Don Ernest Simoni Troshani: dalla condanna a morte a Cardinale
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Don Ernest Simoni Troshani: dalla condanna a morte a Cardinale
Don Ernest Simoni Troshani: dalla condanna a morte a Cardinale Carissimi domenica scorsa Papa Francesco ha nominato 17 nuovi cardinali tra cui il sacerdote albanese della diocesi di Scutari don Ernest Simoni Troshani, unico testimone ancora vivente, della persecuzione del regime di Enver Xoxha, che proclamò l’Albania il «primo Stato ateo al mondo». In quel periodo un segno di croce costava dieci anni di carcere. Don Ernest nato in Albania nel 1928 riassume così l’eroica resistenza dei 11.107 giorni (30 anni) di prigionia e lavori forzati come minatore, spaccatore di pietre, muratore, addetto alle fogne di Scutari: «Non ho fatto niente, è tutto merito del Signore». Perché la sua condanna a morte fu commutata in lavori forzati? Don Ernest racconta che in carcere, sottoposto a torture fisiche e psicologiche, aveva come compagno di cella un amico spione incaricato di tentarlo istigandolo a parlar male di Hoxha, il dittatore, e lui rispondeva: «Gesù ci ha insegnato ad amare ogni persona e perdonare anche i nemici. Dio protegga il presidente e lo ispiri perché possa aiutare il popolo». Anche il più feroce anti-Dio su questa terra di fronte al perdono placa la sua ira e sete di morte. Dal perdono e dal sacrificio di Gesù sulla croce è potuta nascere la nuova comunità cristiana. Un giorno di tre anni fa andai nella parrocchia di don Ernest per prendere dei libri di preghiere in lingua albanese che distribuisce gratuitamente. Gli chiesi a bruciapelo come aveva fatto a perdonare i suoi aguzzini e tutti coloro che lo avevano perseguitato. «Perdonare», disse, «non costituisce un atto di debolezza. Gesù ci chiede di amare i nemici: il perdono diventa l’atto estremo con cui testimoniamo che non abiuriamo il Vangelo e che i nostri persecutori non hanno raggiunto il loro scopo». In seguito si mise a raccontarmi che celebrava la Messa tutti i giorni, a memoria, in latino per non farsi capire dagli spioni, sfruttando ciò che aveva a disposizione. L’ostia la cuoceva di nascosto su piccoli fornelli a petrolio che servivano per il lavoro. Se non poteva utilizzare il fornello, metteva da parte un po’ di legna secca e accendeva il fuoco. Il vino lo sostituiva con il succo dei chicchi d’uva che spremeva. E d’inverno utilizzava delle boccette con il vino che gli portavano i suoi parenti. Addirittura diventa il padre spirituale di molti carcerati. Sapeva che rischiava la vita, ma ripeteva: «Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla. Quante volte ho recitato questo Salmo...». Per don Ernest la liberazione arriva il 5 settembre 1990, quando un funzionario di polizia gli dice - e lui crede lì per lì che si tratti dell’ennesimo inganno - che era finita, che finalmente era libero di tornare a fare il sacerdote. Il prossimo 5 novembre saranno beatificati a Scutari ben 38 martiri del regime dittatoriale comunista di Enver Xoxha. Molti di essi prima di morire gridavano per l’ultima volta: “Viva Cristo Re”, “Viva il Papa”, “L’Albania non muore con noi”, “Ringrazio Dio che mi fa morire libero”. Vi saluto caramente e Dio vi benedica per la vostra testimonianza di fede e d’amore Fushe Mamurras 11 ottobre 2016 Giangi