Vd. Cass., Sez. Lav., sent. n. 5738 del 6 maggio 2000.
(10)
In particolare la Suprema Corte ha affermato, a seguito di un
mutamento di orientamento intervenuto nella propria
giurisprudenza a partire dalle sentt. n. 7606/1995, n. 9701/1996 e n.
8690/1997, che “la disciplina del recesso del cliente nel contratto
di prestazione d’opera intellettuale non ha carattere
inderogabile - la deroga ben potendo ritenersi necessaria dalle
parti per loro particolari esigenze - e l’apposizione di un
termine a un rapporto di collaborazione professionale
continuativa basta a integrare la deroga contrattuale alla
facoltà di recesso, così come disciplinata dalla legge, senza che
a tale fine sia necessario un patto specifico ed espresso, e
comporta, senza necessità di altro, l’esclusione della facoltà di
recesso ad nutum”.
(11)
In tal senso vd. Cass., sent. n. 1843 del 19 marzo 1980.
(12)
Vd. art. 1223 cod.civ.:
“Il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo
deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il
mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza
immediata e diretta”.
(13)
Vd. Cass., sent. n. 1560 del 13 marzo 1979.
Quesito Odcec di Savona
Oggetto: PO 353/2012_tariffa_liquidazione parcelle a
seguito emanazione DM 20 luglio 2012, n. 140
In relazione al quesito formulato lo scorso 23 ottobre, con
il quale si chiedono chiarimenti in merito alla liquidazione
delle parcelle che si riferiscono a prestazioni ultimate
prima del 23 agosto 2012, si osserva quanto segue.
L’art. 9 del DL 24 gennaio 2012, n. 1 che ha disposto
l’abrogazione delle tariffe professionali ha altresì stabilito
che le tariffe, limitatamente alla liquidazione delle spese
giudiziali, continuino ad applicarsi fino alla data di entrata
in vigore dei decreti ministeriali con cui sono fissati i nuovi
31
parametri e, comunque, non oltre il centoventesimo giorno
dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto.
Orbene l’art. 41 del DM 20 luglio 2012, n. 140 prevede che
le nuove disposizioni in tema di liquidazione dei compensi
sulla base dei parametri debbano trovare applicazione alle
liquidazioni successive alla data di entrata in vigore del
decreto.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n.
17406 del 12 ottobre 2012 hanno evidenziato che “per
ragioni di ordine sistematico e dovendosi dare al citato art.
41 del decreto ministeriale un'interpretazione il più
possibile coerente con i principi generali cui è ispirato
l'ordinamento, la citata disposizione debba essere letta nel
senso che i nuovi parametri siano da applicare ogni qual
volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento
successivo alla data di entrata in vigore del predetto
decreto e si riferisca al compenso spettante ad un
professionista che, a quella data, non abbia ancora
completato la propria prestazione professionale, ancorchè
tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta in
epoca precedente, quando ancora erano in vigore le tariffe
professionali abrogate”.
Ne deriva che le tariffe abrogate possono trovare ancora
applicazione qualora la prestazione professionale si sia
completamente esaurita sotto il vigore delle precedenti
tariffe. Deve invece applicarsi il D.M. n. 140/2012 con
riferimento a prestazioni professionali, iniziate prima, ma
ancora in corso alla data di entrata in vigore del suddetto
decreto (23 agosto 2012).
Alla luce di quanto sopra esposto occorre considerare se
siano ancora valide le indicazioni fornite con l’informativa
del Consiglio Nazionale n. 21/2012.
Nell’informativa si evidenziava che i Consigli degli Ordini
potessero continuare a liquidare le parcelle relative ad
a)
incarichi conclusi prima dell’entrata in vigore del
decreto “liberalizzazioni” (24 gennaio 2012);
b)
incarichi assunti dai professionisti prima
dell’entrata in vigore del decreto “liberalizzazioni” (24
gennaio 2012).
Le indicazioni fornite rimangono certamente attuali per il
caso sub a). Alcune precisazioni, invece, devono essere
poste in relazione al caso sub b). Alla luce della sentenza
delle Sezioni unite della Cassazione, infatti, la tariffa si
applicherà per la liquidazione giudiziale dei compensi solo
nei casi in cui la prestazione si sia conclusa prima
dell’entrata in vigore del DM 140/2012 (23 agosto 2012,
32
Cndcec Report
giorno successivo alla data di pubblicazione nella G. U.),
qualora invece la prestazione si sia conclusa a decorrere
dal 23 agosto 2012 si applicheranno i parametri di cui al
DM 140/2012, senza la necessità di richiedere alcun parere
di liquidazione all’Ordine.
Più problematica appare la situazione relativa agli incarichi
assunti successivamente al 24 gennaio 2012 per i quali le
parti non abbiano concordato il compenso. L’articolo 9 del
decreto liberalizzazione non prevede che la mancata
pattuizione del compenso al momento del conferimento
dell’incarico, ovvero la mancata formulazione del
preventivo, configuri un’ipotesi di nullità del contratto.
Pertanto, ogni qualvolta il compenso non sia stabilito fra le
parti, il professionista potrà ricorrere al giudice per la
liquidazione del compenso ai sensi dell’art. 2233 cod. civ .
Considerato che l’art. 2233 cod. civ. non ha subito alcuna
modifica, come evidenziato nell’informativa 21/2012, si
ritiene che ai Consigli degli Ordini spetti ancora il compito
di rilasciare il parere in base al quale il giudice è chiamato a
determinare il compenso. Tale compito spetterà certamente
fino a quando le tariffe professionali continueranno a
costituire la base di riferimento per le liquidazioni giudiziali
(come evidenziato dalla sentenza delle Sezioni Unite della
Cassazione, per la determinazione dei compensi spettanti
per le prestazioni concluse entro il 23 agosto 2012).
30 novembre 2012
Quesito Odcec di Livorno
Quesito Odcec di Ancona
Quesito Odcec di Reggio Emilia
Oggetto: PO 355/2012_Tirocinio
In relazione al quesito formulato in data 30 ottobre 2012 con
il quale si chiede se per i tirocini iniziati (o conclusi)
anteriormente al giorno successivo all’entrata in vigore del
D.P.R. 137/2012 (ossia dal 16 agosto 2012) si applica la norma
del D.P.R. citato che prevede che il tirocinio perde efficacia
trascorsi cinque anni dal suo compimento senza che venga
superato l’esame di Stato, si osserva quanto segue.
Il D.P.R. 7 agosto 2012 n. 137 per espressa previsione
normativa (art. 6, comma 14 D.P.R. cit.) si applica ai
tirocini iniziati dal giorno successivo alla sua entrata in
vigore, vale a dire dal 16 agosto 2012 (data di
presentazione della domanda). Per i tirocini iniziati
anteriormente al 16 agosto, dunque, si applicano in toto le
regole del D.M. 7 agosto 2009, n. 143. Ne consegue che il
tirocinio non è soggetto a scadenza per coloro che lo
hanno iniziato anteriormente al 16 agosto 2012.
23 novembre 2012
Oggetto: PO
274/2012_Acquisti_delle_Pubbliche_Amministrazioni.
Si fa seguito alla richiesta di parere del 25 settembre nella
quale l’Ordine chiede di sapere se gli Ordini territoriali, in
considerazione di quanto disposto dall’art. 1, co. 7, del D.l.
n. 95/2012, in quanto amministrazioni pubbliche, siano o
meno tenuti:
ad approvvigionarsi di beni e di servizi attraverso gli
strumenti di acquisto e negoziazione messi a
disposizione da Consip S.p.a. e dalle centrali di
committenza regionali di riferimento costituite ai sensi
della L n. 296/2006 relativamente alla fornitura di
energia elettrica, gas, carburanti, telefonia, come
previsto dall’art. 7 del D.l. n. 95/2012;
a utilizzare, per le ulteriori categorie merceologiche, le
convenzioni per l’acquisto di beni ovvero debbano
utilizzare i parametri di prezzo-qualità come limiti
massimi per la stipulazione di contratti come previsto
Oggetto: PO 325/2012_Formazione professionale
continua
Facendo seguito al Vs. quesito del 12 ottobre u.s., nel quale
si chiede se alla luce della riforma prevista dal DPR 7
agosto 2012, n. 137, quanto regolamentato autonomamente
dall’Ordine in materia di esonero dallo svolgimento della
formazione professionale continua sia da considerarsi
attualmente in vigore, si osserva quanto segue.
La riforma degli Ordinamenti professionali attribuisce al
Consiglio Nazionale la disciplina della formazione
professionale continua. Ai sensi dell’art. 7, co. 3, lettera a),
questo Consiglio, entro il 15 agosto 2013 (un anno
dall’entrata in vigore del decreto), previo parere favorevole
del Ministro della Giustizia, dovrà emanare un regolamento
in materia con cui disciplinare anche le modalità e le
condizioni per l’assolvimento dell’obbligo di
aggiornamento da parte degli iscritti e pertanto anche le
eventuali ipotesi di esonero dallo svolgimento della
formazione obbligatoria.
Sino all’entrata in vigore della nuova normativa restano
quindi efficaci le previsioni di cui al regolamento per la fpc
adottato dall’Ordine in virtù della potestà regolamentare
prevista dall’articolo 12, comma 1, lettera r) del D. Lgs. 28
giugno 2005, n. 139.
31 ottobre 2012
Cndcec Report
dall’art. 1 co. 449, della L. n. 296/2006.
In riferimento alla questione sollevata si precisa quanto
segue.
L’art. 1, co. 7, del Decreto Legge n. 95 del 6 luglio 2012 (cd.
decreto spending review) stabilisce(1) che le
amministrazioni pubbliche e le società inserite nel conto
economico consolidato della pubblica amministrazione
individuate dall’ISTAT(2), devono fare ricorso alle
convenzioni Consip o a quelle delle centrali regionali per
l’acquisto di una serie di beni e servizi a consumo intensivo
(energia elettrica, gas, telefonia fissa e mobile, etc.) ovvero
esperire proprie autonome procedure nel rispetto della
normativa vigente, utilizzando i sistemi telematici di
negoziazione sul mercato elettronico e sul sistema
dinamico di acquisizione messi a disposizione dai soggetti
sopra indicati. In riferimento a tale recente disposizione si
deve osservare che la norma, volta al contenimento della
spesa pubblica, trova applicazione esclusivamente nei
confronti delle pubbliche amministrazioni e delle società a
partecipazione pubblica incluse nel citato elenco ISTAT,
considerato che si tratta di amministrazioni che
beneficiano dei contributi economici dello Stato.
Risultano, dunque, esclusi dall’ambito soggettivo di
applicazione della norma gli Ordini territoriali per i quali
continua a trovare applicazione la norma di cui all’art. 1,
co. 449, della Legge n. 296 del 27 dicembre 2006(3).
23 ottobre 2012
33
negoziazione sul mercato elettronico e sul sistema dinamico di
acquisizione messi a disposizione dai soggetti sopra indicati.
La presente disposizione non si applica alle procedure di gara
il cui bando sia stato pubblicato precedentemente alla data di
entrata in vigore del presente decreto. È fatta salva la
possibilità di procedere ad affidamenti, nelle indicate categorie
merceologiche, anche al di fuori delle predette modalità, a
condizione che gli stessi conseguano ad approvvigionamenti da
altre centrali di committenza o a procedure di evidenza
pubblica, e prevedano corrispettivi inferiori a quelli indicati
nelle convenzioni e accordi quadro messi a disposizione da
Consip S.p.A. e dalle centrali di committenza regionali. In tali
casi i contratti dovranno comunque essere sottoposti a
condizione risolutiva con possibilità per il contraente di
adeguamento ai predetti corrispettivi nel caso di intervenuta
disponibilità di convenzioni Consip e delle centrali di
committenza regionali che prevedano condizioni di maggior
vantaggio economico. La mancata osservanza delle
disposizioni del presente comma rileva ai fini della
responsabilità disciplinare e per danno erariale.”
(2)
L’elenco aggiornato delle amministrazioni pubbliche
inserite nel conto economico consolidato, predisposto ai
sensi dell’articolo 1, co. 3, della Legge n. 196 del 31
dicembre 2009 (Legge di contabilità e di finanza pubblica)
è stato pubblicato in G.U. n. 227 del 28 settembre 2012). Gli
Ordini professionali non sono inclusi nell’elenco.
(3)
Vd. art. 1, co. 449, della L. n. 296/2006:
“449. Nel rispetto del sistema delle convenzioni di cui agli articoli
(1)
Vd. art. 1, co. 7, D.l. n. 95/2012:
26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e successive
“Fermo restando quanto previsto all’articolo 1, commi 449 e
modificazioni, e 58 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, tutte le
450, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e all’articolo 2,
amministrazioni statali centrali e periferiche, ad esclusione degli
comma 574, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, quale misura
istituti e scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni educative
di coordinamento della finanza pubblica, le amministrazioni
e delle istituzioni universitarie, sono tenute ad approvvigionarsi
pubbliche e le società inserite nel conto economico consolidato
utilizzando le convenzioni-quadro. Le restanti amministrazioni
della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto
pubbliche di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 30 marzo
nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’articolo 1 della
2001, n. 165, e successive modificazioni, possono ricorrere alle
legge 31 dicembre 2009, n. 196, a totale partecipazione
convenzioni di cui al presente comma e al comma 456 del
pubblica diretta o indiretta, relativamente alle seguenti
presente articolo, ovvero ne utilizzano i parametri di prezzo-
categorie merceologiche: energia elettrica, gas, carburanti rete e
qualità come limiti massimi per la stipulazione dei contratti. Gli
carburanti extra-rete, combustibili per riscaldamento, telefonia
enti del Servizio sanitario nazionale sono in ogni caso tenuti ad
fissa e telefonia mobile, sono tenute ad approvvigionarsi
approvvigionarsi utilizzando le convenzioni stipulate dalle
attraverso le convenzioni o gli accordi quadro messi a
centrali regionali di riferimento ovvero, qualora non siano
disposizione da Consip S.p.A. e dalle centrali di committenza
operative convenzioni regionali, le convenzioni-quadro stipulate
regionali di riferimento costituite ai sensi dell’articolo 1,
da Consip S.p.A”.
comma 455, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, ovvero ad
esperire proprie autonome procedure nel rispetto della
normativa vigente, utilizzando i sistemi telematici di
34
Cndcec Report
Quesito Odcec di Torino
Oggetto: PO 154/2012_Albo
Con il quesito formulato in data 14 giugno 2012, si
domanda quali provvedimenti debbano essere adottati nei
confronti degli iscritti che risultino irreperibili all’indirizzo
di residenza noto alla segreteria dell’Ordine e confermato
mediante accertamento presso l’Ufficio anagrafe del
Comune. A tal proposito viene precisato che le
raccomandate a.r. risultano in alcuni casi rese al mittente
per compiuta giacenza mentre in altri ritirate ma prive di
seguito.
L’accertata e documentata irreperibilità dell’iscritto
comporterebbe come conseguenza la necessità di apertura
di un procedimento di cancellazione d’ufficio per perdita
del requisito della residenza.
Ciò detto, non si ritiene che nei casi descritti da codesto
Ordine possa parlarsi di irreperibilità.
Non può, infatti, considerarsi “irreperibile” un soggetto che
abbia ritirato la raccomandata ma non abbia dato seguito
alle richieste in essa contenute. In questo caso il soggetto è
venuto a conoscenza del contenuto delle richieste avanzate
dall’Ordine e ha deciso di non darvi seguito. Tale
comportamento può essere valutato dall’Ordine che,
esaminato ciascun caso concreto, potrà decidere in piena
autonomia se aprire o meno un procedimento disciplinare.
Anche nel secondo caso (raccomandate rese al mittente
per compiuta giacenza) il soggetto non può considerarsi
irreperibile, in quanto l’indirizzo di residenza è stato
confermato mediante accertamento presso l’Ufficio
anagrafe del Comune. Ciò nondimeno, anche in questa
ipotesi, se comunque è trascorso un considerevole lasso di
tempo senza che l’Ordine abbia potuto contattare l’iscritto,
quest’ultimo in piena autonomia potrà valutare se aprire
nei confronti dell’iscritto stesso un procedimento
disciplinare qualora dovesse ritenere che la mancata
comunicazione della variazione dei propri recapiti sia
comportamento contrario a correttezza. A tal proposito, si
ricorda che la legge 25 aprile 1938, n. 897 (“Norme sulla
obbligatorietà dell’iscrizione negli albi professionali e
sulle funzioni relative alla custodia degli albi”),
attualmente in vigore, prevede all’articolo 2, che coloro
che iscritti nell’albo non siano di specchiata condotta
“debbono esserne cancellati, osservate per la
cancellazione le norme stabilite per i provvedimenti
disciplinari”.
L’apertura dell’eventuale procedimento disciplinare dovrà
essere comunicata all’indirizzo noto all’Ordine.
In merito a ciò - ed in via generale - si precisa che qualora
il destinatario delle comunicazioni previste dal
regolamento disciplinare non provveda al ritiro delle
relative raccomandate, può trovare applicazione la legge
20 novembre 1982, n. 890 che disciplina le notificazioni di
atti e comunicazioni a mezzo posta connesse con la
notificazione di atti giudiziari. Ai sensi dell’articolo 8,
comma 4, della suddetta legge “la notificazione si ha per
eseguita decorsi dieci giorni dalla data di spedizione
della lettera raccomandata di cui al secondo comma
ovvero dalla data di ritiro del piego se anteriore”. La
lettera raccomandata di cui al secondo comma è la
raccomandata a.r. con la quale l’agente postale dà notizia
al destinatario del tentativo di notifica del piego e del suo
deposito presso l’ufficio postale, corredando l’avviso di
tutte le indicazioni previste dallo stesso comma 2
dell’articolo 8, con espresso invito a provvedere al
ricevimento del piego mediante ritiro dello stesso entro il
termine massimo di sei mesi assieme all’avvertimento che
la notificazione si ha comunque per eseguita trascorsi 10
giorni dalla data del deposito e che – decorso inutilmente
anche il predetto termine di sei mesi – l’atto sarà restituito
al mittente(1) .
5 ottobre 2012
(1) Per
completezza, l’articolo 8 della legge citata prevede che nel
caso in cui l’agente postale non possa recapitare il piego per
temporanea assenza del destinatario o per mancanza, inidoneità
o assenza delle persone abilitate a riceverlo, il piego è depositato
presso l’ufficio postale preposto alla consegna. Eseguito il
deposito, l’agente postale provvede ad inviare al destinatario,
con raccomandata a.r., l’avviso sopra indicato.
Quesito Odcec di Padova
Oggetto: PO 134/2012 - vigilanza del collegio sindacale
in ordine al bilancio consolidato e relazione del collegio
sindacale
Il quesito sottoposto al Consiglio Nazionale si riferisce al
caso di una società per azioni che redige il bilancio
consolidato e nella quale il collegio sindacale svolge
esclusivamente l’attività di vigilanza ex 2403 c.c., mentre
l’attività di revisione legale dei conti è affidata al revisore
legale dei conti.
Considerato che il collegio sindacale intende esprimere
proprie osservazioni in ordine al bilancio consolidato, nel
quesito si chiede se sia possibile inserire dette
Cndcec Report
osservazioni nella relazione del collegio sindacale sul
bilancio ordinario ovvero se esse debbano essere
contenute in una separata relazione sul bilancio
consolidato.
Il quesito proposto impone di soffermarsi preliminarmente
sulle disposizioni applicabili in tema di controllo sul
bilancio consolidato.
L’art. 41, co. 1, D.Lgs. n. 127/1991 dispone che «il bilancio
consolidato è assoggettato alla revisione legale dei conti».
La citata norma stabilisce, altresì, che detta attività di
revisione è effettuata dal soggetto incaricato della
revisione legale del bilancio d’esercizio della società che
redige il bilancio consolidato (art. 41, co. 2, D.Lgs. n.
127/1991).
Come si evince dal combinato disposto dell’art. 41 D.Lgs.
n. 127/1991 e dell’art. 14 del D.Lgs. n. 39/2010, il revisore
legale dei conti (o la società di revisione) della società che
redige il bilancio consolidato è tenuto a predisporre, oltre
alla relazione di revisione sul bilancio d’esercizio,
un’apposita relazione di revisione sul bilancio consolidato.
Nulla dispone, dunque, il citato decreto in merito a compiti
e funzioni del collegio sindacale di società obbligate a
redigere il bilancio consolidato.
Sul punto, le Norme di comportamento del collegio
sindacale, emanate dal Consiglio Nazionale, contengono
una specifica disposizione (Norma 3.8.) destinata a
chiarire in che modo l’obbligo di redazione del bilancio
consolidato incida sull’attività di vigilanza svolta dal
collegio sindacale.
In analogia a quanto previsto con riferimento al bilancio
d’esercizio, la Norma 3.8 stabilisce che, nel caso in cui la
società rediga il bilancio consolidato, il collegio sindacale
vigila sull’osservanza da parte degli amministratori delle
disposizioni relative al procedimento di redazione e di
pubblicazione del bilancio consolidato. Tale attività di
vigilanza si intende, infatti, ricompresa nell’alveo del più
generale dovere di vigilare sull’osservanza della legge e sul
rispetto dei principi di corretta amministrazione affidato
ex art. 2403 c.c. all’organo di controllo interno.
Con riferimento al quesito proposto, la Norma 3.8.
chiarisce inoltre che «in capo al collegio sindacale non
incaricato della revisione legale dei conti non è previsto
alcun obbligo di relazione né di formali espressioni di
giudizio, che sono invece richiesti al revisore legale».
Ciò non esclude che nell’ambito della sua attività di
vigilanza ex art. 2403 c.c. «il collegio sindacale può
esprimere (…) proprie osservazioni e proposte sul bilancio
35
consolidato», anche discordi rispetto a quelle formulate
dal revisore legale dei conti Si tratta, dunque, di una
facoltà riconosciuta al collegio sindacale in funzione
dell’adempimento dei propri doveri di vigilanza (cfr. criteri
applicativi e commento della Norma 3.8).
Quanto alla sede nella quale formulare dette osservazioni e
proposte, la Norma di comportamento stabilisce, da un
lato, che le stesse possono essere espresse «in ambito
assembleare o in altro ambito» e, dall’altro, che le
conclusioni dell’attività di vigilanza in ordine al bilancio
consolidato sono riassunte in un apposito paragrafo della
relazione da proporre all’assemblea in occasione
dell’approvazione del bilancio di esercizio (cfr. criteri
applicativi e commento della Norma 3.8).
In ossequio al principio discrezionalità tecnica che connota
lo svolgimento dell’attività di vigilanza, la Norma dunque
non delimita in maniera tassativa le modalità di
esternazione delle osservazioni e delle proposte in ordine
al bilancio consolidato, ma lascia al giudizio professionale
dei sindaci la scelta di individuare le sedi nelle quali sia
opportuno esprimere le proprie valutazioni.
Deve ritenersi tuttavia che il riferimento agli “altri ambiti”
contenuto nella citata Norma di comportamento sia da
intendersi limitato alle “sedi” espressamente previste dalla
legge. Si pensi ad esempio alla possibilità che il collegio
sindacale rilevi delle criticità e esprima – nell’ottica di un
controllo proattivo e preventivo – le proprie osservazioni e
proposte nel corso delle partecipazioni alle riunioni del
consiglio di amministrazione o del comitato esecutivo
oppure in occasione dello scambio di informazioni con gli
amministratori o con il revisore legale dei conti.
Resta inteso che, in base a quanto previsto dall’art. 2429,
co. 2, c.c., il collegio sindacale ha l’obbligo di redigere la
relazione sul bilancio d’esercizio nella quale riferisce
all’assemblea dei soci in merito ai risultati dell’esercizio
sociale e all’attività di vigilanza svolta nell’adempimento
dei propri doveri.
Con riferimento al contenuto di detta relazione, la Norma
di comportamento 7.1. stabilisce che la relazione sul
bilancio d’esercizio include, tra l’altro, le valutazioni del
collegio sindacale in ordine al bilancio consolidato e alla
relazione consolidata di gestione.
Alla luce del quadro normativo delineato deve, pertanto,
ritenersi che le osservazioni del collegio sindacale in
ordine al bilancio consolidato possono essere inserite nella
relazione del collegio sindacale sul bilancio d’esercizio di
cui all’art. 2429 c.c.
36
Cndcec Report
Si ritiene, altresì, che la redazione di una relazione sul
bilancio consolidato non rientri nell’area del
“comportamento dovuto” del collegio sindacale, che svolge
esclusivamente la vigilanza ex art. 2403 c.c., dal momento
che non è configurabile alcun obbligo giuridico in tal
senso.
Nella prassi si registrano, tuttavia, alcuni casi - anche
relativi a società quotate - nei quali il bilancio consolidato è
accompagnato anche dalla “relazione del collegio
sindacale sul bilancio consolidato”. Questa relazione, che
si potrebbe definire “atipica”, in quanto - come già
evidenziato - non espressamente prevista dalla legge,
sembrerebbe rispondere all’esigenza di fornire
un’informativa specifica in ordine all’attività di vigilanza
svolta con riferimento al bilancio consolidato e, al
contempo, distinta rispetto a quella riguardante il bilancio
d’esercizio.
5 ottobre 2012
Quesito Odcec di Tivoli
Inviato a mezzo e-mail
Oggetto: PO 255/2012_Indice telematico Pubbliche
Amministrazioni_Invio domanda di concorso tramite
PEC
Con il quesito pervenuto in data 12 settembre 2012 l’Ordine
di Tivoli chiede un parere in merito all’obbligatorietà di
iscrizione all’Indice delle Pubbliche Amministrazioni (IPA).
La domanda assume un valore rilevante in relazione alla
valutazione della posizione di un potenziale candidato al
pubblico concorso bandito dall’amministrazione. Nella
fattispecie, l’interessato avrebbe tentato di inviare la
domanda attraverso il proprio indirizzo con dominio
“postacertificata.gov.it”, ma il tentativo non sarebbe andato
a buon fine a causa della mancata registrazione della PEC
dell’Ordine presso l’IPA.
Non vi sono dubbi in merito all’obbligatorietà
dell’iscrizione in questione: l’Ordine, essendo ricompreso
nella nozione di pubblica amministrazione di cui all’art. 1,
comma 2 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, è tenuto a
possedere un indirizzo di Posta Elettronica Certificata
(PEC) e a pubblicizzarlo nei modi prescritti dalla
normativa vigente in materia, vale a dire presso l’indice
delle Pubbliche Amministrazioni oltre che sul proprio sito
istituzionale. Le norme di riferimento sono varie e di
diverso tenore.
L’obbligo di registrazione in un indice nazionale è stato a
suo tempo introdotto dalla normativa in materia di
adozione del protocollo informatico (dPCM 31 ottobre
2000, artt. 11 e 12) in relazione a ciascun registro di
protocollo delle pubbliche amministrazioni ed era
originariamente rivolto a “ciascuna pubblica
amministrazione che intenda trasmettere documenti
informatici soggetti alla registrazione di protocollo” con
la finalità di “facilitare la trasmissione dei documenti
informatici tra le amministrazioni”.
La stessa prescrizione è stata successivamente riproposta
nelle Direttiva del Ministro per l’innovazione e le
tecnologie del 27 novembre 2003 “Direttiva per l’utilizzo
della posta elettronica nelle pubbliche amministrazioni” e
nella successiva Direttiva del 18 novembre 2005 “Linee
guida per la Pubblica amministrazione digitale”, che
prevedeva l’inserimento e l’aggiornamento dei recapiti
telematici delle amministrazioni, oltre che sul sito
istituzionale, anche nell’indice gestito attraverso il portale
www.indicepa.gov.it.
L’obbligo è stato, poi, definitivamente fissato nell’art. 47,
comma 3 del d.gs. 7 marzo 2005, n. 82, Codice
dell’Amministrazione Digitale (CAD), con una modifica
introdotta dall’art. 32, d.lgs. 30 dicembre 2010 n. 235 che
dispone: “Le pubbliche amministrazioni e gli altri
soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, provvedono ad
istituire e pubblicare nell’Indice PA almeno una casella
di posta elettronica certificata per ciascun registro di
protocollo”. In corrispondenza, l’art. 57 bis del CAD ha
previsto l’onere di comunicare e aggiornare con cadenza
semestrale l’Indice degli indirizzi delle P.A., nel quale sono
indicati “gli indirizzi di posta elettronica da utilizzare per
le comunicazioni e per lo scambio di informazioni e per
l’invio di documenti a tutti gli effetti di legge fra le
amministrazioni e fra le amministrazioni ed i cittadini”.
Inoltre, l’art. 16, comma 8 della L. 2 gennaio 2009, n. 2 ha
previsto espressamente - per le pubbliche amministrazioni
non ancora in regola con gli obblighi di adeguamento l’obbligo di istituire almeno una casella di PEC e di darne
comunicazione al Centro nazionale per l’informatica nella
pubblica amministrazione, per la pubblicazione degli
indirizzi in un elenco consultabile per via telematica. Si
rileva, in proposito, la mancanza di un corrispondente
impianto sanzionatorio posto a garanzia dell’effettivo
assolvimento degli obblighi, fatta eccezione per la
responsabilità dirigenziale prevista dalla normativa sulla
valutazione della performance nel pubblico impiego (d.lgs.
Cndcec Report
27 ottobre 2009, n. 150).
Una volta individuate le disposizioni che confermano
l’obbligatorietà di iscrizione all’IPA, si ritiene opportuno,
per ragioni di completezza, operarne l’inquadramento nel
contesto più ampio delle normativa che prevede l’utilizzo e
la diffusione della PEC nell’ambito delle comunicazioni tra
amministrazioni pubbliche e tra queste e il cittadino.
Sotto questo profilo rilevano principalmente alcune norme
contenute nel CAD. In particolare, il Codice prevede per
tutte le amministrazioni pubbliche: il riconoscimento del
diritto all’uso delle tecnologie telematiche nelle
comunicazioni a favore dei cittadini e delle imprese (art.
3); l’obbligo di dotarsi di PEC e di utilizzarla in
sostituzione della raccomandata a/r non solo nelle
comunicazioni tra P.A. ma anche con tutti i privati che lo
richiedono (art. 6); la necessità di indicare all’interno del
sito web, oltre all’elenco completo delle caselle di posta
elettronica istituzionali attive, anche un indirizzo
istituzionale di posta elettronica certificata a cui il
cittadino possa rivolgersi per qualsiasi richiesta effettuata
ai sensi del codice (art. 54).
Considerato, inoltre, che la domanda di partecipazione in
questione è stata spedita dal dominio
“@postacertificata.gov.it”, si richiamano anche le norme
sul rilascio della cosiddetta CEC-PAC (Comunicazione
Elettronica Certificata tra Pubblica Amministrazione e
Cittadino). La normativa in questione, in estrema sintesi,
prevede l’attribuzione di una casella di PEC (o analoga) al
cittadino che ne faccia richiesta, e disciplina a livello
regolamentare il rilascio e l’utilizzo esclusivo nei confronti
degli uffici di P.A.. (art. 16-bis, comma 6 D.L. 29 novembre
2008, n. 185 e D.P.C.M. 6 maggio 2009).
Con particolare riguardo alle istanze dei cittadini inviate
tramite PEC, l’art. 4, comma 4 del DPCM chiarisce che “Le
pubbliche amministrazioni accettano le istanze dei
cittadini inviate tramite PEC nel rispetto dell’art. 65,
comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 82 del 2005.
L’invio tramite PEC costituisce sottoscrizione elettronica
ai sensi dell’art. 21, comma 1, del decreto legislativo n.
82 del 2005; le pubbliche amministrazioni richiedono la
sottoscrizione mediante firma digitale ai sensi dell’art.
65, comma 2, del citato decreto legislativo”.
Infine, si ricorda che la Presidenza del Consiglio dei
Ministri Dipartimento della Funzione Pubblica è
intervenuta in materia con la Circolare n. 12 del 3
settembre 2010 “Procedure concorsuali e
informatizzazione, modalità di presentazione della
37
domanda di ammissione ai concorsi pubblici indetti dalle
amministrazioni e chiarimenti interpretativi sull’uso della
PEC”, proprio al fine di confermare la legittimità delle
domande di concorso inviate alle pubbliche
amministrazioni tramite Pec e di chiarire alcuni dubbi
giuridici correlati.
Tutto ciò posto solo per confermare l’esistenza di un
sistema di norme volte a prevedere l’obbligo di dotarsi di
PEC, di pubblicizzarla ai sensi di legge e di utilizzarla nei
rapporti con il cittadino, anche in ambito di concorso
pubblico.
Resta sicuramente fuori dalla disamina effettuata ogni altra
questione giuridica collegata alla fattispecie, relativa ad
aspetti ulteriori rispetto al quesito posto (quali la
legittimità e l’esistenza stessa dell’invio a destinatario
errato o inesistente, gli eventuali profili di annullabilità del
bando, le possibili soluzioni amministrative).
1° ottobre 2012
Quesito Odcec di Pordenone
Oggetto: PO 223/2012_Art.
4_D.lgs._139/2005_Incompatibilità_Ricercatore_universi
tari.
Si fa seguito alla richiesta di parere del 31 agosto nella
quale l’Ordine chiede di sapere se versi in una situazione di
incompatibilità con l’esercizio della professione l’iscritto
all’albo che sia ricercatore universitario a tempo pieno
dall’anno accademico 1999-2000 e, dal 2004, professore
associato a tempo pieno, possa rimanere iscritto nella
sezione Ordinaria dell’Albo qualora l’Università abbia
autorizzato a svolgere le singole specifiche attività di
consulenza.
In riferimento alla questione sollevata si precisa quanto
segue.
Si osserva preliminarmente che il Decreto legislativo n. 139
del 28 giugno 2005, non stabilisce alcuna incompatibilità
tra l’esercizio della professione e l’assunzione di incarichi
di ricercatore universitario, facendo, tuttavia, divieto di
esercitare l’attività professionale ai soggetti ai quali,
secondo gli ordinamenti loro applicabili, è vietato
l’esercizio della libera professione(1).
È questo il caso dei dipendenti delle pubbliche
amministrazioni per i quali l’art. 53, co. 1, del decreto
legislativo n. 165 del 30 marzo 2001, richiamando quanto
disposto dall’art. 60 del D.P.R. n. 3 del 10 gennaio 1957,
38
Cndcec Report
sancisce, in via generale, il divieto di cumulo con l’esercizio
di attività professionale(2). Tale limitazione ha subìto,
tuttavia, una deroga nel caso di dipendenti pubblici con
rapporto di lavoro a tempo parziale(3). L’art. 1, comma 56 e
56-bis, della legge n. 662 del 23 dicembre 1996, infatti, a
seguito della pronuncia della Corte costituzionale n.
189/2001, rimodulando il sistema delle incompatibilità, ha
stabilito la compatibilità dell’iscrizione in un albo
professionale con lo status di dipendente pubblico in
regime di part-time. Ciò detto, si evidenzia ancora che, con
specifico riferimento all’ufficio di ricercatore universitario,
sono previsti regimi di incompatibilità differenziati a
seconda che il ricercatore abbia conseguito o meno la
conferma e che abbia conseguentemente optato per il
regime a tempo pieno ovvero a tempo definito. In
particolare, l’art. 1, co. 3, del Decreto legge n. 57 del 2
marzo 1987 (convertito in legge con modificazioni dalla
Legge n. 158 del 22 aprile 1987) prevede, in via generale,
che il ricercatore non confermato non possa svolgere
attività libero professionali connesse alla iscrizione ad albi
professionali, esterne alle attività proprie o convenzionate
della struttura di appartenenza. Per i ricercatori
confermati, invece, la disciplina delle incompatibilità muta
a seconda che questi abbiano optato o meno per il regime a
tempo pieno o per il regime a tempo definito. Infatti, ai
sensi del successivo co. 5-bis, del citato art. 1, solo i
ricercatori confermati in regime a tempo definito possono
svolgere attività professionali. Analogamente, per quanto
riguarda l’ufficio di docente universitario, l’art. 11 del
Decreto del Presidente della Repubblica n. 382 del 1980 ha
previsto un regime di incompatibilità con l’esercizio
dell’attività professionale laddove tale ufficio sia svolto in
regime di tempo pieno(4). A conferma di tale
interpretazione del combinato disposto dagli co. 3 e 5 bis
dell’art. 1 del D.l. n. 57/1987, si segnala che le Sezioni Unite
della Cassazione Civile, con sentenza n. 389 dell’11 gennaio
2011, hanno affermato che per i ricercatori confermati e
per i professori universitari, l’incompatibilità allo
svolgimento di attività libero-professionali deve ritenersi
esclusa “solo in caso di opzione per il tempo definito,
mentre sussiste in caso di opzione per il tempo pieno”(5).
Ciò detto, l’art. 6, del Legge n. 240 del 30 dicembre 2010, nel
confermare l’incompatibilità tra l’ufficio di ricercatore
universitario in regime a tempo pieno e lo svolgimento di
attività libero-professionali(6), contiene, peraltro, una
norma di liberalizzazione degli incarichi esterni
consentendo(7) in particolare:
lo svolgimento, senza autorizzazione, di una serie di
attività oltre i limiti previsti dall’art. 53, co. 6, del D.lgs.
n. 165/2001, quali attività di valutazione e di referaggio,
lezioni e seminari di carattere occasionale, attività di
collaborazione scientifica e di consulenza, attività di
comunicazione e divulgazione scientifica e culturale,
nonché attività pubblicistiche ed editoriali;
lo svolgimento, previa autorizzazione del Rettore, di
funzioni didattiche e di ricerca, nonché di compiti
istituzionali e gestionali senza vincolo di
subordinazione presso enti pubblici e privati senza
scopo di lucro, purché non si determinino situazioni di
conflitto di interesse con l’università di appartenenza, a
condizione comunque che l’attività non rappresenti
detrimento delle attività didattiche, scientifiche e
gestionali loro affidate dall’università di appartenenza.
Come può osservarsi, dunque, nel caso di ufficio di
ricercatore ovvero di docente universitario a tempo pieno
possono essere autorizzate esclusivamente singole e
specifiche attività di consulenza esterna, rimanendo in ogni
caso precluso l’esercizio di attività libero-professionale.
Tale divieto è stato, peraltro recentemente ribadito anche
dal giudice amministrativo(8).
Alla luce di tali indicazioni si ritiene, pertanto, che, nel
caso prospettato, l’iscritto, professore associato a tempo
pieno, non possa rimanere iscritto nell’Albo.
1° ottobre 2012
(1)
Vd. art. 4, co. 3, D.lgs. n. 139 del 28 giugno 2005:
“L’iscrizione nell’Albo non è consentita a tutti i soggetti ai
quali, secondo gli ordinamenti loro applicabili, è vietato
l’esercizio della libera professione”.
(2)
Art. 53, co. 1, D.lgs. 30 marzo 2001 n. 165:
“1. Resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle
incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico
approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10
gennaio 1957, n. 3, salva la deroga prevista dall’articolo 23-bis del
presente decreto, nonché, per i rapporti di lavoro a tempo
parziale, dall’articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri 17 marzo 1989, n. 117 e dall’articolo 1,
commi 57 e seguenti della legge 23 dicembre 1996, n. 662.
Restano ferme altresì le disposizioni di cui agli articoli 267,
comma 1, 273, 274, 508 nonché 676 del decreto legislativo 16
aprile 1994, n. 297, all’articolo 9, commi 1 e 2, della legge 23
dicembre 1992, n. 498, all’articolo 4, comma 7, della legge 30
dicembre 1991, n. 412, ed ogni altra successiva modificazione ed
integrazione della relativa disciplina”.
Cndcec Report
39
Vd. anche l’art. 60 del Decreto del Presidente della Repubblica n.
l’incompatibilità con l’esercizio di attività libero - professionali.
3 del 10 gennaio 1957:
Deve pertanto ritenersi che anche per i ricercatori confermati,
“L’impiegato non può esercitare il commercio, l’industria, né
come per i professori universitari, l’incompatibilità allo
alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di
svolgimento di attività libero - professionali sia esclusa solo in
privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro,
caso di opzione per il tempo definito, mentre sussiste in caso di
tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la
opzione per il tempo pieno.»
nomina è riservata allo Stato e sia all’uopo intervenuta
(6)
Vd. art. 6, co. 9, della L. n. 240/2010.
l’autorizzazione del Ministro competente”.
(7)
Vd. art. 6, co. 10, l. cit.:
(3) L’art.
“10. I professori e i ricercatori a tempo pieno, fatto salvo il
1, co. 56, della legge 23 dicembre 1996 n. 662 dispone che
“le disposizioni di legge e di regolamento che vietano
rispetto dei loro obblighi istituzionali, possono svolgere
l’iscrizione in albi professionali non si applicano ai
liberamente, anche con retribuzione, attività di valutazione e
dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di
di referaggio, lezioni e seminari di carattere occasionale,
lavoro a tempo parziale, con prestazione lavorativa non
attività di collaborazione scientifica e di consulenza, attività di
superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno”.
comunicazione e divulgazione scientifica e culturale, nonché
Il comma 56 bis del citato articolo 1, aggiunto dall’art. 6 del D.L.
attività pubblicistiche ed editoriali. I professori e i ricercatori
28 marzo 1997, n. 79, precisa inoltre che “sono abrogate le
a tempo pieno possono altresì svolgere, previa autorizzazione
disposizioni che vietano l’iscrizione ad albi e l’esercizio di
del rettore, funzioni didattiche e di ricerca, nonché compiti
attività professionali per i soggetti di cui al comma 56 ...”.
istituzionali e gestionali senza vincolo di subordinazione
(4)
presso enti pubblici e privati senza scopo di lucro, purché non
La disciplina prevista dall’art. 11 del DPR n. 382/1980 per i
professori universitari ordinari è applicabile, ai sensi dell’art. 22,
si determinino situazioni di conflitto di interesse con
co. 1, del medesimo provvedimento, anche ai professori associati.
l’università di appartenenza, a condizione comunque che
(5)
l’attività non rappresenti detrimento delle attività didattiche,
La Suprema Corte ha, infatti, precisato che l’interpretazione
dell’art. 1 del D.l. n. 57/1987, per quanto riguarda l’incompatibilità
scientifiche e gestionali loro affidate dall’università di
all’iscrizione ad albi professionali, va compiuta nel quadro
appartenenza.”
sistematico del complesso normativo nel quale la norma
(8)
s’inserisce e, in particolare, con riferimento al D.P.R. n. 382/1980
corso di settembre 2012, in fase di pubblicazione (vd. news
(recante riordinamento della docenza universitaria). In particolare
http://www.corteconti.it/export/sites/portalecdc/_documenti/rass
nella sentenza in evidenza, si è precisato che, seppur non
egna_stampa/ocr/2012091222593783.txt).
Vd. Sentenza della Corte dei conti di Bolzano, emessa nel
espressamente indicata, l’incompatibilità con l’esercizio di attività
libero-professionali, laddove il ricercatore universitario sia
confermato a “tempo pieno”, risulta dal disposto del comma 5-bis,
che fa esplicito riferimento all’esercizio, entro il termine ivi
Quesito Odcec di Pordenone
prescritto, dell’opzione fra “tempo pieno” e “tempo definito” per
Oggetto: PO 224/2012 – Termini per convocazione
procedimento disciplinare
Con riferimento al Vostro quesito del 27 agosto 2012 (ns.
prot. 8255 del 31/08/2012) con il quale si chiede: 1) se, in un
procedimento disciplinare, l’Ordine potesse fissare nuova
audizione nel caso in cui la raccomandata di convocazione
sia tornata indietro per compiuta giacenza e l’iscritto,
comunque comparso all’audizione, abbia eccepito il
mancato rispetto dei termini a difesa, o se invece il
mancato rispetto di detti termini facesse decadere il
procedimento; 2) se possa l’Ordine, per i medesimi fatti,
deliberare l’apertura di un secondo procedimento
disciplinare stante il mancato rispetto dei termini della
prima convocazione ovvero se il mancato rispetto di tali
termini faccia decadere la possibilità di deliberare una
ottenere la sanatoria delle “pregresse situazioni d’incompatibilità
con l’ufficio di ricercatore, previste dal D.P.R. n. 382 del 1980,
art. 34”. Come evidenziato nella sentenza, infatti, «detta norma,
infatti, con la sua statuizione, manifesta in modo univoco la
“voluntas legis” di considerare solo in caso di opzione per il
“tempo definito” l’esercizio professionale compatibile con la
qualifica di “ricercatore confermato” e l’eventuale situazione
d’incompatibilità sanabile. Così esplicitando che il legislatore,
nel prevedere anche per i ricercatori confermati, come già per i
professori universitari, la possibilità di opzione per un regime
di tempo definito, ha legiferato in proposito considerando
coessenziale al regime del “tempo pieno”, anche per i ricercatori
universitari in armonia sistematica con quanto stabilito dal
D.P.R. n. 382 del 1980, art. 11, per i professori universitari -
40
Cndcec Report
seconda volta l’apertura di un procedimento disciplinare
per gli stessi fatti, si osserva quanto segue.
Con riguardo al punto 1), sulla base delle informazioni
contenute nella richiesta di parere può affermarsi che non
vi è stato alcun mancato rispetto dei termini, atteso che la
raccomandata di convocazione è tornata indietro per
compiuta giacenza. L’iscritto inoltre è comunque comparso
all’audizione e l’Ordine, nell’interesse del convocato e pur
non essendovi tenuto, ha disposto il rinnovo della
convocazione. Quest’ultima peraltro tornava indietro, una
seconda volta, per compiuta giacenza. Non risulta
pertinente l’eccezione dell’iscritto secondo il quale la
rinnovazione della notifica può essere disposta solo dal
giudice terzo e non dalla parte, atteso che non trattasi di
procedimento giurisdizionale.
Con riferimento al punto 2) non può l’Ordine aprire un
nuovo procedimento disciplinare per i medesimi fatti a
seguito del mancato rispetto dei termini di convocazione,
questione che può ritenersi superata nel caso in esame
dalla circostanza che la compiuta giacenza equivale a
notifica e pertanto le eccezioni dell’iscritto – che è
comparso anche alla seconda convocazione - non appaiono
fondate.
21 settembre 2012
Quesito Odcec di Ragusa
Oggetto: PO 217/2012_Tirocinio
In relazione al quesito formulato in data 31 luglio 2012, si
osserva quanto segue.
Con riferimento all’informativa n. 61 del 27 luglio 2012 si
chiarisce che l’affermazione che “le disposizioni che
prevedono la durata di 18 mesi del tirocinio … devono
trovare applicazione … alle situazioni in essere alla data
del 24 gennaio 2012” significa che la disciplina del decreto
legge 24 gennaio 2012, n. 1 si applica a tutti coloro che alla
data del 24 gennaio risultano iscritti nel registro del
tirocinio. Ne consegue che coloro che sono stati iscritti nel
registro del tirocinio ante 24 gennaio 2012, essendo già in
possesso della laurea triennale (tirocinio sez. B) o della
laurea specialistica/magistrale o di una laurea quadriennale
rilasciata dalla Facoltà di Economia (tirocinio sez. A),
hanno diritto ad ottenere il rilascio del certificato di
compiuto tirocinio se hanno già validamente compiuto
(anche anteriormente al 24 gennaio 2012) o compiranno il
diciottesimo mese di tirocinio.
21 settembre 2012
Quesito Odcec di Trani
Oggetto: PO 117/2012_Tirocinio_Valutazione condotta
In relazione al quesito formulato in data 10 maggio 2012
con il quale si chiede se può essere iscritto nel registro del
tirocinio un soggetto che ha un procedimento penale in
corso, si osserva quanto segue.
Il regolamento del tirocinio (art. 7, comma 1, D.M. Miur 7
agosto 2009, n. 143) prevede che alla domanda di iscrizione
nel registro devono essere allegati sia il certificato generale
del casellario giudiziale che quello dei carichi pendenti
(ovvero delle corrispondenti dichiarazioni sostitutive). Ciò
sta chiaramente ad indicare la necessità di un giudizio sulla
condotta dell’aspirante tirocinante, anche se il requisito
della condotta irreprensibile non è espressamente indicato
tra quelli richiesti per l’iscrizione nel registro del tirocinio.
La sussistenza dei carichi pendenti assume autonoma
rilevanza ai fini della valutazione della condotta, senza che
sia necessario attendere la definizione della vicenda con
sentenza definitiva. Se così non fosse, infatti, il
regolamento avrebbe richiesto solo il certificato generale
del casellario giudiziale e non anche quello dei carichi
pendenti. Nel caso di specie, dunque, il Consiglio
dell’Ordine non può sospendere la valutazione dell’istanza
di iscrizione in attesa della definizione della vicenda penale
ma deve pronunciarsi entro il termine previsto dal
regolamento (30 giorni dalla presentazione dell’istanza di
iscrizione, ai sensi dell’articolo 7 del D.M. 7 agosto 2009, n.
143).
Ciò chiarito, si osserva che il requisito della condotta
irreprensibile deve essere autonomamente valutato dal
Consiglio dell’Ordine con riferimento al singolo caso
concreto in sede di decisione in merito all’istanza di
iscrizione senza che il Consiglio Nazionale possa esprimere
in merito alcuna valutazione specifica, non potendosi
pronunciare su questioni che potrebbero costituire oggetto
di cognizione da parte dello stesso Consiglio in sede di
esercizio delle proprie funzioni decisorie sul ricorso ad esso
eventualmente proposto in caso di diniego di iscrizione da
parte di codesto Ordine (articolo 7, comma 5 del D.M. Miur
citato che richiama l’articolo il comma 4 dell’articolo 37 del
decreto legislativo 28 giugno 2005, n. 139).
8 giugno 2012
Vogliamo dare una mano al Paese.
Anzi centodiecimila.
Crediamo nell’utilità
sociale del pensiero
tecnico e che non
sia questo il momento
di chiedere, ma di dare.
E di mettere al servizio
della comunità
la competenza,
la professionalità
e l’esperienza dei
Commercialisti Italiani.
Possiamo essere
utili al Paese perché
siamo professionisti,
vogliamo esserlo
perché siamo cittadini.
42
Diamo i Numeri
Progetto RSO Rilevazione Statistica
Ordini Territoriali II-III Trimestre 2012
di Tommaso Di Nardo e Gianluca Scardocci - Irdcec
Nel II-III trimestre 2012 le nuove
iscrizioni all’albo sono diminuite del
18% rispetto allo stesso periodo del
2011, allorché la diminuzione
sull’anno precedente era stata del
20%. Rispetto al 2010, le nuove
iscrizioni avvenute nel II-III trimestre
dell’anno sono diminuite del 34%
(1.015 rispetto a 1.537). Le
cancellazioni sono aumentate del 19%
rispetto allo stesso periodo del 2011
con la conseguenza che il saldo
incrementale è diminuito del 40%.
Nei primi tre trimestri del 2012
le iscrizioni sono calate
complessivamente dell’11%
Nei primi tre trimestri del 2012 i
neoiscritti all’Albo sono stati 2.444
contro i 2.745 dello stesso periodo
del 2011 (-11%). Le cancellazioni sono
state invece pari a 1.220 contro le
1.023 del 2011 (+9,5%). Il calo di
iscrizioni verificatosi nel 2012 è
concentrato nel II-III trimestre.
Il tasso di crescita annuale
La RSO, come è noto, compie due
rilevazioni annuali, la prima relativa
al I trimestre dell’anno, periodo nel
quale si concentrano le iscrizioni
all’Albo, la seconda relativa al II e III
trimestre dell’anno, periodo nel quale
le iscrizioni trimestrali tendono a
diminuire risultando mediamente
pari alla metà di quelle occorse nel I
trimestre. Non è oggetto di
rilevazione, invece, il IV trimestre
dell’anno, periodo nel quale le
iscrizioni si riducono a poche decine
di unità mentre crescono
sensibilmente le cancellazioni. Ciò
spiega, naturalmente, il saldo
negativo tra iscrizioni e cancellazioni
del IV trimestre che si riflette su un
decremento di iscritti totali alla fine
dell’anno rispetto alla fine del III
trimestre. Al netto di tale
componente stagionale, la serie
storica della RSO, iniziata nel I
trimestre 2009, mostra come il tasso
di crescita misurato su base annuale
alla fine del III trimestre dell’anno
rappresenti una buona proxy del
tasso finale (nei casi precedenti il
margine di aggiustamento è stati pari
a +- 0,1%). Se il trend sarà
confermato, alla fine del 2012 gli
iscritti saranno pari a circa 113.800
unità.
Analisi territoriale
dei movimenti Albo: neoiscritti
L’analisi territoriale dei movimenti
dell’Albo mostra come il calo di
neoiscritti manifestatosi nel II-III
trimestre 2012 non sia diffuso in tutte
le regioni; vi sono, infatti, ben sei
regioni in controtendenza. È la prima
volta, però, che il calo si manifesta
allo stesso modo in tutte e tre le
grandi macroaree e in tutte e cinque
le aree regionali considerate. In
particolare, è la prima volta che il
calo si è manifestato anche nelle
regioni centrali che fanno registrare
questa volta il calo più sostenuto. È
risultato determinante il forte calo
subito dalla regione Lazio (-33%).
Analisi territoriale
dei movimenti Albo: iscritti
Alla fine del III trimestre gli iscritti
totali sono cresciuti a un tasso dello
0,7% al Nord, dello 0,4% al Centro e
dello 0,4% al Sud. La crescita più
elevata si è avuta nel Nord-est
(+0,82%), mentre la più bassa si è
avuta nelle regioni meridionali
(+0,3%).
Prosegue inarrestabile
la diminuzione dei praticanti
Il registro praticanti è in netta
flessione alla fine del III trimestre del
2012: -12,9%.
Le nuove iscrizioni sono calate del
7,6%, mentre le cancellazioni sono
aumentate del 44%.
43
Andamento Iscritti Albo 1° gennaio 2008 - 30 settembre 2012
116.000
114.000
112.000
110.000
108.000
106.000
104.000
1.1. 1.1. 31.3. 30.9. 1.1. 31.3. 30.9. 1.1. 31.3. 30.9. 1.1. 31.3. 30.9.
2008 2009 2009 2009 2010 2010 2010 2011 2011 2011 2012 2012 2012
Tasso di crescita degli iscritti all’Albo 2008-2012
1,8%
Riepilogo generale iscritti Albo e RSO
Indicatore/Data/Periodo
Valore
1,2%
1,2%
Var. cong. Variazione
rispetto all’ultimo
periodo
Var. tend. Variazione
rispetto allo stesso
periodo dell’anno
precedente
ISCRITTI
ISCRITTI
RSO I
TRIM.
2009
01/01/2008
01/01/2009
ISCRIZIONI
CANCELLAZIONI
SALDO
107.499
109.474
1.557
555
1.002
ISCRITTI
RSO II-III
TRIM.
2009
31/03/2009
ISCRIZIONI
CANCELLAZIONI
SALDO
110.476
1.397
441
956
0.92%
-10,28%
-20,54%
-4,59%
ISCRITTI
ISCRITTI
RSO I
TRIM.
2010
30/09/2009
01/01/2010
ISCRIZIONI
CANCELLAZIONI
SALDO
111.432
110.787
1.570
570
1.000
0,87%
0,58%
12,38%
29,25%
4,60%
1,20%
0,83%
2,70%
-0,20%
ISCRITTI
RSO II-III
TRIM.
2010
31/03/2010
ISCRIZIONI
CANCELLAZIONI
SALDO
111.787
1.537
497
1.040
0.90%
-2,10%
-12,81%
4,00%
1,19%
10,02%
12,70%
8,79%
ISCRITTI
ISCRITTI
RSO I
TRIM.
2011
30/09/2010
01/01/2011
ISCRIZIONI
CANCELLAZIONI
SALDO
112.856
112.164
1.515
557
958
0,96%
-0,61%
-1,43%
12,07%
-7,88%
1,28%
-0,61%
-3,50%
-2,28%
-4,20%
ISCRITTI
RSO II-III
TRIM.
2011
31/03/2011
ISCRIZIONI
CANCELLAZIONI
SALDO
113.122
1.237
466
771
0.85%
-18,35%
-16,34%
-19,52%
1,19%
-19,52%
-6,24%
-25,87%
ISCRITTI
ISCRITTI
RSO I
TRIM.
2012
30/09/2011
01/01/2012
ISCRIZIONI
CANCELLAZIONI
SALDO
113.894
113.235
1.429
665
764
0,68%
-0,58%
15,52%
42,70%
-0,91%
0,92%
0,95%
5,68%
19,39%
-20,25%
1.84%
1. 1. 2009
1,0%
1. 1. 2010
1. 1. 2011
1. 1. 2012
Tasso di crescita degli iscritti all’Albo alla fine del Primo Trimestre
Anni 2009-2012
1.84%
1,2%
1,2%
0,8%
31. 3. 2010
Tasso di crescita degli iscritti all’Albo alla fine del Terzo Trimestre.
Anni 2009-2012
1,2%
0,9%
0,5%
30. 9. 2010
1.557
113.122
1.015
555
460
0.67%
-28,97%
-16,54%
-39,79%
0,78%
-17,95%
-19,10%
-40,34%
ISCRITTI
30/09/2012
114.459
0,40%
0,50%
1.570
1.515
1.429
I-2010
I-2011
I-2012
Nuove Iscrizioni all’Albo nel Secondo e Terzo Trimestre.
Anni 2009-2012
1.397
31/03/2012
ISCRIZIONI
CANCELLAZIONI
SALDO
30. 9. 2012
30. 9. 2011
Nuove Iscrizioni all’Albo nel Primo Trimestre.
Anni 2009-2012
I-2009
ISCRITTI
RSO II-III
TRIM.
2012
31. 3. 2012
31. 3. 2011
1.537
1.237
1.015
II-III-2009
II-III-2010
II-III-2011
II-III-2012
44
Diamo i Numeri
MOVIMENTI ALBO
DIMINUISCONO DEL 18% LE ISCRIZIONI
ALL’ALBO NEL II-III TRIMESTRE 2012:
I DOTTORI COMMERCIALISTI ED ESPERTI CONTABILI
A FINE SETTEMBRE 2012 SONO 114.459.
LE ISCRIZIONI SONO STATE 1.015 (-17,5% RISPETTO AL
II-III TRIMESTRE 2011), LE CANCELLAZIONI SONO
STATE 555 (+19,1% RISPETTO AL II-III TRIMESTRE 2011).
IL SALDO È STATO DI +460 ISCRITTI (-39,8 % RISPETTO
AL II-III TRIMESTRE 2011).
II-III TRIM.
2011
II-III TRIM.
2012
Variazione
assoluta
Variazione
Percentuale
ISCRITTI INIZIALI
113.122
113.999
+877
+0,8%
ISCRIZIONI TRIM.
1.237
1.015
-222
-18,0%
466
555
+89
+19,1%
CANC. TRIM.
SALDO TOT. TRIM.
ISCRITTI FINALI
771
460
-301
-40,34%
113.894
114.459
+565
+0,5%
II-III TRIM.
2011
II-III TRIM.
2012
Variazione
assoluta
ISCRITTI INIZIALI
26.125
23.952
-2.173
-8,3%
ISCRIZIONI TRIM.
2.800
2.587
-213
-7,6%
CANC. TRIM.
2.531
3.631
1.100
43,5%
269
-1.044
-1.313
-488%
26.394
22.908
-3.486
-13,2%
SALDO TOT.TRIM.
ISCRITTI FINALI
Variazione
Percentuale
ISCRIZIONI AL REGISTRO PRATICANTI
II-III TRIMESTRE ANNI 2009-2012
3.092
2.873
2.800
2.587
NUOVE ISCRIZIONI ALBO
1.537
1.397
1.237
1.015
2009
2010
2011
2012
ANNO
II-III-2009
II-III-2010
II-III-2011
II-III-2012
MOVIMENTI REGISTRO PRATICANTI
DIMINUISCONO DEL 7,6% LE ISCRIZIONI AL
REGISTRO DEI PRATICANTI NEL II-III
TRIMESTRE 2012:
I TIROCINANTI A FINE SETTEMBRE 2012 SONO
22.908 (-13,2% RISPETTO AL II-III TRIMESTRE 2011).
LE ISCRIZIONI AL REGISTRO SONO STATE 2.587
(-7,6% RISPETTO AL II-III TRIMESTRE 2011), LE
CANCELLAZIONI SONO STATE 3.631 (+43,5%
RISPETTO AL II-III TRIMESTRE 2011).
IL SALDO FINALE È STATO DI -1.044 UNITÀ (-288%).
L’INVERSIONE DEL TREND DEL SALDO FINALE
RISPETTO AL 2011, ALLORCHÈ SI ERA VERIFICATO
UN AUMENTO DI 269 UNITÀ, È DOVUTO AL
MAGGIOR NUMERO DI CANCELLAZIONI AVVENUTE
NEL CORSO DEL 2012.
MOVIMENTI ALBO - DATI REGIONALI
Nella pagina seguente è riportata la tabella con i valori per
regione e macroarea territoriale del movimento degli
iscritti all’albo nel II-III trimestre 2011 e nel II-III trimestre
2012. Sono quindi riportate la variazione delle “iscrizioni”
nei due trimestri e la variazione degli “iscritti” alla fine dei
due trimestri. L’andamento delle iscrizioni per macroarea
territoriale mostra come il calo di iscrizioni sia più forte al
Centro (-21%) che al Nord (-17%) e al Sud (-17%). È la
prima volta che le nuove iscrizioni calano in tutte e tre le
macroaree considerate. Nelle precedenti rilevazioni il
Centro aveva mostrato di tenere la crescita delle
iscrizioni. Da segnalare il calo particolarmente
pronunciato nelle Isole (-32%) e nel Nord-ovest (-28%). Sul
fronte regionale sono sei le regioni che fanno registrare un
aumento di iscrizioni rispetto allo stesso periodo dell’anno
precedente: sono Liguria, Umbria, Marche, Emilia
Romagna, Calabria e Trentino Alto Adige. In termini
assoluti le diminuzioni più consistenti sono nel Lazio e
nella Lombardia. Gli iscritti a fine settembre, cresciuti
complessivamente dello 0,5% rispetto allo stesso periodo
dell’anno precedente, sono aumentati dello 0,7% al Nord,
dello 0,4 % al Centro e dello 0,4% al Sud.
Diamo i Numeri
REGIONE/
MACROAREA
II-III TRIMESTRE 2011
Canc. Trasf. Trasf.
Trim. Entrata Uscita
II-III TRIMESTRE 2012
Saldo Iscritti
Trim. finali
Iscritti
iniziali
Iscr.
Trim.
ABRUZZO
BASILICATA
CALABRIA
CAMPANIA
EMILIA R.
FRIULI V.G.
LAZIO
LIGURIA
LOMBARDIA
MARCHE
MOLISE
PIEMONTE
PUGLIA
SARDEGNA
SICILIA
TOSCANA
TRENTINO A.A.
UMBRIA
VALLE D’AOSTA
VENETO
3.021
977
4.283
13.615
6.682
1.719
13.125
3.154
19.056
2.726
438
6.290
10.218
1.840
8.525
7.054
1.207
1.467
170
7.560
34
14
51
179
56
11
205
8
204
17
12
49
102
28
94
62
15
6
2
88
12
1
13
61
25
8
82
20
67
9
0
34
47
2
41
16
1
5
0
22
3
1
5
5
7
3
30
3
43
0
0
4
-2
0
4
6
2
1
1
11
4
2
3
11
10
1
24
2
43
1
0
4
4
2
2
4
1
0
0
11
21
12
40
112
28
5
129
-11
137
7
12
15
49
24
55
48
15
2
3
66
NORD
NORD-EST
NORD-OVEST
CENTRO
MERIDIONE
ISOLE
SUD
45.838
17.168
28.670
24.372
32.551
10.365
42.917
433
170
263
290
392
122
514
177
56
121
112
134
43
177
74
23
51
37
12
4
16
72
23
49
29
24
4
28
258
114
144
186
246
79
325
Iscritti
iniziali
Iscr.
Trim.
Canc.
Trim.
3.042
989
4.323
13.727
6.710
1.724
13.254
3.143
19.193
2.733
450
6.305
10.267
1.865
8.580
7.102
1.222
1.469
173
7.626
3.047
993
4.314
13.673
6.703
1.736
13.280
3.143
19.278
2.726
457
6.338
10.253
1.902
8.546
7.096
1.241
1.474
172
7.647
26
6
59
159
91
8
137
23
143
28
7
23
89
14
69
50
16
15
0
54
3
3
24
43
38
10
90
24
70
14
0
32
113
1
26
34
4
6
1
21
1
0
2
9
12
1
17
3
36
1
0
3
6
0
2
4
1
1
1
4
46.096
17.282
28.814
24.558
32.798
10.444
43.242
46.258
17.327
28.931
24.576
32.737
10.448
43.185
358
169
189
229
345
83
428
199
73
127
144
186
27
212
61
18
43
23
18
2
20
MOVIMENTI REGISTRO PRATICANTI - DATI
REGIONALI
Nella tabella di seguito riportata sono indicati i valori
regionali delle iscrizioni e delle cancellazioni al registro
praticanti. Da segnalare il calo particolarmente marcato di
iscrizioni nel Nord-est (-21,3%) seguito dal Centro (-11,1%),
dalle Isole (-9,1%) e dal Nord-ovest (-7%). Il Meridione mostra
un calo più contenuto pari a -1,5%.
REGIONE/
MACROAREA
II-III TRIMESTRE 2011
Canc. Trasf. Trasf.
Trim. Entrata Uscita
Iscr.
Trim.
ABRUZZO
BASILICATA
CALABRIA
CAMPANIA
EMILIA R.
FRIULI V. G.
LAZIO
LIGURIA
LOMBARDIA
MARCHE
MOLISE
PIEMONTE
PUGLIA
SARDEGNA
SICILIA
TOSCANA
TRENTINO A.A.
UMBRIA
VALLE D’AOSTA
VENETO
756
229
1.948
5.883
811
236
3.348
326
2.804
607
213
885
2.584
583
2.297
962
230
362
12
1.049
117
26
164
418
137
26
358
45
405
63
19
122
322
32
232
116
35
27
6
130
82
21
180
236
115
29
305
39
318
70
19
112
417
1
267
125
26
24
0
145
8
0
7
17
13
1
16
2
36
2
3
7
10
1
13
4
2
0
0
14
6
1
4
7
11
2
20
2
31
1
1
6
8
0
4
6
3
0
0
12
37
4
-13
192
24
-4
49
6
92
-6
2
11
-93
32
-26
-11
8
3
6
-13
NORD
NORD-EST
NORD-OVEST
CENTRO
MERIDIONE
ISOLE
SUD
6.353
2.326
4.027
5.279
11.613
2.880
14.493
906
328
578
564
1.066
264
1.330
784
315
469
524
955
268
1.223
75
30
45
22
45
14
59
67
28
39
27
27
4
31
130
15
115
35
129
6
135
Variazione
Iscrizioni
Saldo
Trim.
Iscritti
finali
v.a.
%
v.a.
%
2
1
4
12
8
0
14
-3
37
3
0
4
0
0
4
1
0
1
0
9
22
2
33
113
57
-1
50
5
73
13
7
-10
-18
13
41
19
13
9
0
28
3.069
995
4.347
13.786
6.760
1.735
13.330
3.148
19.351
2.739
464
6.328
10.235
1.915
8.587
7.115
1.254
1.483
172
7.675
-8
-8
8
-20 35
-3
-68
15
-61
11
-5
-26
-13
-14
-25
-12
1
9
-2
-34
-23,13%
-58,62%
15,69%
11,26%
62,50%
-27,27%
-33,41%
187,50%
-29,82%
65,56%
-44,13%
-53,06%
-12,75%
-50,00%
-27,04%
-19,74% 1
6,67%
150,00%
-100,00%
-38,87%
27
6
24
59
50
11
76
5
158
6
14
23
-32
50
7
3
32
14
-1
49
0,90%
0,60%
0,56%
0,43%
0,75%
0,64%
0,57%
0,16%
0,82%
0,21%
3,05%
0,36%
-0,31%
2,68%
0,08%
0,18%
2,62%
0,95%
-0,58%
0,64%
55
17
38
19
19
4
23
165
97
68
90
159
54
213
46.423
17.424
28.999
24.666
32.896
10.502
43.398
-75
-1
-74
-61
-47
-39
-86
-17,33%
-0,71%
-28,07%
-20,89%
-11,87%
-32,31%
-16,72%
327
142
185
108
98
58
156
0,71%
0,82%
0,64%
0,44%
0,30%
0,55%
0,36%
Trasf. Trasf.
Entrata Uscita
Gli iscritti al 30 settembre mostrano un calo molto ampio nel
Centro (-18,6%) seguito dal Meridione (-13%). Il calo nel Nord
è allineato intorno al 9%. Mentre il Sud mostra un calo
generale del 13%.
Sul piano regionale, le iscrizioni hanno mostrato aumenti in
Sardegna, Friuli Venezia Giulia, Campania e Umbria. Gli
iscritti al 30 settembre 2012 sono in crescita in Sardegna,
Toscana, Basilicata, Abruzzo e Valle d’Aosta.
II-III TRIMESTRE 2012
Saldo Iscritti
Trim. finali
Iscritti
iniziali
Variazione
Iscrizioni
45
Iscritti
iniziali
Iscr.
Trim.
Canc.
Trim.
793
233
1.935
6.075
835
232
3.397
332
2.896
601
214
896
2.491
615
2.271
951
238
365
18
1.036
771
316
1.374
5.602
882
175
2.833
303
2.611
530
144
859
2.338
757
1.916
1.058
197
234
24
1.028
96
14
144
463
81
37
303
29
384
55
14
122
319
63
177
107
29
36
2
111
65
39
193
617
153
48
632
29
439
44
17
145
452
31
342
135
49
36
4
160
2
0
2
10
5
3
14
0
32
3
0
6
1
2
3
2
6
0
0
9
6.483
2.341
4.142
5.314
11.741
2.887
14.628
6.079
2.282
3.797
4.655
10.545
2.673
13.218
795
258
537
502
1050
240
1290
1027
410
617
847
1384
373
1757
61
23
38
19
15
5
20
Variazione
Iscrizioni
Variazione
Iscrizioni
Saldo
Trim.
Iscritti
finali
v.a.
%
v.a.
%
0
0
0
1
0
0
0
0
0
0
0
1
5
0
0
0
0
0
0
0
34
-26
-47
-145
-67
-8
-315
0
-23
14
-3
-18
-137
34
-162
-26
-14
0
-2
-40
805
290
1327
5457
815
167
2518
303
2588
544
141
841
2201
791
1754
1032
183
234
22
988
-21
-12
-20 45
-56
11
-55
-16
-21
-8
-5
0
-3
31
-55
-9
-6
9
-4
-19
-17,67%
-47,53%
12,20%
10,73%
-40,88%
42,31%
-15,31%
-35,56%
-5,09%
-12,50%
-25,00%
0,00%
-0,93%
96,88%
-23,72%
-7,51%
-17,14%
33,33%
-66,67%
-14,58%
12
57
-608
-618
-20
-65
-879
-29
-308
-57
-73
-55
-290
176
-517
81
-55
-131
4
-48
1,47
24,56%
31,42%
-10,18%
-2,40%
-28,02%
-25,87%
-8,73%
-10,62%
-9,44%
-34,19%
-6,14%
-11,64%
28,62%
-22,78%
8,50%
-23,11%
-35,89%
22,22%
-4,65%
1
0
1
0
6
0
6
-172
5.907
-111
-129
2.153
-70
-43
3.754
-41
-327
4.328
-62
-325 10.220
-16
-128
2.545
-24
-453 12.765 - 40
-12,21%
-21,33%
-7,03%
-11,06%
-1,49%
-9,10%
-3,00%
-576 -8,88%
-188 -8,04%
-388 -9,36%
-986 -18,55%
-1521 -12,95%
-342 -11,86%
1863 -12,74%
Trasf. Trasf.
Entrata Uscita
Guida al controllo della qualità nei piccoli e medi studi professionali
Traduzione della terza edizione inglese
180 pp. - in brossura – ISBN: 978-1-60815-097-7
Prezzo 18,00 euro (IVA e spese di trasporto incluse)
La pubblicazione della traduzione italiana della terza edizione della “Guida al Controllo della Qualità nei piccoli
e medi studi professionali” completa un progetto che ha impegnato, per oltre tre anni, l’ufficio traduzioni del
CNDCEC e la commissione tecnico-scientifica che ha revisionato i lavori. La versione originale in lingua inglese
della Guida ha incontrato in tutto il mondo un grande successo, completando l’offerta di strumenti di supporto
all’attività degli studi professionali predisposti dal Comitato Piccoli e Medi Studi Professionali (Small and Medium
Practices Committee) di IFAC (International Federation of Accountants). Questa pubblicazione rappresenta un
valido aiuto per i professionisti che intendono affrontare l’attività di revisione legale in maniera conforme ai
principi internazionali ISA, consentendo di implementare le prescrizioni internazionali in materia di controllo della
qualità dell’attività di revisione in maniera semplice ed efficace, anche nella realtà dei piccoli e medi studi.
Al fine di garantire la qualità del lavoro di revisione, i Principi Internazionali di Revisione ISA richiedono infatti
l’adozione da parte del revisore di un sistema di qualità equivalente alle prescrizioni dello standard ISQC1;
questa Guida consente di realizzare un sistema di qualità conforme ad ISQC1, in maniera proporzionata alle esigenze ed alle risorse di studi
professionali di ridotta dimensione. L’esposizione della materia, semplice ed efficace, è riferita alle caratteristiche degli studi professionali piccoli
e medi; la Guida è inoltre corredata da pratici modelli di manuali di controllo qualità, pensati per le esigenze di studi professionali anche composti
da un solo professionista. La traduzione in lingua italiana giunge in un momento in cui la nostra professione si sta preparando all‘introduzione
dei Principi Internazionali di Revisione ISA su scala europea e può costituire un prezioso supporto per la strutturazione di un’attività di revisione
legale pienamente conforme ai Principi ISA. Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili compie così un ulteriore
importante passo nel consentire alla professione italiana di adeguarsi ai migliori standard internazionali e continuare nella tradizione di qualità
e competenza.
Principi Internazionali di Revisione e Controllo della Qualità
Edizione Italiana 2011
862 pp. - in brossura - ISBN 978-88-97361-00-8
Prezzo 50,00 Euro (IVA e spese di trasporto incluse)
La versione italiana 2011 dei principi internazionali (edizione inglese 2009), contenuta nel presente volume, è il
risultato di un complesso progetto di riscrittura, attuato da IFAC, per effetto del quale i 36 principi di revisione ed
il principio sul controllo di qualità sono stati completamente riorganizzati in sezioni distinte e parzialmente
modificati nei contenuti.
I principi così aggiornati sono ampiamente migliorati, sia in termini di comprensibilità che in termini di
semplificazione applicativa e sono destinati a divenire comune bagaglio professionale per tutti i colleghi impegnati
nell'attività di revisione legale dei conti.
La nuova struttura dei principi, mantenendo invariato l'originario approccio basato su regole generali, è
ampiamente compatibile con i principi di revisione nazionali in vigore dal 2002.
L'attività di revisione legale dei conti continuerà ad essere svolta sulla base di una preliminare identificazione e
valutazione dei rischi di errori significativi nel bilancio, sulle cui risultanze verranno configurate le procedure di revisione più appropriate. Quindi non
controlli casuali, che ripercorrono indistintamente tutte le operazioni contabili, ma verifiche mirate a quelle aree di bilancio che il revisore ha identificato
come maggiormente problematiche e dalle quali può derivare un rischio concreto e significativo di errore nel bilancio.
La fase transitoria del federalismo municipale
Aspetti quantitativi, contabili e fiscali delle nuove entrate comunali
126 pp. - in brossura - ISBN 978-88-97361-01-5
Prezzo 15,00 Euro (IVA e spese di trasporto incluse)
Il volume intende offrire un contributo al dibattito sul federalismo municipale effettuando un'analisi dei profili
quantitativi, contabili e fiscali della riforma.
A tal fine, il lavoro: espone i risultati di un'analisi quantitativa finalizzata a valutare gli effetti di gettito prodotti
dall'adozione del modello federale di cui al D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23; illustra le modalità di rappresentazione
nei bilanci degli Enti locali delle nuove entrate disciplinate dal medesimo decreto; nonché effettua un'analisi
della normativa di riferimento, tesa a verificare l'effettiva capacità di realizzazione del principio vedo, voto e
pago.
La ricerca è rivolta ai professionisti impegnati nell'attività di revisione degli Enti locali, ma offre interessanti
spunti di riflessione anche alla componente politica e amministrativa, proponendo una prima simulazione
dell'impatto che la riforma in senso federale avrà sulle entrate degli Enti locali.
Guida all’utilizzo dei principi di revisione internazionali
nella revisione contabile delle piccole e medie imprese
Volume I: Concetti fondamentali
242 pp. - ISBN 978-88-97361-02-2
Prezzo 25,00 Euro (IVA e spese di trasporto incluse)
Volume II: Guida pratica
328 pp. - ISBN 978-88-97361-03-9
Prezzo 25,00 Euro (IVA e spese di trasporto incluse)
Giunta alla terza edizione, la “Guida all’utilizzo dei principi di revisione internazionali nella revisione contabile
delle piccole e medie imprese”, elaborata dallo Small and Medium Practices Committee dell’International
Federation of Accountants (IFAC), è stata suddivisa in due volumi: Concetti fondamentali e Guida pratica.
Nata da un’idea originale del 2005, la Guida è stata la prima di una fortunata serie di pubblicazioni del Comitato
Piccoli e Medi Studi Professionali di IFAC (SMP Committee), che comprendono oggi anche la Guida al controllo
della qualità nei piccoli e medi studi professionali e la Guida alla gestione dei piccoli e medi studi professionali.
Tradotta nelle principali lingue e nota nel mondo come “ISA Guide”, la Guida è nata dall’esigenza di aiutare i
professionisti ad utilizzare correttamente gli ISA - International Standards on Auditing - nella revisione contabile
delle piccole e medie imprese, una necessità oggi di grande attualità, nel momento in cui l’adozione degli ISA
nella revisione si profila come una concreta possibilità nell’ambito della riforma della regolamentazione della
revisione in ambito europeo.
Il primo volume presenta i fondamenti teorici dei principi ISA che più frequentemente trovano applicazione
nella revisione delle PMI, con una tecnica espositiva che fa ampio uso di schemi e diagrammi e facilita la
comprensione e l’apprendimento; il risultato è un testo che può essere utilizzato sia come manuale didattico,
sia come riferimento operativo nell’attività professionale quotidiana. Il secondo volume presenta invece un
approccio pratico alla revisione delle PMI, accompagnando il lettore attraverso tutte le fasi dell’incarico, e
svolge completamente due casi pratici che illustrano la revisione di una microimpresa e di una piccola impresa.
Guida alla gestione dei piccoli e medi studi professionali
Traduzione della seconda edizione 2012
570 pp. - in brossura - ISBN 978-88-97361-05- 3
Prezzo 50,00 Euro (IVA e spese di trasporto incluse)
Cinque anni di lavoro, una decina di autori, un comitato di redazione di oltre trenta persone sparse in tutto il
globo, più di cento revisori provenienti da una ventina di paesi in tutti i continenti, oltre cinquanta teleconferenze
per le riunioni del comitato di redazione, che hanno collegato gli angoli più remoti del pianeta nell’arco di due
anni; un’opera che, nella versione originale in lingua inglese, è in testa alle classifiche dei download dal sito di
IFAC, con traduzioni realizzate o in corso in sette tra le principali lingue del mondo. Queste cifre danno un’idea
dell’impegno che lo Small and Medium Practices Committee di IFAC ha profuso nella realizzazione di
quest’opera e della ricchezza di contributi che è stato possibile raccogliere in queste pagine. L’edizione italiana
della Guida è una traduzione fedele della seconda edizione inglese, che ne riporta integralmente i contenuti.
Con questa nuova edizione si è voluto aggiornare le sezioni sulle letture consigliate e le risorse reperibili nel
sito IFAC, presenti alla fine dei moduli, nonché effettuare qualche miglioramento nella presentazione.
Organizzata in otto moduli indipendenti, la Guida si propone di fornire ai piccoli e medi studi professionali una
serie di principi gestionali ed alcune best practice in merito a numerose aree, tra cui pianificazione strategica,
gestione delle risorse umane, rapporto con il cliente e passaggi generazionali. Per aiutare gli organismi membri
e gli studi professionali ad utilizzare al meglio la Guida, lo Small and Medium Practices Committee ha elaborato
la Companion Guide, Guida alla Gestione dei Piccoli e Medi Studi Professionali: Indicazioni per l’uso
(www.ifac.org/publications-resources/guide-practice-management-small-and-medium-sized-practices-userguide), che fornisce indicazioni su come sfruttare al massimo la Guida. Le note bibliografiche sono state
arricchite con i documenti più recenti editi dal CNDCEC e alle appendici del Modulo 1 sono state aggiunte le
“Linee guida per l’introduzione di sistemi di gestione documentati negli studi dei dottori commercialisti ed
esperti contabili”, redatte da una commissione del CNDCEC ma fino ad oggi ancora inedite.
I volumi sono acquistabili unicamente on line sul sito “Press Store”all’indirizzo www.press-store.it
oppure www.commercialisti.it > PRESS & INFORMA > Press Store
Press S.r.l. - Società unipersonale soggetta all’attività di direzione e coordinamento del CNDCEC
00185 ROMA - Piazza della Repubblica, 59
C.F., P.Iva e N. Iscr. R.I. 09257291006
48
Letti per Voi
IRAP E TUTELA DEL CONTRIBUENTE
Risolo Luigi
Tempo libero
(Maggioli, 2013)
Il testo analizza cinquanta casi concreti in materia di tutela del contribuente dall’imposizione dell’IRAP.
Ogni caso esposto è comprensivo di un commento, di una scheda di riepilogo, del testo integrale
dell’ordinanza o della sentenza (oltre ai riferimenti a tutte le precedenti pronunce che hanno disciplinato
analogamente la fattispecie in questione), nonché delle annotazioni al Codice Civile, al Codice di Procedura
Civile e al Codice Penale, estremamente utili in sede di contenzioso tributario. I casi trattati riguardano non
solo le diverse tipologie di contribuenti, ma anche aspetti pratici sulla debenza del tributo e sulle formalità
sostanziali del processo tributario. Vengono inoltre trattate fattispecie di particolare interesse quali: il
risarcimento al contribuente per l’eccessiva durata del processo d’appello; il litisconsorzio tra i soci e la
società; la regolare costituzione in giudizio dell’Ufficio; l’ammissione del credito IRAP nel passivo
fallimentare; l’IRAP ed il rapporto con il diritto penale; l’onere della prova per il contribuente; l’inquadramento
del soggetto passivo d’imposta alla luce degli interventi della Cassazione. L’edizione tiene conto della Legge
di stabilità per il 2013 (Legge 24 dicembre 2012, n. 228), che ha disposto l’effettiva operatività - fin dal 1°
gennaio 2013 - di alcuni articoli facenti parte del D.Lgs. n. 446/1997 (Decreto Irap), del D.P.R.
n. 633/1972 (Decreto IVA), del D.Lgs. n. 546/1992 (Processo tributario), della Legge n. 111/2011 (Manovra
finanziaria 2011) e della Legge n. 244/2007 (Legge finanziaria 2008).
PROFESSIONISTI & STUDI, ASSOCIARSI PER COMPETERE
C’è posto
all’ultimo banco
Arci Solidarietà Onlus
(DeriveApprodi, 2013)
Storie di bambini e
adolescenti, che
racchiudono al loro interno
successi e fallimenti,
tragedie e comicità,
momenti di profondo
scoramento e altri di
infinita tenerezza. Bambini
che nelle nostre scuole
trovano posto solo
all’ultimo banco, di coloro
che non meritano di essere
guardati e accompagnati
verso una consapevole
appropriazione del proprio
futuro…
Giuseppe Bernoni e Ignazio Marino
(Ipsoa, 2013)
Non so niente di te
Le professioni intellettuali si trovano oggi di fronte ad eventi economico-sociali di grande portata (oltre,
naturalmente, alla crisi economica). Il nuovo secolo ha introdotto fenomeni come la globalizzazione, l’avvento
di nuove potenze industriali (Cina, India, Brasile, seguite da Russia, Sudafrica, Vietnam, Venezuela, Turchia,
Polonia, ecc.), nonché modelli organizzativi riguardanti lo “studio professionale” la cui origine è riconducibile
agli USA, anni ‘60 del XX secolo. Tutto ciò richiede un rinnovamento dell’esercizio professionale col passaggio
dallo studio monocratico allo studio associato (o società di professionisti), all’assunzione di nuove funzioni,
cioè campi di attività inediti e forse inesplorati con cui i professionisti devono cimentarsi. L'Autore
tratteggia la situazione attuale delle professioni di commercialista, avvocato, consulente del lavoro,
esponendone le esigenze organizzative e funzionali, e getta uno sguardo esplorativo sulle nuove funzioni,
nella consapevolezza che per le professioni attuali occorre rispondere prontamente ai bisogni d’un pubblico
vasto ed esigente, per essere rispettate e autorevoli nelle società industriali contemporanee.
Paola Mastrocola
(Einaudi, 2013)
DETRAZIONI 2013
Altissima povertà
Giorgio Confente, Massimo Grimaldi
Giorgio Agamben
(Neri Pozza, 2013)
(Maggioli, 2013)
La guida offre preziose indicazioni circa le modalità con cui portare in detrazione una serie di spese, oneri e
liberalità sostenute durante l’anno solare precedente la Dichiarazione dei redditi, fornendo esemplificazioni
pratiche e schemi a cui rifarsi per la propria specifica casistica. Il testo prende in esame sia le spese di
maggior diffusione, come quelle relative agli immobili (interventi di ristrutturazione edilizia e per il risparmio
energetico, oneri derivanti dall’acquisto, canoni di locazione) e quelle di natura sanitaria e assistenziale, sia
gli esborsi dovuti a fattispecie sporadiche e contingenti (spese funebri, donazioni, cure veterinarie, adozioni,
assegni periodici e così via), in modo da fornire all’operatore un quadro esaustivo e dettagliato delle varie
ipotesi. Conclude ed arricchisce la trattazione un capitolo finale dedicato al modus operandi
dell’Amministrazione finanziaria nell’espletamento dell’attività di controllo formale delle dichiarazioni ed alla
rateizzazione delle somme dovute a seguito di tale controllo.
CREARE VALORE A LUNGO TERMINE
Davide Dal Maso, Giorgio Fiorentini
(Egea, 2013)
L’investimento sostenibile e responsabile è un Giano bifronte che riunisce due dimensioni distinte dell’attività
di investimento: quella economica, di chi vuole accrescere il valore del proprio risparmio, e quella socioambientale, di chi vuole generare esternalità positive a vantaggio della comunità. Il volume offre un’occasione
di riflessione e sistematizzazione a quanti siano incuriositi dal tema, siano essi operatori del mondo della
finanza, utilizzatori degli strumenti finanziari, osservatori del mercato. L’approccio è concreto, attento più alle
pratiche che alle teorie e adotta un linguaggio semplice e accessibile. Lo scopo non è quello di aprire un
dibattito tecnico sui dettagli ma di allargare la platea dei soggetti in grado di prendere (o suggerire) scelte di
investimento consapevole. Le tre parti del libro danno un inquadramento generale su: definizioni e
classificazioni, modalità di gestione, caratteristiche del mercato, e affidano a capitoli specifici gli
approfondimenti e la narrazione di esperienze significative. Ne esce un quadro completo, che dà voce alla
varietà delle competenze professionali e scientifiche maturate in questi anni in Italia sull’argomento.
«… Dovreste essere
curiosi, voi genitori, molto
curiosi dei vostri figli.
Morire dalla curiosità di
vedere come diavolo andrà
a finire. Invece siete
sempre così scontenti, così
incontentabili. Sembra che
conosciate già tutto. Non vi
lasciate sorprendere.
Peccato. Vi private di una
grande felicità».
Un’appassionata rilettura
del fenomeno del
monachesimo occidentale,
dove l’Autore sostiene che
la vera novità sta nella
scoperta di una nuova
dimensione, in cui la «vita»
si afferma nella sua
autonomia e la
rivendicazione
dell'«altissima povertà» e
dell'«uso» lanciano al
diritto una sfida con cui il
nostro tempo deve ancora
fare i conti.
Solaris
Stanisław Lem
(Sellerio, 2013)
Per la prima volta la
traduzione integrale del
capolavoro della
fantascienza filosofica
europea. Siamo nel lembo
più estremo dell’universo
esplorato dal genere
umano. Un astronauta, dalla
Terra, approda nella
stazione spaziale che gira
intorno al pianeta Solaris... A cura di Maria Pia Parenti
Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti
e degli Esperti Contabili
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Professione economica e sistema sociale
Rivista del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti
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