Quando una ragazza “conosce” - Nomodos – Il Cantore delle Leggi
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Quando una ragazza “conosce” - Nomodos – Il Cantore delle Leggi
Nomodos - Il Cantore delle Leggi spettatore della Biennale Democrazia 2015 a Torino Si è conclusa da pochi giorni l’edizione 2015 della Biennale Democrazia, organizzata a Torino dal Professor Gustavo Zagrebelsky, con i “Passaggi” come filo rosso dei vari incontri. I Cantori di Nomodos hanno voluto riportare gli incontri a cui hanno preso parte durante questo evento, per poter permettere anche a coloro che non siano riusciti ad andare alle conferenze di poter avere un riscontro di cosa è stato affrontato dai relatori. Non tutte le relazioni sono a seguito di incontri giuridici, per questa edizione abbiamo ritenuto più giusto offrire un punto di vista più ampio di quello giuridico a cui abbiamo abituato i nostri lettori. Buona lettura! NOMODOS – IL CANTORE DELLE LEGGI Mercoledì 25 Marzo “L’Europa della cultura” – Lectio magistralis inaugurale di Claudio Magris Questa edizione di Biennale Democrazia (la quarta) si è aperta con la lectio magistralis di Claudio Magris dedicata al concetto di cultura europea e, conseguentemente, a quello di identità europea. Ad aprire i saluti del sindaco di Torino, Piero Fassino (il quale ha brevemente tracciato i contorni del tema generale di quest’anno – i passaggi – definendoli come cambiamenti, cambiamenti che chiamano necessariamente in causa i cittadini ribadendo così l’importanza e la centralità del concetto di democrazia, indispensabile per poterli affrontare) e quelli del Presidente di Biennale Democrazia, il prof. Gustavo Zagrebelsky. L’intervento del prof. Magris è stato introdotto dal direttore de “La Stampa”, Mario Calabresi, che ha lanciato la domanda fondamentale dell’incontro: quali sono i valori fondanti che unificano l’Europa? Magris, nel rispondere alla domanda e più in generale nell’affrontare il tema del dibattito, parte dalla premessa che effettivamente esista un’Europa, intesa come luogo comune e condiviso. Tale idea di Europa non è, peraltro, un’invenzione recente, essendo ben presente anche quando il continente si macerava in guerre più o meno cruente (su tutte, ovviamente, la seconda guerra mondiale) e, anzi, si può forse affermare che proprio la grande vicinanza che ha sempre unito i popoli europei in qualche modo sia stata alle volte la fonte del loro odio reciproco (la letteratura è piena di scontri fratricidi, generati proprio dall’eccessiva vicinanza dei protagonisti). Chiarito questo Magris passa ad analizzare l’elemento cultura all’interno dell’identità europea e ne individua una definizione assai generale, che trascende i limiti del concetto di “cultura” strettamente inteso: non solo la letteratura, l’arte o la musica possono vantarsi di essere espressioni culturali ma altresì, ad es., l’economia o la fisica ecc. dal momento che la cultura deve propriamente intendersi come la capacità critica (ed autocritica) di analizzare la posizione che si occupa nel mondo. Essa è una visione del mondo, capace di mettere in relazione fra loro le cose del mondo e di rapportarle altresì ad un’idea (appunto ad una visione) di ciò che esse dovrebbero essere, al di là dell’oggetto che la cultura può fare proprio. L’Europa ha sempre avuto una cultura con radici comuni capace poi di ramificarsi in modi diversi nel continente (già Goethe e Mazzini erano di questo avviso). L’identità europea (intesa qui al di là del dato prettamente geografico o istituzionale afferente all’Unione Europea) è dunque un sentimento di appartenenza capace di resistere a tutte le differenze che pure il continente presenta. Per Magris, inoltre, risulta molto difficile parlare di questa appartenenza perché essa è in realtà una sorta di sentimento, è qualcosa che si vive e che al massimo può essere raccontato (in letteratura) tramite storie che, tuttavia, di nuovo, non parleranno di europeità ma la mostreranno, la faranno emergere come solo la letteratura sa fare. È, tuttavia, possibile fissare almeno tre punti generali su cui fondare l’identità europea. Vediamoli: • L’importanza dell’individuo: in Europa (molto più che altrove) l’individuo è sempre stato posto al centro (pensiamo all’Umanesimo o all’Illuminismo) e con lui tutta una serie di diritti fondamentali (Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789) che via via (da Antigone alla Rivoluzione francese) sono stati riconosciuti come inalienabili e che sono, quindi, realmente fondativi del concetto culturale di Europa in quanto ormai considerati non più “negoziabili” e assurti al rango di base universalistica etica atemporale del continente. Citando Kant si può dire che in Europa l’individuo è sempre stato visto come un fine e mai come un mezzo per raggiungere qualcos’altro. In tale forte individualismo sta, inoltre, un forte potenziale anti-totalitario. È vero che molto spesso sono stati proprio gli Stati europei a violare barbaramente tali diritti (pensiamo al colonialismo, alla tratta dei neri, ai vari genocidi ecc.) ma è altresì vero che sempre europea è stata la spinta alla condanna e al superamento di tali errori; • Il welfare State: l’individuo europeo, per quanto importante, non è però isolato: è un animale politico (Aristotele): vive in rapporto con gli altri. Egli comprende la qualità della vita degli altri, è capace di relazionarsi con gli altri, ha consapevolezza di loro. È dunque in grado di valutare le soluzioni più giuste da dare alla convivenza della comunità. Per questo il welfare State (corretto dalle storture che possono caratterizzarlo) è aspetto pregnante dell’identità europea; • L’apertura al diverso, all’altro: citando Ripa si può infatti definire l’Europa come una dama dal vestito di vari colori proprio per la caratteristica di contenere in sé moltissime differenze. Tali differenze, inoltre, sono state storicamente acuite dalla formazione degli Stati nazionali al volgere del Medioevo. Oggi è grande la paura che l’UE elimini in qualche modo tutte queste differenze. È tuttavia una paura irragionevole perché solo tramite un’istituzione forte che permetta la rappresentanza di tutte queste differenze è possibile che quelle più deboli non vengano naturalmente oppresse da quelle più forti. L’UE può in questo senso garantire la diversità europea (un po’ come ha potuto garantire la pace europea). In conclusione si può quindi affermare con forza l’assoluta necessità di un’unità europea sempre più stretta a livello politico che porti allo smantellamento degli attuali Stati nazionali, delle attuali elefantiache istituzioni europee (sprovviste peraltro di un sistema adeguato di controllo dei valori non negoziabili di cui sopra una volta ammesso uno Stato al proprio interno, ammissione avvenuta forse un po’ troppo velocemente e largamente in passato, senza che ci fosse un chiaro modello politico di base da seguire) ed alla formazione di un vero e proprio Stato europeo (i c.d. Stati Uniti d’Europa) perché i problemi oggi hanno carattere europeo (pensiamo in primo luogo ovviamente all’immigrazione) e vanno dunque affrontati ad un livello europeo. Il percorso sarà molto lungo e difficile perché per la prima volta si cercherà di far nascere uno Stato non tramite la guerra ma tramite energie diverse ma è l’unico percorso che ci si possa augurare venga seguito, perché la perdita dell’unità europea sarebbe oggi una gravissima catastrofe per il continente (e probabilmente per il mondo). FABRIZIO TORELLI Giovedì 26 Marzo “Generazioni” – di Gustavo Zagrebelsky Cosa è una generazione? Come descriveremmo la nostra? Il discorso tenuto dal Professore di Zagrebelsky risponde magistralmente a queste domande, lasciando sicuramente un retrogusto amaro, ma necessario. Il presidente di “Biennale democrazia” apre il suo intervento dicendo cosa significhi per lui il termine “passaggi” e come questa tematica sia estremamente legata al rapporto che intercorre fra le generazioni; preliminare è la distinzione fra il mero esistere e il vivere. La vita è una continua rigenerazione che ingloba al suo interno anche un fattore mortale; la morte, infatti, viene, in questo caso vista come la possibilità di un nuovo inizio. L’inesorabile fine dà un senso alla vita, riuscirebbe l’uomo a trovare una ragione per trasformare la propria esistenza in un qualcosa di più se fosse immortale? L’immagine che tutti noi abbiamo della storia è quella di una lunga linea continua che collega ogni secolo, ogni decennio, ogni anno l’uno all’altro; all’interno di questo tutto, però, noi stessi distinguiamo delle generazioni. Cos’è allora che ci permette di distinguere una generazione dall’altra? Alcuni studiosi in epoche precedenti hanno sostenuto, attraverso dei calcoli statistici, che ogni qual volta il numero di “nuovi” adulti superi il numero di anziani si ha il sorgere di una generazione. È facile obiettare che ciò che unisce un insieme di persone non è il semplice dato anagrafico, non vi è un rinnovamento compatto, ma le generazioni sono tali per i caratteri del tempo e dell’epoca da essi segnati e da cui sono segnati. Si tratta di un’identità che determina passaggi, che possono anche verificarsi sotto forma di conflitti, tra due diversi modi di percepire e vivere la realtà che li circonda. Appare agli occhi di tutti palese come la nostra società sia in transito verso un nuovo inizio, purtroppo ciò non significa che questa rigenerazione sia connotata da elementi positivi: stiamo assistendo, infatti, alla scomparsa dell’ “età di mezzo”. Nella nostra epoca o si è giovani o si è anziani, coloro che stanno nel limbo sono annebbiati da una fasulla e fittizia giovinezza prolungata nel corso degli anni, spezzando così il passaggio verso la vecchiaia. L’identità dell’odierna generazione emergente è incentrata sullo sviluppo e sulla produttività, questo ci ha reso una società “che corre”, che non può fermarsi altrimenti si cadrebbe nel baratro della recessione. I diritti sono un costo ed è tragico constatare come in una struttura sociale così delineata non vi sia spazio per coloro che sono “improduttivi”, che vengono progressivamente abbandonati al loro destino. Ciò che è ancora più allarmante è che le generazioni a venire costituiscono un peso ed entrano sempre meno nelle preoccupazioni delle generazioni viventi. Il Professore Zagrebelsky conclude la propria lectio raccontando la storia dell’isola di Pasqua, che deve essere un monito per la nostra generazione: all’inizio quella che popolava questa isola doveva essere una civiltà fiorente, formata da migliaia di persone organizzate in dodici clan; al loro arrivo i coloni europei, però, trovarono una terra desolata abitata da un centinaio di individui geneticamente degradati. Questo declino è stato provocato dalla stessa smania di gigantismo della florida società che un tempo popolava quella terra. Per costruire le celeberrime teste di pietra hanno disboscato l’intera isola, riducendo così ogni forma di sostentamento (riducendosi all’antropofagia) e ogni possibilità di fuggire dall’isola, in quanto il legno destinato a costruire delle barche era stato utilizzato per trasportare i massi. La lezione è vitale: per soddisfare manie di grandezza e di potenza di oggi non si è fatto caso alle esigenze di domani, abusando delle risorse naturali. Il consiglio più grande e allo stesso tempo semplice, però, lo ha dato ai giovani: “Ragazzi se la prospettiva non vi piace, datevi da fare”. SARA VETULLI “Memoria e Oblio” di Luciano Floridi, introduce Luca de Biase De Biase introduce l’intervento di Floridi toccando i punti di snodo del discorso: – Il potere chi lo detiene? – L’identità della persona, la sua immagine dove sono? – La perquisizione di uno smartphone è legale senza un provvedimento da parte di un giudice? – Esiste un diritto ad essere dimenticati, un diritto all’oblio? Se si, in quale occasione è stato riconosciuto? – Ma cosa è il diritto all’oblio? Il mondo è costellato di problemi, ma proprio in merito a questo si pone la filosofia, identificata come strumento per dirimere tali problemi. Quindi nella situazione in cui due soggetti ragionevoli siano in disaccordo ecco che interviene la filosofia che analizza la situazione, le posizioni dei due e propone la soluzione. Ecco che proprio sulla base di questi problemi, di questi disaccordi, si pone il tema dell’oblio come “problema” aperto da dirimere. Si potrebbe pensare che l’oblio sia distinto dalla memoria, mentre invece è proprio nel grande mondo della memoria che esso si incardina come situazione da risolvere. Nella filosofia di Floridi la memoria si pone in tre modi differenti: la memoria come “verde”, la memoria come registrata e la memoria come avente valore. Procediamo con l’analizzare queste possibilità. Che cosa vuol dire “memoria verde”? E perché la memoria si lega proprio al colore verde? La memoria è, secondo Floridi, “verde” perché nella mente il ricordo emerge come vissuto, riportando alla mente esattamente quelle stesse sensazioni, quelle stesse emozioni che si sono vissute. Ed è proprio in questo aspetto che emerge l’oblio, quale possibilità di non ri-inverdire il ricordo, di non ricordarlo con il medesimo pathos, con le medesime sensazioni di quando lo si è vissuto. Quindi il verde del ricordo è da legare alla possibilità di vivere nello stesso modo quell’episodio quando lo si riporta alla mente, ed è proprio in merito a questo che subentra l’oblio, come speranza di un ricordo duraturo nella memoria ma senza quel pathos provato nel momento in cui lo si è vissuto. L’oblio in questo caso si pone come distanza, come separazione del ricordo dal sentimento travolgente vissuto in quell’occasione. Proprio in questo contesto si pongono le memorie qualificate come: semantiche, e quindi portatrici di un significato, episodiche, e quindi come memoria di quell’episodio, e procedurali, cioè come memoria del vissuto di quell’episodio. Detto in parole povere la differenza della memoria episodica e di quella procedurale è che, mentre la prima si pone come “quella volta che a colazione ho mangiato il cornetto”, la seconda si pone invece come “cosa ho provato quella volta che a colazione ho mangiato il cornetto”. Ma queste memorie vengono anche “registrate”. Come si pone la memoria in relazione alla registrazione? Prima di approfondire si deve rendere esplicita una differenza che potrebbe però passare inosservata: tutte le memorie vengono registrate, ma non tutte le memorie registrate sono semantiche e quindi portatrici di un significato. All’interno di questo contesto si pone la differenza che intercorre tra dato e informazione, che può sembrare inesistente mentre è assai rilevante. Il dato si pone come rilevazione di una differenza, ad esempio nel caso in cui si dica “ieri ha piovuto mentre oggi c’è il sole”, è proprio qui che è possibile rilevare il dato della differenza di tempo tra ieri ed oggi. Invece l’informazione si pone come dato ma a cui è legato un significato, per cui nel caso in cui si dica “domani se farà bello farò un pic-nic” ecco che la rilevanza del bel tempo di domani assume significato perché legato ad una attività che voglio svolgere e posso solo in presenza del bel tempo. Ecco che proprio in questo contesto il digitale e internet in particolare hanno consentito, consentono e consentiranno alla informazione di crescere senza limiti. Alcune di queste memorie “hanno valore”. Ma perché hanno valore? Queste memorie assumono valore nel momento in cui non c’è rivalità tra due soggetti nell’usufruirne, quindi ad esempio l’informazione può essere conosciuta sia da me che da te, quindi l’abbiamo entrambi e non è esclusivamente nè mia nè tua. Quindi l’informazione e la memoria non possono essere paragonate ad un bene quale è il petrolio perché nel caso del petrolio se ce l’ho io non ce lo hai tu. Questo è reso anche possibile dal fatto che l’informazione e la memoria sono due beni dematerializzati a meno che non li si leghi ad un supporto materiale. Quindi la memoria è una risorsa rinnovabile, che può essere utilizzata per i fini per cui è stata condivisa, piuttosto che ri-utilizzata per altri fini. La memoria può essere utilizzata per creare, rinnovare e modificare, ed essa stessa continua a crescere in ogni istante. Da questo discende che da memoria, dati e informazioni deriva un grande valore e molti aspirano ad accedervi, acquisirli e gestirli. Le memorie però possono anche essere “problematiche” perché i dati su cui si basano lo sono. Ma perché i dati sono problematici? I dati sono problematici da due punti di vista, quello etico e quello politico. Nel primo caso perché i dati sono sensibili e quindi si potrebbe sfociare in una invasione della privacy, nel secondo caso invece perché usiamo la memoria per avere un momento di trasparenza e responsabilità ma non teniamo conto che i dati hanno anche un valore sociale e soprattutto finanziario, che i soggetti privati vorrebbero utilizzare. Però bisogna dire che le memorie possono essere anche “pesanti”, in quanto ci sono certe memorie che vorremmo dimenticare, il cui peso vorremmo rilasciare in quanto già andato. È qui che riemerge quel concetto di memoria verde e di rin-verdimento dei ricordi. Quindi quello che vogliamo è una memoria che non resti continuamente legata a noi, come è accaduto nel caso Gonzales v. Spagna. Questo è quello che possiamo definire il caso-botto, che ha fatto venire in superficie tutte quelle problematiche che prima sussistevano ma erano nascoste. A seguito della sentenza della Corte di Giustizia è stato deciso che i service provider possano decidere, a seguito di una richiesta, di cancellare il collegamento ad un certo link e non di cancellare, come sarebbe stato facile pensare, all’informazione e quindi al link stesso. In questi casi le informazioni sono irrilevanti, non più rilevanti o addirittura eccessive, ecco perché si chiede, attraverso il diritto all’oblio, di cancellare il collegamento. Quindi in questa nuova società dobbiamo essere in grado di perdonare, in quanto non si può rimuovere la memoria del passato, quindi si può dire che si è passati da una politica della memoria ad una politica dell’oblio. Quindi dobbiamo seguire un processo di “closure”, di chiusura grazie a cui potremo dire che qualcosa è accaduto, lo ricordiamo, ma non lo facciamo costantemente, di conseguenza non rin-verdiamo i ricordi. Fino a poco tempo fa avevamo trovato un equilibrio tra memoria e dimenticanza, mentre ora questo equilibrio è stato nuovamente messo in discussione, frantumato con l’avvento del digitale. FEDERICA GRECO “Stati di cittadinanza” – Intervengono Roberto Beneluce, Stefano Giubboni e Luisa Passerini. Modera Marco Buttino I profughi sono persone che hanno perso i diritti che avevano e che cercano di conquistarne di nuovi, sono in una situazione di sospensione tra diritti persi e quelli che non hanno ancora acquisito. Essi, in quanto persone, godono di diritti fondamentali, diritti che una persona detiene in quanto esistente. Non tutti i profughi vogliono la cittadinanza italiana ma, se lasciano le impronte, devono porre la domanda di asilo all’Italia. Avere un lavoro nella legalità è un’aspirazione di molti profughi, più che un dato di fatto mentre avere ottenuto la residenza è importante in quanto significa avere diritto ai servizi sanitari. In Italia sono necessari 10 anni di residenza per ottenere la cittadinanza, la quale attualmente si presenta come un diritto legato al domicilio. Noi tutti siamo coinvolti nel problema dei diritti portabili, diritti che possiamo portare con noi nel passaggio da un Paese all’altro all’interno dell’Unione europea in quanto non esiste ancora una cittadinanza europea che oltrepassi quella nazionale. Il Trattato di Schengen ha creato 2 categorie di persone, chi vi rientra e chi no. Ampliando gli orizzonti, ciò che emerge è che il mondo è diviso in molti e diversi stati di cittadinanza, situazioni tutte precarie, provvisorie. Bisogna aprire spazi di cittadinanza culturale per mettere in contatto le persone, per una migliore conoscenza reciproca, partendo dall’apprendimento della lingua italiana e dalla condivisione di spazi comuni (università, musei, chiese). Lo scopo è quello di evitare la ghettizzazione tra persone che godono di diritti diversi. DAVIDE DIMODUGNO “La diffusione della disinformazione sui social media” – Intervengono Filippo Menczer e Luca Sofri. Modera Luca De Biase I social media sono caratterizzati da un particolare problema di disinformazione. In internet la diffusione delle “bufale” è tanto più rapida quanto più le persone sono distratte, dato che la distrazione è parte integrante del nostro vissuto. Questo può sembrare ridicolo, ma questa situazione diventa lampante se si dice che ad esempio negli USA alcuni pensano ancora che Obama sia musulmano oppure che i vaccini possano rendere autistici. Ma come avviene la diffusione della disinformazione? Innanzitutto dobbiamo considerare il fatto che la disinformazione sia una forma di informazione e, sulla base di questo, si diffonde esattamente nello stesso modo. La diffusione dell’informazione avviene attraverso il passaggio della stessa da un punto ad un altro. Gli specialisti chiamano MEME questa diffusione di informazione. La rete di diffusione è formata principalmente dalle persone, che ad esempio ri-twittano una informazione o comunque almeno la menzionano. Sulla base di recenti studi americani, la forma delle reti può differire in base all’argomento trattato o al modo di diffusione dell’informazione. Se consideriamo la comunicazione in internet possiamo distinguerne 2 tipi: l’Astroturf, visto come “erbe finta” in quanto qui la comunicazione è finta dato che viene originata da Software, da Bot, che si contrappone al Grassturf, che identifica la comunicazione naturale, quella che si verifica tra due o più persone. Però attraverso la rappresentazione delle reti è facile distinguere comunicazioni tra Bot, che fingono di essere persone, e persone, in quanto in grado di scambiarsi anche milioni di messaggi in una stessa giornata.Nel tempo c’è stata la possibilità di costruire un sistema per distinguere tra Bot e umani, si chiama “Bot or not?”. Ma torniamo alla disinformazione. La bufala è tale se è facile per un soggetto individuarla come tale, ma quando questo stesso soggetto non riesce a distinguerla dalla verità? Cosa accade? Un esempio lo si è avuto lo scorso agosto, quando su Twitter sono iniziate a circolare notizie negative, sulla base di un articolo presente in un blog politico. Il suddetto blog aveva affermato che il presidente Obama utilizzasse gli accademici al fine di spiare e addirittura bloccare i profili di Twitter. Questa posizione è poi stata rafforzata nel momento in cui Fox News ha reso questo articolo una notizia del suo notiziario, estendendo la capacità di diffusione di tale bufala. In seguito un ulteriore articolo ha smentito tale posizione, ma le cose sono pure peggiorate quando in risposta a questo articolo un membro del Consiglio Federale ha attaccato il governo Obama dando credito a questa bufala senza compiere ulteriori investigazioni al riguardo. Su questa scia poi anche un membro della Camera ha urlato lo scandalo perpetrato dal Governo e la necessità di investigazioni al riguardo. A tal proposito, non sarebbe utile la presenza di programmi intelligenti in grado di identificare e smentire le bufale appena emergono? Si sta lavorando a tali programmi basandosi su una base-dati, ad esempio tratta da Wikipedia, rendendo possibile il confronto tra quella notizia e una base-dati considerata certa e sicura. Si è comunque accertato che la verità ha più credito delle bufale su internet, in quanto si ritiene che a maggiore disomogeneità nel gruppo sociale corrisponda maggiore capacità di diffusione della bufala, mentre a maggiore omogeneità corrisponda maggiore rapidità nella identificazione della bufala e l’immediata interruzione della diffusione di tale disinformazione. Ma quindi a chi dare attenzione? In un ambiente omogeneo, spesso chiuso, si comunica solo con gli amici e in tali comunicazioni ecco che è maggiormente possibile percepire l’ego delle proprie opinioni dato che spesso le opinioni dei nostri amici sono anche le nostre. Inoltre bisogna tenere conto anche dell’influenza che i Media hanno su di noi in tema di diffusione della informazione, ma hanno un ruolo anche nella diffusione della disinformazione? Certo che si, anzi è proprio nella sinergia che si crea tra Media Tradizionali e Media Digitali che trova spazio la diffusione di disinformazione attraverso la credibilità che viene data alle bufale. La nostra società è portata a pensare che sia internet il portatore unico di disinformazione, ma questa posizione di pensiero non tiene conto del fatto che i Media tradizionali sono da sempre i detentori del potere della diffusione di informazione, oltre che da sempre considerati portatori di verità, in quanto era il bar il luogo delle bufale. Il problema principale del ventunesimo secolo è che internet incarna entrambi questi aspetti, ha fatto convergere entrambi questi luoghi di informazione o disinformazione ed ecco che il mezzo digitale ha reso solo il tutto più complesso da distinguere. Ma è possibile distinguere questi due aspetti? Distinguerli è complesso ma non impossibile, ma prima di poter accettare questa posizione bisogna che ognuno di noi si faccia un esame di coscienza e ammetta le proprie responsabilità, tanto nella diffusione di informazione quanto in quella della disinformazione. Questo è ammissibile sulla scorta della citazione che “da grandi poteri derivano grandi responsabilità” e, anche se non ce ne rendiamo conto internet ha messo nelle nostre mani un potere inimmaginabile. Un grande problema della nostra società è anche che la nostra informazione si basa sulla lettura dei titoli degli articoli e non degli articoli stessi, ma il problema è soprattutto che chi scrive i titoli non è chi scrive l’articolo e questo può portare ad uno scollamento tra punto focale del titolo e punto focale dell’articolo. Il problema è che la forza che il titolo ha è enorme, è quella forza che resta nel mondo, che influenza le menti. A tal punto della considerazione la domanda che rimane in sospeso è: in questo sistema in cui assorbiamo tutto come verità, come è possibile ignorare la bugia, la bufala quando la società ti giudica per non averla diffusa? In conclusione questa disamina risponderà a questa ultima domanda. La risposta sta nella semplicità del fatto che la bufala non può essere individuata a priori come tale, quindi quando le redazioni decidono di pubblicare una informazione non conoscono la veridicità dell’informazione e, in questa società che vuole tutto e lo vuole prima di adesso, risulta difficile avere il tempo di verificare l’informazione e nel momento in cui fosse possibile farlo e una testata decidesse di non pubblicare mentre le altre si, ecco che comunque nel tentativo di non diffondere disinformazione subentra il giudizio di deprecabilità da parte della società. FEDERICA GRECO Venerdì 27 Marzo “Il diritto alla salute. Un confine da difendere” – Intervengono Giulio Fornero, Francesco Pallante, Mauro Perino. Modera Maria Grazia Breda Venerdì 27 marzo si è tenuta, alla sala conferenza di Intesa Sanpaolo, il dibattito di Biennale Democrazia dal titolo “Il diritto alla salute. Un confine da difendere”, al quale hanno partecipato Giulio Fornero (direttore SC qualità e risk management dell’Azienda ospedaliera-universitaria Città della Salute ed ex direttore generale dell’ASL di Torino), Francesco Pallante (ricercatore di Diritto Costituzionale dell’Università di Torino e coordinatore del circolo locale di Libertà e Giustizia), Mauro Perino (direttore del Consorzio intercomunale dei servizi alla persona dei Comuni di Grugliasco e Collegno) e come nelle vesti di moderatore Maria Grazia Breda (presidente della Fondazione Promozione Sociale Onlus). Dal dibattito è stato messo in evidenza il legame profondo, e a tratti pericoloso, che vi è fra diritto alla salute – e in generale i diritti sociali – ed esigenze di bilancio. Il ruolo preponderante che sta assumendo l’esigenza del pareggio per i vari bilanci statali (centrale, regionale, degli enti locali) è concretamente constatabile, essendo la Costituzione stata modificata circa due anni fa proprio per inserirvi il principio del pareggio di bilancio. È risalente la definizione, per i diritti sociali, di diritti finanziariamente condizionati: lo Stato, nel prestare i servizi ai cittadini, si avvale della imposizione generale e quindi, laddove mancassero le risorse, i cittadini non potrebbero goderne. Ciò è evidente nel diritto alla salute. Nel nostro Paese il sistema della sanità rientra fra le materie di competenza concorrente fra Stato e Regioni, essendo riservata allo Stato la “sola” determinazione dei LEP, cioè i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (art. 117 co. 2 lett. m. della Costituzione), prestazioni che devono essere fornite in modo più uguale possibile su tutto il territorio della Repubblica. Ma sia il diritto alla salute sia l’esigenza di bilancio sono protetti costituzionalmente, e a livello di fonti del diritto dovrebbero avere lo stesso peso costituzionale – esattamente come due diritti garantiti dalla Costituzione. Se le norme, nel momento in cui il giudice si trova a dover decidere una questione sottopostagli, sono oggetto di una interpretazione escludente (si applica la regola α o la regola β), diversamente vale per i principi e i diritti, i quali invece sono oggetto di una interpretazione di bilanciamento (il principio γ non esclude il principio δ, ma devono essere bilanciati l’uno con l’altro sulla base dell’opera giudiziale). Quindi nel caso del diritto alla salute e dell’esigenza del principio di pareggio di bilancio, l’interpretazione del giudice dovrebbe rispecchiare le necessità del caso concreto. Dovrebbe per il fatto che, tuttavia, a seguito di una decisione del Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. III, 12 giugno 2013, n. 3247), è stato stabilito che le esigenze di bilancio della Regione sono inderogabili e che quindi prevalgono sempre su altri diritti – quindi anche sul diritto alla salute. Questa sentenza in qualche modo recupera la primissima interpretazione della Corte di Cassazione, sviluppata nel periodo compreso fra l’entrata in vigore della Costituzione e la prima sentenza della Corte costituzionale, secondo la quale i diritti costituzionali avevano natura programmatica, non essendo attuabili senza una legge di attuazione. Ma con la primissima sentenza dei giudici delle leggi (n. 1 del 1956) questo orientamento interpretativo viene meno: i diritti costituzionali devono essere pieni, quindi immediati, e incondizionati – proprio in quanto costituzionalmente garantiti. Con il passare degli anni però anche questa interpretazione viene in parte rivista, dato che la Corte costituzionale, all’inizio degli anni Novanta, ammette che i diritti siano condizionati sia finanziariamente e sia dalle scelte politiche del legislatore. Nel 1994 la Corte torna parzialmente indietro in questa interpretazione evidenziando che i diritti siano sì finanziariamente condizionati, ma dotati di un nucleo fondamentale incomprimibile: ciò viene recepito a livello legislativo 1999 con la creazione dei LEA (cioè i livelli essenziali di assistenza), i quali nel 2001 diventano LEP, inseriti nell’art. 117 Cost. capoverso. Con la sentenza del Consiglio di Stato sarebbe quindi a rischio l’orientamento di protezione dei LEA e LEP, prevalendo sempre e comunque l’esigenza del pareggio di bilancio. Ma è giusto che il diritto ad avere diritti sia concretamente subordinato ad esigenze finanziarie? È ovvio che per garantire una prestazione sanitaria bisogna avere le risorse per farlo. Ma molto spesso le risorse ci sono, solo che sono utilizzate in modo inefficiente. L’ultimo rapporto OCSE sulla sanità in Italia (OECD Reviews of Health Care Quality: Italy 2014) ha messo “i punti sulle i”, sottolineando come in realtà il nostro Paese, pur avendo uno dei sistemi socio-sanitari migliori al mondo, abbia ultimamente adottato delle politiche sanitarie a breve termine, e queste stanno iniziando a dare risultati deleteri. Le risorse ci sono ma vengono male impiegate: vengono effettuati troppi interventi non necessari (l’Italia ha uno degli indici più alti dell’Unione europea in tema di risonanze elettromagnetiche pro capite). Inoltre è stato evidenziato che il nostro Paese, più che avere un sistema sanitario nazionale, ha in realtà tanto sistemi sanitari regionali differenti. È quindi corretto affermare che la finanza possa condizionare i diritti? Indipendentemente dalla risposta, bisognerebbe partire dal presupposto che le risorse debbano essere utilizzate nel migliore dei modi. STEFANO ROSSA “L’anima dell’Europa” – Intervengono Edgar Grande, Antonio Padoa Schioppa, Mario Telò. Modera Maurizio Ferrera La conferenza si è posta l’obiettivo di analizzare le ragioni attuali della c.d. eurocrisi e del conseguente euroscetticismo per capire in che modo possa essere recuperata una dimensione europea comune (che ha dato notevoli risultati positivi nel tempo) e quale debba essere il ruolo dell’Unione Europea nel futuro, ammesso che essa riesca a superare l’attuale crisi e le conflittualità interne che la caratterizzano (pensiamo a quelle che contrappongono Germania e Grecia). Il prof. Grande si è mostrato assolutamente pessimista. Il progetto europeo è posto oggi davanti ad un passaggio importante e difficile (si capisce così, tra l’altro, la connessione con il tema generale di Biennale Democrazia) dal momento che l’eurocrisi ha spazzato via diversi falsi miti, e precisamente: • Benessere: l’idea che l’appartenenza alla UE avrebbe comportato vantaggi e prosperità per tutti (si è invece visto che molti sono stati i sacrifici e le limitazioni); • Uguaglianza: l’idea che tutti gli Stati membri sarebbero stati uguali all’interno dell’Unione (si è assistito invece ad una nuova dominazione degli Stati tradizionalmente più forti); • Unitarietà: l’idea che l’Europa si sarebbe trovata più unita (invece si sono presentate nuove divisioni, tipicamente quella fra Eurozona e il resto del continente oppure quella fra Nord e Sud); • Irreversibilità: l’idea che l’integrazione europea rappresentasse un processo irreversibile, per quanto lento (invece ci si interroga ormai da anni sulla possibilità che uno Stato esca o che addirittura sia costretto ad uscire dalla UE, es. Regno Unito e Grecia). L’Europa si trova quindi divisa fra due diverse possibili configurazioni (che in realtà rappresenterebbero due facce della stessa medaglia): • L’Europa tedesca: rappresentata dal Cancelliere tedesco Angela Merkel e caratterizzata da un governo dell’Unione gestito dai Governi degli Stati nazionali, finendo così con il far prevalere quelli più forti (la Germania su tutti); • L’Europa tecnocratica: rappresentata dal Direttore della Banca Centrale Europea Mario Draghi e caratterizzata dal governo di istituzioni UE non democratiche e tecniche, con la conseguenza di esautorare del tutto gli Stati nazionali. L’unica soluzione percorribile sarebbe quella di modificare in profondità l’attuale assetto raggiunto dall’UE (a partire dai Trattati) per giungere ad un’unione politica che, unita ad una forte unione finanziaria (e fiscale) e ad un serio piano di aiuti verso i Paesi del Sud, potrebbe rappresentare il superamento dell’attuale crisi. Tale soluzione sarebbe raggiungibile solo insistendo molto sul settore della PESC e sull’azione internazionale dell’Unione ma non sembra percorribile a causa di un forte blocco politico (che ha alla sua base l’euroscetticismo). Il prof. Padoa-Schioppa ha avuto invece un approccio più obiettivo che, posta la necessità di migliorare l’attuale stato dell’Unione e di invertire il trend dell’euroscetticismo, ha cercato di individuare i possibili rimedi alla crisi. Essi realizzerebbero una concreta applicazione di principi già esistenti e sarebbero, sinteticamente: • Investire sulla sicurezza comune (anche tramite il taglio della spesa per gli armamenti nazionali a favore di un sistema di difesa comune); • Integrare il sistema di governo intergovernativo e di austerità (necessaria, dati gli enormi debiti pubblici degli Stati europei, che di certo non possono considerarsi con leggerezza) con un più forte principio democratico (rafforzamento ulteriore dei poteri del Parlamento europeo) e con la ricerca di un modello di sviluppo europeo complessivo quanto alle risorse comuni (direzione scarsamente intrapresa dal piano del nuovo Presidente della Commissione europea, Juncker); • Creazione di un sistema fiscale comune; • Abolizione del diritto di veto. Il prof. Telò, infine, si è concentrato di più sugli importanti traguardi che l’UE ha saputo comunque raggiungere in questi suoi primi 50 anni di vita. Essi sono: • L’aver raggiunto una pace duratura e riguardante il continente quasi nella sua interezza (il raggiungimento della riconciliazione del continente, e soprattutto di Germania e Francia, dopo la seconda guerra mondiale è un bene comune che va preservato); • L’aver imposto la c.d. condizione democratica quale requisito per l’ingresso nell’Unione (con conseguente rafforzamento delle democrazie nazionali in tutto il continente); • L’aver raggiunto un modello di prosperità unico al mondo (il mercato europeo è il più grande ed equilibrato del mondo: circa il 7% della popolazione mondiale produce il 25% del PIL del pianeta e il 50% della sua spesa sociale), incentrato sul modello del welfare State (che lo stesso Claudio Magris aveva posto fra i principi fondamentali dell’identità europea nella sua lectio inaugurale); • L’essere L’Europa presente sulla scena internazionale come uno degli attori più importanti (anche se questa sua presenza è mal gestita e deve essere potenziata). Tre sono state però le grandi illusioni europee che vanno superate: • Si è semplificato il problema istituzionale pensando di poter giungere velocemente agli Stati Uniti d’Europa; • Si è ritenuto che la creazione di un’unione monetaria ad opera del Trattato di Maastricht avrebbe garantito anche un’unione economica (cosa che non si è realizzata, potendo ogni Stato adottare i propri bilanci e gestire la propria politica fiscale in modo autonomo); • Si è pensato che la pace raggiunta all’interno del continente si sarebbe potuta diffondere anche all’esterno, con conseguente marginalizzazione del problema della difesa (oggi centrale, pensiamo all’ISIS o alla crisi in Ucraina). In definitiva, secondo Telò, sarebbe necessario rafforzare la leadership europea, la sua democraticità, la sua presenza internazionale e riformulare la sua narrativa, non tollerandone una riduzione a mera idea utilitaristicaeconomica e riappropriandosi di tematiche politiche vere e proprie che non possono essere lasciate nelle mani degli euroscettici. FABRIZIO TORELLI Sabato 28 Marzo “I confini del mercato” – Intervengono Colin Crouch ed Elena Granaglia. Modera Nicolò Fraccaroli Il tema centrale dell’incontro è il rapporto tra capitalismo e democrazia, espresso sotto forma di domanda: “Quanto capitalismo può sopportare la democrazia?”. Si affronta l’argomento con un approccio non mainstream, compenetrando la teoria economica con la storia, la sociologia e l’etica. Si parte dall’analisi dell’istituzione “mercato”, in particolare a fronte della recente crisi che ha messo in luce una ritrazione dello Stato come regolatore e una forte autonomia del mercato dal controllo dello stesso: si chiede dunque alla prof. Granaglia secondo quali regole il mercato si autoregolamenta. Granaglia consiglia di abbandonare la classica visione per cui il mercato si autoregolamenta, in quanto nei mercati competitivi c’è uno scontro di potere, cioè ci sono diversi interessi anche antitetici in gioco, dunque c’è necessità di regolamentazione esterna per evitare che uno di questi poteri prenda il sopravvento e diventi una presenza dispotica nel mercato. La domanda che, secondo la prof., bisogna porsi riguarda invece la regolamentazione stessa: essa persegue valori condivisibili? La parola passa dunque al prof. Crouch, al quale si chiede se i valori secondo cui viene regolato il mercato sono compatibili con l’idea di democrazia. Egli parte dall’esempio dell’Unione Sovietica, la cui demonizzazione dell’iniziativa economica privata ha determinato una grave inefficienza economica: si deve dunque accettare il ruolo, vantaggioso per tutti i privati, che il mercato può avere, definendone però alcuni limiti, per evitare distorsioni nella sua intrinseca positività. Secondo Crouch, infatti, il processo di mercatizzazione crea e distrugge: crea nuovi valori per la società e distrugge le istituzioni per come sono concepite; ma è necessario agire perché tale distruzione non abbia un effetto eccessivamente negativo, creando disuguaglianza e ingiustizia. Attualmente questo non sta avvenendo e l’eccesiva liberalizzazione sta creando una società sempre più dispotica. Interviene nuovamente Granaglia, rispondendo all’osservazione del relatore secondo cui, in situazioni di crisi, emergono in maniera consistente le disuguaglianze sociali, che però possono avere anche effetto positivo, in quanto il miglioramento di condizione dei ricchi può determinare un indiretto vantaggio anche per le altre classi sociali, secondo l’effetto trickle-down. La risposta sottolinea come alcuni studi abbiano dimostrato che il trickledown, in particolare dopo gli anni ’70 e relativamente agli incrementi di reddito, sia stato pressoché assente, mentre relativamente agli incrementi di opportunità esso sia stato sostanzialmente negativo con un aumento di disuguaglianza nelle opportunità, in particolare di accesso al mercato e all’istruzione, in relazione a un aumento di disuguaglianza nel reddito, con una visibile segmentazione territoriale che influisce anche sulla qualità dei servizi e un conseguente circolo vizioso secondo cui la povertà crea altra povertà. Si chiede dunque al prof. Crouch quanto capitalismo possa sopportare la nostra società: la risposta parte dal concetto di disuguaglianza insito nel mercato, in quanto in questa istituzione chi prende più rischi può avere maggiori vantaggi; in un mercato ideale si dovrebbe intervenire per colmare i vuoti lasciati dalla disuguaglianza, creando in questo modo uguaglianza. Non essendo tuttavia in un contesto ideale, sembra che le misure attuate al tal fine siano insufficienti, anche perché la disuguaglianza crea un “potere d’acquisto politico” per i ricchi, i quali hanno una grande influenza sugli organi che dovrebbero contrastare tale disuguaglianza, creando un’intersecazione tra disuguaglianza economica e disuguaglianza politica che minaccia fortemente la democrazia. Segue dunque una domanda rivolta ad entrambi, riguardante l’importanza della compenetrazione tra economia, etica e sociologia nello studio dei fenomeni economici, che non può essere ridotto a una mera applicazione della matematica. Entrambi i relatori sono concordi sulla posizione prospettata dal moderatore, sottolineando come uno studio economico comprensivo non possa concentrarsi solo sull’efficienza, che è invece il faro degli economisti mainstream, nel qual caso si costruirebbe una scienza non più sociale, ma meramente astratta. DARIO DITARANTO “Passaggi di repubblica e passaggi di democrazia” – Intervengono Lorenza Carlassare e Gianfranco Pasquino. Modera Marco Castelnuovo La conferenza ha avuto ad oggetto le riforme costituzionali della Parte II della Carta promosse dal Governo Renzi (a firma del Ministro per le riforme Boschi) attualmente all’analisi del Parlamento (e già approvate in prima lettura in entrambe le Camere), nonché il connesso tema della riforma delle legge elettorale (c.d. Italicum). L’argomento è di assoluta attualità ed importanza ed entrambi i relatori si sono mostrati assolutamente contrari e critici verso la riforma. Cerchiamo di capirne sinteticamente i motivi (dopo aver premesso che si potrebbe parlare veramente a lungo della questione e che verranno riportate solo le critiche affrontate nel corso della conferenza). Anzitutto emergono evidenti l’allarme e il pericolo che il combinato delle due riforme (quella costituzionale e quella elettorale) rappresentano per la democrazia costituzionale e la forma di governo parlamentare. Rendere il Senato camera non elettiva (più precisamente: camera elettiva solo in secondo grado) e rafforzare tramite il premio previsto dall’Italicum la maggioranza alla Camera dei deputati di fatto svuoterebbe il costituzionalismo inteso come controllo reciproco dei poteri (la c.d. balance of powers) e renderebbe il sistema sempre più orientato verso il presidenzialismo (peraltro non raggiunto esplicitamente) ed un bipolarismo determinato da personalismo becero. In secondo luogo non v’è chi non si renda conto dell’assoluta ambiguità e confusione determinate dal nuovo Senato: nato con l’idea di rappresentare le autonomie locali e in particolare le Regioni, sulla falsariga del Bundesrat tedesco, (la riforma, infatti, prevedeva inizialmente che ne fosse cambiato pure il nome: da Senato della Repubblica a Senato delle Autonomie; idea per fortuna poi accantonata) finisce in realtà con l’essere composto in maniera incomprensibilmente eterogenea (in parte da rappresentanti delle Regioni, che tra l’altro sono attualmente composte dalla classe politica più screditata e corrotta del Paese, in parte dai sindaci e in ultimo da 5 senatori nominati dal Presidente della Repubblica) e, pur non essendo più elettivo, con l’esercitare funzioni assolutamente dirimenti (voterebbe infatti le leggi costituzionali e concorrerebbe all’elezione del Presidente della Repubblica; non va inoltre dimenticato che nella prima stesura si prevedeva che i 5 giudici costituzionali d’elezione parlamentare andassero divisi fra le due Camere, permettendo al Senato, solo, di eleggerne due: anche questo aspetto è stato per fortuna eliminato). Va in ultimo rilevato che l’idea del Governo di permettere a tutti i costi che si svolga il referendum previsto dall’art. 138 Cost. (non raggiungendo appositamente i 2/3 in entrambe le seconde deliberazioni che lo escluderebbero) per perseguire l’idea che debba essere il popolo a decidere in ultima istanza sulle modifiche costituzionali va fortemente criticata, per due motivi: da un lato la Costituzione non permette al Governo di richiedere il referendum (che infatti è da qualificarsi come referendum oppositivo, chiesto da chi la riforma non la vuole e predisposto in modo da garantire la rigidità della Carta, essendo sprovvisto di quorum e permettendo così alla popolazione più informata e partecipe – anche se scarsa nei numeri – di decidere per tutti, e non già come referendum confermativo) e dall’altro perché i referendum indetti dai Governi si chiamano più propriamente plebisciti, e vertono più sul Governo stesso che non sul merito di quanto viene sottoposto a voto (che è esattamente quanto succederebbe in questa situazione). Passando alla legge elettorale va subito chiarito che l’Italicum si presenta come una legge elettorale di tipo proporzionale, con preferenze, premio alla lista (e non alla coalizione) che raggiunga il 40% dei voti, ballottaggio fra le due liste più votate al primo turno se nessuna delle due ha raggiunto il 40% (con attribuzione quindi del premio in ogni caso alla lista in ultimo più votata), soglia di sbarramento (solo del 3%; in Germania è del 5%) e capilista bloccati. Si differenzia quindi sia dal c.d. Porcellum (anche se non di molto), dal c.d. Consultellum (ossia la versione del Porcellum emersa a seguito della sentenza n. 1/2014 della Corte costituzionale che ne ha censurato gli aspetti più critici) e altresì dal c.d. Mattarellum (per 2/3 maggioritario con collegi uninominali e per 1/3 caratterizzato da recupero proporzionale). Chiarito questo le criticità delle legge (a parte i problemi che abbiamo visto legati al suo rapporto con la riforma costituzionali) risiedono nei seguenti punti: • Anzitutto prevedere che il premio vada alle liste e non alle coalizioni si rivela una scelta politica volta a far vincere il partito che attualmente sarebbe capace di attrarre il più ampio consenso (ossia il partito di Governo), mentre in tutta Europa assistiamo a Governi di coalizione (pensiamo alla stessa Germania di Merkel) e sappiamo che le coalizioni sono benefiche perché generalmente più rappresentative del Paese rispetto ai singoli partiti e perché capaci di moderarsi al proprio interno (lo stesso De Gasperi se ne rendeva conto); • La previsione dei capilista bloccati impedisce agli elettori di scegliere i candidati che saranno sicuramente eletti (e che quindi sono i più cari ai partiti che li propongono). Critiche restano anche sull’introduzione delle preferenze, dato il loro mal funzionamento in passato (ma qui le opinioni possono essere le più varie); • La mancanza dei collegi uninominali impedisce che la confusione e il problema elettorale italiano possano davvero risolversi (essendo detti collegi il modo migliore per risolverli ed essendo presenti in moltissimi ordinamenti stranieri). Controversi sono poi i seguenti aspetti: • Premio di maggioranza: per la prof.ssa Carlassare nella nostra storia i premi hanno svolto sempre un ruolo negativo (pensiamo alla legge Acerbo del 1923 che ha spianato la strada al fascismo o alla c.d. legge truffa di De Gasperi del 1953, che pure prevedeva una soglia elevata per il raggiungimento del premio, il 50%) e inoltre non va dimenticato il problema che essi pongono quanto all’eguaglianza del voto in uscita (come dice anche la Corte costituzionale). Per il prof. Pasquino invece devono necessariamente essere assegnati con percentuali più basse del 50% (onde, appunto, permettere di raggiungere la maggioranza), ma sarebbero in contrasto con le soglie; • Ballottaggio: da un lato sarebbe positivo perché permetterebbe agli elettori di scegliere in seconda battuta la lista vincitrice del premio (Pasquino), da un altro sarebbe invece un male perché attribuirebbe comunque il premio, magari ad una lista scarsamente rappresentativa (Carlassare). In definitiva possiamo dire che dall’approvazione di queste riforme si genererebbe più che una deriva autoritaria una deriva confusionaria (Pasquino) nonché un irrigidimento del sistema proprio delle forme presidenziali rispetto a quelle parlamentari (Carlassare). Pur essendo, occorre ribadirlo, ancora una “splendida sessantenne” la Costituzione necessita in effetti di “qualche ritocco” (come ha detto il Presidente Napolitano durante le celebrazioni per i 60 anni della Carta), ma non possiamo pensare che questi ritocchi possano avvenire in maniera superficiale, sbagliata e tanto approssimata e per di più ad opera di un Parlamento eletto sulla base di una legge elettorale censurata per incostituzionalità in due delle sue previsioni più caratterizzanti e di conseguenza fortemente delegittimato dal punto di vista politico (dato che giuridicamente è a tutti nota la posizione espressa dalla costituzionale nella sentenza sopra citata) agli occhi dei cittadini. Corte FABRIZIO TORELLI “Una Magna Charta per Internet” – Intervengono Philippe Aigrain, Juan Carlos De Martin, Stefano Rodotà Che spazio hanno e dovrebbero avere i diritti fondamentali nella dimensione digitale? Sono queste le domande a cui i relatori cercano di dare una risposta, diffondendo la consapevolezza dell’importanza dello sviluppo di un apparato di principi e, alla luce di essi, di norme in grado di proteggere Internet dai tentativi di controllo di “Leviatani” pubblici e privati. Infatti, come esordisce Juan Carlos de Martin, al contrario di quanti pensano (e sognano) la Rete come spazio libero, essa è in realtà fortemente regolata. Il centro del problema è come e da quali spinte essa viene regolata. Dopo gli anni ’70, quando la neonata Internet era monopolizzata da grandi attori pubblici e privati che la vedevano come un potente strumento di controllo, l’idea della Rete cambia. A partire dagli anni ’80, con l’avvento dei primi personal computer, Internet diventa prima di tutto di dominio dei singoli. Tuttavia, nell’ultimo decennio si è verificata un’ulteriore inversione di tendenza, che ha visto la concentrazione e centralizzazione dei servizi in Rete nelle mani di poche e potenti “piattaforme” (es. Google), che controllano in maniera crescente non solo il nostro modo di navigare in Internet, ma persino i nostri dispositivi. Accanto allo strapotere di questi privati, anche gli Stati tendono sempre più a voler controllare la Rete e coloro che ci navigano, usando a volte questo potere con un fine intimidatorio. In un’epoca di revisionismo, che rappresenta le speranze che si erano formate nell’età intermedia di Internet come semplici illusioni, i relatori sottolineano l’estrema importanza di promuovere una regolazione “buona” della Rete attraverso lo sviluppo di carte dei diritti fondamentali, che per la loro natura “costituzionali” mai significano una limitazione della libertà dei singoli, ma che in questo campo in particolare rappresentano un importante strumento di difesa di essa. Un movimento in questa direzione è ormai nell’aria da molti anni. In particolare, nel 2005 viene accolta con entusiasmo al World Summit on Information Society dell’ONU la proposta di Stefano Rodotà riguardante la creazione di un Bill of Rights dell’era digitale, come primo passo verso una tutela dei diritti fondamentali in Internet e contro una soccombenza della Rete alla legge del più forte. Da questo momento, una serie di iniziative e progetti- tra cui l’Internet Governance Forum, iniziative bilaterali, il Marco Civil in Brasile- prendono vita. Sotto l’importante spinta di Tim Berners-Lee, inventore del World Wide Web, l’ondata di entusiasmo per la “Costituzione di Internet” raggiunge l’Unione Europea, dove molti dei Parlamenti degli Stati Membri (UK, Germania, Francia, Italia) creano spontaneamente ed in modo non coordinato commissioni ad hoc in tale materia. In questo momento è in fase di pubblica consultazione (http://camera.civi.ci) la bozza di una Dichiarazione dei Diritti in Internet proposta dalla Commissione di Studio dei Diritti e Doveri in Internet. A livello di Unione Europea, sotto la spinta della giurisprudenza della Corte di Giustizia (es. Google v. Spain per quanto riguarda il diritto all’oblio), è in atto un processo di riforma, fortemente ostacolata da stakeholders privati e da Stati quali gli USA, della normativa sulla protezione dati. La conferenza si conclude con un memento da parte di Philippe Aigrain. Queste Carte dei diritti in Internet non saranno di per sé sufficienti se ognuno di noi non si impegnerà a difendere i propri diritti nella Rete e a trasformare, con la propria consapevolezza e le proprie conseguenti azioni, il modo in cui essa si svilupperà in futuro. Se non saremo noi ad occuparci della tecnologia, sarà lei ad occuparsi di noi. SOFIA ROVETA “Il romanzo del cambiamento: Gabriel Garcìa Màrquez, Cent’anni di solitudine” – A cura di Ernesto Franco, letture di Fausto Paravidino Nella nostra storia ci sono anni che non sono uguali agli altri. Nel flusso lento e incessante del tempo ci sono anni che, come una fotografia, concentrano nell’attimo che fugge il nostro cambiamento come società e cultura: uno di questi anni, che possiamo definire “di passaggio” è il 1967. Il 1967 è l’anno in cui si addensano tutte quelle premesse e promesse che poi dall’anno successivo, il famoso ’68, trovarono voce; è un anno in cui la trasformazione cova sotto le ceneri. Ed è proprio nel 1967 l’anno di pubblicazione del famosissimo romanzo di Garcia Márquez, “Cent’anni di solitudine”, immagine profonda del cambiamento, in quanto in esso il passaggio, esattamente il passaggio generazionale, è il fulcro dell’intera narrazione. Il romanzo racconta le avventure tumultuose della grande famiglia Buendía, i cui componenti vengono al mondo, si accoppiano e muoiono nella fittizia città di Macondo, crogiolo del loro ineluttabile destino. In questa città si susseguono e si confrontano le generazioni, le quali s’intrecciano, si confondono e si smarriscono alla ricerca di un senso profondo delle cose, delle novità e della storia. Quella di Márquez è una “realtà magica”, in cui trovano corrispondenza fantasia e realtà, in cui i toni della favola servono per alludere e rifondare la realtà storica stessa del paese d’origine dell’autore, la Colombia. Nelle tribolate vicende delle generazioni dei Buendía, ci sono continui riferimenti ai cambiamenti cardine della storia della Colombia, quali tra tutti: l’arrivo del progresso e della tecnologia in Sudamerica, ricordato durante questo incontro tramite la lettura del famoso passo in cui gli abitanti di Macondo si trovano a dover dare un nome nuovo ad ogni cosa e a indicarne in forma scritta l’utilità, e la fondazione della Colombia moderna. Il passaggio è sempre presente nella narrazione, anche nel modo di relazionarsi dei personaggi e nell’uso di particolari tecniche narrative da parte dell’autore. Per quanto riguarda le relazioni tra personaggi è costante nel libro il dialogo tra vivi e morti e la capacità dei vivi di predire il futuro; è come se vi fosse un passaggio costante sia a livello temporale tra passato, presente e futuro e tra vita e morte, che dall’uso frequente, dal punto di vista della tecnica narrativa, della prolessi, cioè dall’anticipazione di eventi futuri. In questi passaggi di generazioni, di tempo, della storia e di tutta la realtà, Márquez riflette profondamente sulla condizione umana e sulla sua desolante solitudine. Macondo è la città dove si intrecciano solitudini senza fine di personaggi che, nei loro atti talvolta privi di senso, cercano invece di trovare la verità e il senso profondo delle cose, ma sono destinati irrimediabilmente alla sconfitta. Nella nostra storia, l’attesa e la solitudine sono la condizione stessa del nostro essere, del nostro destino. Quattro sono le consapevolezze che muovono, infatti, la storia di magia e realtà dello scrittore colombiano: la lucidità nel capire che bisogna stare dentro la realtà per vivere il cambiamento, la consapevolezza della solitudine e dell’incomunicabilità che regnano nelle relazioni umane e l’accettazione della fine, cioè che le cose della storia finiscono e mutano proprio come finiamo noi, morendo. Bellissime e esemplificative in tal senso sono le parole conclusive del romanzo:” le stirpi condannate a cent’anni di solitudine non avevano una seconda opportunità sulla terra.”. Nonostante l’amarezza, però, il romanzo è illuminato sempre dal bagliore della speranza. Essa è la forza vitale che scuote il cambiamento, che muove i passaggi della nostra storia; senza speranza non ci sarebbe evoluzione, non ci sarebbe quella spinta che, ora e sempre, ci fa protendere nel futuro. ANNALISA CAPPALONGA “Democrazia e diritti negati” – di Colin Crouch, Donatella Della Porta e Saskia Sassen In un momento storico e in una società giuridica in cui l’essere cittadino implica diritti è d’uopo interrogarsi sul concetto stesso di cittadinanza. Chi è cittadino oggi? Secondo le tradizionali teorie sociologiche, la cittadinanza è ciò che i singoli ricevono in cambio del lavoro che prestano alla società e del rispetto delle regole imposte dalla stessa. Ma proprio in quest’ottica allora perché sono non cittadini coloro che, pur non di nascita, vivono nelle nostre società, lavorano e rispettano i suoi paradigmi? Tale concetto è da ripensare. Saskia Sassen sostiene che la stessa idea di cittadinanza sia in crisi. Ma forse questa crisi può dare la possibilità di ripensare il concetto e modernizzarlo. Basta pensare alla storia più o meno recente delle nostre democrazie per capire che l’inclusione invece che l’esclusione dei cd, outsiders sia in realtà una possibilità di crescita. D’altro canto le donne, le minoranze, i richiedenti asilo e i migranti hanno contribuito ad estendere i diritti di tutti i cittadini su traiettorie multi-generazionali. Sebbene sia chiara la necessità di pervenire ad un nuovo concetto di cittadinanza, tale compito risulta ancora arduo. Ciò che però è limpido è il punto di partenza da cui prendere le mosse: Non esiste un essere umano “illegale”. La sfida della nostra generazione è quindi quella di creare un bagaglio di diritti che non dipendano dall’essere cittadino ma dall’essere umano. VALENTINA MOINE Domenica 29 Marzo “Dati, Algoritmi e scatole nere” – di Ciro Cattuto. Introduce Christian Racca Teoria dell’informazione: i dati non sono portatori di significato in se, non portano alcuna decisione perché i dati sono inconsapevoli. L’informazione è formato da dati. Alla fine si arriva alla conoscenza che premette di creare una struttura mentale che permette di valutare un’esperienza. Struttura della catena di valore che va dai dati ai modelli alle decisioni fatte sui modelli. Zone d’ombra. I dati: una rappresentazione digitale di un evento. Big data è un termine che confonde molte cose diverse. Dietro alla neutralità appartenente del big data si celano, spesso, le intenzioni dei dati personali. Molti dati sono tracce digitali di eventi umani: information technology permette di utilizzar e questi dati. Es controllando i twitt si può vedere quali temi toccati durante un discorso suscitano maggiore interesse. Si possono quantificare cose che prima non era possibile fare. I meta dati: sono dati sui dati, che individuano un sacco di informazioni. Sono dati concepiti per le macchine e sono suscettibili di essere processati da macchine. Es Google controlla su quali link si clicca al fine di migliorare il sito ma allo stesso tempo tracciano il comportamento. Es studio di quanti hanno cliccato sul info sulla influenza per vedere quanti hanno l’influenza. Queste analisi indirette premettono di studiare ed estrapolare informazioni. Il problema è che si analizzano dati che incidono sulla nostra identificazione o comunque sulla nostra natura, che permettono l’analisi anche di informazioni che non vorremmo condividere. Si può anche aggirare la legge, in sostanza. Segnali di rete sociale: la nostra struttura relazionale permette di conoscerci. Usano le informazioni che nascono dalla nostra interazione sociale per la pubblicità. Modelli: si estrae valore dal dato. Il modello è un termine estremamente utilizzato, esistono un sacco di modelli. Modello per un fisico dell’informazione: sono equazioni. Come sviluppare un approccio meccanicistico per una dimensione che prevede in contemporanea eventi umani e naturali. Aggregati sociali. Bisogna prevedere un comportamento personale ( comportamento facile da prevedere). Come si estrae valore dai dati? Algoritmo o modello utilizzato per l’apprendimento matematico. Es Banca che deva dare un nucleo: ha una serie di dati personali, essi vanno in un algoritmo che dice se dare o meno il mutuo. Ma funziona solo attraverso dati passati, e solo attraverso un addestramento può dare una risposta. Servono enormi quantità di dati storici.L’algoritmo da quindi una risposta: la linea tra il si e il no è una media, un confine di decisione. La il confine spesso non risponde all’effettiva storicità delle decisioni delle banche. Di veri schemi matematici estrapolano diversi valori dagli stessi dati. scatola nera: algoritmo che in base ai dati presi decide secondo la linea di confine di decisione. Il problema è che l’algoritmo funziona aggregando dati in maniera a volte incomprensibile per un essere umano, il che porta a volte ad incomprensioni.Allo stesso modo funziona bene: 200 like su facebook e l’algoritmo può rispondere ad un questionario su di noi meglio di quanto potrebbe fare una persona vicina a noi. Big data: iniziativa per mirare in maniera specifica alla sanità pubblica, individuando anche un manager di alto livello che si occupi di data science.Ma anche sono utili in campo di forensics e sicurezza delle transazioni, ma anche in ambito energetico e agricolo. Come si passa alle decisioni? Un modo è quello della profilazione. Sistemi che cercano di capire chi siamo, mandandoci la pubblicità, o migliorare il servizio. Segmentazione o clustering: ammasso di persone prima informe ma che viene poi suddiviso in sotto insiemi. Questa segmentazione divine utile per proporre prodotti. Ha anche delle ricadute sulla salute come le classi diverse di rischio per la salute. Comporta delle sfide: il rischio è che ognuno di noi veda un mondo diverso-> nel momento in cui io vedo solo ciò che mi viene fatto vedere, quello che voglio vedere. Chiusura del mondo. Allo stesso modo posso processare e indirizzare le decisioni sociali. Spesso i nostri comportamenti sono analizzati senza conoscere il modo in cui i nostri score sono dati, e come sono analizzati i nostri dati. Uno score calcolato in modo a noi inconsapevole può portare a situazioni paradossali. Es furto di identità-> comportamenti negativi-> gruppo sbagliato-> score negativo-> non possiamo difenderci e non possiamo sapere perché ci hanno messo in quel gruppo. Discriminazione algoritmica: i dati che incorpora un algoritmo devono essere buoni, altrimenti processa decisioni influenzate dai dati. Se i dati sono già gravati da discriminazione la decisione sarà discriminatoria. Esistono poi anche discriminazioni latenti, criptotipi. Altro problema è il pattern: dipende dal pattern di maggioranza. Un algoritmo quindi è influenzato dalla cultura di chi immette i dati. 2014: rapporto sulle proprietà dei big data, e il rapporto rimarca che: – discriminazione algoritmica – che può variare il potere tra potere forte e potere debole – impossibilità di delegare effettivamente cosa e a quali soggetti il processo delle proprie informazioni Opportunità: – i big data salvano le vite – permette di fare meglio economia – tasse meglio allocate Sfide: – insegnare ai soggetti la natura dei big data – evitare instabilità: la privacy non deve essere un lusso. – Ruolo della ricerca-> forzare la trasparenza. Le forze di mercato da sole non ci daranno le informazioni – Ruolo dei regolatori che inseriscano trasparenza equità semplicità Si inizia a ragionare su un’idea di dati come parte del nostro corpo. Corpo digitale.Il consenso informato non esiste nella sua effettività. La fregatura sta nel fatto che permettono di dare info utili per la vita di tutti i giorni.Dati come bene pubblico: uso della risorsa comune viene concesso in cambio di un contro prezzo e di garanzie.Inoltre spesso ci sono partnership tra soggetto pubblico e privato, con una degradazione della tutela del cittadino.La matematica non è tecnica ma è cultura, cultura per tutti e cui tutti devono sapersi rivolgere. Non conoscere queste cose non è più un di più, ma grassa ignoranza.Articolo della magna charta sulle decisioni automatizzate ormai sorpassato. La decisione algoritmica sostiene una società complessa. Il mondo ormai è automatizzato da 50 anni. Quindi al limite i diritti inviolabili e comunque fondamentali dell’uomo non possono essere processati automaticamente, se questo processo porta ad una decisione. La qualità del dato. – provenienza del dato – alcuni dati sono comunque incerti, ontologicamente incerto come il GPS. – Dati derivati, ossia indicatori governati su altri dati. Concatenazione dei dati. Rischio, partendo dal dato storico, di sclerotizzazione della decisione in base alla cultura di un luogo. Difficili tra scoprire sono le discriminazione tra attributi protetti e non protetti che portano a discriminazioni non volute. Narrativa latente ossia descrizione diagonale rispetto ai dati. Io cerco dati su una cosa ma attraverso quei dati possono scoprire altro: come cercare nella spazzatura per scoprire cosa mangia o di cosa è malata una persona. Corpo digitale: Habeas Corpus (data). Marco Ciucci. Dato virtuale e dato reale: non c’è differenza. Il problema della dissimulazione impone ovviamente ad una falsificazione del funzionamento dell’algoritmo. Ma nei grandi numeri però vi è la verità: quindi è possibile individuare comunque l’andamento di una persona. GABRIELE MUROTTO “Chi decide i confini del mondo globalizzato?” di Saskia Sassen. Introduce Armando Massarenti Dopo una breve introduzione da parte del dottor Massarenti, la professoressa Saskia Sassen è entrata nel vivo del tema riguardante i confini del mondo globalizzato. Oggetto dei suoi studi più recenti (ed in particolare di un libro in uscita intitolato ”Expulsion”, edito in italiano da Il Mulino), la docente ha presentato il problema riguardante le categorie con le quali oggi si esamina il mondo. Il concetto di Stato, di Economia, infatti, lasciano da parte dei soggetti che diventano “invisibili” e che, di conseguenza, vengono espulsi dal sistema. Espulsi e non esclusi, come precisa la sociologia, la quale sottolinea questa differenza: mentre gli esclusi vengono isolati rimanendo all’interno di un sistema, gli espulsi vengono, per l’appunto, estromessi dal sistema stesso, diventando invisibili ai nostri occhi. La Sassen porta alcuni esempi come il concetto di alta finanza, che viene descritta dalla docente come una “capability”, idea che include tutto ciò che, in positivo o in negativo, produce o crea qualcosa. Durante gli anni della crisi, l’attenzione del mondo globale si è concentrata solo su alcuni aspetti di essa, rendendo altri soggetti partecipi completamente invisibili. Dopo il crollo della borsa nel 2008, infatti, i soggetti della classe media che hanno perso la casa, della quale hanno scoperto non essere proprietari, sono stati eliminati dal sistema e non inclusi nel discorso riguardante la crisi. Essi sono diventati invisibili ed estromessi dalla categoria di “crisi finanziaria”. La professoressa Sassen propone allora di de-stabilizzare le nostre categorie (e non di eliminarle perché esse sono comunque indispensabili, come alta finanza, crisi, territorio, in modo da re-includere gli espulsi. La docente ha poi portato ad esempio l’oggetto dei suoi ultimi lavori: la de- urbanizzazione del territorio e le terre morte. La Sassen ha spiegato come l’acquisto di porzioni territoriali in stato di degrado urbanistico, ma che presentano comunque urbanizzazione, da parte di soggetti privati comporti la de-urbanizzazione del territorio, producendo l’espulsione dalla categoria “territorio” della popolazione di basso ceto sociale. Il discorso della docente si è rivelato essere un “lavoro in corso”, specialmente per quanto riguarda le proposte concrete per la ricategorizzazione della comprensione del mondo globale. Ciò che è certo è che il tema dell’incontro, tutt’altro che di facile comprensione, ha reso più cosciente l’uditorio rispetto a meccanismi sottili e nascosti di analisi e ricezione della realtà che ci circonda ma ha anche lasciato una sensazione di ottimismo. La stessa Sassen ha infatti precisato che lei non vive questo stato delle cose, non propriamente entusiasmante, con depressione e pessimismo ma, con la giusta dose di realismo, si adopera in maniera propositiva per offrire alternative alla ristrutturazione dei confini del mondo globale. REBECCA RAVALLI “L’educazione sentimentale del maschio” – Dialogo tra Massimo Gramellini, Piertangelo Buttafuoco, Stefano Ciccone, Umberto Galimberti “L’amore è una follia che ha il pregio di durare poco”. Con queste lapidarie parole, Sigmund Freud esprimeva chiaramente il suo pensiero sulla condizione sentimentale degli uomini. Come una nuvola passeggera che oscura brevemente il sole, per poi andarsene e lasciar tornare la luce, così molti maschi vivono la condizione amorosa: un’alterazione, spesso indesiderata e foriera di spiacevoli inconvenienti, che per fortuna presto li lascerà in pace. Niente di più lontano dal vero. Di questo i relatori dell’incontro “L’educazione sentimentale del maschio” hanno parlato, raccontando le proprie esperienze in ambito sentimentale. Se i maschi s’illudono di poter vincere sull’amore con le armi della logica e della razionalità, possono anche abbandonare il campo di battaglia prima di combattere, tanto inevitabile sarebbe la loro sconfitta. L’amore non si può governare come una nave, indirizzare come un allievo, uccidere come un fastidioso insetto. Con l’amore si deve convivere, facendosi anche molto male se necessario. Forse spaventati dal dolore, forse per paura dell’ignoto, molti maschi non vivono il sentimento dell’amore, facendosi invece guidare dai più elementari impulsi sessuali e dalla volontà di possesso nei confronti della donna. Il maschio, per poter davvero diventare un uomo, deve imparare l’amore, anche da zero se necessario. Deve aver voglia di imparare l’amore, perché in una società intrisa di relazioni personali non si può fare a meno di confrontarsi con un sentimento così cantato e così oscuro come l’amore. La mancanza di educazione sentimentale, o amorosa, è potenzialmente catastrofica: porta alla forgiatura di maschi animaleschi, esseri combattuti tra la razionalità (vantata punta di diamante e al contempo punto debole maschile) e i propri impulsi, senza la capacità di cavarsi d’impiccio se non quella di sfogarsi sulle donne. Il messaggio più forte che si può lanciare a favore dell’educazione sentimentale è questo: leggete. La letteratura è la palestra dei sentimenti, la maestra della sensibilità e il campo d’addestramento per le emozioni. Senza la letteratura, non riusciremmo a trasmettere quel poco che sappiamo dell’amore. La letteratura, per penna di Platone, ci insegna che l’Amore è il figlio della povertà, condannato a girare continuamente senza requie e benedetto dal dover sempre donare di più di quanto mai potrà ricevere Perché parlare dell’educazione sentimentale del maschio ad un evento come Biennale Democrazia? Qual è la sua attinenza? L’educazione sentimentale dell’uomo sembra profondamente influenzare il comportamento di questo nei confronti dell’altro sesso. La concezione del “gentil sesso” come accogliente e accomodante per natura, in quanto madre, porta il maschio ad aspettarsi dalla donna comprensione e accettazione fino a portarlo, talvolta, a gesti violenti. L’Amore si impara, non è una cosa di cui siamo capaci per nascita e ciò che consente il suo apprendimento è la letteratura che ci permette di trasmettere quanto sappiamo e quanto riusciamo a spiegarci sui sentimenti. “Volo ut sis” era quello che Sant’Agostino diceva dell’amore, amare è accettazione dell’altro per come è e come entità distinta dalla propria. Questa concezione dell’amore ci consente di definire questo sentimento e di non confonderlo con il mero possesso dell’altro che può sfociare in comportamenti violenti ENRICO AUTERO & ALICE BARBERO “Conversio et Corruptio” – di Massimo Cacciari. Introduce Gustavo Zagrebelsky La corruzione è una delle ferite della società e della dimensione della nostra natura e di tutto chiedersi- come spesso facciamo bisogna andare più a fondo. più gravi del nostro tempo, piaga non solo politico-giuridica, ma anche soprattutto ciò che riguarda la morale. Non basta spontaneamente- chi sia a corrompere ma Per questo motivo, in questo incontro, il Prof. Massimo Cacciari ha voluto affrontare questo tema con un approccio filosofico, legando il termine corruzione a due dimensioni: quella ontologica e quella morale. Per quanto riguarda la dimensione dell’essere, non è necessario che vi sia un soggetto corruttore affinché vi sia corruzione, poiché essa è un fenomeno che riguarda la natura stessa del nostro corpo e del nostro vivere. Già nell’antichità, il filosofo Aristotele aveva intuito che la corruzione sia legata alla vita di tutti gli esseri viventi e che essa sia totale, assoluta, un perire radicale che il filosofo greco definisce “il passaggio dall’essere al non essere”. Tuttavia, nel pensiero greco, era inammissibile un pensiero così completamente nichilista. Se tutto infatti arrivasse alla distruzione e corruzione totale, tutto finirebbe nel nulla. Quindi c’è sempre un principio che permette alle cose di rigenerarsi, di passare da un ente a un altro che sostituisce quello che perisce. Dunque la corruzione è presentata come un fenomeno insito nella natura delle cose, inevitabile, ma possiamo fare di tutto affinché questo processo rallenti il passo, senza mai dimenticare che nulla perisce davvero ma riappare in altra forma, si rigenera nel profondo. È lecito, a questo punto, cercare di trovare quelle forme fondamentali in grado di resistere di più alla corruzione che comunque avverrà, che permettano all’organismo di durare. Questi stessi principi sono rapportabile a livello politico alla vita della Stato. Quello che dura di più, è lo Stato che riesca a armonizzare al meglio le sue diverse componenti, che riesca a trovare quelle forme “naturali ed eterne” che resistano al cambiamento; questa è la riflessione che sta alla base, ad esempio, dei diritti umani intesi proprio come diritti naturali. Per resistere alla corruzione, anche dal punto di vista politico, è necessario riflettere sulle forme che sono in grado di respingere più a lungo le spinte distruttive. In proposito, si inserisce il pensiero di Macchiavelli, il quale afferma che se uno stato è forte non può in alcun modo essere corrotto da quei cittadini malvagi intenzionati a arricchire solamente i propri benefici personali; per corromperlo è necessario che lo stato stesso sia debole e corrotto. La corruzione si nutre e avanza nella corruzione stessa. Ciò che va combattuto non è tanto il singolo corruttore o corrotto, ma il fatto stesso che lo stato sia corrotto, perché, se così non fosse la corruzione si farebbe costume e nessuna legge potrebbe eliminarla. Né, tantomeno, sono d’aiuto le spinte conservatrici dello status quo, le quali diventano contingenti alla corruzione stessa in quanto tutto ciò che rimane immobile è destinato a non durare. Inoltre Cacciari sottolinea come la corruzione trovi maggiore terreno fertile proprio nella democrazia. Siamo assistendo in questi anni a una corruzione generalizzata in tutti gli ambiti democratici a causa di molteplici cause: crisi economica, promesse mai mantenute dalla democrazia, crisi culturale profonda ecc . È necessaria, dunque, una trasformazione vera e propria che vada a incidere su quella forma fondamentale delle democrazia, quell’asse portante che scricchiola: il principio di uguaglianza. Non c’è democrazia senza uguaglianza ed essa, per non cedere alle forze disgregatrici della corruzione, necessita di essere valutata non solo come il semplice “dare a ciascuno il suo”, ma anche soprattutto come il fare il bene altrui. La giustizia si realizza nel garantire la felicità degli altri, non solo quando si rispettano le leggi o non si arraffano i beni altrui, e ciò è molto di più della mera fedeltà al diritto/dovere di solidarietà, ma è un vero e proprio etos. Senza questa etica di fondo, la democrazia non è nulla. Gli invidiosi, gli ingordi, gli egoisti sono l’incarnazione della corruzione e sono il prodotto della stessa democrazia, sono patologie interne allo stesso sistema politico, proprio come le malattie sono fenomeni negativi interni al nostro stesso corpo. Tentare di eliminare queste patologie corrosive dello stato è il compito di ognuno di noi, non solo della classe politica. La democrazia è tale se tutti noi ci sentiamo coinvolti nella sua vita, nel suo progredire. Inoltre non dobbiamo trascurare il legame fondamentale su cui si basa la democrazia: quello tra rappresentanti e rappresentati. I nostri rappresentanti, come tali, hanno certamente maggiori responsabilità ma nulla reggerebbe senza la complicità dei rappresentati. Allora come possiamo salvare la democrazia? Qual è la via da intraprendere per battere la corruzione? La soluzione proposta da Cacciari è una vera radicale conversione, intesa come il desistere dalla via presente, segnata dall’invidia e dall’egoismo, comprendendo il profondo errore di ciò che sta dentro la corruzione; desistere dalla via distruttiva per riabbracciare le idee fondamentali della democrazia. Conversione vuol dire saper analizzare e comprendere gli errori e desiderare profondamente di cambiare vita. È la conversione la componente morale che dobbiamo aggiungere per opporci alla corruzione. Non è dunque un mero cambiamento dell’atteggiamento mentale di fronte alla corruzione, ma un vero e proprio senso di vergogna per la bassezza morale in qui essa ci trascina, un pentimento (da intendere in senso laico) tale da trasformarci interamente. È un sentirsi pienamente responsabili di tutte le vicende del nostro tempo, e del tempo passato e futuro, è farsi carico degli sbagli per trasformarsi e trasformare la nostra realtà. Cacciari insiste nel ripetere che non è solo un fatto mentale, ma ne va della nostra stessa anima. Se non ci mettiamo in gioco, celandoci dietro le maschere del “non sono stato io”, “non è colpa mia”, quello che perdiamo è soprattutto il nostro essere, la nostra identità come individui pensanti e di conseguenza, anche, perdiamo l’autenticità della nostra società e delle nostre istituzioni. ANNALISA CAPPALONGA “La Spada e il Corano. Politica e religione nell’Islam di fronte allo Stato islamico” – Intervengono Anna Maria Cossiga, Lorenzo Declich, Alberto Negri. Modera Lucio Caracciolo Dalla conferenza “La spada e il Corano”, svoltasi nell’ambito della manifestazione “Biennale Democrazia”, si può evincere come quello dello Stato Islamico sia un fenomeno totalmente nuovo al mondo occidentale, sviluppatosi in maniera silente fin dal 2007 nei territori dell’Iraq. L’ISIS non si pone solamente come oppositore dell’Occidente e della sua modernità, intesa quale divisione tra politica e religione, ma anche come antagonista di alcune fazioni di musulmani, considerati traditori o alla pari degli “infedeli” cristiani ed ebrei, quali gli sciiti e i sunniti, che non aderiscono alla visione e all’interpretazione distorta che i membri dello Stato Islamico fanno del Corano, strumentalizzato per fini politici e propagandistici. La difficoltà del mondo occidentale nel comprendere questa realtà va di pari passo con l’incapacità di comprendere quelli che sono i reali motivi e meccanismi degli eventi accaduti fino ad oggi, prescindendo dalle banalizzazioni che spesso riducono i fatti ad un semplice conflitto religioso. A tal proposito sarebbe fondamentale una maggiore conoscenza della società, della cultura e della storia dei luoghi attualmente teatro di violenze e scontri. ANDREA CASTELLI “Occupy Central with peace and love” Mario Calabresi e Federico Varese incontrano Benny Tai La storia di Benny Tai e de “Umbrella revolution” in un futuro lontano verrà narrata anche nei libri di storia, ma oggigiorno è sfortunatamente sconosciuta o forse dimenticata da molti. L’idea si fece strada grazie un articolo scritto da Benny Tai, professore cinquantenne di diritto costituzionale a Hong Kong, in cui incitava all’occupazione civile come forma di ribellione, non violenta, al governo cinese per dimostrare che la popolazione voleva la democrazia. Nella costituzione di Hong Kong, infatti, è scritto che l’elezione del Presidente deve essere fatta per suffragio universale, ma che i candidati dovevano essere nominati da un comitato. Proprio grazie a questa commissione “di filtro” la Cina è in grado di intromettersi nella vita politica di Hong Kong, di scegliere i candidati e così impedire lo sviluppo della democrazia. Il Professore Tai ammette che non avrebbe mai potuto immaginare che la sua idea si sarebbe potuta trasformare in un’azione concreta, ma allo stesso tempo sentiva il bisogno di fare qualcosa e così, insieme ad un altro professore e un pastore in pensione, ha iniziato il movimento. Questi tre uomini hanno incominciato organizzando delle riunioni, attraverso le quali si dava ai cittadini la possibilità di scegliere democraticamente ciò che volevano per la loro terra. Ci sono state tre diverse fasi di deliberazione e, in seguito, è stato indetto un referendum per far scegliere ai cittadini quale delle tre soluzioni prospettatesi nelle riunioni preferissero. 800 mila persone hanno votato e l’idea che è risultata vincente è stata proposta al governo; la cittadinanza sosteneva, giustamente, di avere un diritto a nominare i candidati e, quindi, proponeva un sistema che permettesse alla persona che riusciva a raggiungere un determinato numero di firme di candidarsi per l’elezione a Presidente. Benny Tai afferma di essersi ispirato a Martin Luther King, di aver proceduto con ogni mezzo legale possibile e solo quando questi sono venuti meno ha agito per altre vie; infatti, con il rifiuto della proposta da parte del governo cinese è iniziata la protesta. L’idea originaria era di iniziare l’occupazione il primo ottobre, anniversario della Repubblica cinese, e di farla durare circa 4 o 5 giorni, sfruttando così i giorni festivi vicino alla data iniziale. Qualche giorno prima, però, degli studenti avevano organizzato un boicottaggio, della durata di circa una settimana, e l’ultimo giorno decisero ¬di “riprendersi” un zona pubblica che ormai è interdetta alla popolazione e che si trova vicino al governo. Come è facile aspettarsi, i ragazzi e tutti quelli che cercavano di proteggerli vennero picchiati dalla polizia e così il giorno dopo, il 28 settembre 2014, la rivolta iniziò. Il Professore racconta la sua preoccupazione quando quella mattina constatò che c’erano solo un migliaio di persone a sostenere il progetto, infatti, sarebbe stato fin troppo facile per la polizia mandarli a casa nel giro di poche ore; in realtà, verso mezzogiorno, la gente aveva iniziato ad accumularsi nelle strade limitrofe e costrinsero la polizia, che inizialmente aveva tentato di chiudere tutte le strade, a lasciar perdere. La risposta del governo in principio è stata durissima, molto violenta, ma questo non ha fatto perdere d’animo gli occupanti, che non hanno desistito; successivamente si è tentato un dialogo, che sfortunatamente non è andato a buon fine. L’ultima tattica del governo per sopprimere l’occupazione è stata in fin dei conti quella vincente: non è stato fatto più nulla e la protesta è dura per 79 giorni. Federico Varese, Professore specializzato in criminalità organizzata, afferma che il 3 ottobre 2014 le triadi cinesi ricevettero una chiamata in cui veniva offerta loro un’ingente somma di denaro per picchiare quei ragazzi; alcuni mafiosi si sono rifiutati di attaccarli, altri, invece, hanno risposto alla chiamata. I protestanti hanno superato anche questo attacco cercando di trovare un dialogo, anche se alla fine hanno solo ottenuto lividi e botte. Ora hanno bisogno solo più di quattro parlamentari per far approvare la propria proposta, ma il governo ha iniziato una campagna per screditare il movimento e far sì che venga preso in odio dalle persone. Ma quali sono i punti chiavi per avere successo con un movimento civile? Prima di tutto è necessaria una buona mobilitazione: su 7 milioni di abitanti è stato calcolato che almeno 1,2 milioni sono passati da Occupy per sostenerli; un ulteriore fattore è che non ci si deve arrendere, ciò richiede sogni e speranze. Infine, servono buone strategie e molta energia. Secondo il Professore ora è necessario a passare ad azioni indirette, non aggressive o politiche, magari semplicemente con flash mob, solo per ricordare che i cittadini non si arrendono. Sicuramente è necessario stare attenti alle spinte più interne che vogliono passare ad una reazione più violenta; questa occupazione è stata sin da subito civile (le persone che ne hanno preso parte hanno sempre tenuto in ordine e pulito le strade occupate), questa è l’unica strada da seguire e bisogna avere pazienza per ottenere dei risultati, anche se ciò richiederà anni. Le parole che hanno concluso il dialogo sono state commoventi e ispiratrici: il professore, anche fra 20 anni, sarà sempre disposto a continuare il suo viaggio democratico. SARA VETULLI Quando una ragazza “conosce” il diritto penale di Gianluca Golino, “Corano”, icenza CC BY-NC-SA 2.0 www.flickr.com Reyhaneh Jabbari, ragazza iraniana di 26 anni, è stata impiccata all’alba del 25 ottobre scorso presso il carcere di Teheran per aver ucciso l’uomo che voleva stuprarla, Morteza Abdolali Sarbandi, ex impiegato dell’Intelligence iraniana. Reyhaneh, incarcerata nel 2007 a soli 19 anni, ha atteso a lungo la sentenza che ha posto fine alla sua vita. Al suo appello e a quello della madre hanno risposto numerosi personaggi e organizzazioni di spicco nell’ambito internazionale, ma nulla è servito a salvarle la vita. In questa vicenda si è sentito parlare di “cose strane”, di istituti a noi oscuri, a cui la nostra mentalità occidentale non riesce a trovare un corrispettivo, anzi proprio non riesce a trovare una spiegazione per quello che accade in un paese tanto diverso quale è l’Iran. Si è parlato di perdono in caso di ritrattazione dell’accusa di tentato stupro, ma anche di partecipazione diretta del figlio dell’uomo ucciso nell’applicazione della pena, quindi la domanda che sorge spontanea è quale sia la dinamica che coinvolge questi comportamenti all’interno del sistema penale negli stati islamici. Proprio di questo vuole trattare il seguente articolo. A partire dagli anni ’70 alcuni paesi, tra cui l’Iran, hanno vissuto un processo definito di “reislamizzazione”, ovverosia le sanzioni previste dalla Shaharia vengono integrate all’interno del codice penale dell’ordinamento. Ad esempio nella Shaharia si dice “sia tagliata la mano al ladro”, ma la dottrina giuridica poi ha elaborato a parte tutta una serie di regole per limitare le occasioni in cui il taglio della mano deve avere effettivamente luogo. Questa dottrina giuridica è detta Fiqh e i suoi elaboratori, i Faqhir, sono esperti che interpretano il diritto all’interno del testo sacro. Ecco che qui rileva la differenza tra Shaharia e Fiqh, in quanto la prima è regola immutabile di Dio, mentre la seconda è la regola umana, per definizione mutabile, che interpreta la Shaharia. Tutto questo serve a spiegare come nell’applicazione della Shaharia si tenga conto di questa dottrina giuridica elaborata nei secoli, mentre all’interno del processo di reislamizzazione questa elaborazione di gradualità nell’irrogazione della sanzione venga completamente ignorata. Bisogna però considerare che spesso è la stessa Shaharia a prevedere tutta una serie di regole e precisazioni nell’irrogazione della pena, che però nella trasposizione al codice vengono meno e quindi la sanzione prevista dal legislatore risulta essere durissima, quasi ad usare il diritto sacro più come legittimazione del proprio potere che come vera e propria politica penale. Rispetto alla trattazione della materia civile, la Shaharia si occupa poco di sanzione dei reati, ma nonostante ciò si riescono a trovare al suo interno dei riferimenti. Ecco che quando si parla di reati si possono distinguere due categorie di reati, i reati coranici in senso lato e i reati Tazir. I primi sono quelli che trovano un riferimento nel testo sacro, e si dividono a loro volta in reati di sangue e reati Hudud (reati coranici in senso stretto), i secondi invece sono i reati in cui si estrinseca il potere discrezionale del giudice, per cui sono rilevanti in quanto ritenuti tali dalla volontà del legislatore. Al contrario di quanto previsto dalla nostra mentalità occidentale, i reati veramente gravi sono quelli trattati nelle fonti sacre in quanto espressione della volontà immutabile di Dio, mentre i reati Tazir sono considerati meno rilevanti in quanto elaborazione discrezionale dell’uomo e del suo essere mutabile, e quindi sono reati che nel tempo possono mutare disciplina, oppure essere prima previsti come reati e poi non più, o all’opposto iniziare a rilevare come reati solo da un certo momento in poi. Nei reati di sangue il compito di determinare la pena è affidato alla parte lesa, mentre per i reati Hudud è direttamente la legge sacra, la Shaharia, a prevedere la sanzione senza possibilità di alternativa o discrezionalità. Rispetto ai reati Tazir, in cui il giudice ha un ruolo centrale, qui il giudice ha un ruolo di mero esecutore materiale della sanzione. Quindi si può tranquillamente dire che per i reati di sangue viga una disciplina sanzionatoria di tipo privatistico, in quanto è l’offeso stesso o, in caso di impossibilità di questo, la sua famiglia a decidere che sanzione irrogare. I reati di sangue sono l’omicidio e le lesioni personali, che sono soggetti alla disciplina della vendetta, anche se poi a livello pratico questa disciplina viene sostituita dalla legge del taglione, per evitare sia la creazione di faide sia che il “disordine”, Fitna, distragga il credente dalla preghiera. Ad esempio se Tizio uccide Caio, la famiglia di Caio può scegliere se uccidere lo stesso Tizio o un familiare di Tizio, ecco che per la disciplina della vendetta, a questo punto, Tizio o qualcuno della sua famiglia potrebbe uccidere qualcuno della famiglia di Caio ed ecco creata la faida. Invece sostituendo la disciplina della vendetta con quella del taglione, ecco che il principio di base da rispettare è “una vita per una vita”, per cui si instaura un principio di personalità della responsabilità penale a cui consegue che l’unico che eventualmente muore è il responsabile del primo omicidio. di Fira, “Islam”, licenza CC BY-NC-SA 2.0, www.flickr.com Bisogna anche dire che la legge del taglione, nello stesso Corano, è adottata come estrema ratio. Ad esempio per i delitti volontari è possibile chiederla anche se sarebbe preferibile limitarsi a chiedere il “prezzo del sangue”, mentre nel caso in cui il delitto sia involontario è possibile chiedere il prezzo del sangue, anche se si reputa preferibile la concessione del perdono della parte lesa al reo. Nei casi in cui la parte offesa conceda il perdono, il reo è esente da pena, a meno che lo Stato non preveda che dopo l’esercizio del diritto della parte offesa emerga un diritto dello stato a punire il reo per il delitto commesso. I reati Hudud o reati coranici in senso stretto, possono essere definiti come “violazione ai limiti che Dio ha posto alle libertà degli uomini”. In merito a questi reati, gli interessi tutelati sono i valori della Shaharia, cioè: la religione (ad es. con la previsione dell’apostasia), la vita umana (attraverso la previsione di omicidio e lesioni personali), la sanità dell’intelletto (ad es. in caso di assunzione di bevande alcoliche), il patrimonio (prevedendo furto e brigantaggio) e la discendenza piuttosto che l’onore sessuale (ad es. avere rapporti sessuali illeciti o essere accusati di rapporti sessuali illeciti). Questi reati sono previsti in quanto ledono prima che gli interessi dell’uomo, gli interessi di Dio, ecco che in questi casi non c’è giustificazione possibile al compimento di tali reati. Le sanzioni per i reati Hudud sono previste direttamente all’interno del Corano, quindi qui il perdono della parte lesa non conta, ma rileva invece il pentimento del reo che in alcuni casi comporta effetti giuridici. Ad esempio nell’apostasia è previsto un termine di tre giorni in cui il soggetto può ripensare alla sua scelta di rinnegare la religione musulmana e decidere se veramente vuole abbandonare l’Islam in favore di un’altra religione. Altra cosa rilevante è il valore dato alla donna e all’uomo: per il prezzo del sangue la vita di un uomo vale 100 cammelli mentre quella di una donna 50 cammelli, questo vuol dire che la vita di una donna ha valore pari alla metà di quella di un uomo. Nel caso del prezzo del sangue tutto ciò ha enorme rilevanza in quanto se una donna uccide un uomo può essere essa stessa uccisa per la legge del taglione ma non solo, la sua famiglia sarà inoltre debitrice di un corrispettivo equivalente all’altra parte del valore della vita dell’uomo, 50 cammelli, che il solo omicidio della donna non riesce a compensare. Infine ci sono i reati Tazir, che sono espressione della Siyasa, cioè dell’arte di governare mantenendo l’ordine e il potere. Il Tazir nasce come strumento dello stato per punire quei comportamenti di cui la Shaharia non si occupa. Questi reati sono affidati però, rispetto a quelli Shaharitici, ad un sistema di giustizia e ad un organo diversi. Anche nei nomi che contraddistinguono i due organi troviamo differenza: il giudice Shaharitico è detto Kadi mentre il giudice per i reati Tazir è il Tribunale di Polizia, che è sempre stato un organo deputato al mantenimento della sicurezza pubblica e alla vigilanza. Quindi si può semplicisticamente dire che i reati Tazir sono quelle condotte sufficientemente gravi da non restare impunite ma non abbastanza per essere punite con sanzioni come quelle coraniche. Ad esempio si prenda il furto. Per essere annoverato come reati Hudud deve avere un valore minimo di cinque monete d’oro, mentre il Tazir si occupa di quei furti il cui valore sia inferiore alle 5 monete d’oro. Gli strumenti sanzionatori del Tazir sono diversi: la fustigazione in qualità di pena tarabile, la pena di morte (non prevista per taglione ma per legge statale), tutta una serie di punizioni umilianti: ad es. gogna e annerimento del capo (con il fine di umiliare il musulmano “cattivo”), e la reclusione che al contrario di quanto previsto da noi non ha fine rieducativo ma di mera punizione. In conclusione si può dire che è molto facile giudicare una cultura completamente differente dalla nostra, ma forse prima di farlo è meglio anche solo tentare di conoscere e apprendere, anche sommariamente, il meccanismo che sta dietro ad istituti e mentalità. FEDERICA GRECO Bibliografia: – Francesco Castro, Il modello islamico, ed. Giappichelli, 2007 –http://www.amnesty.it/Reyhaneh-jabbari-sara-messa-a-morte-all-alba-Amnesty-I nternational-a-Iran-fermate-esecuzione –http:/www.repubblica.it/solidarieta/diritti-umani/2014/10/25/news/iran_impic cata_reyhaneh-98966703/ –http://www.lastampa.it/2014/10/26/esteri/niente-grazia-liran-impicca-reyhane h-9r1iocZjm2QeOrEtFhKkyH/pagina.html –http://www.quotidiano.net/iran-ragazza-reyaneh-impiccata-1.336599#1 –http://www.iodonna.it/attualita/primo-piano/2014/reyhaneh-jabbari-ultimo-mes saggio-5089337283.shtml –http://www.lastampa.it/2014/10/24/esteri/iran-ore-dansia-per-reyhaneh-amnest y-sar-impiccata-allalba-rnd7ZewwwwqZcs1oEbFGwK/pagina.html –http://www.lastampa.it/2014/10/25/esteri/iran-reyhaneh-jabbari-stata-impicca ta-hlTpXr4uuEJJwxu1iBm7hK/pagina.html Tra sport e diritti “Protest-Ghoncheh Ghavami-SOAS-10Oct14”, foto di Anoo Bhuyan, licenza CC BY-NC-ND 2.0, www.flickr.com Ghoncheh Ghavami, 25 anni, è stata arrestata lo scorso 20 giugno fuori dallo stadio Azadi di Teheran, dove era in corso l’incontro della Volleyball World League tra Iran e Italia. La giovane donna anglo- iraniana stava prendendo parte ad una manifestazione pacifica quando, lei e un gruppo di donne sono state prelevate, interrogate e successivamente rilasciate. Dopo 10 giorni, il 30 giugno, alcuni agenti in borghese hanno fatto irruzione nell’appartamento di Ghavami, sequestrando abiti, computer e trasferendola in una cella di isolamento presso la prigione Evin di Teheran, in attesa della formulazione del capo di imputazione. La ragazza ha riferito di essere stata sottoposta a lunghi interrogatori, a pressioni psicologiche, minacce di morte e di possibile trasferimento presso il carcere di Gharchak in cui le condizioni di detenzione sono particolarmente dure. Nel periodo di detenzione non le è stato possibile avere alcun contatto con la propria famiglia ed è stato particolarmente complesso interagire con il suo l’avvocato Alizabeh Tabatabaie. Il 20 settembre si apprende che il caso è stato affidato al tribunale rivoluzionario in quanto le viene contestata la diffusione di propaganda contro il sistema. Il 2 novembre è stata pronunciata una condanna dal tribunale iraniano a Ghonchech e il 23 novembre viene concessa la libertà su cauzione. Il fondamento è la violazione del divieto imposto alle donne di assistere ad alcune manifestazioni sportive maschili. Nel 2012, il dipartimento per la sicurezza del ministero dello sport e degli affari giovanili ha proibito alle donne di prendere parte alle partite di pallavolo estendendo così il precedente divieto avente ad oggetto la visione delle partite di calcio. Tale previsione è in vigore sin dal 1979. Le autorità iraniane hanno motivato tale norme con l’esigenza di tutela della parte femminile della popolazione: non sarebbe quindi un atto di discriminazione ma al contrario una forma di protezione per le donne dagli atteggiamenti definiti “osceni e lascivi” dei tifosi maschili durante le manifestazioni sportive. Non è il primo caso in cui le donne iraniane si oppongono a tale divieto: il 29 novembre 1997 si consuma la “rivoluzione del calcio”, migliaia di donne entrò nello stadio di Teheran mischiandosi agli uomini per festeggiare la qualificazione ai mondiali di calcio. Occorre ora procedere ad un’analisi dei fatti alla luce dei alcuni elementi giuridici. Le azioni poste in essere dalle autorità iraniane pongono rilevanti dubbi di legittimità e correttezza alle luce del diritto internazionale. Nella dichiarazione universale dei diritti umani del 10 dicembre 1948 all’articolo 2 si afferma “Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciati nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione”. La norma sulla base del quale sono stati posti in essere gli atti di privazione della libertà personale di Ghoncheh Ghavami, viola l’art.2 della dichiarazione universale dei diritti umani in quanto si fonda su una distinzione discriminatoria fra i due sessi. Inoltre è appena il caso di sottolineare come l’arresto sia avvenuto in seguito ad una manifestazione pacifica in cui la ragazza e un gruppo di altre donne esprimevano la propria contrarietà al divieto posto dalle autorità iraniane. L’articolo 19 della dichiarazione sopra citata afferma “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.” “Untitled”, foto di Angela Schlafmütze, licenza CC BY-NC-ND 2.0, www.flickr.com Appare evidente come in questo caso vi sia una palese violazione dell’art 19 in quanto non è stato permesso loro di manifestare liberamente la propria opinione. Va ricordato che la manifestazione si stava svolgendo in forma assolutamente pacifica e quindi non poneva in pericolo il mantenimento dell’ordine pubblico. Le violazioni del diritto internazionale sono continuate per tutta la durata della detenzione in quanto alla donna non sono state concesse le garanzie processuali minime sancite dal patto internazionale dei diritti civili. A riprova di ciò si veda l’articolo 10: “ 1. Qualsiasi individuo privato della propria libertà deve essere trattato con umanità e col rispetto della dignità inerente alla persona umana. 2. a) gli imputati, salvo circostanze eccezionali, devono essere separati dai condannati e sottoposti a un trattamento diverso, consono alla loro condizione di persone non condannate; b) gli imputati minorenni devono essere separati dagli adulti e il loro caso deve essere giudicato il più rapidamente possibile. 3. Il regime penitenziario deve comportare un trattamento dei detenuti che abbia per fine essenziale il loro ravvedimento e la loro riabilitazione sociale. I rei minorenni devono essere separati dagli adulti e deve essere loro accordato un trattamento adatto alla loro età e al loro stato giuridico” Ghoncheh Ghavami non ha ricevuto un trattamento che possa dirsi conforme alla norma sopra citata. Nel periodo immediatamente successivo all’arresto ha subito lunghi interrogatori, minacce circa la propria incolumità e il possibile, drammatico peggioramento delle proprie condizioni di detenzione. Deve considerarsi violato anche il diritto di difesa sancito dall’artico 14 comma 3 lettera b: “Ogni individuo accusato di un reato ha diritto, in posizione di piena eguaglianza, come minimo alle seguenti garanzie: b) a disporre del tempo e dei mezzi necessari alla preparazione della difesa ed a comunicare con un difensore di sua scelta;” Per la giovane donna è stato particolarmente complesso comunicare con il proprio avvocato ma non solo: è da segnalare il ritardo delle autorità iraniane nell’identificazione del reato contestato e della formulazione del capo d’accusa. Dal punto di vista giuridico, come si è analizzato, sono state negate una serie di garanzie processuali nonché alcune perplessità sorgono anche in merito alla legittimità della norma posta a fondamento dell’arresto e della detenzione. In attesa della conclusione della specifica vicenda di cui fin qui si è dato conto, è da auspicarsi una adeguamento del comportamento della generalità degli stati ai principi generali sanciti del diritto internazionale. ALESSIA CHIARELLO Sitografia: www.corriere.it www.repubblica.it www.lastampa.it www.amnesty.com Nomodos - Il Cantore delle Leggi augura a tutti Buon Natale e Felice Anno Nuovo Dopo un anno ricco di emozioni, di crescita e di nuovi traguardi, Nomodos – Il Cantore delle Leggi augura a tutti di passare un Buon Natale e di festeggiare al meglio l’arrivo del 2015! NOMODOS – IL CANTORE DELLE LEGGI Lucia Annibali: la storia di un non amore, la storia di una rinascita Un soggetto: Lucia Annibali. Una data: il 16 Aprile 2013. Un luogo: Pesaro. Un’esperienza: l’acido. Un perchè: una rinnovata voglia di vivere la vita, una vita senza un lui che non la amava. Questa storia, la storia di questa aggressione ha toccato tutti, ma più di tutti ha toccato Lucia, lasciandole un segno indelebile nella mente, sul corpo e nella vita. Lei, Lucia, un semplice avvocato civilista di Pesaro di 36 anni. Lui, Luca, un “semplice” avvocato civilista di Pesaro. Fin qui tutto appare normale, una storia come tante se ne vedono, ma è proprio dall’inizio dell’anno 2013, fino al culmine raggiunto il 16 Aprile, che tutto cambia, che la vita di Lucia cambia. I due avvocati, conosciutisi nell’anno 2010, intrapresero una relazione fatta di attimi fugaci e rubati. Dopo un lungo periodo di frequentazione, Lucia si chiese come mai questa storia non decollasse mai, ed è stato proprio questo tentativo di comprendere il perchè e il senguente tentativo di allontanarsi da quest’uomo che ha portato all’evoluzione di una storia che si è conclusa nell’acido. Dopo poco tempo Lucia venne a conoscenza dell’esistenza di un’altra donna nella vita del suo lui, anche se a ben vedere si potrà dedurre che è lei l’altra donna, visto che la relazione in questione durava da 10 anni, di cui 3 erano di convivenza. Ma come ha fatto quest’uomo a tenere legate a sè per tre anni queste due donne? Il segreto è un altissimo ed enorme castello di bugie, preparate, studiate e propinate a entrambe le ragazze, in modo da tenerle sempre legate, ancorate a sè. Il punto di svolta si ha alla fine dell’anno 2012, quando Lucia, stufa di continue menzogne e litigi, decide che questa storia le causa più dolore e sofferenza della gioia che le procura o le abbia mai procurato. Ed è proprio questo tentativo di riprendersi la sua vita che le è costato così caro. Infatti nel momento in cui Lucia ha tentato di riprendere in mano le redini della sua vita, di riprenderla senza quell’uomo-vampiro, come lei stessa lo definisce, ecco che questo ha deciso di rovinare tutto. All’inizio era un vederlo ovunque, in ogni posto in cui lei andasse, solo dopo la situazione è diventata più critica, quando lui è arrivato a duplicare le chiavi della casa di lei a sua insaputa, a iscriversi nella sua palestra per guardare sul suo cellulare e a tentare di ucciderla. Come Lucia scoprirà solo a seguito delle indagini, Luca si introdusse in casa sua e le manomise i fornelli della cucina col rischio di far saltare in primis il suo appartamento ma in secundis tutto lo stabile in cui lei abitava. Proprio agli inizi di quell’Aprile 2013 Lucia ponderava il proposito di inoltrare una denuncia per stalking e aveva iniziato a tentare di contattare un carabiniere di cui le era stato dato il numero. Questi tentativi si sarebbero protratti se non fosse stato che, due giorni dopo l’inizio di questi, c’è stato l’“incidente” dell’acido. Ma cosa è successo? Le dinamiche di quanto accaduto sono complesse: Lucia di ritorno dalla palestra si dirige verso casa sua, in via Rossi 19, ma non sa che ad attenderla, lì, all’interno del suo appartamento, c’è un soggetto di origine albanese che le ha messo a soqquadro la casa per inscenare un furto e la attende con dell’acido. Fin dai primi istanti di quella aggressione Lucia sa chi è il mandante, ma quello che ancora non sa è la pena e il dolore che dovrà attraversare per riappropriarsi di ciò che le è stato portato via. A poche ore dall’incidente Lucia, da Pesaro, viene trasferita al centro ustionati di Parma, ove avranno sede tutti gli interventi, che ad oggi ammontano a 12, per permetterle di tornare ad avere un volto e una mano destra funzionante. L’ustione riscontratale è di terzo grado, la più grave. All’inizio Lucia risulta ceca e si pensa quasi in modo definitivo che questa situazione diventerà permanente. Solo successivamente la cecità risulterà essere solo momentanea. Dopo essere stata dimessa da Parma e dopo numerosi interventi e innesti di pelle Lucia si è dedicata al processo. Per quanti sono convinti che la nostra magistratura sia lenta ed inefficiente, in questo caso dovranno ricredersi in quanto la sentenza di condanna è stata pronunciata il 29 Marzo 2014, a neanche un anno da quella tragica sera. Prima di proseguire con l’analisi di alcuni dettagli giuridici della vicenda, si vuole riportare il parere che Lucia ha espresso riguardo la condanna. In una recente conferenza infatti, presso il Campus Luigi Einaudi di Torino di cui Lucia Annibali era protagonista, si è detta soddisfatta della rapidità del processo, della condanna e della pena inferta ai tre soggetti coinvolti nell’aggressione. Si proceda dunque all’analisi di quegli elementi giuridici contraddistinguono gli articoli del blog di Nomodos. che Innanzitutto partiamo col dire che i soggetti prima imputati e ora processati sono tre: Luca Varani, l’ex di Lucia, e i due albanesi da lui assoldati, Rubin Talaban e Altistin Precetaj. I tre soggetti sono stati condannati ad anni 20, il primo, e ad anni 14 di reclusione, i secondi. Questi 3 soggetti sono stati condannati per concorso di persone nel reato di tentato omicidio. Ma cos’è il tentativo? L’art 56 c.1 c.p. dice: “Chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l’azione non si compie o l’evento non si verifica”. Da questa definizione del codice si desume che il legislatore parli di tentativo solo nel caso in cui gli atti compiuti dall’agente siano idonei a commettere un delitto, quindi si può dire che creano un pericolo per il bene tutelato dalla relativa norma incriminatrice posta nella parte speciale del codice penale (il codice penale si divide in due parti: una generale e una speciale). Il tentativo comporta un’offesa meno grave rispetto al reato consumato, quindi il codice impone ai giudici di irrogare una sanzione diminuita rispetto a quella prevista per il delitto consumato. In definitiva, per individuare la pena applicabile a Luca Varani si deve guardare, prima di tutto al combinato disposto degli art 56 c.p. (sul tentativo) e art 575 c.p. (sull’omicidio). Cosa è il concorso di persone nel reato? Il concorso di persone nel reato è quella situazione che si compone di quattro elementi costitutivi: la pluralità di persone, la realizzazione di un fatto di reato (consumato o tentato), un contributo nella condotta che ha portato alla realizzazione del fatto e la consapevolezza e volontà di contribuire alla realizzazione del fatto. Individuiamo questi quattro elementi all’interno della nostra vicenda. La pluralità di persone è facilmente individuabile: contiamo l’avv. Varani e i due albanesi. Il contributo nella condotta che ha portato alla realizzazione del reato: Varani è colui che ha commissionato l’aggressione e ha acquistato l’acido, mentre gli altri due albanesi sono uno il “palo” e l’altro l’aggressore di Lucia. La realizzazione di un fatto di reato, in questo caso tentato, è proprio il tentativo di omicidio nei confronti di Lucia. Infine possiamo riscontrare la volontà di contribuire alla realizzazione del fatto: in quanto Varani, ha acquistato l’acido per compiere il reato mentre i due albanesi erano mossi dalla ricompensa che avrebbero ricevuto alla fine del lavoro. Di concorso di persone nel reato parlano gli artt 110 e ss c.p., di cui riportiamo l’art 110 per intero e dell’art 112 solo un estratto: «Quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, salve le disposizioni degli articoli seguenti», «La pena da infliggere per il reato commesso è aumentata: … 2) per chi, anche fuori dei casi preveduti dai due numeri seguenti, ha promosso od organizzato la cooperazione nel reato, ovvero diretto l’attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo; …». Grazie a questo estratto dell’art 112 c.p. possiamo facilmente intuire come mai le pene irrogate a Varani e ai 2 albanesi siano diverse. Dopo aver analizzato le imputazioni a carico dei 3 soggetti procediamo con l’analisi dei modelli processuali, ma prima di farlo riportiamo per intero due passi del libro “Io ci sono -la mia storia di non amore-” di Lucia Annibali che in parte spiegano la scelta del modello processuale adottato: «L’udienza è fissata per l’11 Dicembre e la dottoressa Garulli ha chiesto e ottenuto di celebrare il processo con il rito immediato, una formula che viene concessa soltanto quando le prove sono evidenti: si salta l’udienza preliminare e si va in aula davanti al tribunale, a meno che l’imputato non chieda di essere giudicato con il rito abbreviato per ottenere, se condannato, lo sconto di un terzo della pena. In quel caso il processo si tiene davanti al giudice delle indagini preliminari, di solito a porte chiuse e allo stato degli atti, come si dice: cioè senza ulteriori accertamenti» «A fine Ottobre, l’ultimo giorno utile per farlo, il detenuto Varani e i due albanesi sciolgono la riserva sul tipo di rito con il quale preferiscono essere giudicati: chiedono l’abbreviato. Quindi non più rito immediato l’11 Dicembre. Si fissa una nuova data davanti al giudice delle indagini preliminari: il 9 Dicembre». Come si può facilmente intendere, il primo modello processuale richiesto è quello del rito immediato. Ma cosa è il giudizio immediato? Il giudizio immediato si pone come procedimento speciale che mira alla semplificazione del rito processuale penale canonico e la volontà di favorire una più rapida formazione del giudicato e una conseguente maggiore certezza della pena. In questo tipo di rito riscontriamo la mancanza di una udienza preliminare e una compressione dei tempi investigativi. Tale formula, che è richiesta su istanza del Pubblico Ministero, viene richiesta e accettata a seguito della richiesta della dott.ssa Garulli. Il rito immediato però sottostà ad una serie di presupposti quali l’evidenza della prova, la contestazione all’imputato del fatto di reato e delle fonti di prova in sede di interrogatorio condotto dall’autorità giudiziaria per permettergli di difendersi e replicare ai risultati a cui si è pervenuti attraverso le investigazioni. Come è stato detto l’istanza di rito immediato è stata accolta, ma in realtà poi il procedimento si è celebrato con le modalità del rito abbreviato. Il giudizio abbreviato è un altro tipo di procedimento speciale in quanto si svolge senza la fase dibattimentale, e su richiesta dell’imputato si definisce il tutto nell’udienza preliminare, attribuendo valore probatorio agli atti delle indagini preliminari. Questo tipo di procedimento non dà luogo alla fase dibattimentale e di conseguenza costituisce un’eccezione al principio del contraddittorio nel momento della formazione della prova. Il principio del contraddittorio è la più grande garanzia di giustizia e, in quanto tale assicura che un soggetto non subisca gli effetti di una sentenza senza che abbia preso parte al processo e senza che ci sia stata una sua effettiva partecipazione alla formazione del provvedimento. Tutto questo è previsto al fine di garantire il diritto di difesa all’imputato. A rigor di logica quindi si può dire che in questo tipo di giudizio saranno osservate le disposizioni previste per l’udienza preliminare. In conclusione questo articolo mira a raccontare una storia, una di quelle che non andrebbero mai dimenticate e che molti non vogliono dimenticare. Proprio per non dimenticare il Presidente Giorgio Napolitano, in data 8 Marzo 2014, ha conferito a Lucia Annibali l’onoreficenza di Cavaliere dell’ordine al merito della Repubblica Italiana, per il coraggio, la determinazione, la dignità con cui ha reagito alle gravi conseguenze fisiche dell’ignobile aggressione subita. FEDERICA GRECO Bibliografia: * Giorgio Marinucci, Emilio Dolcini, “Manuale di diritto penale -parte generale-”, quarta edizione, giuffrè editore * Lucia Annibali, Giusi Fasano, “Io ci sono -la mia storia di non amore-”, Rizzoli, 2014 Sitografia: * http://www.treccani.it/enciclopedia/giudizio-immediato-dir-proc-pen_(Diritto_ on_line)/ * http://www.treccani.it/enciclopedia/giudizio-abbreviato/ Il Patto di Convivenza autore: Tom, licenza: CC BY-NC 2.0, link: https://creativecommons.org/license s/by-nc/2.0/ Prima del 1975, come recitano le statistiche, la convivenza al di fuori del matrimonio riguardava circa una coppia su 100 e si trattava solitamente di un breve periodo antecedente al matrimonio. Dalla metà degli anni ’70 però questo fenomeno è andato via via crescendo fino a toccare il picco di quasi un milione di persone nel 2011 (dati ISTAT). La cosiddetta convivenza more uxorio è stata riconosciuta per la prima volta dalla legge solo nel 1988, quando venne giudicato incostituzionale l’art. 6, legge 392 del 1978, che non prevedeva il convivente more uxorio come avente diritto di prosecuzione del contratto di affitto in caso di decesso del titolare. Se ne tornò a parlare nel 1991, quando, all’interno di una sentenza, il tribunale di Roma affermò il diritto alla risarcibilità del danno biologico nei confronti di terzi in caso di morte del convivente; poi nel 1998 con la sentenza n° 166 della Corte Costituzionale, nella quale si affermava che la convivenza more uxorio, cito testualmente, “rappresenta l’espressione di una scelta di libertà dalle regole che il legislatore ha sancito in dipendenza dal matrimonio: da ciò deriva che l’estensione automatica di queste regole alla famiglia di fatto potrebbe costituire una violazione dei principi di libera determinazione delle parti” . E infine nel 2001, con l’art.6 della legge 149, che giudicava il periodo di convivenza utile per il conteggio dei tre anni antecedenti all’adozione, la quale richiede una convivenza stabile e continuativa anche se antecedente al matrimonio. L’introduzione del patto di convivenza vorrebbe mirare a garantire i princìpi sanciti dagli artt. 2 e 3 della Costituzione, e ad andare incontro alla sollecitazione risalente al 2000 del Parlamento europeo di garantire alle coppie non sposate e alle coppie dello stesso sesso parità di dignità rispetto alla famiglia tradizionale. Questo tenuto anche conto del fatto che la Carta di Nizza del 7 dicembre 2000 tutela i rapporti familiari e i legami affettivi a prescindere dal fatto che trovino il loro fondamento nell’atto del matrimonio. Il 15 marzo 2013, su iniziativa dei Senatori Alberti Casellati, Bonfrisco, Caridi, Dascola e Caliendo, viene comunicato alla Presidenza un disegno di legge volto a modificare il Codice Civile in materia di disciplina del patto di convivenza. I motivi che hanno spinto la proposta di questa legge nascono dal sempre più forte affermarsi delle convivenze more uxorio nella società contemporanea (così come prima illustrato) e dalla necessità corrispondente di colmare un vuoto normativo. Il patto di convivenza, così come inteso in questo disegno di legge, si propone di regolare le varie forme di convivenza degli individui che decidono di attribuire alla rilevanza giuridica la convivenza e pattuirla pubblicamente. Il disegno di legge si compone di un solo articolo che modifica il codice civile con l’aggiunta del titolo VI-bis «Patto di convivenza», composto dagli articoli da 230-ter a 230-duodecies. L’articolo 230-ter stabilisce che il patto di convivenza può essere stipulato se due persone sono maggiorenni, capaci e unite da reciproco vincolo affettivo. L’articolo 230-quater statuisce che, con il patto di convivenza, le parti assumono reciproci obblighi di assistenza morale e materiale, ognuna in ragione delle proprie sostanze e della propria capacità di lavoro professionale o casalingo. Il secondo comma dell’articolo in commento stabilisce, altresì, che le parti fissino la residenza comune. L’articolo 230-quinquies disciplina le cause di nullità. L’articolo 230-sexies dispone che il patto di convivenza non può essere soggetto a termini e condizioni e, se inserite, devono considerarsi come non apposte. L’articolo 230-septies riguarda la forma del patto di convivenza prevedendo che esso, le sue eventuali modifiche e il suo scioglimento debbano risultare, a pena di nullità, da atto sottoscritto dalle parti davanti ad un notaio nel comune di residenza di uno dei conviventi o di entrambi. Il secondo comma stabilisce che l’atto deve essere trascritto nel Registro nazionale dei patti di convivenza e ne deve essere trasmessa copia al comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe, a margine dello stato di famiglia. L’articolo 230-octies reca disposizioni relative all’istituzione del Registro nazionale dei patti di convivenza prevedendo che presso l’archivio notarile competente è istituito il Registro nazionale dei patti di convivenza e, al secondo comma, che chiunque vi abbia interesse ha diritto di ottenere dal Registro nazionale il rilascio di un’attestazione relativa alla sussistenza di un patto di convivenza. Il successivo articolo 230-novies estende alle parti del patto di convivenza tutti i diritti e doveri spettanti al coniuge relativi all’assistenza sanitaria e penitenziaria. L’articolo 230-decies estende alle parti del patto di convivenza il diritto di successione nel contratto di locazione in caso di morte del convivente che sia conduttore nel contratto di locazione della comune abitazione. L’articolo 230-undecies disciplina lo scioglimento del patto di convivenza e il successivo articolo 230-duodecies prevede, nei casi di scioglimento per comune accordo, per decisione unilaterale e per matrimonio di uno dei contraenti, l’obbligo di corrispondere al convivente che non sia in grado di provvedere alle proprie necessità un assegno di mantenimento determinato in base alle capacità economiche dell’obbligato, al numero di anni di convivenza e alla capacità lavorativa di entrambe le parti. Il secondo comma dell’articolo in commento stabilisce, infine, che l’obbligo di cui al primo comma cessa qualora l’avente diritto contragga matrimonio o un nuovo patto di convivenza. Il suddetto disegno di legge risolverebbe i seguenti problemi: • l’inefficacia del patto come vincolo davanti al giudice sarebbe ora possibile obbligare l’altra parte a rispettare i termini previsti dal patto. • La forma del contratto vedi art. 230 septies. • La durata del contratto non sarebbe possibile sottoporlo a termine o condizione, anche perché si tratta di una relazione sentimentale (tendenzialmente non sottoposta termine/condizioni precostituite). Si riporta di seguito il testo integrale del DDL: DISEGNO DI LEGGE 1. Nel libro primo del codice civile, dopo il titolo VI è inserito il seguente: «TITOLO VI-bis Del patto di convivenza Art. 230-ter. – (Patto di convivenza). — Due persone maggiorenni e capaci, unite da reciproco vincolo affettivo, possono contrarre un patto di convivenza regolato ai sensi del presente titolo. Art. 230-quater. – (Contenuto). — Con il patto di convivenza le parti assumono reciproci obblighi di assistenza morale e materiale, ognuna in ragione delle proprie sostanze e della propria capacità di lavoro professionale o casalingo. Con il patto di convivenza, le parti stabiliscono di comune accordo la residenza comune. Art. 230-quinquies. – (Cause di nullità). — Il patto di convivenza è nullo: 1) se una delle parti è minore di età ovvero sottoposta a tutela, salvi i casi di autorizzazione del tribunale ai sensi dell’articolo 84; 2) se una della parti è vincolata da precedente matrimonio per il quale non sia stato pronunciato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili con sentenza passata in giudicato; 3) se una delle parti è vincolata da altro patto di convivenza trascritto; 4) se una delle parti è stata condannata, con sentenza passata in giudicato, per omicidio consumato o tentato del coniuge dell’altra parte o della persona cui l’altra parte era legata da precedente patto di convivenza; 5) se tra le parti vi sia un vincolo di parentela in linea retta o collaterale entro il secondo grado o vi sia un rapporto di adozione o di affiliazione o siano entrambi figli adottivi della stessa persona; 6) se non risulta da atto scritto come stabilito dall’articolo 230-septies, primo comma. La nullità può essere dichiarata su istanza di chiunque vi abbia interesse. Art. 230-sexies. – (Inopponibilità di termini e condizioni). — Il patto di convivenza non può essere sottoposto a termine o condizione. Nel caso in cui le parti inseriscano termini o condizioni, queste si hanno per non apposte. Art. 230-septies. – (Forma del patto di convivenza). — Il patto di convivenza, le sue eventuali modifiche e il suo scioglimento devono risultare, a pena di nullità, da atto sottoscritto dalle parti davanti a un notaio nel comune di residenza di uno dei due ovvero nel comune dove entrambi hanno la residenza. Nel patto di convivenza deve essere indicata la residenza comune. Ai fini dell’opponibilità ai terzi, il notaio che ha autenticato le sottoscrizioni provvede, entro i successivi quindici giorni, a trascrivere l’atto nel Registro nazionale dei patti di convivenza di cui all’articolo 230-octies, primo comma, e a trasmetterne copia al comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe, ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, a margine dello stato di famiglia. Art. 230-octies. – (Registro nazionale dei patti di convivenza). — Presso l’archivio notarile competente è istituito il Registro nazionale dei patti di convivenza. Chiunque vi abbia interesse ha diritto di ottenere dal Registro nazionale il rilascio di un’attestazione relativa alla sussistenza di un patto di convivenza. Art. 230-novies. – (Assistenza sanitaria e penitenziaria). — Alle parti del patto di convivenza sono estesi tutti i diritti e doveri spettanti al coniuge relativi all’assistenza sanitaria e penitenziaria. Art. 230-decies. – (Successione nel contratto di locazione). — In caso di morte del convivente che sia conduttore nel contratto di locazione della comune abitazione, l’altro convivente può succedergli nel contratto. Art. 230-undecies. – (Scioglimento del patto di convivenza e diritti del convivente). — Il patto di convivenza si scioglie: 1) per comune accordo; 2) per decisione unilaterale; 3) per matrimonio di uno dei contraenti, con efficacia dal giorno delle pubblicazioni; 4) per morte di uno dei contraenti. Nel caso di cui al primo comma, numero 1), del presente articolo la dichiarazione congiunta di scioglimento del patto di convivenza deve essere notificata al comune di residenza e all’archivio notarile competente. Nel caso di cui al primo comma, numero 2), la dichiarazione unilaterale di scioglimento del patto di convivenza deve essere inviata all’altro contraente e, in copia, al comune di residenza e all’archivio notarile competente. Nel caso di cui al primo comma, numero 3), il convivente che ha contratto matrimonio deve notificare l’estratto dell’atto di matrimonio all’altra parte, al comune di residenza e all’archivio notarile competente. Nei casi di cui ai precedenti commi i responsabili incaricati dell’archivio notarile e del comune di residenza provvedono all’annotazione dello scioglimento del patto di convivenza a margine del patto di convivenza originale e a margine dello stato di famiglia. Art. 230-duodecies. – (Obbligo alimentare). — Nei casi di scioglimento di cui all’articolo 230-undecies, primo comma, numeri 1), 2) e 3), c’è l’obbligo di corrispondere al convivente che non sia in grado di provvedere alle proprie necessità un assegno di mantenimento determinato in base alle capacità economiche dell’obbligato, al numero di anni di convivenza e alla capacità lavorativa di entrambe le parti. L’obbligo di cui al primo comma cessa qualora l’avente diritto contragga matrimonio o un nuovo patto di convivenza». ALESSANDRO BENINI SITOGRAFIA www.contrattoconvivenza.com www.altalex.com www.notariato.it www.senato.it www.diritto.net