Still Alice - Teatro Nuovo Verona

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Still Alice - Teatro Nuovo Verona
Lunedì 16 marzo Martedì 17 marzo Mercoledì 18 marzo Giovedì 19 marzo 19
ore 16.00 - 18.30 - 21.00
ore 15.30 - 17.45 - 20.30
ore 16.00 - 18.30 - 21.00
ore 16.30 - 19.00 - 21.30
Still Alice
2015
Regia: Richard Glatzer, Wash Westmoreland.
Con: Julianne Moore, Kristen Stewart, Alec Baldwin, Kate Bosworth, Hunter Parrish.
Durata: 1h39’- USA 2014 - Drammatico
Alice Howland (Julianne Moore) è una brillante professoressa di linguistica e insegna tale materia alla Columbia University
di New York, felicemente sposata e con tre figli grandi che si stanno facendo strada nel mondo del lavoro così come nella
vita. Un giorno si accorge che la sua memoria non è più quella di un tempo, inizia a dimenticare i vocaboli durante una
conferenza basata sulla capacità di memorizzare e utilizzare le parole dei bambini tra i 18 mesi e i due anni. Un giorno, per
giunta, si ritrova persa, mentre fa jogging come al solito, seguendo lo stesso itinerario di sempre. Preoccupata si rivolge
ad uno specialista ed ecco la rivelazione. Alice è affetta da una forma precoce di Alzheimer, che per giunta nel suo caso è
ereditario per cui non solo le è stato trasmesso da uno dei genitori, probabilmente dal padre alcolista, ma al tempo stesso
lei può averlo passato ai figli, Tom (Hunter Parrish), Anna (Kate Bosworth) e Lydia (Kristen Stewart), che potrebbero sia
essere soggetti recessivi sia subire la sua stessa sorte.
Ha solo 50 anni, ma la sua sorte è segnata. Inizia una estenuante, dura e impossibile lotta contro questo male silenzioso.
All’inizio cerca, utilizzando la tecnologia, di affrontarla, ma ben presto la malattia la porta a dover lasciare l’insegnamento.
Improvvisamente ciò che era chiaro e certo diventa sfocato, improvvisamente diviene impossibile trovare la porta del
bagno nella casa che si abita da una vita. Confusa e spaventata si reca in un centro dove sono ricoverati diversi malati di
Alzheimer ed è lì che decide di realizzare un piano B. Rifiutandosi di farsi sopraffare, prende orgogliosamente in mano
la situazione e si organizza scrivendo diverse domande sul cellulare cui rispondere ogni giorno e realizza un video
esortando la se stessa futura e porre fine alla propria sofferenza e a quella dei suoi cari. In breve tempo la situazione
peggiora alternando momenti di lucidità a momenti di confusione e a nulla valgono le preghiere rivolte al marito John
(Alec Baldwin) di prendersi un anno sabbatico dal lavoro per stare con lei. Pur avendole assicurato all’inizio che le sarebbe
stato vicino il suo compagno rifiuta di lasciare il lavoro, tanto più che ha ricevuto una buona offerta. Alice non può fare
altro che attendere l’inesorabile, non riesce nemmeno a portare a termine il suo piano B.
Il film prende spunto dall’omonimo romanzo di Lisa Genova e ne rispetta la particolarità stilistica della prima persona.
Come il testo letterario, infatti, l’occhio dei registi Richard Glatzer e Wash Westmoreland si concentra su Alice e la sua vita,
sul suo mondo interiore tralasciando o facendo vedere solo in parte le ricadute della malattia sui familiari. Abbiamo due
Alice, la prima è la donna in carriera sana e poi c’è quella assente e piano piano queste due persone che si alternano nello
stesso corpo si fondono diventando una sola. E’ un’opera sublime, interpretata magnificamente, che riesce a commuovere
e coinvolgere lo spettatore, non vi sono battute di arresto, non vi sono cambiamenti repentini, non cade nell’accademico
e didascalico, non sfocia nel patetico né nel melodrammatico. Ciò che colpisce è la delicatezza, l’atmosfera di intimità
capace di descrivere questo scivolare verso l’abisso. Analizza però con occhi attenti la malattia e le sue ricadute sociali. E’
innegabile che al di là dello script, “Still Alice” si regge tutto sulla capacità interpretativa perfetta di Julianne Moore, che
è affiancata da una convincente Kristen Stewart nei panni di Lydia.
VENDITA - ASSISTENZA
POIANO (VERONA)
Film d’Essai
American sniper
Lunedì 16 febbraio ore 15.30 - 18.15 - 21.00
Martedì 17 febbraio ore 16.30 - 20.30
Mercoledì 18 febbraio ore 15.30 - 18.15 - 21.00
Ingresso intero E 6,50 - Mercoledì E 4
Tesserati Cineforum E 3,50
Regia: Clint Eastwood.
Con: Bradley Cooper, Sienna Miller, Jake McDorman, Luke Grimes, Navid Negahban.
Durata: 2h14’ - USA 2015 - Azione.
Chris Kyle è considerato un eroe di guerra. La Marina militare americana gli attribuisce ben 255 uccisioni in combattimento, più di qualsiasi altro soldato
che vi abbia mai prestato servizio. Il suo campo di battaglia è stato l’Iraq, dal 2003 al 2009. Era entrato nel corpo d’élite dei Navy Seals nel 1999, a 35
anni, tardi per la media, ma la sua determinazione nonché la sua mira infallibile in poco tempo gli permisero di acquistare un’eccezionale popolarità
prima all’interno dell’esercito poi tra tutti i suoi connazionali anche grazie ad un libro autobiografico, American Sniper (che, tradotto, significa Cecchino
americano), best-seller del 2012. È proprio da quest’opera, come del resto indica anche l’omonimia nel titolo, che Clint Eastwood è partito per realizzare
il suo ultimo film. Al centro vi sono le regole di ingaggio e gli scontri avvenuti durante la guerra in Iraq e le ripercussioni psicologiche subite dai reduci,
a partire proprio da Kyle, interpretato da un’impressionate, per mole di muscoli, Bradley Cooper. Eastwood decide di non sviscerare autonomamente
la vita di Kyle e di fidarsi, quasi ciecamente, solo di ciò che di positivo che altri, o lui stesso hanno detto a proposito delle sue imprese sia in guerra che
al ritorno negli States. E così, nel film, non c’è traccia del fatto che spesso alcune sue affermazioni non abbiano trovato riscontro nella realtà tanto da
aver addirittura implicato un risarcimento milionario, come quando si vantò di aver messo a terra con un pugno l’ex governatore del Minnesota Jesse
Ventura, reo di aver parlato male dei Navy Seals. No, Eastwood decide che di Kyle va narrato solo il meglio, il che non significa non raccontarne i periodi
duri e le difficoltà sul lavoro e in famiglia, ma mantenendo comunque costante l’idea che si tratti di un uomo che si sacrifica sempre e solo per la patria.
Chissà, forse è giusto così, certo è che, se si lascia perdere il “cosa” e ci si concentra su il “come”, il lavoro del cineasta americano è eccezionale, soprattutto
quando si parla delle scene di guerra. Che si tratti di uno sparo ad un chilometro di distanza o di guerriglia urbana Eastwood sa sempre cosa inquadrare
e come anche quando c’è da mostrare caos e concitazione. Il duello tra i due cecchini è un ottimo pretesto narrativo per tenere incollato lo spettatore
alla sedia. La sparatoria all’interno della nube di sabbia poi è tra le più belle scene d’azione di questa stagione cinematografica. L’ha girata un vecchio
conservatore ottantaquattrenne con più visionarietà di tanti suoi giovani colleghi.
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Lunedì 23 febbraio Martedì 24 febbraio Mercoledì 25 febbraio Giovedì 26 febbraio 16
ore 16.00 - 18.30 - 21.00
ore 15.30 - 17.45 - 20.30
ore 16.00 - 18.30 - 21.00
ore 16.30 - 19.00 - 21.30
La teoria del tutto
(The Theory of Everything)
Regia: James Marsh.
Con: Eddie Redmayne, Felicity Jones, Charlie Cox, Emily Watson, Simon McBurney.
Durata: 2h03’- Gran Bretagna 2014 - Biografico
Il Tempo. La cosa che più di tutte interessa la brillante mente di Stephen Hawking e l’unica cosa che sembra mancargli. “La Teoria del tutto” è la
trasposizione del romanzo “Travelling to Infinity: My Life with Stephen” di Jane Wild, prima moglie del cosmologo. Non è però un semplice biopic sulla
vita, la scoperta della malattia e l’incredibile voglia di vivere di un uomo. No, è molto di più: una delle storie d’amore più belle, complete e complesse
mai portate sul grande schermo. Talmente incredibile da non sembrare reale. L’interpretazione magistrale e complicatissima del professore che occupò
la cattedra che fu di Isaac Newton all’Università di Cambridge da parte di Eddie Redmayne è paragonabile a quella in altri illustri biopic, come ad
esempio Russell Crowe in “A Beautiful Mind”, Denzel Washington in “Malcom X” e il recente Benedict Cumberbatch per “The Imitation Game”. La
vera storia è quella di un amore che, come dicono le teorie del fisico, “supera i confini dello spazio e del tempo”. Vivendo l’aspetto meno conosciuto e,
probabilmente, più incredibile della vita di Stephen Hawking vi sembrerà di rivivere le grandi storie d’amore: dal “Se mi lasci ti cancello” con Jim Carrey
e Kate Winslet, arrivando ai Noah e Allie de “Le pagine della nostra vita”, anche se qui il nemico contro il loro amore è ben più grande della famiglia.
James Marsh, in passato famoso per film-documentari tra cui il premiato all’Oscar “Man on Wire – L’uomo tra le torri”, riesce a rendere gradevole il
biopic permettendo anche a coloro che non masticano di scienza la comprensione dei dialoghi. La scelta delle musiche e della fotografia è splendida,
ma la cosa più permeante è la recitazione. I protagonisti sono il probabile premio Oscar Eddie Redmayne e la deliziosa spalla, mai messa in ombra e
presenza fondamentale nel film, Felicity Jones. Lo sguardo tra i due all’inizio del film vale il prezzo del biglietto: vi ricordate l’effetto “Nottingh Hill”?
Beh le emozioni qui si avvicinano, con lo strano Stephen che si porta a casa il cuore della bella Jane. Proprio quando la sua vita ha iniziato ad andare
alla massima velocità, come nel gran premio decisivo, avviene quello che non ti aspetti. Stephen, infatti, scopre di avere una malattia al motoneurone,
la cui diagnosi è spietata: due anni di vita. Il mondo gli crolla addosso, ma sarà il grande e infinito amore di Jane a regalargli una delle esistenze più
straordinarie e una famiglia con tre bambini. Proprio la curiosità del suo amico Harry Lloyd sulla sua capacità motoria in camera da letto con Jane
darà adito al momento più divertente del film. Personaggio particolare nella vita della famiglia Hawking è Jonathan (Charlie Cox), verso cui Jane fa
una scelta paragonabile a quella della Meryl Streep de “I ponti di Madison County”. In conclusione questo è un biopic che probabilmente resterà nella
storia perché lo Stephen Hawking del cinema riuscirà a vincere il riconoscimento più alto, quel Nobel che nella realtà ancora non gli è stato riconosciuto.
Un personaggio di notorietà universale non ha bisogno di premi da mettere sulla scrivania, parlano per lui le tante centinaia di persone che in questo
film impareranno a conoscere cosa c’è dietro la carrozzella e il sintetizzatore vocale.
Lunedì 2 marzo Martedì 3 marzo Mercoledì 4 marzo Giovedì 5 marzo 17
ore 16.00 - 18.30 - 21.00
ore 15.30 - 17.45 - 20.30
ore 16.00 - 18.30 - 21.00
ore 16.30 - 19.00 - 21.30
The imitation game
Regia: Morten Tyldum.
Con: Benedict Cumberbatch, Keira Knightley, Matthew Goode, Mark Strong, Rory Kinnear.
Durata: 1h53’- Gran Bretagna, USA 2014 - Biografico
Manchester, primi anni ‘50. Alan Turing, brillante matematico ed esperto di crittografia, viene interrogato dall’agente
di polizia che lo ha arrestato per atti osceni. Turing inizia a raccontare la sua storia partendo dall’episodio di maggiore
rilevanza pubblica: il periodo, durante la Seconda Guerra Mondiale, in cui fu affidato a lui e ad un piccolo gruppo di
cervelloni, fra cui un campione di scacchi e un’esperta di enigmistica, il compito di decrittare il codice Enigma, ideato dai
Nazisti per comunicare le loro operazioni militari in forma segreta. È il primo di una serie di flashback che scandaglieranno
la vita dello scienziato morto suicida a 41 anni e considerato oggi uno dei padri dell’informatica in quanto ideatore di
una macchina progenitrice del computer.
The Imitation Game rivela le sue intenzioni fin dal titolo: perché è un gioco di sotterfugi e contraffazioni che riguarda
non solo il codice nazista, ma anche la stessa attività del gruppo di esperti riuniti per decifrarlo, costretti ad operare sotto
copertura. Più profondamente, il “gioco imitativo” caratterizza la vita stessa di alcuni di quegli scienziati, Turing in testa,
obbligato a nascondere la propria diversità al mondo, e in particolare a quella società inglese che sforna eccentrici e poi
li confina ai margini del proprio rigido e ottuso conformismo.
Turing, una sorta di idiot savant con un prodigioso talento per i numeri e una parallela inettitudine per la convivenza
sociale, è il martire perfetto, in questo schema claustrofobico: infatti immolerà il suo genio per la salvezza di tutti, costruendo
un macchinario di nome Christopher (cioè “colui che porta Cristo”), e cadendo vittima della ristrettezza di vedute di chi
non possedeva neanche un grammo della sua capacità visionaria. Una mente prodigiosa costretta a vivere “in codice”, e
incapace di decifrare i comportamenti altrui, né di tradurre i propri in comunicazione umana.
The Imitation Game è un film “imitativo” nel senso migliore del termine. Il regista, si accosta al materiale con totale rispetto
dei codici di comunicazione inglesi per raccontarne le contraddizioni e i limiti deumanizzanti.
The Imitation Game tiene conto di svariati esempi cinematografici recenti, da A Beautiful Mind a The Social Network.
Lunedì 9 marzo ore 15.30* - 18.15* - 21.00
Martedì 10 marzo ore 15.00* - 17.45 - 20.30
Mercoledì 11 marzo ore 15.30* - 18.15* - 21.00
Giovedì 12 marzo ore 16.00* - 18.45* - 21.30
* Attenzione alla variazione di orario
18
Turner (Mr. Turner)
Regia: Mike Leigh.
Con: Timothy Spall, Dorothy Atkinson, Marion Bailey, Paul Jesson, Lesley Manville.
Durata: 2h29’- Gran Bretagna 2014 - Biografico
Un film gioiosamente vivo. La vita, attiva, e le opere, stupefacenti, di James Mallord William Turner (1775, Covent Garden,
Londra – 1851, Chelsea, Londra). Mike Leigh racconta e si confronta, ritrae e ammira, inventa e fa suo il grandissimo
pittore inglese. Le ultime parole di Turner sono “The sun is God” e la sua pittura è luce. Turner combatte con la luce,
la stana, la sfarina, le dà colore e biancore. Combatte con la tela, ci soffia su il colore, la strofina con un panno, ci sputa
sopra per sciogliere l’impasto, la colpisce e la pesta con i pennelli. Delle tele fa mari e cieli, disegna naufragi, dipinge navi
treni rimorchiatori, nasconde nel quadro l’invisibile elefante di Annibale che passa le Alpi. Si comincia nei Paesi Bassi dei
mulini a vento, dei canali e delle donne con quei cappelli con le ali: Turner è lì con il suo quaderno di schizzi. Poi i titoli
di testa: magnifici, liquidi, svarianti. E subito una musica ardente e novecentesca, musica che farà da controcanto a tutte
le scene del film, musica turneriana, antiaccademica, sciolta da vincoli. Poi due momenti paralleli, uno vicino all’altro,
che indicano un percorso che si snoderà lungo tutto il film. La domestica di casa Turner compra una testa di maiale: i
due Turner, padre e figlio, sono golosi di quella carne. Scena a: il maiale viene rasato per togliergli i pelacci dal muso.
Scena b: anche Turner viene rasato come il maiale, come un maiale. E via via che il film va avanti Turner si fa sempre più
maiale, grugnisce, perde quasi il linguaggio umano, si esprime a gorgoglii, bofonchia, il suo parlato fa la fine del reale
sulla tela, si sbriciola. L’interprete, Timothy Spall, è un Turner fisico maialesco umanissimo ribelle ricercatore indomito
grosso saporito donnaiolo ruminante gorgogliante.
Il film ha momenti diremmo istituzionali in cui c’è il mondo artistico di allora: pittori di corte, pittori banali, pittori senza
un penny. Accanto a queste zone con Turner che si muove dentro il mondo dell’ufficialità artistica per farsene beffe, il
film si apre sempre di più a quell’altro mondo che è quello del Turner vivo e vegeto, fin troppo vivo, fin troppo vegeto.
E soprattutto vicino al dolore di ognuno. Qui gli incontri sono tanti e memorabili.
Film senza macchia e senza paura, domestico ed epico, lirico e magico, carnale, tragico, comico. Film che ricorda e fa
il paio con l’altra, ammirevole e poco ammirata, escursione di Leigh nel passato, quel Topsy-Turvy (1999) dedicato alla
coppia di musicisti Gilbert e Sullivan. Film dickensiano con vedove e mogli e figlie abbandonate e giovani defunte e poveri
artisti. Film eccentrico e vagabondo. Primitivo ed elegante. Triste come Turner piangente davanti alla giovane prostituta
e a Didone. Allegro come Turner che sbeffeggia il quadro di Constable o mette in riga quel damerino di Ruskin. Tra così
tanti regali, basterebbe a farne un gran film la scena di Turner e i suoi in barca che ammirano il “Fighting Temeraire”, la
nave che combatté a Trafalgar, trascinata dal rimorchiatore per essere demolita.