Qui - Diocesi di San Miniato
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Diocesi di San Miniato da La Domenica del 13/07/2008 ________________________________ Mons. Fausto Tardelli ha messo la prima pietra della nuova struttura E’ nata la nuova ”Casa Verde” di Carlo Baroni E’ COME un sogno che si avvera. Una speranza coltivata, per tanto tempo, nel cuore di tanta gente. Di tanta gente semplice che silenziosamente dedica ore e ore ad un volontariato prezioso, ma difficile, duro. Di tante istituzioni che si sono mosse con decine di iniziative per raccogliere fondi. Casa Verde è la «Casa del Cuore» di San Miniato. Una storia cominciata nel 1958 e che ieri è passata ad un nuovo capitolo con la posa della prima pietra di quella che sarà la nuova Casa Verde. Un progetto imponente che verrà sviluppato in tre lotti - ci spiega il direttore generale della Fondazione Stella Maris Roberto Cutajar - il primo ha un investimento di un milione e mezzo di euro. Poi un secondo lotto per valorizzare e restaurare l’edificio esistente: lavori che costeranno un milione e 700mila euro. Infine un terzo lotto da 500mila euro per rendere utilizzabile l’annesso agricolo presente sulla proprietà. Lavori che sono il frutto di tanto impegno - ha detto Giuliano Maffei, presidente della Fondazione Stella Maris - e che vedono in prima linea la Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato che, con erogazioni e con il progetto Solidarietà & Sorrisi, ha già destinato 245mila euro. CI SONO poi il frutto di numerose raccolte di fondi, la sensibilità di tanti privati, l’impegno della Curia vescovile (il vescovo mons. Fausto Tardelli ha posto e benedetto la prima pietra), l’aiuto delle istituzioni, il lavoro della stessa Fondazione Stella Maris. E’ stato un giorno speciale, quello di sabato 5 luglio, per la città che potrà dare migliori strutture, tecnologie moderne, spazi idonei alle 26 ragazze ospiti a cui vanno aggiunte le 14 presenze del centro diurno. Tutti pazienti affetti da gravi patologie all’apparato psicomotorio e che qui, in questa casa a due passi dal centro storico, trovano amore e grande professionalità. Per la Fondazione Crsm erano presenti: Sergio Gronchi, Massimo Bacchereti, Gianfranco Rossi (Segretario Generale), Renzo Lapi, Stefano Guerrini, Alessandro Nacci. Con loro anche il sindaco di San Miniato Angelo Frosini, il presidente della Provincia Andrea Pieroni e numerosi volontari della struttura. Dall’Opera della Madonnina del Grappa alla Casa Verde di Fabrizio Mandorlini Ha ragione il direttore di “Casa Verde” Cerrai quando, nella sua prolusione, indica come data di nascita di “Casa Verde” il lontano 1932. In quel periodo la Cassa di Risparmio di San Miniato festeggiava i suoi cento anni di vita e per lasciare un ricordo di quel momento all’insegna della solidarietà, creò le condizioni perché nascesse a San Miniato un orfanotrofio. Da allora per quasi cinquant’anni quel luogo in via Aldo Moro dove ora ha sede “Casa Verde” è diventato il cuore di San Miniato. Tanti bambini sono stati accolti in quel lungo periodo di tempo. Poi, le mutate condizioni, l’esaurimento dell’esperienza dell’orfanotrofio e la necessità della Stella Maris di trovare altri luoghi, ha fatto sì che il cuore dei sanminiatesi si aprisse verso una nuova realtà, poco conosciuta: i ragazzi con handicap mentali. “Essi sono i più poveri dei poveri – ha commentato il vescovo Fausto in occasione della cerimonia per la posa della prima pietra – e la città di San Miniato deve andare fiera di questa sua istituzione: un grande segno di solidarietà”. Ma torniamo al 1932. L’arrivo dell’Opera della Madonnina del Grappa diretta da don Facibeni, ci pone all’attenzione, ancora una volta, l’opera, in quel periodo, del vescovo mons. Ugo Giubbi. Fu lui, che conosceva bene Facibeni e la bontà della sua opera che svolgeva già da alcuni anni a Firenze. L’amicizia e la stima tra Giubbi e Facibeni, trovò, oltre all’Opera della Madonnina del Grappa, anche altri momenti di collaborazione. Non ultimo il settimanale diocesano. Nel 1936, infatti, Giubbi decise di dotare la diocesi di uno strumento che fino ad allora non esisteva e prima di partire con una pubblicazione autonoma, “La Domenica”, sperimentò l’esperienza di Vita Parrocchiale, il settimanale, pubblicato dall’opera della Madonnina del Grappa e che don Facibeni stampa a Firenze. Era il 1936. FONDAZIONE ISTITUTO DRAMMA POPOLARE DI SAN MINIATO LXII FESTA DEL TEATRO a SAN MINIATO dal 7 al 23 luglio 2008 Bariona o il figlio del tuono Racconto di Natale per cristiani e non credenti di J. P. Sartre Sarà di scena “Bariona o il figlio del tuono” di Jean Paul Sartre, per la regia di Roberto Guiggiardini, alla 62° festa del Teatro dello Spirito a San Miniato. Si tratta, quest’anno, di una prima assoluta mondiale. Bariona è un originalissimo racconto scritto da Sartre nel Natale del 1940 per i suoi compagni di prigionia nel campo di Treviri. Sartre ebbe modo allora di conversare a lungo con i preti detenuti, discutendo in fraterna sincerità di fede e di teologia. È forse alla luce di questa nuova esperienza che Sartre scrisse un testo teatrale sul mistero del Natale. Lo compose in sei settimane, scelse gli attori, assistette a tutte le prove, e lui stesso creò la messa in scena ed i costumi. Vi partecipò come attore nella parte del Re Magio Baldassarre. […] Un fitto calendario di appuntamenti, a partire dal 7 luglio, precederà la rappresentazione di “Bariona o il figlio del tuono”. » Sul sito della diocesi: speciale Dramma Popolare 2008 http://www.chiesacattolica.it/wd2/drammapopolare_sanminiato “Bariona o il figlio del Tuono” : il commento di Mons. Ciattini Chi cerca la verità cerca Dio, che lo sappia o no di Mons. Carlo Ciattini “Non mi è mai piaciuto pensare che la misericordia di Dio si fermi ai confini della Chiesa visibile. Dio è la verità. Chi cerca la verità cerca Dio, che lo sappia o no”1. Da sempre mi ha colpito questa espressione della Stein, ebrea, filosofa, poi cristiana e monaca carmelitana, infine martire nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. La ricerca sincera della verità, infatti, accomuna ogni uomo di buona volontà, credente e non credente, fino a realizzare quella fraternità, da sempre tanto desiderata, quale meta del cammino dell’umanità. Fraternità che paradossalmente “vede la luce” là dove si condivide un’esperienza di dolore, di persecuzione, di ingiustizia, di atrocità: terribili doglie sorgenti di vita, travaglio capace di far nascere uomini nuovi, compassionevoli e dotati di umana tenerezza verso i fratelli, uomini desiderosi dell’altro, di essere per l’altro e poi insieme vincere la solitudine antica. È quell’incendio, infatti, quel crogiuolo, il solo capace di purificare, smascherare la menzogna, l’illusione, l’artificio delle false profezie, delle false libertà che uccidono la verità con l’intrallazzo e la complicità diabolica delle parole non coltivate, e perciò non raccolte nella faticosa ed esigente concretezza del campo della vita. In questa prospettiva vogliamo leggere la triste esperienza vissuta da Jean Paul Sartre divenuta, negli ultimi mesi del 1940, felicissima occasione per la stesura di Bariona, o il figlio del tuono. Ci pare significativo quanto fa notare, al proposito, Antonio Delogu2, riportando quello che Sartre, nel 1968, a scanso di equivoci, puntualizzava: “A vedermi scrivere un mistero, alcuni avranno potuto credere che attraversassi una crisi spirituale. No! Un medesimo rifiuto del nazismo mi legava ai preti prigionieri nel campo. La Natività mi era apparsa il soggetto capace di realizzare l’unione più larga tra cristiani e non credenti. Si era convenuto, che dicessi quello che avrei voluto. Per me, l’importante in questa esperienza era che, prigioniero, potessi rivolgermi agli altri prigionieri ed evocare i nostri problemi comuni”3. È quello un tempo in cui la menzogna, fatta cieca e disumana violenza, ripete, fino allo spasimo, il ridicolo e folle tentativo di essere dio, per poi essere smascherata, almeno per un po’ di tempo, dal naufragare dell’uomo che sperimenta, per l’ennesima volta, di essere un “dio mancato” e urla la sua rabbia nel bestiale terrorismo dei suoi aguzzini. Alla tragedia di quei giorni, alla bufera di odio e di morte che spazzava l’Europa si contrappongono, nel campo di concentramento di Treviri, l’umile solidarietà e l’amore compassionevole di quegli uomini divenuti, su quel nuovo calvario, compassionevoli, capaci di ascoltare l’altro, di accoglierlo, mentre porta la sua ricchezza, la sua unicità e perciò la sua diversità. L’altro, l’altro da noi che con la sua presenza ci ripete di non essere bastanti a noi stessi e ci invita ad uscire dal nostro egoismo, dalla nostra autosufficienza. Di questa accoglienza della vita è formidabile e insuperabile celebrazione il mistero del Natale. Quel mistero che nella tradizione cristiana annuncia il nascere di Dio che si fa uomo e che Sartre racconterà, nel suo lavoro Bariona, con espressioni di genuina e commovente tenerezza, per i suoi compagni di prigionia, fatti, almeno per pochi attimi, compagni di speranza: “La Vergine è pallida e guarda il bambino (…) Il Cristo è il suo bambino, la carne della sua carne, e il frutto del suo seno. L’ha portato nove mesi e gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio (…) Lo stringe tra le braccia e gli dice: piccolo mio! (…) Lo guarda e pensa: «questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Mi rassomiglia. (…) È Dio e mi assomiglia. (…) Un Dio piccolo che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive (…) di cui sente sulle ginocchia il peso tiepido e che le sorride” 4. Non ci è dato di parlare di un Sartre che vive, sperimenta un “sentire Dio”, poiché è lo stesso Sartre che fuga ogni incertezza al proposito allorché, riferendosi a questo suo lavoro scrive, il 31 ottobre 1962, “Se ho preso il mio soggetto nella mitologia del Cristianesimo, ciò non significa che la direzione del mio pensiero sia cambiata, fu un momento durante la cattività. Si trattava semplicemente d’accordo con i preti prigionieri, di trovare un soggetto che potesse realizzare, in quella sera di Natale, l’unione più vasta di cristiani e di non credenti”. Al tempo stesso però non vi è dubbio che, come scrive Antonio Delogu, citando Invitto, “il problema di Dio abbia attraversato l’intera produzione sartriana, diventandone un aspetto centrale, anche quando non era esplicitato direttamente”5. Del resto nessuno può negare come Sartre abbia dato attenzione al problema di Dio nei passaggi più importanti della sua attività letteraria e filosofica, “così che può fondatamente sostenersi che sia stato uno degli ultimi grandi pensatori di area laica ad aver sentito seriamente il problema di Dio, il mistero del cristianesimo” 6. Sappiamo che Sartre vive, per quasi un anno, nel campo di prigionia di Treviri, ove, alloggiato nella baracca degli artisti, scrive, canta, recita, legge con fastidio i Sermoni di Bossuet, ma con vivo interesse il Diario di un curato di campagna di Bernanos. Ed è proprio l’espressione “Cosa importa? tutto è grazia”7, che Bernanos mette sulle labbra del curato di campagna, che vogliamo ripetere per dire un grazie sentito a Sartre per il dono grande di questa sua opera che ci permette di essere non poco accarezzati dalla speranza cristiana che trova in Bariona un formidabile testimone, allorché il rabbioso disprezzo della vita, il superbo e perciò disperato proposito di morire per lasciare senza preda i persecutori e senza vittima gli aguzzini, si tramuta nella scelta di morire nella speranza della vita. Le espressioni di disperazione che troviamo, alle prime battute dell’opera sartriana, sulle labbra di Bariona: “Il villaggio agonizza da quando i Romani sono entrati in Palestina e quello tra noi che procrea è colpevole poiché prolunga questa agonia (…) O compagni la mia saggezza mi ha detto che la vita è una disfatta, nessuno è vittorioso e tutti sono vinti (…) la più grande follia della terra è la speranza”8, divengono, alla visione di Gesù Bambino che ha Bariona, annuncio di speranza certa nella vittoria che Dio Padre ha offerto al mondo in Cristo: “Miei compagni, soldati di Cristo (…) voglio che moriate nella gioia. Il Cristo è nato, o miei uomini, e voi adempirete il vostro destino. Morirete da guerrieri come lo sognavate nella vostra giovinezza e morirete per Dio. Sarebbe indecente conservare questi visi accigliati. Andiamo, bevete un piccolo sorso di vino, ve lo permetto, e marciamo contro i mercenari di Erode, marciamo, sazi di canti, di vino, di speranza” 9. Ciò che Bariona proclama nella sua disperazione, l’uomo di oggi lo vive come non mai. Senza l’accoglienza del dono che viene dall’alto l’uomo precipita nella disperazione, in una angoscia esistenziale che lo vede forsennato costruttore di altari agli dèi falsi e bugiardi. Sintomi preoccupanti sono il ripiegamento su se stessi, il chiudersi alla vita, una impotenza alla esigenza di gratuità dell’amore, il liberarsi, lo svincolarsi dall’abbraccio misericordioso e amoroso di Dio, per consegnarsi nelle mani di altri uomini, “novelli tiranni”, dei quali diveniamo, nello stesso tempo, per assurdo, gli inconsapevoli collaborazionisti e le smemorate vittime di una nuova seppur antica schiavitù. Scriveva Giovanni Paolo II: “Non si può dimenticare che fu la negazione di Dio e dei suoi comandamenti a creare, nel secolo passato, la tirannide degli idoli, espressa nella glorificazione di una razza, di una classe, dello stato, della nazione, del partito in luogo di Dio vivo vero. È proprio alla luce delle sventure riversatesi sul ventesimo secolo che si comprende come i diritti di Dio e dell’uomo si affermino o cadano insieme” 10. Senza l’Emmanuele, il Dio-con-noi, il Dio vicino, come possiamo sostenere il pellegrinaggio dell’esistenza, sia singolarmente sia in quanto società e famiglia dei popoli? Dio non ci lascia soli nel cammino, “ma si pone al nostro fianco e ci indica la direzione. In effetti, non basta andare avanti, bisogna vedere verso dove si va! Non basta il “progresso”, se non ci sono dei criteri di riferimento. Anzi, se si corre fuori strada, si rischia di finire in un precipizio, o comunque di allontanarsi più rapidamente dalla meta. Dio ci ha creati liberi, ma non ci ha lasciati soli: si è fatto Lui stesso «via» ed è venuto a camminare insieme con noi, perché la nostra libertà abbia anche il criterio per discernere la strada giusta e percorrerla” 11. Un grazie riconoscente e sentito a Jean Paul Sartre per questa esplosione di speranza, e mi si conceda, di speranza cristiana, che illumina e guida gli uomini di buona volontà a ritrovarsi, da qualsiasi parte provengano, là dove è nato e nasce un bambino, per accoglierlo, custodirlo, difenderlo, proteggerlo dalla follia dei troppi erodi nemici di Dio e dell’uomo, nemici della vita. Un augurio che questa rappresentazione ci aiuti a capire che, in Cristo, la maledizione antica è divenuta benedizione; che il pane frutto della terra e del lavoro e del sudore dell’uomo, è divenuto cibo di vita eterna e il vino, frutto della vite e della fatica dell’uomo, bevanda di salvezza. Che possiamo ascoltare, senza essere scandalizzati e senza essere tentati di maledire, l’invito a quel sano “integralismo” che ci chiama ad essere pacifici “partigiani” della vita senza compromessi o condizioni: “A te. Cristo é venuto a dirti: lascia nascere il tuo bambino, soffrirà, è vero. Ma ciò non ti riguarda. Non aver pietà delle sue sofferenze, non ne hai il diritto. Lui solo avrà da fare con esse e ne farà proprio quello che vorrà, poiché è libero. Anche se è zoppo, anche se deve andare alla guerra e perderci le sue gambe o le sue braccia, anche se quella che ama dovrà tradirlo sette volte, è libero, libero di rallegrarsi eternamente della sua esistenza. (…) Dio non può nulla contro la libertà dell’uomo ed è vero. E allora dunque? (…) Il Cristo è nato per tutti i bambini del mondo (…) e ogni volta che un bambino sta per nascere, il Cristo nascerà in lui e per lui, eternamente per farsi schernire con lui da tutti i dolori e per sfuggire in lui e per lui da tutti i dolori eterni. Viene a dire ai ciechi, ai disoccupati, ai mutilati e ai prigionieri di guerra: non dovete astenervi dal far nascer dei bambini. Poiché persino per i ciechi e per i disoccupati e per i prigionieri e per i mutilati, c’è della gioia” 12. Nel nostro tempo, ci ha ricordato alcuni giorni fa il cardinal Tarcisio Bertone13, è stata ribaltata l’affermazione evangelica “la verità vi farà liberi”14 con un nuovo vangelo secolarizzato, agnostico, ateo, in cui a primeggiare è la libertà. Ma la libertà, come ci dicono gli stessi Evangeli, è un frutto che matura al sole della verità, quella verità che è Cristo stesso, il vittorioso crocifisso del Golgota, che nessuna pietra sepolcrale potrà mai sigillare. Non la negazione o la parodia di Lui e del Suo Evangelo; non i mestieranti del sacro, accomodati e accomodanti, paludati, nelle più svariate fogge, sempre pronti a recitare per molto, molto meno di trenta denari, l’ennesimo e sempre identico copione per il regista o il “burattinaio” di turno; non l’accidioso pessimismo dei nostalgici di un tempo che non è mai stato, né l’ipocrita e sornione ottimismo degli “emancipati”, vistosi, seducenti e sedicenti precursori di un tempo che non sarà mai. “La croce”, infatti, come ci ha ripetuto il Card. Joseph Zen Ze-Kiun, “il grande simbolo del cristianesimo, da strumento di punizione ignominiosa è diventata vessillo glorioso di vittoria. Ci sono atei coraggiosi che sono pronti a sacrificarsi per la rivoluzione: sono disposti ad abbracciare la croce, ma senza Gesù. Tra i cristiani vi sono «atei» di fatto che vogliono Gesù, ma senza la croce. Ora senza Gesù la croce è insopportabile e senza la croce non si può pretendere di essere con Gesù” 15. La messa in scena di Bariona o il Figlio del tuono, di Jean Paul Sartre, è occasione privilegiata e formidabile per fare memoria, quasi rivisitare, come pellegrini, i calvari che la malvagità umana continua ad erigere, calvari affollati di croci, e ognuna di quelle croci ha una storia da raccontare, storia di dolore e di gioia, di umiliazione e di trionfo, di morte e di risurrezione. Il pellegrinaggio di Bariona attraverso la disperazione per “il villaggio che sanguina (…) ove il nostro sangue più giovane cola in emorragia a cascata (…) villaggio che agonizza e puzza” 16, fino alla gioia per aver “ritrovato il tempo di combattere, il tempo delle messi rosse e dei ribes di sangue che stillano dalle labbra delle ferite” 17, ci riconduca a credere nella vita, a imparare di nuovo la speranza, dove l’uomo, denudato di tutto, si offre, senza paura all’altro e, in quell’offerta, inizia la sconfitta della solitudine antica, inferno dell’uomo, terribile minaccia per i nostri giorni. È invito a “rinascere”, ad attendere nella sofferenza lieta, perché sofferenza di parto, di “vedere la luce”. Dopo la lunga notte appena si fa giorno, il tuo regno nasce tra alte grida. (Edith Stein)18 ____________________________________ 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. Edith Stein , La scelta di Dio. Lettere (1917-1942), Roma 1973, p. 124. Antonio Delogu, INTRODUZIONE in Jean Paul Sartre, Bariona o il Figlio del tuono, Milano 2003, p. XXVI. Le théatre de A jusqu’ Z: J. P. SARTRE, intervista a cura di P-L Mignon, in «L’Avant-scène théatre», n. 402-3, speciale su Sartre, 1968, pp. 33-4. Jean Paul Sartre, Bariona o il Figlio del tuono, op. cit., pp. 90-92. G. Invitto, Sartre – Dio: una passione inutile, Padova 2001, p. 6. Antonio Delogu, INTRODUZIONE in Jean Paul Sartre, Bariona o il Figlio del tuono, op.cit., pp. XXVII-XXVIII. Georges Bernanos, Diario di un parroco di campagna, Milano 2008, p. 240. Jean Paul Sartre, Bariona o il Figlio del tuono, op. cit., pp. 27-28. Ibidem, p.117 Giovanni Paolo II, Messaggio per il 1200mo anniversario dell’incoronazione imperiale di Carlo Magno, in “L’Osservatore Romano” 17 dicembre 2000, p. 6. Benedetto XVI, Omelia nella Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, 22 maggio 2008, in “L’Osservatore Romano” 24 maggio 2008. Jean Paul Sartre, Bariona o il Figlio del tuono, op. cit., p. 107. Cfr. Tarcisio Bertone, Lectio Magistralis all’Università di Minsk in Bielorussia, in “L’Osservatore Romano” del 20 giugno 2008, p. 8 Giovanni 8,32. Joseph Zen Ze-Kiun, Meditazioni e preghiere per la VIA CRUCIS AL COLOSSEO, Venerdì Santo del 2008, Città del Vaticano 2008, p. 33-34. Jean Paul Sartre, Bariona o il Figlio del tuono, op. cit., p. 19. Ibidem, p. 114. Teresia Renata de Spiritu Sancto, Edith Stein, Brescia 1953, p. 251. ______________________________________________________________________ I festeggiamenti in onore della Madre dei Bimbi Il 21 a Cigoli di Nilo Mascagni “Parlare delle Feste del 21 a Cigoli è vivere l’incanto di amore e di devozione alla Madre dei Bimbi che ogni anno si rinnova, infiamma i cuori di speranza, di certezze di bene. Dalla Madre dei Bimbi si viene sempre volentieri, folle immense salgono il colle per raggiungere il Santuario, giovani, anziani, ma soprattutto famiglie con i bambini. E davanti a alla cara Madre la sua dolce immagine si fa già preghiera per i fedeli. Il miracolo del “21” a Cigoli, ma direi di sempre, è per i credenti il poter contemplare Maria. Intravedere, pregare, baciare e sostare, sia per un breve attimo, davanti alla sua amata e venerata icona accende nei fedeli la certezza di essere stati attesi, accolti, ascoltati, avvolti nelle sue dolce braccia come il diletto figlio suo Gesù. Venendo a Cigoli a venerare la Madre dei Bimbi ai pellegrini accade come a San Giovanni (il discepolo amato) cioè la certezza di poter vivere con essa, portarla, averla nelle proprie case, nelle proprie Famiglie. Appena poche settimane mons. Fausto Tardelli nostro Vescovo è stato nel contesto della visita dell’unità pastorale di Ponte a Egola, Stibbio e Cigoli - al Santuario della Madre dei Bimbi; la presenza e la parola del Presule di fronte a tantissimi bimbi e loro genitori è sempre viva e ardente nei cuori di tutti, e certo, saranno in tanti ha vlerla rivivere. E’ questo l’evento del “21” a Cigoli , la Madre dei Bimbi e gli episodi di vita ad essa correlati rimangono nei cuori, conforto, certezza, consolazione, speranza in un contesto sociale non sempre facile.” Ero andato a trovare don Taddei pochi giorni prima delle Feste del “21”. per potere fare una relazione sugli eventi e prospettive del “21” a Cigoli, in un conversazione, così – da amici – in sintesi (prima dell’intervista) sono sgorgate dal cuore di don Giampiero queste emozionanti parole. Fanno bene al cuore e … come tali le propongo. » Sul sito della diocesi, programma dettagliato All’insegna della solidarietà e della buona musica La festa della Fondazione CRSM La 15° Festa della Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato è stata (oltre che l’occasione per ascoltare la buona musica di Petra Magoni e Ferruccio Spinetti, anche l’occasione per raccogliere fondi per il progetto Solidarietà & Sorrisi finalizzato alla raccolta di fondi per la riqualificazione e l’ampliamento di Casa Verde, l’Istituto di Riabilitazione che eroga prestazioni sanitarie, assistenziali e di recupero, in vista dell’autonomia personale e dell’integrazione sociale, a soggetti affetti da gravi patologie della vita di relazione nell’età giovanile e dell’adolescenza. Il Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato, Alessandro Bandini, illustrando l’attività della Fondazione prima del concerto ha ricordato che “la Fondazione, ancora oggi è una delle poche in Italia a possedere la maggioranza delle azioni della banca conferitaria, riversa gli utili che le provengono da tale investimento, prevalentemente sul Comprensorio di riferimento, arrivando nel 2007 ad erogare contributi per oltre 4 milioni di euro.” “Per quanto riguarda il progetto Solidarietà e Sorrisi a favore di Casa Verde – ha aggiunto il Dotto Bandini - nei tre anni in cui è stato attivo ha raccolto oltre 83 mila euro di donazioni, a cui si sono aggiunti 161 mila euro di contributi istituzionale della Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato. “ Comunque- ha ricordato il Presidente Alessandro Bandini, dopo aver ringraziato i tanti volontari che in questi anni si sono adoprati per la riuscita del progetto- la strada è ancora lunga e tutti, Istituzioni e cittadini, dobbiamo fare la nostra parte perché Casa Verde possa essere sempre più e sempre meglio punto di riferimento per i ragazzi disabili del territorio e delle loro famiglie”. Maffei, Presidente della Fondazione Stella Maris, è intervenuto subito dopo per ricordare che proprio il giorno precedente sabato 5 luglio ha avuto luogo la cerimonia della posa della prima pietra dei lavori a Casa Verde e per ringraziare la Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato, il suo Presidente e tutti i donatori che in questi anni hanno reso possibile l’avverarsi di un sogno. _____________________________________ Tempo di vacanze Dopo mesi di lavoro e di studio, di impegni e di giornate uggiose avvertiamo il bisogno di un periodo di riposo. E' innegabile l'importanza e l'utilità che le vacanze ricoprono nella vita di ciascuno. Bisogna però stare in guardia che le vacanze diventino un appuntamento, una parentesi obbligatoria ed irrinunciabile solo per essere alla moda. Sembra quasi una delle tante forme di schiavitù psicologica a cui fatalmente ci sottomettiamo. Oggi i condizionamenti sociali sono diventati più asfissianti: è cresciuta la richiesta e diciamo pure, l'offerta del tempo libero. Corriamo il rischio di essere risucchiati dalla massa, di perdere la nostra libertà. Per noi si pone l’esigenza di preparare le vacanze in un'ottica cristiani. “Vacanze cristiane” sembrano termini inconciliabili. Lo diventano invece complementari se decidiamo di partire per i monti o per il mare solo con il corpo. Se così fosse,sarebbe una falsa partenza e creeremmo le premesse per un micidiale "blackout spirituale": salta così il nostro mondo interiore, si interrompono le comunicazioni con Dio, precipitiamo in un pericoloso semi-oscuramento! Il Magistero della Chiesa ci istruisce in questo senso: "Il tempo libero sia impegnato per distendere lo spirito, per fortificare la sanità dell'anima e del corpo..." (Gaudium et Spes n. 61). Noi cristiani corriamo la tentazione di dribblare l'opportunità di allestire vacanze cristiane, perché ci conformiano ai richiami mondani della pubblicità che la società fornisce a piene mani, piuttosto di dare ascolto alla Chiesa. Ma possiamo ancora recuperare: il tempo di Dio non conosce scadenze... Quest’estate però prendiamoci un impegno: preparando i bagagli, non dimentichiamo furbescamente la nostra anima. In fondo, non ci sottrae spazio. _____________________________________ Santa Maria a Monte Nel ricordo di Don Mannari La proposta di celebrare il prossimo 16 agosto il centenario della nascita del canonico Lelio Mannari non può che trovare il consenso della comunità cristiana di Santa Maria a Monte che lo ebbe come Proposto dal 1959 fino alla sua morte, avvenuta il 15 febbraio 1981. La sua figura di sacerdote merita di essere ricordata da chi lo conobbe ed essere proposta ai giovani che pur non avendolo conosciuto direttamente, ne hanno sentito parlare.Perché don Mannari ebbe più di un carisma che ne impreziosì la sua vicenda di uomo e di sacerdote. Difficile pensare a lui senza rammentare la fede incrollabile, l’amore smisurato per la Chiesa,il carattere estroverso,la profonda umanità e la simpatia. Ma anche la sua straordinaria passione per la cultura, di cui mai fece sfoggiò, ma la coltivò per gli altri e per consolidare le memorie del passato. In lui si percepiva il gusto del sapere ed il piacere di farne parte con gli altri. La sua era una cultura “diffusa” e la sua capacità di analisi strumento formidabile per leggere il mondo in chiave cristiana. Che dire poi del suo attaccamento a “La Domenica”? Egli fu un instancabile diffusore del nostro settimanale e della stampa cattolica in generale. Portò la parrocchia di Santa Maria a Monte al primo posto tra le comunità in cui “La Domenica” era diffusa. Le sue corrispondenze meriterebbero di essere rilette perché hanno contenuti di assoluto interesse ed attualità. Era un pulpito, quello della stampa, che non intendeva cedere ai nemici della fede. Eppoi si adoperò per l’associazionismo: fortificò la Confraternita della Misericordia con un obiettivo: almeno un inscritto in famiglia. E ci riuscì, impegnandosi personalmente a far crescere il numero dei confratelli e consorelle dell’associazione. Tante e tante altre iniziative scaturirono dalla sua mente e dalla sua passione religiosa e civile. Un altro tratto lo contraddistinse: seppe sempre distinguere l’errore dall’errante. Ed era capace di correggere con la simpatia e la schiettezza che ne fecero personalità apprezzata ed ascoltata. Per questo il centenario della sua nascita non può scivolar via, senza ricordare le sue non comuni doti e la sua straordinaria icenda di uomo di fede. _____________________________________