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EDITORIALE un'occasione unica S e vi è capitato di dare un'occhiata al recente Festival di Sanremo, non vi sarà sfuggito che la RAI ha sfruttato l'occasione per celebrare i suoi sessant'anni di attività. Quella passerella canora è vista da milioni di persone e ogni evento in essa contenuto ha così una eco senza eguali. Per questo, insieme a tanti celebri artisti e giovani promesse, sono s�ilati alcuni dei 'pilastri' storici che hanno contribuito a costruire la storia della televisione. In campo motociclistico, in effetti, abbiamo anche noi una sorta di 'sanremo'. Si chiama EICMA, ovvero, detto in termini più abbordabili da noi storici, il Salone del Motociclo di Milano. E altro che sessanta! L'EICMA compie quest'anno 100 anni e cambia nome, diventando l'Esposizione Mondiale del Motociclismo. Un cambio azzeccato, perché in effetti i padiglioni di Fiera Milano Rho non ospitano soltanto una passerella di motociclette come quella cui assistettero i nostri antenati visitando i locali del Kursaal Diana, in zona Porta Venezia, nel lontano 1914. Oggi si tratta di un evento globale, che coinvolge tutto ciò che ruota attorno alla moto e alimenta una passione che si è trasformata in un modo di vivere. Per questo è importante che al prossimo Salone del Motociclo di novembre, quello del Centenario, ci siano le nostre amate Moto Storiche. Se sul palco di Sanremo sono s�ilate le gemelle Kessler, oppure la Carrà e Franca Valeri, a Rho Fiera ci devono essere le Guzzi, le Gilera, le MV, le Norton e tutte le altre moto che hanno contribuito a creare la leggenda del motociclismo. E come a Sanremo, devono essere af�iancate alle ultime proposte, in modo che i più giovani osservando le loro preferite possano capire come e perché si è arrivati a tanto, e magari appassionarsi anche al motorismo storico, che di nuova linfa ha tanto bisogno. Alla presentazione dei 100 anni di EICMA ci siamo stati e abbiamo registrato il preciso intento degli organizzatori di percorrere i prossimi mesi che porteranno all'apertura dei cancelli con numerose iniziative 'storiche' di cui vi parleremo nel corso dell'anno. Pier Francesco Caliari, direttore generale Con�industria ANCMA-EICMA, si è dichiarato entusiasta di poter celebrare il futuro della motocicletta attraverso il suo passato. E se lo dice lui c'è da crederci... BUONA LETTURA [email protected] Direttore Responsabile: Daniele Ca�ieri danieleca�[email protected] Coordinamento Redazionale: Franco Daudo [email protected] Art Director: Ivan Oriani [email protected] Gra�ica: Mario Daudo Hanno collaborato ai testi: A.Bonzi, C.Antonaci, N.Ca�ieri, A.Cathcart, P.P.Cavallo, G.Chiabotti, M.Chierici, D.Confalonieri, M.Di Giovanni, E.Maffei, G.Scialino, P.Tooth. Fotogra�ie di: C.Antonaci, D.Confalonieri, M.Chierici, F.Daudo, G.Scialino, P.Tooth, Archivio, Archivio C&C, Mortons Archives. Uf�icio Abbonamenti: Massimo Rigoldi - [email protected] Editoriale C&C S.r.L. 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Gli indubbi benefici venuti all'azienda veneta dai successi sportivi furono sicuramente lo stimolo giusto per convincere Beggio ad appoggiare il progetto che Witteveen teneva nel cassetto da qualche anno: quello di sviluppare una versione maggiorata della 250 per competere nella classe regina. L'antenata La Bimota ebbe la stessa idea nel 1990 e nel febbraio 1992 presentò la Tesi 500 Gran Prix che voleva rappresentare un'alternativa più economica alle quattro cilindri. La ciclistica riprendeva l'avantreno della Tesi abbinato a un retrotreno convenzionale. Un progetto interessante che, nonostante i promettenti risultati, fu abbandonato nel 1994. Ma non tutta l'esperienza acquisita andò perduta, poiché quella moto fu la base dalla quale derivò la versione stradale 500 Vdue che fece il suo debutto nel 1997 con una ciclistica convenzionale e il motore alimentato a iniezione. Ma quello che aveva in mente Witteveen non era certo una moto da strada. "Successe a Donington Park, nel 1993. Quel giorno Ruggia aveva vinto la gara della 250 con la nostra moto" ci ha raccontato Witteveen, "e aveva girato più forte di tutti i piloti della 500 eccetto Luca Cadalora, che aveva vinto la gara, che aveva comunque registrato solo due decimi in meno dell'Aprilia. Realizzare una 250 'jumbo' per correre nella 500 era un'idea che mi frullava in testa da anni e ora che il divario di tempo sul giro tra le due classi era così ridotto, considerando poi che la tendenza era quella di realizza- 7 9 Nella pagina accanto: n Sembra una Aprilia 250 ufficiale ma è in effetti l’arma che la Casa di Noale ha schierato nel 1994 per provare a insidiare i dominio delle quattro cilindri nel mondiale GP classe 500. n All’avantreno c’è una forcella Ohlins e un paio di dischi in carbonio con le protezione per mantenere alta la temperatura, condizione indispensabile per avere le massime prestazioni. n Il motore è un bicilindrico a V con due alberi motore, frizione a secco e cambio a sei rapporti. n Il forcellone in fibra di carbonio ingloba anche il parafango: robusto, rigidissimo e leggero. nAlla metà degli anni ‘90 non c’erano ancora i contagiri digitali. pronta per le prime prove in pista. Un lasso di tempo piuttosto breve, dovuto anche al fatto che tutto il lavoro fu fatto internamente, nel reparto corse Aprilia, senza alcun supporto da parte della Rotax. Quando Loris Reggiani qualificò la nuova moto in seconda fila nel suo primo Gran Premio del 1994, disputato l'8 maggio a Jerez, e finì la corsa in nona posizione, davanti a sei Yamaha 4 cilindri, il potenziale di quel piccolo 'razzo tricolore' ebbe la migliore delle conferme. O almeno così sembrò... Sviluppo complicato In effetti, i sette punti guadagnati in quella gara furono gli unici che la piccola Aprilia riuscì ad ottenere in tutta la stagione: una lunga serie di grippaggi obbligarono il team a ritirare la moto dalle corso dopo appena quattro gare (a dispetto della multa che l'Aprilia dovette pagare alla lobby Dorna+IRTA per la mancata partecipazione al resto della stagione). Fu un passo necessario che consentì di mantenere la giusta concentrazione per portare Max Biaggi (che aveva vinto le prime tre gare della stagione) alla conquista del suo primo mondiale della 250 e sviluppare ulteriormente la nuova 400. "I problemi non si limitarono ai grippaggi, poiché quando cercammo di ottenere maggiori prestazioni dal motore sorse la necessità di rinnovare completamente numerosi componenti" ricorda Witteveen. "Ma in tutta onestà credo 15 ATTENZIONE! ESPERIENZA ELETTRIZZANTE! La prova in pista effettuata nel 1995 da Alan Cathcart è un'interessante testimonianza di un passato che purtroppo non torna più... Ecco il suo entusiastico commento 18 non è una moto a cui dare manciate di gas all'uscita delle curve. Ben diverso è il comportamento della sorellina di 250, molto più controllabile in termini di erogazione. La spinta della 400 è decisamente aggressiva, il che significa dosare il gas con attenzione e gradualità: se aprite troppo presto vi troverete con la gomma posteriore che arranca sull'asfalto in cerca del grip, oppure ingolferete il motore - dipende dal regime in cui vi trovate - che poi non vorrà saperne di spingere finché non si 'schiarirà' e vi strapazzerà a dovere... Il trucco è quello di utilizzare l'eccellente cambio azionato da un attuatore automatico per tenere i giri nella giusta banda: il motore dell'Aprilia, per dare il meglio di se, gradisce restare sempre tra i 10 e i 12.500 giri ed è qui che Loris esegue le cambiate, quando per qualche motivo non deve tirare fino a 13.000. Ci ho provato anch'io e devo dire che la potenza non crolla di colpo anche se è meglio non insistere troppo nell'allungo se non si vuole avere qualche disgusto alle bielle... Siate generosi con la vostra mano destra e tenetevi pronti ad avere quella ruota che punta sempre al cielo, un'esperienza che devo dire è ben coadiuvata dal pneumatico Dunlop, che mantiene perfettamente in linea il mezzo. Il modo in cui la piccola 400 accelera fuori dalle curve non è così potente come un 500 V4, ma sembra perfino più veloce perché ci si riferisce a una due e mezzo e questo diventa il nostro termine di paragone. Il motore prende i giri rapidamente nonostante la grossa cilindrata unitaria e si mantiene a temperature relativamente basse. I 55°C sono l'ottimale, ottenuti togliendo una serie di strisce di nastro adesivo applicate per precauzione dai meccanici dopo che in una sosta la temperatura era salita a 65°C. Si sentono un po' di vibrazioni sulle pedane, ma non più di quanto mi sarei aspettato, specie considerando che fino ad allora avevo solo guidato un paio di altri grossi bicilindrici paralleli con le manovelle a 180° piuttosto 'vintage' come una Suzuki TR500 e una Yamaha TZ 375, entrambi senza alberi di equilibratura. A proposito di quest'ultima moto, merita un cenno l'uomo che in un certo senso ha ispirato il progetto Aprilia: il tedesco Hans Becker che nel 1991 finì il mondiale 20° assoluto e 5° tra i privati in sella a una Yamaha TZ 250 maggiorata con la quale in più di una occasione mise il naso davanti alle V4. Ma ciò attrae maggiormente dell’Aprilia è la giusta miscela tra potenza e guidabilità: potete arrivare alla curva appesi ai freni in carbonio, puntare l'apice della curva ad alta velocità e quindi aprire il gas ben prima di una 500 V4, e con maggior sicurezza. Dovete rispettarla, certo, ma neanche essere intimiditi da questa moto. In termini di taglia sembra davvero di guidare una 250, con tutti i vantaggi che ne derivano in termini di agilità. L'avantreno pare leggero e il manubrio oscilla tra le vostre mani quando accelerate nel corto tratto dritto che raccorda le chicane del Mugello. Loris utilizza poco ammortizzatore di sterzo, ma la moto trova ugualmente la linea e di fatto quegli scuotimenti non danno fastidio, nonostante la moto sia molto leggera. Il setting della forcella rovesciata Ohlins è piuttosto rigido, ma date una pinzata a quei freni e capirete subito il motivo: non vorrete certo avere l'avantreno che affonda troppo mentre entrate in curva pinzati, specialmente se avete appena passato in staccata una V4 che vi aveva superato nel rettilineo precedente. E dovete fare per forza questo gioco per ogni curva degli ultimi giri della corsa... Alan Cathcart concludeva il suo test rammaricandosi della breve durata.Evidentemente l'Aprilia ispirava confidenza, tanto che l'entusiasta giornalista inglese scese dalla moto convinto che questa bicilindrica avrebbe giocato un ruolo di primo piano nel futuro della classe 500. Purtroppo non andò così. n Questa è la SWM Regolarità 125 fotografata nell’officina di Mauro Sironi, figlio di Pietro, fondatore con Fausto Vergani della SWM. Fu immatricolata l’11 gennaio 1972 ma nel tempo ha subito qualche aggiornamento, come l’adozione dell’accensione elettronica Motoplat, di cui si vede la bobina arancione sotto il serbatoio, gli ammortizzatori, sempre Marzocchi, con maggiore escursione. n Un dettaglio del rubinetto della benzina, col pozzetto trasparente di decantazione. Si noti la finezza della vite tornita con rondella in gomma per il fissaggio del fianchetto. n Le pedane pieghevoli sono posizionate in asse col fulcro del cavalletto centrale. n La sella ha un bordino di finitura in alluminio. Ceriani era quasi d’obbligo e la scelta SWM, peraltro azzeccata, era un po’ controtendenza. Le Marzocchi non erano inferiori alle concorrenti, anzi, la forcella aveva piastre pressofuse ben dimensionate e lo stesso dicasi per i lunghi foderi nei quali scorrevano, ben guidati, steli cromati dell’inusuale diametro di 32 mm (solo inizialmente perché poi passarono a 34 mm), mentre gli ammortizzatori erano robusti e anch’essi regolabili su più posizioni di precarico molla. Erano prodotti che, rispetto ai Ceriani, apparivano più moderni e industrializzati. Anche il serbatoio ha parecchie analogie con quello della Morini e non è escluso che su prototipo sia stato utilizzato proprio quello: se osservate la foto, si vede che è modificato manualmente per consentire la completa rotazione dello sterzo. Di derivazione Morini anche il mozzo posteriore scomponibile Campagnolo, una vera ‘chicca’ per i regolaristi, e il parafango anteriore in vetroresina. Per il posteriore l’ispirazione è venuta invece da quello della Gilera Regolarità Competizione, anche se il componente SWM, sempre in vetroresina, è diverso sia nel profilo laterale sia per un evidente incavo superiore fatto per abbassare la posizione della sella. I cerchi sono dei Radaelli in acciaio col bordo rinforzato. C’erano già i Borrani e gli Akront in lega leggera, ma l’acciaio era ancora piuttosto diffuso sulle regolarità per la sua indubbia robustezza e deformabilità agli urti. Il telaio ha una struttura tradizionale ed è impostato sulla leggerezza, tanto che dopo i primi collaudi in gara dovette essere modificato dapprima nella zona sotto il serbatoio e poi negli attacchi del motore. Quello anteriore era costituito inizialmente da una staffa a U fissata ai punti di fissaggio predisposti sul carter e su una traversa saldata ai tubi della culla, mentre i due posteriori, posti sopra e sotto il cambio, erano costituiti da quattro staffe saldate a dei tubi trasversali di collegamento. Decisamente inusuale il forcellone coi bracci in tubo d’accia- io a sezione rettangolare, soluzione adottata peraltro anche dalla Mazzilli, un’altra interessante realizzazione artigianale milanese dello stesso periodo. La nuova SWM si distingue dalla concorrenza per il livello delle finiture e per un’eleganza non comune tra le macchine da regolarità, dove le cure maggiori erano rivolte a essenzialità e funzionalità. Il primo prototipo montava un silenziatore derivato da quello di una Hercules, col tubo di scarico che passava sopra il motore e si infilava nel silenziatore che usciva sulla destra e aveva una vistosa schiacciatura nella zona di passaggio della gamba del pilota. Una soluzione evidentemente non definitiva, poiché presto sostituito da un elemento di forma ‘a sogliola’ che correva sul lato destro e con una pronunciata rientranza nel primo tratto, tanto da richiedere la sagomatura dell’alettatura del cilindro. In questo modo si poteva mantenere più pulita la zona centrale del telaio e la simmetria dei due fianchetti di chiusura. Per i colori fu scelto l’amaranto per il telaio e il grigio per il resto, col l’originale logo SWM nero posto sui fianchi del serbatoio a interrompere una doppia filettatura nera. Sui fianchetti, realizzati in vetroresina (e successivamente in ABS), due vistosi porta numero gialli, colore da poco divenuto obbligatorio nella regolarità. Il portanumero anteriore aveva la particolarità delle due sagomature per raccordare il passaggio dei cavi flessibili: un’altra finezza della SWM. 25 31 personale: in questa mia ricerca, effettuata sfogliando le riviste del periodo alla ricerca delle classifiche della ‘regolarità’, ho riscontrato come il 1972 sia stato l’ultimo anno in cui c’era una certa presenza numerica e talvolta anche ai vertici della classe 175 da parte di Morini e Gilera. Nella 100 e nella 125, invece, le quattro tempi erano già scomparse... A giugno la squadra SWM è iscritta alla Valli Bergamasche nelle tre classi. E’ un’edizione indimenticabile per gli appassionati della regolarità: Alessandro Gritti vince l’assoluto con la Puch 125. Un’impresa che darà grande lustro al Marchio austriaco e che gli importatori Frigerio utilizzeranno molto bene per aumentare la penetrazione Puch in Italia. La SWM non è comunque lontana. Ci sono le squadre ufficiali Zundapp e Simson e dunque il confronto è ad altissimo livello. Nella 50 solo Neumann sta davanti a Brissoni, mentre nella 100 e nella 125 si classificano rispettivamente al quarto e al terzo posto Signorelli e Rottigni, dietro lo strepitoso Gritti e il tedesco della Zundapp Witthoft, ma davanti a un altro ufficiale Zundapp e a Farioli con la KTM. Sempre meglio, dunque. Inizia la produzione Si parte nel ‘72 coi primi esemplari grigi col telaio amaranto, prodotti in alcune decine di esemplari in ciascuna delle cilindrate 50, 100 e 125 e battezzati Regolarità. A questi fanno seguito le versioni col telaio grigio metallizzato e il serbatoio rosso per la 100 e blu per la 125. La 50 cambierà livrea nel 1973 con telaio arancione e serbatoio grigio. Nuovo il parafango anteriore, più avvolgente, che resterà praticamente invariato per tutto il periodo in cui la SWM monterà motori Sachs. Se alla Valli Bergamasche le moto ufficiali sono ancora nella prima versione, prodotta in serie limitata, al successivo appuntamento internazionale, il più importante della stagione, le SWM ufficiali son le stesse in regolare vendita. Teatro della prima uscita delle SWM ‘colorate’ la Sei Giorni che si disputa in Cecoslovacchia, patria di macchine eccellenti e piloti fortissimi, che ovviamente godono dei favori del pronostico. Sono loro, infatti, che vincono sia il Trofeo sia il Vaso d’Argento, anche se non senza qualche polemica per presunti favoritismi. Ma queste sono cose che ben conosce chi ha vissuto in prima persona quegli eventi e, in generale il mondo della regolarità, e non riguardano queste note. Gli italiani non vanno male e migliorano il risultato dell’anno precedente. Alla fine la squadra del Trofeo, che monta le KTM, conclude al terzo posto, die- 39 Durante la sua carriera agonistica, il marchigiano Franco Perfini ha conquistato quattro titoli tricolori di motocross, tre nella classe 125 e uno nella 250 di Massimo Chierici - Foto Archivio Perfini A rrivato giovanissimo fra i senior, nel 1978 a soli ventun anni Franco Perfini si aggiudica il campionato della 125 in sella alla Simonini e quello della 250 con la Montesa. Una doppietta che lo fa entrare di diritto tra i grandi del motocross italiano. Basta ricordare i nomi di chi lo ha preceduto in questa impresa per capirne la portata: Lanfranco Angelini, Emilio Ostorero, Canzio Tosi, Giuseppe Cavallero e Paolo Piron. Di questi grandi campioni, tre erano, come Perfini, alfieri del gruppo sportivo delle Fiamme Oro e indossavano la famosa maglia amaranto con la scritta Guardie di P.S. Perfini entrò a far parte di quel Gruppo nel 1976, quando era davvero un ragazzino di soli 19 anni. Fece una carriera rapidissima. Alla doppietta cui abbiamo accennetato in apertura fecero infatti seguito altri due titoli della 125. Ci siamo fatti raccontare da lui stesso la sua storia sportiva: n Franco, raccontaci il tuo primo incontro con una moto da cross... Sono nato a Fermo nel 1957, e ho cominciato con un piccolo cinquantino a presa diretta quando avevo sei anni. Mi divertivo a scorrazzare in campagna, lungo i fiumi, poi, verso gli otto anni mio padre mi comprò un cinquantino n Nel 1975 al debutto fra i senior è in sella alla Husqvarna. n Un giovanissimo Perfini fotografato con Roger De Coster.