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la fonte MARZO 2010 ANNO 7 N 3 periodico dei terremotati o di resistenza umana € 1,00 a t s po Carissimo don Antonio, ho ingrandito e fotocopiato la copertina di la fonte 11. Azzeccata! E anche incomprensibile a tanti cristiani. Brutto segno. Davvero il Crocifisso non è i crocifissi? È dunque cristiano onorare il primo inchiodare al loro posto i secondi? Oggi pensavo a lei. Berlusca dice che il suo governo ha rispettato sempre i valori cristiani. Ma sa quali sono? Don Verzé benedice il sangue di Berlusca che - più o meno - ci santifica tutti, anche se lui (B) non è un santo. Ma voglio fermarmi a quel segno di speranza che è il Bambino donatoci. Guardandolo vi penso, amici. Siamo nella stessa barca di alluvionati / terremotati e, speriamo, resistenti. Con affetto e auguri a tutti gli amici. Felice Scalia S.J. Messina 24.12.2009 Carissimo, oggi ho avuto più tempo (pioggia e neve) per leggere il tuo giornale. Grazie per il tuo coraggio, è una bella sferzata all’ignavia… il potere ha addormentato tutti. Elio Benedetto Palata zare, se vi fosse gradita, sul prossimo numero di la fonte: "incrementa l'energia eolica in Puglia: aumenteranno i mulini a ... Vendola..." saluti. paolo d. [email protected] Direttore responsabile Antonio Di Lalla Tel/fax 0874732749 La rivolta di Rosarno Raccoglievano mandarini. erano giovani africani giunti a Rosarno per il lavoro stagionale. Lì, avevano trovato l’inferno: sfruttamento e degrado, una vita disumana. A sera, sui giacigli, ai ragazzi bruciava, umiliato, il cuore dell’Africa. Sognavano le loro capanne, ruminavano pensieri di libertà. Così si sono ribellati. Un branco di leoni, in cerca di prede, ruggendo con spranghe e bastoni, hanno colpito, ferito, dato fuoco, messo a soqquadro la città. Poi è tornata la calma. Gli stranieri cacciati, dispersi, relegati in campi di accoglienza. Una scintilla è stata accesa, rivendicata la dignità di uomini. Una schiera di angeli neri muniti di spranghe a mò di spade venuti a combattere il Drago. Ma la realtà è più complessa. È una lotta senza vincitori né vinti. Tutti vittime di un sistema iniquo. Ora Rosarno vive in narcotica quiete, e negli agrumeti è silenzio. Marciscono sugli alberi i frutti. Verrà la primavera. Riporterà il profumo delle zagare. Lina D’Incecco Vi suggerisco una boutade da utiliz- Il tuo sostegno ci consente di esistere la fonte ABBONAMENTI PER IL 2010 ITALIA SOSTENITORI AUTOLESIONISTI € 10,00 € 20,00 € 30,00 2 la fonte febbraio gennaio 2005 marzo2005 2010 la la lafonte fonte fontegennaio marzo Redazione Dario Carlone Domenico Ciarla Domenico D’Adamo Annamaria Mastropietro Maria Grazia Paduano Segreteria Marialucia Carlone E-mail [email protected] www.lafonte2004.it Quaderno n. 60 Chiuso in tipografia il 21/02/10 Tiratura: 1.000 copie Stampato in proprio Autorizzazione Tribunale di Larino n. 6/2004 Abbonamento Ordinario € 10,00 Sostenitore € 20,00 Autolesionista € 30,00 Estero € 30,00 ccp n. 61720645 Intestato a: Ass. C.T.B. Periodico la fonte 86040 Ripabottoni (CB) sete di giustizia Antonio Di Lalla Si può parlare di giustizia senza nominare Berlusconi? E all’inverso, si può non trattare di giustizia per non parlare del presidente del consiglio? Un binomio ormai inscindibile che da anni tiene inchiodato il parlamento, costretto ad ingoiare lodi e porcherie varie. Il paradosso è che Berlusconi ha ragione quando dice che la giustizia funziona poco e male, e i giudici non hanno torto nell’affermare che il premier deve essere sottoposto a giudizio come tutti i comuni mortali, poiché non ci può e non ci deve essere nessuno che infrange la legge e la fa franca o che addirittura si pone al di sopra di essa per cui non può essere perseguito, processato e eventualmente condannato. Chi oggi si meraviglia di Bertolaso e di come funziona la protezione civile non ha ancora capito nulla di Berlusconi il quale non a caso immediatamente ha fatto quadrato intorno all’incarnazione più completa e all’interpretazione più autentica del suo sistema. La stessa proposta di farlo ministro non era un tentativo di toglierlo dalla graticola, prima che esplodesse il marcio? Il rischio da parte nostra è l’assuefazione. A tutto. Dagli incidenti alle catastrofi, dalle furbate alla delinquenza organizzata, dai soprusi agli scandali ormai inghiottiamo tutto con una capacità digerente davvero impressionante. Più nulla ci stupisce, nausea, indigna. A uscire da questo intorpidimento per gridare la nostra fame e sete di giustizia non ci aiuta né il diritto romano che, asserendo summum ius, summa iniuria (somma giustizia è grandissima ingiustizia), porta a un relativismo pericoloso, né il cristianesimo che, poggiando su un processo iniziato male e finito peggio con la condanna a morte di un innocente e la liberazione di un malfattore, apre allo scetticismo nei confronti della giustizia giusta, come si suol dire. Ma questo rafforzativo non allude così alla possibilità antitetica di una giustizia ingiusta? Eppure quel condannato senza colpa alcuna diventa voce dei senza voce. La sua parola suonerà male per tutti coloro che hanno troppa voce. Il suo ricordo non lascia riposare in pace, nonostante i tentativi di mettere la sordina facendo incedere a braccetto trono e altare, il cavaliere e il cardinale. I crocifissi della storia continuano a identificarsi con quello del Golgota. Il 24 marzo di trent’anni fa veniva assassinato Oscar Romero, simbolo di tutti i perseguitati in odio non alla fede, ma alla giustizia. “Certamente ho paura, risponde in una delle ultime interviste, come ogni essere umano; ma sono disposto a morire per il mio popolo. E lo dico senza superbia, senza arroganza, con molta umiltà: sono certo che, se muoio, risusciterò nel popolo del Salvador”. Un presupposto basilare del diritto è: unicuique suum (a ciascuno il suo). Lo abbiamo proclamato e interpretato sempre in modo funzionale al nostro sistema di vita, per cui ha finito per legittimare interessi e proprietà, i forti contro i deboli, tanto che i ricchi se ne sono fatto scudo per difendere i privilegi carpiti o usurpati. Proviamo per una volta a leggerlo con gli occhi di chi non ha il suo, di chi forse non l’ha mai avuto, dalla parte del miliardo di persone che soffrono la fame, dalla parte dei 25 mila bambini che muoiono ogni giorno di fame, dalla parte degli 800 milioni di adulti non alfabetizzati, dalla parte di chi non ha lavoro, di chi l’ha perso, di chi è costretto ad espatriare, di chi non ha documenti, di chi è sfruttato o schiavizzato… La fanciulla di Nazaret con la sua fede tutt’altro che remissiva continua a indicarci il Dio che ha rovesciato i potenti dai troni, che ha rimandato i ricchi a mani vuote. Chi detiene il potere tenta di narcotizzarci in tutti i modi proponendo ricchezza, fascino e furbizia come ideali. Anzi è l’uomo più ricco d’Italia a proporsi ed essere accolto come mito per la metà della nazione, come mitomane per l’altra parte (pur tentata da nostalgie). Alla gente comune non resta che le domande a premio o i pacchi con la sorpresa, il superenalotto o le lotterie per eguagliarlo. Poi ci meravigliamo che la droga mieta sempre più vittime soprattutto fra i giovani, come in questi giorni a Campobasso. Non abbiamo ricette, ma vorremmo coinvolgerli e renderli partecipi della nostra sete di giustizia che ci fa pretendere che tutti siano uguali nei confronti della legge, che i tribunali siano messi in condizione di funzionare, che i processi siano rapidi e che nessuno si sottragga, ma ci fa anche gridare accanto ai marginali, agli sfruttati, agli schiavizzati, agli immigrati divenuti delinquenti per decreto perché siano riconosciuti i loro diritti. Il primo marzo ci troverà con gli immigrati nelle piazze d’Italia perché tutti i giorni lottiamo con loro affinché la dignità di ogni persona a prescindere dal colore della pelle o dai timbri sui passaporti sia salvaguardata sempre, da chiunque e comunque. ☺ abbiamo un sito nuovo (grazie a Velio Petrucci) è tutto da riempire. sono gradite visite e suggerimenti www.lafonte2004.it febbraio gennaio 2005 marzo2005 2010 la la lafonte fonte fontegennaio marzo 20 3 spiritualità uno straniero chiede giustizia Michele Tartaglia C’è un elemento che accomuna le conseguenze dell’attività e l’esito della vita di molti profeti, compreso Gesù: la persecuzione non viene da nemici di Dio, ma dall’alleanza tra il potere esercitato in nome di Dio e i gestori del culto. Nella quasi unanimità dei casi si trattava di un controllo esercitato su membri dello stesso popolo, in quanto i profeti erano sudditi dei potenti che denunciavano. C’è tuttavia l’eccezione di un uomo che profetizzava in terra straniera, denunciando le ingiustizie commesse nel paese che lo ospitava: si tratta di Amos. Questo profeta era originario del regno del sud, o regno di Giuda, ma sentì l’impulso di andare nel regno di Israele e lì profetizzare presso il santuario più importante, Betel. Leggendo il libro di Amos, si capisce perché quel profeta, seppure ospite, si scagliava contro i detentori del potere: l’ingiustizia era diventata la regola nel governo, aumentava sempre di più la distanza tra chi possedeva ricchezze e le usava per soddisfare tutte le proprie pulsioni e chi invece, ed era la maggioranza, faceva fatica a sopravvivere. Amos ricorda ai capi del popolo che il regno è nato da un atto di liberazione compiuto da Dio e deve avere come punto di riferimento la legge donata da Dio stesso, quella legge che parla di attenzione agli ultimi. Invece i vertici dello stato e i loro gregari hanno adottato uno stile di vita che produce una forte sperequazione sociale ed economica. Alla denuncia di Amos risponde, come spesso capita, chi gestisce il culto, cioè il sacerdote Amasia, che prima denuncia Amos e poi, in nome del re, lo espelle dal regno. Sentiamo il racconto: “Amasia, sacerdote di Betel, mandò a dire a Gero- 4 boamo, re d’Israele: ‘Amos congiura contro di te, in mezzo alla casa di Israele, il paese non può più sopportare le sue parole’… Amasia disse ad Amos: ‘Vattene, veggente, ritirati nella terra di Giuda; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare, ma a Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del re ed è il tempio del regno” (Am 7,10-13). Amos viene delegittimato da Amasia in quanto è uno straniero che pretende di parlare nel cuore del sistema e quindi gli viene ricordato che non ha diritto di parlare, né, potremmo parafrasare, di rubare il pane, in quanto non appartiene al popolo. In realtà il motivo è la critica al potere, ma fa comodo screditare chi parla in nome di una presunta diversità che toglie il diritto di parola. Il libro di Amos non racconta come hanno reagito i sudditi del regno, quei poveri calpestati di cui il profeta parla a più riprese, ma forse potremmo pensare che se è dovuto arrivare uno da fuori per denunciare le ingiustizie, forse quel popolo era già anestetizzato dalla retorica dei capi, spalleggiati da un potere religioso che ammantava di sacro la pratica dell’ingiustizia. Forse, chissà, quei poveri derelitti hanno anche applaudito la scomunica fatta da Amasia, in quanto vedevano in Amos lo straniero che veniva a togliere loro il pane, anziché rendersi conto che l’origine della malattia era nella spregiudicata politica di quei capi che, come dice Amos nel suo libro, “canterellano al suono dell’arpa, come Davide improvvisano su strumenti musicali; bevono il vino in larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati, ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano” (Am 6,5-6). Amos è lo straniero che prende consapevolezza dei soprusi di cui è oggetto, e tale presa di coscienza lo rende solidale verso coloro che subiscono come lui, anche se per cause diverse, la tracotanza del febbraio gennaio 2005 marzo2005 2010 la la lafonte fonte fontegennaio marzo potere; eppure non è capito, resta il profeta solitario perseguitato perché molte volte l’ingiustizia non è solo causata dall’egoismo dei pochi, ma dalla connivenza e dalla rassegnazione dei molti che, anziché fare corpo per rivendicare i propri diritti, si chiudono nell’illusoria difesa dei propri interessi, scaricando fuori di sé la colpa di quanto accade e di cui spesso si è più o meno inconsapevolmente complici. Il tentare la fortuna nelle giocate d’azzardo, inseguire il sogno di un quarto d’ora di celebrità, l’impostare i ritmi della propria vita sui tempi dello shopping, il circondarsi di gadget e orpelli, che provengono spesso da depredazioni del sud del mondo, non sono forse tutte forme di rafforzamento di un potere che produce vite di scarto che a loro volta tentano di sopravvivere correndo verso il miraggio di un riscatto e verso la concreta possibilità di mangiare che il mondo opulento possiede? Anche il regno del nord verso il quale Amos era emigrato era produttore di una ricchezza che il regno del sud si sognava e che forse ha fatto scattare in Amos la voglia di un lavoro più redditizio, vista la sua origine di imprenditore che, a causa dell’endemica povertà del sud, pensava di rifarsi al nord. È lì che, guardando la corruzione di quella società, avrà sentito il brivido dell’indignazione che lo ha portato ad avere l’irrefrenabile voglia di parlare e denunciare un sistema che diceva di onorare Dio ma calpestava i princìpi della sua legge. Amos oggi diventa il simbolo degli stranieri che si fanno carico non solo di far muovere l’economia, ma anche di svegliare dal torpore i cittadini nativi che avallano lo stravolgimento del diritto pur di inseguire il sogno di uno standard di vita che in realtà produce una miseria di ritorno, a causa dell’indebitamento crescente, trovando poi, negli stranieri, il facile capro espiatorio dei propri mali. Sappiamo che la storia non ha dato ragione ad Amasia ma ad Amos, che vedeva nella continuazione di quello stile omicida la causa principale della caduta del regno. Non sarebbe male per noi oggi, anziché fare vani richiami alle radici giudeo-cristiane dell’occidente contro le altre culture, prendere sul serio la denuncia dei profeti per non commettere gli stessi fatali errori. ☺ [email protected] cultura Sempre le generazioni adulte hanno guardato con scetticismo, se non con sospetto, al nuovo che avanza. Il nuovo che l’Italia sta sperimentando ormai da sedici anni è una dissolvenza, una nebbia in cui tendono sempre più a sbiadire valori forti e per contro ad affermarsi la crisi dello stato sociale, la incapacità di distinguere il giusto dall’ingiusto, la negazione del dissenso, ma soprattutto la diserzione civile di fronte allo spettacolo del disastro. Impegno è diventata una parola spregiativa e chi la nomina fa la fine di quel soldato di cui narra uno dei più prestigiosi filosofi del nostro tempo, Karl R. Popper, di quel soldato appunto, che un bel giorno si ritrovò da solo a marciare al passo, mentre tutti gli altri erano nel disordine e nella confusione. Orgoglio e presunzione quelli del soldato “solista”? Tralasciando l’analisi scientifica che Popper fa seguire a questo esempio, va riconosciuto al militare il merito per aver osato dissentire dal suo battaglione. Dissentire: altro termine vietato. Perché chi dissente si pone fuori da una mischia che sempre e concordemente urla le proprie convinzioni. Torna alla mente un altro “solista”, quel cavaliere inesistente di Italo Calvino dietro la cui bianca armatura si nasconde una coscienza sempre vigile e una tenace volontà di combattere. Il romanzo, è bene ricordarlo, vede protagonista un guerriero modello, il cavaliere Agilulfo, che non possiede un corpo, ma solo un’armatura che gli consente di essere perfettamente efficiente nei rituali ma lo priva dell’anima, che lo fa apparire impeccabile e allo stesso tempo inafferrabile. La situazione che stiamo vivendo ci costringe a percepirci “solisti” quando sarebbe più opportuno confrontare le opi- il soldato solo Annamaria Mastropietro nioni, valutare insieme vantaggi e svantaggi di una situazione, riconoscere i reciproci errori ed impegnarci insieme per rivitalizzare istituzioni pseudodemocratiche che populisticamente esercitano il potere solo con decisioni a maggioranza. Se si prendesse atto dell’esistenza del carattere etico della vita democratica, si uscirebbe da quella situazione di scoramento che prende quando la violenza e il clamore dei fatti ci sommerge. Cosa può il singolo a fronte della corruzione dilagante che pervade tutti i settori della vita pubblica? È possibile porre un freno alla corruzione morale? Solo se lo Stato torna ad essere il primo garante della legalità può porre un argine ai due disvalori imperanti: quello della separazione e dell’annientamento. È inaccettabile assistere quotidianamente alla trasgressione della legge, al trionfo della furbizia, della disonestà, del cinismo e dell’avidità. Se ci si guarda intorno, ammesso che sia ancora possibile incrociare uno sguardo, si incontrano volti inespressivi. E gli occhi, un tempo specchio dell’anima, assomigliano sempre più a quelli di una rana. La similitudine va spiegata: l’occhio della rana percepisce solo il movimento per cui l’animale può morire di fame in mezzo alle mosche morte perché il suo occhio non le vede quando sono immobili; se c’è un filo d’aria l’occhio vede le ali muoversi, e l’animale fa scattare la lingua per mangiare le piccole prede. Rischiamo di diventare tutt’uno col sistema imperante e, per dirla con le parole di Calvino “di non fare più attrito con nulla, di non avere più rapporto con ciò che ci sta febbraio gennaio 2005 marzo2005 2010 la la lafonte fonte fontegennaio marzo intorno”. Apriamo le finestre, lasciamo entrare il filo d’aria, attiviamo il nostro occhio! ☺ [email protected] Campobasso - Domenica 28 serata al dopolavoro con testimonianze, video, poesie, musica e balli, cena etnica dalle ore 18.00. Lunedì - primo marzo manifestazione partendo alle 18.30 da piazza S. Francesco. 5 glossario regole condivise Dario Carlone “Socrate girava per Atene e provocava i suoi concittadini allo scopo di risvegliarli dal torpore mentale delle loro idee che non avevano altra solidità se non la consuetudine” (U. Galimberti). Proseguendo nel confronto tra la nostra cultura italiana e quelle di altre nazioni nel nostro caso il mondo anglosassone - vorrei invitarvi a riflettere sulla parola “consuetudine” che, credo, a volte non abbia nella nostra lingua la giusta collocazione. Nel linguaggio informale i suoi sinonimi più frequenti sono “abitudine, usanza, tradizione” (come nell’esempio riferito a Socrate): termini che rientrano pienamente anche nel nostro vissuto di italiani cui le tradizioni sono molto care. In ambito giuridico, invece, “consuetudine” ha un significato molto preciso che attiene direttamente alla cultura anglofona, vale a dire indica quella “fonte di diritto che si basa sulla ripetizione costante di un determinato comportamento, ritenuto pertanto obbligatorio”. In realtà il nostro vocabolario più recente ha accolto la versione inglese della parola “consuetudine”: Common Law [pronuncia: cammon lò], ossia “legge comune”dove law traduce “legge”. Essa si distingue da quella scritta, raccolta in codici, come ad esempio quella che vige prevalentemente in Italia. Come si può notare, anche all’apparenza, l’inglese si mostra di semplice ed immediata comprensione: la legge comune è la legge popolare (l’aggettivo common rientra nel campo semantico di gente comune, persone del popolo). Ciò che distingue, quindi, il diritto consuetudinario dalla legge scritta è proprio questo: un modo di comportarsi comune e condiviso diventa legge anche se non necessariamente è tradotto in articoli o commi. Le società inglese ed americana, come pure quelle di altri paesi di cultura anglofona, risentono, a mio avviso positivamente, di questa impostazione nei rapporti tra i cittadini. Molte norme che regolano le più svariate situazioni non sono codificate ma fanno semplicemente riferimento ad usanze ormai acquisite o a sentenze che, emanate da un tribunale, vengono estese ed assumono valore di legge che tutti sono poi tenuti ad osservare. Ed i comportamenti dei singoli sono adeguati a questa cultura delle regole condivise e “non imposte”: si cerca il più possibile di non commettere infrazioni; nel momento in cui qualcuno non rispetta la consuetudine è naturale vederlo confessare la propria colpa, riconoscere l’errore commesso, dichiararsi disponibile a riparare, magari lasciando ogni incarico di pubblica rilevanza. Uno degli elementi fondamentali per la crescita democratica di una nazione è la consapevolezza che il rispetto delle leggi è parte della nostra vita quotidiana e che le regole che tutti siamo tenuti ad osservare non sono - e non vanno percepite come - distanti da noi: sono esse, infatti, che danno vita al nostro stare insieme (“legge comune”, appunto!). Viene da chiedersi però se vi sia un autentico rispetto delle regole condivise quando si ricorre a cavilli legislativi, a leggine, non riconducibili alla consuetudine, per salvaguardare e sottrarre alla giustizia singoli cittadini, magari con incarichi di prestigio in campo politico. E il nostro paese vanta una discreta esperienza in questo settore! Che siano leggi codificate, come quelle italiane, o che discendano dalla consuetudine, è innegabile riconoscere l’importanza delle regole in una società civile, in cui si possa realmente vivere secondo giustizia e vedere i diritti riconosciuti per tutti. La strada è però ancora lunga! E non ci farebbe male prendere qualche insegnamento dai nostri amici anglofoni, o forse potremo chiamare in soccorso il vecchio Socrate che con i suoi concittadini ateniesi “non scambiava opinioni per giungere ad una decisione, ma sospendeva la decisione per allargare la visione in cui collocare il problema con parametri nuovi”.☺ [email protected] 6 febbraio gennaio 2005 marzo2005 2010 la la lafonte fonte fontegennaio marzo abusatori Il Molise è un’isola felice? Gli indicatori da analizzare per rispondere alla domanda sono diversi e complessi, tuttavia, con grande prudenza, proviamo a guardare alla salute del mondo della giustizia per capire se la nostra regione è messa meglio delle altre e soprattutto per capire se i nostri corregionali sono più rispettosi delle regole. Alcuni giorni fa, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, il Presidente della Corte d’Appello ha fornito ai molisani, ringraziandoli, un’ampia e dettagliata relazione sul funzionamento della Giustizia nel Distretto. Il dr. Bosco, senza prescindere dal contesto socio economico, interessato da una crisi generalizzata che ha prodotto ricadute negative anche sul territorio regionale, oltre a indicare una serie di criticità che affliggono da anni questo mondo - mancanza di giudici, carenza di personale amministrativo e di strutture, esiguità delle risorse economiche che rallentano l’attività giurisdizionale -, ha snocciolato una serie di dati che ci hanno consentito di capire quanto la nostra sia un’isola felice anche senza avere dati comparativi per ciò che accade altrove. Per quanto riguarda i procedimenti penali, i quali si svolgono in tempi ragionevoli, c’è da segnalare che rispetto agli anni precedenti vi è una lieve diminuzione dei reati più gravi quali omicidi, rapine, estorsione ed usura. Il numero dei denunciati per furto, 444, è vicino a quello dei denunciati per abuso di potere, 373; gli abusi sessuali invece sono raddoppiati, il fenomeno è presente soprattutto in ambito familiare ed è localizzato in piccoli paesi, favorito da situazioni di accentuato isolamento e degrado. L’alto Magistrato ha precisato che per quanto riguarda i reati contro la Pubblica Amministrazione, per la maggior parte gli stessi vengono commessi nel mondo della sanità, dove il costante aumento della spesa sanitaria ha indotto il Governo nazionale a nominare un Commissario per la gestione e il risanamento. In compenso, si è ridotto il numero delle concussioni, solamente 9 nel 2009 e delle corruzioni, 5 denunciati. Alla luce di queste notizie noi ci siamo posti delle domande, nella speranza società le ragioni degli altri Cristina Muccilli che, anche coloro che sono andati a sedere in prima fila nell’aula magna del Mario Pagano, oltre a fare la passerella, abbiano sottoposto il loro cervello a qualche utile riflessione. La domanda che sorge spontanea e che sottoponiamo ai nostri lettori è la seguente:come mai in un territorio dove il numero dei ladri di galline è quasi uguale al numero dei servitori dello stato che commettono abusi di potere, i reati di corruzione e concussione diminuiscono? Dietro il reato di abuso, commesso da un pubblico ufficiale, quasi sempre si nasconde dell’altro, sempre difficile da dimostrare, ed è per questo che facciamo fatica a credere che su 373 abusatori solo 14 sono quelli corrotti o concussi. Tutto questo spiega forse perché le Procure molisane spendono meno delle altre per le intercettazioni telefoniche con le quali in molti casi l’abuso d’ufficio è solo la pinna dello squalo che nuota nel profondo mare dell’illegalità. Il dato che più ci inquieta è quello relativo agli abusi sessuali che ci dà l’esatta misura di quanto il Molise non sia un’isola felice. Quello sugli abusi sessuali non è solo un indicatore giudiziario perché questo reato dà l’esatta rappresentazione di un luogo gretto, incolto e sottosviluppato. Senza volerci avventurare in una spericolata analisi sociologica, questi fatti ci inducono a pensare che noi molisani abbiamo perso le buone abitudini dei paesani ed abbiamo acquisito tutti i difetti della città.☺ Sono affidabili, discreti, non inveiscono mai. Porgono le loro ragioni con ferma pacatezza e sono ottimisti. Di solito li si sceglie come referente privilegiato perchè sanno ascoltare. Di solito è un equivoco, non ascoltano, esercitano la propria attitudine alla tolleranza: i “bravi ragazzi” di sinistra rifuggono dagli eccessi e non amano i massimalismi. Prevedono una soluzione dei problemi tracciata su sentieri battuti da tempo, consolidati e rassicuranti. Sono i militanti di base e coloro che con questa base si confrontano costantemente. Forti di un solido sentimento di appartenenza hanno mantenuto tessera e abitudine al voto. Hanno votato sempre in questi lunghissimi e buissimi anni, lo hanno fatto quando dovevano procurare un seggio ad un ex democristiano, quando si entrava in guerra, quando iniziava la deregulation in materia di lavoro, quando non si affrontava il pericolo delle incompatibilità istituzionali, quando si lasciavano invalidare referendum quali quelli sull'articolo 18 e sulla fecondazione assistita, quando cadeva un governo perchè non si rispettavano gli accordi. Sono eccessivi, passionali, arrabbiati. In questi lunghissimi buissimi anni hanno votato solo per i referendum del 2003 e del 2005. Pensano che andare a votare per una sinistra muta, imbelle e febbraio gennaio 2005 marzo2005 2010 la la lafonte fonte fontegennaio marzo senza sogni produca le catastrofi che ci tengono in ginocchio. Pensano che la sinistra debba riconquistare autorevolezza, che debba schierarsi e lavorare sui bisogni sempre più urgenti e sempre più muti. Pensano che non serva a nulla governare a costo di perdere identità, che il lavoro e la crescita debbano avvenire in senso orizzontale, non verticale. Pensano che bisogna accogliere bisogni e produrre consapevolezza. Un tempo li definivano “cani sciolti”, qualunquisti proprio no. Vorrei riproporre qui un breve invito alla lettura di “Saggio sulla lucidità” di Saramago per Einaudi che inviai anni fa ad un blog letterario, l'argomento mi sembra pertinente. “Saggio sulla lucidità” è un libro doloroso che non concede speranza alla speranza, nessun buonismo né spiragli per possibili cambiamenti. Il potere (i) è lì, granitico, inattaccabile. Inattaccabile? Forse ci si può riflettere su. Intanto ricominciare a ragionare tutti sicuramente mette in crisi ciò che del potere è più visibile e più risibile: la politica (quella con l'iniziale in minuscolo). Intanto protestare la propria etica, fare un passo di lato per uscire dalla fila, “favorire la propria cultura” vivendola e non consumandola, sicuramente destabilizzerà degli equilibri. E il fastidio sarà tale da rendere necessario l'annientamento della minaccia. Questo il romanzo, e la realtà? Mi piace pensare che, come nel romanzo, ci sia anche per noi un testimone, uno che ha letto e compreso l'ordito della macchinazione omicida e che si stia interrogando sul che fare. ☺ 7 società la natura del potere Edoardo Lamedica certo grado di “manipolazione” dell’opinione e quindi dell’informazione che il suddito riceve e elabora. Il potere è, così, definibile su un piano dinamico oltre che statico (le fonti, cui si accennava prima), identificandolo cioè con la possibilità concreta di fare materialmente qualcosa su qualcuno o di influenzarne indirettamente il comportamento al fine di ottenere i risultati auspicati. In questo spettro rientrano il comando, l’influenza senza comando, la relazione che si instaura con l’esecutore, il contesto in cui tale relazione si estrinseca. La componente statica, invece, racchiude il possesso fisico e materiale di quelle fonti o risorse che consentono di influenzare o comandare. Pur avendo il pregio della maggior concretezza, queste non sono auto - sufficienti, ma necessitano di “esser messe in movimento”, attraverso strategie di impiego, per ottenere quegli esiti che il loro semplice possesso all’apparenza garantirebbe. Le risorse, inoltre, hanno una loro distribuzione autonoma con cui l’intervento coercitivo deve fare i conti. La politica mondiale - è l’esempio che fa Nye - va paragonata a una scacchiera tridimensionale in cui, al piano superiore, c’è l’ambito militare, in quello intermedio, le dinamiche economiche, in quello inferiore le questioni transnazionali. In ognuna di queste il potere è distribuito in maniera diseguale, non solo al suo interno, ma anche fra i diversi piani, rispetto ai quali l’occhio dell’analista non può essere miope. Inoltre - e qui entrano le categorie del politologo la stessa natura del potere è concettualmente differente sui diversi piani. I pagamenti, le transazioni e le relazioni economiche (anche “informali”), l’uso (o la minaccia) della forza piuttosto che delle sanzioni rientrano in quello spettro di comportamenti che chiama in di Salvatore Angela causa il comando tel. 0874 732384 nella sua declinazione più hard di coercizioVia XX settembre 185 ne o diretta induzione. BONEFRO Quando, invece, si Cosa è il potere? Come lo si ottiene? Come lo si perpetua? Che cosa ci si fa? Perché lo si vuole? Nel XXI secolo per rispondere bisogna abbandonare schemi ormai vetusti. Usualmente si tendeva ad identificare il potere con “cose”, più o meno tangibili. La ricchezza, una determinata posizione sociale, la capacità (o l’opportunità) di usare violenza coercitiva, la possibilità di plasmare il pensiero o di acquisire informazioni in maniera asimmetrica. Oggi è invalsa la pratica di assimilare il potere alla “capacità di dettare l’agenda” - un’espressione tanto affascinante quanto, di per sé, ambigua. Ognuna di esse, però, richiama alla mente più le fonti cui si attinge potere che non il potere stesso. Risulta, poi, ugualmente difficile stabilirvi una misura (quantitativa e oggettiva). In un ambito locale una determinata quantità di ricchezza può corrispondere a un certo grado di potere, ma, in un contesto più ampio (nazionale o globale), siamo sicuri che valga altrettanto? Già preside della Kennedy School of Governement, Joseph Nye jr. è uno dei più importanti scienziati della politica e la sua fama lo ha portato a rivestire incarichi di responsabilità nelle passate amministrazioni americane e a essere tuttora un intellettuale molto influente. Per analizzare la natura sfuggente e mutevole del potere, ha proposto le categorie di soft e hard power che ben ne riassumono le due dimensioni. Come Machiavelli aveva infatti intuito sin dal Rinascimento, sono due gli spettri di comportamento con cui il Principe si rapporta ai suoi sudditi: l’essere amato o temuto. Entrambi sottintendono un Ferramenta - casalinghi 8 febbraio gennaio 2005 marzo2005 2010 la la lafonte fonte fontegennaio marzo parla di questioni transnazionali ci si riferisce anche a quella gamma di valori, cultura, politiche (interne ed esterne) che si concretizzano in istituzioni, ma senza la “durezza” della moneta o delle armi. In quest’ambito non è il comando ad essere metro di efficacia, ma la capacità di attrarre, di cooptare, di far sì che ci sia unità di intenti e conformazione di volontà. Qui non servono mezzi solidi, qui serve il soft power. Nelle parole di Nye, «la capacità di ottenere ciò che si vuole tramite la propria attrattiva piuttosto che per coercizione o compensi in denaro». Su questo piano la vera forza risiede nella credibilità e nella legittimità che un soggetto riesce ad acquisire mediante la messa in pratica della propria visione. È sulla conformità fra valori e pratiche (politiche o istituzionali) che ci si gioca la propria partita. Evidentemente nessuna delle due tipologie di potere può essere intrinsecamente buona (o cattiva) e ciascuna ha i suoi propri limiti. Il soft power, ad esempio, è fortemente dipendente dalla comprensione del contesto in cui va a operare. L’attrattiva, infatti, ha bisogno di condizioni opportune per poter essere efficace, né può essere insensibile alla distribuzione delle risorse di potere che si trova innanzi. In aggiunta, essa va a incidere sugli obiettivi più generali, mentre nelle questioni di piccolo cabotaggio è pressoché impotente, essendo rivolta al medio - lungo termine. Di conseguenza un “potere intelligente (smart power)” non potrà coincidere né con l’uno né con l’altro, ma dovrà essere una combinazione creativa e adattiva di fattori hard e soft. A maggior ragione, in un ambiente in cui l’informazione si diffonde globalmente e iper - velocemente e i centri del potere tendono a orientarsi in direzione poliarchica e policentrica. Stando così le cose, potrebbe essere una buona sintesi definire il potere nel suo senso generale - come la capacità resultativa di guidare (condurre) altri soggetti verso un certo obiettivo coerente coi propri principi, utilizzando mezzi e pratiche dirette e indirette, solide o leggere, a seconda del contesto. Non sarà un caso, allora, che Joseph Nye jr sviluppa il concetto di soft power proprio in un libro intitolato Bound to Lead. ☺ [email protected] il calabrone Ho smesso di fumare. Vivrò una settimana di più e in quella settimana pioverà a dirotto Woody Allen Lo hanno trovato ieri mattina alle 8,45 nel magazzino della sua azienda, una piccola cooperativa nella provincia torinese. Emanuele Vatta aveva 28 anni, si è tolto la vita - impiccandosi probabilmente poco tempo prima, forse all'alba. Il sociologo Marco Revelli, profondo conoscitore del mondo del lavoro, e in particolare del torinese, ci dice che questo gesto gliene ricorda uno analogo accaduto circa due anni fa: allora a togliersi la vita, nel comune di Trofarello, era stato un operaio, più anziano rispetto a Emanuele, e con una famiglia a carico. “qui in questo momento c'è una moria continua di aziende, si stanno perdendo moltissimi posti di lavoro spiega Revelli - abbiamo i dati più alti d'Italia”. un altro suicidio (?) Ma come si fa a non urlare la nostra indignazione per il fatto che si possa morire a 31 anni, come si fa a ripetere che in Italia, in Lombardia, a Varese la crisi non colpisce come in altri paesi? quando Berlusconi, Formigoni, Bossi ripetono ogni giorno che “nessuno sarà lasciato solo”. Ma hanno mai provato questi signori a mettersi, per un momento, nei panni di questi lavoratori e della loro più assoluta “solitudine” che li porta a morire per lavorare o a suicidarsi per la condizione umiliante della disoccupazione? Ma come si fa, mentre una moltitudine di donne e uomini soffrono la no, io non ridevo Loredana Alberti “miseria”, a spendere 300mila euro solo per far vedere il proprio faccione sorridente con sotto la scritta “Roberto, uno di noi”. Ma come si fa a buttare letteralmente a mare (si fa per dire perché sappiamo molto bene chi se li prende) i miliardi di euro per i ponti di Messina o altri progetti assurdi come il nucleare che non servono a creare lavoro reale mentre si chiudono le fabbriche?. Ed ancora come si fa a sopportare la vista di cattedrali nel deserto come le costruzioni della Maddalena? Come si fa a sopportare le ultime registrazioni che ci mostrano un mondo di corruzione economica e morale che indigna aquilani e non? no io non ridevo Ogni guerra, ogni fame, ogni malattia, ogni miseria sono realtà di ingiustizia con cause ben precise. L’Abbé Pierre diceva spesso nei suoi incontri: “fate bene, amici, a dare un po’ di soldi ai missionari o alle varie associazioni di assistenza e solidarietà per ‘la salute dei bambini’. Ma ricordatevi, se non siamo decisi a mettere, contemporaneamente, tutto il nostro impegno per una vera ed efficace azione politica perché siano Così anche l'ingiusto, se vuole esserlo in maniera perfetta, deve denunciate e sradiattendere attentamente ai propri atti d'ingiustizia, senza farsi scopri- cate le cause di re. Chi viene sorpreso, è da ritenersi una persona dappoco: il colmo queste ingiustizie, dell'ingiustizia consiste nel dare l'impressione di essere giusto, senza saremmo forse però esserlo. Dobbiamo quindi permettere al perfetto ingiusto la più meno criminali a perfetta ingiustizia, senza togliergli nulla, e lasciarlo commettere le lasciar morire maggiori ingiustizie e procurarsi la più alta fama di giustizia; e questi bimbi in potersi riprendere, se fa qualche sbaglio. Lasciamo che abbia abba- giovane età, piutstanza doti oratorie per esercitare persuasione, se è denunciato per tosto che obbligaruno dei suoi atti ingiusti; che usi la violenza ogni volta che occorre, li a vivere nella adoperando coraggio e forza e sfruttando appoggio di amici e dena- disperazione più ro. Ora di contro a questo individuo immaginiamo di mettere il giu- atroce?”. sto, un uomo semplice e d'animo nobile, che, per usare le parole di Se non siamo deciEschilo, non voglia sembrare, ma essere onesto . si con tutte le no(Platone, la repubblica, laterza, 1997, pg. 361, trad. f. stre forze, con le sartori) nostre competenze febbraio gennaio 2005 marzo2005 2010 la la lafonte fonte fontegennaio marzo di ogni tipo, a fare in modo che domani non vengano a trovarsi nella stessa, anzi peggiore e più ingiusta situazione; se continueremo ad accettare passivamente che in poche ore si mettano a disposizione delle banche in via di fallimento cifre come 1900 miliardi di dollari mentre si dichiara, che la crisi mondiale impedisce di mantenere gli impegni presi per la cooperazione internazionale; se continueremo impassibili e tranquilli (?) ad accettare che le mucche europee abbiano a disposizione più di quattro euro al giorno mentre gli affamati d’Africa, America latina ed Asia devono accontentarsi di meno di due euro; se continueremo a rimanere indifferenti a criminali manovre speculative che si ammantano di beneficenza e ricostruzione; se continueremo a limitarci ad essere soddisfatti quando spediamo il nostro munifico e benefico sms di aiuto per il mondo, per Haiti, per l’Aquila, per qualsiasi cosa ci renda meno conniventi e intanto il potente e lo speculatore di turno (perché c’è sempre un turno, ma sempre ritornano) ridono nel proprio letto, sapendo di non essere scalfiti o visti. ☺ [email protected] 9 nel palazzo senza riscontro Michele Petraroia Per essere chiara e trasparente la politica ha bisogno di regole semplici che agevolano la partecipazione dei cittadini e aiutano a comprendere le differenze in campo tra schieramenti, partiti e coalizioni. Programmi alternativi facilmente identificabili. Idealità, valori e proposte che segnano le culture di provenienza e il modello di società che si persegue. Se entra in crisi questo schema e l’intero sistema politico-istituzionale assume, agli occhi delle persone, l’aspetto di un unico magma indistinto è a rischio la democrazia. Senza una minoranza che vigila, controlla e contro-propone in ogni assemblea elettiva, la maggioranza, che ha in mano la leva del governo e del potere, agisce a proprio piacimento a detrimento del bene pubblico. L’obiettivo dei governanti pro-tempore sarà quello di utilizzare fondi, strumenti e risorse, per vincere le elezioni successive, dimenticando che chi amministra deve risolvere i problemi dei cittadini e perseguire l’interesse generale. È impensabile in democrazia che tutto il potere venga concentrato nelle mani della sola maggioranza. Al contrario il sistema è tanto più efficiente quanto più è bilanciato il rapporto tra chi deve governare realizzando il programma elettorale, su cui ha avuto il mandato, e chi deve esercitare una funzione di controllo alimentando la dialettica istituzionale con atti, interpellanze, mozioni e proposte alternative. Il punto di caduta di questo modello è che in un periodo di crisi della politica la minoranza non la vuole fare nessuno. Contrapporsi a chi comanda presuppone competenze, passione, motivazioni, idealità e disponibilità ad impiegare il proprio tempo su temi complessi, senza particolari appoggi né sostegni o benefici di alcun tipo. Meglio accoccolarsi nelle adiacenze di chi amministra perché prima o poi scappa qualche briciola e la si arraffa. D’altronde per far parte della maggioranza non è richiesto di 10 ingrossarne le fila perché si può compiere un buon lavoro di sponda anche facendo finta di fare la minoranza. Sta di fatto che in un sistema istituzionale senza opposizione tutto ruota intorno alla bancarella del governante di turno che, se abile ed esperto, saprà distribuire le prebende a destra e a manca. Per quel che mi riguarda ho buttato alle ortiche anni di credibilità costruita palmo su palmo nel sindacato per assumere la guida del PD, riunificare il Centro-Sinistra e ricostruire una prospettiva vincente di alternativa politica in Molise. Non ci sono riuscito ma constato che molti che mi hanno avversato nel giro di qualche mese sono passati armi e bagagli col Centro-Destra, hanno fatto cadere l’amministrazione di Termoli e sono corsi con la tessera del PD in tasca a festeggiare il Natale a Isernia insieme a Iorio. Resto convinto che l’opposizione è il sale della democrazia e che bisogna farla a testa alta, con grinta e passione. Questa mia idea non trova consensi diffusi nei partiti e nelle istituzioni perché la si ritiene arcaica, inutile e inefficace, ma per nostra fortuna continua ad essere una pratica quotidiana per tanti consiglieri comunali, provinciali e regionali che non intendono venir meno agli impegni di lealtà e coerenza assunti con i cittadini. Ovviamente, in questo clima generale, fare il proprio dovere di opposizione è condizione necessaria ma non sufficiente per acquisire risultati concreti. Negli ultimi quindici anni sono scomparsi i comitati di control- febbraio gennaio 2005 marzo2005 2010 la la lafonte fonte fontegennaio marzo lo su comuni, province e regioni. Lo Stato non esercita più funzioni di verifica tramite le Prefetture e i Commissariati di Governo sono passati in cavalleria. Con la concentrazione di poteri smisurati nelle mani di organi monocratici quali Sindaci, Presidenti di Provincia e di Regione, e stante l’inesistenza di strutture preposte alla vigilanza, rimane nella disponibilità di chi fa opposizione solo la Magistratura. Per adire quella amministrativa qual è il TAR ed il Consiglio di Stato bisogna avere un diritto legittimo in campo e servono evidentemente i soldi per fare i ricorsi, con buona pace di tanti consiglieri comunali coraggiosi che di fronte al malvezzo dei sindaci non possono fare molto. Rivolgersi alla Corte dei Conti è più semplice ma posso testimoniare che dopo 3 anni di note, materiali, documenti e esposti su vicende di assoluto rilievo contabile, come il debito sanitario, sono ancora in attesa di conoscere l’esito di un singolo provvedimento. Coinvolgere la Procura della Repubblica è l’estrema ratio per tutelare il bene pubblico e far rispettare le leggi. Com’è noto i mutamenti delle norme nazionali e la carenza di mezzi assegnati alla magistratura porta i potenti a non pagare pegno per decorrenza termini, depenalizzazione dei reati o per spostamenti dei processi con connesse lungaggini giudiziarie. D’altronde è impensabile affidare il controllo dell’operato degli amministratori pubblici all’esclusiva competenza della giustizia penale. In attesa che la politica riassuma il ruolo alto che le compete, non ci resta che resistere facendo una sana e onesta opposizione con gli strumenti a disposizione. Concludo citando un episodio singolare accaduto in questi giorni. A fronte di una mia richiesta di ottenere risposta scritta a decine di accessi agli atti e interrogazioni su temi importantissimi il Capo di Gabinetto del Presidente della Giunta mi ha risposto di non aver mai ricevuto buona parte delle stesse. Che dire ?!! La norma impone il riscontro entro 15 giorni ma trascorrono gli anni e nella regione si perdono le carte. Mi è venuta di getto l’idea provocatoria di far istituire un Ufficio Oggetto Smarriti con una nuova Commissione Speciale del Consiglio che gira per le stanze alla ricerca delle mie interrogazioni su terremoto, lavoro, sanità, agricoltura e altro. ☺ [email protected] termoli sì a un monaco inviso al pd Il centrosinistra molisano si è lanciato in un valzer vorticoso, per le amministrative 2010, che potrebbe far girare la testa anche ai più convinti. Ripercorriamo le tappe. Il 21 dicembre finisce l’esperienza Greco con le dimissioni di 16 consiglieri di cui 4 eletti tra le file dell’allora Margherita. All’indomani già serpeggiava il nome di Antonio D’Ambrosio come possibile candidato sindaco, colui che tre anni prima aveva preferito aspirare alla carica di Presidente della Provincia, ma il suo partito, con uno dei soliti magheggi di Bellocchio, gli soffiò la candidatura a favore di D’Ascanio. Troppo tardi per tornare a correre per il comune, la coalizione aveva già intascato la disponibilità di Greco. A gennaio si comincia a ragionare sul da fare per competere con il centrodestra al rinnovo dei consigli comunali di Termoli e Montenero. Il PD propone le primarie, nonostante l’autocandidatura del solito D’Ambrosio, sospesosi dal Partito, poi ci ripensa non si sa bene se perché il caso Puglia aveva lasciato il segno o perché si erano accorti che non si sarebbe riusciti a fare lo sgambetto ai candidati poco graditi. Allora si invoca la decisione unitaria del tavolo, moderno totem per evocare i candidati ed ungere il prescelto. Ma lo Spirito guida del tavolo sapeva che era carnevale ed era in vena di scherzi. Prima fa aleggiare il ritorno di Greco, quando il silenzio dell’ex sindaco induce persino i suoi sostenitori a ritenere che non vi fosse margine di speranza e prendere seriamente in considerazione l’ipotesi Monaco, eccolo riapparire nella sede dell’Idv. Giorni e giorni di discussioni finite solo quando il notaio ha rotto gl’indugi e ha detto: vedetevela voi e il Grande spirito! Il Pd continua ad invocare il candidato unico, ma non fa nomi, visto che quello da più parti indicato non va affatto bene ai vertici regionali del partito e neanche a quel manipolo di iscritti locali che ritiene di guidare il circolo cittadino. Prima hanno tramato contro l’amministrazione Greco, poi si è giunti a patti con altre espressioni politiche per far nascere in basso Molise il laboratorio dal quale far scaturire il terzo mandato per Michele Iorio, con qualche vantaggio per chi salta il fosso visto che chi lo ha già fatto ha raccolto i suoi frutti. Come spiegare altrimenti le primarie vinte da Leva con i voti del centrodestra e la proclamazione di Ruta Presidente con il 50% dei voti dell’assemblea regionale? Il 7 febbraio Filippo Monaco, silurato in Giunta nel 2009 da quella stessa parte del PD che ora trema all’idea che possa correre per la carica di sindaco, accetta la richiesta della lista civica Liberatermoli. A questo punto la situazione si fa grottesca: un iscritto del Pd, accettato anche da altri gruppi politici e che riscuote il consenso popolare, sembrerebbe cosa fatta, invece nessuno fa il suo nome al tavolo e lo Spirito non sa che pesci pigliare. Intanto la politica nazionale vede rifiorire il connubio fra IdV e PD e così, dalla riunione romana dei vertici regionali e nazionali dei due partiti, giunge l’oracolo: Di Pietro si impone sul candidato di Montenero, a Termoli mano libera al PD. Comincia l’affannosa ricerca del candidato che possa salvare capre e cavoli. Monaco no, sarebbero solo cavoli amari per Venittelli e compagni, ops, amici e compari. Vuoi vedere che quello poi riesce a fare persino bella figura e ma- febbraio gennaio 2005 marzo2005 2010 la la lafonte fonte fontegennaio marzo gari finisce per sfilare la poltrona dai “pantaloni” di Totaro? Allora meglio esplorare nuovi orizzonti. Lo Spirito, veramente stufo di tanto bla bla, inonda con un cono di luce il volto sereno di Pasquale Spagnuolo, tutti quelli intorno al tavolo credono al presagio e acclamano il suo nome. Certo, se laboratorio deve essere, che si cominci da ora a ragionare con chi ha sempre militato a destra. Era uno scherzo! Lo spiritello sapeva bene che il prescelto aveva più sale in zucca dei suoi osannatori, infatti rinuncia. La confusione è ormai tale che non si riesce neanche più ad interpretare il totem. Ecco, ecco, è Aufiero il nostro salvatore. Ma quello sta in Austria e lo spirito non era mai passato di là. Il tavolo comincia a traballare e perde adepti. Per assurdo al fianco del PD resta proprio il PRC che aveva iniziato la campagna elettorale asserendo che quella sottospecie di socialdemocratici non erano degni di stare al fianco dei veri comunisti. E per D’Ambrosio le difficoltà tornano come nuvole nere perché Di Giandomenico, suo cognato, si è candidato per contrastare il monopolio Iorio. E pensare che tutti lo credevano un anticomunista… Lo spirito guida del tavolo-totem nel frattempo si è ritirato nelle verdi praterie, sospettando che il fumo delle sedute dell’entourage politico non fosse incenso.☺ Solo una volta, quando ha criticato i soccorsi ad Haiti, Berlusconi ha ripreso Bertolaso: per le figure di merda all’estero pretende l’esclusiva. www. spinoza. it 11 diritti negati la solitudine Morena vaccaro Colleziono volti di donne, volti eterni, immobili. Donne ignoranti e colte, intelligenti nell’anima, donne messe incinte e abbandonate, donne prese a sassate dalla vita. Occhi inquieti, mani che si contorcono, e poi la solitudine, quella concreta, quella di chi non esiste per nessuno, che porta alla disperazione, senza nessuno con cui scambiare una parola vera, a cui chiedere un consiglio. La solitudine di chi cammina per le strade e non viene notata, di chi ha talmente tanti problemi e ansie che non riesce ad uscire dal proprio guscio. Solitudine nella maternità, solitudine sociale, che porta all’ignoranza delle leggi e degli aiuti previsti, solitudine umana perché lontane dal loro paese d’origine, dalle loro madri, dal loro mondo. Così la mancanza di contatti umani fa sì che queste donne vivano come sospese, ignorate emotivamente nelle case dove lavorano, spinte ad innalzare barriere tra loro nelle strutture che le ospitano, diverse magari per fede religiosa e scelte di vita, considerate con diffidenza perché non parlano bene l’italiano, le straniere rimangono straniere, cioè altre. Impossibilitate ad integrarsi davvero. A parlare sul serio dei loro malesseri, veri o immaginari. Ad avere qualcuno su cui appoggiarsi o con cui scambiare consigli ed opinioni. Ad esistere. “Qualche volta fa bene parlare”. Forse l’essenza di Paulina è tutta qui, in questa frase che la racconta. La sua è la storia di una giovane donna, coraggiosa, toccata dalla vita, aggravata dal fatto di essere straniera a Roma, con una figlia piccola e una malattia poco conosciuta che le toglie le forze e la voglia di combattere. Lei che di forza interiore ne ha da vendere, anche se non ha nessuno con cui parlare. “A volte ho voglia di piangere - dice - non ho la forza nemmeno per cambiarle il pannolino”. “Miastenia gravis” così si chiama il suo male. Toglie la forza la miastenia, come una specie di rinuncia volontaria alla vita, una via di fuga dalle ansie e dagli impegni, uno stop fisico all’esistenza. Se Paulina fosse una donna italiana, se avesse più soldi e consapevolezze, forse, meriterebbe una seria analisi, un cammino psicoanalitico serio, ma è una giovane donna straniera che vive in Italia, non ha gli strumenti culturali ed economici per capire che il suo male è anche interiore. Che dal baratro si può anche risalire. “Nessun medico - dice con un impeto di ran- core - mi ha sconsigliato, mi ha detto di non avere un figlio. Nessuno mi ha spiegato come sarebbe stato questo male. Io non sono italiana”. La gravidanza è la vera lotta di Paulina: ogni tanto cade per strada, non riesce ad essere padrona del suo corpo, non ha le forze né fisiche né morali. Viene da Lima, Paulina, una metropoli enorme dove la gente dorme ancora nelle baracche di fango. Roma era il miraggio di una vita diversa. “Avevo un’amica che lavorava nella capitale, mi diceva vieni. L’ho seguita, mi ha trovato un lavoro. Ma era orribile, ho imparato subito che bisogna essere forti”. Donna, mistero senza fine Orribile, Paulina, fatto di dolore e di allegria, lo spiega bene: è il fatto di poesia. Così Dio ti ha pensata, voluta e amata, senso di umiliazioVia ultima creatura uscita dalle sue mani ne e di casta che ancora serpeggia mentre Adamo dormiva... in alcune case romane nel terzo millennio. “Un immigrante non viene qui solo per lavorare e chiedere. Anche se le persone accettano qualsiasi cosa, qualsiasi tipo di occupazione, hanno una loro educazione e una loro preparazione professionale. Invece siamo sempre trattati come ignoranti. Siamo estranei, siamo quelli che scocciano, che danno fastidio. Noi vorremmo invece essere aiutati a far parte di questo Paese, di questa cultura”. Anche al nido Paulina si sente a disagio. “Quando sei straniera - e lo ripete - ti guardano in modo sospettoso, ti trattano diversamente, magari pensano che sei ignorante”. Invece lei non lo è, ha un animo sensibile ed ama leggere. Se avesse tempo e modo, spiega, lo farebbe sempre. La poesia, ad esempio. È innamorata di Pablo Neruda. “Lo leggevo in spagnolo”. Ha studiato Paulina. Ha finito solo per amore di sua madre le scuole superiori, perché anche in patria è successo qualcosa e quando lo ricorda piange. Un piccolo singhiozzo che caccia via, repentino. “È successo. Non ci penso mai. Un vicino di casa si è approfittato di me. Avevo quindici anni. Sono rimasta incinta. Da noi l’aborto non è permesso. Mia madre voleva dare il bambino in adozione, io non ho voluto. I bambini non hanno colpa di quello che succede. Ho continuato a studiare dopo la sua nascita, poi ho dovuto lasciare per lavorare”. “Lo ha cresciuto mia madre, sono sei anni che non riesco a vederlo. Vorrei andare a trovarlo e non vorrei, non mi vanno gli sguardi della gente, non mi va che tutti si accorgano che non ho le forze fisiche, che non riesco a camminare, a muovermi”. Se ne va, piccolina e minuta. Con i suoi grandi dolori, con la sua malattia, con quel senso di estraneità dalla vita. “Mi ha fatto bene parlare con te”. Se ogni giorno parlassimo con qualcuno che non conosciamo anche solo per cinque minuti, ascoltandolo davvero, forse saremmo tutti migliori. Quanto meno più consapevoli. ☺ [email protected] Marconi, 62/64 CAMPOBASSO 12 febbraio gennaio 2005 marzo2005 2010 la la lafonte fonte fontegennaio marzo otto marzo Non amo l’8 marzo. La rimpatriata che talvolta - col pretesto della mimosa faccio con alcune amiche che vedo poco, mi aiuta a digerirlo meglio, con un sorriso ironico. Ma resto sempre convinta che la famigerata “festa della donna” dovrebbe essere abolita, almeno fintantoché restano sparse per il pianeta troppe donne che hanno troppo poco da festeggiare, sia in quel giorno che durante gli altri 364, nell’assordante silenzio familiare, sociale, mediatico. Un regalo intelligente, però, quest’anno lo farò a qualche donna speciale che conosco. Un libro. Già, in barba a quei dati sconfortanti che ci affliggono sulla debole preferenza che gli italiani accordano alla lettura. “Donne della Bibbia”, di Elena Bosetti, vale ben più di una mimosa. È un’iniezione di fiducia, di dignità, di coraggio, di autostima fatta nelle vene delle donne e della donna, concepita e descritta come creatura fragile e tenace, forte della sua debolezza, capace di scelte ardite, di sfidare a testa alta il maschio prevaricatore, la sorte avversa, capace di sbaragliare i piani e l’arroganza dei superbi con la sola forza della speranza, della fede in un Dio che non delude. Ogni capitolo, un ritratto di straordinaria intensità: dal Primo al Nuovo Testamento, con un linguaggio appassionato e preciso, sempre in equilibrio perfetto tra l’esegesi più raffinata e la poesia, l’autrice ritaglia dalle pagine della Scrittura figure di donne che hanno segnato la storia d’Israele e la vicenda umana di Cristo con il loro coraggio, i loro errori, la loro bellezza, la loro audacia, la loro capacità di fidarsi di Dio incondizionatamente, contro ogni ragionevole speranza. Ecco allora Sara ed Elisabetta, la moglie di Abramo e quella di Zaccaria, che accolgono nel loro corpo quel figlio che mai avrebbero pensato di poter più generare alla loro età, si trovano a vivere sulla propria pelle l’avventura, il rischio e la fatica di credere, ed esplodono in un canto di ringraziamento e di lode a Dio al quale “nulla è impossibile”: la prima gridando “Motivo di lieto riso mi ha dato Dio” e chiamando il bambino Isacco, che significa proprio “riso di gioia”. La seconda, nascondendosi per cinque mesi dalla gente, una volta incinta, per contemplare con più gusto e raccoglimento (attraente interpretazione della Bosetti) la meraviglia operata dal Signore in lei, fino ad esprimere quel liberato- una mimosa da sfogliare Gabriella de Lisio rio “Benedetta tu fra le donne e benedetto è il frutto del tuo seno” davanti a Maria che va a trovarla, facendole sussultare Giovanni nel grembo. Ecco l’innamorata del Cantico, intraprendente, ardita, passionale, che sfida le piste infuocate del deserto e i pericoli della notte per raggiungere l’amato. Ecco Sifra e Pua, le due levatrici ebree, simbolo di tutte le donne che lottano per difendere la vita, due volti femminili dell’obiezione di coscienza di tutti i tempi, che non esitano a rischiare la pelle per opporsi agli ordini del faraone in nome dell’obbedienza a Dio: in Egitto, la crescita demografica del “popolo altro” e sottomesso spinge il re a eliminare i nati maschi, poiché sarebbero una potenziale minaccia per gli Egiziani, mentre le donne - controllabili, vulnerabili, sfruttabili in mille modi - …che vivano pure! E invece sono proprio due donne, Sifra e Pua, che vincono con l’astuzia femminile contro la violenza cinica e la brutalità del faraone. Contravvengono all’ordine di farli morire, adducendo come giustificazione che le donne ebree sono forti e vigorose, ben più delle egiziane, per cui hanno partorito da sole, prima dell’arrivo delle levatrici, che non hanno potuto compromettere in nessun modo la sopravvivenza dei neonati nella delicata fase del parto. E il faraone tace, si arrende. Intuisce l’inganno, ma ne resta spiazzato. C’è poi la solenne e determinata Debora, la profetessa e giudice, senza la quale il generale Barak non si sente pronto ad affrontare l’esercito del nemico Sisara. Debora che, sola, incoraggia gli Israeliti e li porta alla vittoria con l’audacia e l’energìa del suo canto. Una commovente storia di amicizia è poi quella di Rut e Noemi, nuora e suocera, legate - in barba ad ogni stereotipo sociologico - da un’inscindibile vincolo di lealtà e di solidarietà: la nuora, vedova, non lascia da sola la suocera, rimasta vedova anch’essa, e per lei abbandona la sua famiglia d’origine. Giuditta poi (che, mea culpa, identifico più con un’eroina del Caravaggio che febbraio gennaio 2005 marzo2005 2010 la la lafonte fonte fontegennaio marzo con uno dei personaggi femminili più affascinanti del Primo Testamento). Uccide il nemico Oloferne, davanti al quale sta con la sua bellezza prorompente, e mi ricorda in modo inquietante Neda, uccisa il 23 giugno 2009 a Teheran, mentre non si arrende alla violenza del regime di Ahmadinejad e, colpita da un proiettile in pieno petto, muore, muore davanti al mondo con gli occhi aperti, il velo scivolato via, i jeans e le scarpe da ginnastica. Giuditta uccide, Neda viene uccisa. Ma vive. Diventa simbolo della vita che vince la morte della coscienza, della bellezza che si oppone all’inferno - come Roberto Saviano ha scelto di leggere questa tragedia nel suo omonimo saggio -, che vince l’empietà. Donne coraggiose, quella della Bibbia, anticonvenzionali, fuori dagli schemi, come la più grande, Maria, giovanissima e fragile quando accetta senza battere ciglio una maternità che le costerà, forse, il promesso sposo, la reputazione, un progetto di vita che aveva immaginato diverso. Donne con gli attributi, quelle della Bibbia, che non possono cambiare l’ora della Croce ma, quando giunge, non scappano come gli uomini, restano lì, e sono le prime alle quali il Risorto appare. Donne con i loro nodi irrisolti, i loro traumi, le loro ferite, ma sempre aperte a rimettersi in discussione, a ricominciare, come la Samaritana al pozzo. Donne in cammino. Come noi. Buon 8 marzo. Con un po’ di pazienza e qualche sana lettura, passerà anche quest’anno.☺ [email protected] 13 cultura la leggerezza Luciana Zingaro È accaduto. E il dubbio amletico mi si è rivelato appena difforme e più perentoriamente dilemmatico: to be light or not to be (essere leggera o non esserlo). Shakespaere ne sarebbe inorridito. O forse no, posto che nel to be che angustiava Amleto tanto da inclinarlo verso l’alternativa del not to be era assunta soprattutto la specie della leggerezza, della apparenza fantasmagorica priva di peso e sostanza. Per dovere di chiarezza e perché gli aneddoti rendono plastiche anche le parabole metafisiche, mi soffermo sull’antecedente. Il fatto è che qualche tempo fa, durante una piacevole conversazione di quelle che a ritmo di minuetto muovono dal tutto al nulla, un amico, il quale per altro non mi aveva lesinato lodi in materia di intelligenza e gradevolezza, tra un sorriso e una sgomitata mi ha suggerito che insomma non sarei abbastanza light. Il che, meglio se sei donna e particolarmente nell’attuale momento storico, sarebbe di norma l’inizio di un dramma da esistenzialismo piccolo-borghese alla Ibsen, tipo. Infatti, sulle prime ci sono rimasta molto male. Poi ho riflettuto, ho lasciato decantare un paio di giorni e sono partita decisa all’attacco: che io light non vorrei esserlo manco per idea e che anzi, non per sfoderare la facile consueta retorica del paradosso, io a sentirmi dire di non essere light mi sento allora sì alleggerita. Ed è così, soddisfazioni da vendetta eseguita a parte. La lingua è importante, andrebbe usata con consapevolezza, a volte con cautela, perché, vai a capire se è la lingua che definisce la realtà o viceversa, comunque lingua e realtà vivono in simbiosi. Anche quando si tratta di lingue straniere, mettiamo l’inglese. Light è riferito al peso, alla sostanza, dove easy muove sopra e sotto lungo la profondità e casual allude alla accidentalità dell’impatto. Ecco, se mi fossi sentita dire di non essere abbastanza easy o casual, ma- 14 gari mi sarei costretta a valutare la mia incapacità di scivolare di su e di giù, avrei meditato sulla mia inabilità ad adattarmi al caso e a seconda, e, stante il peso, a spiccare il volo, ad andare oltre. Questo il punto, dunque: mi ha infastidito all’inizio e rattristato di seguito, ad una più attenta considerazione, insieme all’elegante e a mio avviso francamente irritante comitato della parola light, la visione del mondo, degli esseri e dei loro rapporti che essa veicola, la mania della leggerezza incorporea concepita non come elaborazione tesa ad alleviare ciò che grave è naturalmente e fatalmente, ma come eliminazione di peso, deprivazione di materia, recisione di sostanza. Non so se ab origine la colpa sia un po’di Kundera e dello stranoto formaggio dietetico, o è solo che ad un certo momento delle storie e della Storia ciclicamente tanto succede; resta che il light imperversa e fa tendenza, in ogni forma, ovunque e sempre. Nel palinsesto ideale delle nostre giornate, delle nostre relazioni e degli eventi che le disciplinano vorremmo vedere abolito ogni peso, finanche il simpaticissimo grattacapo, che disinnesca il pericolo e lo rende più docile. Una leggerezza spiccia e sommaria, che, proprio in quanto non è di sostanza né di lì si avanza, ma volgarmente la sostanza la abolisce e la rifiuta, è priva dell’ironia, dell’umorismo, della poesia, della magia, dei vari strumenti umani che l’intelligenza, e specie la più “grave”, sa adoperare per attingere, questa volta, sì all’insostenibile leggerezza dell’essere. Strano a dirsi, così stando le cose, che l’etimo del verbo pensare, attività nobile almeno quanto quella del percepire, derivi dal pensare latino, intensivo di pendere, come dire pesare e ripesare; strano pure che la legge fisica che governa il mondo e che tutto nonostante lo rende così saldamente compatto sia quella della gravità e che il suo scopritore, per pensarla questa legge, abbia dovuto essere colpito in capo da un grave, bello lucido e tondeg- febbraio gennaio 2005 marzo2005 2010 la la lafonte fonte fontegennaio marzo giante come la mela di Adamo ed Eva. La leggerezza è agli antipodi, per l’appunto: non pensare, semplicemente, ovvero rinunciare alla qualifica che più di tutte è distintiva dell’uomo di elaborare, rimestare il peso, per poi, tacchete, superarlo. Immagini alterne di leggerezza e gravità mi si affollano in mente mentre che ne parlo. La più risolutiva quella di Dante, che costringe gli ignavi, leggeri quanti altri mai, indolenti nell’azione e nella parola, a seguire una insegna che corre turbinosa, incapace di fermarsi, la punizione idonea per coloro che mai hanno preso parte nella vita; gli sciaurati, che mai non fur vivi tanto sono indegni, che Virgilio, sentenzioso, raccomanda a Dante di non spendere per loro nemmeno un’osservazione pausata e riflessa: non ragioniam di lor, ma guarda e passa. E sull’attitudine opposta di spendersi, di consumare il proprio peso mai rinnegandolo, ricordo le belle parole di un poeta tunisino vissuto nel primo Novecento e morto giovanissimo, Abừ l-Qasim alShabbi; persuaso del dovere morale di ridestare la coscienza del suo popolo contro la tirannide, Abừl-Qasim al-Shabbi marca la differenza tra vivere passivamente, leggermente, e voler vivere: In cima alla montagna, nel più segreto albero, nel mare scatenato, ascolta il mormorio dei venti…che io indossi la speranza, mi spogli di prudenza. Non temo sentieri rigorosi né fuochi alteri. Rifiutare le alte vette non è vivere, per sempre, nel fossato? Mi sovvengono anche le osservazioni penetranti e dolenti di un materialista come Lucrezio a proposito del potere decisivo della mente, del suo peso, della facoltà che essa sola possiede di elucubrare al di sopra del mero principio vitale, al punto che la persona cui mens animusque remansit “cui siano rimasti mente e animo”, anche se straziata nel corpo e privata in gran parte del soffio vitale, tuttavia suscipit auras e vita cunctatur et haeret “respira l’aure di vita” e “s’attarda, s’aggrappa alla vita”. Chiara, insomma, la differenza tra leggerezza e leggiadria: solo questa spicca il volo, dopo che ha scavato nella materia e se ne è intrisa, quasi. Come fa il poeta, che, scrive Emily Dickinson, svela cultura gli aspetti e per contrasto ci conferma il diritto alla nostra povertà. Ho da poco letto un articolo che parlava di un giocoliere milanese, figlio della buona borghesia meneghina, Rodrigo Morgante, il primo dottor clown italiano; lavora per la Fondazione Théodora, nata per portare ai bambini e ai ragazzi ricoverati in ospedale un po’ di serenità. Rodrigo Morgante racconta di aver ricevuto in dono il suo primo naso rosso da una bambina che ora non c’è più; il dono era accompagnato da un bigliettino, diceva: Seguendo le leggi fisiche, il calabrone non potrebbe volare; vola solo perché non sa che ha le ali troppo piccole. Noi?☺ [email protected] sono una donna Quando gli amici se n’erano andati e tutto tornava nella quiete e nella verità, sedevo ai piedi del letto e ricominciava il nostro intimo colloquio. Raccontare, raccontarci era un modo dolce per non impazzire. Io esprimevo il mio lamento e il mio Cantico con parole sussurrate, urlate, singhiozzate; tu riplasmavi la memoria della tua metamorfosi con parole arrochite, scarabocchiate, occhieggiate, digitate… per sempre taciute. La tua tenerezza, la tua rabbia, la tua impotenza facevano di te un salterio aperto da cui uscivano gli antichi salmi: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, ma anche: “Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché Tu sei con me”. La sofferenza ti aveva purificato come il fuoco purifica l’oro: i tuoi occhi allagati di malinconia, il tuo pianto pieno di dignità, il tuo sorriso triste erano attraversati da una luce che non avevo mai visto prima. Io stavo ai piedi del letto come sotto a una Croce contemplando il tuo corpo marcato dall’insostenibile e la tua infinita solitudine. Stavo ai piedi del letto… perché sono una donna e solo una donna sa fissare il dolore senza distoglierne lo sguardo. Magdala sanità… in riga libera molise E’ anziano, galante e cortese. Fa l’Assessore da più di un mese. Dopo una vita da Magistrato da Michele Iorio è stato chiamato. Sempre compito, attento e silente della sanità sa poco o niente. Rimane un mistero chi l’ha indotto ma pare che presto farà fagotto. Da Venafro e da Larino urlan al vento che li rovina. In realtà come ben si sa non per lui c’è il deficit là. Ma come mai allor si dirà fa l’Assessore alla Sanità? Chissà perché in tarda età non sta a casa a riposà…! La Commissaria taglia e va dritta e di Nicola non se ne importa. Ma vuoi veder che belli belli tutta la colpa è di Passarelli. Sarà pur così ma tanto che spasso ogni mese si passa all’incasso. Sarà poco giusto né buono né saggio ma i molisan pagan pedaggio. Benzina più cara e tasse elevate per i debiti accumulati. Dov’eran i giudici nessun lo sa ma Nicola ora sta là. Non bastavan i nuovi balzelli bisogna pagà pur a Passarelli. La pensione la piglia e non sta sotto i ponti se se ne va migliorano i conti. Lasciasse Michele a fare il gradasso coi molisani sotto salasso. C’è già Isabella giunta da Roma che ci taglia il pelo e pure la chioma. Corresse lontano in un posto sicuro che manca poco a lotte dure. Di lui si ricorderà gentilezza e inutilità. Il Brigante del Matese Calendario: - 3 marzo 2010, a Trivento (CB), presso la sala della sede vescovile – nella parte alta della città - , alle ore 18.00, incontro di formazione con don Alberto Conti sul tema: “La scuola di formazione all’impegno sociale e politico Paolo Borsellino: la storia e le testimonianze”. - 12 marzo 2010, alle ore 18.00, presso la sala del dopolavoro ferroviario, alla Stazione ferroviaria di Campobasso, incontro di formazione con Gabriella Stramaccioni, coordinatrice nazionale di LIBERA dalle mafie sul tema: “Antimafia e cittadinanza”. - 25 marzo 2010, alle ore 17.30, presso la sala S. Francesco di S. Antonio di Padova, incontro di formazione con Marcello Cozzi sul tema “L’evoluzione delle mafie, oggi”. - Nel mese di aprile o di maggio 2010, luogo e data da destinarsi, conclusione della formazione con Leo Leone. Altre iniziative e progetti: Ci saranno, inoltre, altri due incontri, molto utili per la nostra formazione complessiva con due coordinatori nazionali: Davide Pati, responsabile nazionale del settore “Beni confiscati” ci illustrerà la politica complessiva di LIBERA sul tema delle confische e su quello altrettanto importante di come comportarci dinanzi alle tematiche attinenti alla confisca e all’uso dei beni utilizzati per fini sociali e collettivi da cooperative a volontari; in relazione ai suoi molteplici impegni Davide Pati potrà venire solo la mattinata di un sabato: dovremo scegliere quale.. Davide Mattiello, coordinatore e responsabile nazionale di LIBERA OFFICINA di tenere i rapporti con il territorio e di verificare il grado di crescita delle strutture regionali di LIBERA, verrà per due giorni a CB il 27/28 maggio 2010: un giorno a CB ed un altro a Termoli. Intanto, c’è da preparare la giornata della memoria delle vittime di mafia per il 20 marzo prossimo a Milano… Ci saranno, inoltre, altre iniziative su cui daremo ulteriori e più precise informazioni (un dibattito sul processo breve; un cineforum sulla legalità; un incontro sul tema della libera informazione). febbraio gennaio 2005 marzo2005 2010 la la lafonte fonte fontegennaio marzo 15 arte barocco: la decorazione Gaetano Jacobucci La grande stagione del Barocco viene inaugurata da due opere romane, Assunzione della Vergine del Lanfranco, nella cupola di Sant’Andrea della Valle (162527) e Il trionfo della Divina Provvidenza di Pietro da Cortona nel salone di palazzo Barberini (1633-39). Le accomuna la dilatazione dello spazio popolato da figure moltiplicabili all’infinito. Superando il sistema a partiture da cornici tipico della tradizione precedente e ancora adottato dal Classicismo emiliano, i due artisti puntano a fondere spazio reale e spazio dipinto in una nuova unità spettacolare. La composizione si espande liberamente attorno ad un centro che agisce come vortice o risucchio luminoso, determinando catene di moti ascendenti o ruotanti. L’obiettivo riflette un mutamento di sensibilità e una precisa evoluzione culturale in rapporto al concetto di spazio. Le scoperte astronomiche del tempo erano approdate ad una visione nuova della natura e dell’universo, che esercita una forte suggestione sugli artisti e apre nuove opportunità di rappresentazione del sacro. La nuova immagine del cosmo diventa il mezzo per rendere percepibile con i sensi il mondo delle idee e delle realtà intellegibili. L’invisibile si trasforma in trionfo celeste, e nella vastità degli spazi pittorici barocchi si riflette la rinnovata fiducia in se stessa della Chiesa, uscita vittoriosa dalla Controriforma e nuovamente consolidata nel suo assetto gerarchico e dogmatico. L’arte come persuasione La Compagnia di Gesù, che fin dalle origini era stata in prima linea sul fronte missionario e della lotta ai protestanti, subisce nel Seicento un’evoluzione che la porta ad attuare il rigorismo originario e ad elaborare nuove forme di persuasione, in linea con la mentalità e le mode culturali del tempo. Nel fasto e nell’illusionismo barocco i Gesuiti non tardano a riconoscere il linguaggio più adatto ai loro programmi di celebrazione dogmatica e propaganda dot- 16 trinale. La decorazione della chiesa madre dell’Ordine, il Gesù, mostra piena adesione alla concezione berniniana dell’arte come spettacolo e strumento di persuasione. Il risultato si vede nella volta: Esaltazione del nome di Gesù: dalla concezione dell’unità delle arti deriva lo spettacolare artificio della pittura che si sovrappone agli stucchi. In questo modo le figure affrescate - grovigli di demoni precipitanti dall’alto e schiere di beati fluttuanti sulle nuvole - irrompono nello spazio della navata. Il tema della morte e della vanitas Sulla religiosità seicentesca incombe il martellante richiamo biblico della vita e della transitorietà dei beni materiali. “Vanità delle vanità tutto è vanità”(Ecclesiaste 2,1), sintetizza molto bene l’aspetto della spiritualità della Controriforma, che viene proposto con frequenza crescente. Quasi per un rigurgito di timori medievali, nell’arte del Seicento assumono nuovo rilievo i motivi lugubri e gli emblemi macabri. Nelle nature morte seicentesche troviamo oggetti come la clessidra e l’orologio (fugacità del tempo), fiori recisi e frutti bacati (ineluttabilità della morte). A volte le illusioni sono meno esplicite o addirittura mascherate: una pipa può ricordare il dissolversi in fumo dei piaceri umani; la candela spenta è immagine della fine; il silenzio degli strumenti musicali accatastati febbraio gennaio 2005 marzo2005 2010 la la lafonte fonte fontegennaio marzo e impolverati allude al silenzio della morte. Nelle splendide nature morte di Pieter Claesz e Willem Claesz Heda compaiono boccali mezzi vuoti, piatti con avanzi e pipe spente. I valori cromatici si fondono su toni bassi di grigio e bruno, accentuando il senso di caducità e malinconia. Alla caducità aveva fatto riferimento lo stesso Caravaggio nella Canestra di frutta, inserendovi una mela bacata e un acino d’uva intaccato da muffa. La presenza sinistra della morte è suggerita da Guercino nel celebre quadro in cui due pastori scoprono un teschio posato su una pietra con l’iscrizione “Et in Arcadia Ego”, (io la morte sono presente anche in Arcadia). Nella dimensione apparentemente felice e incontaminata dei pastori, della poesia e della musica la morte è presente. Questo tema esprime il sentimento del tramonto della classicità ideale. Bamboccianti Ad un gruppo di pittori olandesi attivi a Roma nel Seicento è data la denominazione di Bamboccianti, con intento denigratorio. Il soprannome Bamboccio era stato attribuito, per le sue deformità, al pittore olandese Pieter Van Laer. I Bamboccianti riuniti in una vera e propria compagnia di pittori, rispondono da una parte alla richiesta di collezionismo, e dall’altra alle peculiarità della pittura del genere olandese, dando un’interpretazione particolare della pittura, della realtà e dei modi caravaggeschi. Dell’aspetto formale della pittura di Caravaggio adottano lo studio della luce, che mette in evidenza il vero. Dal Realismo prendono i soggetti semplici e dimessi, proponendosi come reazione all’imperante classicismo barocco. Mentre godono del favore dei collezionisti, non vengono apprezzati dai critici.☺ [email protected] recensioni libri da gustare Annamaria Carlone Vite dei santi, recitava a grandi lettere l'elegante locandina affissa appena fuori dal negozio di alimentari; a caratteri più piccoli altro vi era scritto ma non prestai attenzione... la vita dei santi non mi ha mai appassionato. Era il 24 dicembre e, come quasi sempre durante le feste di Natale, mi trovavo a Ripabottoni, il mio paese. Alcuni giorni dopo, gentilmente invitata, mi reco nella bella Biblioteca Comunale di Ripa per l'ascolto e la lettura a voce alta di un libro proposto da Molise d’Autore e dall'Associazione Socio Culturale Tito Barbieri. La sala è semivuota, siamo in pochi, ma il libro La terra del ritorno, una trilogia di Nino Ricci, è bellissimo; scorrendo le pagine vengo a poco a poco catturata dalla storia: Vittorio, un bambino di sette anni, vive con la mamma e il nonno invalido in uno dei tanti dimenticati paesi del Molise, sparsi sugli Appennini. È il 1960 e il padre è emigrato in Canada da quattro anni. Il ragazzo frequenta la scuola con scarso profitto, è sempre distratto, si annoia e solo quando la maestra gli legge le vite dei Santi, Vittorio ascolta interessato. Una storia più di tutte lo appassiona, quella di Santa Cristina, perché Cristina è il nome di sua madre. Un evento inaspettato e scandaloso sconvolge la vita del piccolo nucleo familiare costringendo la madre, una donna forte e ribelle, a lasciare insieme al figlio il piccolo paese del Molise. Cominciano i preparativi per la partenza: il passaporto, il baule, i saluti... La maestra, commossa, lo abbraccia con grande trasporto e gli regala il libro Vite dei Santi. Vittorio, quasi come in un sogno e inconsapevole di cosa lo aspetta, si ritrova al porto di Napoli e poi sulla nave che li porterà ad Halifax in Canada. Il viaggio in mare durerà giorni e giorni; tante le persone conosciute: il capitano, il medico di bordo un ufficiale gentiluomo, passeggeri amichevoli e, al suo arrivo, un... perfetto estraneo: suo padre. L'incontro con il padre segna la fine del primo libro intitolato “Vite dei Santi”. L'autore continua poi la storia con altri due romanzi La casa di vetro e Il fratello italiano, dove viene raccontato il difficile rapporto con il padre e la sorella Rita. Vittorio dovrà gradualmente integrarsi e appropriarsi della lingua, in una terra sconosciuta e talvolta ostile “La chiesa sembrava l'unico posto dove la mia lingua non fosse usata contro di me, e dove pote- vo rilassarmi al suono familiare del latino...” (pag. 311). Vittorio un giorno farà ritorno alla terra d'origine, al paese che aveva abbandonato, ma scoprirà che più niente corrisponde all'immagine che per tanti anni si è portato dietro. La terra del ritorno, magistralmente tradotto da Gabriella Iacobucci, è un libro emozionante, a tratti struggente. L'autore, Nino Ricci, nato nell'Ontario da genitori contadini emigrati in Canada dal Molise, ha saputo raccontare con realismo e senza retorica l'emigrazione, descrivendo dettagliatamente luoghi e persone, dipingendo immagini con le parole. La storia è trascinante, i capitoli scorrono veloci uno dietro l'altro coinvolgendo in un crescendo febbraio gennaio 2005 marzo2005 2010 la la lafonte fonte fontegennaio marzo il lettore. Consiglio vivamente la lettura di questa trilogia perché è la storia della nostra emigrazione. Anche i molisani sono stati un popolo di emigranti e sarebbe bene ricordarlo quando, verso i nuovi emigranti di oggi, usiamo talvolta toni di disprezzo. Ero partita da Roma con tre libri, da leggere nella quiete rilassatezza di Ripa... sono tornata a Roma con un libro, La terra del ritorno, che ho letto durante tutta la mia permanenza e che non vedo l'ora di terminare. Ah! dimenticavo, al terzo incontro in biblioteca eravamo molti di più e questa lettura collettiva è stata davvero piacevole. È stato bello ritrovarsi lì, insieme, a commentare, a riflettere, a ricordare, a commuoversi e... a mangiare un pezzo di dolce, perché, come scrive Roberto Piumini “Se i libri fossero di frutta candita, li sfoglierei leccandomi le dita”. W la lettura! E se in questi giorni di festa trascorsi a Ripa ho potuto “gustare” la lettura di questo bel libro e conoscere un autore, Ricci, di cui ignoravo l'esistenza, il merito è del “Progetto Biblioteche Aperte - Il libro e la voce”. Questo progetto, promosso dall’Associazione Molise d'Autore, patrocinato dalla Regione Molise e dall'Ambasciata Canadese, propone incontri di lettura a tavolino (con partecipanti dai 6 ai 10), condotti da Gabriella Iacobucci; gli autori scelti sono stranieri di origine molisana oppure scrittori molisani poco conosciuti. L'iniziativa è senza dubbio encomiabile e già l'estate scorsa, con la collaborazione dell’Associazione SocioCulturale Tito Barbieri e del suo presidente Domenico Ciarla, abbiamo avuto la possibilità di leggere e apprezzare il libro Le voci di mio padre di Joe Fiorito, autore di origini ripabottonesi. Ben vengano altri incontri de “Il libro e la voce” perché, oltre ad animare quelle biblioteche del territorio che talvolta somigliano troppo a musei del libro, sono occasioni culturali preziose di cui i paesi del nostro Molise hanno bisogno. ☺ 17 terzo settore sentirsi responsabili Leo Leone Solo una responsabilità condivisa produce frutti ed energia per attrarre risorse pubbliche e private volte al bene comune. È questo un traguardo prodotto dalla cultura e dal senso di comunità, mentre l’azione dei singoli si rivela cedevole alla caducità e alla arrendevolezza. Dalla cultura di comunità può scaturire una politica che si apre alla progettazione partecipata e ad una cogestione efficace; al risparmio di risorse e concrete opportunità di lavoro sottratte alla precarietà e ad una maggiore forza contrattuale intorno ai tavoli della politica. Su questa linea si generano nuove prassi di governo che attuano il primo articolo della Costituzione che assegna la sovranità al popolo. E non si finirà mai di attualizzarlo. Sul tema della responsabilità sociale di singoli e di gruppi ha lanciato un forte richiamo, il 28 febbraio scorso, Stefano Zamagni nel suo intervento al teatro Savoia di Campobasso, tenuto nel corso della presentazione dell’enciclica “Caritas in Veritate”. “La solidarietà è anzitutto sentirsi tutti responsabili di tutti, quindi non può essere delegata solo allo stato”. È questo un passaggio molto incisivo del documento pontificio che ritorna a più riprese a connettere giustizia, solidarietà e salvaguardia di diritti alla responsabilità di ciascuno. Un episodio accaduto di recente, ci richiama al diritto/dovere di assunzione di responsabilità per non ricadere nella ricorrente tendenza alle lamentazioni che non risolvono i problemi e non ci rendono immuni da condanna sul piano etico. In occasione della recente convocazione in consiglio regionale con all’ordine CAMPOBASSO 18 del giorno la discussione del bilancio preventivo della regione Molise, non siamo stati presenti come Forum del Terzo Settore. La stampa evidenziava con… stupore la latitanza di molti organismi rappresentativi dell’associazionismo e degli stessi sindacati. La cosa ha una spiegazione molto semplice e limpida: la comunicazione e l’allegato sul tema su cui dibattere è pervenuta il giorno 31 dicembre. Il primo gennaio, come è ben noto a tutti, non è propriamente un giorno lavorativo e le sedi di uffici pubblici e privati sono chiuse. La seduta in consiglio regionale era fissata per il giorno 4 di gennaio, il primo giorno lavorativo del nuovo anno. Non c’erano di certo lo spazio e il tempo materiale per convocare il comitato di coordinamento del Forum, per una attenta analisi del complesso materiale da cui ricavare osservazioni e proposte da presentare in sede di discussione. Per cui siamo rimasti più che sorpresi, nell’apprendere dalla stampa la notizia del vuoto di cittadinanza nella sede del consiglio regionale. Mentre non ci ha sorpresi il fatto che il bilancio era stato approvato senza troppo dibattere. Una storia che si ripete. Ripropongo un breve passaggio dell’intervento che, in veste di portavoce del Forum del Molise, pronunciai nel gennaio 2008 nella stessa sede regionale, in occasione della discussione sul Documento sulla Programmazione elaborato dalla giunta. “È tempo di andare oltre il metodo delle classiche audizioni. Sono maturati i tempi per andare oltre il modello della governabilità ristretta nei tradizionali recinti dei partiti e degli apparati istituzionali. La “governance” attuale richiede un maggiore coinvolgimento dei cittadini, singoli e associati, nella programmazione degli interventi, soprattutto nel campo delle politiche sociali. Nella proposta contenuta nel DPEF della regione Molise a tale tema è dedicato uno spazio febbraio gennaio 2005 marzo2005 2010 la la lafonte fonte fontegennaio marzo piuttosto sobrio contenuto nel cap. III al par. 4 nelle pag. 39-40. Al loro interno non si coglie una delle novità normative scaturite dalla L. 328/200 e dalla riforma dell’art. 118 della Costituzione; per cui quando nel documento si parla di costante dialogo e…..di una sostanziale condivisione da parte degli attori locali non si fa alcun cenno alle organizzazioni sociali che, nelle normative citate, costituiscono parte interattiva permanente con le istituzioni ad ogni livello territoriale”. Il presidente di turno si scusò e non mancò di dichiarare che comprendeva le riserve da noi esposte e accoglieva il messaggio da noi lanciato. La regione ne avrebbe tenuto conto per il futuro… Ed eccoci allora a riprendere il tema della responsabilità che ci riguarda tutti come cittadini singoli e associati. Non finiremo mai di capire, denunciare anche, per poi proporre. E lo faremo ancora. La storia ci dice che per lo più i cambiamenti si sono verificati proprio quando i popoli, le nazioni, sollecitate anche da cittadini che si espongono, si sono imbattuti in vicende tristi e talora anche tragiche. Fu il caso della rivoluzione “copernicana” avvenuta negli USA sulla questione della discriminazione razziale. Fu proprio dallo stato di schiavitù e di segregazione dei negri che nacque la sfida di Martin Luther King “I have a dream”. Ma senza l’assunzione di responsabilità da parte di tutti non si può disegnare un mondo diverso. Specie in tempi, come i nostri, di “schiacciamento mediatico” ben manipolato dai potenti. ☺ [email protected] leggo la fonte perché al festival di sanremo, in gara anche emanuele filiberto. finalmente nell'udc cominciano a cantare società “Un immigrato è un essere umano, differente per provenienza, cultura e tradizioni, ma è una persona da rispettare e con diritti e doveri, in particolare nell’ambito del lavoro dove è più facile lo sfruttamento, ma anche nell’ambito delle condizioni concrete di vita”. Così si è pronunciato il Papa, Benedetto XVI, in merito alla situazione degli immigrati, ribadendo la necessità dell’accoglienza pur nel rispetto della legalità. La società moderna è caratterizzata dalla mobilità delle persone: non è più l’emigrazione di una volta. Il mercato del lavoro, scambi culturali e, ahimè, guerre e violenze portano milioni di persone a lasciare il proprio paese. In Italia negli ultimi 30 anni sono arrivati oltre 4 milioni di persone provenienti da circa 200 paesi diversi. Il dato più preoccupante è quello dei minori non accompagnati: ogni anno arrivano nel nostro territorio circa 8.000 minori che vengono accolti in famiglie o istituti. Un buon 10% è irreperibile. Gli stati d’animo e gli atteggiamenti sono molto contrastanti: da una parte vi è la consapevolezza di azioni a protezione dei minori e degli immigrati che sono in palese, evidente difficoltà, dall’altra si hanno ronde, caccia all’immigrato, violenze di ogni genere. La divisione nella popolazione è determinata anche dalla Politica che ritiene di risolvere una problematica di vaste dimensioni con i proclami o con i respingimenti. Alla ormai atavica assenza di politiche familiari, aggiungiamo quella di politiche sociali e di integrazione. Necessita, in questo campo, un sostanziale cambio di passo impegnandosi tutti per rendere concreti ed esigibili i diritti umani, spesso declamati ma altrettanto spesso disattesi: i fatti di Rosarno sono figli di questa politica della contraddizione e della miopia. forme di schiavitù Solidarietà, accoglienza, rispetto dei diritti umani, assistenza ai più deboli caratterizzano una società che si definisce civile ed evoluta. La globalizzazione ha portato anche il fenomeno delle grandi migrazioni che aprono nuovi orizzonti, nuove relazioni. L’alzata di scudi è la testimonianza di mancanza di coraggio, la paura di aprirsi agli altri. Di fronte al dramma di tante persone in difficoltà, tutti sia- mo chiamati ad avere la schiena dritta per vincere egoismo, cinismo e indifferenza. Ogni vita umana ha dignità, ha diritti inalienabili che nessuno può ledere. “Io sono una persona e non un animale” ha affermato un giovane di pelle nera colpito alle gambe con un colpo di fucile nella vergognosa caccia all’uomo di Rosarno. febbraio gennaio 2005 marzo2005 2010 la la lafonte fonte fontegennaio marzo Siamo tutti sopra una miscela esplosiva fatta di illegalità diffusa e tollerata, di sfruttamento del lavoro nero e di mancanza di controllo del territorio. Sono molto gravi le parole del Presidente del Consiglio a margine della riunione del Consiglio dei Ministri tenutosi a Reggio Calabria che ha affermato che sono solo gli extracomunitari a ingrossare le fila delle organizzazioni criminali. È una delle tante falsità della Politica. Sarebbe il caso invece di dire chiaramente che senza tanti immigrati molte aziende avrebbero chiuso, senza tante signore dell’Est molti nostri anziani sarebbero soli. Certo il flusso va regolato, ma nessuno deve pensare di poter sfruttare chi è in uno stato di maggiore bisogno. Abbandonare tante persone in situazioni disumane è il peccato più grave che si possa commettere. Chi si professa cristiano non può pensare di starsene seduto tranquillo a casa sua e far finta che non è successo niente, tanto non tocca la sua persona. Chiesa, comunità, associazioni devono intervenire per denunciare l’illegalità, bloccare lo sfruttamento, dare forza ai più deboli per il riconoscimento di quanto dovuto, di retribuzioni giuste. L’ipotizzato disegno di legge sul permesso di soggiorno a punti è un ulteriore schiaffo alla Democrazia e alla Costituzione. Se accettiamo supinamente anche questo provvedimento, se restiamo in silenzio, dobbiamo avere contezza che stiamo favorendo nuove forme di schiavitù. ☺ riformista [email protected] 19 società evasioni Giulia D’Ambrosio Mentre si parla di appalti gonfiati, collusione, concussione, usura, mazzette e massaggi terapeutici per uomini stressati, ecco che torna il vero grande problema del Paese: l'evasione fiscale. A chi ancora crede che ci sia un futuro in questa repubblica delle banane, questo è il futuro che ci aspetta: aumento dei costi bancari, già in atto in tutti gli istituti di credito; le spese bancarie e i tassi d'interesse lieviteranno a dismisura; aumento della tassazione e dei costi burocratici perché alla fine siamo noi commerciati e artigiani che dovremo far lavorare tutti quei consulenti che non hanno lavoro. Chi rattopperà i buchi contributivi lasciati da tutte quelle aziende che hanno chiuso e da quelle che sono scappate a gambe levate da questo Paese? Tutto questo a fronte di un mercato ristretto che non consentirà di pagare i debiti accumulati tra il 2008 e il 2009 con in più i costi del 2010. I cosiddetti studi di settore che consistono in un calcolo presunto di imposte evase, senza diritto di replica o di dimostrazione, continueranno a mettere le mani in tasca anche a quei piccoli lavoratori autonomi onesti che lottano per resistere, mentre le frontiere hanno aperto i cancelli d'oro a miliardi di vera evasione, dicendo pure grazie. Giustizia a colpi di scudo. Per chi poi paga molti interessi passivi alle banche, ai leasing e via dicendo per investimenti oggi sovradimensionati, arriva la moratoria con la scusa dei rating e per chi sperava in una riduzione dell'IRAP, la risposta è: minor deduzione dalla base imponibile degli interessi passivi cioè più 20 tasse per chi è in difficoltà. L'Agenzia delle Entrate constatando la riduzione del gettito fiscale decide di reagire con una nuova campagna di controlli che per taluni sarà una specie di guerra preventiva a tutte quelle PMI che già per conto loro si trovano in disagio per un anno di fatturato ai minimi storici. Ogni sforzo è stato sempre proteso a salvare grande industria, capitali, multinazionali e interessi di soliti noti o ignoti. Il saldo negativo tra chiusure e nuove aperture dei negozi è impressionante in Molise ed in tutto il territorio nazionale. Noi piccoli siamo sempre più invisibili ma il peggio è che le chiusure si susseguono anche nella grande distribuzione e fanno notizia, mentre i nostri negozi chiudono nell'indifferenza delle Istituzioni, che dopo dieci anni preparano una legge che non tutelerà, né strutturerà il commercio locale. Troppo commercio per troppa poca gente, febbraio gennaio 2005 marzo2005 2010 la la lafonte fonte fontegennaio marzo bisognava avere più responsabilità e senza alcuna distinzione politica perché il mercato delle “convenienze” è trasversale. L'impoverimento delle famiglie il cui reddito negli ultimi anni è stato eroso da una serie di aumenti sui beni primari, utenze domestiche ed imposte ruba ormai la gran parte dei nostri potenziali clienti. Senza contare tutti coloro che il posto di lavoro e il reddito non ce l'hanno più. Eppure un provvedimento nazionale come quello della riduzione dell'aliquota Iva potrebbe giovare a tutti, abbassando immediatamente i prezzi al consumo, senza creare particolarismi o mere operazioni da marketing aziendale come la social card o il buono vacanze in favore di chi dovrebbe dimostrare di avere dei bisogni ancora una volta indotti e verso direzioni già programmate. E noi, nella nostra piccola regione, come sopravvivremo dopo il crollo di tutto il comparto economico con l'aggiunta di un territorio aggredito da calamità naturali, collegamenti stradali e ferroviari in condizioni di grave disagio e una quota di abbandono della popolazione in età lavorativa destinato ad aumentare sempre più? Per un governo-azienda come il nostro potremo urlare come voce che grida nel deserto. Potevamo fare in questi anni molto di più e meglio con le risorse a disposizione, e se solo si volesse, potremmo cominciare ad invertire la rotta. Cosa abbiamo nel DNA noi molisani o meglio “Molisani” come qualcuno ci ha definiti per non reagire nemmeno quando si arriva con l'acqua alla gola? Pesano su di noi, come macigni, anni di politica clientelare, di mancanza di partecipazione civile che fanno sempre più il gioco di coloro che in maniera indebita scrivono la trama di un film dove i veri protagonisti sono tragicamente solo pallide comparse.☺ [email protected] pillole di lupo Distratto dalle sue avventure contro le Graie e ancor più tremende sorelline Gorgoni e dalle sue amicizie divine, come Athena, vergine e bella, riuscirà Perseus a “riconoscere” la sua Cenerentola? Tutto qui: la domanda e la risposta. Ma, … si dice che per fare una cosa seria, invece che affermazioni laconiche, pittoresche e criptiche, sia necessario citare le “fonti” ed argomentare le affermazioni. Proviamo. Le Costituzioni, cioè, come tutte le carte fondative di una comunità, non sono nate e non nascono dal nulla, ma da una lunga storia di lotte, sacrifici, sofferenze e, soprattutto, vittime! Vittime di una ricerca che si matura nelle concrete vicende degli uomini, che giorno dopo giorno fonda nuovi valori, costruisce o tenta di costruire una visione diversa ed alternativa del vivere insieme, ovvero delle relazioni tra i “convitati”; pertanto, si può legittimamente affermare che queste non sono assolute, ma itineranti, ovvero, cambia il “contesto”. I Documenti ufficiali e riconosciuti da qualcuno, prima, e da altri poi, sono tanti. Ne cito solo alcuni “recenti”, con qualche commento breve e sconvolgente: “Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino” (1789), dove l’art. 1 recita: gli uomini nascono e vivono liberi ed eguali nei diritti, ma, subito dopo: le distinzioni sociali continuano ad esistere purché siano fondate sull’utilità comune; “Statuto Albertino” (1848), dove all’art. 1 si afferma: la Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato e che: gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi… e lo Stato Pontificio (Cattolici) praticava “d’abitudine” tortura e pena di morte, quest’ultima cancellata dal Diritto Vaticano nel 1969 e dalla Legge fondamentale vaticana nel 2001! E … via altre carte, utili solo a proclamare Diritti e Doveri di tutti, la giustizia di corte Z’ Vassilucc’e esclusi di fatto i Principi! …con buona pace di tutti. Il riconoscimento dei diritti “universali”dell’uomo, ovvero per tutti tranne che per alcuni “altri”, per esempio le donne e “gli ultimi”, è venuto maturando lentamente e faticosamente nei secoli e non per grazia del Principi, bensì in forza della disperata lotta degli oppressi, donne ed ultimi inclusi. Lotta disperata sì, sempre, perché non è stato mai concesso niente, ma è stato ottenuto e riconosciuto sempre poco! Il potere si sa, anche quello di genere, pur di non perdere lo “status”, ha fatto e fa le concessioni. E così: lo Stato Pontificio conserva la forma di Papato Democratico dove l’elezione del Governante, di fatto, viene effettuato dalla minoranza cattolica presente in Europa, ma Cardinali e Vescovi sono anche di “colore e maschi”! (concessione idealistica ed illusoria); gli stati Democratici eleggono i loro Principi dalle indicazioni dei Feudatari dei Partiti (…tanto per non andare lontano, vedi le “operazioni” per l’elezione del prossimo Sindaco di Termoli) e dai condizionamenti indotti dalle strutture massmediatiche dove è il Popolo che vota! (le donne popolo “poche” e “dopo gli uomini” - illusionismo prassico e democratico). Intanto gli ultimi, i diseredati, gli sfrattati e derubati del Pianeta, maschi e femmine, continuano a sostare sotto le mense dei ricchi epuloni tutti Democratici, taluni con disprezzo, ovviamente, vengono chiamati “Totalitari”. Ma, senza scomodare troppo la storia, basta osservare cosa avviene nella febbraio gennaio 2005 marzo2005 2010 la la lafonte fonte fontegennaio marzo società civile, ovvero partendo dal proprio condominio: gli interessi di tutti vanno salvaguardati, ma nel rispetto dei diritti individuali e soggettivi dei proprietari. L’inquilino? Beh, cosa pretende, mica è proprietario! I confinanti? Beh, cosa vogliono, ognuno decide a casa propria! Lo straniero? Se avanzassero pretese, c’è sempre l’ordine costituito a ristabilire il Diritto del dritto. Qualcuno, pazzo, rivoluzionario e anarchico, feccia da isolare e, se necessario, distruggere, ha provato ad affermare il “diritto dei senza diritti”, ovvero, semplicemente, anche il proprio diritto. Risultato: sono diventati Diogeni “con la barba bianca, abbandonati al loro tascapane di melanconie e nenie, stanchi e sopraffatti dalle fatiche per inoltrarsi laddove la fantasia incontra l’esistenza e l’esistere diventa consapevole e coerente esistenza”. Sono diventati anche loro funzionali ad un potere che non cambia, perché il Popolo dei diseredati non ha potere? Forse. Ma, i cantori con la barba bianca, forse, riescono ancora ad accendere il cuore alla speranza di un altro mondo possibile. E, certo, non è cosa da poco!☺ [email protected] GIÙ DALL’AU TO B U S Bersani: “Il Pd non è un autobus”. Se lo fosse, Avrebbe una linea. www.spinoza.it 21 libera molise l’ira Franco Novelli A proposito di “ira”, vorrei partire da due vicende, molto differenti fra loro (nel tempo e nello spazio) ma significative: la prima è l’episodio famoso dell’ira di Mosé, che rompe le Tavole della Legge, quando, scendendo dal monte Sinai, dove era salito per ricevere nuove indicazioni da Jahvé, vede con immenso stupore che il popolo giudaico ha dimenticato il culto del vero Dio, praticando l’idolatria. L’altro sconfortante avvenimento riguarda la rivolta violenta degli immigrati a Rosarno (RC), che ha portato alla luce i livelli disumani di riduzione a schiavitù dei lavoratori immigrati, regolari o clandestini, prevalentemente provenienti dall’Africa settentrionale, ad opera della ‘ndrangheta calabrese ma anche di piccoli proprietari terrieri, a loro volta vessati dalle assurde regole del libero mercato, per il quale un chilo di arance viene pagato fra 7 e 10 centesimi di euro. Una infima miseria ed una grossolana provocazione al buon senso comune. I due episodi offrono alla parola “ira” un significato apparentemente contiguo, ma nella sostanza molto lontano l’uno dall’altro. La narrazione biblica, che descrive Mosé adirato, rappresenta un personaggio tradito dal suo popolo, dimentico degli insegnamenti per i quali esso poteva definirsi diverso da altri, in quanto monoteista e teso alla ricerca della Terra promessa. Ciò lascia capire che, se un popolo, ma anche un individuo, non è rigorosamente guidato, pur in presenza di un patto condiviso per il bene della collettività, come per esempio il dotarsi di leggi necessarie alla tutela e alla salvaguardia di tutti, esso si allontana certamente dalle leggi, divenendo vittima di se stesso, del proprio processo di anarchia sociale, delle arroganti giustificazioni di comportamenti prevaricatori. Una collettività, quindi, ha bisogno di punti di riferimento e a questa esigenza rispondono le leggi di cui la collettività si dota per un rettilineo e condiviso cammino di coesistenza pacifica. La cronaca dolorosa di Rosarno, in provincia di Reggio Calabria, dove ci sono stati scontri fra gli abitanti e gli immigrati, fa emergere tutta la drammaticità dell’esistenza infelice ed amara dell’immigrato, caricandolo 22 di odio, di aggressività, che si trasformano facilmente in comportamenti violenti, dettati da un rancore covato nel silenzio amaro e solitario degli schiavi. Gli immigrati in prevalenza nordafricani, regolari o clandestini, si sono energicamente opposti alle inumane condizioni di lavoro di vita fondate sullo sfruttamento schiavistico. La raccolta delle arance nella piana di Rosarno ogni anno riesce a convogliare diverse migliaia di lavoratori stagionali, che, pur di guadagnare una “miserevole paga”, si sottopongono a condizioni molto precarie di lavoro, essi che per la stragrande maggioranza dei casi sono costretti ad abbandonare le loro terre per la povertà endemica o per ragioni esclusivamente politiche. Le scene di violenta protesta espressa dagli immigrati, anche contro inermi cittadini di Rosarno, sono comunque la raffigurazione di un disagio terribile che è insopportabile agli occhi di una parte consistente della nostra società. Il lavoro deve essere lo strumento di una vita dignitosa per chiunque decida di insediarsi sul nostro territorio metropolitano, per chiunque decida con razionale discernimento di fermarsi nel nostro paese. Noi, nel contempo, dobbiamo impegnarci a favorire l’integrazione degli immigrati, chiedendo sì il rispetto delle nostre regole costituzionali, senza peraltro sottoporli ad un regime xenofobo di sopraffazione (come oggi le leggi securitarie stanno invece facendo, inventandosi il reato di clandestinità o del soggiorno a punti). Se c’è il lavoro, e con esso la salvaguardia e il rispetto di norme convenzionalmente accettate, c’è, come riscontro, una vita dignitosa, una tensione civile ed una motivazione ideale per accrescere e per partecipare al benessere della comunità alla quale si intende associarsi. Di qui, l’ira dell’immigrato, che è rabbia, rancore, anche violenza distruttrice, naturalmente da condannare ma anche da capire. La collera e l’indignazione degli immigrati e dei poveri sono anche il nostro sdegno e la nostra collera di cittadini dinanzi alla quotidiana distruzione di quelle norme tutorie della dignità della persona e del lavoro. Con la motivazione diffusa oggi, oltre ogni misura, della crisi economica che punge e tormenta la pelle di milioni di famiglie nel mondo ed in Italia, non consideriamo giusto l’abbattimento di ogni tutela sociale e sindacale duramente conquistata in questi anni dalla classe lavoratrice e da quella operaia in febbraio gennaio 2005 marzo2005 2010 la la lafonte fonte fontegennaio marzo particolare. Pensiamo innanzitutto ai lavoratori sardi della multinazionale ALCOA di Portovesne, Cagliari, che hanno attuato una protesta energica, riversandosi sulla pista dell’aeroporto di Cagliari e andando a Roma, dinanzi al palazzo del Governo, a gridare la loro rabbia per la ventilata chiusura dell’azienda. Prendiamo in considerazione l’industria umbra della Merloni (l’azienda che costruisce frigoriferi, lavatrici, lavastoviglie tra Nocera Umbra e Fabriano). Occupiamoci di Termini Imprese, dove la Fiat ha deciso di chiudere nel 2011 lo stabilimento e di gettare letteralmente sul lastrico migliaia di famiglie che da anni hanno costruito le loro storie sull’insediamento automobilistico e sulla capacità di espansione dell’indotto dell’auto. Interessiamoci della Geomeccanica di Venafro/Pozzilli, in provincia di Isernia, e della dolorosa sofferenza di questi lavoratori e delle loro famiglie che da mesi non vedono più un centesimo di euro. Ecco, dinanzi a questo penoso scenario, di cui è anche responsabile l’attuale classe dirigente del paese, che perde tempo in chiacchiericci immorali relativi alla propria condizione di privilegio feudale (il processo breve; il legittimo impedimento; le intercettazioni telefoniche; ma anche lo scudo fiscale; il rientro dei capitali in prevalenza mafiosi dall’estero in forma anonima). Dinanzi a questo contesto penosamente immorale e antidemocratico, che è l’anticamera di una condizione politica di “servaggio” già miseramente presente, oggi, in Italia, ebbene è giusto farsi prendere dall’ira e, con veemente impegno, è necessario riprendere in mano la logica e il vocabolario della lotta antagonista fondata sull’aggregazione civile e condivisa, che i sindacati, soprattutto di base, esprimono ed indicano. In questo senso l’ira è l’espressione aperta di uno sconforto, che determina la capacità di ribellarsi e di tentare di ri-costruire un futuro migliore, fondato sul rispetto rigoroso delle leggi ma anche su un convincimento, che ci sembrava presente nel tessuto sociale, che cioè l’uomo non è una bestia da soma, ma è una persona con il suo mondo spirituale e con il suo bagaglio civile e culturale insieme. ☺ [email protected] casacalenda vita interiore il comune si appella Domenico D’Adamo Antonio Di Lalla Antonio De Lellis Occorre attraversare il buio per riconoscere la luce, restare in silenzio per ritrovare le parole, accettare la propria debolezza e sottrarsene per gustare la forza, vivere l’infelicità per ritrovare la serenità. Occorre perdonare per non vivere nel malessere, chiedere perdono per rinascere dalla miseria, piangere per guarire dall’egoismo, vivere il travaglio per partorire i sogni. Occorre riconoscere la falsità per desiderare la verità, abbracciare per imparare a condividere, baciare per vivere la tenerezza, riconoscere l’ignoranza per gustare la conoscenza, perdersi per imparare a ritrovarsi. Occorre la sofferenza per rompere il sonno della ragione, spaventarsi per desiderare protezione, sentirsi piccoli per scoprire la grandezza degli altri, riconoscersi diversi per accogliere la diversità. Occorre disturbare le coscienze per liberare la missione, rispettare la vita nel creato per non uccidere la speranza, sentire l’ingiustizia insopportabile per ingaggiare la lotta, fermarsi per poter camminare sulla strada, sentire la solitudine per saper vivere con gli altri. Occorre capire il presente per scoprire il passato e toccare il futuro, accettare la vecchiaia per godere della giovinezza, accettare la morte per imparare ad essere vivi. Occorre accettare ciò che hai compiuto per moltiplicare gesti di vita, perdere per riconoscere il valore di una impresa, essere rifiutati per scegliere di accogliere, guardare dentro per capire gli altri, imparare a sorridere per vedere la luce sul volto accanto, gioire delle piccole cose per capirne la grandezza. Occorre una fede per avere il coraggio di rialzarsi, attraversare la povertà per scoprire la ricchezza, conoscere la schiavitù per vivere la libertà. Occorrono tutte queste cose e forse tante altre per essere ciò che sei ed accettare ciò che vive in te. ☺ [email protected] GLI ARTICOLI RELIGIOSI NEL TUO MOLISE Servire gli anziani o servirsi degli anziani? È tutta qui, e non ci sembra poco, la diversità di approccio fra la cooperativa Nardacchione e l’amministrazione comunale di Casacalenda al mondo degli anziani. La cooperativa, al loro servizio da trent’anni, non solo non ci ha mai speculato sopra, ma, bilancio alla mano, nel 2009 ci ha rimesso intorno ai 60.000 euro (80.000 l’anno precedente) e tuttavia, nonostante le forti perdite, fino ad oggi ha proseguito nell’assistenza domiciliare per non abbandonare gli anziani al loro destino. Ne sa qualcosa il sindaco che, quando ha avuto delle emergenze, non si è fatto scrupolo e si è rivolto proprio a quella cooperativa che ora cerca di bidonare e liquidare. Il ricorso al Tar ha sostanzialmente dato torto all’amministrazione comunale che, anziché rinsavire ed evitare di perdere altro tempo (misura di quanto gli interessa che gli anziani stiano bene), si è appellata al Consiglio di Stato, tanto loro non tirano fuori un centesimo, in quanto le loro spese legali sono a carico dei contribuenti residenti e quindi anche dei soci della cooperativa che risulta controparte. Ma perché tanto accanimento dopo aver fatto una delibera, mai annullata, in cui si dava la casa di riposo in gestione gratuita ventennale alla cooperativa Nardacchione in cambio di 250 mila euro da investire in arredo? Il furbetto del quartierino si è accorto che non c’è trippa per gatti e si è detto: busso altrove in Molise, un imprenditore lo trovo! Non essendo più in giunta, spinge l’amministrazione a cambiare le carte in tavola perché se va bene è merito suo, se va male le colpe ricadono sulla giunta visto che lui ne è fuori. Finché trova gente disposta a farsi usare avrà sempre buon gioco. Gli anziani sono stati contattati e messi in graduatoria per entrare nella casa di riposo, ad alcune persone è stato garantito che vi andranno a lavorare, il nome dell’impresa è stato rivelato da una ciarliera signora imparentata. L’anomalia è che il bando di gara di appalto non è stato ancora affisso. Come dire: si sono venduti la pelle del leone prima di uscire a caccia! Naturalmente può essere tutta una bufala, e noi ce lo auguriamo per loro, messa in giro ad arte semplicemente per depistare tutti. E tuttavia, da indiscrezioni, ci risulta che la cooperativa, in attesa del verdetto, all’inizio di gennaio in busta sigillata ha lasciato un plico da un notaio con il nome dell’imprenditore che si aggiudicherà l’appalto e di alcune persone a cui è stato garantito che vi lavoreranno, senza l’ausilio del mago di Arcella che intanto dimorava lontano da ogni possibilità di consultazione. La corsa a ostacoli per persone che vogliono mettere la loro professionalità al servizio degli anziani non finirà presto e dunque … alla prossima puntata.☺ febbraio gennaio 2005 marzo2005 2010 la la lafonte fonte fontegennaio marzo 23 realtà locali sabrinate Un virus s'aggira per i frentani... solo così è razionalmente spiegabile ciò che sta accadendo ultimamente alla Nostra amata e sconosciuta lingua italiana. I monti frentani, epicentro del terremoto del 2002, sopravvivendo con affanno e fatica alla furia della natura prima e all' opera dell'uomo (politico) poi, stremati, vengono "attenzionati" da un misterioso virus, sconosciuto alla scienza, che al pari di altri più noti e letali sembra, presumibilmente, trasmettersi per le vie parentali, intime, familiari (difficile stabilire chi contagia chi). Questo giornale già aveva fatto notare come l'on. De Camillis (Camera dei Deputati) nei suoi interventi, dentro e fuori la Camera, imbarazza gli interlocutori con un uso, a dir poco, spregiudicato della lingua (italiana s'intende). Tali articoletti titolavano Sabrinate e Sabrinate due ma, con il senno di poi, si è costretti, dopo gli ultimi accadimenti letterari, a rettificare in Sabrinite ad indicare così "una patologia contagiosa" diretta in modo non equivoco, come nella ipotesi del delitto tentato, a mortificare la nostra bella madrelingua scritta e parlata: l'italiano. Se in precedenza si suggeriva di "sciacquar... in Biferno e Fortore" prima di manifestarsi, ora è ragionevole (si fa per dire) ritenere che solo "un pellegrinaggio con miracolo" possa condurre ad una completa guarigione e immunizzazione. Gli effetti di un contagio sono palesi ed ampiamente evidenziati dal canto della carta stampata: un'inchiesta giornalistica, come al solito di primonumero.it, ripresa e riportata in (ben) 3 puntate dal quotidiano locale Nuovo Molise, relativa ad una allegra gestione di contributi pubblici concessi alla I.M.A.M., associazione culturale in quel di Larino, presieduta dal Cavaliere Gaetano Venditti consorte della ormai (più) famosa Onorevole costituisce occasione per la manifestazione di ciò che prima era sconosciuto e latente, ma in agguato. Tale inchiesta provoca la discesa del Cavaliere (da un non meglio precisato quadrupede) in campo, anzi più correttamente "...per sgomberare campi di dubbio" (?), come testualmente scrive nella sua lettera al giornale. L'intervento, breve conciso e incomprensibile, dal titolo "un'occasione che ricevo dalla calunnia", volto a dare conto dei conti, catturata l'attenzione dell'ignaro lettore, si rivela immediatamente ostico e insidioso per le umani capacità cognitive: l'intento chiarificatore, causa prima, confinato e imprigionato nei meandri della mente dell'autore genera, (verbo caro al Cav.) uno scritto che sembra essere frutto più di una "chiarenza" che della chiarezza, risulta, come prima anticipato, facilmente incomprensibile: "è scritto con i piedi" si diceva una volta. Il lettore, dalla lettura combinata inchiesta-replica, apprende sconvolgenti verità: "Grazie alla mia passione per la musica ho CREATO dal nulla e da solo qualcosa di straordinario", se il credente vacilla, l'ateo collassa: non sono i finanziamenti pubblici determinanti nella realizzazione delle opere ma i sentimenti umani. Presto la osannata famiglia felice tornerà insieme perché non bastano le grandi aperture per rimanere in sella. Pare che sono stati assoldati franchi tiratori tra i suoi per disarcionarla. D’altronde quando si invecchia si perde più facilmente l’equilibrio. La prossima cavalcata tocca a chi dal mare per salvaguardare l’impunità ha bisogno dell’immunità.☺ 24 Bonefro: il salumiere e le liste I 719 nuclei familiari sono stati visitati uno per uno (e non una sola volta), dei 1552 residenti sono stati interpellati tutti quelli arruolabili nelle possibili liste perennemente in rifacimento. Arriverà il 27 febbraio e si saprà quante sono rimaste allo stato liquido e quante hanno preso forma, per cui mentre chi scrive vive l’ansia inappagata di sapere, chi legge ha potuto costatare che la rete del pescatore se era larga ha finito per trattenere solo pesci grossi ma poco agili, se era stretta con lo strascico ha imbarcato di tutto, anche l’impescabile. In un sistema sempre più bipolare è possibile fare le cosiddette liste civiche senza un riferimento direzionale? Non si corre il rischio di essere come la ricotta che prende la forma del contenitore in cui la si riversa? E quale macellaio, benché sempre di porco si tratti, usa la stessa carne, tagliata allo stesso modo, per tutti i tipi di insaccati? Non è in discussione solo la bontà del prodotto ma anche il sapore e soprattutto la compatibilità tra il pezzo usato e il prodotto realizzato. In fondo chi sale in treno o in pullman, anche se non è interessato a sapere da dove vengono, pretende giustamente di conoscere verso dove ci si dirige. Volere il bene del paese è tutto e niente, perché lo vuole tanto chi persegue l’immobilismo più totale per non disturbare nessuno, tanto chi apre cantieri (anche metaforici) in tutti i vicoli, sconvolgendo la vita di quanti vi abitano. In ogni caso nessuno è disponibile a vedersi vendere al miglior offerente, anche perché le sorprese non mancano mai. Chiarirsi queste cose, anche in modo animato, fa bene, anche se non poche volte crea tensioni fra persone o gruppi o schieramenti. Triste sarebbe se rimanesse acredine. Quando si incontrano i cacciatori la gara è a chi la spara più grossa, ma non per questo si inimicano perché in casa mangiano solo quello che effettivamente hanno preso. Se proprio l’era commissariale ha da finire (e qualcuno già la rimpiange), si costruisca in meglio. Se si è tutti d’accordo sul fatto che il paese non deve morire, allora non accontentiamoci di tenerlo incubato e in stato comatoso. febbraio gennaio 2005 marzo2005 2010 la la lafonte fonte fontegennaio marzo S.o.S. le nostre erbe il prezzemolo Gildo Giannotti Il prezzemolo (Petroselinum hortense) è una pianta da orto estremamente diffusa nel nostro paese per il caratteristico aroma che conferisce a numerosissimi piatti, tanto che lo troviamo presente in tutte le nostre cucine regionali. Essere “come il prezzemolo” si dice infatti di una persona che è presente dappertutto. In Italia il prezzemolo è coltivato in quasi tutti gli orti familiari, come pure in vasi e cassette da tenere su terrazzi o balconi. Se lo si coltiva vicino alle rose, ne migliora la salute e il profumo. Questa pianta produce i fiori e quindi i semi solo nell’anno successivo a quello della semina: si tratta infatti di una pianta biennale. Ma la coltura si conclude generalmente al primo anno con la raccolta delle foglie. Pur prediligendo le località a clima mite, il prezzemolo resiste discretamente al freddo, ma ripetute e prolungate gelature rendono le foglie inutilizzabili. Questa pianta è molto adattabile e può essere coltivata nei più differenti tipi di terreno; l’unico accorgimento consiste nel curare lo sgrondo dell’acqua e nell’evitare ristagni. Le parti utilizzate del prezzemolo sono prevalentemente le foglie, dalle tonalità di verde più o meno intenso in rapporto alle varietà che si suddividono in tre gruppi: a foglia liscia, a foglia riccia e da radice. Nella preparazione dei cibi, al posto delle foglie, si può usare anche la radice - particolarmente sviluppata nell’ultima delle tre varietà - dopo averla tritata. Il prezzemolo contiene in grande abbondanza vitamine e minerali, tanto che c’è chi lo definisce una vera e propria miniera vegetale. In 100 g di prezzemolo si trovano infatti 162 milligrammi (millesima parte di un grammo) di vitamina C, ovvero il doppio del kiwi e il triplo delle arance e dei limoni, e 943 microgrammi (milionesima parte di un grammo) di vitamina A, cioè quasi il triplo delle albicocche e il 30% in più dei pomodori. Anche la clorofilla, pigmento di colore verde presente in grande quantità in questo vegetale, ha importanti effetti antiossidanti e antitumorali. Arricchire con prezzemolo crudo le proprie vivande aiuta dunque a mantenere sano il nostro organismo, perché, fra le altre cose, esso attiva la capacità del fegato di disintossicare il corpo e di eliminare i residui dei farmaci assunti. Cosparso abbondantemente febbraio gennaio 2005 marzo2005 2010 la la lafonte fonte fontegennaio marzo sugli alimenti e sulle verdure, il prezzemolo dovrebbe sempre accompagnare il consumo di cibi fritti, arrostiti o cotti alla griglia. Questi alimenti, infatti, possono più di altri aumentare i processi ossidativi nell’organismo e determinare danni alle cellule. Impossibile ricordare tutte le ricette che contemplano il prezzemolo tra gli ingredienti. Ci limitiamo solo a qualche preparazione che lo vede protagonista. Pollo al verde Friggere dei petti di pollo fino a renderli dorati. Dopo qualche minuto, immergerli nell’uovo battuto con un pizzico di sale e poi in abbondante prezzemolo tritato. Cuocerli in forno ricoperti da un ulteriore strato di prezzemolo tritato. ☺ [email protected] ode al profeta La tua voce, roveto che arde, sparpaglia semi d’inquietudine nelle nostre coscienze addormentate; la tua voce, nuvola di pioggia, scroscia parole folli sui pavimenti indifferenti delle nostre chiese; la tua voce, traccia di cammini inattesi, invita a cantare la speranza, a osare la speranza, a indignare la speranza. Il tuo silenzio, perduto in quel Tu che sempre chiede di abitare il tuo giardino, dice che non c’è lotta senza contemplazione. Eloisa 25 acqua molise Protocollata l’11 febbraio la proposta di legge regionale a difesa dell’acqua pubblica molisana. Un’iniziativa di tutti i gruppi consiliari del centrosinistra presenti in Consiglio che così intendono inaugurare insieme una campagna di mobilitazione regionale contro l’art.15 del decreto legge 135 del 2009 del Governo Berlusconi, convertito in Parlamento qualche settimana fa dalla maggioranza di centrodestra. Il decreto si pone l’obiettivo concreto di privatizzare i servizi pubblici locali, tra cui il servizio idrico, prevedendo l’obbligo di affidare la gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica a favore di società costituite ed individuate mediante procedure competitive ad evidenza pubblica o, in alternativa, a società a partecipazione mista pubblica e privata con capitale privato non inferiore al 40% “Con questa spaventosa norma a rischio è il diritto fondamentale di ogni cittadino a fruire di un bene essenziale per la vita com’è l’acqua, che non può essere in alcun modo sottoposto alle regole del mercato. Di più, è perfino immorale poter pensare di far profitto sull’acqua!” commenta il capogruppo D’Alete, primo firmatario. Il provvedimento del Governo Berlusconi sottrarrà ai cittadini ed alla sovranità delle Regioni e dei Comuni la gestione di un servizio pubblico essenziale di interesse generale, che riconosce l’acqua come bene naturale e diritto umano universale, principio sancito anche dalle risoluzioni del Parlamento Europeo del 2004 e del 2006, per consegnarlo, a partire dal 2011, agli interessi delle grandi multinazionali e farne un nuovo business per i privati “una svendita senza precedenti, che colpirà tutti, anche le esperienze migliori di gestione pubblica dell’acqua, quelle presenti un po’ in tutta Italia. È inaccettabile!” continua D’Alete “L’Italia inspiegabilmente si accinge a fare quello che è già stato provato in passato in altri Paesi europei, come la Francia, e che oggi, pentiti, tornano ad un sistema interamente pubblico” ma esperienze profondamente negative non sono mancate anche in Italia “Agrigento, Arezzo… solo per fare alcuni esempi, comuni nei quali le multinazionali chiamate a gestire il servizio idrico sono riuscite nel ‘miracolo’ di aumentare la tassa per i cittadini di oltre il 26 to di lotta, ponga con intelligenza e determinazione la questione della democrazia partecipativa, ovvero l’inalienabile diritto di tutte/i a decidere e a partecipare alla gestione dell’acqua e dei beni comuni, del territorio e dell’energia, della salute e del benessere sociale. Il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua insieme a numerose realtà sociali e culturali promuove tre referendum abrogativi delle norme che hanno privatizzato l’acqua per rendere possibile qui ed ora la gestione pubblica di questo bene comune. Sosterranno tale iniziativa anche diverse forze politiche. Uno strumento per dire una volta per tutte: “Adesso basta. Sull’acqua decidiamo noi!” Perché si scrive acqua ma si legge democrazia. Sullo stop alle politiche di privatizzazione e sulla necessità di una forte, radicata e diffusa campagna nazionale, un vastissimo fronte in queste settimane si è aggregato al Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua: dalle associazioni dei consumatori alle associazioni ambientaliste, dal mondo cattolico e religioso al popolo viola, dai movimenti sociali al mondo sindacale, alle forze politiche. Tutte e tutti insieme abbiamo deciso di lanciare a partire dal prossimo mese di aprile, una grande campagna di raccolta firme per la promozione di tre quesiti referendari. 300% e azzerare gli investimenti! In cambio le comunità hanno ottenuto anche un considerevole peggioramento della qualità del servizio”. Sono queste le ragioni alla base della proposta di modifica della legge istitutiva della società Molise Acque (L.R. n°37 del 1999) “in questo modo nella nostra regione garantiremo con azioni concrete, e non a chiacchiere, il principio fondamentale dell’acqua come bene pubblico essenziale e non commerciabile, quindi, contro il decreto 135”. Il centrosinistra sarà impegnato già da domani in una campagna di sostegno alla proposta di legge regionale, attraverso incontri, assemblee ed anche con una raccolta firme. “Su questo tema non sono accettabili doppiezze” conclude D’Alete “il centrodestra molisano è chiamato a compiere una scelFORUM ITALIANO DEI MOVIta chiara, una prova di identità: decidere MENTI PER L’ACQUA di stare con la sua gente oppure con il www.acquabenecomune.org sultano”. italia Chiamiamo tutte e tutti ad una manifestazione nazionale a Roma Termoli Cinema S. Antonio sabato 20 marzo, per bloccare le Sabato 27 febbraio 2010 ore 9,30 – 13,30 politiche di privatizzazione dell’ Convegno acqua, per riaffermarne il valore di bene comune e diritto umano Acqua bene comune: universale, per rivendicarne una scenari e prospettive in Molise gestione pubblica e partecipativa, Il convegno vuole: per chiedere l’approvazione della - Proporre tecnicamente come sia possibile oggi nostra legge d’iniziativa popolare, mantenere una gestione pubblica che salvaguardi i per dire tutte e tutti assieme beni comuni, che tolga l’acqua dal mercato e tolga il “L’acqua fuori dal mercato!”. profitto (rimunerazione del capitale) sul consumo Nella nostra esperienza di movidell’acqua. menti per l’acqua, ci siamo sem- Gli amministratori: quali passi compiere: Regione pre mossi con la consapevolezza Molise Acque (come dovrebbe cambiare per essere che quanto pensiamo che la ma“ente adeguato” alla gestione pubblica dei servizi nifestazione, oltre ad essere un idrici). importante ed unificante momen- febbraio gennaio 2005 marzo2005 2010 la la lafonte fonte fontegennaio marzo etica “Nel libro Naufragio con spettatore, H. Blumenberg ha descritto la posizione esistenziale di chi da un’isola di sicurezza guarda gli altri naufragare. Questa è spesso la condizione di chi contempla gli eventi nel mondo rappresentati da quegli specchi sociali che sono i media. Specchi deformati perché non danno voce al dolore, ma enfatizzano l’immagine della sventura e dell’impotenza, con l’effetto di spingere lo spettatore a chiudersi nella sua sicurezza e ad aumentare ancora più la potenza (delle armi, dell’economia, dell’imperatore di turno). E poi perché, mentre descrivono il disastro, occultano sempre sia i passaggi che spiegherebbero la nostra comune responsabilità sia le possibilità di agire e di convivere in modo più umano. Le cose non migliorano molto quando, su questa inaffidabile base percettiva, si passa ad una valutazione. In questo processo sperimentiamo che l’essenza del male o delle sfide, ritenuta misteriosa, è la distruzione. Distruzione di quella relazione con il bene (qualunque ne sia il nome proprio) che invece è fondamento incessante della nostra umanità. L’essere umano infatti non è buono per natura, né cattivo, né ambiguo: è relazione con il bene stesso. Relazione implica libertà, storia, fragilità, possibilità di fraintendimento, angoscia risanata o angoscia disamorevole e accecata, tutti elementi oscurati quando il male diventa spettacolo di potenza o quando vogliamo risolvere delicate questioni esistenziali, antropologiche, metafisiche o teologiche con un rudimentale schema giuridico del potere o non potere”. (R. Mancini, in RTM [2004] 143, 389-394). Perché i beni comuni non siano distrutti e possano consentire ancora ad ogni uomo di relazionarsi con essi in modo da usufruirne con equità e perché vengano custoditi per chi viene in seguito, occorre avviarsi decisamente - é convinzione di tutti tranne che dei governi incapaci di decidere - verso un modello di sviluppo che sia etico e sostenibile. Perché l’etico (reclamante giustizia ed equità) contenga il sostenibile (per la terra, l’ambiente e le popolazioni) si richiede una le costituzioni civili Silvio Malic diversa concezione dello spazio e del tempo per far entrare il passato e il futuro ovvero i tempi di accumulazione (il passato) e i tempi di durata (il futuro) nelle programmazioni presenti perché «la terra ci è data in prestito dai nostri figli». Questo consentirà di passare dal valore di scambio, per il quale ha priorità il capitale, il patrimonio monetario che ha tempi di accumulazione e di durata brevi se non brevissimi, al valore di utilizzazione per il quale hanno invece priorità le dotazioni e i patrimoni naturali, biologici e culturali che hanno tempi di accumulazione e di durata in migliaia di anni. Sarà questa ridefinizione nonviolenta di spazio e tempo a farci passare dal benavere, misurato col prodotto nazionale lordo e il reddito pro capite, al reale benessere degli individui e dei popoli misurati con indicatori profetici come l’indicatore della global compassion o indicatore di civiltà (Martirani 1989). Rassegnarsi alla distruzione dei beni comuni o alla loro svendita sul mercato degli interessi privati? Questo cinismo degli impotenti che ha contagiato soprattutto i governi non ci appartiene perché è banale, rudimentale, figlio di una spaventosa pigrizia mentale. Rivela una ferita aperta e non sanata: sorge dal rancore di chi ha scelto in cuor suo di insediarsi nella propria impotenza (per quanto ammantata di potere), rinunciando alla libertà responsabile. Da questo luogo esistenziale costui accetta ogni nefandezza nella storia - come la supposta inevitabilità della guerra - ma reagisce indignato contro quanti sperano e lottano, perché proprio costoro possono penosamente ricordargli l’umiliazione che ha inferto a se stesso e che ogni giorno rinnova in un agitarsi onnivoro senza alcuna reale capacità di futuro. Occorre, allora, che le comunità si costituiscano in vere e proprie costituzioni civili, con stile tenace, rigoroso e non violento, capaci di riconoscere e definire i beni comuni e di richiedere, fino a pretendere ed imporre, con le forme che il diritto consente, la loro tutela e salvaguardia (come in questo momento è quello dell’acqua e dei servizi idrici) con atti che partano dal territorio prossimo, luogo della percezione reale del rischio, ovvero dai territori comunali, risalgano alle province e regioni fino ai governi. Non si può immaginare di vivere in una innocenza passiva; vicini a questo stato possono considerarsi, secondo Gesù Cristo, solo i bambini. È possibile svoltare, entrare in un altro presente, quello della responsabilità attiva. Ogni “forum mondiale” a vario titolo convocato vede la spontanea auto-convocazione di moltitudini in “contro-forum”, sviliti, a volte, dal confluire di violenti appiattitisi al solo linguaggio della contrapposizione, ma ancor più maltrattati e malvisti dai governi che non amano voci o presenze diverse dalle loro. Mai era comparso un simile fenomeno, ormai ultra ventennale, nelle epoche precedenti. Sono movimenti di restituzione, dal latino re-institutio, nel senso di un re-impiantare l’azione di cura del futuro, l’azione di ciò che merita finalmente di diventare realtà: una società umanizzata. In questa coscienza plurale, polifonica - Balducci la chiamava coscienza planetaria - s’inaugura un futuro possibile e già ora presente. ☺ delinquenza febbraio gennaio 2005 marzo2005 2010 la la lafonte fonte fontegennaio marzo 27 sisma la dote del geometra Domenico D’Adamo Adesso che giustizia è stata fatta, perché, si sa, le sentenze vanno rispettate sia che si venga assolti, sia che si venga condannati, una domanda ci inquieta: i ragazzi che la mattina vanno a scuola, sono sicuri che nessuno degli edifici nei quali andranno a studiare, crollerà loro addosso? Ve lo ricordate lo strazio di quei genitori, ai funerali dei loro bambini? “preghiamo perché mai più una mamma possa soffrire così tanto nel raccogliere il proprio figlio tra le macerie di una scuola”. A distanza di sette anni, è legittimo chiedersi cosa è stato fatto, perché la tragedia non si ripeta? Quante lacrime si sono trasformate in atti concreti? Poche, se si pensa che nella provincia di Campobasso, dove l’impegno è stato maggiore che altrove, solo un terzo degli edifici scolastici è stato messo in sicurezza. Pressoché nessuna se si guarda al resto del Paese. Questo significa che la maggior parte dei Sindaci italiani, insieme con i dirigenti scolastici, nel momento in cui consentono l’apertura di una scuola, si rendono responsabili di atti penalmente rilevanti, e solamente il caso, ne fa dei cittadini rispettabili. A detta del capo della Protezione civile, più della metà delle scuole italiane presenta problemi più o meno uguali a quelli che hanno causato la morte dei bambini di San Giuliano di Puglia oltre al fatto che per metterle in sicurezza, occorrono circa dieci miliardi di euro. Chi ha responsabilità maggiori in questa vicenda? I condannati di San Giuliano di Puglia o piuttosto, chi impegna risorse pubbliche per la realizzazione di opere inutili, potendole invece impiegare per mettere in sicurezza le scuole? Ci sarà di sicuro una prossima volta e solo il caso sceglierà vittime e carnefici, mentre le “stelle” resteranno a guardare e forse a sfregarsi le mani perché, “il terremoto non arriva tutti i giorni”. 28 Che fine hanno fatto le promesse di quel tal Silvio, autore di barzellette, che ha inventato il Modello Molise? Perché, visto che gli è venuto così male, ci riprova col Modello Abruzzo? Fra qualche anno nessuno potrà non riconoscergli il merito di aver riunito gli Abruzzesi e i Molisani, ma nel comune destino di vivere per decenni fuori dalle loro case. Alla luce dei fatti di cronaca, che in questi giorni hanno coinvolto la Protezione Civile, possiamo con certezza affermare che, se le situazioni emergenziali vanno affrontate con le ordinanze di protezione civile, è altrettanto vero che, quando si dichiara lo stato di emergenza, va perimetrato il territorio entro il quale quelle ordinanze devono essere operanti e soprattutto vanno stabiliti i tempi di durata. La mancanza di questi due paletti, spazio e tempo, hanno consentito al Presidente della regione ed ai sui collaboratori, di esercitare, per sette anni, i poteri commissariali sull’intera regione che, in realtà, per la maggior parte del territorio, non è stata colpita né da terremoti né da alluvioni. Questa pratica ha fatto sì che solo pochi Comuni hanno a tutt’oggi appena avviato la ricostruzione pesante. Vale la pena precisare che queste che esprimiamo non sono opinioni in libertà ma notizie fornite dal Sub Commissario Romagnolo il quale il 27/05/2009 ha comunicato, urbi et orbi, che il suo ufficio ha finanziato 414 febbraio gennaio 2005 marzo2005 2010 la la lafonte fonte fontegennaio marzo milioni di opere, su una stima di tre miliardi e mezzo di euro di danni: circa un settimo dei fondi richiesti a sette anni dal terremoto. Vale a dire che di questo passo fra 42 anni ci sentiremo ripetere, come usa annunciare Romagnuolo alla TV, che, nel Molise, con i fondi del terremoto, si sono realizzate cose mai fatte in altre regioni, e meno male per gli atri che non hanno Romagnuolo. Peccato non se ne siano accorti i Sindaci del cratere di avere a disposizione questa preziosità! Questo “uomo” del fare, quando minacciava di non mandare a scuola i suoi figli in quell’edificio da poco ricostruito, che la protezione civile si ostinava a dichiarare agibile, è lo stesso che ha fatto della contestazione a Bertolaso la sua fortuna politica. Oggi che alcuni bambini frequentano una scuola ubicata in un edificio in parte pericolante, il nostro eroe non si dimena, né fa più il tribuno, forse perché tra quei bambini non ci sono figli suoi o forse solo perché ha in mano la “matta”. Sono quindi questi i meriti - la particolare competenza tecnica e l’esperienza maturata sul territorio - che gli ha riconosciuto il Commissario per nominarlo subCommissario? Il Presidente Iorio è a conoscenza di pubblicazioni, anche non scientifiche, che noi non abbiamo avuto il piacere di leggere? Si è occupato di emergenze in altri luoghi il sub-Commissario? O forse é stato indicato dagli altri Sindaci del cratere, a conoscenza delle sue straordinarie doti, per assumere questo importante incarico? Tuttavia la domanda che più ci intriga è la seguente: come mai il Governo nazionale ha preteso che il subCommissario alla sanità fosse un tecnico direttore generale di una ASL di Roma ed invece ha consentito che il subcommissario al terremoto fosse un politico di professione geometra? Eppure i due ruoli si equivalgono sia sul piano tecnico che funzionale: il primo ha avuto il mandato di ridurre il disavanzo della sanità molisana, circa 60 milioni di euro; il secondo ha avuto il compito di spendere, per il terremoto, circa 400 milioni di euro. E’ inutile dire che una risposta ce l’abbiamo, ma questa è un’altra storia di cui avremo modo di raccontare. ☺