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SENTENZE IN SANITÀ – CORTE D’APPELLO DI ROMA
CORTE D’APPELLO DI ROMA – Sezione III - 14 Novembre 2006
Nel giudizio avente ad oggetto l'accertamento della responsabilità del medico chirurgo per l'infelice esito
di un intervento chirurgico, occorre verificare innanzitutto la natura dell’intervento effettuato. Se
l’intervento richiesto è di facile esecuzione spetta al chirurgo l’onere di dimostrare che l’esito negativo
non è ascrivibile alla propria negligenza ed imperizia.
omissis
Svolgimento del processo
Con sentenza del 16.4.2003 il Tribunale civile di Roma, II Sezione, condannava S.S. e la Casa
di Cura V. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro-tempore, in solido tra loro, a corrispondere a C.M. e V.P. la somma di Euro 120.839,50, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della sentenza al saldo; poneva le spese delle due c.t.u. definitivamente a carico dei due
convenuti in solido; condannava S.S. e la Casa di Cura V. S.p.A., in persona del legale rappresentate, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di lite, in favore di parte attrice.
In detta sentenza veniva disattesa l'eccezione di prescrizione proposta dalla Casa di Cura V.
S.p.A., trovando applicazione la prescrizione decennale in relazione alla invocata responsabilità
contrattuale, essendosi il rapporto contrattuale instaurato con la clinica alla quale era stata erogata la somma di Lire 20.000.000 e sussisteva un vincolo di dipendenza e vigilanza con il chirurgo in conseguenza del carattere di non occasionalità del rapporto di esecuzione di opera. Riteneva il Tribunale che attori avessero assolto all'onere della prova su di essi incombente, dimostrando il mancato conseguimento del risultato, mentre incombeva sul convenuto l'onere di provare di aver correttamente eseguito l'intervento di sterilizzazione e che la nascita del sesto figlio
fosse avvenuto per fatti a lui non imputabili.
Disattendeva per difetti di ordine giuridico e logico il parere espresso dal consulente medico e
affermava la sussistenza della responsabilità contrattuale dello S. per mancata esecuzione
dell'intervento di vasectomia, ovvero in ogni caso per esecuzione inadeguata al raggiungimento
del risultato che si intendeva conseguire, cioè la sterilizzazione del paziente. Rilevava inoltre un
altro profilo di responsabilità contrattuale consistente nella mancata prescrizione della terapia
post operatoria, del periodo di astensione dai rapporti sessuali, delle visite di controllo e degli
esami strumentali da eseguire. Non risultavano dalla cartella clinica né le modalità dell'intervento di sterilizzazione, né le informazioni e raccomandazioni post intervento, che avrebbero dovuto essere fornite al C.
Dava conto dell'esito dell'interrogatorio formale del C. e del rigetto della richiesta di interrogatorio formale della V., nonché dell'escussione dei testi F. e C. per incapacità a testimoniare, essendo i medici che avevano prestato assistenza allo S. nell'esecuzione dei due interventi
chirurgici. Affermava la sussistenza di responsabilità solidale da parte della Casa di Cura convenuta, ritenendo il ricovero in funzione di assistenza sanitaria, obbligazione unitaria a carico di
una pluralità di parti (medico e Casa di Cura) che, nell'esecuzione della prestazione, si articola -
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per la natura stessa della prestazione - in una serie di attività distinte che si ca-ratterizzano per il
fatto della "indivisibilità temporale", non potendo essere attuata la prestazione se non congiuntamente, mediante il simultaneo svolgimento di tali attività, il cui coordinamento costituisce importante momento organizzativo dell'esecuzione della prestazione dovuta in favore del paziente.
Rilevava altresì che non erano emersi dall'istruttoria elementi contrastanti con l'indicata ricostruzione dello schema obbligatorio. In ordine alla risarcibilità del danno lamentato da parte attrice il Tribunale riteneva applicabile la fattispecie rientrante nella responsabilità del medico ex
art. 1218 c.c., con conseguente risarcibilità dei danni che costituiscono conseguenza immediata
e diretta dell'inadempimento ex art. 1223 c.c.
Respingeva la domanda di risarcimento del danno da frustrazione dei genitori per le privazioni,
intese come peggioramento del tenore di vita e come calo delle attenzioni e delle opportunità da
imporre all'intero nucleo familiare al fine di poter assicurare il mantenimento del figlio nato a
seguito di gravidanza non programmata, nonché del danno alla vita di relazione e da stress psicofisico della coppia, perché priva di supporto probatorio e comunque compensata dalla naturale gioia per la nascita di un bambino. Respingeva la voce di danno relativa alla lesione all'integrità psico-fisica e da frustrazione del C. in quanto alla mancata esecuzione dell'intervento consegue l'insussistenza della lesione della sua integrità, psico-fisica, mentre per quanto attiene il
danno da frustrazione ne escludeva la risarcibilità come danno morale, non essendo configurabile nella fattispecie una ipotesi di reato. Respingeva la domanda di danno all'integrità psicofisica
lamentato dalla V. perché non provato e quello relativo al danno come incidenza negativa della
gravidanza nella vita lavorativa della madre per omessa allegazione e tardiva formulazione della
specifica domanda in sede di precisazione delle conclusioni.
Respingeva la domanda di risarcimento per le spese sostenute per la gravidanza perché non provata; accoglieva la domanda di risarcimento per le spese sostenute per l'intervento di vasectomia, quantificandole nel 10% del totale versato per i due interventi, pari ad Euro 1032,91 (Lire
2.000.000), che con rivalutazione liquidava nella misura di Euro 1.626,62. Accoglieva la domanda di risarcimento del danno costituito dal costo del mantenimento della figlia non desiderata fino al compimento degli studi o al raggiungimento dell'indipendenza economica, in relazione
alla sussistenza degli obblighi di mantenimento dei figli, quali derivano dalla legge ed alla natura di danno prevedibile. Liquidava per tale danno la somma di Euro 90.000,00 al valore attuale,
in via equitativa tenuto conto di un costo mensile per il mantenimento pari ad Euro 300,00. Riconosceva altresì il lucro cessante, liquidato nella misura di Euro 29.212,88. Condannava quindi
i convenuti al pagamento della somma complessiva di Euro 120.839,50, oltre interessi legali
dalla data di pubblicazione della sentenza al saldo.
Con atto ritualmente notificato V. s.r.l., già V. S.p.A., proponeva appello avverso detta sentenza, chiedendo in via principale l'accertamento e la declaratoria di intervenuta prescrizione di ogni diritto vantato dagli appellati C. e V. nei confronti di V. s.r.l.; in via principale gradata, denegato il vincolo di solidarietà e/o unitarietà dell'obbligazione, il rigetto della domanda di risarcimento del danno, non sussistendo la responsabilità della società appellante; in subordine, denegato il vincolo di solidarietà, l'accertamento della misura di responsabilità della Casa di Cura
limitatamente alle obbligazioni su di essa facenti carico, opportunamente quantificando la misu-
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ra del danno in concreto subito dagli appellati sulla base di quanto esposto nel sesto motivo di
gravame; in via concorrente con la subordinata, la riduzione della misura delle spese liquidate in
favore della parte vittoriosa; in via istruttoria, qualora non fossero ritenuti sufficienti le risultanze della c.t.u. medico legale di primo grado, chiedeva disporre l'acquisizione di un nuovo spermiogramma ed un esame comparato del D.N.A. del C. e della figlia L., esami richiesti dal C.
stesso.
Si costituivano P.V. e M.C. che chiedevano il rigetto dell'appello e svolgevano appello incidentale chiedendo, accertata e dichiarata la responsabilità contrattuale ed extracontrattuale di S.S. e
della Casa di Cura V. s.r.l., la condanna in solido al risarcimento dei danni nella misura di Euro
323.000,00 a titolo di risarcimento e rimborso delle spese necessarie per far fronte al mantenimento della figlia, somma da determinarsi con c.t.u., ovvero in via equitativa, rivalutandola in
considerazione dell'aumento del costo della vita e della diminuzione del potere di acquisto causato dal cambiamento monetario dalla Lira all'Euro; Euro 150.000,00 a titolo di risarcimento dei
danni indicati ai punti II e III dell'atto di precisazione delle conclusioni di primo grado, ovvero
della somma ritenuta di giustizia; inoltre in favore di V.P. della somma di Euro 50.000,00 a titolo di risarcimento dei danno per le conseguenze psicofisiche determinate dalla gravidanza e per
il c.d. "costo opportunità", ovvero nella somma ritenuta di giustizia; in favore di C.M. della
somma di Euro 38.734,27, come indicato nella comparsa conclusionale in primo grado, ovvero
quella ritenuta di giustizia per il risarcimento del danno psico-fisico e per il rimborso delle spese
di intervento; il tutto con interessi e rivalutazione ; in via istruttoria chiedevano, ove non ritenuta operante la presunzione legale di paternità dei figli nati durante il matrimonio, l'esame comparato, già richiesto in primo grado, del D.N.A. di M.C. e della figlia L. al fine di accertare la
paternità, con spese da porre a carico dei convenuti.
Si costituiva S.S. che chiedeva la riforma della sentenza impugnata e proponeva appello incidentale chiedendo la declaratoria di inammissibilità della domanda proposta dai coniugi C. - V.,
perché contraria ai principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale. In via istruttoria,
nell'ipotesi di rigetto della declaratoria di inammissibilità, l'ammissione della prova testimoniale
articolata in primo grado, ove ritenuto necessario, la rinnovazione delle c.t.u.; nel merito il rigetto della domanda con conseguente condanna dei coniugi C. - V. al rimborso delle spese di lite,
in via subordinata, la declaratoria dia responsabilità contrattuale e in via solidale con la Casa di
Cura convenuta; sempre in via subordinata, la limitazione della condanna al risarcimento del
danno fisio-psichico che si assume patito dai coniugi con limitazione del suo ammontare, nonché del suo quadro di riferimento temporale. All'udienza dell'11.1.2006 la causa veniva tratta in
decisione, previa sostituzione del consigliere relatore, con concessione dei termini di cui agli
artt. 190 e 352 C.P.C. Con ordinanza del depositata il 6.4.2006 la causa veniva rimessa sul ruolo
per consentirne la decisione da parte del Collegio in diversa composizione, stante il trasferimento ad altra sezione del Presidente. All'udienza del 21.6.20061 a causa veniva trattenuta in decisione con rinuncia da parte dei procuratori ai termini di legge.
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Motivi della decisione
Per motivi di ordine logico e di economia della motivazione va in primo luogo esaminata l'eccezione di inammissibilità dell'appello incidentale proposta da S.S., eccezione sollevata dai coniugi C.
L'eccezione è fondata. L'appello incidentale è tardivo, esso è stato infatti depositato il
14.10.2003, mentre la citazione in appello era per il giorno 30.10.2003. Nel caso di specie non
trova applicazione il termine di cui all'art. 168 bis C.P.C., 5°comma, poiché non vi è stato alcun
decreto di differimento di udienza, ma solo l'applicazione del 4° comma dello stesso articolo che
prevede che se nel giorno fissato per la comparizione il giudice designato non tiene udienza,
come nel caso di specie, la comparizione delle parti è d'ufficio rimandata all'udienza immediatamente successiva tenuta dal giudice designato; il termine di decadenza va quindi computato
sulla base della data indicata nell'atto di citazione. Parte appellante principale censura la sentenza impugnata in ordine al rigetto dell'eccezione di prescrizione quinquennale ex art. 2947 ,1° c.
c.c. Deduce la natura extracontrattuale della responsabilità invocata dai coniugi C., di sicuro con
riferimento alla domanda azionata da V.P., non essendo mai intercorso alcun rapporto di natura
contrattuale con la casa di Cura; rileva come il danno risarcibile in favore di M.C. dovrebbe
configurarsi come lesione della libertà dei coniugi alla procreazione responsabile, secondo recente giurisprudenza di merito, con conseguente non assimilabilità della nascita di un figlio ad
una perdita subita dal creditore di una prestazione rimasta inadempiuta.
L'eccezione, che è stata già esaminata e respinta da parte del Tribunale, va respinta anche in
questa sede, poiché nel caso di specie deve ritenersi applicabile la prescrizione ordinaria decennale, in relazione alla dedotta responsabilità contrattuale della Casa di cura, responsabilità correttamente riconosciuta nella sentenza impugnata come da "inadempimento ad una obbligazione
di natura contrattuale scaturente da un rapporto professionale" e che coinvolge anche la posizione dell'appellata V.P., quale coniuge del C., consenziente all'intervento di vasectomia, richiesto
dal marito e che ha subito le conseguenze dell'evento di cui è causa, avendo portato a termine
una gravidanza non programmata, ma anzi esclusa del tutto come possibilità da entrambi i coniugi. Per quanto attiene la configurazione del danno il Tribunale ha compiutamente esaminato
le diverse posizioni processuali assunte dalle parti e attraverso la ricostruzione giurisprudenziale
di alcuni principi affermati dalla S.C., ha sostanzialmente ritenuto la risarcibilità dei danni derivati da un evento non programmato, quale la nascita di un figlio, di cui era stata concordemente
esclusa dai due coniugi la venuta ad esistenza, stante la composizione già numerosa del nucleo
familiare, composto da cinque figli, e di conseguenza del pregiudizio economico, morale o fisico, derivato da un evento non programmato, danno che ha ritenuto dover gravare su chi era stato
inadempiente all'obbligazione assunta.
Con il secondo motivo di gravame parte appellante deduce l'erroneità della ritenuta responsabilità solidale della Casa di Cura con il medico chirurgo che ha operato il C., in quanto insussistente la ritenuta obbligazione unitaria tra Casa di Cura e medico chirurgo, stante la loro assoluta autonomia. La prospettazione di una obbligazione unitaria postulerebbe la sussistenza di elementi che sarebbero del tutto carenti, in quanto la struttura ed il medico curano personalmente i
rispettivi rapporti contrattuali. Con riferimento poi alla fattispecie in esame i rapporti instaurati
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con la Casa di Cura ed il medico chirurgo sarebbero stati prospettati come autonomi nella narrazione contenuta nell'atto di citazione, dalla quale emergerebbe che il rapporto con il chirurgo,
sotto il profilo temporale, era sorto molto prima di quello con la Casa di Cura, che venne scelta,
solo a seguito del "suggerimento" dello stesso medico.
L'assoluta autonomia dei rapporti sarebbe evidente anche dalla fattura rilasciata dalla Casa di
Cura nella quale non figura l'assistenza medico-specialistica, ma solo il costo delle analisi effettuate, le spese di degenza, quelle di utilizzo della camera operatoria, il consumo del materiale
medico per anestesia, oltre al rimborso delle utenze. Il rapporto tra il C. e la Casa di Cura dovrebbe essere inquadrato nell'ambito dei contratti atipici, avente ad oggetto la prestazione di natura alberghiera, unitamente alla messa a disposizione del personale medico ausiliario e paramedico, nonché l'apprestamento dei medicinali e di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicanze. Deduce quindi l'esclusione di una responsabilità autonoma e diretta della Casa di Cura, atteso che il danno subito dal C. non risulta casualmente riconducibile
all'inadempimento delle obbligazioni facenti carico sulla struttura, atteso anche l'accertamento
compiuto dalla c.t.u., che ha escluso detta responsabilità. Con riferimento alla giurisprudenza
prevalente rileva come in materia di colpa medica, la Casa di Cura privata può essere chiamata a
rispondere del danno alla persona, causato da colpa professionale, solo in due casi a titolo di responsabilità diretta ex art. 2049 c.c., ove sussista un vincolo di subordinazione tra la Casa di Cura ed il medico; a titolo di responsabilità diretta ex art. 1218 c.c., qualora la Casa di Cura abbia
assunto direttamente nei confronti del danneggiato, con patto contrattuale, l'esecuzione dell'intervento. Nessuna delle due ipotesi ricorrerebbero nel caso in esame, dovendosi escludere qualsiasi vincolo di subordinazione tra il Dott. S. e la Casa di Cura e l'assenza di qualsiasi patto con
il C. per l'esecuzione dell'intervento chirurgico. Peraltro parte attrice non avrebbe adempiuto
l'onere di provare gli elementi di fatto, presupposti della domanda di responsabilità della struttura.
La doglianza è da respingere. Il Tribunale ha correttamente ritenuto che per l'operato del professionista risponde in solido anche la Casa di Cura. Sul punto deve condividersi l'indirizzo giurisprudenziale più volte espresso da questa stessa Corte nel ritenere la stretta connessione ed interdipendenza funzionale tra la prestazione resa dalla Casa di Cura e quella resa dal professionista, ancorché non dipendente dalla struttura stessa. L'appellante volutamente rappresenta in modo del tutto riduttivo la propria prestazione, definendola alberghiera, quasi fosse stata limitata al
solo vitto e alloggio e non anche alla predisposizione e messa a disposizione di mezzi, strutture,
quali la camera operatoria, il personale medico e paramedico, il materiale sanitario, i medicinali
al fine di garantire il pieno successo dell'intervento richiesto dal paziente. Del resto la giurisprudenza della S.C. ha rilevato la complessità ed atipicità del rapporto che si instaura tra Casa di
Cura e paziente, che non si esaurisce nella mera fornitura di prestazioni di natura alberghiera,
ma consiste nella messa a disposizione del personale medico ausiliario e di quello paramedico,
nonché dell'apprestamento dei medicinali e di tutte le attrezzatura necessarie (Cass. SS.UU.
9556/2002). Di fatto le prestazioni rese dalla Casa di Cura sono saldate inscindibilmente, quanto
meno dal punto di vista temporale ed organizzativo con quella resa dal professionista incaricato
dell'intervento, che peraltro per operare all'interno della struttura ne gode la fiducia, vincolo che
trova nel momento organizzativo e di coordinamento un'attività strettamente correlata con l'atto
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operatorio, che non potrebbe essere compiuto a prescindere dalle prestazioni rese dalla Casa di
Cura stessa. Si deve inoltre osservare che tra le obbligazioni della Casa di Cura vi è anche quella
relativa alla tenuta e compilazione della Cartella Clinica che deve raccogliere tutte le "notizie"
relative al ricovero, all'intervento, ivi comprese tutte le prescrizioni anche farmacologiche fornite al paziente, cartella clinica dalla quale non risulta come effettuato l'intervento di vasectomia,
né annotate le "raccomandazioni" post intervento che avrebbero dovuto essere fornite al C.
Nel caso di specie non può trascurarsi che l'accordo intercorso con il professionista riguardava
contemporaneamente due interventi, uno relativo al rene destro, affetto da "stenosi del giunto
pielouretrale destro con idronefrosi del rene destro", l'unico funzionante e l'altro di "vasectomia", il professionista aveva formulato egli stesso la diagnosi, relativa alla patologia sopra indicata
ed aveva suggerito egli stesso il luogo ove operare l'intervento, cioè la Casa di Cura appellante,
che evidentemente riteneva struttura idonea per affrontare il duplice intervento a cui avrebbe
sottoposto il C.
Pertanto corretto è quanto ritenuto dal Tribunale in tema di responsabilità solidale tra Casa di
Cura e professionista. Per quanto attiene poi a quanto sostenuto da parte appellante, in ordine
all'accertamento da parte del c.t.u. di assenza di responsabilità della Casa di Cura, deve rilevarsi
che è conclusione che è stata resa senza alcuna motivazione specifica e di certo non può essere
tenuta in considerazione ai fini che qui rilevano e cioè di definizione sotto il profilo giuridico
del tipo di responsabilità della Casa di Cura, in relazione alle obbligazioni da essa assunte ed al
rapporto tra le stesse e quelle assunte dal professionista. Con il terzo motivo di gravame parte
appellante si duole della mancanza di prova sull'elemento di danno posto a base della domanda
e cioè la nascita del figlio "indesiderato". La presunzione di legittimità del figlio nato da matrimonio troverebbe applicazione soltanto all'interno delle relazioni familiari o dei rapporti di status, ma non quando la paternità è assunta a presupposto del preteso fatto illecito. Il C. avrebbe
evitato di sottoporsi durante lo svolgimento del precedente grado ad un nuovo spermiogramma
per motivi di ordine sanitario, che peraltro aveva egli stesso richiesto. La prova della paternità,
che era onere del C. fornire, rimane assolutamente incerta. La doglianza è inammissibile perché,
come rilevato da parte appellata, per la prima volta in sede di gravame, parte appellante ha posto
l'accento sulla mancata prova della paternità. Dagli atti di causa di primo grado non emerge che
vi siano state sul punto contestazioni da parte della odierna appellante e pertanto la circostanza
deve darsi per provata. Emerge altresì la contraddittorietà della posizione processuale assunta
dalla Casa di cura che in primo grado ha sostenuto l'assoluta inutilità anche dell'esame del DNA,
richiesto da parte attrice (v. repliche ex art. 184 C.P.C).
Peraltro gli appellati hanno rifiutato sul punto il contraddittorio, eccependo l'inammissibilità del
motivo di gravame in esame. Con il quarto motivo di gravame parte appellante deduce l'erroneità dell'inquadramento giuridico ritenuto dal Tribunale della obbligazione gravante sul professionista, come obbligazione di risultato, invece che obbligazione di mezzo, inqua-dramento che
comporta dal punto di vista probatorio apprezzabili conseguenze, in quanto l'inadempimento
della prestazione non può essere desunto ipso facto dal mancato raggiungimento del risultato
utile avuto di mira dal paziente, ma deve essere valutato in relazione ai doveri inerenti lo svolgimento dell'attività professionale, in particolare del dovere di diligenza, il cui parametro è fis-
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sato dall'art. 1176 c.c. Contesta la correttezza dell'operato del Tribunale nel disattendere il parere dato dalla c.t.u. esperita nel grado, parere disatteso sulla base del ricorso a scienza privata,
con violazione dell'art. 115 C.P.C.; inoltre il Tribunale avrebbe considerato, al fine di dimostrare l'erroneità delle conclusioni peritali, i risultati dell'esame spermiografico del 1992, che attestavano la presenza di spermatozoi, mentre avrebbe omesso di considerare quelli effettuati nel
1990, nei quali risultava un limitato numero di spermatozoi presenti nelle vescichette seminali e
nella prostata. Sulla base degli accertamenti effettuati in sede di c.t.u. dovrebbe quanto meno
essere esclusa l'ipotesi della mancata esecuzione della vasectomia.
Il Tribunale al fine di disattendere le conclusioni peritali avrebbe dovuto rinnovare le indagini
peritali, ovvero chiamare il c.t.u. a chiarimenti. Comunque la ripetizione dell'esame spermiografico sarebbe stato necessario al fine di dirimere l'incertezza, esame cui il C. si è rifiutato di sottoporsi, senza una reale giustificazione.
La doglianza è da respingere. Ritiene la Corte che nel giudizio avente ad oggetto l'accertamento
della responsabilità del medico chirurgo per l'infelice esito di un intervento chirurgico, come nel
caso in esame, occorre verificare innanzitutto la natura dell'intervento effettuato. Nel caso di
specie il professor S., nell'interrogatorio formale, ha dichiarato che l'intervento chirurgico di vasectomia è banale e l'intervento viene eseguito anche in via ambulatoriale e lo possono effettuare anche gli specializzandi. Pertanto deve ritenersi che l'intervento richiesto dal C. era di facile
esecuzione e pertanto era onere dello S. dimostrare che l'esito negativo non era ascrivibile alla
propria negligenza ed imperizia (Cass. 1127/98, 103/99, 4852/99). Detto onere non è stato assolto. Per quanto riguarda poi le censure mosse al Tribunale in ordine al superamento delle conclusioni delle c.t.u. deve rilevarsi che la motivazione adottata è logica e giuridicamente corretta.
Il consulente ha accertato la presenza di una cicatrice in sede scrotale sinistra, in base alla quale
ha ritenuto effettuato l'intervento di vasectomia, ciò anche in relazione agli esami spermografici
eseguiti nel 1990; non ha però tenuto conto, nel rassegnare le conclusioni, che alcuna descrizione dell'intervento eseguito dal professor S. è rinvenibile nella cartella clinica, che non contiene
alcuna indicazione sull'esecuzione o meno dell'intervento stesso e pertanto l'aver concluso che
l'intervento di vasectomia è stato eseguito in modo adeguato alle metodiche medico-chirurgiche
stabilite dalle prassi e dalla scienza medica è conclusione raggiunta solo in base alle modalità
descritte dallo stesso S. e non dall'accertamento obiettivo, stante la mancanza della documentazione attestante le modalità in cui nella realtà del caso l'intervento è stato eseguito.
Il consulente non ha poi preso in considerazione, ai fini della verifica dello svolgimento in modo adeguato dell'intervento di vasectomia eseguito dallo S., la circostanza della nascita di un sesto figlio alla coppia. L'omessa verifica dell'adeguatezza della tecnica utilizzata ha comportato il
ricorso da parte del consulente ad argomenti privi di obiettività nel caso di specie, poiché riferiti
ad ipotesi rinvenute in letteratura scientifica, ma non ad accertamenti effettuati nel caso concreto. Pertanto correttamente il Tribunale ha disatteso le conclusioni del c.t.u., riconoscendo la responsabilità del professionista quanto meno per inadeguata esecuzione dell'intervento, che ha
comportato il mancato conseguimento del risultato della sterilizzazione del paziente.
Occorre rilevare che il giudizio di adeguatezza dell'intervento è stato formulato dal c.t.u. sulla
base degli esami spermiografici effettuati nel 1990, che davano conto della presenza di residuo
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di spermatozoi presenti nelle vescichette seminali e nella prostata, mentre quelli del 1992, che
hanno dato esito positivo per presenza di spermatozoi, sono stati presi in considerazione al solo
fine di ipotizzare la possibile presenza di un doppio deferente citato dalla letteratura scientifica.
Ma la presenza dei contrastanti risultanti degli esami spermiografici è essa stessa prova dell'inadeguatezza dell'intervento eseguito dal professor S., che anche a voler prendere in considerazione l'ipotesi avanzata dai c.t.u., non si sarebbe avveduto di tale per c.d. anomalia; comportamento
peraltro da valutarsi alla luce di quanto dichiarato dallo stesso S. nell'interrogatorio formale sulla tipologia dell'intervento e sulla banalità dell'individuazione del deferente. Deve poi rilevarsi
che il Tribunale non ha operato in violazione dell'art. 115 C.P.C., poiché ha fatto riferimento ai
testi scientifici allegati in stralcio alla c.t.p. medica di parte attrice, al fine di rilevare che le raccomandazioni che sono prescritte a seguito dell'intervento di vasectomia - indicazioni relative
all'uso di metodi contraccettivi per un periodo oscillante tra sei settimane e quattro mesi e di esecuzione di analisi del seme fino a quando non risulti l'assenza di spermatozoi - non risultavano
essere state fornite al C. né sulla base della cartella clinica, né in nessun altro documento in atti.
Con il quinto motivo di gravame parte appellante principale censura la mancata ammissione
dell'interrogatorio formale di V.P., avente ad oggetto la prescrizione post-operatoria, circostanza
rilevante, poiché il concepimento sarebbe avvenuto nel periodo di tempo durante il quale il sanitario aveva raccomandato di ricorrere a metodi contraccettivi; pertanto la positiva dimostrazione
di tale prescrizione avrebbe comportato il venir meno del nesso causale tra l'intervento e la procreazione.
La doglianza è da respingere. Invero la mancata prescrizione delle raccomandazioni previste per
l'intervento di vasectomia - indicazioni relative all'uso di metodi contraccettivi per un periodo
oscillante tra sei settimane e quattro mesi e di esecuzione di analisi del seme fino a quando non
risulti l'assenza di spermatozoi - risulta provata dalla non menzione delle stesse né nella cartella
clinica, né in nessun altro documento, come già osservato in precedenza. L'interrogatorio formale ha natura strumentale essendo finalizzato a provocare la confessione giudiziale di fatti sfavorevoli al confidente e ad esclusivo vantaggio del soggetto deferente, ha come presupposto logico
giuridico la conoscenza che il confidente ha del fatto che ne costituisce l'oggetto e pertanto
quando si escluda, come nel caso di specie, che il fatto rientri nella diretta conoscenza dell'interrogando esso è da ritenersi inammissibile. E' quanto correttamente ritenuto dal Tribunale che ne
ha dichiarato l'inammissibilità poiché le circostanze su cui verteva l'interrogatorio erano estranee all'interrogata, in quanto erano riferite alle "raccomandazioni" che sarebbero state date dai
sanitari al C. ed all'omessa effettuazione da parte del C. delle visite di controllo.
Con il sesto motivo di gravame parte appellante censura il rapporto della misura del risarcimento all'intero costo di mantenimento della figlia non desiderata. Rileva come la più recente giurisprudenza di merito, considerando la mancata riuscita di un intervento di vasectomia come lesione del diritto di libertà dei coniugi di autodeterminarsi rispetto alla loro vita e alla compromissione del diritto alla procreazione responsabile, ha considerato il danno conseguenza non del
costo del mantenimento del figlio non desiderato, bensì dell'impossibilità dei genitori di spendere a proprio esclusivo vantaggio, secondo il modello di vita che si sono prefigurati, parte dei
propri redditi; conseguentemente il quantum liquidato nella sentenza impugnata non potrebbe
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superare la misura di un quinto della somma stimata per il mantenimento di detto figlio. Con la
censura in esame parte appellante contesta sostanzialmente la scelta operata dal Tribunale di affermare la risarcibilità dei danni per la nascita non programmata di un bambino, ma tale scelta è
stata obbligata da quanto allegato e dedotto dalle parti processuali e quindi dall'oggetto della
controversia, per come scaturito dalle posizioni processuali delle parti; detta interpretazione giurisprudenziale peraltro non dà risposta esaustiva alle molteplici domande poste dall'atto di citazione e quindi al caso concreto, domande partitamene prese in esame dal giudice e vagliate dal
punto di vista probatorio.
In ordine poi al quantum liquidato la doglianza fa riferimento alla giurisprudenza lombarda, di
cui chiede l'applicazione, ma non individua errori in cui sarebbe incorso il Tribunale, ma ne
chiede la riduzione ad un quinto della somma stimata per il mantenimento del figlio, senza specificare il criterio posto a base di detta riduzione. Con il settimo motivo di gravame parte appellante deduce l'erroneità della liquidazione delle spese di lite, liquidate in misura eccessiva. Rileva come il Tribunale avrebbe dovuto fare riferimento, nel liquidare le spese di lite, non al valore
della domanda, ma alla somma attribuita in sentenza, trattandosi di controversia avente ad oggetto il risarcimento di danni.
La doglianza non appare fondata. La controversia in esame, di particolare delicatezza e complessità per i principi giuridici che involgono le domande proposte, molteplici e riferite a sfere
che riguardano non solo gli aspetti patrimoniali, ma anche e soprattutto quelle personali, psicofisiche e professionali dei soggetti interessati, si è articolata in una serie di udienze, con l'espletamento di adeguata attività istruttoria, consistita non solo nell'espletamento di due consulenze
tecniche, ma anche dell'interrogatorio formale dei protagonisti della vicenda, con la illustrazione
attraverso gli scritti difensivi delle richieste istruttorie e degli esiti dell'istruttoria espletata, con
la trattazione di tematiche che attengono ai più recenti indirizzi giurisprudenziali in materia di
risarcibilità dei danni e quindi di particolare impegno professionale, elementi tutti che giustificano, unitamente al valore della domanda azionata l'entità della liquidazione delle spese di lite.
L'appello principale va quindi respinto. Nell'affrontare l'esame dell'appello incidentale occorre
premettere che il Tribunale ha esaminato le domande azionate con valutazione tecnico giuridica
sulla idoneità della prova offerta dall'attore e quindi respingendo le domande non provate; ha
altresì adottato la liquidazione in via equitativa solo ove il danno è stato provato, ma non era
possibile quantificarne con esattezza il suo ammontare, attendendosi quindi ai principi stabiliti
in merito dal codice di rito. I coniugi C. V. hanno proposto appello incidentale in primo luogo in
ordine alla misura della liquidazione del danno per il mantenimento del figlio non desiderato e
del c.d. "costo opportunità" in favore della V.; erroneamente il Tribunale avrebbe ritenuto non
ammissibili i documenti allegati alla c.t.p., che peraltro erano relativi a dati ISTAT e documentazione scientifica, prodotta anche dai c.t.p. della parte avversa, produzione non sanzionata di
inammissibilità. Il Tribunale, avendo disatteso le conclusioni della c.t.u., avrebbe dovuto pronunciarsi sull'elaborato peritale di parte e sulle note del difensore.
Per motivi di ordine logico e di economia della motivazione si deve esaminare congiuntamente
a detto motivo di impugnazione anche quanto dedotto con il sesto ed il settimo motivo nei quali
parte appellante incidentale contesta la liquidazione del danno operata dal Tribunale sulla base
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SENTENZE IN SANITÀ – CORTE D’APPELLO DI ROMA
di parametri che eluderebbero il principio di eguaglianza tra tutti i cittadini, avendo operato una
decurtazione di quanto indicato dal c.t.u., sulla base di considerazioni non condivise perché contraddittorie ed erronee. Non avrebbe infatti il Tribunale adeguatamente motivato il suo discostarsi dal parere tecnico fornito dal c.t.u., che avrebbe operato in maniera rigorosa e puntuale, al
contrario il giudice si sarebbe rifatto a parametri non condivisibili ed a conteggi non compiutamente esplicitati.
Le doglianze sono da respingere. Il Tribunale nell'esaminare tale voce di danno lo ha ritenuto
causalmente collegato all'inadempimento del professionista e lo ha correttamente ritenuto un
danno economico risarcibile, stante l'obbligo di mantenimento dei figli stabilito nel nostro ordinamento, obbligo quindi a cui il genitore non può in alcun modo sottrarsi. Ha altresì ritenuto
applicabile al caso di specie l'art. 1225 c.c., essendo il danno riconducibile a colpa del professionista, e prevedibile, essendo pacifico che la richiesta di sterilizzazione era stata richiesta dal
C. in quanto non desiderava avere altri figli. Ha disposto c.t.u. al fine di determinare il costo per
una famiglia media italiana del mantenimento di un figlio fino al compimento del 25° anno di
età, tenuto conto che la liquidazione riguardava un soggetto che aveva all'epoca compiuto il decimo anno di età; ha però ritenuto di non poter accogliere le conclusioni del c.t.u., rendendo ampia motivazione sull'erroneità ed esorbitanza delle stesse.
Ha quindi determinato l'ammontare del danno ricorrendo a criteri equitativi, trattandosi di danno
per una parte già verificatosi, stante l'età della minore, e per una parte danno futuro. Ha individuato parametri oggettivi quali la retribuzione media mensile lorda di un lavoratore dipendente
del settore industria, la composizione del nucleo familiare degli attori, entrambi lavoratori dipendenti e lo ha quantificato, in mancanza di specifiche allegazioni e prove da parte attrice, nella misura di Euro 300,00 mensili per complessivi Euro 90.000 al valore attuale. La motivazione
è esente da errori ed è logicamente costruita su parametri oggettivi e pertanto va confermata, anche perché esaustiva. Non si ritiene sussistente l'omessa motivazione in ordine al contenuto delle note critiche di parte, avendo il giudice reso una motivazione approfondita su tutti gli elementi sui quali ha costruito il proprio convincimento.
Con il secondo motivo di appello incidentale i coniugi C. V. censurano la sentenza impugnata di
omessa motivazione sulla responsabilità extracontrattuale dei convenuti, espressamente richiesta
in primo grado. Sarebbe infatti risultato sia dagli scritti difensivi della Casa di cura e del medico
che dalla presenza della cicatrice a livello scrotale, rilevata dal c.t.u., che l'intervento di vasectomia venne effettuato, ma di esso non vi è traccia nella cartella clinica, fatto che vale ad affermare non solo la responsabilità contrattuale, ma anche quella extracontrattuale da fatto illecito
sia del professionista che della Casa di Cura, che aveva l'obbligo di vigilare e controllare la corretta esecuzione dell'intervento; considerazioni che valgono anche per quanto attiene l'omessa
indicazione in cartella clinica della mancata prescrizione della terapia post operatoria, del periodo di astensione dai rapporti sessuali protetti, delle visite di controllo e degli esami strumentali
da eseguire nel tempo a conferma della riuscita dell'intervento, omissioni dovute a negligenza,
imprudenza ed imperizia dei convenuti.
Va esclusa l'omessa pronuncia oggetto del presente motivo di gravame. Il Tribunale ,avendo affermato la sussistenza di responsabilità contrattuale da parte della clinica e del professionista,
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citati in giudizio, ha implicitamente escluso la sussistenza di responsabilità extracontrattuale, e
pertanto nessuna omissione vi è stata. Peraltro la mancata indicazione nella cartella clinica di
quanto attiene all'intervento di vasectomia e delle "raccomandazioni" post intervento devono ritenersi rientrare nella responsabilità contrattuale, per quanto già detto nell'esaminare l'appello
principale, poiché l'obbligazione relativa alla tenuta della cartella clinica incombe sia sul professionista che ha effettuato l'intervento, sia sulla Casa di Cura. Con il terzo motivo di appello i coniugi C. V. censurano il rigetto della domanda relativa al danno da frustrazione dei genitori per
le privazioni, intese sia come peggioramento del tenore di vita che come calo delle attenzioni e
delle opportunità da imporre all'intero nucleo familiare al fine di poter assicurare il mantenimento del figlio non desiderato, nonché il danno alla vita di relazione e da stress psico-fisico della
coppia, poiché pur avendo il Tribunale individuato tutte le conseguenze che discendono dalla
nascita di un figlio non ne avrebbe colto l'obiettivo carattere pregiudizievole. Avrebbe poi omesso di valutare le conseguenze della nascita di un figlio non desiderato ai fini del danno esistenziale puro, quello cioè incidente sulla prospettiva ontologico-realizzativa dell'individuo e
per il quale era stata chiesta la liquidazione della somma di Euro 150.000,00. La doglianza non
appare fondata.
Essa è in parte assorbita da quanto già detto in premessa all'esame dell'appello incidentale, essendosi il Tribunale correttamente attenuto alle allegazioni, fondatamente ritenute generiche,
peraltro rimaste prive di elementi probatori idonei e necessari al fine di verificare la sussistenza
del danno domandato, che altrimenti sarebbe ritenuto sussistente sulla base di considerazioni
meramente soggettive e quindi arbitrarie, in violazione dei principi in materia stabiliti dal codice
di rito con riferimento all'obbligatorietà di allegazione e deduzioni specifiche ed all'onere probatorio. Peraltro, dilatare secondo criteri non oggettivi la risarcibilità di figure di danno, comporta
di fatto uno svilimento della stessa elaborazione giurisprudenziale, con conseguente vanificazione dell'interpretazione giurisprudenziale più attenta, volta a dare tutela effettiva a situazioni
giuridicamente rilevanti, attraverso l'affinamento dei mezzi interpretativi e l'accentuazione della
sensibilità interpretativa stessa. Con il quarto motivo di gravame parte appellante incidentale
censura il rigetto della domanda del risarcimento per le conseguenze psico-fisiche a danno di
entrambi gli attori. Deduce che per il C. comunque il danno è rinvenibile dell'aver sia la Casa di
cura che il professionista affermato di avere effettuato l'intervento di vasectomia, di cui è rimasta la lesione determinata dall'inutile intervento, come sta a provare la cicatrice a livello scrotale. Per quanto attiene la V. il danno rinvenibile nello stato di gravidanza, che se pure è un evento
naturale, non vi è dubbio che produca una serie di disagi che per quanto riguarda il periodo di
gestazione, il parto ed i primi mesi successivi alla nascita che non devono essere provati, essendo fatti obiettivi. Deduce infine che il danno non patrimoniale, vale a dire il danno esistenziale
ed il danno morale, vanno riconosciuti a prescindere dall'accertamento di un fatto costituente
reato, ove essi discendano dalle lesione di interessi costituzionalmente garantiti. La doglianza è
da respingere.
Sulla base delle considerazioni espresse nell'esaminare il precedente motivo di impugnazione,
deve specificarsi che nessun elemento probatorio è stato fornito in ordine al danno all'integrità
psico-fisica lamentata dalla V., poiché era suo onere dimostrare il danno alla salute derivatole
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dalla gravidanza. E della necessità di provare detto danno parte appellante incidentale si era resa
conto chiedendo in primo grado l'espletamento di c.t.u., richiesta disattesa dal Tribunale, in base
ai principi espressi più volte dalla giurisprudenza di legittimità che ritiene inammissibile detto
mezzo per supplire al mancato assolvimento dell'onere della prova. Mentre per quanto attiene il
danno non patrimoniale lamentato dal C. deve rilevarsi che non sussiste poiché non votata la
dedotta lesione, essendo la cicatrice conseguenza dell'intervento richiesto dallo stesso C., anche
se l'esito non è stato quello voluto.
Con il quinto motivo di gravame parte appellante incidentale censura il rigetto della domanda
relativa al risarcimento del danno subito dalla V. in termini di danno alla carriera e di "costo opportunità". Contesta che la domanda sia stata formulata tardivamente ed in termini ipotetici.
Chiede che sia risarcito tale danno anche a voler considerare l'attività svolta dalla V. come impiegata e non come dirigente, poiché a causa della gravidanza la stessa ha di certo subito dei costi, quali stipendi più bassi per il periodo in cui ha dovuto astenersi dal lavoro per accudire la
figlia ed assistere la piccola nata e comunque un sicuro rallentamento della carriera. La doglianza si richiama sostanzialmente a quella già esaminata della misura di liquidazione del danno,
operata dal Tribunale.
Parte appellante incidentale avrebbe dovuto provare le conseguenze che la gravidanza, ha comportato in concreto alla carriera lavorativa della V., stante peraltro la normativa approntata nel
nostro ordinamento a tutela della lavoratrice madre, tesa ad assicurare alla donna il ristoro del
"costo" della maternità, attraverso misure di protezione. Non ha formulato concrete allegazioni
in ordine a perdita di chances, di concreta diminuzione delle retribuzioni a seguito anche di diminuito rendimento lavorativo o di mutamento delle vicende del rapporto di lavoro, né ha provato dette eventuali circostanze. Con l'ottavo motivo di gravame parte appellante incidentale si
duole per avere il Tribunale omesso di decidere sulla liquidazione del danno in considerazione
dell'aumento del costo della vita, in relazione al cambiamento del sistema monetario dalla lira
all'euro; chiede la parziale riforma sul punto della sentenza, mediante liquidazione di detto danno da effettuarsi tramite c.t.u. o in via equitativa.
La doglianza non può trovare accoglimento per insussistenza della lamentata omissione, dovendosi ritenere la domanda assorbita nell'operato riconoscimento del lucro cessante, determinato
dal Tribunale in Euro 29.212,88. Con l'ultimo motivo di gravame parte appellante si duole della
omessa decisione sulle richieste istruttorie formulate in primo grado in relazione al capitolo 8
dell'atto di deduzioni istruttorie e sulle eccezioni di nullità sollevate in primo grado. Il motivo di
gravame è del tutto generico, a fronte di una ordinanza resa dal Tribunale in sede istruttoria in
cui sono state esplicitate sotto i diversi profili di ammissibilità e di rilevanza le richieste formulate dalle parti. Il richiamo generico alle eccezioni di nullità sollevate in primo grado, non consente un esame delle stesse, ma è causa di inammissibilità della censura per violazione del disposto dell'art. 342 C.P.C., cui soggiace anche l'appello incidentale. La natura e l'oggetto della
controversia, l'esito del giudizio, con particolare riferimento alla reciproca soccombenza, costituiscono giusti concorrenti motivi per compensare tra tutte le parti le spese del grado.
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P.Q.M.
Respinge l'appello principale e l'appello incidentale proposto da P.V. e M.C. Dichiara inammissibile l'appello incidentale proposto da S.S. Compensa interamente tra tutte le parti le spese del
grado. Così deciso in Roma il 27 giugno 2006. Depositata in Cancelleria il 14 novembre 2006.
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