Il Caso e la Necessità: ancora su concorsi e procedure di selezione
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Il Caso e la Necessità: ancora su concorsi e procedure di selezione
Il Caso e la Necessità: ancora su concorsi e procedure di selezione... Ormai si tratta solo di buttare l’amo, prima o poi il pesce arriva, perchè il mare dei concorsi e delle selezioni è popolatissimo… succede che girando per le discussioni del forum riservato dell’Ordine Veneto, ti imbatti per caso in un thread dal titolo innocente, che inizia con uno dei partecipanti che riporta un bando di selezione, ma quando ci entri e ti leggi tutto la realtà è quantomento… beh, giudichi il lettore: Caso o Necessità? Dunque eccovi in differita l’AP-cronaca degli interventi, che non trascriviamo letteralmente ma riassumiamo fedelmente:: In un primo intervento, inviato il 14/7/2008, un collega segnala sul forum un “avviso di procedura comparativa per l’individuazione di uno psicologo per lo svolgimento di attività presso il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Padova”. Scadenza: 15 luglio 2008. Lo stesso collega, per maggior completezza, riporta anche il link diretto al bando, che rimanda ad una pagina del sito dell’università oggi vuota: http://www.unipd.it/personale/collaborazioni/2008bandosquarzan ti.pdf Dopo un paio di mesi, il 13/09/2008, un altro collega invia un post in cui fa notare che la selezione è stata vinta da una persona che si chiama Squarzanti, lo stesso nome che figurava in fondo all’indirizzo del bando! Seguono ovviamente altri interventi, fra il divertito e lo sconcertato, si tenta di sapere qualcosa interpellando un collega che lavora in Università, che però dichiara di non saperne nulla, e su tutti i messaggi riecheggia la domanda: ma è una svista o è intenzionale? è un caso oppure era già tutto deciso? Ingenuità o sfacciataggine? Insomma: Caso o Necessità? indubbiamente un bel quesito per il neo-incaricato collega ricercatore e per gli illuminati selezionatori. Visto che i soldi per finanziare queste iniziative sono dei contribuenti, e cioè nostri, e visto che forse non possiamo sperare che tutti i meritevoli abbiano le stesse possibilità di vincere, speriamo che almeno servano a rispondere alla domanda che tanti colleghi si pongono di fronte ai concorsi… Caso o Necessità? Gli Psicologi e le nuove norme sulla Sicurezza nel Lavoro Con le recenti innovazioni normative circa la Sicurezza sul Lavoro si aprono ampie possibilità di impegno lavorativo per gli Psicologi. L’articolo del collega De Ambrogi descrive puntualmente i termini di queste possibilità e, soprattutto, sottolinea la necessità di far conoscere la competenza precipua della nostra categoria in alcune specifiche aree della “valutazione del rischio” e nell’intervento sulle reazioni da stress lavorativo. Non è un gran mistero che alcune competenze dello Psicologo del Lavoro siano ampiamente ed impunemente offerte da professionisti di altri settori che, nonostante alcune nostre preziose vittorie legali (vedi), continuano a proporsi per la selezione come per la valutazione del personale: troppo lungo si è stati a guardare ed ora è forse tardi per correre ai ripari e, comunque, occorreranno tempi lunghi e campagne mirate (che tardano ulteriormente ad essere attivate) perché entri nella cultura d’impresa che “laddove … il “selezionatore” integri le informazioni riguardanti l’esperienza professionale dei candidati con un profilo psicologico compie atti tipici della professione di psicologo” (Sentenza della Corte di Cassazione del 5 giugno 2006, “Caso Platè”). Circa le competenze attivabili in base al nuovo “Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro” (D.Lgs 81/08) è allora il caso che gli Ordini si muovano immediatamente per segnalare localmente, alle imprese come ai sindacati, ciò che “dovrebbe essere ovvio” ossia che le competenza per la valutazione del Rischio Psicosociale sono precipue degli Psicologi. Ed è importante che questo avvenga prima che altri più o meno sedicenti professionisti annettano alle loro competenze anche queste, con la conseguenza che domani sarà molto più difficile modificare gli assetti che si andranno consolidando in questa prima fase di applicazione della nuova legge. AltraPsicologia GLI PSICOLOGI E LE NUOVE NORME SULLA SICUREZZA NEL LAVORO Recentemente è stato approvato il cosiddetto “Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro” (D.Lgs 81/08). In particolare alla Sezione II “Valutazione dei Rischi” l’art. 28 “Oggetto della valutazione dei rischi” recita al comma 1) : “La valutazione di cu all’articolo 17, comma 1, lettera a), anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelle riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004, e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, secondo quanto previsto dal decreto legislativo del 26 marzo 2001, n. 151, nonché quelli connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri paesi.” E’ mia impressione che tra molti colleghi serpeggi un certo disappunto perché in questo T.U. non vi è una chiara indicazione della doverosità della valutazione di rischi Psicologici o Psicosociali, e comunque un chiaro riferimento alla Psicologia come disciplina di riferimento e allo Psicologo come professionista obbligatoriamente coinvolto nei momenti di valutazione e prevenzione a questi rischi per la salute dei lavoratori. Se da un certo punto di vista questo risultato sarebbe potuto sembrare auspicabile per delle ovvie motivazioni di mercato del lavoro, dall’altro sarebbe stata un’anomalia culturale e normativa. In tema di sicurezza e di valutazione dei rischi, sono molte le professionalità coinvolte a seconda delle lavorazioni, delle condizioni ergonomiche e dei pericoli e dei rischi specifici. Eppure nessuna di queste professionalità viene esplicitamente citata nel T.U., né nel precedente famoso D. Ls. 626. Non è infatti fatto obbligo al datore di lavoro di avvalersi di questa o di quella professionalità, mentre è fatto obbligo di dotarsi della migliore tecnologia disponibile per la valutazione e la prevenzione, avvalendosi anche di consulenti esterni qualora all’interno dell’azienda non siano disponibili queste risorse. In sostanza non è compito del legislatore definire quale sia la migliore tecnologia (nel senso epistemologico del termine “tecnica”), anche perché la tecnologia si aggiorna ed evolve continuamente e nessuna norma potrebbe aggiornarsi tanto velocemente da permettere ai lavoratori di godere dei migliori benefici concessi dall’evoluzione tecnica. Al contrario è dovere dei professionisti produrre la migliore tecnologia possibile, mantenendo elevati standard professionali e di ricerca sul tema. Inoltre è importante sottolineare, che se da una parte è vero che molti dei rischi per la salute dei lavoratori connessi allo stress derivano di fatto dei pericoli psicosociali (a titolo esemplificativo: mobbing, lavoro su turni, sovraccarico lavorativo, etc…), dall’altra è anche vero che anche pericoli di natura non psicosociale possono essere fonte di stress (ad esempio: vibrazioni, forte rumore, etc…). Quindi l’individuazione dello stress (che ricordiamo deve essere fatta dal datore di lavoro congiuntamente all’RSPP, al RLS e al medico competente) da parte dei professionisti detentori della migliore competenza tecnologica appare una scelta adeguata. Quando poi la fonte dello stress sarà di natura psicosociale lo psicologo dovrà essere chiamato per misurare la forza del pericolo e per progettare gli interventi di prevenzione e gestione. Se invece la fonte dello stress saranno le vibrazioni sarà più opportuno interpellare un ingegnere o un fisico. Quindi lo psicologo può e deve essere coinvolto negli interventi di valutazione, prevenzione e protezione in ambito occupazionale, ma è anche difficile incasellare in una definizione generica di tipo normativo gli esatti confini di “chi fa cosa”. Di fatto, al momento attuale, lo scenario di come si muoveranno aziende, organi di vigilanza e sindacati, non è ancora definito. Al momento sembra però probabile, che la strada che verrà presa prevederà un primo momento di valutazione della presenza di un possibile pericolo effettuata dal datore di lavoro, il quale, ove dovesse riscontrare la presenza del pericolo, potrà ricorrere a consulenti esterni per misurare l’effettiva intensità del pericolo e valutarne i rischi per la salute. Appare invece poco probabile che un ingegnere o un medico del lavoro andranno poi a effettuare questa valutazione più approfondita. In primis perché non ne hanno le competenze, e poi anche perché, banalmente, il tariffario di uno psicologo è più basso di quello di un medico del lavoro. E’ quindi improbabile che altre figure professionali possano soppiantare lo psicologo in queste valutazioni: sembra più credibile che il datore di lavoro non sappia che lo psicologo può dare una risposta ad un suo bisogno e quindi non si rivolga ad un collega bensì ad un economista o a un sociologo. Questo non per cattiva fede del datore di lavoro e per intrusività di altri professionisti, bensì perché da parte della nostra categoria si nota una scarsa informazione e propositività sull’argomento. Importante in questo comma è anche il riferimento all’accordo europeo dell’ 8 ottobre 2004, in cui si sottolinea cosa si intende per stress, quali effetti può avere e quali interventi sono necessari. Anche in questo accordo la figura dello psicologo non viene indicata espressamente, ma i riferimenti tecnici diretti a molti ambiti di pertinenza esclusivamente psicologica sono molti e inequivocabili. Infine è doveroso ricordare che la valutazione del rischio non è l’unico momento della prevenzione, infatti, lo psicologo dovrà essere coinvolto nella prevenzione secondaria e terziaria, ovvero quando pericoli di qualunque natura anche non psicosociale abbiano portato allo sviluppo di reazioni psicopatologiche stress correlate, gli approfondimenti diagnostici per la prevenzione secondaria, e le eventuali terapie difficilmente potranno essere svolte da ingegneri o tecnici della sicurezza. Semmai sarà fattore determinante per poter essere come categoria professionale un interlocutore credibile agli occhi di imprenditori, sindacati, medici, e ASL, l’entrare nella logica della prevenzione sanitaria e infortunistica in ambito occupazionale. Non basta essere un bravo clinico, bisogna conoscere le norme, le procedure e le logiche su cui si muovono i nostri interlocutori. Quello che a mio avviso è il pericolo più grande non arriva dalle altre figure coinvolte nella gestione della sicurezza e salute dei lavoratori, bensì dagli stessi psicologi. Quello che si teme è il proliferare di corsi di formazione su tematiche di pertinenza esclusivamente psicologica rivolti a non psicologi andando a ricreare anche in questo settore un problema analogo a quello del counseling. Questo ovviamente non deve portare ad una caccia alle streghe, è auspicabile che tutte le figure coinvolte dal datore di lavoro al medico competente passando per l’RSPP siano aggiornate sul ruolo, le competenze e la tecnologia che lo psicologo può offrire. Questo è necessario perché lo psicologo sia coinvolto quando effettivamente si presenta il bisogno della sua consulenza. Quindi ben vengano corsi ad altre figure, purché informativi e finalizzati alla cooperazione, aspetto qualunque intervento in questo settore. fondamentale per Sarebbe auspicabile che non si verifichi una situazione in cui i soliti noti vedano nel business della formazione una fonte di reddito più interessante di quella delle consulenze, che la nostra professionalità non venga svenduta e che le valutazioni non vengano liquidate con un test fotocopiato somministrato dalle R.U. piuttosto che dall’RSPP a tutto vantaggio del risparmio ma a svantaggio della salute dei lavoratori. In conclusione non mi sembra di ravvedere dei motivi di insoddisfazione riguardo alla lettera del nuovo T.U.. Semmai vedo delle lacune che potrebbero essere facilmente colmate tramite semplici interventi come ad esempio: – accademici l’attenzione alla tematiche degli ambienti che possa produrre ricerca e innovazione tecnologica, – l’impegno degli ordini professionali per la vigilanza sulle violazioni del codice deontologico come l’insegnamento a non psicologi di tecniche psicologiche; – l’impegno degli ordini professionali e delle altre associazioni professionali e culturali per la formazione di una cultura sull’argomento con l’istituzione di iniziative di divulgazione per psicologi e non, così come alcuni Ordini come quello del Lazio o del Piemonte hanno già fatto, – l’impegno di ogni psicologo interessato all’argomento di formarsi continuamente e imparare a lavorare in rete con figure diverse e in contesti a noi spesso poco familiari come quello della sicurezza sul lavoro. Nella speranza che questo intervento possa essere di stimolo per ulteriori riflessioni, rimango a disposizione insieme allo Staff di AP per accogliere qualunque richiesta di chiarimento o critica costruttiva. dott. Francesco De Ambrogi Ancora sui truccat... ehm, predeterminato”! concorsi ad “esito Ed ora è arrivata la terza. Già, la terza segnalazione dello stesso tenore: prima per un concorso all’inizio del 2007, in una Residenza per Anziani in provincia di Rovigo. Poi in un’ASL, sempre in provincia di Rovigo, per un posto da psicologo specializzato. Ed ora questa: una collega ci scrive, non proprio gentilmente, che nel tal servizio della tal città di un ricco e onesto Nord-Est è stato indetto un concorso per un posto da psicologo. E ci dice pure chi vincerà: nome e cognome. Che fare? La redazione è spaccata: pubblicare, non pubblicare, segnalare all’Ordine, alla Guardia di Finanza, alle Guardie Svizzere, alle Guardie Aupine… e alla fine, per ben due volte, non se ne fa nulla: troppi rischi di sbagliare, di mettere alla berlina le sane e incorrotte istituzioni sanitarie e gli innocenti colleghi. Troppo timore di essere accusati di false affermazioni, al limite della diffamazione. E poi, per ben due volte, la sorpresa: le segnalazioni ci avevano preso, nome e cognome del vincitore corridpondevano con quanto segnalato. Ed ora siamo alla terza. Che fare? Tentennare? Temere? Oppure raccontare tutto? Abbiamo scelto un’oculata via di mezzo, che speriamo sia utile per fare luce sul problema: chiuderemo tutto quanto (nome, cognome, riferimenti per individuare il concorso) in una bella busta chiusa, profumata di rose e spedita per raccomandata con ricevuta di ritorno ad uno studio legale di nostra fiducia, il quale riceverà la lettera ma non l’aprirà fino alla fine del concorso. Se l’arrabbiata collega ha indovinato il vincitore della lotteria sanitaria, ne daremo ampio risalto sulle nostre pagine. E come si dice, se son rose fioriranno… ai lettori l’invito a seguirci nelle prossime puntate! La Redazione La difficoltà Volontariato di fare Vorrei raccontare la mia esperienza di ‘aspirante’ volontario Psicologo. Aspirante, sì, perché nonostante gli elogi ampiamente espressi nei confronti del volontariato, pare che nel nostro Paese si abbia difficoltà anche nel voler fornire un’opera gratuita di aiuto. Almeno questo è quanto è successo a me quando ho deciso, qualche tempo fa, di propormi come Psicologo volontario per l’Asl 10 di Firenze. In breve, fui gentilmente respinto. Oltre che spiegare brevemente questa vicenda, vorrei anche accennare alle difficoltà che ho incontrato in un’altra esperienza che ho fatto più recentemente (nella prima metà del 2007) sempre nel tentativo di fare del volontariato. La prima storia ha inizio alla fine del 2006: ero appena fresco di specializzazione, cioè avevo da poco ottenuto il diploma in psicoterapia e, non avendo ricevuto nessuna offerta dall’associazionismo privato, decisi di mettermi in gioco nel pubblico, nell’area più accessibile al momento, ovvero nel volontariato presso qualche struttura nel campo della Salute Mentale. Per fortuna era ancora in tempo per fare domanda per il bando pubblico che , se non ricordo male, scadeva a metà Novembre del 2006, in cui l’Asl 10 di Firenze rendeva noto che erano disponibili alcuni posti per operatori volontari nelle varie specializzazioni sanitarie, tra cui, anche quella in psicologia! Il bando nell’area ma in un considera faceva riferimento a diverse sedi disponibili della Salute Mentale. Siccome non abito a Firenze, paesino vicino (non tanto vicino in realtà, se si che non c’è una stazione ferroviaria in paese), mi avrebbe fatto comodo una sede più vicina a casa, e in effetti nel bando c’era un posto disponibile per Psicologo nel più accessibile Borgo S. Lorenzo. Per concorrere al posto occorreva essere specializzati e io appunto ho una specializzazione ottenuta presso una scuola privata riconosciuta dal Ministero competente. Nel bando, per Borgo S. Lorenzo non si indicava che tipo di specializzazione lo Psicologo dovesse avere, e così nella mia domanda indico come sede preferita di destinazione quella di Borgo S. Lorenzo. Una volta presentata la domanda aspetto un esito. Passano i giorni e le settimane ma non ho alcuna notizia, così a fine Gennaio del 2007 decido di telefonare all’amministrazione presso cui ho presentato la domanda. La risposta è questa: la mia richiesta è stata respinta perché non sono specializzato in psicologia clinica! Ammesso avesse un senso per un posto (temporaneo) di volontariato distinguere fra Psicologo clinico e Psicologo – psicoterapeuta, perché questa difficoltà non mi è stata fatta presente prima (ho fatto domanda alcuni giorni prima che scadesse il bando) e magari mi venisse proposta una sede dove uno psicoterapeuta fosse ben accetto (e nel bando c’era almeno una sede dove effettivamente questa figura era richiesta)? Io stesso avrei indicato più sedi se nella domanda fosse stato possibile indicare più di una preferenza. Come è andata invece non ho potuto fornire un servizio gratuito qualificato. Chiedo allora: i servizi di salute mentale della Toscana sono così efficienti e produttivi da fare a meno di professionisti volontari? Oppure, in Italia, anche i posti di volontariato sono beni preziosi da spartirsi in modo competitivo e non del tutto trasparente? Devo ammettere che la vicenda mi rattristò un po’, ma non mi arresi subito. Infatti decisi di rivolgermi al volontariato privato. Presso una bacheca del Dipartimento di Psichiatria di Firenze ho trovato affisso il volantino di un’associazione di familiari di persone con cerebropatie acquisite, in cui si richiedeva l’operato di volontari. Mi metto in contatto con loro e la responsabile dell’associazione accoglie prontamente la mia richiesta di volontariato. Anzi, più che prontamente: le persone cerebrolese che mi indica come bisognose di un sostegno sono diverse. Sono tutte seguite presso servizi pubblici e privati competenti, ma quello che percepisco parlando con la responsabile è che ciò non è sufficiente, che c’è un vissuto di disagio sia dei pazienti che dei familiari non accolto e sostenuto dalle istituzioni. La necessità di un sostegno psicologico è molto sentita, oltre a un supporto più specifico nella riabilitazione neuropsicologica. Essendo uno Psicologo che mi interesso di neuropsicologia decido di dare un contributo non occasionale e propongo di fornire un aiuto nella riabilitazione, dall’associazione. il che viene accolto volentieri Per fornire un valido aiuto nella riabilitazione neuropsicologica non si può operare autonomamente senza il concerto delle altre figure professionali mediche. Un presupposto che quindi chiedevo prima di intervenire era quello di poter parlare brevemente col medico specialista che aveva in cura la persona, e avere, col consenso dei familiari, alcuni informazioni essenziali sulla sua situazione clinica, quasi sempre molto seria. Ebbene, quando ho cercato in due casi diversi di parlare con tali figure, non ho ottenuto risposta. Solo in un altro caso ho ricevuto disponibilità telefonica da parte di una logopedista, e così ho potuto intraprendere un intervento domiciliare volontario. E’ stata un’utile collaborazione, che ha ricevuto un apprezzamento da parte del paziente e dei familiari, che hanno percepito un significativo miglioramento comportamentale. Purtroppo, dopo un paio di mesi ho interrotto perché per fare l’intervento dovevo recarmi dal mio paesino fino a Pistoia!, e usando i mezzi pubblici questo era una vera odissea. In conclusione, posso dire che nei miei sforzi non sono stato certo sostenuto, anzi posso azzardarmi a dire di essere stato ostacolato, e questo non solo per motivi burocratici e contingenti, bensì anche, almeno è l’impressione, per interessi di parte. Spero che un giorno, quando avrò un’occupazione, possa riprendere con serenità l’impegno del volontariato, per l’arricchimento personale che dà e per la sua innegabile utilità sociale. Alessandro Lopez Le norme per l'equipollenza dei titoli Con la Legge n. 31 del 28 febbraio 2008 (Decreto detto “Mille Proroghe”) si stabilisce con chiarezza, finalmente, l’equipollenza dei titoli per l’accesso ai concorsi presso il servizio sanitario nazionale. In poche parole, si è messo definitivamente al bando il paradosso per cui, fino ad oggi, i colleghi specializzatisi presso le Scuole di Psicoterapia Private Accreditate avevano le stesse possibilità in campo di lavoro autonomo, rispetto a chi aveva ottenuto una specializzazione universitaria (cioè potevano definirsi e lavorare privatamente come psicoterapeuti), ma non le medesime opportunità in campo pubblico. I due titoli venivano considerati equivalenti, infatti, solo nei concorsi del SSN per la disciplina “Psicoterapia”, mentre per la disciplina “Psicologia” il titolo rilasciato dall’Istituto Privato Accreditato non permetteva l’accesso al concorso. Ci si trovava, perciò, di fronte all’assurdità per cui un laureato in Psicologia, con alle spalle 5 anni di studi specificamente mirati all’acquisizione di conoscenze in tale scienza a cui aveva aggiunto almeno altri 4 anni di specializzazione (privata riconosciuta) in Psicoterapia, aveva meno diritti di un medico con specializzazione (pubblica) in Psicologia Clinica o similari. In poche parole, 9 anni di studi specifici venivano considerati meno abilitanti di 4. In verità si era, già in passato, cercato di superare questa situazione. L’articolo 2, comma 3, della legge 29 dicembre 2000, n. 401, infatti, recitava: “Il titolo di specializzazione in psicoterapia, riconosciuto, ai sensi degli articoli 3 e 35 della legge 18 febbraio 1989, n. 56, come equipollente al diploma rilasciato dalle corrispondenti scuole di specializzazione universitaria, deve intendersi valido anche ai fini dell’inquadramento nei posti organici di psicologo per la disciplina di Psicologia e di medico o psicologo per la disciplina di psicoterapia, fermi restando gli altri requisiti previsti per i due profili professionali”. Perché, allora, è stata necessaria l’ultima uscita normativa? Perché è accaduto che i colleghi psicologi venissero esclusi dai concorsi (quei pochi che ci sono stati) per Psicologo presso il Servizio Sanitario Nazionale perché le ASL (e i tribunali) hanno dato un’interpretazione restrittiva della legge del 2000 intendendo riferita l’equipollenza alle sole ipotesi di “inquadramento in organico” del personale già in servizio e fino ad allora precario. Su queste questioni gli Psicologi hanno perso tutti i ricorsi proposti ai Tribunali Amministrativi e al Consiglio di Stato e quindi non hanno più potuto partecipare ai concorsi (ripetiamo: pochissimi) per Dirigente Psicologo se non avevano anche la specializzazione universitaria e – spesso – le scuole di specializzazione private hanno giocato sull’ambiguità del testo di legge del 2000 per dichiarare, sui loro opuscoli, la piena equipollenza di un titolo che ancora non lo era. Attualmente, invece, all’articolo 24-sexies della citata legge 31/08 (titolato proprio equiparazione di titoli ai fini dell’accesso ai concorsi presso il Servizio sanitario nazionale e vigilanza sull’Ordine nazionale degli psicologi) si evita ogni dubbio interpretativo e si dichiara: “I titoli di specializzazione rilasciati ai sensi dell’articolo 3 della legge 18 febbraio 1989, n. 56, e il riconoscimento di cui al comma 1 dell’articolo 35 della medesima legge, e successive modificazioni, sono validi quale requisito per l’ammissione ai concorsi per i posti organici presso il Servizio sanitario nazionale, di cui all’articolo 2, comma 3, della legge 29 dicembre 2000, n. 401, e successive modificazioni, fermi restando gli altri requisiti previsti” Questa, che viene salutata come una grande conquista, è una grande ingiustizia risanata; una volta ancora gli psicologi hanno dovuto lottare per ottenere qualcosa che, a lume di buon senso, dovrebbe essere del tutto ovvia, cioè riaggiustare una disparità fra colleghi con specializzazioni equivalenti per il titolo rilasciato ma diverse nella sostanza in quanto alcune trattate come “con più diritti” di altre. Un’ingiustizia che arrivava a far ritenere meno preparato chi aveva 9 anni di formazione in Psicologia (nella sua generalità e in alcune sue specifiche applicazioni) rispetto a chi ne aveva solo 4 (come ad esempio i Medici con diploma di specializzazione pubblico). Un’assurdità che si è resa ancora più palese quando la Corte di Cassazione ha definito che i laureati in Medicina non hanno diritto all’accesso alla specializzazione in Psicologia Clinica, che doveva intendersi riservata ai soli laureati in Psicologia. Con una sentenza che determina quanto avrebbe dovuto ritenersi già ovvio e con un’ulteriore legge che ribadisce ciò che avrebbe dovuto sembrare evidente (con vari passaggi legislativi, quindi, e molti anni persi), si ristabilisce a posteriori (è infatti da capire cosa accadrà dei concorsi già banditi con le vecchie regole ma non ancora espletati) una giustizia che avrebbe dovuto essere garantita fin dal principio per evidenti motivi logici. A questo punto, però, ci ritroviamo di fronte ad un ulteriore non-senso causato dalle confusioni legislative in cui ci siamo trovati a navigare negli ultimi decenni: medici assunti tramite concorso nella ASL grazie a quelle specializzazioni a cui, oggi, si ritiene non possano accedere e psicologi esclusi da quegli stessi incarichi che, oggi, vengono resi loro accessibili. Quanto è costato e continua a costare ai nostri colleghi questa ennesima assurdità? Quanto ha inciso in termini di posti di lavoro non attribuiti, incarichi non presi, accessi negati? Quanto in frustrazioni, dubbi di identità, burnout, rinunce alla professione? Ancora una volta, una vittoria che, purtroppo, ha il sapore della sconfitta tardivamente riparata. La Psicologia vista da fuori Scolastica Sulla questione della psicologia scolastica vorrei offrire il punto di vista del giurista. Svolgo infatti la professione di Avvocato dello Stato, fra le cui funzioni rientra la consulenza giuridica alle istituzioni scolastiche statali. Opero in un distretto molto “popoloso” di scuole statali (sono oltre 700). Da anni mi occupo di formazione per i dirigenti scolastici a livello nazionale, per conto del Ministero della Pubblica Istruzione e della sua Agenzia di formazione (Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell’Autonomia Scolastica). Le questioni che i dirigenti scolastici pongono attengono sempre più spesso alle relazioni scuola-genitori ed alle molte implicazioni giuridiche di tali relazioni: fra queste rientra la corretta gestione di iniziative di ascolto e di consulenza coinvolgenti gli alunni, nella misura in pongono problemi circa l’espressione del consenso dei genitori alla fruizione di esse da parte degli studenti minorenni, circa la ricaduta “privacy” di tali iniziative, circa la divisione delle competenze fra i docenti e gli altri consulenti esterni chiamati ad operare all’interno della scuola. Tralasciando la questione dell’esercizio abusivo della professione (di rilievo penale, ex art 348 c.p.), penso che occorra comunque prendere atto che nella professione psicologica è più difficile – almeno nella percezione comune, non tecnica – tracciare il confine tra le attività che rientrano nella definizione dell’art. 1 della Legge n. 56/89 e che per ciò sono riservate allo psicologo e quelle che non lo sono. L’ascolto e la funzione di aiuto alla persona sono elementi necessari della professione dello psicologo ma non sono certamente caratterizzanti, dal momento che sono presenti istituzionalmente in molte altre professioni (ad es. in quella di avvocato) ed anche nella professione del docente. L’affollamento di professioni e professionisti che insiste sulla medesima relazione (principalmente quella tra scuola ed alunni e tra scuola e genitori) con la medesima finalità (il complessivo benessere dell’alunno) rende particolarmente difficile per il dirigente scolastico la distinzione fra scopi e ruoli rispettivi, in un contesto nel quale spesso i docenti esprimono una naturale resistenza all’accettazione dell’intervento psicologico, dichiarato come tale, per la paura di un’eccessiva “medicalizzazione” della relazione con lo studente. D’altro canto, le scuole sono sempre più costrette in ogni ambito della loro azione a prendere decisioni rapide (a partire dal D.P.R. n. 275/1999 si è riversata sulla scuola statale, ad organico invariato, una quantità incredibile di funzioni amministrative in precedenza svolte dai Provveditorati agli studi): non è funzionale per loro distinguere le azioni soltanto in base agli strumenti utilizzabili o utilizzati dal consulente esterno, in modo da riservare agli psicologi gli interventi che comportano l’uso di strumenti di tipo psicologico, appunto. Le scuole tuttavia hanno due esigenze, che corrispondono ad altrettanti doveri giuridici di comportamento. E sono molti, a mio parere, i dirigenti scolastici che ne sono consapevoli. Da un lato c’è un’esigenza di trasparenza interna, sul piano organizzativo: essa impone chiarezza nella definizione dei ruoli, dei compiti, delle responsabilità – e dei reciproci confini – delle persone che operano nella scuola, siano esse dipendenti, siano collaboratori esterni. Ciò significa chiarezza già nel contratto di conferimento dell’incarico al collaboratore esterno e nettezza nella gestione del coordinamento di questo con il personale della scuola o con altri collaboratori esterni. Dall’altro lato, c’è un’esigenza di trasparenza esterna, sul piano della relazione scuolafamiglia: essa impone la necessità di informare i genitori e gli alunni (questi soprattutto nella scuola superiore) circa la propria azione, sia quella didattica, sia quella ad essa strumentale, alla quale appartengono le mille iniziative di aiuto, sostegno e supporto agli alunni, ma anche ai genitori ed ai docenti. La legge prevede due “documenti” aventi lo scopo di “contenere“ e diffondere tali informazioni: si tratta della Carta dei servizi scolastici (art 11, D.Lgs. n. 286/1999 e D.P.C.M. 7 giugno 1995, da intendersi ancora in vigore per effetto della previsione contenuta nell’ultimo comma del predetto art. 11) e del POF cioè il Piano dell’offerta formativa (art. 3 D.P.R. n. 275/1999), i quali nell’insieme devono dare conto alle famiglie ed alla collettività delle iniziative di tipo didattico, ovviamente, ma anche educative ed in generale di servizio che la scuola si determina ad offrire. Il fatto che la scuola pubblica possa discrezionalmente e unilateralmente decidere il contenuto e le modalità di erogazione del servizio scolastico, prescindendo dal consenso dei genitori (da ultimo. Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Ordinanza 05/02/2008 n. 2656), non significa negare il diritto di questi ad una informazione chiara, precisa e comprensibile delle iniziative programmate dalla scuola, delle loro finalità e natura, dei professionisti coinvolti e della tipologia di strumenti potenzialmente utilizzabili. La questione del ruolo e delle funzioni dello psicologo a scuola può allora essere aiutata, a legislazione invariata, dalla tipizzazione degli interventi che le istituzioni scolastiche sono solite attivare. Esemplificando, le scuole primarie si occupano prevalentemente di disturbi specifici di apprendimento (DSA); le scuole superiori di disagi adolescenziali, dipendenza da droghe, alcool, ecc. attraverso l’attivazione dei Centri di informazione e consulenza (CIC) di cui all’art. 106 del D.P.R. 309/1990. Tutte si occupano di prevenzione del bullismo. Tutte dovrebbero occuparsi degli aspetti psico-relazionali dell’organizzazione del lavoro (a cominciare dalla rilevazione dei rischi psico-sociali) imposta dalla corretta applicazione del D.Lgs. n. 626/1994. Sarebbe allora utile individuare delle tipologie ricorrenti di intervento per ordine di scuola, aiutando le stesse ad “utilizzare” -necessariamente in tali ambiti tipizzati – uno psicologo, con esclusione per la parte di stretta competenza professionale di altre professioni, ivi inclusa quella docente. Ciò non significherebbe certo escludere i docenti dalla relazione con lo studente o con la sua famiglia, ma riporterebbe l’attività di questi nell’alveo di quella professione, creando con essa opportune sinergie professionali ed evitando possibili sconfinamenti reciproci. Il tutto sul presupposto che in tali interventi l’attività di sostegno alla persona che ne costituisce la premessa si qualificherà come psicologica, essendo diretta alla predisposizione e gestione di percorsi di prevenzione o di recupero da situazioni di disagio ed intrecciandosi inesorabilmente con la descrizione e la valutazione di personalità così da sfociare quindi in una diagnosi psicologica. L’uso deciso dell’aggettivo “psicologico” sin dalla fase di ideazione degli interventi in questione, inoltre, aiuta ad evitare ambiguità a cascata circa la natura dell’intervento. La chiarezza dei destinatari degli interventi (personale, genitori, alunni) e la chiara declinazione dei reciproci obblighi e responsabilità nel testo contrattuale tra scuola e professionista psicologo è inoltre idonea ad “aiutare” l’applicazione di doveri anche deontologici quali quelli derivanti dall’obbligo per lo psicologo di chiarire la natura e la finalità dell’intervento al destinatario della prestazione ogniqualvolta questo sia diverso dal committente e di acquisire il consenso dei genitori in caso di destinatario della prestazione minorenne. Il tutto, attraverso linee di azione che aiutino anche alla corretta gestione in termini privacy degli interventi, tenendo conto che, se da un lato la natura pubblica delle istituzioni scolastiche esonera le stesse dalla richiesta del consenso (al trattamento dei dati personali) da parte di studenti e genitori (art 18 ss D.Lgs. 196/2003), dall’altro lato l’appartenenza della professione psicologica alle professioni sanitarie impone allo psicologo di richiedere ed ottenere il consenso informato degli interessati anche ai fini prvacy (art 75 ss D.Lgs. 196 e art 31 del Codice deontologico). Si potrebbe poi fare di più: entrando maggiormente nei dettagli del tipo di intervento, si aiuterebbero le scuole a scegliere tra le varie professionalità psicologiche quella più adatta all’intervento stesso (aiutandole a distinguere ad esempio la specificità della competenza dello psicologo dell’età evolutiva da quella dello psicologo del lavoro). Sarebbe una linea di azione che andrebbe a vantaggio della categoria, ma soprattutto dei destinatari degli interventi. Infine, persino la nota autoreferenzialità del contesto scolastico può divenire una risorsa: vista in positivo, questa auroreferenzialità aiuta la circolazione interna delle informazioni e delle medesime “buone pratiche”. Un esempio di circolazione fattiva in questo senso è la piattaforma di formazione in servizio rivolta ai Dirigenti scolastici (www. Indire.it – area Formazione per dirigenti scolastici “Gestire la scuola” e a breve area “”FORdirigenti”). Una collaborazione stretta tra organismi a rilevanza pubblica, strutture centrali e periferiche della scuola e Ordine professionale, potrebbe innescare un gioco a somma maggiore di zero per tutti gli attori. Forse più e meglio di qualche sporadico intervento normativo. E comunque nella sua attesa. Avv. Laura Paolucci Costi d'iscrizione e coerenza degli Ordini Sono passati quasi due anni da quando, il 20 aprile del 2006, Nicola Piccinini pubblicava su Opsonline un articolo intitolato “Ordine Sicilia, legge 56/89 e Codice Da Vinci”. L’intervento in questione riprendeva scherzosamente, ma non troppo, un mio post pubblicato nel forum dello stesso sito qualche giorno prima, sempre scherzosamente, ma sempre non troppo, con lo stesso titolo. Dopo tutto questo tempo nulla è cambiato in merito al grande punto interrogativo che campeggia sull’applicazione reale, etica e meritocratica in Sicilia della legge che definisce la nostra professione (per capire meglio sarebbe il caso di andare a dare un’occhiata di persona a questo indirizzo: http://www.ordinepsy.sicilia.it/pagine/professional/norme/l_56 .html. Notate qualcosa di strano nel titolo della pagina ?). Scorrendo le lussuose pagine patinate di “Psicologi & Psicologia in Sicilia”, la rivista ufficiale dell’ordine regionale, si possono apprezzare gli editoriali puntualmente sgorganti dalla penna di Fulvio Giardina, l’intramontabile presidente dell’ordine siculo, nonché attuale segretario del Consiglio Nazionale degli Ordini degli Psicologi. Uno dei temi più cari al “nostro” sembra essere la condizione occupazionale degli psicologi siciliani, soprattutto dei giovani, al punto da portarlo a indire, per il 2008, una serie di incontri itineranti, provincia per provincia, vertenti sull’argomento “orientamento alla professione di psicologo”, dedicata agli iscritti all’albo da meno di cinque anni. Non un solo articolo di Giardina manca di lamentare la cronica carenza di possibilità lavorative per gli psicologi siciliani, e soprattutto per i giovani che si affacciano alla professione che lui stesso definisce “…una delle ultime professioni “romantiche” (virgolette sue) in questa epoca globalizzata e tecnologizzata”. Che belle parole… Ero un romantico professionista e non me n’ero mai accorto!. Con 4200 iscritti all’albo (circa, perché pare non sia possibile averne un numero definitivo, altro punto interrogativo!) all’inizio del 2008, la Sicilia sforna a ciclo industriale una spropositata quantità di psicologi da circa vent’anni. Come dice Giardina in uno dei suoi editoriali: “Sono ancora troppi i giovani colleghi che non riescono a trasformare la propria competenza in reddito sicuro per il proprio avvenire.” E saranno sempre di più, caro Fulvio, lo sai meglio di me. Non possiamo permetterci di produrre altri psicologi. In Sicilia il mercato del lavoro per gli psicologi era saturo già prima di nascere, ora è in coma irreversibile. La maggior parte dei giovani abilitati resta a carico dei genitori ancora per molti anni dopo l’iscrizione all’albo. Molti si accontentano di lavoretti per i quali sono sovraqualificati, sottopagati (quando non costretti a lavorare direttamente gratis, dietro una vaga promessa di qualche astratta “possibilità in seguito”) o decidono di fare tutt’altro lavoro o addirittura di emigrare. Le prospettive per il futuro sono un lontano puntino luminoso in una notte buia e tempestosa e, se a questa situazione si aggiunge anche l’esasperata ed esasperante logica clientelare che pervade praticamente qualsiasi area lavorativa, pubblica e privata, in Sicilia, è facile concludere che il poco lavoro che c’è va per giunta sempre ai soliti noti, come afferma lo stesso Giardina in un altro suo intervento: “… il 17% degli iscritti all’Ordine siciliano (il numero cioè dei colleghi che operano all’interno del S.S.N. siciliano) svolge l’attività di quasi il 70% di tutti gli iscritti all’ordine, in una condizione di asimmetrica concorrenza professionale, rendendo ancora più precaria e difficile la possibilità di organizzare la propria vita professionale da parte dei giovani iscritti.” Sante parole. Giardina Santo Subito! Non a caso ho citato la Santità. Ricordate la parabola della “pagliuzza nell’occhio di tuo fratello e della trave nel tuo occhio”? In un altro dei suoi editoriali, parlando delle inqualificabili condizioni retributive e pensionistiche in cui la nostra categoria versa, Giardina scrive ancora: “… L’ENPAP… …non si è mai calata nella triste realtà dei giovani colleghi i quali molto spesso sono costretti a nascondere i loro primi, e miseri, introiti, perché altrimenti verrebbero gravati di spese al momento non sostenibili.” Invece l’ordine della Sicilia ci si è calato, nella triste realtà dei giovani colleghi, ma ancor di più si è calato negli ancora più tristi conti correnti, dei giovani colleghi. A fronte, infatti, della poetica litania di richiami alla difficile condizione economica dei giovani psicologi siciliani, l’ordine regionale ha avuto il coraggio (ho deciso di usare questo termine, perché mi sono immedesimato in loro; ho empatizzato e ho concluso che bisogna avere veramente degli “attributi così” per prendere una decisione del genere) di chiedere agli iscritti un ulteriore sacrificio. Avete notato anche voi come in Italia sono sempre quelli che stanno meglio a chiedere sacrifici a quelli che stanno peggio e mai il contrario? Di chiedere, in altre parole, il non-chiedibile. Vorrei ora chiedere io qualcosa al consiglio regionale dell’ordine siciliano: QUANTO È ROMANTICO AUMENTARE DI 10 EURO IN UN SOLO ANNO LA TASSA D’ISCRIZIONE, PASSANDO DAI DISINVOLTI 160 EURO DEL 2007, AGLI SFACCIATI 170 EURO DEL 2008, IN UNA REGIONE IN CUI, COME CI RICORDA GIARDINA IN UN ALTRO DEI SUOI EDITORIALI, GLI PSICOLOGI, SOPRATTUTTO I GIOVANI, FANNO UNA FATICA BESTIA PER TROVARE UNO STRACCIO DI “… spazio al sole…”? Prima di scrivere questo intervento, ho telefonato alla segreteria dell’ordine per chiedere le informazioni necessarie per fare due conti. Sono riuscito a farmi dire solo il numero attuale, e approssimativo, come sopra ricordato, degli iscritti. Quando ho chiesto alla persona con cui ho parlato il numero degli iscritti per la prima volta delle sezioni A e B per il 2007, mi sono sentito rispondere che non era un’informazione che poteva darmi su due piedi, e che per poter fare una ricerca del genere aveva bisogno di un permesso speciale. Un permesso speciale per dirmi quanti nuovi iscritti ci sono stati nel 2007? E a chi avrebbe dovuto chiedere il permesso il segretario, per una fesseria del genere? E se avessi chiesto di vedere l’intero bilancio, da chi mi sarei dovuto far raccomandare? Dal grande “Totò vasa vasa”*? In forza delle considerazioni suesposte, chiedo all’ordine degli psicologi della Sicilia: 1) Che il bilancio d’esercizio annuale sia reso pubblico tramite il relativo sito web, se non a tutti gli utenti, almeno agli iscritti all’albo. 2) Che la riduzione del 50% della quota di iscrizione annuale sia estesa, coerentemente con la pianificazione del percorso professionale delineata dallo stesso presidente (vedesi sopra), ai primi cinque anni di iscrizione all’albo, e non limitata solo al primo. 3) Che si faccia una seria campagna informativa sulle condizioni lavorative ed economiche degli psicologi siciliani rivolta agli iscritti all’ultimo anno delle scuole superiori di tutta la regione. Sono contrario al numero chiuso (o programmato, che dir si voglia) all’università ma, se uno studente che esce dalla scuola superiore deve suicidarsi professionalmente, ha il diritto – quanto meno – di farlo in maniera consapevole e non dopo essere finito nella rete dell’iscrizione all’albo, altrimenti, a voler pensare male, si potrebbe concludere che chi dovrebbe fare un serio orientamento pre-universitario non faccia un bel niente e lasci gattopardescamente che tutto rimanga com’è per difendere i consueti interessi di casta. Prima di riportare la classifica degli ordini regionali per costo della tassa d’iscrizione 2008, ho una quarta richiesta per l’ordine della Sicilia. Mi ispiro sempre agli scritti di Giardina – che a proposito del recente cambio di sede dell’ordine regionale scrive: “Gli spazi lavorativi… … che caratterizzano il nostro Ordine, e non ultimo il decoro ed il prestigio della sede, che – in ogni caso – è rappresentativa della nostra professione” – e mi chiedo come mai tante persone, anche dotte, facciano fatica a capire che oltre alla realtà concreta bisogna ormai misurarsi anche con la realtà virtuale: ciò che vale per il decoro e il prestigio di una sede in presenza, vale anche per la sede a distanza, cioè per il sito web. Visitando i siti di tutti gli ordini regionali e provinciali d’Italia, posso dire di non aver visto degli esempi di lavori avveniristici o particolarmente accattivanti, ma nella maggior parte dei casi erano senza infamia e senza lode. Tranne due: il sito (guarda caso) della Sicilia, superato in bruttezza solo da quello delle Marche. La cosa strana è che la Sicilia e le Marche (il cui presidente è, guarda caso, anche lui nell’Ufficio di presidenza del Consiglio Nazionale dell’ordine come tesoriere) sono tra le regioni con la tassa più alta per il 2008. Lungi da me l’idea di dare lezioni a un ordine che non pago, ma a quello che pago vorrei suggerire di assumere un vero webmaster e di rifare dalle fondamenta un sito che in quanto a prestigio e a decoro ha veramente poco (o molto, secondo i punti di vista) da dire. E non mi si venga a raccontare che mancano i soldi per farlo, perché con quelli che entreranno nelle casse dell’ordine siciliano nel 2008 il sito potremmo farcelo fare, forse, da Bill Gates in persona. E ora, la classifica del costo d’iscrizione all’ordine per il 2008: 1. 2. 3. 4. 5. 6. Marche: 180 euro Abruzzo e Sicilia: 170 euro Emilia Romagna e Piemonte: 165 euro Basilicata e Friuli Venezia Giulia: Liguria: 158 euro Puglia: 157 euro 160 euro 7. Campania, Toscana e Veneto: 155 euro 8. Calabria: 150 euro 9. Lombardia e Lazio: 145 euro Per quanto riguarda la Sardegna e Bolzano sono riuscito a sapere solo che la quota ridotta per il primo anno è di 90 euro per entrambi gli ordini, e dato che di solito la riduzione è del 50% presumo che la quota per gli altri anni sia di 180 euro. L’ordine della provincia di Trento ha il sito in manutenzione al momento in cui scrivo. Non sono riuscito ad avere, dal web, nessuna informazione sugli ordini di Umbria, Molise e Val d’Aosta.. Enzo Artale Bibliografia Psicologi & Psicologia in Sicilia, anno VIII – n. 3 – ottobre 2005 Psicologi & Psicologia in Sicilia, anno IX – n. 4 – ottobre 2006 Psicologi & Psicologia in Sicilia, anno X – n. 5 – maggio 2007 Psicologi & Psicologia in Sicilia, anno X – n. 6 – dicembre 2007 * http://it.wikipedia.org/wiki/Salvatore_Cuffaro Concorsi e Selezioni all'Italiana CONCORSI E SELEZIONI ALL’ITALIANA ... Il trucco c’è ma non si vede: ai candidati l’onere di starci attenti Ci scrivono da Milano due colleghi, che hanno partecipato alla selezione per incarichi in regime di libera professione per psicologi, dell’U.O.N.P.I.A. della Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena, svoltasi alcune settimane presso il Politecnico di Milano. I colleghi hanno segnalato che la prova orale si è svolta secondo modalità inadeguate: entrambi ci riferiscono che l’alto numero di candidati si è tradotto nella riduzione della durata dei colloqui a pochissimi minuti, rendendo a loro parere impossibile qualunque seria possibilità di conoscenza dei professisonisti e relativa comparazione. Rispondo qui dicendo che dagli elementi forniti non sembra risultare alcuna irregolarità a livello formale. Tuttavia, potrebbe essere percorribile un ricorso volto ad evidenziare il carattere sbrigativo delle prove orali, ma la difficoltà di oggettivare questa osservazione risoluzione positiva. rende improbabile una Preme però specificare che le selezioni per incarichi in regime libero-professionale rispondono a logiche di flessibilità dell’amministrazione pubblica che in sostanza permettono alle commissioni di decidere in maniera autonoma come svolgere le prove. In pratica, una stortura legislativa in base alla quale è possibile by-passare le complesse procedure concorsuali e permettere l’accesso al servizio, in tempi brevi, al candidato preferito (che non è necessariamente quello scelto DOPO la selezione…), mantenendolo inoltre in servizio a tempo indeterminato attraverso successive riselezioni. Ovviamente, la faccenda è sempre presentata diversamente dalle Aziende, e non solo… È l’occasione per riaffermare due principi che ci sembrano fondamentali per difendere la categoria e il proprio diritto ad una selezione imparziale in queste occasioni, che troppo spesso sono veri e propri pretesti per orientare il denaro pubblico verso un candidato scelto preventivamente: 1) Essenziale è conoscere la normativa in materia di concorsi e selezioni: in articoli presenti nel nostro sito, ho sintetizzato i punti essenziali in un vademecum che sarebbe utile conoscere ogni volta che si partecipa ad un concorso o ad una selezione. Non serve nemmeno cercare troppo in giro, quindi non ci sono scuse! La nostra categoria soffre di ignoranza, e questo permette a sedicenti funzionari pubblici di imbrogliarci nei modi più banali; di fronte a palesi violazioni della procedura, è sempre possibile opporre il dettame di norma, a patto però di conoscerlo. 2) Non lasciar perdere: spesso sentiamo dire che “tanto è così dappertutto” e simili. Su questo si basa la perpetuazione dell’imbroglio, che fa parte di una certa cultura all’italiana, ma non per questo deve passare sotto silenzio. Teniamo presente che nel nostro caso, “lasciar perdere” spesso significa lasciare allo strapotere di altre categorie professionali di decidere dell’ingresso di psicologi nei servizi, e questo indebolisce la nostra professione. AltraPsicologia riceve spesso segnalazioni relative a selezioni e concorsi in cui i colleghi non sono precisi nel riferire le presunte irregolarità, confondono continuamente “Concorso” e “Selezione” e non forniscono la documentazione necessaria per capire di cosa si tratta (Bando o estremi della pubblicazione), impedendoci di dare qualunque parere sensato. Invece, è importante che tutti gli psicologi che partecipano ai concorsi siano informati con precisione di come dovrebbero svolgersi le procedure. Ciò che possiamo fare come AltraPsicologia è fornire ai colleghi una consulenza preventiva per valutare se è possibile una azione di ricorso, che può avvenire sia attraverso il TAR che attraverso una procedura molto più snella, detta “in autotutela”, che consiste nel segnalare direttamente al C.d.A. dell’ente che è stata compiuta una violazione procedurale, attivando un accertamento interno volto appunto all’autotutela contro eventuali ricorsi al TAR. In ogni caso, richiediamo precisione nel segnalare il fatto che si presume irregolare sulla base della normativa vigente, perché è l’unico modo che abbiamo per poter agire. Infine, è da ribadire che la competenza in materia di tutela degli psicologi nei concorsi e, con un po’ di buona volontà, nelle selezioni, è del sindacato AUPI, a cui ci si può rivolgere in caso di irregolarità. In quest’ultimo caso, invitiamo i colleghi a informarci se il paziente dopo la stimolazione si sveglia dal coma… Federico Zanon Tutela degli psicologi nella scuola Pubblichiamo la lettera che l’Ordine Emilia Romagna, su inziativa della Commissione Lotta all’Abusivismo, Tutela dei confini della professione e Pubblicità, coordinata dalla Dr.ssa Chiara Santi (di AltraPsicologia), ha inviato a tutti gli istituti scolastici della regione. Riteniamo questa semplicissima lettera un buon esempio da imitare, da parte di tutti gli altri Ordini Regionali, affinché si comincino a tutelare gli interessi della nostra categoria e dei numerosi colleghi che lavorano in questo ambito. Cogliamo anche l’occasione per ricordare che AltraPsicologia ha istituito un gruppo di studio, formato da circa 30 colleghi di tutta Italia che hanno aderito ad un nostro invito pubblico, finalizzato alla stesura e alla presentazione di una Proposta di Legge sulla Psicologia Scolastica. Tale gruppo sta terminando i suoi lavori e presto avrete notizie in proposito. Redazione Ordine Degli Psicologi della Regione Emilia-Romagna Strada Maggiore, 24 – 40125 Bologna – Telefono 051/263788 – Fax 051/235363 e-mail [email protected] – Sito web – www.ordpsicologier.it Codice Fiscale 92032490374 Bologna, 4 settembre 2007 Prot. n. 1811 Ai Dirigenti Scolastici Delle Scuole Secondarie Di primo e secondo grado Della Regione Emilia Romagna Oggetto: Attività psicologiche nelle scuole secondarie di primo e secondo grado Gent.ma/Egregio Dirigente Scolastica/o, Le scriviamo per informarLa che stiamo contattando tutte le Scuole secondarie di primo e secondo grado della nostra regione in seguito a numerose segnalazioni, pervenuteci dai nostri Iscritti, che ci informano della presenza, in diverse Scuole, di sportelli di ascolto psicologico condotti da operatori non abilitati all’esercizio della Professione di Psicologo. La presente comunicazione, pertanto, ha uno scopo essenzialmente informativo a tutela Vostra e dei Vostri studenti; si propone, inoltre come richiesta di collaborazione per aiutarci a prevenire fenomeni di esercizio abusivo della professione (ex art. 348 Codice Penale), rischiosi e potenzialmente dannosi per gli utenti finali, considerato il delicatissimo settore nel quale si agisce, cioè quello della salute psichica. Ricordiamo che negli ultimi anni gli “sportelli di ascolto”, così come numerose altre attività a carattere psicologico all’interno delle Scuole, si sono andati progressivamente organizzando e diffondendo sulla base di una domanda crescente da parte dei docenti, nonché di oggettivi bisogni espressi dalle varie componenti del mondo scolastico. In molti Istituti si realizzano, oggi, interventi psicologici il cui scopo è quello di fornire un aiuto attraverso Sportelli per gli studenti e/o colloqui individuali con gli studenti, incontri con le classi, attività di orientamento, attività rivolte agli insegnanti e/o ai genitori. Tutto ciò nell’ottica di un complessivo lavoro volto a promuovere il benessere globale di tutti i soggetti costituenti il “sistema Scuola”. I contenuti delle principali attività psicologiche nelle Scuole possono includere diverse aree di intervento: · Consulenza psicologica · Educazione socio-affettiva · Sviluppo dell’autonomia nei processi di scelta e di strategie di autoefficacia · Interventi psicologici nei confronti della “diversità” · Facilitazione dei processi di apprendimento e strategie di motivazione per il successo scolastico · Difficoltà scolastiche · Orientamento e ri-orientamento · Prevenzione e gestione dell’ansia · Educazione alimentare, stradale, alla salute ecc. · Prevenzione e azione rispetto ad aggressività e bullismo · Disagi affettivo-relazionali · Integrazione culturale scolastica · Dispersione scolastica Non sempre, tuttavia, per tali servizi vengono utilizzati Psicologi iscritti al relativo Albo professionale. Ricordiamo che la Legge 56/89 riserva tutte le attività che si riferiscono all’”uso di strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico” agli Psicologi abilitati alla professione. Per correttezza e precisione, specifichiamo che intendesi con Psicologo chi ha conseguito la Laurea Magistrale quinquennale, ha superato il relativo Esame di Stato e si è successivamente iscritto alla sezione A dell’Albo, diversamente da chi è iscritto nella sezione B che, in seguito a un percorso triennale di studi e successivo esame di abilitazione, ha ottenuto il titolo di Dottore in tecniche psicologiche, ma non quello di Psicologo (raggiungibile solo con un ulteriore biennio formativo universitario). Ora, per quanto alcune delle attività sopra menzionate possano non essere strettamente psicologiche, è altrettanto certo, e normativamente statuito, che tutte le attività a stampo chiaramente psicologico non possono essere svolte da soggetti non iscritti al sopra citato albo nella sezione A; in difetto ricorrerà l’ipotesi prevista dall’art. 348 c.p.(“Abusivo esercizio di una professione”), anche eventualmente estensibile, a titolo di concorso, a chi quelle mansioni abbia affidato all’abusivo. E’ altresì il caso di sottolineare che, ai sensi di legge, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio (e quindi, per esempio, il preside della scuola, nonché quasi tutti gli insegnanti) che venga a conoscenza di situazioni di abusivismo, è obbligato a denunziarle all’autorità giudiziaria, in difetto potendo incorrere nelle pene previste dall’art. 361 c.p. (“Omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale”) ovvero dall’art. 362 c.p. (“Omessa denuncia di reato da parte di un incaricato di pubblico servizio”). Questo Ordine Regionale degli Psicologi, a cui per legge compete di vigilare per l’osservanza delle disposizioni normative inerenti tale Professione, è a Vostra completa disposizione per qualunque tipo di quesito o chiarimento in merito. Certi, pertanto, sia dell’osservanza da parte del Vostro Istituto di tutta la normativa al riguardo presente nel nostro Paese, sia della reciproca collaborazione relativamente alle segnalazioni o alla richieste che vorrete farci pervenire al riguardo, Vi porgiamo il nostro più cordiale saluto. La Presidentessa dell’Ordine degli Psicologi dell’Emilia Romagna (Dott.ssa Manuela Colombari) Psicologi Ambulatoriali: Leggenda metropolitana o imbroglio all'italiana? Ecco. Prevenuto già dal titolo. Ma che ti avranno fatto mai gli enti pubblici? Perchè non concedere un’altra possibilità alla macchina della sanità statale, a questo mostro futurista di ferro, vapore e cervelli, che produce prestazioni pagando il ticket e stipendi vincendo (?!) concorsi e selezioni? Intendo qui occuparmi (da dilettante del diritto amministrativo, s’intende) dell’annosa questione delle liste degli psicologi ambulatoriali. Già, perchè molti colleghi si iscrivono a queste liste nell’attesa e nella speranza di una chiamata per sostituzione di malattia, di aspettativa per le più varie ragioni (ah, che buon cuore questi strutturati da 3000 euro al mese, che se ne vanno in missione per tre mesi nei paesi poveri…), di maternità (già, per chi non lo sapesse l’istituto della maternità esiste ancora, si è solo ridotto ad essere diritto garantito per la ristretta casta dei lavoratori dipendenti, quelli che hanno un lavoro e quindi possono permettersi tranquillamente un figlio). Dunque, la credenza popolare recita più o meno così: ci sono queste liste, a cui lo psicologo (ma anche il biologo e il chimico) si iscrive attraverso una trafila burocratica eventualmente a pagamento, si comunicano i propri titoli di studio e carriera, e alla fine l’ente (ma quale ente?) rende pubblica la classifica. Nella teoria popolare, ogni volta che serve uno psicologo da qualche parte, le strutture pubbliche della provincia dovrebbero attingere da questa lista, in ordine di graduatoria, secondo il principio comune per cui “si prende il più bravo”. Siccome questa faccenda del fatto che nelle strutture pubbliche prenderebbero sempre i più bravi, piuttosto che i più raccomandati, mi ha sempre un po’ stupito (e come non potrebbe stupirmi? Se io fossi un dirigente farei lavorare i figli dei miei amici, o i miei parenti, o gli amici di quelli che mi appoggiano alle elezioni a sindaco, o la giovane cerbiatta bionda che si è dichiarata disposta ad inginocchiarsi sotto la mia scrivania durante l’orario di lavoro… non certo qualche giovane e preparato centodiecino con due lauree e anni di robusta eperienza da precario!!!), ho pensato di approfondire. Ed ecco i primi risultati: la materia è regolata da un accordo nazionale, sancito dal DPR 446/2001 (si trova tranquillamente in internet), fra Stato e sindacati di chimici, biologi e psicologi (per noi, l’onnipresente AUPI, nata in seno allo zoccolo duro degli psicologi pubblici dipendenti, che con il loro 1% scarso sulla popolazione degli psicologi rappresentano a pieno diritto l’intera categoria e il precariato giovanile). Riassumendo molto, sembra che queste liste siano realmente istituite da un provvedimento con validità giuridica, che addirittura imporrebbe alle aziende sanitarie di individuare i professionisti da incaricare attraverso graduatoria, qualora non sia possibile far fronte alle esigenze di servizio attraverso l’aumento di ore agli strutturati che non raggiungono le 38 settimanali. A piede dell’articolo (per non scoraggiarvi dal leggerlo tutto!) riporto gli stralci del DPR che mi paiono più importanti. All’argomento abbiamo già dedicato altri articoli approfonditi tra cui questo, questo e quest’altro. Ed ora il domandone finale e un appello ai lettori: Qualcuno degli psicologi in graduatoria è mai stato incaricato? Non è una domanda retorica, ma una richiesta che rivolgo ai lettori di AltraPsicologia: vogliamo capire se e come queste liste sono utilizzate, e l’unico modo per avere notizie attendibili è interrogare i diretti interessati (confessate! per un momento avete davvero pensato che chiamando le aziende sanitarie qualcuno ne sappia qualcosa…). Chiunque conosca direttamente, o abbia notizia, di qualcuno di questi incaricati apparsi fugacemente in graduatoria e poi misteriosamente scomparsi nei meandri del precariato pubblico. Sembra che alcuni ancora vaghino nei sotterranei degli ospedali, armati del solo DSM IV per affrontare in assoluta disparità numerica le creature stipendiate in camice bianco che hanno il dominio incontrastato di questi luoghi. Se qualcuno dei lettori sa qualcosa, si faccia avanti. Non abbandoniamoli! Soprattutto, interessa contattare i primi in graduatoria, per sapere da loro come funzione realmente la faccenda. Potete inviare le segnalazioni alla redazione di AP, mettendo in oggetto il mio nome (sono molto vanitoso…): [email protected] ************ DPR 446/2001 Articolo 3 Il professionista che aspiri a svolgere la propria attività professionale nell’àmbito delle strutture del Servizio sanitario nazionale come sostituto o con incarichi a tempo determinato ai sensi del protocollo aggiuntivo di cui all’allegato 1, deve inoltrare all’Assessorato alla Sanità della Regione nel cui ambito intende ottenere l’incarico, entro la fine del mese di febbraio di ciascun anno, a mezzo raccomandata A.R., apposita domanda conforme agli allegati A, A1, A2 di cui al presente accordo e corredata del foglio notizie compilato in ogni sua parte. Articolo 4 Formazione delle graduatorie. 1. L’Assessorato regionale alla Sanità provvede entro il 31 maggio alla formazione delle graduatorie provvisorie regionali per titoli, distinte per categoria professionale, con validità annuale, da valutare secondo i criteri di cui agli allegati B, B1, B2 del presente accordo. (…) 3. Entro 15 giorni successivi all’ultimo giorno di pubblicazione gli interessati possono inoltrare, mediante raccomandata A.R., istanza di riesame della graduatoria, relativa alla propria categoria professionale, all’Assessore regionale alla Sanità. 4. Le graduatorie definitive, approvate dal competente Organo regionale, sono pubblicate sul Bollettino Ufficiale della Regione entro il 31 ottobre; la pubblicazione costituisce notificazione ufficiale agli interessati e alle Aziende Sanitarie. 5. Le graduatorie hanno effetto dal 1° gennaio al 31 dicembre dell’anno successivo alla data di presentazione della domanda e decadono al momento in cui entrano in vigore le successive. Articolo 8 Sostituzioni. 1. Alle sostituzioni di durata non superiore a 30 giorni l’Azienda provvede assegnando l’incarico di supplenza o ad un professionista designato dal titolare dell’incarico o secondo l’ordine di graduatoria con priorità per i professionisti non titolari di incarico che non si trovino in posizione di incompatibilità. Alle sostituzioni di durata superiore l’Azienda provvede comunque conferendo l’incarico di supplenza ricorrendo alla graduatoria secondo i criteri di cui al presente comma. 2. L’incarico di sostituzione non può superare la durata di sei mesi; il professionista che ha effettuato una sostituzione non può ricevere altro incarico di sostituzione se non dopo un periodo di interruzione di almeno trenta giorni. L’incarico cessa di diritto e con effetto immediato con il rientro del titolare. Articolo 9 Incompatibilità. 1. Fermo restando quanto previsto dal punto 6 dell’art. 48 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, nonché dall’art. 4, comma 7 della legge 30 dicembre 1991, n. 412, il rapporto resta incompatibile con: a) un rapporto di lavoro subordinato presso qualsiasi ente pubblico o privato, con divieto di libero esercizio professionale; b) rapporti di lavoro svolti a qualsiasi titolo con Case di cura o Presìdi privati accreditati e/o convenzionati; c) forme di cointeressenza diretta con Case di cura private accreditate e convenzionate e, limitatamente ai biologi e chimici, con laboratori di analisi chimico-cliniche e biologiche; d) titolarità di incarico disciplinato dal presente Accordo nell’àmbito di altra Regione. Articolo 12 Strutture regionali deputate alla formulazione graduatorie e al conferimento degli incarichi. delle 1. In rapporto al numero degli addetti ciascuna Regione individua, nell’ambito della regione stessa, la struttura a cui demandare la formulazione delle graduatorie regionali e la gestione del conferimento dei relativi incarichi e degli eventuali aumenti orari. 2. Alla struttura di cui al comma 1 è altresì demandata la tenuta degli elenchi regionali di cui all’art. 2. 3. I compiti di cui ai precedenti commi possono essere delegati ad una delle Aziende Sanitarie regionali con funzioni di capofila. Articolo 26 Trattamento economico. 1. Ai professionisti confermati ai sensi del presente accordo è corrisposto dall’1° gennaio 1999, mensilmente, un compenso forfettario orario nella misura e con la decorrenza di cui alla seguente tabella: L. 24.235 con decorrenza 1° gennaio 1999; L. 24.575 con decorrenza 1° gennaio 2000. Articolo 28 Contributo previdenziale. 1. A favore dei professionisti incaricati ai sensi del presente accordo l’Azienda versa alle casse previdenziali (ENPAB, ENPAP, EPAP) trimestralmente, con modalità che assicurino l’individuazione delle somme versate e del professionista cui si riferiscono, un contributo del 22% di cui il 13% a proprio carico ed il 9% a carico di ogni singolo professionista, calcolato sui compensi di cui agli articoli 20, 22, 24, 26, 27 del presente accordo (…) Allegato 1 PROTOCOLLO AGGIUNTIVO PER INCARICHI A TEMPO DETERMINATO Articolo 1 Natura del rapporto. 1. Esperite le procedure previste dall’Accordo Collettivo Nazionale per l’assegnazione dei turni resisi vacanti e attuate le modalità e le procedure previste dagli artt. 3 e 4 dell’Accordo stesso, salvi casi particolari da verificare in sede aziendale di inapplicabilità delle norme sopra richiamate, qualora sussistano ulteriori esigenze di attività specialistica, le Aziende applicano le norme del presente “Protocollo aggiuntivo” per la instaurazione di rapporti orari a tempo determinato”. 2. I rapporti orari a tempo determinato sono instaurati: a) per la copertura di turni resisi vacanti e non assegnati dopo aver inutilmente esperite le procedure: – indicate dall’articolo 5 per gli aumenti di orario ai professionisti incaricati a tempo indeterminato; – stabilite dall’art. 6 e 7 per l’attuazione di forme di flessibilità operativa, riorganizzazione degli orari e di mobilità; b) per assicurare da parte delle Aziende una ulteriore offerta di prestazioni o attività specialistiche per far fronte alla domanda avanzata dagli utenti, mediante l’incremento dei servizi specialistici. 3. Le norme del presente “Protocollo aggiuntivo” disciplinano il rapporto di lavoro libero professionale a tempo determinato che s’instaura tra l’Azienda e i professionisti per l’erogazione nell’àmbito delle strutture Sanitarie e dei servizi territoriali dell’Azienda stessa e a domicilio dei cittadini. 4. L’incarico ha durata non inferiore ad un anno e non superiore a tre anni ed è immediatamente rinnovabile, ove permangano le esigenze assistenziali che hanno determinato il conferimento dell’incarico, previa valutazione del Direttore Generale dell’Azienda sanitaria. Articolo 2 Adempimenti preliminari all’instaurazione del rapporto. 1. Gli incarichi di cui all’art. 1, comma 2, sono conferiti in base alle graduatorie di cui all’art. 3 dell’Accordo Collettivo Nazionale e secondo l’ordine delle stesse. Articolo 4 Massimale orario ed incompatibilità. (…) 2. Gli incarichi di cui al comma che precede non sono compatibili: a) con un rapporto di lavoro dipendente intrattenuto con un datore di lavoro pubblico o privato (…) Articolo 8 Trattamento economico. 1. Al professionista l’Azienda corrisponde mensilmente, a decorrere dalla data di inizio del rapporto, un compenso forfettario omnicomprensivo di lire 70.000 per ogni ora di attività effettivamente espletata. Concorsi e Selezioni: Vademecum per il partecipante CONCORSI E SELEZIONI: Vademecum per il partecipante Parte Prima Federico Zanon Scrivo questo articolo per contribuire a chiarire una materia, quella dell’accesso a rapporti di lavoro con enti pubblici, che riveste particolare rilievo per gli psicologi. Il mio intento non è ovviamente quello di offrire una dettagliata rassegna giurisprudenziale, ma di richiamare della giurisprudenza i punti di maggior rilievo per il partecipante a selezioni e concorsi. L’ottica è quella di offrire poche, chiare indicazioni su come dovrebbero svolgersi le operazioni di scelta di personale negli enti pubblici, ad uso dei candidati. A piede, una nota rinvia alle Leggi e ai Decreti di rilievo in materia. Rimando comunque il lettore alle fonti normative originali, facilmente richiamabili in internet, uniche a dare piena garanzia di esattezza delle informazioni. Definizione di Pubblica Amministrazione In via preliminare, occorre delimitare il campo di cui stiamo parlando. Una definizione di Pubbliche Amministrazioni è contenuta nell’art. 1 del D.Lgs. N°165/2001, che dice: “Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al D.Lgs. N°300/1999.” Il rapporto di lavoro dipendente e i Concorsi Pubblici. Le pubbliche amministrazioni possono assumere (si intende: stipulare contratti con rapporto di lavoro dipendente, a tempo determinato o indeterminato) il proprio personale attraverso tre modalità (art. 1 del D.P.R. 09.05.1994 n. 487): 1) per concorso pubblico, aperto a tutti. Può essere per titoli ed esami oppure per soli esami. 2) Per avviamento attraverso le liste di collocamento (eventualità quantomai rara per gli psicologi). 3) Per chiamata numerica degli iscritti alle liste degli appartenenti alle categorie protette. Il concorso pubblico deve svolgersi rispettando i criteri di: 1) imparzialità 2) economicità 3) celerità di espletamento. Pare superfluo specificare che, se tutti i concorsi rispettassero tali principi, non saremmo qui a scriverne e a leggerne. Nello stesso DPR, sono contenute le indicazioni, con valore vincolante per gli enti, che definiscono le modalità di svolgimento dei concorsi pubblici. Riassumo quelle che mi paiono di maggior rilievo per il candidato psicologo, mantenendo per utilità pratica un ordine di esposizione che ricalca la successione cronologica degli eventi di un concorso: 1) I concorsi constano di due prove scritte (una teorica ed una pratica) ed una prova orale. Se il numero di candidati è inizialmente molto alto, alle due prove scritte è possibile far precedere una pre-selezione scritta, anche tramite procedure automatizzate e con l’ausilio di società di selezione specializzate. 2) Materie d’esame sono quelle indicate dal bando. Non sono a conoscenza di vincoli relativi alla scelta della materia da parte della commissione, ed è prassi che nei concorsi pubblici (per qualunque profilo professionale) siano presenti domande in materia di legislazione del settore. Paiono dunque infondate le lamentele dei candidati che rivendicano il diritto di sostenere prove soltanto sulle materie tecniche (psicologiche). 3) Le date delle prove scritte devono essere comunicate singolarmente ai candidati; in alternativa, è opzione per l’ente di avvalersi di una comunicazione pubblica attraverso la Gazzetta Ufficiale, sezione concorsi. 4) La commissione deve essere composta da “tecnici esperti della materia oggetto del concorso”. A questo proposito, l’Ordine Veneto ha recentemente promosso un ricorso amministrativo per un concorso che non prevedeva psicologi iscritti all’ordine fra i membri della commissione; tale metodologia pare essere inammissibile, anche qualora il tecnico esperto sia un medico psichiatra, in quanto le due professionalità non sono sovrapponibili. 5) Il giorno delle prove scritte, la commissione valuta il numero di partecipanti e comunica l’orario di conclusione delle prove. Quindi, ogni membro prende visione dell’elenco dei partecipanti e sottoscrive una dichiarazione che attesta che non sussistono situazioni di incompatibilità con i candidati, ai sensi degli articoli 51 e 52 del Codice di Procedura Civile. 6) La commissione prepara tre tracce diverse per le prove, sigillandole in tre buste separate e firmate sui lembi. Inoltre, stabilisce i criteri di valutazione degli elaborati e li verbalizza. 7) Il giorno della prova scritta, la commissione procede all’appello nominale e al controllo dell’identità. Quindi, fa accomodare i candidati in modo che non comunichino fra loro. 8) All’inizio della prova scritta, un candidato estrae a sorte una delle tre buste. Le altre due sono aperte e lette ai candidati. In questa fase, generalmente un membro della commissione si incarica di fotocopiare il testo della prova per tutti i partecipanti, accompagnato da uno o più candidati che controllino la regolarità dell’operazione. 9) I candidati possono avere con sé soltanto i dizionari di lingua italiana e i testi di legge non commentati che la commissione ha autorizzato. Non possono comunicare o mettersi in relazione fra loro. 10) Ad ogni candidato sono consegnati fogli timbrati e firmati per rispondere alle domande, una busta grande e una busta piccola, un cartoncino e una penna. Al termine della prova, ogni candidato scrive il proprio nome, luogo e data di nascita sul cartoncino, che chiuderà nella busta piccola. Quindi, chiuderà la busta piccola insieme alla prova d’esame, rigorosamente anonima e non recante alcun segno di riconoscimento (questa è la funzione delle penne tutte uguali), nella busta grande. 11) Al termine di ogni giornata, la commissione incolla una etichetta numerata sulle buste delle prove, per poter riunire in seguito tutte le prove scritte di uno stesso candidato esclusivamente attraverso il numero ed in modo anonimo. 12) Al termine dell’ultima prova scritta, la commissione deve comunicare ai candidati che alcuni di loro, in numero non superiore a dieci, potranno assistere alle operazioni di riunione delle buste, per verificare che siano ancora sigillate e che vengano riunite in modo corretto. 13) In ogni caso, il riconoscimento del candidato non può mai avvenire prima della correzione delle prove. 14) Se il concorso prevede la valutazione dei titoli, questi possono concorrere al punteggio finale per un massimo di 10/30, e la loro valutazione avviene al termine delle prove scritte e prima delle prove orali. Il bando deve indicare i titoli valutabili e i criteri di attribuzione del punteggio. 15) I candidati che conseguono un punteggio di almeno 21/30 in ciascuna delle prove scritte possono accedere alla prova orale. Devono essere avvisati singolarmente (telegramma, raccomandata e simili) almeno venti giorni prima dello svolgimento della prova. 16) La prova orale va svolta entro sei mesi dalla prima prova scritta. 17) “La prova orale deve svolgersi in aula aperta al pubblico, idonea ad assicurare la massima partecipazione” (cit. testualmente). 18) La commissione stabilisce le domande da porre a ciascun candidato; le scrive e le fa estrarre a sorte durante l’esame orale. 19) I candidati possono accedere ai verbali del concorso, secondo quanto stabilito dal DPR 352/1992 e secondo le modalità ivi contenute. 20) La graduatoria resta in vigore per 18 mesi (ora 36 mesi) per i posti messi a concorso che dovessero rendersi disponibili. Ciò significa che in caso di rinuncia di un vincitore si procede in ordine di graduatoria all’assunzione sostitutiva, mentre se l’ente istituisce nuovi posti, non dovrà seguire la graduatoria ma indire un nuovo concorso. Incarichi libero-professionali e Selezioni. Per il D.Lgs. N°165/2001, poi ribadito dalla Legge biagi, le pubbliche amministrazioni possono, “per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio (…) conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di provata competenza, in presenza dei seguenti presupposti: 1) l’oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall’ordinamento all’amministrazione conferente e ad obiettivi e progetti specifici e determinati; 2) l’amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno; 3) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata; 4) devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.” Per lo stesso D.Lgs., “le amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione.” Pare chiaro che il potere di decidere dei criteri e delle modalità di selezione sono attribuiti all’ente che promuove la selezione, in misura molto più libera rispetto ad un concorso pubblico. Ad esempio, una selezione per incarichi liberoprofessionali non richiede le strette procedure di controllo di un concorso, o l’obbligo di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, che in una certa misura garantiscono una ampia partecipazione e una maggiore imparzialità; essa è quindi maggiormente soggetta alla possibilità che la scelta del candidato non avvenga sulla base dell’effettiva competenza professionale, ma in base ad altri criteri. Parimenti, non esistono norme che stabiliscano che un incarico non può essere attribuito più volte alla stessa persona, a seguito di diversi procedimenti di selezione. La normativa sembra aprire uno spazio alla possibilità che l’attribuzione di incarichi professionali in regime di autonomia sia utilizzato dagli enti pubblici in sostituzione di assunzioni, e non per far fronte ad esigenze temporanee. Il caso estremo, ma non infrequente nella pratica, è quello dell’ente pubblico che non emette bandi di concorso ma si avvale di contratti libero-professionali, ripetendo ogni anno le procedure di selezione che riconfermano gli stessi consulenti. Ciò è comprensibile e conveniente per l’ente, ma può configurare una distorsione del principio generale di imparzialità e possibilità di una larga partecipazione, che è esplicito per i concorsi e che potrebbe essere applicato estensivamente anche alle selezioni. CONCORSI E SELEZIONI: Vademecum per il partecipante Parte Seconda Facendo seguito al mio primo contributo sulla questione dei concorsi e delle selezioni, e al dibattito svolto attraverso il forum riservato agli iscritti dell’Ordine Veneto, dedicherò questa seconda parte all’annoso problema dei concorsi e delle selezioni che paiono scegliere i candidati sulla base di criteri diversi dalla competenza professionale; in particolare, proverò a suggerire degli spunti per la creazione di metodi infallibili per pilotare i risultati di concorsi e selezioni. Per meglio delineare la questione, introdurrò il tema con una barzelletta, credo molto conosciuta, che ho postato tempo addietro nel forum citato sopra: In un piccolo ospedale di provincia, un uomo si lamenta con l’infermiera che gli sta martoriando il braccio per eseguire un semplice prelievo di sangue. Alle rimostranze dell’uomo, l’inferimera risponde: “e di che si lamenta? guardi che il primario mi ha assunta perchè sono brava con la bocca, mica con le mani!” Il concorso pubblico: tecniche di guida La normativa sui concorsi pubblici è concepita in modo da garantire il rispetto del criterio di imparzialità. Senza addentrarmi nella ricerca di una definizione giuridica precisa del principio di imparzialità, ritengo che possa corrispondere alla garanzia che tutti i candidati abbiano identiche probabilità iniziali di aggiudicarsi i posti messi a concorso, e che la decisione finale sia raggiunta in base a criteri trasparenti, decisi dalla commissione in sede di prima riunione, e riconducibili al possesso di competenze conoscenze coerenti con l’incarico da ricoprire. e Tuttavia, qualora l’interesse dell’ente pubblico sia diverso dall’esigenza di individuare in modo imparziale il candidato professionalmente più adatto per la funzione, è necessario applicare metodologie specifiche, atte a realizzare una deroga di fatto dalle infinite trappole che lo svolgimento regolare delle procedure concorsuali può tendere al candidato di interesse. Ecco perciò una rosa di ipotesi su come pilotare i risultati di un concorso, naturalmente frutto di fantasia e assolutamente non riconducibili ad alcun accadimento reale passato, presente o futuro: 1) Concorsi estivi, natalizi e pasquali: emettere il bando in Agosto, nel periodo natalizio o pasquale, e svolgere le prove in tali periodi (ad esempio, il 31 Dicembre) permette di ridurre drasticamente il numero dei partecipanti, effettuando così una selezione all’origine. Oppure permette di intercettare tutti gli psicologi in vacanza fra Venezia Lido e Jesolo, ampliando la rosa dei candidati. 2) Lo scritto su misura: la normativa vieta tassativamente la diffusione delle domande delle prove scritte. Tuttavia, non può vietare alla commissione di formulare domande ad hoc basate sulle competenze professionali di un candidato che si conosca personalmente, per precedente frequentazione, collaborazione, affinità, parentela. La stessa tecnica può essere attuata per le prove pratiche, avendo l’accortezza di sottoporre ai candidati i casi pratici che il candidato abbia precedentemente gestito per conto dell’ente, nel corso di collaborazioni attive durante gli ultimi dodici mesi. 3) Grafologia: in tempi di relativismo scientifico, anche la grafologia è stata elevata al rango di scienza… e un commissario particolarmente esperto o bene addestrato potrebbe anche rinvenire, fra le armoniche volute della calligrafia, i segni inequivocabili che permettono di associare un compito al suo autore. Lasciati, ovviamente, senza intenzionalità dolosa… 4) Verba volant: quale migliore occasione, se non la prova orale (priva di anonimato) che sempre conclude l’iter concorsuale, per ribaltare gli esiti della classifica mettendo il primo al posto del secondo, il secondo al posto del terzo, il terzo al posto del quarto, e il quarto al posto del primo? Le tecniche argomentative a disposizione di commissione e candidato sono svariate, come è noto a chiunque lavori con il linguaggio verbale. Tecniche illecite. Già. Sarà malizia, ma qualcuno potrebbe anche pensare di trasgredire la legge! Naturalmente la probabilità è remota, e l’ipotesi che tutto ciò possa davvero accadere è frutto di una mente luciferina. Ma sarebbe davvero possibile? 1) La burocrazia pubblica: fra uffici polverosi e disordinati, fotocopiatrici collettive, terminali connessi in rete, potrebbe anche capitare che il documento contenente le domande degli scritti capiti nelle mani di un candidato, che casualmente si trova a collaborare con l’ente. 2) Inversione di fase: la normativa sui concorsi, si sa, è complessa. E una commissione particolarmente pasticciona potrebbe anche aprire le buste con i nomi prima di correggere i compiti. 3) Gli spazi nelle pubbliche amministrazioni sono, da sempre, un problema. Anche volendo, è quasi impossibile rispettare la norma che impone che la prova orale debba svolgersi in un’aula abbastanza capiente da accogliere il pubblico. La parola d’ordine è adattarsi, anche per i candidati in attesa, che “per rispetto dei colleghi” si accontenteranno di rimanere fuori dalla stanza. Alla fantasia scatenata di chi legge la possibilità di continuare il racconto… Le possibilità concrete di assunzione nel "pubblico" per gli Psicologi (a Luglio del 2007, nonostante il blocco del turn over) Probabilmente la notizia non è molto nota ma ancora oggi è possibile essere assunti come Psicologi o Psicoterapeuti dal Servizio Sanitario Pubblico. Lo strumento che definisce i termini di questa possibilità è completamente diverso dal famigerato “Concorso Pubblico” ed è costituito dall’”Accordo Collettivo Nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici specialisti ambulatoriali interni ed altre professionalita’ sanitarie (biologi, chimici, psicologi) ambulatoriali ai sensi dell’art. 48 della legge n.833/78 e dell’art.8 del d.lgs. N. 502 del 1992 e succ. Modd. e integrazioni” firmato il 9/02/2005. L’Accordo Collettivo Nazionale (ACN) rappresenta l’aggiornamento di accordi predisposti negli anni precedenti con i quali Stato, Regioni e Sindacati, convenendo sulla necessità di rispondere in modo adeguato alla crescente domanda di salute – anche alla luce della Legge Costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3 che affida piena potestà alle Regioni in materia di salute – individuano “il territorio” quale punto di forza per la organizzazione della risposta sanitaria, in una logica di integrazione socio sanitaria e di attivazione di un sistema di cure primarie integrato tra ospedale e territorio, riservando all’ospedale l’intervento per le sole patologie che necessitano di ricovero. Negli anni sono stati quindi costituiti una serie extraospedalieri (es. Poliambulatori) integrati nel con lo scopo di individuare e di intercettare il salute dei cittadini per garantire, su tutto il di presidi territorio bisogno di territorio nazionale, da parte del sistema sanitario, la erogazione ai cittadini dei livelli essenziali di assistenza (LEA) e realizzare la continuità dell’assistenza di cui fanno parte anche le professionalità psicologiche (Specializzazioni in Psicologia e Psicoterapia). Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) demanda al livello “dell’assistenza specialistica” distrettuale definita dall’ACN il compito di corrispondere ad ogni esigenza di carattere specialistico che non richieda e/o tenda ad evitare la degenza ospedaliera, perseguendo anche gli obiettivi di ricondurre le liste di attesa entro tempi accettabili, contribuire alla umanizzazione del rapporto assistenziale, al mantenimento del paziente nel proprio luogo di vita, alla eliminazione degli sprechi, alla riduzione minimizzazione dei costi dei tempi di attesa ed alla Ora, i Medici specialisti ambulatoriali e gli altri Professionisti Sanitari ambulatoriali (Biologi, Chimici e Psicologi) sono parte del S.S.N. ed il meccanismo della loro “assunzione” al lavoro da parte delle Aziende Sanitarie Locali è alquanto complesso e definito, appunto, dall’ACN di cui sopra. Intanto il loro numero e le ore di lavoro vengono definiti dalle singole ASL con delibere formali, in relazione agli obiettivi territoriali. Il professionista che aspiri a svolgere la propria attività professionale nell’ambito delle strutture ambulatoriali del SSN, in qualità di sostituto (assunto a tempo determinato) o incaricato (assunto a tempo determinato o indeterminato), deve inoltrare domanda, entro e non oltre il 31 gennaio di ciascun anno al Comitato Consultivo Zonale nel cui territorio di competenza aspiri ad ottenere l’incarico (vedi il modello di domanda). In ogni ambito provinciale, infatti, è stato costituito un Comitato Consultivo Zonale che, ricevute le domande dei singoli professionisti, cura la formazione e la gestione di graduatorie definite in base ai titoli curriculari dei candidati. Il Comitato ricevute le domande entro il 31 gennaio di ciascun anno provvede, teoricamente entro il 30 settembre, alla formazione di una graduatoria per titoli con validità annuale. Gli Psicologi, dicevamo, possono partecipare alla graduatoria per la specializzazione in “Psicologia” e, se hanno il riconoscimento dell’attività Psicoterapeutica con iscrizione all’elenco degli Psicoterapeuti presso l’Ordine, anche a quella di “Psicoterapia”. Le delibere delle ASL per l’attivazione di nuovi turni o per l’ampliamento di quelli in atto e per la copertura dei turni resisi disponibili vengono poi pubblicate da ciascuna ASL sull’albo del Comitato Zonale nei mesi di marzo, giugno, settembre e dicembre, dal giorno 15 alla fine dello stesso mese. Sono quindi attualmente in pubblicazione le delibere del mese di giugno 2007; a settembre verranno pubblicate le eventuali nuove richieste. I professionisti che aspirano ai turni resisi disponibili presso le ASL afferenti al proprio Comitato Zonale di competenza devono comunicare, con lettera raccomandata, la propria disponibilità allo stesso Comitato Zonale stesso entro il 10° giorno del mese successivo a quello della pubblicazione (quindi per le richieste di giugno 2007 entro il 10 luglio prossimo). Il Comitato Zonale provvederà a Comunicare alla ASL l’avente diritto sulla base della graduatoria formulata. Da notare che le ASL possono sia richiedere il possesso di particolari capacità professionali al professionista ambulatoriale (esperienza o formazione particolari) in relazione a specifici obiettivi e progetti aziendali – e qui la possibilità di richieste tagliate sulla situazione degli ‘amici’ è grande – che far ricorso, per le sostituzioni in caso di assenza inferiori a 30 giorni, alle “designazioni” del sostituto da parte del collega interessato, quello che si assenta (!). In base a questo Accordo, però, è possibile l’assunzione del professionista da parte della ASL (con tutte le garanzie e le tutele contrattuali previste) sia a tempo determinato – in caso di sostituzione di professionisti assenti o di specifici progetti ASL – oppure a tempo indeterminato, per la copertura di turni vacanti. Attenzione! Ribadiamo che non è sufficiente presentare la domanda di ammissione alla graduatoria ma è necessario dare formalmente la propria disponibilità ogni volta che c’è la richiesta della propria professionalità da parte di una ASl e si è interessati all’incarico. Se non si presenta questa dichiarazione di disponibilità non si viene comunque presi in considerazione. Il SUMAI (sindacato unitario medici ambulatoriali) è l’ente sindacale più attivo in questo settore. Sul suo sito (www.sumaiweb.it) si trovano tutte le informazioni essenziali per partecipare a questa ‘lotteria’ che comunque è un barlume di speranza in un contesto lavorativo per il resto desolante. Il sistema definito dall’ACN sta andando a regime solo in questo periodo. In questa tornata, quella di giugno 2007, ci viene segnalata la disponibilità di turni per specialisti in Psicologia e Psicoterapia presso alcune ASL della Toscana come segue: PISA Branca: Psicologia Ente:ASL 5 Incarico: annuale con Professionisti Psicologi possibilità di rinnovo per N° ore: 12 sett.li Sede e orario: UFSMIA Azienda n. 5 di Pisa – Zona Valdera Note: lo schema di domanda può essere reperito anche nel sito internet: www.usl5.toscana.it/cgi-bin/news.pl?type=1&id=5 Si richiede il possesso di titoli formativi relativi all’età evolutiva e competenze certificate nella diagnosi e riabilitazione dei disturbi neuropsicologici-cognitivi (autocertificazione). GROSSETO Branca:Psicologia Ente:ASL 9 Incarico: N° ore: 24 sett.li Sede e orario: Note: sono richieste particolari capacità in Disturbi Alimentari. Branca:Psicologia Ente:ASL 9 Incarico: N° ore: 30 sett.li Sede e orario: Note: sono richieste particolari capacità in problematiche psicologiche delle dipendenze. AREZZO Branca: Psicologia Ambulatoriale I turno Ente: ASL 8 Incarico: turno temporaneo annuale N° ore: 19 sett.li Sede e orario: Zona Valdarno. Numero 4 accessi settimanali da concordare. Tali accessi potranno subire delle modifiche per esigenze di servizio in accordo con il Direttore D.S.M. Branca: Psicologia Ambulatoriale II turno Ente: ASL 8 Incarico: turno temporaneo annuale N° ore: 12 sett.li Sede e orario: Zona Valdarno. Numero 3 accessi settimanali di 4 ore ciascuno. Tali accessi potranno subire delle modifiche per esigenze di servizio in accordo con il Direttore D.S.M. Per ulteriori informazioni www.toscana.sumaiweb.it. collegarsi al sito I turni delle singole province devono comunque essere affissi presso le sedi dei Comitati Zonali. Il sito del SUMAI, raggiungibili dalle sezioni regionali, riporta le disponibilità di diversi Comitati Zonali ma non di tutti. In bocca al lupo ai colleghi. Felice D. Torricelli