Il Caso e la Necessità: ancora su concorsi e procedure di selezione

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Il Caso e la Necessità: ancora su concorsi e procedure di selezione
Il Caso e la Necessità:
ancora
su
concorsi
e
procedure di selezione...
Ormai si tratta solo di buttare l’amo, prima o poi il pesce
arriva, perchè il mare dei concorsi e delle selezioni è
popolatissimo… succede che girando per le discussioni del
forum riservato dell’Ordine Veneto, ti imbatti per caso in un
thread dal titolo innocente, che inizia con uno dei
partecipanti che riporta un bando di selezione, ma quando ci
entri e ti leggi tutto la realtà è quantomento… beh, giudichi
il lettore: Caso o Necessità?
Dunque eccovi in differita l’AP-cronaca degli interventi, che
non trascriviamo letteralmente ma riassumiamo fedelmente::
In un primo intervento, inviato il 14/7/2008, un collega
segnala sul forum un “avviso di procedura comparativa per
l’individuazione di uno psicologo per lo svolgimento di
attività
presso
il
Dipartimento
di
Neuroscienze
dell’Università di Padova”. Scadenza:
15 luglio 2008.
Lo stesso collega, per maggior completezza, riporta anche il
link diretto al bando, che rimanda ad una pagina del sito
dell’università oggi vuota:
http://www.unipd.it/personale/collaborazioni/2008bandosquarzan
ti.pdf
Dopo un paio di mesi, il 13/09/2008, un altro collega invia un
post in cui fa notare che la selezione è stata vinta da una
persona che si chiama Squarzanti, lo stesso nome che figurava
in fondo all’indirizzo del bando!
Seguono ovviamente altri interventi, fra il divertito e lo
sconcertato, si tenta di sapere qualcosa interpellando un
collega che lavora in Università, che però dichiara di non
saperne nulla, e su tutti i messaggi riecheggia la domanda: ma
è una svista o è intenzionale? è un caso oppure era già tutto
deciso? Ingenuità o sfacciataggine?
Insomma: Caso o Necessità?
indubbiamente un bel quesito per il neo-incaricato collega
ricercatore e per gli illuminati selezionatori. Visto che i
soldi per finanziare queste iniziative sono dei contribuenti,
e cioè nostri, e visto che forse non possiamo sperare che
tutti i meritevoli abbiano le stesse possibilità di vincere,
speriamo che almeno servano a rispondere alla domanda che
tanti colleghi si pongono di fronte ai concorsi…
Caso o Necessità?
Gli Psicologi e le nuove
norme sulla Sicurezza nel
Lavoro
Con le recenti innovazioni normative circa la Sicurezza sul
Lavoro si aprono ampie possibilità di impegno lavorativo per
gli Psicologi. L’articolo del collega De Ambrogi descrive
puntualmente i termini di queste possibilità e, soprattutto,
sottolinea la necessità di far conoscere la competenza
precipua della nostra categoria in alcune specifiche aree
della “valutazione del rischio” e nell’intervento sulle
reazioni da stress lavorativo.
Non è un gran mistero che alcune competenze dello Psicologo
del Lavoro siano ampiamente ed impunemente offerte da
professionisti di altri settori che, nonostante alcune nostre
preziose vittorie legali (vedi), continuano a proporsi per la
selezione come per la valutazione del personale: troppo lungo
si è stati a guardare ed ora è forse tardi per correre ai
ripari e, comunque, occorreranno tempi lunghi e campagne
mirate (che tardano ulteriormente ad essere attivate) perché
entri nella cultura d’impresa che “laddove … il
“selezionatore” integri le informazioni riguardanti
l’esperienza professionale dei candidati con un profilo
psicologico compie atti tipici della professione di psicologo”
(Sentenza della Corte di Cassazione del 5 giugno 2006, “Caso
Platè”).
Circa le competenze attivabili in base al nuovo “Testo Unico
sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro” (D.Lgs 81/08) è allora il
caso che gli Ordini si muovano immediatamente per segnalare
localmente, alle imprese come ai sindacati, ciò che “dovrebbe
essere ovvio” ossia che le competenza per la valutazione del
Rischio Psicosociale sono precipue degli Psicologi. Ed è
importante che questo avvenga prima che altri più o meno
sedicenti professionisti annettano alle loro competenze anche
queste, con la conseguenza che domani sarà molto più difficile
modificare gli assetti che si andranno consolidando in questa
prima fase di applicazione della nuova legge.
AltraPsicologia
GLI PSICOLOGI E LE NUOVE NORME SULLA SICUREZZA NEL LAVORO
Recentemente è stato approvato il cosiddetto “Testo Unico
sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro” (D.Lgs 81/08).
In particolare alla Sezione II “Valutazione dei Rischi” l’art.
28 “Oggetto della valutazione dei rischi” recita al comma 1) :
“La valutazione di cu all’articolo 17, comma 1, lettera a),
anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle
sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella
sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i
rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi
compresi quelle riguardanti gruppi di lavoratori esposti a
rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress
lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo
dell’8 ottobre 2004, e quelli riguardanti le lavoratrici in
stato di gravidanza, secondo quanto previsto dal decreto
legislativo del 26 marzo 2001, n. 151, nonché quelli connessi
alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri
paesi.”
E’ mia impressione che tra molti colleghi serpeggi un certo
disappunto perché in questo T.U.
non vi è una chiara
indicazione della doverosità della valutazione di rischi
Psicologici o Psicosociali, e comunque un chiaro riferimento
alla Psicologia come disciplina di riferimento e allo
Psicologo come professionista obbligatoriamente coinvolto nei
momenti di valutazione e prevenzione a questi rischi per la
salute dei lavoratori. Se da un certo punto di vista questo
risultato sarebbe potuto sembrare auspicabile per delle ovvie
motivazioni di mercato del lavoro, dall’altro sarebbe stata
un’anomalia culturale e normativa.
In tema di sicurezza e di valutazione dei rischi, sono molte
le professionalità coinvolte a seconda delle lavorazioni,
delle condizioni ergonomiche e dei pericoli e dei rischi
specifici. Eppure nessuna di queste professionalità viene
esplicitamente citata nel T.U., né nel precedente famoso D.
Ls. 626. Non è infatti fatto obbligo al datore di lavoro di
avvalersi di questa o di quella professionalità, mentre è
fatto obbligo di dotarsi della migliore tecnologia disponibile
per la valutazione e la prevenzione, avvalendosi anche di
consulenti esterni qualora all’interno dell’azienda non siano
disponibili queste risorse. In sostanza non è compito del
legislatore definire quale sia la migliore tecnologia (nel
senso epistemologico del termine “tecnica”), anche perché la
tecnologia si aggiorna ed evolve continuamente e nessuna norma
potrebbe aggiornarsi tanto velocemente da permettere ai
lavoratori di godere dei migliori benefici concessi
dall’evoluzione tecnica. Al contrario è dovere dei
professionisti produrre la migliore tecnologia possibile,
mantenendo elevati standard professionali e di ricerca sul
tema.
Inoltre è importante sottolineare, che se da una parte è vero
che molti dei rischi per la salute dei lavoratori connessi
allo stress derivano di fatto dei pericoli psicosociali (a
titolo esemplificativo: mobbing, lavoro su turni, sovraccarico
lavorativo, etc…), dall’altra è anche vero che anche pericoli
di natura non psicosociale possono essere fonte di stress (ad
esempio: vibrazioni, forte rumore, etc…). Quindi
l’individuazione dello stress (che ricordiamo deve essere
fatta dal datore di lavoro congiuntamente all’RSPP, al RLS e
al medico competente) da parte dei professionisti detentori
della migliore competenza tecnologica appare una scelta
adeguata. Quando poi la fonte dello stress sarà di natura
psicosociale lo psicologo dovrà essere chiamato per misurare
la forza del pericolo e per progettare gli interventi di
prevenzione e gestione. Se invece la fonte dello stress
saranno le vibrazioni sarà più opportuno interpellare un
ingegnere o un fisico. Quindi lo psicologo può e deve essere
coinvolto negli interventi di valutazione, prevenzione e
protezione in ambito occupazionale, ma è anche difficile
incasellare in una definizione generica di tipo normativo gli
esatti confini di “chi fa cosa”.
Di fatto, al momento attuale, lo scenario di come si
muoveranno aziende, organi di vigilanza e sindacati, non è
ancora definito. Al momento sembra però probabile, che la
strada che verrà presa prevederà un primo momento di
valutazione della presenza di un possibile pericolo effettuata
dal datore di lavoro, il quale, ove dovesse riscontrare la
presenza del pericolo, potrà ricorrere a consulenti esterni
per misurare l’effettiva intensità del pericolo e valutarne i
rischi per la salute.
Appare invece poco probabile che un ingegnere o un medico del
lavoro andranno poi a effettuare questa valutazione più
approfondita. In primis perché non ne hanno le competenze, e
poi anche perché, banalmente, il tariffario di uno psicologo è
più basso di quello di un medico del lavoro. E’ quindi
improbabile che altre figure professionali possano soppiantare
lo psicologo in queste valutazioni: sembra più credibile che
il datore di lavoro non sappia che lo psicologo può dare una
risposta ad un suo bisogno e quindi non si rivolga ad un
collega bensì ad un economista o a un sociologo. Questo non
per cattiva fede del datore di lavoro e per intrusività di
altri professionisti, bensì perché da parte della nostra
categoria si nota una scarsa informazione e propositività
sull’argomento.
Importante in questo comma è anche il riferimento all’accordo
europeo dell’ 8 ottobre 2004, in cui si sottolinea cosa si
intende per stress, quali effetti può avere e quali interventi
sono necessari. Anche in questo accordo la figura dello
psicologo non viene indicata espressamente, ma i riferimenti
tecnici diretti a molti ambiti di pertinenza esclusivamente
psicologica sono molti e inequivocabili.
Infine è doveroso ricordare che la valutazione del rischio non
è l’unico momento della prevenzione, infatti, lo psicologo
dovrà essere coinvolto nella prevenzione secondaria e
terziaria, ovvero quando pericoli di qualunque natura anche
non psicosociale abbiano portato allo sviluppo di reazioni
psicopatologiche stress correlate, gli approfondimenti
diagnostici per la prevenzione secondaria, e le eventuali
terapie difficilmente potranno essere svolte da ingegneri o
tecnici della sicurezza. Semmai sarà fattore determinante per
poter essere come categoria professionale un interlocutore
credibile agli occhi di imprenditori, sindacati, medici, e
ASL, l’entrare nella logica della prevenzione sanitaria e
infortunistica in ambito occupazionale. Non basta essere un
bravo clinico, bisogna conoscere le norme, le procedure e le
logiche su cui si muovono i nostri interlocutori.
Quello che a mio avviso è il pericolo più grande non arriva
dalle altre figure coinvolte nella gestione della sicurezza e
salute dei lavoratori, bensì dagli stessi psicologi. Quello
che si teme è il proliferare di corsi di formazione su
tematiche di pertinenza esclusivamente psicologica rivolti a
non psicologi andando a ricreare anche in questo settore un
problema analogo a quello del counseling. Questo ovviamente
non deve portare ad una caccia alle streghe, è auspicabile che
tutte le figure coinvolte dal datore di lavoro al medico
competente passando per l’RSPP siano aggiornate sul ruolo, le
competenze e la tecnologia che lo psicologo può offrire.
Questo è necessario perché lo psicologo sia coinvolto quando
effettivamente si presenta il bisogno della sua consulenza.
Quindi ben vengano corsi ad altre figure, purché informativi e
finalizzati alla cooperazione, aspetto
qualunque intervento in questo settore.
fondamentale
per
Sarebbe auspicabile che non si verifichi una situazione in cui
i soliti noti vedano nel business della formazione una fonte
di reddito più interessante di quella delle consulenze, che la
nostra professionalità non venga svenduta e che le valutazioni
non vengano liquidate con un test fotocopiato somministrato
dalle R.U. piuttosto che dall’RSPP a tutto vantaggio del
risparmio ma a svantaggio della salute dei lavoratori.
In conclusione non mi sembra di ravvedere dei motivi di
insoddisfazione riguardo alla lettera del nuovo T.U.. Semmai
vedo delle lacune che potrebbero essere facilmente colmate
tramite semplici interventi come ad esempio:
–
accademici
l’attenzione alla tematiche degli ambienti
che possa produrre ricerca e innovazione
tecnologica,
–
l’impegno degli ordini professionali per la
vigilanza sulle violazioni del codice deontologico come
l’insegnamento a non psicologi di tecniche psicologiche;
–
l’impegno degli ordini professionali e delle altre
associazioni professionali e culturali per la formazione di
una cultura sull’argomento con l’istituzione di iniziative di
divulgazione per psicologi e non, così come alcuni Ordini come
quello del Lazio o del Piemonte hanno già fatto,
–
l’impegno di ogni psicologo interessato
all’argomento di formarsi continuamente e imparare a lavorare
in rete con figure diverse e in contesti a noi spesso poco
familiari come quello della sicurezza sul lavoro.
Nella speranza che questo intervento possa essere di stimolo
per ulteriori riflessioni, rimango a disposizione insieme allo
Staff di AP per accogliere qualunque richiesta di chiarimento
o critica costruttiva.
dott. Francesco De Ambrogi
Ancora
sui
truccat... ehm,
predeterminato”!
concorsi
ad “esito
Ed ora è arrivata la terza. Già, la terza segnalazione dello
stesso tenore: prima per un concorso all’inizio del 2007, in
una Residenza per Anziani in provincia di Rovigo. Poi in
un’ASL, sempre in provincia di Rovigo, per un posto da
psicologo specializzato. Ed ora questa: una collega ci scrive,
non proprio gentilmente, che nel tal servizio della tal città
di un ricco e onesto Nord-Est è stato indetto un concorso per
un posto da psicologo. E ci dice pure chi vincerà: nome e
cognome.
Che fare? La redazione è spaccata: pubblicare, non pubblicare,
segnalare all’Ordine, alla Guardia di Finanza, alle Guardie
Svizzere, alle Guardie Aupine… e alla fine, per ben due volte,
non se ne fa nulla: troppi rischi di sbagliare, di mettere
alla berlina le sane e incorrotte istituzioni sanitarie e gli
innocenti colleghi. Troppo timore di essere accusati di false
affermazioni, al limite della diffamazione.
E poi, per ben due volte, la sorpresa: le segnalazioni ci
avevano preso, nome e cognome del vincitore corridpondevano
con quanto segnalato.
Ed ora siamo alla terza. Che fare? Tentennare? Temere? Oppure
raccontare tutto? Abbiamo scelto un’oculata via di mezzo, che
speriamo sia utile per fare luce sul problema: chiuderemo
tutto quanto (nome, cognome, riferimenti per individuare il
concorso) in una bella busta chiusa, profumata di rose e
spedita per raccomandata con ricevuta di ritorno ad uno studio
legale di nostra fiducia, il quale riceverà la lettera ma non
l’aprirà fino alla fine del concorso. Se l’arrabbiata collega
ha indovinato il vincitore della lotteria sanitaria, ne daremo
ampio risalto sulle nostre pagine.
E come si dice, se son rose fioriranno… ai lettori l’invito a
seguirci nelle prossime puntate!
La Redazione
La
difficoltà
Volontariato
di
fare
Vorrei raccontare la mia esperienza di ‘aspirante’ volontario
Psicologo. Aspirante, sì, perché nonostante gli elogi
ampiamente espressi nei confronti del volontariato, pare che
nel nostro Paese si abbia difficoltà anche nel voler fornire
un’opera gratuita di aiuto. Almeno questo è quanto è successo
a me quando ho deciso, qualche tempo fa, di propormi come
Psicologo volontario per l’Asl 10 di Firenze. In breve, fui
gentilmente respinto.
Oltre che spiegare brevemente questa vicenda, vorrei anche
accennare alle difficoltà che ho incontrato in un’altra
esperienza che ho fatto più recentemente (nella prima metà del
2007) sempre nel tentativo di fare del volontariato.
La prima storia ha inizio alla fine del 2006: ero appena
fresco di specializzazione, cioè avevo da poco ottenuto il
diploma in psicoterapia e, non avendo ricevuto nessuna offerta
dall’associazionismo privato, decisi di mettermi in gioco nel
pubblico, nell’area più accessibile al momento, ovvero nel
volontariato presso qualche struttura nel campo della Salute
Mentale.
Per fortuna era ancora in tempo per fare domanda per il bando
pubblico che , se non ricordo male, scadeva a metà Novembre
del 2006, in cui l’Asl 10 di Firenze rendeva noto che erano
disponibili alcuni posti per operatori volontari nelle varie
specializzazioni sanitarie, tra cui, anche quella in
psicologia!
Il bando
nell’area
ma in un
considera
faceva riferimento a diverse sedi disponibili
della Salute Mentale. Siccome non abito a Firenze,
paesino vicino (non tanto vicino in realtà, se si
che non c’è una stazione ferroviaria in paese), mi
avrebbe fatto comodo una sede più vicina a casa, e in effetti
nel bando c’era un posto disponibile per Psicologo nel più
accessibile Borgo S. Lorenzo. Per concorrere al posto
occorreva essere specializzati e io appunto ho una
specializzazione ottenuta presso una scuola privata
riconosciuta dal Ministero competente. Nel bando, per Borgo S.
Lorenzo non si indicava che tipo di specializzazione lo
Psicologo dovesse avere, e così nella mia domanda indico come
sede preferita di destinazione quella di Borgo S. Lorenzo.
Una volta presentata la domanda aspetto un esito.
Passano i giorni e le settimane ma non ho alcuna notizia, così
a
fine
Gennaio
del
2007
decido
di
telefonare
all’amministrazione presso cui ho presentato la domanda. La
risposta è questa: la mia richiesta è stata respinta perché
non sono specializzato in psicologia clinica!
Ammesso avesse un senso per un posto (temporaneo) di
volontariato distinguere fra Psicologo clinico e Psicologo –
psicoterapeuta, perché questa difficoltà non mi è stata fatta
presente prima (ho fatto domanda alcuni giorni prima che
scadesse il bando) e magari mi venisse proposta una sede dove
uno psicoterapeuta fosse ben accetto (e nel bando c’era almeno
una sede dove effettivamente questa figura era richiesta)? Io
stesso avrei indicato più sedi se nella domanda fosse stato
possibile indicare più di una preferenza.
Come è andata invece non ho potuto fornire un servizio
gratuito qualificato. Chiedo allora: i
servizi di salute
mentale della Toscana sono così efficienti e produttivi da
fare a meno di professionisti volontari? Oppure, in Italia,
anche i posti di volontariato sono beni preziosi da spartirsi
in modo competitivo e non del tutto trasparente?
Devo ammettere che la vicenda mi rattristò un po’, ma non mi
arresi subito. Infatti decisi di rivolgermi al volontariato
privato. Presso una bacheca del Dipartimento di Psichiatria di
Firenze ho trovato affisso il volantino di un’associazione di
familiari di persone con cerebropatie acquisite, in cui si
richiedeva l’operato di volontari. Mi metto in contatto con
loro e la responsabile dell’associazione accoglie prontamente
la mia richiesta di volontariato. Anzi, più che prontamente:
le persone cerebrolese che mi indica come bisognose di un
sostegno sono diverse. Sono tutte seguite presso servizi
pubblici e privati competenti, ma quello che percepisco
parlando con la responsabile è che ciò non è sufficiente, che
c’è un vissuto di disagio sia dei pazienti che dei familiari
non accolto e sostenuto dalle istituzioni. La necessità di un
sostegno psicologico è molto sentita, oltre a un supporto più
specifico nella riabilitazione neuropsicologica. Essendo uno
Psicologo che mi interesso di neuropsicologia decido di dare
un contributo non occasionale e propongo di fornire un aiuto
nella riabilitazione,
dall’associazione.
il
che
viene
accolto
volentieri
Per fornire un valido aiuto nella riabilitazione
neuropsicologica non si può operare autonomamente senza il
concerto delle altre figure professionali mediche. Un
presupposto che quindi chiedevo prima di intervenire era
quello di poter parlare brevemente col medico specialista che
aveva in cura la persona, e avere, col consenso dei familiari,
alcuni informazioni essenziali sulla sua situazione clinica,
quasi sempre molto seria.
Ebbene, quando ho cercato in due casi diversi di parlare con
tali figure, non ho ottenuto risposta. Solo in un altro caso
ho ricevuto disponibilità telefonica da parte di una
logopedista, e così ho potuto intraprendere un intervento
domiciliare volontario. E’ stata un’utile collaborazione, che
ha ricevuto un apprezzamento da parte del paziente e dei
familiari, che hanno percepito un significativo miglioramento
comportamentale.
Purtroppo, dopo un paio di mesi ho interrotto perché per fare
l’intervento dovevo recarmi dal mio paesino fino a Pistoia!, e
usando i mezzi pubblici questo era una vera odissea.
In conclusione, posso dire che nei miei sforzi non sono stato
certo sostenuto, anzi posso azzardarmi a dire di essere stato
ostacolato, e questo non solo per motivi burocratici e
contingenti, bensì anche, almeno è l’impressione, per
interessi di parte. Spero che un giorno, quando avrò
un’occupazione, possa riprendere con serenità l’impegno del
volontariato, per l’arricchimento personale che dà e per la
sua innegabile utilità sociale.
Alessandro Lopez
Le norme per l'equipollenza
dei titoli
Con la Legge n. 31 del 28 febbraio 2008 (Decreto detto “Mille
Proroghe”) si stabilisce con chiarezza, finalmente,
l’equipollenza dei titoli per l’accesso ai concorsi presso il
servizio sanitario nazionale.
In poche parole, si è messo definitivamente al bando il
paradosso per cui, fino ad oggi, i colleghi specializzatisi
presso le Scuole di Psicoterapia Private Accreditate avevano
le stesse possibilità in campo di lavoro autonomo, rispetto a
chi aveva ottenuto una specializzazione universitaria (cioè
potevano
definirsi
e
lavorare
privatamente
come
psicoterapeuti), ma non le medesime opportunità in campo
pubblico. I due titoli venivano considerati equivalenti,
infatti, solo nei concorsi del SSN per la disciplina
“Psicoterapia”, mentre per la disciplina “Psicologia” il
titolo rilasciato dall’Istituto Privato Accreditato non
permetteva l’accesso al concorso.
Ci si trovava, perciò, di fronte all’assurdità per cui un
laureato in Psicologia, con alle spalle 5 anni di studi
specificamente mirati all’acquisizione di conoscenze in tale
scienza a cui aveva aggiunto almeno altri 4 anni di
specializzazione (privata riconosciuta) in Psicoterapia, aveva
meno diritti di un medico con specializzazione (pubblica) in
Psicologia Clinica o similari. In poche parole, 9 anni di
studi specifici venivano considerati meno abilitanti di 4.
In verità si era, già in passato, cercato di superare questa
situazione. L’articolo 2, comma 3, della legge 29 dicembre
2000, n. 401, infatti, recitava: “Il titolo di
specializzazione in psicoterapia, riconosciuto, ai sensi degli
articoli 3 e 35 della legge 18 febbraio 1989, n. 56, come
equipollente al diploma rilasciato dalle corrispondenti scuole
di specializzazione universitaria, deve intendersi valido
anche ai fini dell’inquadramento nei posti organici di
psicologo per la disciplina di Psicologia e di medico o
psicologo per la disciplina di psicoterapia, fermi restando
gli altri requisiti previsti per i due profili professionali”.
Perché, allora, è stata necessaria l’ultima uscita normativa?
Perché è accaduto che i colleghi psicologi venissero esclusi
dai concorsi (quei pochi che ci sono stati) per Psicologo
presso il Servizio Sanitario Nazionale perché le ASL (e i
tribunali) hanno dato un’interpretazione restrittiva della
legge del 2000 intendendo riferita l’equipollenza alle sole
ipotesi di “inquadramento in organico” del personale già in
servizio e fino ad allora precario.
Su queste questioni gli Psicologi hanno perso tutti i ricorsi
proposti ai Tribunali Amministrativi e al Consiglio di Stato e
quindi non hanno più potuto partecipare ai concorsi
(ripetiamo: pochissimi) per Dirigente Psicologo se non avevano
anche la specializzazione universitaria e – spesso – le scuole
di specializzazione private hanno giocato sull’ambiguità del
testo di legge del 2000 per dichiarare, sui loro opuscoli, la
piena equipollenza di un titolo che ancora non lo era.
Attualmente, invece, all’articolo 24-sexies della citata legge
31/08 (titolato proprio equiparazione di titoli ai fini
dell’accesso ai concorsi presso il Servizio sanitario
nazionale e vigilanza sull’Ordine nazionale degli psicologi)
si evita ogni dubbio interpretativo e si dichiara: “I titoli
di specializzazione rilasciati ai sensi dell’articolo 3 della
legge 18 febbraio 1989, n. 56, e il riconoscimento di cui al
comma 1 dell’articolo 35 della medesima legge, e successive
modificazioni, sono validi quale requisito per l’ammissione ai
concorsi per i posti organici presso il Servizio sanitario
nazionale, di cui all’articolo 2, comma 3, della legge 29
dicembre 2000, n. 401, e successive modificazioni, fermi
restando gli altri requisiti previsti”
Questa, che viene salutata come una grande conquista, è una
grande ingiustizia risanata; una volta ancora gli psicologi
hanno dovuto lottare per ottenere qualcosa che, a lume di buon
senso, dovrebbe essere del tutto ovvia, cioè riaggiustare una
disparità fra colleghi con specializzazioni equivalenti per il
titolo rilasciato ma diverse nella sostanza in quanto alcune
trattate come “con più diritti” di altre.
Un’ingiustizia che arrivava a far ritenere meno preparato chi
aveva 9 anni di formazione in Psicologia (nella sua generalità
e in alcune sue specifiche applicazioni) rispetto a chi ne
aveva solo 4 (come ad esempio i Medici con diploma di
specializzazione pubblico). Un’assurdità che si è resa ancora
più palese quando la Corte di Cassazione ha definito che i
laureati in Medicina non hanno diritto all’accesso alla
specializzazione in Psicologia Clinica, che doveva intendersi
riservata ai soli laureati in Psicologia.
Con una sentenza che determina quanto avrebbe dovuto ritenersi
già ovvio e con un’ulteriore legge che ribadisce ciò che
avrebbe dovuto sembrare evidente (con vari passaggi
legislativi, quindi, e molti anni persi), si ristabilisce a
posteriori (è infatti da capire cosa accadrà dei concorsi già
banditi con le vecchie regole ma non ancora espletati) una
giustizia che avrebbe dovuto essere garantita fin dal
principio per evidenti motivi logici.
A questo punto, però, ci ritroviamo di fronte ad un ulteriore
non-senso causato dalle confusioni legislative in cui ci siamo
trovati a navigare negli ultimi decenni: medici assunti
tramite concorso nella ASL grazie a quelle specializzazioni a
cui, oggi, si ritiene non possano accedere e psicologi esclusi
da quegli stessi incarichi che, oggi, vengono resi loro
accessibili.
Quanto è costato e continua a costare ai nostri colleghi
questa ennesima assurdità? Quanto ha inciso in termini di
posti di lavoro non attribuiti, incarichi non presi, accessi
negati? Quanto in frustrazioni, dubbi di identità, burnout,
rinunce alla professione?
Ancora una volta, una vittoria che, purtroppo, ha il sapore
della sconfitta tardivamente riparata.
La
Psicologia
vista da fuori
Scolastica
Sulla questione della psicologia scolastica vorrei offrire il
punto di vista del giurista. Svolgo infatti la professione di
Avvocato dello Stato, fra le cui funzioni rientra la
consulenza giuridica alle istituzioni scolastiche statali.
Opero in un distretto molto “popoloso” di scuole statali (sono
oltre 700). Da anni mi occupo di formazione per i dirigenti
scolastici a livello nazionale, per conto del Ministero della
Pubblica Istruzione e della sua Agenzia di formazione (Agenzia
Nazionale per lo Sviluppo dell’Autonomia Scolastica).
Le questioni che i dirigenti scolastici pongono attengono
sempre più spesso alle relazioni scuola-genitori ed alle molte
implicazioni giuridiche di tali relazioni: fra queste rientra
la corretta gestione di iniziative di ascolto e di consulenza
coinvolgenti gli alunni,
nella misura in pongono problemi
circa l’espressione del consenso dei genitori alla fruizione
di esse da parte degli studenti minorenni, circa la ricaduta
“privacy” di tali iniziative, circa la divisione delle
competenze fra i docenti e gli altri consulenti esterni
chiamati ad operare all’interno della scuola.
Tralasciando la questione dell’esercizio abusivo della
professione (di rilievo penale, ex art 348 c.p.), penso che
occorra comunque prendere atto che nella professione
psicologica è più difficile – almeno nella percezione comune,
non tecnica – tracciare il confine tra le attività che
rientrano nella definizione dell’art. 1 della Legge n. 56/89 e
che per ciò sono riservate allo psicologo e quelle che non lo
sono. L’ascolto e la funzione di aiuto alla persona sono
elementi necessari della professione dello psicologo ma non
sono certamente caratterizzanti, dal momento che sono presenti
istituzionalmente in molte altre professioni (ad es. in quella
di avvocato) ed anche nella professione del docente.
L’affollamento di professioni e professionisti che insiste
sulla medesima relazione (principalmente quella tra scuola ed
alunni e tra scuola e genitori) con la medesima finalità (il
complessivo benessere dell’alunno) rende particolarmente
difficile per il dirigente scolastico la distinzione fra scopi
e ruoli rispettivi, in un contesto nel quale spesso i docenti
esprimono una naturale resistenza all’accettazione
dell’intervento psicologico, dichiarato come tale, per la
paura di un’eccessiva “medicalizzazione” della relazione con
lo studente.
D’altro canto, le scuole sono sempre più costrette in ogni
ambito della loro azione a prendere decisioni rapide
(a
partire dal D.P.R. n. 275/1999 si è riversata sulla scuola
statale, ad organico invariato, una quantità incredibile di
funzioni amministrative in precedenza svolte dai
Provveditorati agli studi): non è funzionale per loro
distinguere le azioni soltanto in base agli strumenti
utilizzabili o utilizzati dal consulente esterno, in modo da
riservare agli psicologi gli interventi che comportano l’uso
di strumenti di tipo psicologico, appunto.
Le scuole tuttavia hanno due esigenze, che corrispondono ad
altrettanti doveri giuridici di comportamento. E sono molti, a
mio parere, i dirigenti scolastici che ne sono consapevoli. Da
un lato c’è un’esigenza di trasparenza interna, sul piano
organizzativo: essa impone chiarezza nella definizione dei
ruoli, dei compiti, delle responsabilità – e dei reciproci
confini – delle persone che operano nella scuola, siano esse
dipendenti, siano collaboratori esterni. Ciò significa
chiarezza già nel contratto di conferimento dell’incarico al
collaboratore esterno e nettezza nella gestione del
coordinamento di questo con il personale della scuola o con
altri collaboratori esterni. Dall’altro lato, c’è un’esigenza
di trasparenza esterna, sul piano della relazione scuolafamiglia: essa impone la necessità di informare i genitori e
gli alunni (questi soprattutto nella scuola superiore) circa
la propria azione, sia quella didattica, sia quella ad essa
strumentale, alla quale appartengono le mille iniziative di
aiuto, sostegno e supporto agli alunni, ma anche ai genitori
ed ai docenti. La legge prevede due “documenti” aventi lo
scopo di “contenere“ e diffondere tali informazioni: si tratta
della Carta dei servizi scolastici
(art 11, D.Lgs. n.
286/1999 e D.P.C.M. 7 giugno 1995, da intendersi ancora in
vigore per effetto della previsione contenuta nell’ultimo
comma del predetto art. 11) e del POF cioè il Piano
dell’offerta formativa (art. 3 D.P.R. n. 275/1999), i quali
nell’insieme devono dare conto alle famiglie ed alla
collettività delle iniziative di tipo didattico, ovviamente,
ma anche educative ed in generale di servizio che la scuola si
determina ad offrire. Il fatto che la scuola pubblica possa
discrezionalmente e unilateralmente decidere il contenuto e le
modalità di erogazione del servizio scolastico, prescindendo
dal consenso dei genitori (da ultimo. Corte di Cassazione,
Sezioni Unite, Ordinanza 05/02/2008 n. 2656), non significa
negare il diritto di questi ad una informazione chiara,
precisa e comprensibile delle iniziative programmate dalla
scuola, delle loro finalità e natura, dei professionisti
coinvolti e della tipologia di strumenti potenzialmente
utilizzabili.
La questione del ruolo e delle funzioni dello psicologo a
scuola può allora essere aiutata, a legislazione invariata,
dalla tipizzazione degli interventi che le istituzioni
scolastiche sono solite attivare. Esemplificando, le scuole
primarie si occupano prevalentemente di disturbi specifici di
apprendimento (DSA); le scuole superiori di disagi
adolescenziali, dipendenza da droghe, alcool, ecc. attraverso
l’attivazione dei Centri di informazione e consulenza (CIC) di
cui all’art. 106 del D.P.R. 309/1990. Tutte si occupano di
prevenzione del bullismo. Tutte dovrebbero occuparsi degli
aspetti psico-relazionali dell’organizzazione del lavoro (a
cominciare dalla rilevazione dei rischi psico-sociali) imposta
dalla corretta applicazione del D.Lgs. n. 626/1994. Sarebbe
allora utile individuare delle tipologie ricorrenti di
intervento per ordine di scuola, aiutando le stesse ad
“utilizzare” -necessariamente in tali ambiti tipizzati – uno
psicologo, con esclusione per la parte di stretta competenza
professionale di altre professioni, ivi inclusa quella
docente.
Ciò non significherebbe certo escludere i docenti dalla
relazione con lo studente o con la sua famiglia, ma
riporterebbe l’attività di questi nell’alveo di quella
professione, creando con essa opportune sinergie professionali
ed evitando possibili sconfinamenti reciproci.
Il tutto sul presupposto che in tali interventi l’attività di
sostegno alla persona che ne costituisce la premessa si
qualificherà come psicologica,
essendo diretta alla
predisposizione e gestione di percorsi di prevenzione o di
recupero da situazioni di disagio ed intrecciandosi
inesorabilmente con la descrizione e la valutazione di
personalità così da sfociare quindi in una diagnosi
psicologica.
L’uso deciso dell’aggettivo “psicologico” sin dalla fase di
ideazione degli interventi in questione, inoltre, aiuta ad
evitare ambiguità a cascata circa la natura dell’intervento.
La chiarezza dei destinatari degli interventi (personale,
genitori, alunni) e la chiara declinazione dei reciproci
obblighi e responsabilità nel testo contrattuale tra scuola e
professionista psicologo è inoltre idonea ad “aiutare”
l’applicazione di doveri anche deontologici quali quelli
derivanti dall’obbligo per lo psicologo di chiarire la natura
e la finalità dell’intervento al destinatario della
prestazione ogniqualvolta questo sia diverso dal committente e
di acquisire il consenso dei genitori in caso di destinatario
della prestazione minorenne.
Il tutto, attraverso linee di azione che aiutino anche alla
corretta gestione in termini privacy degli interventi, tenendo
conto che, se da un lato la natura pubblica delle istituzioni
scolastiche esonera le stesse dalla richiesta del consenso (al
trattamento dei dati personali) da parte di studenti e
genitori (art 18 ss D.Lgs. 196/2003), dall’altro lato
l’appartenenza della professione psicologica alle professioni
sanitarie impone allo psicologo di richiedere ed ottenere il
consenso informato degli interessati anche ai fini prvacy (art
75 ss D.Lgs. 196 e art 31 del Codice deontologico).
Si potrebbe poi fare di più: entrando maggiormente nei
dettagli del tipo di intervento, si aiuterebbero le scuole a
scegliere tra le varie professionalità psicologiche quella più
adatta all’intervento stesso (aiutandole a distinguere ad
esempio la specificità della competenza dello psicologo
dell’età evolutiva da quella dello psicologo del lavoro).
Sarebbe una linea di azione che andrebbe a vantaggio della
categoria, ma soprattutto dei destinatari degli interventi.
Infine, persino la nota autoreferenzialità del contesto
scolastico può divenire una risorsa: vista in positivo, questa
auroreferenzialità aiuta la circolazione interna delle
informazioni e delle medesime “buone pratiche”.
Un esempio di circolazione fattiva in questo senso è la
piattaforma di formazione in servizio rivolta ai Dirigenti
scolastici (www. Indire.it – area Formazione per dirigenti
scolastici
“Gestire la scuola” e a breve area
“”FORdirigenti”). Una collaborazione stretta tra organismi a
rilevanza pubblica, strutture centrali e periferiche della
scuola e Ordine professionale, potrebbe innescare un gioco a
somma maggiore di zero per tutti gli attori. Forse più e
meglio di qualche sporadico intervento normativo. E comunque
nella sua attesa.
Avv. Laura Paolucci
Costi d'iscrizione e coerenza
degli Ordini
Sono passati quasi due anni da quando, il 20 aprile del 2006,
Nicola Piccinini pubblicava su Opsonline un articolo
intitolato “Ordine Sicilia, legge 56/89 e Codice Da Vinci”.
L’intervento in questione riprendeva scherzosamente, ma non
troppo, un mio post pubblicato nel forum dello stesso sito
qualche giorno prima, sempre scherzosamente, ma sempre non
troppo, con lo stesso titolo.
Dopo tutto questo tempo nulla è cambiato in merito al grande
punto interrogativo che campeggia sull’applicazione reale,
etica e meritocratica in Sicilia della legge che definisce la
nostra professione (per capire meglio sarebbe il caso di
andare a dare un’occhiata di persona a questo indirizzo:
http://www.ordinepsy.sicilia.it/pagine/professional/norme/l_56
.html. Notate qualcosa di strano nel titolo della pagina ?).
Scorrendo le lussuose pagine patinate di “Psicologi &
Psicologia in Sicilia”, la rivista ufficiale dell’ordine
regionale, si possono apprezzare gli editoriali puntualmente
sgorganti dalla penna di Fulvio Giardina, l’intramontabile
presidente dell’ordine siculo, nonché attuale segretario del
Consiglio Nazionale degli Ordini degli Psicologi. Uno dei temi
più cari al “nostro” sembra essere la condizione occupazionale
degli psicologi siciliani, soprattutto dei giovani, al punto
da portarlo a indire, per il 2008, una serie di incontri
itineranti, provincia per provincia, vertenti sull’argomento
“orientamento alla professione di psicologo”, dedicata agli
iscritti all’albo da meno di cinque anni. Non un solo articolo
di Giardina manca di lamentare la cronica carenza di
possibilità lavorative per gli psicologi siciliani, e
soprattutto per i giovani che si affacciano alla professione
che lui stesso definisce “…una delle ultime professioni
“romantiche” (virgolette sue) in questa epoca globalizzata e
tecnologizzata”.
Che belle parole… Ero un romantico professionista e non me
n’ero mai accorto!.
Con 4200 iscritti all’albo (circa, perché pare non sia
possibile averne un numero definitivo, altro punto
interrogativo!) all’inizio del 2008, la Sicilia sforna a ciclo
industriale una spropositata quantità di psicologi da circa
vent’anni.
Come dice Giardina in uno dei suoi editoriali: “Sono ancora
troppi i giovani colleghi che non riescono a trasformare la
propria competenza in reddito sicuro per il proprio avvenire.”
E saranno sempre di più, caro Fulvio, lo sai meglio di me. Non
possiamo permetterci di produrre altri psicologi. In Sicilia
il mercato del lavoro per gli psicologi era saturo già prima
di nascere, ora è in coma irreversibile. La maggior parte dei
giovani abilitati resta a carico dei genitori ancora per molti
anni dopo l’iscrizione all’albo. Molti si accontentano di
lavoretti per i quali sono sovraqualificati, sottopagati
(quando non costretti a lavorare direttamente gratis, dietro
una vaga promessa di qualche astratta “possibilità in
seguito”) o decidono di fare tutt’altro lavoro o addirittura
di emigrare. Le prospettive per il futuro sono un lontano
puntino luminoso in una notte buia e tempestosa e, se a questa
situazione si aggiunge anche l’esasperata ed esasperante
logica clientelare che pervade praticamente qualsiasi area
lavorativa, pubblica e privata, in Sicilia, è facile
concludere che il poco lavoro che c’è va per giunta sempre ai
soliti noti, come afferma lo stesso Giardina in un altro suo
intervento: “… il 17% degli iscritti all’Ordine siciliano (il
numero cioè dei colleghi che operano all’interno del S.S.N.
siciliano) svolge l’attività di quasi il 70% di tutti gli
iscritti all’ordine, in una condizione di asimmetrica
concorrenza professionale, rendendo ancora più precaria e
difficile la possibilità di organizzare la propria vita
professionale da parte dei giovani iscritti.”
Sante parole. Giardina Santo Subito!
Non a caso ho citato la Santità. Ricordate la parabola della
“pagliuzza nell’occhio di tuo fratello e della trave nel tuo
occhio”? In un altro dei suoi editoriali, parlando delle
inqualificabili condizioni retributive e pensionistiche in cui
la nostra categoria versa, Giardina scrive ancora: “… L’ENPAP…
…non si è mai calata nella triste realtà dei giovani colleghi
i quali molto spesso sono costretti a nascondere i loro primi,
e miseri, introiti, perché altrimenti verrebbero gravati di
spese al momento non sostenibili.”
Invece l’ordine della Sicilia ci si è calato, nella triste
realtà dei giovani colleghi, ma ancor di più si è calato negli
ancora più tristi conti correnti, dei giovani colleghi. A
fronte, infatti, della poetica litania di richiami alla
difficile condizione economica dei giovani psicologi
siciliani, l’ordine regionale ha avuto il coraggio (ho deciso
di usare questo termine, perché mi sono immedesimato in loro;
ho empatizzato e ho concluso che bisogna avere veramente degli
“attributi così” per prendere una decisione del genere) di
chiedere agli iscritti un ulteriore sacrificio.
Avete notato anche voi come in Italia sono sempre quelli che
stanno meglio a chiedere sacrifici a quelli che stanno peggio
e mai il contrario?
Di chiedere, in altre parole, il non-chiedibile.
Vorrei ora chiedere io qualcosa al consiglio regionale
dell’ordine siciliano: QUANTO È ROMANTICO AUMENTARE DI 10 EURO
IN UN SOLO ANNO LA TASSA D’ISCRIZIONE, PASSANDO DAI DISINVOLTI
160 EURO DEL 2007, AGLI SFACCIATI 170 EURO DEL 2008, IN UNA
REGIONE IN CUI, COME CI RICORDA GIARDINA IN UN ALTRO DEI SUOI
EDITORIALI, GLI PSICOLOGI, SOPRATTUTTO I GIOVANI, FANNO UNA
FATICA BESTIA PER TROVARE UNO STRACCIO DI “… spazio al sole…”?
Prima di scrivere questo intervento, ho telefonato alla
segreteria dell’ordine per chiedere le informazioni necessarie
per fare due conti. Sono riuscito a farmi dire solo il numero
attuale, e approssimativo, come sopra ricordato, degli
iscritti. Quando ho chiesto alla persona con cui ho parlato il
numero degli iscritti per la prima volta delle sezioni A e B
per il 2007, mi sono sentito rispondere che non era
un’informazione che poteva darmi su due piedi, e che per poter
fare una ricerca del genere aveva bisogno di un permesso
speciale. Un permesso speciale per dirmi quanti nuovi iscritti
ci sono stati nel 2007? E a chi avrebbe dovuto chiedere il
permesso il segretario, per una fesseria del genere? E se
avessi chiesto di vedere l’intero bilancio, da chi mi sarei
dovuto far raccomandare? Dal grande “Totò vasa vasa”*?
In forza delle considerazioni suesposte, chiedo all’ordine
degli psicologi della Sicilia:
1) Che il bilancio d’esercizio annuale sia reso pubblico
tramite il relativo sito web, se non a tutti gli utenti,
almeno agli iscritti all’albo.
2) Che la riduzione del 50% della quota di iscrizione annuale
sia estesa, coerentemente con la pianificazione del percorso
professionale delineata dallo stesso presidente (vedesi
sopra), ai primi cinque anni di iscrizione all’albo, e non
limitata solo al primo.
3) Che si faccia una seria campagna informativa sulle
condizioni lavorative ed economiche degli psicologi siciliani
rivolta agli iscritti all’ultimo anno delle scuole superiori
di tutta la regione.
Sono contrario al numero chiuso (o programmato, che dir si
voglia) all’università ma, se uno studente che esce dalla
scuola superiore deve suicidarsi professionalmente, ha il
diritto – quanto meno – di farlo in maniera consapevole e non
dopo essere finito nella rete dell’iscrizione all’albo,
altrimenti, a voler pensare male, si potrebbe concludere che
chi dovrebbe fare un serio orientamento pre-universitario non
faccia un bel niente e lasci gattopardescamente che tutto
rimanga com’è per difendere i consueti interessi di casta.
Prima di riportare la classifica degli ordini regionali per
costo della tassa d’iscrizione 2008, ho una quarta richiesta
per l’ordine della Sicilia. Mi ispiro sempre agli scritti di
Giardina – che a proposito del recente cambio di sede
dell’ordine regionale scrive: “Gli spazi lavorativi… … che
caratterizzano il nostro Ordine, e non ultimo il decoro ed il
prestigio della sede, che – in ogni caso – è rappresentativa
della nostra professione” – e mi chiedo come mai tante
persone, anche dotte, facciano fatica a capire che oltre alla
realtà concreta bisogna ormai misurarsi anche con la realtà
virtuale: ciò che vale per il decoro e il prestigio di una
sede in presenza, vale anche per la sede a distanza, cioè per
il sito web. Visitando i siti di tutti gli ordini regionali e
provinciali d’Italia, posso dire di non aver visto degli
esempi di lavori avveniristici o particolarmente accattivanti,
ma nella maggior parte dei casi erano senza infamia e senza
lode. Tranne due: il sito (guarda caso) della Sicilia,
superato in bruttezza solo da quello delle Marche.
La cosa strana è che la Sicilia e le Marche (il cui presidente
è, guarda caso, anche lui nell’Ufficio di presidenza del
Consiglio Nazionale dell’ordine come tesoriere) sono tra le
regioni con la tassa più alta per il 2008. Lungi da me l’idea
di dare lezioni a un ordine che non pago, ma a quello che pago
vorrei suggerire di assumere un vero webmaster e di rifare
dalle fondamenta un sito che in quanto a prestigio e a decoro
ha veramente poco (o molto, secondo i punti di vista) da dire.
E non mi si venga a raccontare che mancano i soldi per farlo,
perché con quelli che entreranno nelle casse dell’ordine
siciliano nel 2008 il sito potremmo farcelo fare, forse, da
Bill Gates in persona.
E ora, la classifica del costo d’iscrizione all’ordine per il
2008:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Marche: 180 euro
Abruzzo e Sicilia: 170 euro
Emilia Romagna e Piemonte: 165 euro
Basilicata e Friuli Venezia Giulia:
Liguria: 158 euro
Puglia: 157 euro
160 euro
7. Campania, Toscana e Veneto: 155 euro
8. Calabria: 150 euro
9. Lombardia e Lazio: 145 euro
Per quanto riguarda la Sardegna e Bolzano sono riuscito a
sapere solo che la quota ridotta per il primo anno è di 90
euro per entrambi gli ordini, e dato che di solito la
riduzione è del 50% presumo che la quota per gli altri anni
sia di 180 euro. L’ordine della provincia di Trento ha il sito
in manutenzione al momento in cui scrivo. Non sono riuscito ad
avere, dal web, nessuna informazione sugli ordini di Umbria,
Molise e Val d’Aosta..
Enzo Artale
Bibliografia
Psicologi & Psicologia in Sicilia, anno VIII – n. 3 – ottobre
2005
Psicologi & Psicologia in Sicilia, anno IX – n. 4 – ottobre
2006
Psicologi & Psicologia in Sicilia, anno X – n. 5 – maggio 2007
Psicologi & Psicologia in Sicilia, anno X – n. 6 – dicembre
2007
* http://it.wikipedia.org/wiki/Salvatore_Cuffaro
Concorsi e Selezioni
all'Italiana
CONCORSI E SELEZIONI ALL’ITALIANA
...
Il trucco c’è ma non si vede: ai candidati l’onere di starci
attenti
Ci scrivono da Milano due colleghi, che hanno partecipato alla
selezione per incarichi in regime di libera professione per
psicologi, dell’U.O.N.P.I.A. della Fondazione IRCCS Ospedale
Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena, svoltasi
alcune settimane presso il Politecnico di Milano.
I colleghi hanno segnalato che la prova orale si è svolta
secondo modalità inadeguate: entrambi ci riferiscono che
l’alto numero di candidati si è tradotto nella riduzione della
durata dei colloqui a pochissimi minuti, rendendo a loro
parere impossibile qualunque seria possibilità di conoscenza
dei professisonisti e relativa comparazione.
Rispondo qui dicendo che dagli elementi forniti non sembra
risultare alcuna irregolarità a livello formale. Tuttavia,
potrebbe essere percorribile un ricorso volto ad evidenziare
il carattere sbrigativo delle prove orali, ma la difficoltà di
oggettivare questa osservazione
risoluzione positiva.
rende
improbabile
una
Preme però specificare che le selezioni per incarichi in
regime libero-professionale rispondono a logiche di
flessibilità dell’amministrazione pubblica che in sostanza
permettono alle commissioni di decidere in maniera autonoma
come svolgere le prove. In pratica, una stortura legislativa
in base alla quale è possibile by-passare le complesse
procedure concorsuali e permettere l’accesso al servizio, in
tempi brevi, al candidato preferito (che non è necessariamente
quello scelto DOPO la selezione…), mantenendolo inoltre in
servizio a tempo indeterminato attraverso successive
riselezioni.
Ovviamente, la faccenda è sempre presentata diversamente dalle
Aziende, e non solo…
È l’occasione per riaffermare due principi che ci sembrano
fondamentali per difendere la categoria e il proprio diritto
ad una selezione imparziale in queste occasioni, che troppo
spesso sono veri e propri pretesti per orientare il denaro
pubblico verso un candidato scelto preventivamente:
1)
Essenziale è conoscere la normativa in materia di
concorsi e selezioni: in articoli presenti nel nostro sito, ho
sintetizzato i punti essenziali in un vademecum che sarebbe
utile conoscere ogni volta che si partecipa ad un concorso o
ad una selezione. Non serve nemmeno cercare troppo in giro,
quindi non ci sono scuse! La nostra categoria soffre di
ignoranza, e questo permette a sedicenti funzionari pubblici
di imbrogliarci nei modi più banali; di fronte a palesi
violazioni della procedura, è sempre possibile opporre il
dettame di norma, a patto però di conoscerlo.
2)
Non lasciar perdere: spesso sentiamo dire che “tanto è
così dappertutto” e simili. Su questo si basa la perpetuazione
dell’imbroglio, che fa parte di una certa cultura
all’italiana, ma non per questo deve passare sotto silenzio.
Teniamo presente che nel nostro caso, “lasciar perdere” spesso
significa lasciare allo strapotere di altre categorie
professionali di decidere dell’ingresso di psicologi nei
servizi, e questo indebolisce la nostra professione.
AltraPsicologia riceve spesso segnalazioni relative a
selezioni e concorsi in cui i colleghi non sono precisi nel
riferire le presunte irregolarità, confondono continuamente
“Concorso” e “Selezione” e non forniscono la documentazione
necessaria per capire di cosa si tratta (Bando o estremi della
pubblicazione), impedendoci di dare qualunque parere sensato.
Invece, è importante che tutti gli psicologi che partecipano
ai concorsi siano informati con precisione di come dovrebbero
svolgersi le procedure.
Ciò che possiamo fare come AltraPsicologia è fornire ai
colleghi una consulenza preventiva per valutare se è possibile
una azione di ricorso, che può avvenire sia attraverso il TAR
che attraverso una procedura molto più snella, detta “in
autotutela”, che consiste nel segnalare direttamente al C.d.A.
dell’ente che è stata compiuta una violazione procedurale,
attivando un accertamento interno volto appunto all’autotutela
contro eventuali ricorsi al TAR.
In ogni caso, richiediamo precisione nel segnalare il fatto
che si presume irregolare sulla base della normativa vigente,
perché è l’unico modo che abbiamo per poter agire.
Infine, è da ribadire che la competenza in materia di tutela
degli psicologi nei concorsi e, con un po’ di buona volontà,
nelle selezioni, è del sindacato AUPI, a cui ci si può
rivolgere in caso di irregolarità.
In quest’ultimo caso, invitiamo i colleghi a informarci se il
paziente dopo la stimolazione si sveglia dal coma…
Federico Zanon
Tutela degli psicologi nella
scuola
Pubblichiamo la lettera che l’Ordine Emilia Romagna, su
inziativa della Commissione Lotta all’Abusivismo, Tutela dei
confini della professione e Pubblicità, coordinata dalla
Dr.ssa Chiara Santi (di AltraPsicologia), ha inviato a tutti
gli istituti scolastici della regione.
Riteniamo questa semplicissima lettera un buon esempio da
imitare, da parte di tutti gli altri Ordini Regionali,
affinché si comincino a tutelare gli interessi della nostra
categoria e dei numerosi colleghi che lavorano in questo
ambito.
Cogliamo anche l’occasione per ricordare che AltraPsicologia
ha istituito un gruppo di studio, formato da circa 30 colleghi
di tutta Italia che hanno aderito ad un nostro invito
pubblico, finalizzato alla stesura e alla presentazione di una
Proposta di Legge sulla Psicologia Scolastica. Tale gruppo sta
terminando i suoi lavori e presto avrete notizie in proposito.
Redazione
Ordine Degli Psicologi
della Regione Emilia-Romagna
Strada Maggiore, 24 – 40125 Bologna – Telefono 051/263788 –
Fax 051/235363
e-mail
[email protected]
–
Sito
web
–
www.ordpsicologier.it
Codice Fiscale 92032490374
Bologna, 4 settembre 2007
Prot. n. 1811
Ai Dirigenti Scolastici
Delle Scuole Secondarie
Di primo e secondo grado
Della Regione Emilia Romagna
Oggetto: Attività psicologiche nelle scuole secondarie di primo e secondo
grado
Gent.ma/Egregio Dirigente Scolastica/o,
Le scriviamo per informarLa che stiamo contattando tutte le
Scuole secondarie di primo e secondo grado della nostra
regione in seguito a numerose segnalazioni, pervenuteci dai
nostri Iscritti, che ci informano della presenza, in diverse
Scuole, di sportelli di ascolto psicologico condotti da
operatori non abilitati all’esercizio della Professione di
Psicologo.
La presente comunicazione, pertanto, ha uno scopo
essenzialmente informativo a tutela Vostra e dei Vostri
studenti; si propone, inoltre come richiesta di collaborazione
per aiutarci a prevenire fenomeni di esercizio abusivo della
professione (ex art. 348 Codice Penale), rischiosi e
potenzialmente dannosi per gli utenti finali, considerato il
delicatissimo settore nel quale si agisce, cioè quello della
salute psichica.
Ricordiamo che negli ultimi anni gli “sportelli di ascolto”,
così come numerose altre attività a carattere psicologico
all’interno delle Scuole, si sono andati progressivamente
organizzando e diffondendo sulla base di una domanda crescente
da parte dei docenti, nonché di oggettivi bisogni espressi
dalle varie componenti del mondo scolastico. In molti Istituti
si realizzano, oggi, interventi psicologici il cui scopo è
quello di fornire un aiuto attraverso Sportelli per gli
studenti e/o colloqui individuali con gli studenti, incontri
con le classi, attività di orientamento, attività rivolte agli
insegnanti e/o ai genitori. Tutto ciò nell’ottica di un
complessivo lavoro volto a promuovere il benessere globale di
tutti i soggetti costituenti il “sistema Scuola”.
I contenuti delle principali attività psicologiche nelle
Scuole possono includere diverse aree di intervento:
· Consulenza psicologica
· Educazione socio-affettiva
· Sviluppo dell’autonomia nei processi di scelta e di strategie di
autoefficacia
· Interventi psicologici nei confronti della “diversità”
· Facilitazione dei processi di apprendimento e strategie di motivazione
per il successo scolastico
· Difficoltà scolastiche
· Orientamento e ri-orientamento
· Prevenzione e gestione dell’ansia
· Educazione alimentare, stradale, alla salute ecc.
· Prevenzione e azione rispetto ad aggressività e bullismo
· Disagi affettivo-relazionali
· Integrazione culturale scolastica
· Dispersione scolastica
Non sempre, tuttavia, per tali servizi vengono utilizzati Psicologi
iscritti al relativo Albo professionale.
Ricordiamo che la Legge 56/89
riserva tutte le attività che si riferiscono all’”uso di strumenti
conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività
di abilitazione riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico” agli
Psicologi abilitati alla professione. Per correttezza e precisione,
specifichiamo che intendesi con Psicologo chi ha conseguito la Laurea
Magistrale quinquennale, ha superato il relativo Esame di Stato e si è
successivamente iscritto alla sezione A dell’Albo, diversamente da chi è
iscritto nella sezione B che, in seguito a un percorso triennale di studi
e successivo esame di abilitazione, ha ottenuto il titolo di Dottore in
tecniche psicologiche, ma non quello di Psicologo (raggiungibile solo con
un ulteriore biennio formativo universitario).
Ora, per quanto alcune delle attività sopra menzionate possano non essere
strettamente
psicologiche,
è
altrettanto
certo,
e
normativamente
statuito, che tutte le attività a stampo chiaramente psicologico non
possono essere svolte da soggetti non iscritti al sopra citato albo nella
sezione A; in difetto ricorrerà l’ipotesi prevista dall’art. 348
c.p.(“Abusivo esercizio di una professione”), anche eventualmente
estensibile, a titolo di concorso, a chi quelle mansioni abbia affidato
all’abusivo.
E’ altresì il caso di sottolineare che, ai sensi di legge, il pubblico
ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio (e quindi, per esempio, il
preside della scuola, nonché quasi tutti gli insegnanti) che venga a
conoscenza di situazioni di abusivismo, è obbligato a denunziarle
all’autorità giudiziaria, in difetto potendo incorrere nelle pene
previste dall’art. 361 c.p. (“Omessa denuncia di reato da parte del
pubblico ufficiale”) ovvero dall’art. 362 c.p. (“Omessa denuncia di reato
da parte di un incaricato di pubblico servizio”).
Questo Ordine Regionale degli Psicologi, a cui per legge compete di
vigilare per l’osservanza delle disposizioni normative inerenti tale
Professione, è a Vostra completa disposizione per qualunque tipo di
quesito o chiarimento in merito.
Certi, pertanto, sia dell’osservanza da parte del Vostro Istituto di
tutta la normativa al riguardo presente nel nostro Paese, sia della
reciproca collaborazione relativamente alle segnalazioni o alla richieste
che vorrete farci pervenire al riguardo, Vi porgiamo il nostro più
cordiale saluto.
La Presidentessa
dell’Ordine degli Psicologi dell’Emilia Romagna
(Dott.ssa Manuela Colombari)
Psicologi
Ambulatoriali:
Leggenda
metropolitana
o
imbroglio all'italiana?
Ecco. Prevenuto già dal titolo. Ma che ti avranno fatto mai
gli enti pubblici? Perchè non concedere un’altra possibilità
alla macchina della sanità statale, a questo mostro futurista
di ferro, vapore e cervelli, che produce prestazioni pagando
il ticket e stipendi vincendo (?!) concorsi e selezioni?
Intendo qui occuparmi (da dilettante del diritto
amministrativo, s’intende) dell’annosa questione delle liste
degli psicologi ambulatoriali. Già, perchè molti colleghi si
iscrivono a queste liste nell’attesa e nella speranza di una
chiamata per sostituzione di malattia, di aspettativa per le
più varie ragioni (ah, che buon cuore questi strutturati da
3000 euro al mese, che se ne vanno in missione per tre mesi
nei paesi poveri…), di maternità (già, per chi non lo sapesse
l’istituto della maternità esiste ancora, si è solo ridotto ad
essere diritto garantito per la ristretta casta dei lavoratori
dipendenti, quelli che hanno un lavoro e quindi possono
permettersi tranquillamente un figlio).
Dunque, la credenza popolare recita più o meno così: ci sono
queste liste, a cui lo psicologo (ma anche il biologo e il
chimico) si iscrive attraverso una trafila burocratica
eventualmente a pagamento, si comunicano i propri titoli di
studio e carriera, e alla fine l’ente (ma quale ente?) rende
pubblica la classifica. Nella teoria popolare, ogni volta che
serve uno psicologo da qualche parte, le strutture pubbliche
della provincia dovrebbero attingere da questa lista, in
ordine di graduatoria, secondo il principio comune per cui “si
prende il più bravo”.
Siccome questa faccenda del fatto che nelle strutture
pubbliche prenderebbero sempre i più bravi, piuttosto che i
più raccomandati, mi ha sempre un po’ stupito (e come non
potrebbe stupirmi? Se io fossi un dirigente farei lavorare i
figli dei miei amici, o i miei parenti, o gli amici di quelli
che mi appoggiano alle elezioni a sindaco, o la giovane
cerbiatta bionda che si è dichiarata disposta ad
inginocchiarsi sotto la mia scrivania durante l’orario di
lavoro… non certo qualche giovane e preparato centodiecino con
due lauree e anni di robusta eperienza da precario!!!), ho
pensato di approfondire.
Ed ecco i primi risultati: la materia è regolata da un accordo
nazionale, sancito dal DPR 446/2001 (si trova tranquillamente
in internet), fra Stato e sindacati di chimici, biologi e
psicologi (per noi, l’onnipresente AUPI, nata in seno allo
zoccolo duro degli psicologi pubblici dipendenti, che con il
loro 1% scarso sulla popolazione degli psicologi rappresentano
a pieno diritto l’intera categoria e il precariato giovanile).
Riassumendo molto, sembra che queste liste siano realmente
istituite da un provvedimento con validità giuridica, che
addirittura imporrebbe alle aziende sanitarie di individuare i
professionisti da incaricare attraverso graduatoria, qualora
non sia possibile far fronte alle esigenze di servizio
attraverso l’aumento di ore agli strutturati che non
raggiungono le 38 settimanali.
A piede dell’articolo (per non scoraggiarvi dal leggerlo
tutto!) riporto gli stralci del DPR che mi paiono più
importanti. All’argomento abbiamo già dedicato altri articoli
approfonditi tra cui questo, questo e quest’altro.
Ed ora il domandone finale e un appello ai lettori:
Qualcuno degli psicologi in graduatoria è mai stato
incaricato? Non è una domanda retorica, ma una richiesta che
rivolgo ai lettori di AltraPsicologia: vogliamo capire se e
come queste liste sono utilizzate, e l’unico modo per avere
notizie attendibili è interrogare i diretti interessati
(confessate! per un momento avete davvero pensato che
chiamando le aziende sanitarie qualcuno ne sappia qualcosa…).
Chiunque conosca direttamente, o abbia notizia, di qualcuno di
questi incaricati apparsi fugacemente in graduatoria e poi
misteriosamente scomparsi nei meandri del precariato pubblico.
Sembra che alcuni ancora vaghino nei sotterranei degli
ospedali, armati del solo DSM IV per affrontare in assoluta
disparità numerica le creature stipendiate in camice bianco
che hanno il dominio incontrastato di questi luoghi.
Se qualcuno dei lettori sa qualcosa, si faccia avanti. Non
abbandoniamoli!
Soprattutto, interessa contattare i primi in graduatoria, per
sapere da loro come funzione realmente la faccenda.
Potete inviare le segnalazioni alla redazione di AP, mettendo
in oggetto il mio nome (sono molto vanitoso…):
[email protected]
************
DPR 446/2001
Articolo 3
Il professionista che aspiri a svolgere la propria attività
professionale nell’àmbito delle strutture del Servizio
sanitario nazionale come sostituto o con incarichi a tempo
determinato ai sensi del protocollo aggiuntivo di cui
all’allegato 1, deve inoltrare all’Assessorato alla Sanità
della Regione nel cui ambito intende ottenere l’incarico,
entro la fine del mese di febbraio di ciascun anno, a mezzo
raccomandata A.R., apposita domanda conforme agli allegati A,
A1, A2 di cui al presente accordo e corredata del foglio
notizie compilato in ogni sua parte.
Articolo 4
Formazione delle graduatorie.
1. L’Assessorato regionale alla Sanità provvede entro il 31
maggio alla formazione delle graduatorie provvisorie regionali
per titoli, distinte per categoria professionale, con validità
annuale, da valutare secondo i criteri di cui agli allegati B,
B1, B2 del presente accordo.
(…)
3. Entro 15 giorni successivi all’ultimo giorno di
pubblicazione gli interessati possono inoltrare, mediante
raccomandata A.R., istanza di riesame della graduatoria,
relativa alla propria categoria professionale, all’Assessore
regionale alla Sanità.
4. Le graduatorie definitive, approvate dal competente Organo
regionale, sono pubblicate sul Bollettino Ufficiale della
Regione entro il 31 ottobre; la pubblicazione costituisce
notificazione ufficiale agli interessati e alle Aziende
Sanitarie.
5. Le graduatorie hanno effetto dal 1° gennaio al 31 dicembre
dell’anno successivo alla data di presentazione della domanda
e decadono al momento in cui entrano in vigore le successive.
Articolo 8
Sostituzioni.
1. Alle sostituzioni di durata non superiore a 30 giorni
l’Azienda provvede assegnando l’incarico di supplenza o ad un
professionista designato dal titolare dell’incarico o secondo
l’ordine di graduatoria con priorità per i professionisti non
titolari di incarico che non si trovino in posizione di
incompatibilità. Alle sostituzioni di durata superiore
l’Azienda provvede comunque conferendo l’incarico di supplenza
ricorrendo alla graduatoria secondo i criteri di cui al
presente comma.
2. L’incarico di sostituzione non può superare la durata di
sei mesi; il professionista che ha effettuato una sostituzione
non può ricevere altro incarico di sostituzione se non dopo un
periodo di interruzione di almeno trenta giorni. L’incarico
cessa di diritto e con effetto immediato con il rientro del
titolare.
Articolo 9
Incompatibilità.
1. Fermo restando quanto previsto dal punto 6 dell’art. 48
della legge 23 dicembre 1978, n. 833, nonché dall’art. 4,
comma 7 della legge 30 dicembre 1991, n. 412, il rapporto
resta incompatibile con:
a) un rapporto di lavoro subordinato presso qualsiasi ente
pubblico o privato, con divieto di libero esercizio
professionale;
b) rapporti di lavoro svolti a qualsiasi titolo con Case di
cura o Presìdi privati accreditati e/o convenzionati;
c) forme di cointeressenza diretta con Case di cura private
accreditate e convenzionate e, limitatamente ai biologi e
chimici, con laboratori di analisi chimico-cliniche e
biologiche;
d) titolarità di incarico disciplinato dal presente Accordo
nell’àmbito di altra Regione.
Articolo 12
Strutture regionali deputate alla formulazione
graduatorie e al conferimento degli incarichi.
delle
1. In rapporto al numero degli addetti ciascuna Regione
individua, nell’ambito della regione stessa, la struttura a
cui demandare la formulazione delle graduatorie regionali e la
gestione del conferimento dei relativi incarichi e degli
eventuali aumenti orari.
2. Alla struttura di cui al comma 1 è altresì demandata la
tenuta degli elenchi regionali di cui all’art. 2.
3. I compiti di cui ai precedenti commi possono essere
delegati ad una delle Aziende Sanitarie regionali con funzioni
di capofila.
Articolo 26
Trattamento economico.
1. Ai professionisti confermati ai sensi del presente accordo
è corrisposto dall’1° gennaio 1999, mensilmente, un compenso
forfettario orario nella misura e con la decorrenza di cui
alla seguente tabella:
L. 24.235 con decorrenza 1° gennaio 1999;
L. 24.575 con decorrenza 1° gennaio 2000.
Articolo 28
Contributo previdenziale.
1. A favore dei professionisti incaricati ai sensi del
presente accordo l’Azienda versa alle casse previdenziali
(ENPAB, ENPAP, EPAP) trimestralmente, con modalità che
assicurino l’individuazione delle somme versate e del
professionista cui si riferiscono, un contributo del 22% di
cui il 13% a proprio carico ed il 9% a carico di ogni singolo
professionista, calcolato sui compensi di cui agli articoli
20, 22, 24, 26, 27 del presente accordo (…)
Allegato 1
PROTOCOLLO AGGIUNTIVO PER INCARICHI A TEMPO DETERMINATO
Articolo 1
Natura del rapporto.
1. Esperite le procedure previste dall’Accordo Collettivo
Nazionale per l’assegnazione dei turni resisi vacanti e
attuate le modalità e le procedure previste dagli artt. 3 e 4
dell’Accordo stesso, salvi casi particolari da verificare in
sede aziendale di inapplicabilità delle norme sopra
richiamate, qualora sussistano ulteriori esigenze di attività
specialistica, le Aziende
applicano le norme del presente “Protocollo aggiuntivo” per la
instaurazione di rapporti orari a tempo determinato”.
2. I rapporti orari a tempo determinato sono instaurati:
a) per la copertura di turni resisi vacanti e non assegnati
dopo aver inutilmente esperite le procedure:
– indicate dall’articolo 5 per gli aumenti di orario ai
professionisti incaricati a tempo indeterminato;
– stabilite dall’art. 6 e 7 per l’attuazione di forme di
flessibilità operativa, riorganizzazione degli orari e di
mobilità;
b) per assicurare da parte delle Aziende una ulteriore offerta
di prestazioni o attività specialistiche per far fronte alla
domanda avanzata dagli utenti, mediante l’incremento dei
servizi specialistici.
3. Le norme del presente “Protocollo aggiuntivo” disciplinano
il rapporto di lavoro libero professionale a tempo determinato
che s’instaura tra l’Azienda e i professionisti per
l’erogazione nell’àmbito delle strutture Sanitarie e dei
servizi territoriali dell’Azienda stessa e a domicilio dei
cittadini.
4. L’incarico ha durata non inferiore ad un anno e non
superiore a tre anni ed è immediatamente rinnovabile, ove
permangano le esigenze assistenziali che hanno determinato il
conferimento dell’incarico, previa valutazione del Direttore
Generale dell’Azienda sanitaria.
Articolo 2
Adempimenti preliminari all’instaurazione del rapporto.
1. Gli incarichi di cui all’art. 1, comma 2, sono conferiti in
base alle graduatorie di cui all’art. 3 dell’Accordo
Collettivo Nazionale e secondo l’ordine delle stesse.
Articolo 4
Massimale orario ed incompatibilità.
(…)
2. Gli incarichi di cui al comma che precede non sono
compatibili:
a) con un rapporto di lavoro dipendente intrattenuto con un
datore di lavoro pubblico o privato (…)
Articolo 8
Trattamento economico.
1. Al professionista l’Azienda corrisponde mensilmente, a
decorrere dalla data di inizio del rapporto, un compenso
forfettario omnicomprensivo di lire 70.000 per ogni ora di
attività effettivamente espletata.
Concorsi
e
Selezioni:
Vademecum per il partecipante
CONCORSI E SELEZIONI:
Vademecum per il partecipante
Parte Prima
Federico Zanon
Scrivo questo articolo per contribuire a chiarire una materia,
quella dell’accesso a rapporti di lavoro con enti pubblici,
che riveste particolare rilievo per gli psicologi. Il mio
intento non è ovviamente quello di offrire una dettagliata
rassegna giurisprudenziale, ma di richiamare della
giurisprudenza i punti di maggior rilievo per il partecipante
a selezioni e concorsi.
L’ottica è quella di offrire poche, chiare indicazioni su come
dovrebbero svolgersi le operazioni di scelta di personale
negli enti pubblici, ad uso dei candidati. A piede, una nota
rinvia alle Leggi e ai Decreti di rilievo in materia.
Rimando comunque il lettore alle fonti normative originali,
facilmente richiamabili in internet, uniche a dare piena
garanzia di esattezza delle informazioni.
Definizione di Pubblica Amministrazione
In via preliminare, occorre delimitare il campo di cui stiamo
parlando. Una definizione di Pubbliche Amministrazioni è
contenuta nell’art. 1 del D.Lgs. N°165/2001, che dice:
“Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le
amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e
scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le
aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento
autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità
montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni
universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere
di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro
associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali,
regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti
del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la
rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni
(ARAN) e le Agenzie di cui al D.Lgs. N°300/1999.”
Il rapporto di lavoro dipendente e i Concorsi Pubblici.
Le pubbliche amministrazioni possono assumere (si intende:
stipulare contratti con rapporto di lavoro dipendente, a tempo
determinato o indeterminato) il proprio personale attraverso
tre modalità (art. 1 del D.P.R. 09.05.1994 n. 487):
1)
per concorso pubblico, aperto a tutti. Può essere per
titoli ed esami oppure per soli esami.
2)
Per avviamento attraverso le liste di collocamento
(eventualità quantomai rara per gli psicologi).
3)
Per chiamata numerica degli iscritti alle liste degli
appartenenti alle categorie protette.
Il concorso pubblico deve svolgersi rispettando i criteri di:
1)
imparzialità
2)
economicità
3)
celerità di espletamento.
Pare superfluo specificare che, se tutti i concorsi
rispettassero tali principi, non saremmo qui a scriverne e a
leggerne.
Nello stesso DPR, sono contenute le indicazioni, con valore
vincolante per gli enti, che definiscono le modalità di
svolgimento dei concorsi pubblici.
Riassumo quelle che mi paiono di maggior rilievo per il
candidato psicologo, mantenendo per utilità pratica un ordine
di esposizione che ricalca la successione cronologica degli
eventi di un concorso:
1)
I concorsi constano di due prove scritte (una teorica
ed una pratica) ed una prova orale. Se il numero di candidati
è inizialmente molto alto, alle due prove scritte è possibile
far precedere una pre-selezione scritta, anche tramite
procedure automatizzate e con l’ausilio di società di
selezione specializzate.
2)
Materie d’esame sono quelle indicate dal bando. Non
sono a conoscenza di vincoli relativi alla scelta della
materia da parte della commissione, ed è prassi che nei
concorsi pubblici (per qualunque profilo professionale) siano
presenti domande in materia di legislazione del settore.
Paiono dunque infondate le lamentele dei candidati che
rivendicano il diritto di sostenere prove soltanto sulle
materie tecniche (psicologiche).
3)
Le date delle prove scritte devono essere comunicate
singolarmente ai candidati; in alternativa, è opzione per
l’ente di avvalersi di una comunicazione pubblica attraverso
la Gazzetta Ufficiale, sezione concorsi.
4)
La commissione deve essere composta da “tecnici esperti
della materia oggetto del concorso”. A questo proposito,
l’Ordine Veneto ha recentemente promosso un ricorso
amministrativo per un concorso che non prevedeva psicologi
iscritti all’ordine fra i membri della commissione; tale
metodologia pare essere inammissibile, anche qualora il
tecnico esperto sia un medico psichiatra, in quanto le due
professionalità non sono sovrapponibili.
5)
Il giorno delle prove scritte, la commissione valuta il
numero di partecipanti e comunica l’orario di conclusione
delle prove. Quindi, ogni membro prende visione dell’elenco
dei partecipanti e sottoscrive una dichiarazione che attesta
che non sussistono situazioni di incompatibilità con i
candidati, ai sensi degli articoli 51 e 52 del Codice di
Procedura Civile.
6)
La commissione prepara tre tracce diverse per le prove,
sigillandole in tre buste separate e firmate sui lembi.
Inoltre, stabilisce i criteri di valutazione degli elaborati e
li verbalizza.
7)
Il giorno della prova scritta, la commissione procede
all’appello nominale e al controllo dell’identità. Quindi, fa
accomodare i candidati in modo che non comunichino fra loro.
8)
All’inizio della prova scritta, un candidato estrae a
sorte una delle tre buste. Le altre due sono aperte e lette ai
candidati. In questa fase, generalmente un membro della
commissione si incarica di fotocopiare il testo della prova
per tutti i partecipanti, accompagnato da uno o più candidati
che controllino la regolarità dell’operazione.
9)
I candidati possono avere con sé soltanto i dizionari
di lingua italiana e i testi di legge non commentati che la
commissione ha autorizzato. Non possono comunicare o mettersi
in relazione fra loro.
10)
Ad ogni candidato sono consegnati fogli timbrati e
firmati per rispondere alle domande, una busta grande e una
busta piccola, un cartoncino e una penna. Al termine della
prova, ogni candidato scrive il proprio nome, luogo e data di
nascita sul cartoncino, che chiuderà nella busta piccola.
Quindi, chiuderà la busta piccola insieme alla prova d’esame,
rigorosamente anonima e non recante alcun segno di
riconoscimento (questa è la funzione delle penne tutte
uguali), nella busta grande.
11) Al termine di ogni giornata, la commissione incolla una
etichetta numerata sulle buste delle prove, per poter riunire
in seguito tutte le prove scritte di uno stesso candidato
esclusivamente attraverso il numero ed in modo anonimo.
12) Al termine dell’ultima prova scritta, la commissione deve
comunicare ai candidati che alcuni di loro, in numero non
superiore a dieci, potranno assistere alle operazioni di
riunione delle buste, per verificare che siano ancora
sigillate e che vengano riunite in modo corretto.
13) In ogni caso, il riconoscimento del candidato non può mai
avvenire prima della correzione delle prove.
14)
Se il concorso prevede la valutazione dei titoli, questi
possono concorrere al punteggio finale per un massimo di
10/30, e la loro valutazione avviene al termine delle prove
scritte e prima delle prove orali. Il bando deve indicare i
titoli valutabili e i criteri di attribuzione del punteggio.
15) I candidati che conseguono un punteggio di almeno 21/30
in ciascuna delle prove scritte possono accedere alla prova
orale. Devono essere avvisati singolarmente (telegramma,
raccomandata e simili) almeno venti giorni prima dello
svolgimento della prova.
16) La prova orale va svolta entro sei mesi dalla prima prova
scritta.
17) “La prova orale deve svolgersi in aula aperta al pubblico,
idonea ad assicurare la massima partecipazione” (cit.
testualmente).
18) La commissione stabilisce le domande da porre a ciascun
candidato; le scrive e le fa estrarre a sorte durante l’esame
orale.
19)
I candidati possono accedere ai verbali del concorso,
secondo quanto stabilito dal DPR 352/1992 e secondo le
modalità ivi contenute.
20) La graduatoria resta in vigore per 18 mesi (ora 36 mesi)
per i posti messi a concorso che dovessero rendersi
disponibili. Ciò significa che in caso di rinuncia di un
vincitore si procede in ordine di graduatoria all’assunzione
sostitutiva, mentre se l’ente istituisce nuovi posti, non
dovrà seguire la graduatoria ma indire un nuovo concorso.
Incarichi libero-professionali e Selezioni.
Per il D.Lgs. N°165/2001, poi ribadito dalla Legge biagi, le
pubbliche amministrazioni possono, “per esigenze cui non
possono far fronte con personale in servizio (…) conferire
incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di
natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di
provata competenza, in presenza dei seguenti presupposti:
1)
l’oggetto della prestazione deve corrispondere alle
competenze attribuite dall’ordinamento all’amministrazione
conferente e ad obiettivi e progetti specifici e determinati;
2)
l’amministrazione deve avere preliminarmente accertato
l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane
disponibili al suo interno;
3)
la prestazione deve essere di natura temporanea e
altamente qualificata;
4)
devono essere preventivamente determinati durata,
luogo, oggetto e compenso della collaborazione.”
Per lo stesso D.Lgs., “le amministrazioni pubbliche
disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri
ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli
incarichi di collaborazione.”
Pare chiaro che il potere di decidere dei criteri e delle
modalità di selezione sono attribuiti all’ente che promuove la
selezione, in misura molto più libera rispetto ad un concorso
pubblico. Ad esempio, una selezione per incarichi liberoprofessionali non richiede le strette procedure di controllo
di un concorso, o l’obbligo di pubblicazione in Gazzetta
Ufficiale, che in una certa misura garantiscono una ampia
partecipazione e una maggiore imparzialità; essa è quindi
maggiormente soggetta alla possibilità che la scelta del
candidato non avvenga sulla base dell’effettiva competenza
professionale, ma in base ad altri criteri.
Parimenti, non esistono norme che stabiliscano che un incarico
non può essere attribuito più volte alla stessa persona, a
seguito di diversi procedimenti di selezione.
La normativa sembra aprire uno spazio alla possibilità che
l’attribuzione di incarichi professionali in regime di
autonomia sia utilizzato dagli enti pubblici in sostituzione
di assunzioni, e non per far fronte ad esigenze temporanee.
Il caso estremo, ma non infrequente nella pratica, è quello
dell’ente pubblico che non emette bandi di concorso ma si
avvale di contratti libero-professionali, ripetendo ogni anno
le procedure di selezione che riconfermano gli stessi
consulenti. Ciò è comprensibile e conveniente per l’ente, ma
può configurare una distorsione del principio generale di
imparzialità e possibilità di una larga partecipazione, che è
esplicito per i concorsi e che potrebbe essere applicato
estensivamente anche alle selezioni.
CONCORSI E SELEZIONI:
Vademecum per il partecipante
Parte Seconda
Facendo seguito al mio primo contributo sulla questione dei
concorsi e delle selezioni, e al dibattito svolto attraverso
il forum riservato agli iscritti dell’Ordine Veneto, dedicherò
questa seconda parte all’annoso problema dei concorsi e delle
selezioni che paiono scegliere i candidati sulla base di
criteri diversi dalla competenza professionale; in
particolare, proverò a suggerire degli spunti per la creazione
di metodi infallibili per pilotare i risultati di concorsi e
selezioni.
Per meglio delineare la questione, introdurrò il tema con una
barzelletta, credo molto conosciuta, che ho postato tempo
addietro nel forum citato sopra:
In un piccolo ospedale di provincia, un uomo si lamenta con
l’infermiera che gli sta martoriando il braccio per eseguire
un semplice prelievo di sangue. Alle rimostranze dell’uomo,
l’inferimera risponde: “e di che si lamenta? guardi che il
primario mi ha assunta perchè sono brava con la bocca, mica
con le mani!”
Il concorso pubblico: tecniche di guida
La normativa sui concorsi pubblici è concepita in modo da
garantire il rispetto del criterio di imparzialità. Senza
addentrarmi nella ricerca di una definizione giuridica precisa
del principio di imparzialità, ritengo che possa corrispondere
alla garanzia che tutti i candidati abbiano identiche
probabilità iniziali di aggiudicarsi i posti messi a concorso,
e che la decisione finale sia raggiunta in base a criteri
trasparenti, decisi dalla commissione in sede di prima
riunione, e riconducibili al possesso di competenze
conoscenze coerenti con l’incarico da ricoprire.
e
Tuttavia, qualora l’interesse dell’ente pubblico sia diverso
dall’esigenza di individuare in modo imparziale il candidato
professionalmente più adatto per la funzione, è necessario
applicare metodologie specifiche, atte a realizzare una deroga
di fatto dalle infinite trappole che lo svolgimento regolare
delle procedure concorsuali può tendere al candidato di
interesse.
Ecco perciò una rosa di ipotesi su come pilotare i risultati
di un concorso, naturalmente frutto di fantasia e
assolutamente non riconducibili ad alcun accadimento reale
passato, presente o futuro:
1)
Concorsi estivi, natalizi e pasquali: emettere il bando
in Agosto, nel periodo natalizio o pasquale, e svolgere le
prove in tali periodi (ad esempio, il 31 Dicembre) permette di
ridurre drasticamente il numero dei partecipanti, effettuando
così una selezione all’origine. Oppure permette di
intercettare tutti gli psicologi in vacanza fra Venezia Lido
e Jesolo, ampliando la rosa dei candidati.
2)
Lo scritto su misura: la normativa vieta tassativamente
la diffusione delle domande delle prove scritte. Tuttavia, non
può vietare alla commissione di formulare domande ad hoc
basate sulle competenze professionali di un candidato che si
conosca personalmente, per precedente frequentazione,
collaborazione, affinità, parentela. La stessa tecnica può
essere attuata per le prove pratiche, avendo l’accortezza di
sottoporre ai candidati i casi pratici che il candidato abbia
precedentemente gestito per conto dell’ente, nel corso di
collaborazioni attive durante gli ultimi dodici mesi.
3)
Grafologia: in tempi di relativismo scientifico, anche
la grafologia è stata elevata al rango di scienza… e un
commissario particolarmente esperto o bene addestrato potrebbe
anche rinvenire, fra le armoniche volute della calligrafia, i
segni inequivocabili che permettono di associare un compito al
suo autore. Lasciati, ovviamente, senza intenzionalità dolosa…
4)
Verba volant: quale migliore occasione, se non la prova
orale (priva di anonimato) che sempre conclude l’iter
concorsuale, per ribaltare gli esiti della classifica mettendo
il primo al posto del secondo, il secondo al posto del terzo,
il terzo al posto del quarto, e il quarto al posto del primo?
Le tecniche argomentative a disposizione di commissione e
candidato sono svariate, come è noto a chiunque lavori con il
linguaggio verbale.
Tecniche illecite.
Già. Sarà malizia, ma qualcuno potrebbe anche pensare di
trasgredire la legge! Naturalmente la probabilità è remota, e
l’ipotesi che tutto ciò possa davvero accadere è frutto di una
mente luciferina. Ma sarebbe davvero possibile?
1)
La burocrazia pubblica: fra uffici polverosi e
disordinati, fotocopiatrici collettive, terminali connessi in
rete, potrebbe anche capitare che il documento contenente le
domande degli scritti capiti nelle mani di un candidato, che
casualmente si trova a collaborare con l’ente.
2)
Inversione di fase: la normativa sui concorsi, si sa, è
complessa. E una commissione particolarmente pasticciona
potrebbe anche aprire le buste con i nomi prima di correggere
i compiti.
3)
Gli spazi nelle pubbliche amministrazioni sono, da
sempre, un problema. Anche volendo, è quasi impossibile
rispettare la norma che impone che la prova orale debba
svolgersi in un’aula abbastanza capiente da accogliere il
pubblico. La parola d’ordine è adattarsi, anche per i
candidati in attesa, che “per rispetto dei colleghi” si
accontenteranno di rimanere fuori dalla stanza.
Alla fantasia scatenata di chi legge la possibilità di
continuare il racconto…
Le possibilità concrete di
assunzione nel "pubblico" per
gli Psicologi (a Luglio del
2007, nonostante il blocco
del turn over)
Probabilmente la notizia non è molto nota ma ancora oggi è
possibile essere assunti come Psicologi o Psicoterapeuti dal
Servizio Sanitario Pubblico.
Lo strumento che definisce i termini di questa possibilità è
completamente diverso dal famigerato “Concorso Pubblico” ed è
costituito dall’”Accordo Collettivo Nazionale
per la
disciplina dei rapporti con i medici specialisti ambulatoriali
interni ed altre professionalita’ sanitarie (biologi, chimici,
psicologi) ambulatoriali ai sensi dell’art. 48 della legge
n.833/78 e dell’art.8 del d.lgs. N. 502 del 1992 e succ. Modd.
e integrazioni” firmato il 9/02/2005.
L’Accordo
Collettivo
Nazionale
(ACN)
rappresenta
l’aggiornamento di accordi predisposti negli anni precedenti
con i quali Stato, Regioni e Sindacati, convenendo sulla
necessità di rispondere in modo adeguato alla crescente
domanda di salute – anche alla luce della Legge Costituzionale
18 ottobre 2001 n. 3 che affida piena potestà alle Regioni in
materia di salute – individuano “il territorio” quale punto di
forza per la organizzazione della risposta sanitaria, in una
logica di integrazione socio sanitaria e di attivazione di un
sistema di cure primarie integrato tra ospedale e territorio,
riservando all’ospedale l’intervento per le sole patologie che
necessitano di ricovero.
Negli anni sono stati quindi costituiti una serie
extraospedalieri (es. Poliambulatori) integrati nel
con lo scopo di individuare e di intercettare il
salute dei cittadini per garantire, su tutto il
di presidi
territorio
bisogno di
territorio
nazionale, da parte del sistema sanitario, la erogazione ai
cittadini dei livelli essenziali di assistenza (LEA) e
realizzare la continuità dell’assistenza di cui fanno parte
anche le professionalità psicologiche (Specializzazioni in
Psicologia e Psicoterapia).
Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) demanda al livello
“dell’assistenza specialistica” distrettuale definita dall’ACN
il compito di corrispondere ad ogni esigenza di carattere
specialistico che non richieda e/o tenda ad evitare la degenza
ospedaliera, perseguendo anche gli obiettivi di ricondurre le
liste di attesa entro tempi accettabili, contribuire alla
umanizzazione del rapporto assistenziale, al mantenimento del
paziente nel proprio luogo di vita, alla eliminazione degli
sprechi, alla riduzione
minimizzazione dei costi
dei
tempi
di
attesa
ed
alla
Ora, i Medici specialisti ambulatoriali e gli altri
Professionisti Sanitari ambulatoriali (Biologi, Chimici e
Psicologi) sono parte del S.S.N. ed il meccanismo della loro
“assunzione” al lavoro da parte delle Aziende Sanitarie Locali
è alquanto complesso e definito, appunto, dall’ACN di cui
sopra.
Intanto il loro numero e le ore di lavoro vengono definiti
dalle singole ASL con delibere formali, in relazione agli
obiettivi territoriali.
Il professionista che aspiri a svolgere la propria attività
professionale nell’ambito delle strutture ambulatoriali del
SSN, in qualità di sostituto (assunto a tempo determinato) o
incaricato (assunto a tempo determinato o indeterminato), deve
inoltrare domanda, entro e non oltre il 31 gennaio di ciascun
anno al Comitato Consultivo Zonale nel cui territorio di
competenza aspiri ad ottenere l’incarico (vedi il modello di
domanda).
In ogni ambito provinciale, infatti, è stato costituito un
Comitato Consultivo Zonale che, ricevute le domande dei
singoli professionisti, cura la formazione e la gestione di
graduatorie definite in base ai titoli curriculari dei
candidati.
Il Comitato ricevute le domande entro il 31 gennaio di ciascun
anno provvede, teoricamente entro il 30 settembre, alla
formazione di una graduatoria per titoli con validità annuale.
Gli Psicologi, dicevamo, possono partecipare alla graduatoria
per la specializzazione in “Psicologia” e, se hanno il
riconoscimento dell’attività Psicoterapeutica con iscrizione
all’elenco degli Psicoterapeuti presso l’Ordine, anche a
quella di “Psicoterapia”.
Le delibere delle ASL per l’attivazione di nuovi turni o per
l’ampliamento di quelli in atto e per la copertura dei turni
resisi disponibili vengono poi pubblicate da ciascuna ASL
sull’albo del Comitato Zonale nei mesi di marzo, giugno,
settembre e dicembre, dal giorno 15 alla fine dello stesso
mese.
Sono quindi attualmente in pubblicazione le delibere del mese
di giugno 2007; a settembre verranno pubblicate le eventuali
nuove richieste.
I professionisti che aspirano ai turni resisi disponibili
presso le ASL afferenti al proprio Comitato Zonale di
competenza devono comunicare, con lettera raccomandata, la
propria disponibilità allo stesso Comitato Zonale stesso entro
il 10° giorno del mese successivo a quello della pubblicazione
(quindi per le richieste di giugno 2007 entro il 10 luglio
prossimo). Il Comitato Zonale provvederà a Comunicare alla ASL
l’avente diritto sulla base della graduatoria formulata.
Da notare che le ASL possono sia richiedere il possesso di
particolari capacità professionali al professionista
ambulatoriale (esperienza o formazione particolari) in
relazione a specifici obiettivi e progetti aziendali – e qui
la possibilità di richieste tagliate sulla situazione degli
‘amici’ è grande – che far ricorso, per le sostituzioni in
caso di assenza inferiori a 30 giorni, alle “designazioni” del
sostituto da parte del collega interessato, quello che si
assenta (!).
In base a questo Accordo, però, è possibile l’assunzione del
professionista da parte della ASL (con tutte le garanzie e le
tutele contrattuali previste) sia a tempo determinato – in
caso di sostituzione di professionisti assenti o di specifici
progetti ASL – oppure a tempo indeterminato, per la copertura
di turni vacanti.
Attenzione! Ribadiamo che non è sufficiente presentare la
domanda di ammissione alla graduatoria ma è necessario dare
formalmente la propria disponibilità ogni volta che c’è la
richiesta della propria professionalità da parte di una ASl e
si è interessati all’incarico. Se non si presenta questa
dichiarazione di disponibilità non si viene comunque presi in
considerazione.
Il SUMAI (sindacato unitario medici ambulatoriali) è l’ente
sindacale più attivo in questo settore. Sul suo sito
(www.sumaiweb.it) si trovano tutte le informazioni essenziali
per partecipare a questa ‘lotteria’ che comunque è un barlume
di speranza in un contesto lavorativo per il resto desolante.
Il sistema definito dall’ACN sta andando a regime solo in
questo periodo.
In questa tornata, quella di giugno 2007, ci viene segnalata
la disponibilità di turni per specialisti in Psicologia e
Psicoterapia presso alcune ASL della Toscana come segue:
PISA
Branca: Psicologia
Ente:ASL 5
Incarico: annuale con
Professionisti Psicologi
possibilità
di
rinnovo
per
N° ore: 12 sett.li
Sede e orario: UFSMIA Azienda n. 5 di Pisa – Zona Valdera
Note: lo schema di domanda può essere reperito anche nel sito
internet: www.usl5.toscana.it/cgi-bin/news.pl?type=1&id=5
Si richiede il possesso di titoli formativi relativi all’età
evolutiva e competenze certificate nella diagnosi e
riabilitazione dei disturbi neuropsicologici-cognitivi
(autocertificazione).
GROSSETO
Branca:Psicologia
Ente:ASL
9
Incarico:
N° ore: 24 sett.li
Sede e orario:
Note:
sono
richieste
particolari
capacità
in
Disturbi
Alimentari.
Branca:Psicologia
Ente:ASL
9
Incarico:
N° ore: 30 sett.li
Sede e orario:
Note: sono richieste particolari capacità in problematiche
psicologiche
delle dipendenze.
AREZZO
Branca: Psicologia Ambulatoriale I turno
Ente: ASL 8
Incarico: turno temporaneo annuale
N° ore: 19 sett.li
Sede e orario: Zona Valdarno. Numero 4 accessi settimanali da
concordare. Tali accessi potranno subire delle modifiche per
esigenze di servizio in accordo con il Direttore D.S.M.
Branca: Psicologia Ambulatoriale II turno
Ente: ASL 8
Incarico: turno temporaneo annuale
N° ore: 12 sett.li
Sede e orario: Zona Valdarno. Numero 3 accessi settimanali di
4 ore ciascuno. Tali accessi potranno subire delle modifiche
per esigenze di servizio in accordo con il Direttore D.S.M.
Per
ulteriori
informazioni
www.toscana.sumaiweb.it.
collegarsi
al
sito
I turni delle singole province devono comunque essere affissi
presso le sedi dei Comitati Zonali. Il sito del SUMAI,
raggiungibili dalle sezioni regionali, riporta le
disponibilità di diversi Comitati Zonali ma non di tutti.
In bocca al lupo ai colleghi.
Felice D. Torricelli