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Stella Richter _Commentario per Portale_ def
Commentario Srl in onore di G.B. Portale – Autore: M. Stella Richter
Sommario
Numeri al
margine
(Nm)
Antecedenti e vicende della società a responsabilità limitata
I. Le società col beneficio della responsabilità limitata per i soci
nel XIX e al principio del XX secolo
II. La introduzione in Italia della società a responsabilità
limitata: dibattiti, progetti legislativi e primi esperimenti
III. Le vicende della disciplina della società a responsabilità
limitata dal 1942 al 2003
IV. La società a responsabilità limitata nella riforma organica del
diritto delle società di capitali e le conseguenze della introduzione
della nuova disciplina
1-17
18-29
30-39
40-48
Antecedenti e vicende
della società a responsabilità limitata
I. Le società col beneficio della responsabilità limitata per i
soci nel XIX e al principio del XX secolo
[1] Il Code de commerce del 1807 – entrato in vigore in Francia il 1°
gennaio 1808 e in Italia (con modifiche non significative rispetto al
testo originale) solo otto mesi più tardi – non distingueva tra società di
persone e società di capitali, ma si limitava a enumerare tre tipi di
società commerciali: società in nome collettivo, società in
accomandita, e, per quello che più interessa, società anonima (art. 19,
su cui cfr., anche per i ragguagli relativi ai lavori preparatori durante i
quali la société anonyme era stata chiamata société par action, LOCRÉ
[1811], 116 ss., UNGARI [1974], spec. 30 ss., MOSCATI [2008], 61, e,
per alcuni “discorsi” che discendono dalla inclusione della société
anonyme tra i tipi enumerati dal codice, ASCARELLI [1952], 8 e
ANGELICI [2008], 142 ss.). Inoltre, il codice ammetteva che il capitale
della accomandita potesse essere diviso in azioni (art. 38, e per alcune
interessanti discussioni a riguardo cfr. LOCRÉ [1811], I, 162). Ma non
era allora affatto chiaro che cosa si dovesse intendere per “azioni”;
infatti, l’art. 34 prevedeva che “il capitale della società anonima si
divide in azioni ed anche in porzioni di azioni uguali di valore”, quasi
che l’azione fosse la quota e la porzione di azione “eguale di valore”
la vera e propria (nostra) azione. È in ogni caso probabile che nella
contrapposizione tra azioni di diverso valore e (porzioni di) azioni
“uguali di valore” vada ricercato l’embrionale antecedente della
distinzione tra società anonima per quote e società anonima per azioni
(v. infra Nm 9).
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[2] A questi tipi la dottrina dell’epoca tendeva ad aggiungere,
considerandola una quarta forma di società commerciale, la
associazione in partecipazione, pure regolata dal Code: “On distingue
quatre espèces de sociétés commerciales: la société en nom collectif,
la société en commandite, la société anonyme, l’association en
participation” (PARDESSUS [1857], III, 62 ; ma in senso diverso cfr.
LOCRÉ [1811], 116 e 139). In ogni caso, l’art. 47 prevedeva: “Oltre
alle tre specie di società qui sopra enunciate, la legge riconosce le
associazioni commerciali in partecipazione” e l’art. 50 aggiungeva:
“Le associazioni commerciali in partecipazione non sono soggette alle
formalità ordinate per le altre società”.
[3] Il quadro che ne scaturiva – giova segnalarlo di passata – era
comunque innovativo rispetto al sistema della Ordonnance du
commerce del 1673, la quale si occupava solo di società in nome
collettivo e in accomandita semplice, non conosceva la società per
azioni e riservava il nome di “anonime” alle semplici associazioni in
partecipazione (sul rapporto tra l’ordinanza di Luigi XIV e il codice di
Napoleone cfr. UNGARI [1974], spec. 32; PETRONIO [2008], 2 ss.,
SPADA [2008], 117 ss., ID. [2009], spec. 37, e, con più specifico
riguardo alla materia societaria, LOCRÉ [1811], 115 s., e ANGELICI
[2008], 141 ss. e spec. 165 nt. 27, dove anche indicazione della
ulteriore bibliografia in argomento).
[4] Diverse classificazioni e forme di società commerciali si
rintracciano invece nei progetti italiani di codificazione commerciale
del 1806 e 1807 (cfr. al riguardo l’approfondito studio di PADOA
SCHIOPPA [1992], spec. 120 ss. e il cenno di UNGARI [1974], 38 s.
testo e nt. 15). Tali progetti, tuttavia, non divennero mai legge,
essendosi, come si è detto (v. supra Nm 1), provveduto a estendere il
vigore del Code de commerce nel Regno italico poco dopo la sua
promulgazione in Francia. E, in ogni caso, anche in quei progetti la
società con beneficio della limitazione di responsabilità per tutti i soci
restava esclusivamente l’anonima.
[5] Appena il caso di ricordare che non costituì alterazione al sistema
dei tipi sociali la previsione fatta in Francia nel 1863 di una (solo
nominalmente analoga a quella oggi nota) société à responsabilité
limitée (loi du 23 mai 1963): essa infatti non era che una società
anonima che, avendo non più di sette soci e un capitale non eccedente
una certa somma, non necessitava della autorizzazione governativa
per la sua costituzione. Comunque, tale regime differenziato non durò
che quattro anni (per ulteriori dettagli e riferimenti cfr. NAVARRINI
[1924], 66 nt. 3; CAGNASSO [1971], 520; RIVOLTA [1980], 485 s.;
MONTAGNANI [1984], 60).
[6] In tutto e per tutto analogo al Code de commerce era il codice di
commercio per gli Stati Sardi del 1842 (in vigore dal 1° luglio 1843),
il quale pure prevedeva le stesse specie di società commerciali (cfr. in
particolare gli artt. 29, 43, 47 e 58; e v. al riguardo Relazione Mancini,
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in MARGHIERI [1885], vol. IV, 141; CAGNASSO [1971], 520 s.; ID.
[1984], 281 s.).
[7] Le cose non erano destinate a cambiare significativamente neanche
con il primo codice di commercio successivo all’unità d’Italia (e cioè
quello del 1865, in vigore dal 1° gennaio 1866; v. Relazione Mancini,
in MARGHIERI [1885], vol. IV, 141 s.; CAGNASSO [1984], 282; e
soprattutto FERRI [1990], spec. 217). Nell’art. 106, comma 1, si
prevedeva: “La legge riconosce tre specie di società commerciali: La
società in nome collettivo; La società in accomandita semplice, o
divisa per azioni; La società anonima”; il secondo comma aggiungeva:
“La legge riconosce inoltre: L’associazione in partecipazione;
L’associazione mutua”. Il capitale della società in accomandita poteva
essere diviso in azioni (art. 126). Deve però rilevarsi che nel codice
del 1865 viene meno la seppur assai larvata e incerta distinzione tra
società anonime accennata dall’art. 34 del Code de commerce (v.
supra Nm 1); l’art. 131 recisamente dispone: “Il capitale della società
anonima si divide in azioni”.
[8] In occasione dei lavori preparatori del codice di commercio del
1882 si avanzò la proposta di introdurre, accanto alla società anonima,
un diverso tipo di società essenzialmente ispirato alla private company
inglese (v. infra Nm 11) e che si sarebbe dovuto chiamare “società a
responsabilità limitata”. La proposta e il relativo dibattito sono
analiticamente esposti nella Relazione del Castagnola (la si veda
anche in MARGHIERI [1885], vol. II, parte I, 1032 s.), nella Relazione
del Finali del 25 ottobre 1874 “intorno alla legislazione delle società
commerciali” (ivi, vol. III, 7 ss.), nella c.d. Relazione Vigliani-Finali
(ivi, vol. III, 154), nel “Sunto delle osservazioni proposte fatte dalla
Magistratura e dalla Università degli studi” (ivi, vol. III, 169 ss.); nella
“Relazione dell’Ufficio centrale del Senato” del 20 aprile 1875 (rel.
Lampertico, ivi, vol. III, 231), e nella “Relazione Mancini” (ivi, vol.
IV, 167 ss.). Cfr. anche MANARA [1902], 555 s. e 559 s.; NAVARRINI
[1904], 7 s.; ASCARELLI [1924], 454; CASICCIA [1927], 81 ss.;
MARGHIERI [1929], 51 ss.; RIVOLTA [1980], 493 s.; CAGNASSO
[1971], 522 ss.; ID. [1984], 284 ss.; MONTAGNANI [1984], 61 s.
[9] Tuttavia, nella versione definitiva del codice, che sarebbe entrato
in vigore il 1° gennaio 1883, si finì col prevedere, nell’ambito
dell’unico tipo di società di capitali e cioè della disciplina unitaria
della società anonima, la semplice variante tra società anonima per
quote e società anonima per azioni (art. 76, comma 3; e si veda la
approfondita trattazione del MANARA [1902], 504 ss.). “Il capitale
della società può essere diviso in frazioni eguali che si dicono azioni,
o in quote di diversa misura: in entrambi i casi essa ha la stessa natura,
purché conservi il carattere essenziale dell’anonima, cioè la
responsabilità limitata di tutti i soci”: così VIVANTE [1923], 147
(corsivo nell’originale). Per l’affermazione che anonime per quote e
anonime per azioni non fossero che varianti di una unica forma di
società v. anche NAVARRINI [1904], 9; ID. [1924], 59 ss., spec. 74 s.;
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ASCARELLI [1924], 452; DE GREGORIO [1938], 166 ss.; FERRI [1984],
94 s.; MONTAGNANI [1984], 60; EAD. [2008], 32; RIVOLTA [s.d.], 1. Di
autonomo “tipo (per quanto embrionalmente abbozzato)” parla invece,
SOPRANO [1941], 398. Continuava poi a mancare una disciplina
autonoma della società in accomandita per azioni, essendo questa
ancora considerata come un mero sottotipo della società in
accomandita semplice (BRUNETTI [1950], 3; FERRI [1984], 95).
[10] La società anonima per quote, che non costituiva dunque un
tipo autonomo, finì per essere intesa come l’antecedente meno
lontano della “società a responsabilità limitata” o della “società a
garanzia limitata” (NAVARRINI [1924], 68; CASICCIA [1927], 7 s. e 81
ss.; MOSSA [1953], 70 s.; RIVOLTA [1980], 494; ZANARONE [1985],
56; RACUGNO [1990], 1043 nt. 2; e, con le opportune precisazioni,
CAGNASSO [1971], 531 s., SANTINI [1992], 8, MONTAGNANI [2008],
32). Tale variante, comunque, non godette di alcuna fortuna nella
pratica commerciale (NAVARRINI [1904], 19, per il quale “istituto
peggio maturato e peggio disciplinato, non era possibile pensare…”;
ASCARELLI [1924], 454; ID. [1952], 9 nt. 19; FERRI [1936], 80;
ASQUINI [1939], 231; MOSSA [1953], 71; CAGNASSO [1971], 531;
RACUGNO [1990], 1043 nt. 2).
[11] Anche in Inghilterra per tutto il secolo XIX la disciplina delle
companies fu essenzialmente unitaria (il punto è ben colto e
sottolineato da ASCARELLI [1924], 425). Il Companies Act del 1862
prevedeva la possibilità di limitare la responsabilità dei soci al
conferimento ovvero di prevedere una responsabilità sussidiaria dei
soci, facendo riferimento a una somma comunque predeterminata: si
distingueva quindi tra companies limited by shares e companies
limited by guarantee (MANARA [1902], 556 s.; NAVARRINI [s.d.], 55 s.
nt. 4; JONA [1927], 49 s.; CASICCIA [1927], 13 ss.). Tuttavia, sulla
base di quelle previsioni normative, a partire dalla seconda metà
dell’800 si affermarono nella prassi, “con il nome di private
companies, delle società caratterizzate dalla ristretta base azionaria,
per lo più familiare, dalla esiguità del capitale sottoscritto, dalla
responsabilità sussidiaria dei soci, in caso di liquidazione, fino a
concorrenza di una somma predeterminata e dalle limitazioni
statutarie alla trasferibilità delle partecipazioni” (così RIVOLTA [1980],
481; ma si vedano anche BRUNETTI [1949], 624 s.; ID. [1950], 27 s.;
MOSSA [1953], 29 s.; CAGNASSO [1971], 532 ss.). La distinzione tra
private e public companies “era quindi una semplice distinzione di
fatto, della pratica commerciale, ignorata dalle leggi. Man mano però
essa passò ai libri dei giureconsulti, alle decisioni delle Corti,
preparando così l’opera del legislatore” (ASCARELLI [1924], 421).
Sicché con il Companies Act del 1900 le private companies
cominciarono a essere espressamente regolate dalla legge; e ciò
avvenne in modo sempre più ampio durante tutto il secolo scorso,
senza tuttavia mai fare di queste un tipo autonomo rispetto a quelle.
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[12] A differenza delle legislazioni ottocentesche di Francia,
Inghilterra e Italia (e di tutti gli altri paesi europei ed extraeuropei), la
Germania disciplinò, già nel secolo XIX, un tipo di società diverso
dalla società per azioni (Aktiengesellschaft), che, tuttavia, continuava
ad assicurare a tutti i soci il beneficio della responsabilità limitata. Gli
fu dato il nome di Gesellschaft mit beschraenkter Haftung (=
GmbH).
[13] In Germania, l’antecedente prossimo della GmbH fu costituito
dalla Deutsche Kolonialgesellschaft, introdotta il 15 marzo 1888 dal
“Gesetz betreffend die Rechtsverhaeltnisse der deutschen
Schutzgebiete” (§§ 8 ss.; cfr. NAVARRINI [1904], spec. 11 ss.;
ASCARELLI [1924], 420; CAGNASSO [1971], 571; SOPRANO [1941],
397; MOSSA [1953], 55 ss.; SCHUBERT [1992], 5 s.; SCHMOECKEL
[2008], 180 s.). Più risalenti antecedenti della germanica società a
garanzia limitata sono ritenuti la Reederei (condominio navale,
consorzio di armatori o società di armamento) e, soprattutto, la
Gewerkschaft (società tra minatori in origine e poi società mineraria o,
come venne talora chiamata in Italia, “società montanistica”): cfr.
ASCARELLI [1924], 423 s. e 439; CASICCIA [1927], 32 s.; ASQUINI
[1939], 232 e 241; MOSSA [1953], 25 nt. 8, 26, 31 ss.; GRAZIANI
[1963], 440; e soprattutto CAGNASSO [1971], 536 ss.; in particolare
sulla Gewerkschaft e sul suo rapporto con la società a garanzia
limitata è ancora oggi necessario rifarsi all’approfondito studio di
JONA [1927].
[14] Nello stesso 1888, anno di introduzione della
Kolonialgesellschaft, fu istituita una commissione di studio incaricata
di redigere il progetto per la introduzione in tutto l’Impero (e non solo
nelle colonie) di una consimile società. Si arrivò così, il 20 aprile
1892, alla promulgazione della prima legge generale sulla GmbH
(Gesetz zur Einrichtung der Gesellschaft mit beschraenkter Haftung),
la quale fu marginalmente riformata nel 1897 e poi rifusa nel testo del
1898 (che teneva conto delle grandi novità recate dal BGB, e che, con
questo, entrò in vigore il 1° gennaio 1900; per un quadro analitico e
aggiornato delle successive modificazione e riforme v., per tutti,
LUTTER [2009], 45 ss., Rdn 8 ss.). Per i riferimenti ai lavori
preparatori cfr. CASICCIA [1927], 26 s., CAGNASSO [1971], 540 ss.,
SCHILLING [1975], 486 ss., Rdn 1 e 5, e, nel modo più dettagliato,
SCHUBERT [1983], ID. [1992], nonché SCHMIDT [2002], 986 s. (anche
per gli ulteriori riferimenti), il quale sottolinea il carattere “artificiale”
di tale nuova Rechtsform (carattere sul quale poi insiste ANGELICI
[2006], 17 s., al fine di segnalare una continuità tra lo spirito di quella
prima opera di introduzione del tipo e la recente riforma italiana del
2003 e cioè per rimarcare come nell’uno e nell’altro caso si sia voluto
fornire uno modello organizzativo per il mercato e anche nella
prospettiva di una competizione tra ordinamenti).
[15] La legge tedesca influenzò profondamente la legge austriaca del
6 marzo 1906, n. 58, della quale fu relatore il Gruenhut e con la quale
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si diede vita nell’Impero austro-ungarico ad una GmbH assai simile a
quella germanica, seppur non in tutto coincidente (ASCARELLI [1924],
420; JONA [1927], 48 s.; CASICCIA [1927], 52 ss.; BRUNETTI [1949],
624 nt. 10; ID. [1950], 18 s.; GRAZIANI [1963], 440 ss.; CAGNASSO
[1971], 541; SANTINI [1992], 4). In precedenza, in Portogallo si era
introdotta la “sociedade por quotas de resposabilidade limitada” (l.
portoghese 11 aprile 1901), che poi avrebbe influenzato il nuovo e
corrispondente tipo brasiliano (l. brasiliana 10 gennaio 1919) (cfr.
BRUNETTI [1950], 19; RIVOLTA [1980], 478 nt. 3)
[16] I modelli tedesco e austriaco diedero già nei primi decenni di loro
applicazione pratica importanti risultati e quando, dopo il primo
conflitto mondiale, le regioni della Alsazia e Lorena e le province
della Venezia Giulia e Tridentina furono annesse rispettivamente
alla Francia e all’Italia, l’esigenza di disciplinare un nuovo tipo, per
così dire “intermedio”, di società a responsabilità limitata si acuì nei
paesi vincitori (CAGNASSO [1971], 547).
[17] In Francia si procedette con la legge del 7 marzo 1925 a
introdurre il nuovo tipo della société à responsabilité limitée, il quale
era bensì ispirato al modello tedesco già sperimentato in Alsazia e
Lorena, ma che finì per discostarsene in molti punti (cfr. soprattutto la
analitica esposizione di JONA [1927], 50 ss.; e poi, anche per gli
ulteriori riferimenti alla letteratura francese, HAMEL [1927], 452 s.;
CASICCIA [1927], 4 s. e 69 ss.; ASQUINI [1939], 232 e 248; BRUNETTI
[1949], 625 s; ID. [1950], 20 ss.; MOSSA [1927], 208 s.; ID. [1953], 62
ss.; GRAZIANI [1963], 440 e 442; CAGNASSO [1971], 542 s.; SANTINI
[1992], 2 e 4 s.; CAGNASSO-IRRERA [1997], 184).
II. La introduzione in Italia della società a responsabilità limitata:
dibattiti, progetti legislativi e primi esperimenti
[18] Quanto alla “recezione” della società a responsabilità (o garanzia)
limitata in Italia deve anzitutto ricordarsi che già antecedentemente al
primo conflitto mondiale si tornò a discutere circa la opportunità di
prevedere per le imprese minori o per quelle fortemente connotate
dalla rilevanza delle persone dei soci un tipo autonomo di società di
capitali (cfr. spec. NAVARRINI [1904]; e poi anche CASICCIA [1927], 3
s. e 86 ss., MOSSA [1953], 70 ss.; e, per una bibliografia completa
degli interventi in materia, a far data dal 1884, ASCARELLI [1924], 447
nt. 1). Tuttavia, né con il progetto di riforma delle società commerciali
del 1894 né con quello del 1911 (per notizie v. ROCCO [1928], 37 s.) si
giunse a proporre la introduzione di nuove forme di società, ed anzi in
questa seconda proposta si arrivò ad eliminare anche la variante della
anonima per quote (Disegno di legge sulle società e associazioni
commerciali [1911], e cfr. CAGNASSO [1971], 546).
[19] Il dibattito fu assai articolato e vivace nell’ambito del primo
congresso delle società anonime, che ebbe luogo a Torino nel 1911;
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ivi la relazione sul punto fu tenuta da Antonio Scialoja (Atti del primo
congresso delle società anonime [1912], 212 ss.) e, tra gli altri,
discussero variamente la questione Alfredo de Gregorio e Alfredo
Rocco; prevalse tuttavia l’intendimento, tradottosi in una mozione, di
soprassedere dall’avanzare una specifica proposta e di continuare a
studiare la questione “nei congressi a venire” (Atti del primo
congresso delle società anonime [1912], 232 s. e 273; NAVARRINI
[1924], 68 s. nt. 1; SOPRANO [1941], 398; BRUNETTI [1950], 32 nt. 3;
UNGARI [1974], 72 s.; MONTAGNANI [2008], 33).
[20] Tuttavia, nel 1922 il progetto di riforma del codice di
commercio approntato dalla Commissione presieduta da Cesare
Vivante recepiva l’esigenza (accennata supra Nr 16) di accogliere in
tutto il territorio italiano il tipo di ispirazione germanica della società a
garanzia limitata (Progetto preliminare per il nuovo codice di
commercio [1922]). Si previde, accanto ai tipi tradizionali della
società in nome collettivo, della società in accomandita e della
anonima, questa nuova forma di “società a garanzia limitata”. La
Commissione, pur tenendo in debito conto i modelli stranieri (ed
essenzialmente quelli germanici ed austriaci), introdusse “alcune
radicali innovazioni” che diedero al progetto “una impronta originale,
non solo nella forma molto più sobria e concisa delle leggi straniere,”
(che – è bene sin da subito notarlo – sarebbe rimasta una della
caratteristiche della disciplina della società a responsabilità limitata
per come dettata nel codice civile, anche dopo l’ultima riforma
organica) “ma anche nella sostanza delle norme regolatrici” (così la
Relazione dovuta all’Asquini, poi pubblicata anche in ASQUINI [1939],
231 ss.). Si trattava, infatti, di un modello fortemente distinto rispetto
alla società anonima e caratterizzato anche dalla presenza di precisi
caratteri personalistici, sicché a giusta ragione lo si percepiva come
collocato in posizione intermedia tra le società anonime e quelle
personali (MOSSA [1953], 74 s.; GRAZIANI [1963], 443 s.; CAGNASSO
[1971], 547 ss.; ID. [2007], 8 s.; UNGARI [1974], 77 e 80; SANTINI
[1992], 9; RIVOLTA [1980], 496 ss.; ZANARONE [1985], 56 ss.;
PAOLUCCI [1985], 254 nt. 7; RACUGNO [1990], 1043 nt. 2; COTTINO
[2006], 598; CAGNASSO-IRRERA [1997], 184; MONTAGNANI [2008],
35). La società a garanzia limitata non può avere più di venticinque
soci e deve avere un capitale sociale minimo di 50.000 lire (sicché il
valore nominale minimo della quota, peraltro normalmente diseguale,
è di 2000 lire) (art. 144); il conferimento deve essere interamente
liberato al momento della costituzione e di ciò sono solidalmente
responsabili tutti i soci (art. 145; su tale aspetto, considerato centrale
anche nella valutazione critica dei successivi progetti, cfr. MOSSA
[1927], 208 ss.; ID. [1953], spec. 75, 77 s. e 81 s.); l’alienazione delle
partecipazioni è per legge soggetta alla prelazione degli altri soci (art.
146); la pubblicità delle persone dei soci è massima, essendo il libro
dei soci ispezionabile da chiunque (art. 149); la previsione dell’organo
di controllo è solo facoltativa (art. 156, su cui le critiche di ASCARELLI
[1924], 464).
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[21] Sul progetto si sviluppò un vasto dibattito in sede politica e
istituzionale (riassunto nella Relazione al successivo Progetto della
Commissione Reale del 1925: v. ASQUINI [1939], 246; cfr. anche per
più minuti dettagli DE SEMO [1924], 89 s.; CONFEDERAZIONE
GENERALE DELL’INDUSTRIA ITALIANA [1925], 189 ss.; CASICCIA
[1927], 3 ss.; CAGNASSO [1971], 549; UNGARI [1974], 84 s.; RIVOLTA
[1980], 497 s.; ZANARONE [1985], 61) e un importante movimento di
studi, tra i quali deve segnalarsi almeno quello di Ascarelli
(ASCARELLI [1924], spec. 447 ss., che fu la sua prodigiosa tesi di
laurea, e su cui v. STELLA RICHTER [2009], 1273 ss.), nonché le
osservazioni di Bonelli (BONELLI [1923], 523 s.). La maggioranza
delle voci si manifestò favorevole all’introduzione del nuovo tipo (o,
come si tendeva a dire in allora, forma) di società.
[22] Soluzione non difforme da quella del progetto del 1922
prevedeva il Progetto preliminare di codice di commercio della
Commissione reale per la riforma dei codici del 1925 (lo si legge
anche in Progetti Preliminari del libro delle obbligazioni, del codice
di commercio e del libro del lavoro [1942], vol. IV), progetto redatto
dalla Sottocommissione B, presieduta da Mariano d’Amelio, e
largamente dovuto ad Alberto Asquini. Sul progetto del 1925, oltre ad
ASQUINI [1939], 246 ss., si vedano almeno JONA [1927], 56 ss.;
CASICCIA [1927], 90 ss.; MOSSA [1927], 195 s. e 208 ss.; ID. [1953],
75 ss.; BRUNETTI [1949], 621 s.; ID. [1950], 10; GRAZIANI [1963], 444
s.; CAGNASSO [1971], 549 s.; ID. [2007], 9; UNGARI [1974], 87;
RIVOLTA [1980], 498; ZANARONE [1985], 56 ss.; MONTAGNANI
[2008], 36 ss. Anche in questo caso si ebbe un progetto “originale
anche per la brevità e l’economia del suo testo” (ASQUINI [1939],
249): constava infatti di soli dodici articoli (escluse le norme comuni
ad altri tipi sociali). I caratteri distintivi rispetto alla società anonima
erano fors’anco accresciuti rispetto a quanto non fosse nel progetto del
1922 (MOSSA [1927], 211; RIVOLTA [1980], 498; ZANARONE [1985],
58; SANTINI [1992], 10). In ogni caso, si trattava di società con un
numero massimo di venticinque soci (artt. 147 e 150), capitale non
inferiore a cinquantamila lire, che doveva essere interamente liberato
all’atto della costituzione (art. 148), con un regime dispositivo del
trasferimento delle quote che prevedeva la prelazione a favore dei
consoci (art. 149), una amministrazione riservata ai soci (art. 153) e la
previsione sempre facoltativa di un consiglio di sorveglianza (art. 156;
sulla vicenda di questa specifica previsione cfr. l’ampio studio di
MONTAGNANI [1988], 148 s.).
[23] Nel frattempo, il r.d. 4 novembre (la scelta della data di
promulgazione non fu probabilmente casuale) 1928, n. 2325 (recante
“Disposizioni per l’unificazione legislativa nei territori annessi al
Regno”) previde che, fino a nuove disposizioni generali (che non
sarebbero intervenute, come è noto, sino al 1942), restassero in
vigore, nelle province annesse (e cioè quelle della Venezia Giulia e
Tridentina, e per l’esatta determinazione della estensione di questi
territori anche in relazione al successivo regime transitorio v.
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PORTALE [1993], 656), la legge austriaca del 6 marzo 1906 sulla
“società a garanzia limitata” (e cioè la GmbHG nella sua traduzione
ufficiale) e le ordinanze complementari in quanto non fossero state
abrogate o derogate dopo l’annessione (art. 3). Al riguardo cfr.
BRUNETTI [1950], 3; GRAZIANI [1963], 441; PAOLUCCI [1985], 253
nt. 1; SANTINI [1992], 2 s.; PORTALE [1993], 655 s.; CAGNASSOIRRERA [1997], 184.
[24] Inoltre, col medesimo r.d. n. 2325 del 1928 si dispose che le
società commerciali, e quindi anche le GmbH di diritto austriaco,
iscritte nel registro di commercio anteriormente all’entrata in vigore in
quei territori del codice di commercio italiano, si dovevano
considerare regolarmente costituite agli effetti del codice medesimo,
senza adempimento di altre formalità (art. 39, comma 1). Se dunque il
4 novembre 1918 si proclamava che “i resti di quello che fu uno dei
più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza
le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza”, dopo
esattamente dieci anni si decise di tenere da noi le società commerciali
del “nemico” e di consentire che si continuasse a costituirne, secondo
la legge austriaca, nelle Province irredente. Di tale possibilità la
pratica fece, in effetti, ampio ricorso sol che si consideri che nel
decennio 1931-1940 furono ben 658 le nuove GmbH costituite nelle
Venezie Giulia e Tridentina (dati nella Relazione al Re sul codice
civile del 1942, n. 1004, e in SOPRANO [1941], 398 s.; dati più
risalenti, ma confermanti la grande fortuna della società a garanzia
limitata nella Venezia Giulia, in CASICCIA [1927], 59). D’altra parte –
come non mancò di notare l’Asquini col suo proverbiale acume – che
ci fosse una esigenza di disciplina della “società a garanzia limitata”
in Italia era documentato dalla circostanza che “talune imprese del
Regno, per poter assumere [tale] forma, hanno già imparato la via di
costituirsi a Trieste, pure avendo la sede del proprio esercizio nelle più
lontane regioni d’Italia” (ASQUINI [1939], 248), così anche attestando
un risalente esempio di concorrenza o competizione tra leggi
societarie (e v. anche UNGARI [1974], 87).
[25] Al riguardo di tutte queste società “a garanzia limitata” – e cioè
quelle costituite prima della annessione e quelle costituite dopo –
converrà pure rapidamente rammentare come esse siano
sopravvissute, almeno in linea teorica, sino alla recente riforma
organica del 2003 (che tale tipo sociale fosse sopravvissuto fino ad
allora è affermato da PAOLUCCI [1985], 253 nt. 1; RACUGNO [1990],
1043 nt. 2; SANTINI [1992], 2 ss. testo e nt. 4; PORTALE [1993], 655 s.,
il quale ultimo però dubita che residuassero in Italia, alla data in cui
scriveva, esemplari concreti di “società a garanzia limitata”). Infatti,
quando nel 1942 si introdusse in modo generalizzato il tipo della
“società a responsabilità limitata” (v. infra Nr 29), si dispose anche
con l’art. 216 delle disposizioni di attuazione e transitorie che: “le
società a garanzia limitata” (e quindi proprio le GmbH costituite in
forza della legge austriaca del 1906) “esistenti al giorno dell’entrata in
vigore del codice nella Venezia Giulia e Tridentina, a norma del R.
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decreto 4 novembre 1928, n. 2325, se non hanno provveduto a
conformarsi al codice entro il 30 giugno 1945, sono soggette, a
decorrere dal 1° luglio 1945, alle nuove disposizioni sulla società a
responsabilità limitata”. La norma transitoria fu però nel 1950, ma con
effetto retroattivo, prorogata “fino all’attuazione della revisione del
codice civile” (art. 1, l. 18 ottobre 1950, n. 920): revisione attuatasi
appunto – a nostro parere (STELLA RICHTER [2004-a], 13 s.) – solo con
la riforma organica recata dal d.lgs. n. 6 del 2003.
[26] Tuttavia, i movimenti di riforma, che avevano reclamato una
introduzione generalizzata del nuovo tipo della società a garanzia
limitata (supra Nrr 19-22), subirono un deciso ridimensionamento (si
vedano anche le critiche di RICCA-BARBERIS [1927], V; e, più
diffusamente, di CASICCIA [1927], 5 e 105 ss.; ma v. anche la convinta
adesione di JONA [1927], 60 ss. e si ricordi sempre il più risalente, ma
nettissimo e lucidissimo sostegno di ASCARELLI [1924], 447 ss.;
sull’argomento cfr. ora MONTAGNANI [1984], 70 e EAD. [2008], 39 s.).
Cominciò allora a prevalere l’idea che, in luogo della previsione di un
tipo genuinamente intermedio tra società anonime e di persone,
sarebbe stato preferibile disciplinare in maniera meno embrionale
l’anonima per quote (si veda, ad esempio, la proposta di CASICCIA
[1927], 114 ss.). Nel 1934, lo stesso Vivante (che, come è noto e come
si è detto, aveva presieduto la Commissione, la quale per prima aveva
propugnato il recepimento in Italia della società a garanzia limitata)
preferì più semplicemente pensare a “una forma di società anonima a
scartamento ridotto che, pur giovandosi della responsabilità limitata,
assuma una forma modesta e adeguata a un’attività ristretta di pochi
soci, estranea alle speculazioni di borsa”, e limitarsi a pensare di
“ospitare nel codice una seconda specie di anonima, libera
dall’ingombrante architettura delle anonime per azioni, tanto più che
nessun gruppo d’interessati è sorto nel nostro paese per reclamare il
riconoscimento di un nuovo tipo di società con garanzia limitata; anzi
si raccolsero in proposito le critiche del Consiglio Superiore
dell’Economia nazionale… e le Relazioni contrarie della Camera dei
Deputati, mentre da ogni parte si chiede il riconoscimento di società
anonime a scartamento ridotto. Per fornirle di una struttura vitale,
senza creare un nuovo tipo di società, basta indicare quali sono le
regole delle anonime per azioni che non si applicano alle anonime per
quote, senza correre dietro, per spirito d’imitazione straniera, alla
tanto discussa e criticata società a garanzia limitata…” (VIVANTE
[1934], 312, enfasi aggiunta. Poi v. anche ID., [1935], 2 s., e al
riguardo cfr. SOPRANO [1934], 236; ASCARELLI [1936], spec. 24 ss.;
FERRI [1936], spec. 80 s.; CAGNASSO [1971], 550 s.; UNGARI [1974],
103 s.; ZANARONE [1985], 61 s.). Questa (ulteriore) proposta del
Vivante costituisce comunque un progresso nella divaricazione tra i
tipi di società di capitali rispetto al sistema del codice di commercio
del 1882: infatti, il ricorso alla forma della anonima per quote è
imposto per le società il cui capitale non raggiunga i due milioni di
lire.
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[27] Si giunge così alla grande stagione delle riforme dei codici di
diritto privato (civile, commerciale e processuale civile). Il progetto
di codice di commercio del 1940, redatto dalla sottocommissione
presieduta da Alberto Asquini, prevede una disciplina autonoma per la
società a responsabilità limitata (artt. 329-341; Progetti preliminari
[1942], vol. IV). Altri avrebbe preferito chiamarla “società per quote”
(BRUNETTI [1949], 620 s.). Si tratta (così come era stato nel 1922 e nel
1925) di un regime oltremodo sobrio (13 articoli in tutto; e cfr. il § 68
della Relazione accompagnatoria: “ho… ritenuto di svincolarmi dai
prolissi modelli della legislazione straniera in questa materia”). La
disciplina della s.r.l. è largamente plasmata su quella delle società
azionarie attraverso specifici rinvii (forma dell’atto costitutivo,
procedimento di costituzione, modificazioni dell’atto costitutivo,
regime dei conferimenti, amministrazione della società, bilancio, ecc.)
e, comunque, per mezzo di una norma di chiusura (art. 341: “Per
quanto non disposto nel presente titolo, si applicano alla società a
responsabilità limitata le disposizioni dettate per la società per azioni,
in quanto compatibili”). È previsto che un numero minimo di soci (tre)
in sede di costituzione della società. Oltre ad un capitale minimo si
prevede un capitale massimo (un milione di lire: art. 320). L’atto
costitutivo poteva stabilire che, in caso di insolvenza della società,
ciascun socio rispondesse delle obbligazioni sociali, oltre che con la
propria quota, “per una somma multipla dell’ammontare della quota
stessa” (art. 340). Si tratta comunque di un modello assai più vicino a
quello della società per azioni che a quello delle società organizzate su
base personale e questo tutto sommato in linea con il dichiarato
intento dell’autore: “Ho cercato… di adeguare lo schema della società
per azioni a questa più modesta forma associativa, traendo a tal fine
qualche spunto dalla disciplina della società in nome collettivo e
procurando di contemperare così l’esigenza della responsabilità
limitata, che è viva anche per le minori imprese, con quella della
maggior snellezza di forma, che ritengo indispensabile per il buon
funzionamento di queste e con quella considerazione della persona dei
soci che è istintiva in chi entra in rapporti con una impresa sociale di
modeste proporzioni” (Relazione, § 68, in Progetti preliminari [1942],
vol. III, 99).
[28] Il contenuto del progetto del 1940 di Asquini fu – in seguito al
noto revirement sulla unificazione dei codici di diritto privato (su cui
si vedano almeno: ASQUINI [1953]; VASSALLI [1960]; OPPO [2000],
ove anche testimonianza dell’incontro tra lo stesso Asquini e il Capo
del governo) – trasfuso, senza rilevanti modificazioni e con qualche
aggiustamento di carattere tecnico, nel Progetto preliminare del
libro dell’impresa e del lavoro (Progetti preliminari, vol. V, 130 ss.;
su cui anche BRUNETTI [1949], 622; GRAZIANI [1963], 445; CAGNASSO
[1971], 551 S.; RIVOLTA [1980], 501; SANTINI [1992], 11;
MONTAGNANI [2008], 40 s.).
[29] Ma, in occasione della approvazione di quel Libro quinto del
codice civile (r.d. 30 gennaio 1941, n. 17), furono, rispetto al progetto,
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apportate significative modificazioni, che comportarono l’abolizione
di ulteriori tratti differenziali rispetto alla società per azioni, tra i quali
il limite massimo del capitale, la obbligatorietà del collegio sindacale
in caso di capitale eccedente il milione di lire e la possibilità di
prevedere la responsabilità sussidiaria dei soci per un multiplo della
quota, in caso di insolvenza della società. Si trattò, dunque, di un
deciso ritorno al noto schema della tradizionale società di capitali e a
un definitivo abbandono del progetto, a lungo coltivato, di
introduzione di una forma intermedia tra le società di capitali e quelle
di persone (cfr. i vari giudizi e le molte diverse letture della intera
vicenda storica svoltasi nella prima metà del XIX secolo in BRUNETTI
[1949], 631 s. e 634 s.; GRAZIANI [1963], 443 ss.; CAVAZZUTI [1970],
683; RIVOLTA [1980], 499 ss.; ID. [s.d.], 1 s.; ZANARONE [1985], 56
ss.; MONTAGNANI [1984], 59 ss.; EAD. [2008], 38 ss.; PAOLUCCI
[1985], 255 nt. 8; RACUGNO [1990], 1043 nt. 2; SANTINI [1992], 8 ss.;
COTTINO [2001], 389; CAGNASSO-IRRERA [1997], 184; e, soprattutto,
CAGNASSO [1971]. Pure da rileggere, se non altro per la immaginifica
prosa e la verve polemica, MOSSA [1953], 80 ss.). Per seguire la
riassunta evoluzione si sono confrontati: gli artt. 353-366 delle bozze
provvisorie del Libro del lavoro del 1940 (MINISTERO DI GRAZIA E
GIUSTIZIA [1940], 89 ss.); gli artt. 410-445 delle III bozze provvisorie
del Libro dell’impresa e del lavoro del 1941 (MINISTERO DI GRAZIA E
GIUSTIZIA [1941-a], 109 ss.); gli artt. 416-443 delle IV bozze
provvisorie del Libro dell’impresa e del lavoro del 1941 (MINISTERO
DI GRAZIA E GIUSTIZIA [1941-b], 104 ss.); gli artt. 416-443 delle VI
bozze definitive del Libro del lavoro del 1941 (MINISTERO DI GRAZIA
E GIUSTIZIA [1941-c], 109 ss.).
III. Le vicende della disciplina della società a responsabilità
limitata dal 1942 al 2003
[30] Dopo la promulgazione del codice civile la disciplina della
società a responsabilità limitata subì alcune modificazioni; nella più
parte dei casi ciò avvenne in occasione dell’attuazione in Italia delle
direttive comunitarie in materia societaria.
[31] Recependosi (con il d.P.R. 29 dicembre 1969, n. 1127) la prima
direttiva (n. 68/151 del marzo 1968), fu previsto che gli atti
costitutivi (e statuti) delle società a responsabilità limitata dovessero
essere pubblicati nel Bollettino ufficiale delle società per azioni e a
responsabilità limitata (art. 2497-bis) e si richiamarono le nuove
norme dettate per le società azionarie in materia di poteri di
rappresentanza degli amministratori.
[32] Con la legge 16 dicembre 1977, n. 904 (art. 11), fu aumentato il
capitale sociale minimo dalle originarie cinquantamila lire (che era
divenuta, a causa della inflazione, somma di nessun significato) a
venti milioni di lire (art. 2474; e cfr. NICCOLINI [1981]), ma senza
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contemporaneamente adeguare al diminuito potere di acquisto della
moneta il valore minimo della quota, che rimase fissato nell’originario
importo di mille lire, così profondamente alterandosi il significato
della originaria prescrizione codicistica.
[33] In occasione del recepimento della seconda direttiva (n. 77/91
del 13 dicembre 1976), avvenuto con d.P.R. 10 febbraio 1986, n. 30,
fu previsto che si dovesse indicare nell’atto costitutivo anche
l’importo delle spese per la costituzione poste a carico della società
(art. 2475, comma 1, n. 10; e cfr., anche per gli ulteriori riferimenti,
STELLA RICHTER [2004-b], 263 ss.); si richiamarono le nuove
disposizioni sui conferimenti di beni in natura e di crediti e sugli
acquisti così detti pericolosi dettate in materia di società azionarie; fu
ampliato l’ambito del divieto di operazioni sulle proprie quote (art.
2483).
[34] Il recepimento della quarta e settima direttiva societaria sui
conti annuali e consolidati (attuato con d.lgs. 9 aprile 1991, n. 127),
oltre ad incidere di riflesso sul regime delle società a responsabilità
limitata (art. 2491 che rinvia alla disciplina del bilancio delle società
azionarie), comportò specifiche modificazioni in punto di presupposti
per la obbligatorietà del collegio sindacale (art. 2488).
[35] Con il d.lgs. 3 marzo 1993, n. 88 fu recepita la dodicesima
direttiva in materia societaria (Dir. 89/667/CEE sulla società a
responsabilità limitata con un solo socio). Si trattò, prima della
riforma organica delle società di capitali del 2003, della più profonda
riforma del diritto della società a responsabilità limitata e costituì la
sua più significativa innovazione anche per le implicazioni che
comportò sul sistema (per una approfondita disamina di tutte le novità
che tale d.lgs. recò v., anche per ulteriori riferimenti, IBBA [1995]).
[36] Sempre nel 1993 (l. 12 agosto 1993, n. 310, recante “norme per
la trasparenza nella cessione di partecipazioni e nella composizione di
della base sociale delle società di capitali…”) si modificò il regime di
circolazione delle quote, imponendosi che il deposito dell’atto di
trasferimento, sottoscritto in forma autentica, nel registro delle
imprese precedesse la sua annotazione nel libro dei soci (artt. 2479 e
2479-bis; su cui v. ANGELICI [1994]; FERRI jr [1994]; SPADA [1994]).
Inoltre, si modificò il regime della pubblicità della composizione della
compagine sociale (art. 2493; su cui cfr. STELLA RICHTER [1994]).
[37] In occasione della introduzione dell’euro nel nostro
ordinamento (d. lgs. 24 giugno 1998, n. 213) si dovettero modificare
le disposizioni sul capitale sociale minimo (che divenne pari a 10.000
euro), sul valore delle quote e sul loro potere di voto (valore e poteri
ragguagliati all’euro o ai suoi multipli interi), e sulla contabilità (per
approfondimenti dei problemi conseguenti e per le questioni di diritto
transitorio: STELLA RICHTER [2000]; ID. [2001-b]; ID. [2002-a]; ID.
[2002-b]).
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[38] Infine, la l. 24 novembre 2000, n. 340, riformando in chiave
semplificatrice il regime delle omologazioni societarie (per i dettagli
cfr. STELLA RICHTER [2001-a]) e abolendo il Bollettino ufficiale delle
società per azioni e a responsabilità limitata, incise anche sulla
disciplina della società a responsabilità limitata (artt. 2475, comma 2,
2475-bis, comma 4, e rubrica dell’art. 2497-bis).
[39] Naturalmente nell’oltre mezzo secolo che va dalla promulgazione
del codice civile all’ultimo movimento riformatore che sfociò nella
attuale disciplina della nuova società a responsabilità limita (v. infra,
Nrr 40 ss.) non mancarono riflessioni e dibattiti sulla opportunità di
modificare il regime codicistico della s.r.l. (e questo con un intervento
di tipo organico ulteriore rispetto alla serie pur nutrita, ma comunque
episodica, dei provvedimenti fin qui passati in rassegna: supra, Nrr 31
ss.). Ci si riferisce in particolare al Progetto De Gregorio, così detto
dal nome del presidente della Commissione di studio che lo elaborò
(Schema di disegno di legge concernente la riforma della disciplina
delle società commerciali [1966] e v. anche La riforma delle società
di capitali in Italia [1968], vol. III, 1577 ss. e 1637 ss.). Esso, tra
l’altro, prevedeva: un ammontare minimo e uno massimo di capitale
sociale (art. 51); un più preciso regime della limitazione o esclusione
statutaria della circolazione delle quote (art. 52); la possibilità in taluni
casi di fare ricorso, in luogo di deliberazioni assembleari, a decisioni
dei soci non adottate con metodo collegiale ma scaturite da
concordanti dichiarazioni scritte (art. 55; e v. MONTAGNANI [1984], 76
s.); la istituzione sempre e solo facoltativa del collegio sindacale (art.
57; e v. MONTAGNANI [2008], 57 ss.). Per il resto dovevano continuare
a valere le originarie norme del codice civile. Nel complesso il
Progetto rappresentò, dunque, un tentativo di ritorno a soluzioni non
distanti da quelle propugnate nel primo dopo-guerra e segnatamente
nel progetto del 1922 (CAGNASSO [1971], 555; ID., [2007], 9). E cfr. i
rilievi variamente critici di SANTINI [1966], 45 ss.; ID. [1992], 13 s.;
COTTINO [s.d.], 117 ss.; POMPEI [1968], 1263 ss.; CAVAZZUTI [1970],
684 s. Al riguardo v. pure MONTAGNANI [1984], 72 ss.; EAD. [2008],
57 ss.; e il cenno di RACUGNO [1990], 1043 nt. 2. L’intendimento era
infatti quello di rafforzare il carattere personale della s.r.l. e porre tale
tipo in posizione effettivamente intermedia tra società di persone e
società azionarie (v. FERRARA [1966], 4 e 30 s. e NICOLÒ [1980],
1642: “non vi è dubbio che le società a responsabilità limitata, se
devono avere una autonoma ragione di essere, la devono avere in
funzione di una disciplina più semplice che accentui l’elemento
personale, e che non sia una ripetizione in chiave quantitativamente
ridotta di quella propria delle società per azioni”).
IV. La società a responsabilità limitata nella riforma organica del
diritto delle società di capitali e le conseguenze della introduzione
della nuova disciplina
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[40] Preceduta da un intenso dibattito e da alcune proposte di legge di
delega per la riforma del diritto societario (che sono raccolte e si
leggono in La riforma del diritto societario, 341 ss.) e forte dei
risultati raggiunti da un commissione ministeriale di studio all’uopo
istituita nel corso della XIII legislatura, la legge 3 ottobre 2001, n.
366, imponeva al legislatore delegato di “prevedere due modelli
societari riferiti l’uno alla società a responsabilità limitata e l’altro alla
società per azioni, ivi compresa la variante della società in
accomandita per azioni” (art. 2, lett. f). La legge, inoltre, dedicava alla
società a responsabilità limitata il suo intero art. 3 e istruiva il governo
ad adottare una riforma della disciplina di quel tipo che fosse ispirata
ai seguenti principi generali: “a) prevedere un autonomo ed organico
complesso di norme, anche suppletive, modellato sul principio della
rilevanza centrale del socio e dei rapporti contrattuali tra soci; b)
prevedere un’ampia autonomia statutaria; c) prevedere la libertà di
forme organizzative, nel rispetto del principio di certezza nei rapporti
coi terzi”. Appena il caso di sottolineare in questa sede il ruolo
centrale che nella intera riforma avrebbe dovuto assumere (come poi
in effetti ha assunto) “l’intento di dare al modello della società a
responsabilità limitata una reale autonomia di disciplina e di renderlo
in tal modo adeguato ad esigenze… diverse dalle altre tipicamente
presenti nella società per azioni”, le esigenze cioè delle imprese
minori (ANGELICI [2006], 15 s.).
[41] Subito dopo la promulgazione della legge di delega, il Ministro
della giustizia nominò una “Commissione per l’attuazione della
delega in materia di riforma organica del diritto societario”;
presidente ne fu il Sottosegretario alla Giustizia, on. Michele Vietti
(d.m. 10 ottobre 2001; la commissione sarebbe stata successivamente
integrata con altri componenti per mezzo dei decreti ministeriali del
30 ottobre 2001, 5 dicembre 2001, 1° febbraio 2002 e 12 aprile 2002).
Già in occasione della prima riunione della Commissione, tenutasi il
30 ottobre 2001, furono istituiti alcuni “gruppi di lavoro” (o
“sottogruppi”): il primo (che diverrà alla fine dei lavori il quinto) era
dedicato proprio alla “società a responsabilità limitata” e di esso il
presidente della Commissione chiamò a far parte il prof. Agostino
Gambino (con funzioni di coordinatore), il prof. Carlo Angelici, il
prof. Andrea Di Porto e l’avv. Mauro Pizzigati (cfr. verbale in La
riforma del diritto societario [2006], 562). Il prof. Gambino venne
subito sostituito nella funzione di coordinatore dal prof. Angelici, il
quale già nella riunione plenaria del 29 gennaio 2002 sottoponeva alla
Commissione uno schema di 25 articoli (che si legge in La riforma del
diritto societario, 602 ss.) e lo illustrava diffusamente (cfr. il
resoconto della riunione in La riforma del diritto societario [2006],
612 ss.). Il gruppo di lavoro, successivamente integrato col prof.
Daniele U. Santosuosso e col dott. Carlo Saggio, avrebbe ricevuto dai
vari componenti della Commissione solo cinque ordini di osservazioni
(tutte di dettaglio e tutte pubblicate in La riforma del diritto societario
[2006], 3072 ss.) prima delle riunioni per la discussione del testo
finale dei decreti delegati (12 settembre 2002 e 25 novembre 2002).
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Altre osservazioni erano contenute nei pareri, obbligatori e non, sulla
bozza di decreto legislativo (li si vedano in La riforma del diritto
societario [2006], 3245 ss.).
[42] La riforma organica della società a responsabilità limitata è
finalmente realizzata dall’art. 3 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, che
introduce nel codice civile trentaquattro articoli essenzialmente nuovi
(numerati da 2462 a 2483), oltre ad alcune disposizioni transitorie e di
attuazione. I nuovi articoli del codice rispecchiano fedelmente il
risultato del lavoro della Commissione e sono sostanzialmente opera
del coordinatore del relativo “gruppo di lavoro”.
[43] La nuova disciplina “muove nella direzione di una integrale
revisione di tale modello societario” (i.e. della società a responsabilità
limitata) e “intende offrire agli operatori economici uno strumento
caratterizzato da una significativa ed accentuata elasticità e che,
imperniato fondamentalmente su una considerazione delle persone dei
soci e dei loro rapporti personali, si volge a soddisfare esigenze
particolarmente presenti nell’ambito del settore delle piccole e medie
imprese”: sicché “la società a responsabilità limitata cessa di
presentarsi come una piccola società per azioni ed abbandona la
tradizione del nostro ordinamento che ne faceva risalire il più
immediato antecedente storico alla anonima per quote. Essa si
caratterizza invece come una società personale la quale perciò, pur
godendo del beneficio della responsabilità limitata…, può essere
sottratta alle rigidità di disciplina richieste per le società per azioni”:
così la Relazione illustrativa allo schema di d.lgs. (sub § 11, paragrafo
che tutto riveste il massimo interesse per l’interprete; la Relazione è
pubblicata anche in La riforma del diritto societario [2006], 247 ss.).
[44] La nuova disciplina è in vigore dal 1° gennaio 2004.
Successivamente, l’art. 5 del d. lgs. 6 febbraio 2004, n. 37, ne ha
apportato marginali correzioni. Ulteriori modificazioni di dettaglio
sono state poi recate dal d.lgs. 28 dicembre 2004, n. 310 (che ha inciso
sugli artt. 2468, comma 5, e 2479-ter, comma 3) e dal d.lgs. 28 marzo
2007, n. 51 (che ha toccato l’art. 2468, comma 1).
[45] Di maggiore momento sono le ultime due novelle. E cioè
anzitutto quella che ha comportato la abrogazione (almeno sul piano
della previsione legislativa) del libro dei soci (si allude al d.l. 29
novembre 2008, n. 185, convertito in l. 28 gennaio 2009, n. 2). Si è
infatti profondamente inciso sulle disposizioni relative a trasferimento
ed espropriazione delle quote (artt. 2470, 2471 e 2472).
[46] Così come assai significativa appare, per lo stesso regime della
società a responsabilità limitata, la riforma del regime generale della
revisione legale dei conti, recata dal recentissimo d.lgs. 27 gennaio
2010, n. 39 (con il quale si è data attuazione alla direttiva
2006/43/CE). Al riguardo, qui può solo segnalarsi la modificazione
degli artt. 2463, comma 2, n. 8, 2465, comma 1, 2477, 2478, comma
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1, n. 4, 2479, comma 2, n. 3, e 2482-bis, commi 2 e 4, oltre che di
numerose altre disposizioni del codice richiamate in tema di società a
responsabilità limitata.
[47] L’entrata in vigore di un regime radicalmente mutato e, dunque,
nuovo per la società a responsabilità limitata, quale quello del d.lgs.
17 gennaio 2003, n. 6, è stata accolta con favore dalla pratica come
confermano i dati desumibili dai registri delle imprese. Nei primi sei
anni di vigenza del nuovo modello di società le costituzioni di s.r.l.
sono sempre state in aumento e codesto tipo sociale appare sempre più
come il più utilizzato in assoluto (dati in STELLA RICHTER [2008],
279; e cfr. ora con più ampio sviluppo, anche per ulteriori riferimenti,
ZANARONE [2010], 123 ss., dove anche annotazioni di carattere
critico).
[48] La introduzione di una disciplina radicalmente nuova ha però
anche posto delicati problemi. Primo tra tutti quello legato alla tutela
dei soci dissenzienti, nel caso in cui una società, istituita sotto il
vecchio regime, decida di modificare il proprio statuto avvalendosi,
con decisione presa a semplice maggioranza, di “potenzialità” per la
prima volta prevedute dalla nuova disciplina. In casi di questo tipo si
confrontano due opposti interessi: da un lato, quello di rendere
accessibili, nel pieno rispetto del principio di continuità del rapporto
sociale (principio ribadito e anzi esaltato dalla riforma, come dimostra
l’ampliamento delle ipotesi di trasformazione), le ulteriori possibilità e
la accresciuta “flessibilità” della nuova società a responsabilità a tutti
gli esemplari di tale tipo sociale già esistenti; dall’altro lato, l’interesse
dei soci (di minoranza) che avevano fatto affidamento nell’aderire al
rapporto sociale su una certa cornice di norme imperative; cornice,
tuttavia, venuta meno con l’entrata in vigore della riforma. In questa
prospettiva, ci era sembrato di non potere escludere che il concreto
ricorso a scelte tipologicamente difformi ai caratteri della “vecchia”
società a responsabilità limitata avrebbe potuto integrare una causa di
recesso per i soci non consenzienti (STELLA RICHTER [2003], 189, la
proposta ha ricevuto l’adesione di SPADA [2004], 47, e, sembrerebbe,
anche di MONTAGNANI [2003], 642). Ovviamente una siffatta proposta
interpretativa comporta un certo margine di opinabilità; soprattutto
ove si consideri la difficoltà di individuare con precisione le
modificazioni dell’atto costitutivo comportanti un mutamento
tipologicamente rilevante della organizzazione sociale e ove si abbia
presente la controindicazione di aprire nuovi spazi di disinvestimento
da intraprese economiche e produttive.
17
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