Agostino: il nodo della verità L Parolacce e
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Agostino: il nodo della verità L Parolacce e
SOCIETÀ P A G I N A 5 FATTIePROBLEMI IL SETTIMANALE DELLA DIOCESI DI COMO - 6 FEBBRAIO 2010 LA «FICTION» TRASMESSA SU RAIUNO La libertà del vangelo e il nuovo orizzonte Agostino: il nodo della verità « I L a fiction Rai su sant’Agostino ha certamente vinto la sfida dello share televisivo nelle due serate di programmazione (i dati auditel parlano di 26,07% domenica e 24,73% lunedì). Un segno che le parabole di santità suscitano ancora interesse nei telespettatori. Ma non è l’unico aspetto positivo della produzione Lux Vide, andata in onda su Raiuno. Prima, però, mi sembra giusto segnalare il limite congenito a questo tipo di prodotti televisivi, che non per nulla si chiamano fiction e contengono, quindi una buona dose di finzione. Non ne è mancata nemmeno nel «Sant’Agostino» di Christian Duguay. Bisogna dire che Agostino di Ippona è un personaggio che, pur vissuto sedici secoli fa, gode di coordinate biografiche la cui precisione supera abbondantemente quelle di altri suoi contemporanei. Questo è dovuto alla sensibilità moderna di Agostino stesso, autore dell’autobiografia più famosa della letteratura di tutti i tempi, le Confessioni. Queste coordinate sono state in più punti disattese nella fiction televisiva, che ha amalgamato date e personaggi a vantaggio di una trama romanzata e più armonica di quanto lo sia stata la vita di Agostino. Alcuni personaggi sono di pura invenzione (come l’amico Valerio che ricompare governatore a Ippona, durante l’assedio della città da parte dei Vandali), altri sono stati caratterizzati togliendoli dall’anonimato (come Khalidà, da cui Agostino ebbe il figlio Adeodato, ma è altamente improbabi- le che la donna a cui il futuro vescovo di Ippona rimase fedele per tanti anni fosse una schiava etiope), altri ancora sono personaggi della fiction che condensano in sé più di un personaggio storico (la famosa conferenza di Cartagine del 411 vide protagonista come giudice non Ilario, ma l’incaricato imperiale Marcellino, che fu giustiziato dai romani e non assassinato dai circoncellioni, i fanatici donatisti). Forse qualche ricostruzione è stata eccessivamente libera, e sarebbe stato utile affiancare alla fiction qualche approfondimento. Ma ben più rimarchevole è il positivo servizio che questa fiction televisiva ha svolto nel presentare al grande pubblico la figura gigantesca di sant’Agostino. Intanto, è stato ampiamente centrato il nodo di tutta la vita del vescovo di Ippona: la ricerca della verità. Le parole messe sulla bocca del vescovo Ambrogio - «Non è l’uomo a trovare la verità. Deve lasciare che sia la verità a trovare lui» - sono il più bel commento dell’esperienza umana e cristiana di Agostino. Azzeccate anche alcune attualizzazioni di brani magistrali delle opere del santo, come la frase sui regni umani ridotti a «latrocinio» pronunciata in un improbabile faccia a faccia con Genserico, re dei Vandali; o l’aforisma dell’«Ama e fa quello che vuoi» calato dentro un’omelia nuziale; o il tema della città di Dio come viatico ad un morente. Grande risalto è stato dato anche alla transizione epocale, dopo il sacco di Roma del 410, che Agostino contribuì effettivamente a veicolare verso uno sbocco nuovo, segnato da un pensiero forte, di cui oggi sentiamo tutti la mancanza, in un’epoca che, per tanti versi, assomiglia al tempo di Agostino. AGOSTINO CLERICI COLPO D’OCCHIO Parolacce e sentenze ’ L ennesima, e ultima in ordine di tempo, sentenza della Corte di Cassazione in materia di linguaggio offensivo riguarda ancora una volta la locuzione che, secondo accurate statistiche, è la più usata in Italia e che incomincia con l’imperativo categorico “va’”. Insomma, ci siamo capiti. Se non bastasse, diremmo che la suddetta locuzione può tradursi graficamente e nella pronuncia in una sola parola, registrata dai vocabolari, con valore di interiezione e anche di sostantivo. Quale che sia la forma grammaticale, i supremi giudici hanno sentenziato che l’espressione in questione non si può dire ai… vicini di casa, perché “i rapporti di vicinato devono essere improntati ad un maggiore rispetto reciproco”. Una simile affermazione lascerebbe supporre che, invece, ai “lontani di casa” si può dire tranquillamente. Possibilità, questa, tutt’altro che campata in aria, visto che gli stessi giudici, in precedenti sentenze, avevano liberalizzato la medesima espressione. Non è la prima volta che le pronunce della Cassazione in materia di parolacce, frasi offensive, epiteti ingiuriosi si di- mostrano contraddittorie. Ricordiamo una sentenza dell’ottobre 2008 secondo la quale un politico può dire a un altro politico “rimbambito”, poiché “il linguaggio della polemica politica può assumere toni più pungenti e incisivi rispetto a quelli comunemente adoperati nei rapporti tra privati”. Con ciò accordando ai politici, in barba al principio che tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, il privilegio di darsi reciprocamente del “rimbambito” senza incorrere in sanzioni penali. Ma un’altra sentenza, del luglio 2009, confermava la condanna per ingiuria ad un consigliere comunale di Taormina che durante una seduta aveva detto a un collega: “Ti stai comportando da cretino”. Il consigliere si era difeso sostenendo che l’espressione “cretino” rientra nel linguaggio polemico in uso tra i politici e dunque egli aveva esercitato solo un legittimo diritto di critica politica. La Cassazione respingeva il ricorso con la motivazione che “la tesi sull’esistenza nella nostra democrazia di una superiore area (il confronto politico) in cui si sarebbe sedimentata – grazie a un lessico fatto di ingiurie reciproche – una sorta di desensibilizzazione ai termini offensivi”, non giustifica “una concezione degradante della gestione dei pubblici poteri in cui i rappresentanti della democrazia potrebbero esprimere le proprie opinioni con strumenti vietati dalla legge, invocando un trattamento di favore che costituirebbe un’inammissibile disuguaglianza dinanzi alla legge”. Insomma, per farla breve: a poco meno di un anno di distanza, “rimbambito” sì, “cretino” no. A questo punto come regolarsi? Poiché le sentenze della Corte di Cassazione in materia sono ormai numerose, in attesa di un manuale ufficiale “ad hoc”, proponiamo ai vocabolari di segnalare, dalle prossime edizioni, per ogni parolaccia e locuzione offensiva, la relativa sentenza di “liberalizzazione” dei supremi giudici, in modo che chiunque possa conoscere se quella parolaccia o locuzione offensiva può essere pronunciata liberamente ed eventualmente in quale contesto, in quale occasione e all’indirizzo di chi, senza tema di condanne penali. Fatto salvo, ovviamente, il giudizio di volgarità che è bene che i vocabolari continuino a segnalare. PIERO ISOLA l tempo che viviamo - afferma il teologo A. Matteo - segna un grande turbamento per la religione cristiana, ne provoca un forte disagio: sembra di non essere mai al suo posto, a volte di esigere troppo, altre di chiedere troppo poco. I contorni della sua teologia e della sua morale risultano oltre misura sfuocati”. Negli ultimi quaranta anni - rileva gran parte dell’umanità ha imparato a vivere senza Dio: “La sua presenza non si contraddistingue più in modo netto dentro il continente dei nostri sentimenti, all’interno di quel plesso vitale detto “anima”, “coscienza”, “interiorità”, nel quale si decide del bene o del male da compiere, rifiutare, perseguire. Dio non è più necessario… Egli, tutt’al più, è diventato un affare di Chiesa: dei preti, dei vescovi e dei teologi. Certo, ogni tanto qualche problema di tipo religioso affascina, stuzzica, sollecita dibattiti pubblici, televisivi, un “Porta a Porta”. Ma tutto questo non tocca la vita quotidiana di migliaia di persone. Sono altri gli orientamenti, altre le premesse; altre, rispetto a quelle della religione cristiana, le premesse che la determinano”. Non ci si deve meravigliare, allora, se “le chiese sono sempre più vuote. Di giovani soprattutto. I quali, in verità, non le frequentano non perché abbiano deciso in un momento puntuale della loro crescita di porsi contro la Chiesa e meno che mai contro Dio, ma perché, non avendo ricevuto dai loro genitori alcuna testimonianza circa la convenienza del cristianesimo, hanno imparato a cavarsela senza Dio”. A sua volta, G. Ravasi afferma: “Ci si è, così, progressivamente convinti che non è neppure il caso di combattere Dio, come faceva l’ateismo militante, ma è sufficiente sapere che egli è divenuto impotente ed escluso dal nostro mondo. Per questa via si è creata un’atmosfera di indifferenza, caratteristica dell’attuale città secolarizzata che non vive più né con Dio né contro Dio, ma semplicemente senza Dio”. E puntualizza: “le visioni globali che delineavano il perimetro entro cui noi siamo, ci muoviamo e operiamo e le utopie che cercavano di varcare i confini hanno lasciato il passo alla navigazione a vista, al piccolo cabotaggio o alla norma fluida imposta dalle situazioni contingenti… Da pellegrini in costante ricerca di significato capace di annodare la frammentarietà delle tappe dell’itinerario vitale, ci si è trasformati in vagabondi, senza meta, guidati solo da una frenesia che produce un esodo statico senza terra promessa”. Le provocazioni salutari non mancano. Che il nostro sia il tempo in cui I cristiani sono chiamati ad uscire da ogni forma di irrigidimento dogmatico, da ogni difesa autoreferenziale per vivere un reale confronto aperto con le culture del nostro tempo? Il tempo in cui essi propongono agli uomini e alle donne lo sguardo di Gesù, quello sguardo che invita a riconoscere la bontà e la bellezza della quotidianità della vita? Il tempo in cui vivono e propongono un cristianesimo che non fa la predica a nessuno, ma che promuove e si compiace di ogni gesto di bontà, ovunque esso germogli? Il tempo in cui essi rendono possibili per tutti nuovi cammini e nuove riprese di speranze disattese? Il tempo in cui essi creano nuovi spazi di ospitalità dentro le strutture delle comunità, spesso tentate da patologiche e narcisistiche chiusure? Che siano questi i giorni nuovi per un cristianesimo meno preoccupato di sé e più aperto ad intercettare le domande di quanti hanno iniziato o ripreso un reale cammino di ricerca e non sanno più a chi chiedere indicazioni per non perdersi? Il cristianesimo di oggi non deve temere di prendere le distanze da se stesso, da un certo stile di vita, da determinati linguaggi che non parlano più, da un rassicurante universo di concetti collaudati, ma non più compresi. Deve affrontare con scioltezza il viaggio dentro il cuore di un tempo che appare estraneo. Lontano da ogni forma di potere per essere libero di servire i poveri nella quotidianità riscattata dalla banalità. Che la svolta radicale a cui sono chiamati i credenti sia tanto nuova quanto antica: ritornare a leggere il Vangelo? E di lì ripartire per creare mentalità nuove e uomini liberi? Liberi di essere evangelici! FUORI dal CORO ARCANGELO BAGNI SANT’ANTONIO DA PADOVA: DAL 15 FEBBRAIO L’OSTENSIONE I resti mortali dei santi “sono, ieri come oggi, percepiti come segno e testimonianza di una vita vissuta in amicizia con Dio e a servizio degli uomini”, ritenuti “un ponte tra terra e cielo”. Così padre Ugo Sartorio, direttore del “Messaggero di sant’Antonio”, motiva – in una nota per il SIR la speciale ostensione del corpo di sant’Antonio da Padova, che si terrà dal 15 al 20 febbraio all’interno della basilica del Santo, prima del suo ritorno alla Cappella dell’Arca, recentemente restaurata. “Le reliquie – prosegue p. Sartorio – rendono il santo vivo e operante agli occhi degli uomini. Esse, infatti, non hanno valore nella loro materialità, ma in quanto richiamano un corpo che è traccia di una vita pienamente cristiana e, quindi, realizzata”. “Da qui – osserva il religioso – si comprende perché la gente si avvicini con fiducia ai santi e alle loro reliquie. Attraverso di esse un pezzo di eternità entra nella storia e diventa accessibile. E sono poco convincenti quelle razionalizzazioni che immaginano una fede pura, senza segni, tutta idee precise e valori buonisti. La nostra fede si fonda sull’incarnazione, realtà di spessore, concreta, che non diserta mai la storia”. “Chi si reca ai santuari ha forse una fede semplice”, ribadisce il direttore del “Messaggero”, ma sana, tenace, autentica, creativa”.